De Pretore Vincenzo

 

DE PRETORE VINCENZO

di Eduardo De Filippo

(1957)

Personaggi

Vincenzo De Pretore

La portiera

Ninuccia

Donna Nannina

Un brigadiere di P. S.

Un agente di P. S.

Don Ciro, tabaccaio

Una signora straniera

Un signore straniero

Una signora

Prima donnetta

Seconda donnetta

Una venditrice di uova

Un pizzaiuolo

Un bibitaio

Un uomo in maniche di camicia

Un vecchio cameriere

Un vigile urbano

Un impiegato di banca

Maria

Giuseppe

Gioacchino

Ciro medico

Pietro

Il « Signore »

Primo infermiere

Secondo infermiere

Un dottore

Inquilini, popolani, passanti

Parte prima

Primo quadro

 

La cameretta di Vincenzo De Pretore, all’ultimo piano d’una casa deiquartieri popo­lari di Napoli. A sinistra una porta che dà sulle scale, a destra una porta-finestra da cui si esce su un balcone. L’arredamento è scarso ma ricercato. A destra, vicino alla porta-finestra, un armadio con lo specchio; a sinistra un comò in palissandro, al centro un letto, sormontato da un’immagine sacra, debolmente illuminata da una piccola luce, e vicino al letto un comodino. In primo piano un tavolo sul quale, coperti da una salvietta, si vedono gli avanzi d’una cena consumata assai di recente. Un po’ dovunque ninnoli, oggetti eleganti, acqua di colonia, sali da bagno; un lume da notte sul comodino. Giacca e pantaloni sono accuratamente disposti su un omino accanto al letto. Qualche sedia, un tappeto.

All’alzarsi del sipario la scena è quasi buia, perché le imposte della porta-finestra sono chiuse e ne filtra appena un raggio di luce che, insieme al debolissimo chiarore della lampadina sotto l’immagine sacra, permette di scorgere una persona che sta dormendo nel letto. Poi si sentono alcuni colpi discreti battuti alla porta: il dormiente si agita nel letto senza svegliarsi. I colpi sono ripetuti, con maggiore energia, ma sempre di­scretamente. Allora, di scatto, una figura si leva a sedere sul letto e, con voce ancora assonnata, chiede:

 

De Pretore Chi è?

Portiera (dall’esterno) Don Vincenzi’, sono io, la portiera.

De Pretore Quante volte vi ho detto di non bussare così forte? Non siamo mica in caserma, no? (Si alza dal letto, stiracchiandosi, e si infila alla meglio le pan­tofole).

Portiera (dall’esterno) Ma meno forte di così?

De Pretore (andando ad aprire) Meno, meno, meno! (Apre e corre a rimettersi a letto).

La portiera entra, portando un vassoio sul quale è la colazione, che mette sul tavolo; poi torna alla porta, prende la scopa che aveva lasciato fuori, e chiude.

Portiera Vi avrei lasciato dormire di più, ma il biglietto che avete lasciato fuori la porta ieri sera era chiaro : « Sveglia alle nove, con latte e caffè e brioche, come al solito ». (Si dirige alla finestra per aprire).

De Pretore Adesso non la spalancate, la finestra; non sono ancora sveglio del tutto! Se mi riempite la ca­mera di luce, mi stordisco e sto male tutta la giornata!… E poi mi vanno tutte le cose storte!

Portiera (aprendo lentamente) Ma sì!

De Pretore (gridando) Piano, piano!…

Portiera Il latte-caffè, ve lo devo portare a letto?

De Pretore Sì, ma non proprio a letto. Accostate una sedia e metteteci la guantiera sopra!

La portiera esegue, poi resta ferma, accanto al letto, a guardarlo.

Beh?… Ci guardiamo in faccia?… Versatemi il latte-caffè.

Portiera (versando) Latte poco, vero?

De Pretore Sì… Non mi fido nemmeno di alzare un brac­cio, stamattina… (Una pausa; comincia a far colazione) La vedete questa stanzetta, donna Carmela? Un giorno sarà un grande appartamento, con un arredamento principesco… Al posto vo­stro ci sarà un cameriere personale, con la giacca bianca, con i guanti… (Guarda le mani della portiera) Questo, però, lo potreste fare già… La mattina vi dovreste mettere i guanti… Mi spiego? È giusto?

Portiera Vi spiegate benissimo, come no! Giusto! Se io mi mettessi i guanti, figuriamoci nel palazzo… Vedermi salire con questa guantiera in mano e… Mi portano al manicomio!

De Pretore Eh, già! Perché nessuno pensa a migliorarsi, a progredire! Neanche la punta del piede fuori di quel quadrato dove uno è nato! Per l’amor di Dio! Sapete che aspettano? A Napoli dicono « il panariello », che secondo loro, dovrebbe venir giù colmo d’ogni ben di Dio! Senza nemmeno la corda dovrebbe venir giù, ma da sé, per opera e virtù dello spirito santo! Mi spiego? È giusto? Oppure sapete che altro s’aspettano? Il comuni­smo! Ma fatemi il piacere!… Voi credete vera­mente che esistono ricchi e poveri? Esistono po­veri ricchi e ricchi poveri… Io, io, sono ricco!

Portiera E allora, che aspettate a farvi quest’appartamento principesco? Con servitù e lacchè? Perché ve ne state in questa cameretta modesta?

De Pretore Ogni tempo viene… Neanche questa avevo quat­tro anni fa… Se vedevate dove dormivo io, allora… L’appartamento principesco vi sarebbe sem­brato questo. Piano, piano… Mi spiego? È giusto?

Portiera Ah, certo, siete giovane… col vostro lavoro… Ma che lavoro fate?

De Pretore E a voi che ve ne importa? Il mensile lo pago, ogni quattro del mese? Voi siete retribuita puntualmente, come abbiamo pattuito? Questa brioche e questo latte ve li pago?

Portiera Per la pace di Dio… Don Vincenzi’; chi vi ha detto il contrario?

La portiera comincia a far le pulizie; sparecchia il tavolino, raccoglie qua e là qualche cosa che è caduta in terra, e di tanto in tanto va ad aprire un po’ di più la finestra facendo maggior luce nella stanza.

De Pretore Io odio la gente ficcanaso. Non è la prima volta che mi domandate: «Qual è il vostro lavoro? Che mestiere fate?… » È un lavoro antico, donna Carme’, il più antico del mondo… Va bene? Vo­lete che vi dica di più? È un lavoro cristiano! Ancora ?

Portiera Basta, basta… è un lavoro cristiano… basta. Man­giate qui, oggi?

De Pretore Sì. Vedete, esco appunto presto per tornare di buon’ora. È giovedì… mi dovete fare…

Portiera Lo spaghetto al pomodoro fresco?

De Pretore No, li ho mangiati ieri…

Portiera E ve li siete finiti ieri sera.

De Pretore Appunto, pure ieri sera… Non mi va.Voglio mangiare capretto.

Portiera Solo capretto?

De Pretore Solo. Spezzatino… coi piselli.

Portiera Alla « pasqualina » ?

De Pretore Brava! Con l’uovo… e tanto formaggio! (Lui è ancora sdraiato sul letto).

La portiera va raccogliendo calzini e cravatta per prepararglieli.

No, Carmela, no… Con quei pedalini, quella cra­vatta no… il vestito è grigio. Marro’ sul grigio va benissimo.

La portiera cerca ancora ma non riesce a trovare quella preferita da Vincenzo.

Quella!… Quella!… No, quella, no! Lasciate stare, me la cerco da me, dopo.

Portiera Neanche i calzini vanno bene? (Ne ha preso un altro paio).

De Pretore (tanto per farla contenta) Ecco, sì, quelli che avete in mano.

De Pretore alza il lenzuolo e salta dal letto; si stira, fa qualche flessione, va allo specchio, tira fuori la lingua, si dà una ravviata ai capelli, accende una sigaretta.

Adesso potete aprire la finestra, su. Coraggio, aria, aria, aria… aria! E fate presto con la pulizia, perché esco subito. Mi spiego?

La portiera ha aperto completamente la finestra; De Pretore esce sulla loggetta, aspira una bella boccata d’aria e va nel bagno, che è appunto fuori, sulla loggetta. La portiera comincia ad alzare le lenzuola, rifare il letto, spazzare, spolverare; solleva i materassi, mette le coperte sul davanzale. A questo punto si sente battere leggermente alla porta; la portiera va ad aprire ed appare Ninuccia: è una ragazza di nep­pure vent’anni, fresca, pulita nel volto e nelle vestì, dal corpo già più che evidente. La portiera la lascia entrare.

Ninuccia Donna Carme’, ci avete parlato?

Portiera (riprendendo le sue faccende) Ma che mestiere mi vuoi far fare!

Ninuccia Non ci avete parlato? Ecco, lo sapevo!

Portiera E allora?

Ninuccia Perché mi avete detto che ci avreste parlato?

Portiera Perché sei noiosa! Se ti dicevo di no, non mi la­sciavi campare… Possibile che tu da sola non trovi il mezzo di farglielo capire? Di dirglielo?

Ninuccia Per capire, l’ha capita… lui la sa lunga!

Portiera E allora, se non t’ha detto niente vuol dire che non vuol saperne.

Ninuccia Macché, saperne ne vuole sapere… Quando mi incontra, è sempre lui che mi ferma, è sempre lui che vuole parlare. E come mi guarda! Che? Certe guardate non le capisco io? E il regalo che m’ha fatto?

Portiera T’ha fatto un regalo?

Ninuccia Uno! Mica è la prima volta… Mi porta il ciocco­lato, le castagne sciroppate, bottigliette di pro­fumo, ma quello fino… Solamente…

Portiera Che cosa?

Ninuccia Ieri mi ha portato una scatola e mi ha detto: queste sono calze. Io non l’ho aperta in presenza sua… sembrava brutto… ma quando l’ho aperta, a casa, ho trovato sei fazzoletti… da uomo. Che ne facevo, poi, di questi fazzoletti da uomo?

Portiera Quello è mezzo matto… Lascia perdere… Si parla, nel vicolo…

Ninuccia Oh, figuriamoci… quelli parlano sempre!

Portiera Ma scusa… questo è venuto qui sei mesi fa; si affitta questa cameretta, non riceve nessuno. Non ha un amico, non ha una femmina… Io sto sul portone, e vedo chi entra e chi esce! Questo è preciso come un orologio: esce la mattina, torna per mangiare, solo, lui, qui, in camera, su que­sto tavolo, il pranzetto che gli faccio io… Guarda… c’è ancora il tegame di ieri sera… Poi riposa un paio d’ore e la sera esce. Dove va ? Non si sa… E qui intorno non frequenta nessuno… Parlano? Si capisce che parlano! Che mestiere fa quest’uomo? Chi l’aiuta? Paga puntualmente… È largo di mance… Io gliel’ho domandato, e lui risponde: « Un mestiere antico… il più antico del mondo… » Lascialo stare.

Ninuccia È un ragazzo serio… questo è tutto. Lavora per conto suo… Perché? Dovrebbe mettere i manifesti?

Portiera Ma da dove è venuto?

Ninuccia Da casa sua. Che ve ne importa?

Portiera Ma tu hai proprio perduto la testa!…

Ninuccia La testa… le braccia… le gambe… tutto, donna Carme’…

Portiera E mammà?

Ninuccia Mammà m’ha preso a schiaffi, l’altra sera… per­ché non dormivo… e non ho voluto mangiare… e non mangio, donna Carme’… neanche oggi, mangio…

Portiera E così te ne vai in gloria… (Accompagna la pa­rola col gesto).

Ninuccia L’ho pensato pure… mi piglio il veleno.

Portiera E papà?

Ninuccia Papà… s’è preso i fazzoletti.

De Pretore rientra dal bagno. Alla vista di Ninuccia e della portiera che stanno con­versando si irrita.

De Pretore Ah! Qui facciamo conversazioni!… Le pulizie non si fanno!… Perdiamo tempo!

Portiera Avete detto che dovete uscire…

De Pretore (a Ninuccia) Ninu’, tu qua non ci devi venire! Per due ra­gioni! Primo, perché sei una ragazza, e la gente può pensare male; poi, perché… e donna Carmela mi capisce… (Rivolto alla portiera) Donna Carme’, la vedete?… Questa mi piace!

Portiera Sì ?

De Pretore E mi piace pure assai! Allora, non vorrei dare ragione alla gente che pensa male… Ninu’… di­pende da te. (Il tono di De Pretore è allegro, gioviale).

Ninuccia Che cosa?

Portiera Te ne devi andare… Non è aria qui, per te… Anzi, scendi con me… Su, vieni…

De Pretore, accanto al comò, sta cercandosi la cravatta; Ninuccia, sospinta dalla por­tiera, esce a malincuore.

Ninuccia e la portiera sono uscite. De Pretore è solo. Si veste, mette i pantaloni, la camicia, la cravatta, e fischietta allegramente. Poi apre un cassetto del comò, ne prende un orecchino e lo osserva come se lo vedesse per la prima volta, indi lo soppesa, va alla finestra come per osservare la lucentezza delle pietre. Torna al comò, prende una bilanciola, dello stesso tipo usato dagli orefici, pesa accuratamente l’orecchino. Infine rimette tutto nel cassetto che chiude a chiave. A questo punto si sente nuova­mente bussare alla porta.

De Pretore (quasi sussultando) Chi è?

Ninuccia (dall’esterno) Don Vincenzi’… sono io…

De Pretore (rassicurato) Che vuoi?

Ninuccia (c. s.) Non potete aprire?

De Pretore Certo. (Va ad aprire).

Ninuccia appare sulla porta.

Allora, che vuoi?

Ninuccia Ma non mi parlate così!

De Pretore E come vuoi che ti parli?

Ninuccia In un altro modo… Non come si parla alle per­sone antipatiche o ai bambini che danno fastidio. Non vedete che io vi parlo sempre con dol­cezza?

De Pretore Io non ti parlo in nessuno dei modi che tu dici; ti parlo in un terzo modo… che tu forse non ca­pisci… Mi spiego? È giusto? Vorrei parlarti con dolcezza, ma vedo i tuoi occhi, la tua bocca e tutte le altre cose che possiedi, e mi arrabbio… Che vuoi? Perché sei venuta?

Frattanto Ninuccia è sgusciata dentro.

Ninuccia Volevo parlarvi del regalo che mi avete fatto ieri.

De Pretore Ah… Le calze?

Ninuccia Ma quali calze! Erano sei fazzoletti da uomo!

De Pretore Siediti, siediti. Vediamo com’è andata questa fac­cenda. Dunque… ha sbagliato il negoziante. Sai, quando si va nei negozi… la confusione… chi compra una cosa, chi ne compra un’altra… i pacchetti si accumulano alla cassa… tu vai a pa­gare… prendi uno di quelli e te ne vai… E che ne sai che c’è dentro?

Ninuccia Chissà quanti, in quella confusione, finiscono per rubare!

De Pretore Eh, no? Ad ogni modo: calze o fazzoletti, t’hanno fatto comodo?…

Ninuccia Li ho regalati a papà…

De Pretore (riprendendo a prepararsi per uscire) È tutto?

Ninuccia No, voglio sapere una cosa: mi dovete dire per­ché siete innamorato di me e non mi dite niente.

De Pretore (dopo un attimo di sorpresa) Ho capito!… Non si esce… Il fatto è lungo! Dunque tu credi che io sia innamorato di te?

Ninuccia (con decisione) Mi dovete dire se è vero o no.

De Pretore (con leggera esitazione) Sì, è vero.

Gli occhi di Ninuccia si illuminano.

E tu?

Ninuccia Io mi prendo il veleno, se non ci sposiamo.

De Pretore è colpito dalla semplicità del tono e dall’estrema serietà dell’affermazione. L’espressione del suo volto si fa seria, accorata; la sua voce tralascia il tono superficiale e diventa pacata, dolce.

De Pretore Povera Ninuccia… Mi vuoi veramente bene?

Ninuccia Assai.

De Pretore (un po’ ironico, sorridendo) Assai, quanto?

Ninuccia (seria) Quanto tutto il mondo.

Ve Pretore (c. s.) Povera Ninuccia!

Ninuccia (scattando) Povera… povera… povera… povera di che? Povero a te se non lo capisci! Perché così fate voi altri uomini! Scartate, scartate e poi andate a finire con la faccia in quella roba là!… (Piange, dirottamente, senza riserve).

De Pretore le si avvicina, l’accarezza e la fa sedere accanto a sé.

De Pretore Allora, veramente mi vuoi bene? Uno scatto di questo genere non l’avrebbe fatto nessuno… Mi spiego? È giusto? Allora debbo parlarti seria­mente. (Prende una sedia e la fa sedere, accanto al tavolino; poi le mostra l’anello che ha al dito) Ti piace quest’anello?

Ninuccia E che c’entra?

De Pretore Io non dico cose inutili, e tanto meno ne faccio. Se te l’ho chiesto vuol dire che una ragione c’è. Mi devi dire se ti piace.

Ninuccia (compiacente) .

De Pretore(rifacendole il tono)

Come «sì»? È bellissimo quest’anello; questo è un anello da gran signore, Ninu’; il signore nato non porta mai un gioiello vistoso. Guarda, c’è una piccola corniola; così sembra nera, ma, vista in trasparenza è rossa, e c’è un disegno sopra, una scultura, che non si riesce più a capire bene. E poi guarda l’oro: è quell’oro che sembra rossa­stro, come rame consumato.

Ninuccia (cercando di fargli piacere) È un ricordo?

De Pretore Magari! Brava: sembra proprio un ricordo, uno di quegli oggetti di famiglia che ti vengono dal nonno, da uno zio… (con amarezza) dal papà. Un papà che a sua volta l’ha ricevuto da papà suo, insomma uno di quegli oggetti che stanno in casa tua da centocinquant’anni, che quando lo porti al dito è come se mostrassi la fede di nascita, come se dicessi : « ecco chi sono! » E quando lo trovai, perché questo l’ho trovato, Ninu’, te lo giuro, l’ho trovato…

Ninuccia Sì, l’hai trovato, beh? C’è bisogno di giurare?

De Pretore Mi guardi cosi intontita, come se avessi detto una bugia!…

Ninuccia Allora?

De Pretore Tu non ci crederai, ma nel vedere quest’anello capii subito chi ero. (Confidenziale) Ninu’, io sono un gran signore! Non mi posso staccare da quest’anello, ho l’impressione di averlo sempre portato. Ho l’impressione sul serio che me lo ab­bia lasciato in eredità mio nonno, mio zio, mio padre… Tu dici : « che vuoi dire con questo di­scorso? » Voglio dire che la donna mia, quella che sarà la donna mia (fissa il suo sguardo avido sulla ragazza) – tu, eh!, mi piacerebbe se fossi tu – dev’essere piena di gioielli, con dei vestiti da gran signora, un guardaroba pieno, tante scarpe…

Ninuccia Ma a me non me ne importa niente di tutta questa roba…

De Pretore (con forza) Ma a me sì! La donna mia dev’essere invidiata. Devono spalancare gli occhi quando la porto sotto braccio. Perché sai che significa avere tanti vestiti e tante scarpe ? Significa ricchezza, e la ricchezza, sai cos’è? È libertà, è potenza.

Ninuccia (come temendo) Ma io ti voglio bene!

De Pretore (c. s.) Ma che ci mangiamo, « bene »?

Ninuccia Lavoriamo… Io lavoro…

De Pretore Già, mia moglie lavora! Ma la donna mia non deve spostare una sedia da qua a là. Che lavoro fai, tu?

Ninuccia (coraggiosamente) Pulisco le bottiglie.

De Pretore Le bottiglie?

Ninuccia (sfidandolo) E guadagno!

De Pretore Aspetta, fammi capire che significa pulire le bot­tiglie. Dove pulisci queste bottiglie?

Ninuccia Veramente lavo pure i piatti, in una trattoria, qui, due vicoli appresso. Siamo in due, facciamo a turno, questa settimana mi tocca di sera… Ma il guadagno mio è tutto sulle bottiglie… Quat­tro, cinquecento bottiglie, mi danno pure trecento lire!

De Pretore (ironico senza volerlo) Tutti i giorni?

Ninuccia (sorridendo) Magari! Una volta alla settimana, ci saranno tre o quattrocento bottiglie da pulire… Il vino si smer­cia, è una trattoria accorsata! Prima il padrone le faceva pulire pure all’altra, e allora io gua­dagnavo la metà, ma poi quando ha visto come le pulivo io… Il vino rosso forma come una camicia, all’interno della bottiglia… una camicia zozza, nera, se vedessi… che per levarla ci vorrebbe la carta vetrata! Sai, perché io ho un segreto!… Me l’ha insegnato mia nonna. Metto l’acqua in tutte le bottiglie, poi ci ficco dentro tanti pezzettini di giornale, ma tanta carta di giornale, dev’essere pi­giata bene dentro… e poi le lascio li mezza gior­nata. Quando le vuoto, con una semplice sciac­quata la bottiglia torna lucente come se fosse venuta dalla fabbrica… Le metto tutte lì per terra, come tanti soldati… Poi faccio entrare il sole, e vedo tutta una macchia verde, che sembra il mare. E pure i muri intorno diventano verdi, tutto verde…

De Pretore (ironico) Pure le tasche!

Ninuccia (uscendo quasi da un incanto) Come hai detto?

De Pretore Niente… E per pulire i piatti, quanto guadagni?

Ninuccia Cinquecento lire al giorno, e il pranzo, o alla sera o a mezzogiorno…

De Pretore Sai chi faceva il mestiere che fai tu? Beh, adesso te lo dico io: la donna che mi ha cresciuto. Si chiamava Maria…

Ninuccia È morta?

De Pretore Non lo so… Perché quando scappai dal paese… Tu conosci Melizzano?

Ninuccia No.

De Pretore Dunque, Melizzano sta a cinque chilometri da Napoli, prima di Aversa. Non è un paese ricco, anzi è poverissimo. Le sue risorse cominciano al­l’inizio dell’inverno, quando escono le mele. Tu vedi una processione di carretti carichi di mele rosse che mandano un profumo per tutta la cam­pagna : quelle di prima scelta vengono a Napoli, e da Napoli se ne vanno per il mondo, e quelle piccole, bacate, restano in paese, per la gioia dei porci, e per sfamare noi. Ma tante mele! Tu le vedi a ceste, a cumuli, a cataste, casa per casa, bottega per bottega, tutte mele, mele, mele, mele… e sai chi è il padrone di queste mele?

Ninuccia Chi è?

De Pretore Il « signore ».

Ninuccia Il « signore » ?

De Pretore Non so dirti come si chiami, perché tutta la po­vera gente che conoscevo là non l’hanno mai chiamato per nome. Quando parlavano di lui dicevano « il signore ». Il suo divertimento era la caccia. Possedeva la più importante collezione di fucili del mondo. Organizzava delle partite che duravano settimane e settimane.

Ninuccia E tu lo hai visto qualche volta?

De Pretore Non sai che cosa ho fatto per vederlo! Aspettavo ore intere, nascosto fra gli alberi, dietro a un muricciuolo, lungo la stradina stretta che portava all’ingresso del palazzo. Un portone enorme, che per arrivarci bisognava superare un ponticello dove mi dicono che una volta, sotto, ci passava l’acqua. Da lontano sembrava di ferro, aveva dei batocchi enormi che, quando si battevano, sve­gliavano anche i morti! E io aspettavo, aspet­tavo… Poi don Pietro apriva il portone, e…

Ninuccia E chi era don Pietro?

De Pretore Il guardiano. Un pezzo d’uomo, con dei grossi baffi grigi… Apriva il portone, e veniva fuori questa macchina enorme. Attraversava il ponte, e quando passava davanti a me, che potevo ve­derlo e guardarlo in faccia, già aveva sollevato la polvere, diventava tutta una nuvola che quando si sperdeva, la macchina già non c’era più. (Fa un gesto con le braccia allargate) Poteva ammaz­zare galline, capre, porci, non parlava nessuno… «Chi è stato? » «Il signore».

Ninuccia (impressionata) Mamma mia!

De Pretore (continuando) … Quando la sera tornava Mammella…

Ninuccia Mammella…?

De Pretore Quella che m’ha cresciuto… Maria, quella che t’ho detto che faceva il mestiere tuo; ma non lo faceva in un’osteria, lo faceva nel palazzo del « si­gnore », e non era soltanto lei, ma tante donne del paese, perché quando il « signore » dava dei pranzi, invitava mezzo mondo, si sentivano mu­sica e canti per tutta la notte. Mammella certe volte tornava all’alba, e mi raccontava tutto… Po­vera donna, sfioriva giorno per giorno, aveva le mani rosse, gonfie, certe volte spaccate, non ri­deva mai. Tutti quanti in paese dicevano che era stata molto bella, ma io l’ho vista sempre sfio­rita… e d’altra parte, quando tu porti sempre lo stesso vestito addosso, quando non ti cambi mai le scarpe… Me la ricordo con uno scialle di lana celeste, e un vestito che una volta, forse, era stato color caffè…

Ninuccia Ma era vecchia?

De Pretore Era diventata vecchia, per la miseria, per le pri­vazioni… E se no, perché me ne scappavo? Me lo dici? Non c’era un soldo spaccato in quella casa. Don Peppino, il marito, pure lui lavorava nel palazzo del « signore », come falegname, aggiu­stava le porte, lucidava i mobili. Quant’era bello! Io lo chiamavo san Giuseppe.

Ninuccia Ma tu eri di Melizzano?

De Pretore Mi ci portarono. Ninu’, io sono nato signore, ma signore davvero… Mammella mi diceva sempre che arrivai a Melizzano in automobile, portato di nascosto, come un oggetto prezioso, di contrabbando.

Ninuccia Ma questa Maria non era tua madre?

De Pretore (spazientendosi) Ninu’, ma tu sei scema, che hai capito fino adesso? Maria è quella che m’ha cresciuto, quella che mi diceva: « Tu hai il sangue nobile ! » Ecco perché io voglio bene a quest’anello. Ecco perché non posso permettere che mia moglie faccia la sguattera in un’osteria. Che aspetti? Vuoi diven­tare come Mammella?

Ninuccia Ma allora, con questo ragionamento, mi dici chiaro e tondo che non mi vuoi?

De Pretore Nient’affatto.

Ninuccia Come nient’affatto? Hai parlato mezz’ora per dirmi che sono una disgraziata, che sono una sguattera, che diventerò vecchia e brutta e con le mani spaccate. Io non t’ho chiesto chi sei, se hai il sangue nobile, se sei un oggetto prezioso… Io ti voglio bene, e te l’ho detto sinceramente, senza aspettare che me lo dicessi tu a me. Per i poveri c’è sempre un santo, c’è sempre una porta che si apre… Quando meno te l’aspetti, se vera­mente hai fede, e veramente vuoi bene, la prov­videnza ti aiuta.

De Pretore Ma la provvidenza non t’aiuta se non fai qualche cosa per cui la provvidenza ti possa venire in­contro. Tu mi vuoi bene? E io te ne voglio: aspettiamo, io qualche cosa sto facendo, per raggiungere una certa agiatezza. Mi spiego? È giusto ?

Ninuccia Io non voglio aspettare. Quando le cose vanno per le lunghe, passa la voglia…

De Pretore Questo è un altro fatto. Se proprio hai voglia, pos-siamo fare pure in un altro modo.

Ninuccia (ingenua) E come?

De Pretore Ninu’, il bene, quand’è veramente bene, sfida i secoli. E allora possiamo prendere quest’ac­cordo. Il fatto dell’agiatezza mettiamolo da parte e aspettiamo che venga. Nel frattempo, facciamoci passare la voglia… Spogliati.

Ninuccia (terrorizzata, come se tutto il suo amore fosse diventato paura) No, no… Che hai capito? Io ti voglio bene così, come si vuole bene all’uomo che deve diventare tuo marito, ma in piena regola… Come dici tu, facciamo peccato, la provvidenza non ci aiuta più.

De Pretore Ma scusa, quando noi c’impegniamo, io e te, a sposarci appena ci sono i mezzi? Per la gente? E non t’hanno vista salire qua? Quando scendi, la portiera non ti vede?

Ninuccia Che m’importa della gente? Della portiera? Io penso all’anima mia.

De Pretore E io alla mia, Ninu’. Facciamo così, vattene. (Si avvicina alla ragazza, tenero e persuasivo; le ac­carezza i capelli) Ma qua non ci venire più; come si dice? Se son rose fioriranno. Certo, potevano fiorire subito. Te l’immagini? Con il bene che ci vogliamo? E con la voglia che hai, tu di me, e io di te… Rimandiamo, Ninu’, rimandiamo. Fa­remo le cose in piena regola; quando mi sarò fatto una posizione, incomoderemo il prete, una bella funzione in chiesa, organo, eccetera ecce­tera…, e l’anima tua sarà salva.

La sospinge verso la porta d’ingresso, e delicatamente la spinge fuori; ma Ninuccia, appena fatto un passo fuori della porta, si gira verso di lui.

Ninuccia Non ti voglio più, nemmeno se t’inginocchi, nemmeno se vieni fino a casa mia strisciando con la lingua per terra.

De Pretore Non mi mettere sul punto che lo faccio.

Ninuccia E non mi piaci più. La Madonna mi deve far morire di colpo stanotte se metto più piede in questa casa.

Ninuccia esce, di scatto. De Pretore chiude la porta, resta un po’ soprapensiero, poi termina di vestirsi. Dopo appena qualche minuto sente del rumore alla porta, come se un gatto stesse graffiando dietro. Si gira, dà un’occhiata alla porta, pensa di essersi sbagliato, ma poiché il rumore si ripete, si decide a chiedere :

De Pretore Chi è?

Nessuno risponde. De Pretore va alla porta, l’apre lentamente, e appare Ninuccia, un po’ di spalle, come se si vergognasse. De Pretore non è sorpreso: apre completa­mente, e Ninuccia, in silenzio, entra e siede. Lui allora chiude la porta, questa volta con la chiave, poi si avvicina a lei, e le prende una mano.

Allora? Stanotte morirai di colpo? Io lo sapevo che tornavi. Ninu’, ti voglio bene veramente, e ti giuro che non facciamo niente di male. Quando te ne sei andata, mi sono sentito morire di dispia­cere. Perché io sono solo, Ninu’, non parlo con nessuno, parlo solo con me stesso e certe volte mi sembra di uscire pazzo. Poco fa ti ho detto certe cose che non avrei detto a nessuno, e m’ha fatto bene, e voglio ancora parlare con te, questo bene non lo voglio perdere. È vero, Ninuccia, che parleremo sempre, che ci diremo tutto ? È vero?

Ninuccia nonrisponde.

Ninu’, e parla!

Ninuccia(leva gli occhi verso di lui) E ci sposiamo ?

De Pretore E come no? Non t’ho detto che questo bene non lo voglio perdere? Ninu’, io poco fa ti ho parlato come si parla a una moglie, lo capisci?

Ninuccia E allora… vattene. (E indica con la mano verso la loggetta, dov’è il bagno).

De Pretore Perché?

Ninuccia Se non te ne vai, non mi spoglio! (È come imper­malita, parla in fretta per nascondere l’imbarazzo).

De Pretore Mi giro dall’altra parte! (Lo fa subito, e va a chiudere gli scuri, in modo da rifare buio).

Ninuccia comincia a spogliarsi gettando gli abiti, nervosamente, in terra, qua e là, scoprendo le povere cose di cui è abbigliata. Sottoveste pulita, sfilacciata, calze arro­tolate con l’elastico. Si mette a letto frettolosamente, si getta addosso un lenzuolo o una coperta e poi, dal letto, si toglie la sottoveste, in modo che nessuno possa vederla nuda. Poi, con un filo di voce, chiama De Pretore.

Ninuccia Vincenzo… (Scoppia a piangere).

De Pretore le si avvicina, si siede accanto a lei sul letto e comincia a parlarle.

De Pretore Ninuccia, perché fai cosi? Allora non mi vuoi bene?

Ninuccia (piangendo) Già! E allora che ci faccio in questo letto?

De Pretore Scusa, ho sbagliato, va bene; io adesso sto qua, vicino a te, e parliamo di tante cose; non t’ho detto che dobbiamo parlare e ci dobbiamo dire tutto?

Già da qualche istante si sente un certo tramestio per le scale, fuori la porta; sul vocio si distingue una voce stridula e quella della portiera, affannata, che dice, chiara­mente: – È quella! – Poi si sente bussare energicamente alla porta.

Brigadiere De Pretore Vincenzo, in nome della legge, aprite!

Ninuccia è annichilita dal terrore; tremando si stringe a De Pretore, e sussurra:

Ninuccia No, Vincenzo, no!

Al che lui risponde, sullo stesso tono, con la rabbia della bestia presa in gabbia:

De Pretore E che faccio? Quella è la polizia!

Improvvisamente si scioglie dall’abbraccio di Ninuccia, che si rifugia sotto le co­perte, si precipita al comò, prende un paio di baffi, una barba, e in fretta se li mette; infila la giacca, va alla porta, l’apre e con finta disinvoltura, dice :

De Pretore è uscito, lo cercavo anch’io. Buongiorno! Permesso, permesso.

E cerca di farsi strada tra la piccola folla, composta d’un brigadiere, una guardia, la portiera e una vecchietta dalla voce stridula; ma il brigadiere l’agguanta per il collo della giacca.

Brigadiere Dove vai? Fermati.

De Pretore è riportato nella stanza, che è sempre semibuia. Ninuccia è nel letto, con la testa coperta dal lenzuolo. La guardia va alla finestra, l’apre. Il brigadiere tira via baffi e barba a De Pretore. Interrogano la vecchia, mentre la portiera resta sulla porta.

È lui?

Vecchia (lo guarda e lo riconosce) Sì, è lui, è lui. (Gridando) Sulle scale della chiesa m’ha strappato l’orecchino, davanti alla casa di Dio!

De Pretore (voltando la faccia dall’altra parte) lo non la conosco, non l’ho vista mai!

Vecchia Neanche questo hai visto? (Mostra l’orecchio de­stro, medicato e fasciato) M’ha spaccato l’orecchio! Perquisite la camera!

La guardia fa la perquisizione; apre il comò, cerca, e il brigadiere dice, intanto:

Brigadiere Guarda nel letto chi c’è!

La portiera si fa avanti, tira via le coperte e scopre Ninuccia, che cerca disperatamente di coprirsi.

Portiera Faccia mia! Qua stai? Non ti vergogni? Brigadiere Vestiti e vieni con noi.

De Pretore (scattando) No. Lei che c’entra?

Brigadiere Perché, tu c’entri allora! Questa volta nemmeno la barba finta t’ha potuto salvare! Prega a Dio che non si trova l’orecchino, se no due anni non te li leva nessuno! Tu pensavi che cambiando quartiere la facevi franca, eh?

La guardia arriva portando della roba.

Guardia C’è questa roba… (Elenca) Una bilancetta… (Trova l’orecchino, lo mostra) È questo?

Brigadiere (uno sguardo a De Pretore) L’altro qual è?

 

La vecchia dà l’altro orecchino.

 

Sì, è questo. (Mette tutto in tasca) Cammina, De Preto’. (A Ninuccia, che non ha mai fiatato) E tu vestiti, fa’ presto. (Indicando la portiera).

Portiera (a Ninuccia che incomincia a piangere silenziosamente) Vestiti, andiamo… Puttanella!

Ninuccia (scoppia a piangere forte) … Non abbiamo fatto niente, non abbiamo fatto niente…

 

La portiera raccatta i vestiti di lei e glieli butta sul letto, mentre la ragazza continua apiagnucolare monotonamente.

 

Mutazione a vista.

 

 

Secondo quadro

 

Un angolo caraneristico della vecchia Napoli. A destra, una scala che s’arrampica fino a una piccola piazzetta, e poi riprende, di nuovo, piegando ancora a destra e finendo in quinta. Sulla scala c’è, come accade spesso a Napoli, un negozio di tabac­caio, con le cartoline illustrate esposte fuori, e la vetrina colma di tutta la sua merce. A sinistra, in primo piano, un tabernacolo con la immagine di san Giuseppe. Sullo sfondo case popolari, e a destra, lo scheletro d’un fabbricato squarciato dalle bombe, e rimasto così dagli anni della guerra.

È sera. La debole luce d’un lampione illumina la scena dando alle sagome delle case e delle scale un’aria triste, quasi sinistra. Un debole chiarore esce anche dalla tabac­cheria. Davanti a questa, seduta sui gradini, i Ninuccia, che ha accanto un pacco di

giornali illustrati. Di tanto in tanto si volta a guardare verso l’altoper vedere se dalle scale scende nessuno. Poi si rivolge a qualcuno che è nell’internodella tabac­cheria.

 

Ninuccia Don Ciro, che ore sono?

Don Ciro (dall’interno) È tardi, Ninu’, è meglio che te ne vai a casa. Tua madre sta in pensiero, l’hai detto tu stessa poco fa.

Ninuccia (scrolla le spalle) Io vi ho domandato che ore sono, e a questo mi dovete rispondere.

Don Ciro (apparendo sulla soglia della tabaccheria, leva dal taschino l’orologio e lo guarda) Dunque, dunque, questo va dieci minuti indie­tro… o meglio perde cinque minuti ogni ora. Verso le quattro e mezzo l’ho registrato con l’o­rologio dell’avvocato De Gregorio, un orologio che spacca il minuto; sono le dieci, sono passate cinque ore e mezzo, a cinque minuti all’ora sa­rebbero ventisette minuti e qualche cosa, se sono le dieci… Ninu’, saranno le nove e mezzo. Non ti conviene aspettare. A che ora t’ha dato l’appuntamento?

Ninuccia Alle otto e mezzo.

Don Ciro No, non devi dire bugie. Tu sei venuta qua alle quattro. Che venivi a fare quattro ore e mezzo prima? Secondo me l’appuntamento era per le quattro e mezzo. Benedetta figlia, ti perdi ap­presso a uno che il carcere ce l’ha come sala di trattenimenti.

Ninuccia Che c’entra, può capitare a chiunque!

Don Ciro Era ammonito e sorvegliato! E ti dico sincera­mente, mi piange il cuore a vederti perduta appresso a lui!

Ninuccia Voi lo conoscete poco. E lo giudicate solamente dall’apparenza. Ma io so tutto della sua vita, mi ha raccontato tutto. È un signore!

Don Ciro Ma mi stai dando i numeri, Ninu’! Un signore che entra e esce dal carcere. (Accompagna le pa­role con un gesto espressivo).

Ninuccia (imitando il gesto di Ciro) Entra e esce! È entrato una volta, e stasera esce!

Don Ciro Comunque non mi verrai a dire che è un signore perché si è sbafato due anni di carcere!

NinucciaÈ nato signore! Io non posso raccontarvi niente perché a lui dispiacerebbe se io mettessi in piazza i fatti suoi, ma signore lo è veramente! Come ve­ste! (In estasi) Voi non ci crederete, don Ciro, ma quando una ragazza vede un uomo vestito bene, con le scarpe sempre pulite, con la cravatta sempre nuova, il fazzoletto profumato, come io ho visto lui la prima volta che l’ho incontrato… filava dritto senza guardare in faccia nessuno, aveva un vestito grigio, di una stoffa che non so come si chiami, una cravatta marrone, a pallini bianchi, le scarpe mocassino, che si vedeva che erano fatte su misura. Non vi dico i pedalini quanto erano belli!

Don CiroNinu’, tu in un momento hai visto pure i pe­dalini! Allora si capisce perché stai qua dalle quattro!

Ninuccia(in un improvviso, sincero, scoppio di pianto) Gli voglio bene, don Ciro, gli voglio bene! Quello che m’avete detto voi, me l’hanno detto tutti: « Lascialo perdere! », « È un buon a niente! », «Appresso a lui ti rovini!» E io sto sempre zitta, e io non rispondo! Ma sapete che dico nella testa mia? Parlate, parlate quanto vi pare, ditemi che è un ladro, che è un farabutto, io non ci credo. Ha rubato una volta, due, tre, adesso non ruberà più. E lo farà per me. Se io avessi avuto il coraggio di parlargli prima, prima dell’orecchino, gli sarei stata vicina fin da allora, e in carcere non ci sarebbe andato. Quello che dovevamo fare quel giorno, lo dovevamo fare prima!

Don Ciro Perché, che dovevate fare quel giorno?

Ninuccia Quello che fanno tutte le ragazze quando vo­gliono veramente bene! E lui sarebbe stato più felice là dentro! E io l’avrei aspettato più tran­quilla… Non lo lascio, non posso lasciarlo!

Don Ciro E non piangere! A modo tuo, hai ragione pure tu! Intanto, è inutile che stai qua, io fra poco devo chiudere! Che aspetti? Prenditi i giornali, e vattene a casa!

 

Ninuccia prende il pacco dei giornali e, mogia mogia, si avvia, salendo le scale, e singhiozzando. Il tabaccaio le grida dietro:

 

T’ho regalato i giornali, e manco buona sera mi dici?

Ninuccia (si volta, ha il volto bagnato di lacrime) Buona sera, don Ciro, e grazie.

 

Don Ciro entra nella tabaccheria. Ninuccia si rigira e appena è sicura che don Ciro non la vede, scende qualche scalino, e va a sedersi in modo che dalla tabaccheria non la si vede.

 

Da sinistra, camminando svelto, appare De Pretore. Vede subito Ninuccia, rallenta il passo e si ferma; poi con un tono di voce pacato, la chiama.

 

De Pretore Ninu’!

Ninuccia (si gira, lo vede ed esclama semplicemente) Oh!

De Pretore (sempre dall’alto, fermo) Beh? E non me la fai la scenata? (Come preve­dendo ciò che lei avrebbe detto) « Finalmente! A quest’ora! Non ti aspettavo più! »

Ninuccia Ma io non ti dico niente. De Pretore E ringraziamo Iddio!

Scende lentamente le scale e si siede sullo stesso gradino sul quale è seduta Ninuccia, ma dal lato opposto. Breve silenzio: De Pretore è occupato a cercare di abbottonarsi la camicia, ma non ci riesce, perché gli manca un bottone; poi prova a farsi la cra­vatta, indi, esasperato, esplode:

Mannaggia il momento che sono venuto al mondo, mannaggia! Niente! Non si può credere a niente! Che ti ho detto l’altro giorno, quando mi sei venuta a portare la biancheria pulita l’ultima volta?

Ninuccia Che mi hai detto?

De Pretore (spazientendosi) « Che mi hai detto? » Ninu’, tu mi devi capire subito. Ti ho detto quello che avevano detto a me in direzione il giorno prima : « Dopodomani – …che sarebbe oggi… – alle due sei libero! » Ma dico io: voi siete autorità ? E allora la vostra pa­rola una deve essere! «Passa all’ufficio tale»… «Vai dal brigadiere Tizio»… «La roba tua chi ce l’ha? » E che, da me lo volete sapere? Quando sono entrato, voi ve la siete presa! Finalmente: ecco il pacchetto! Poi : il foglietto lo deve firmare Caputo. Chi è Caputo? È uno che fa le veci del direttore, perché il direttore sta in ferie. Aspetta Caputo, aspetta Caputo, m’hanno fatto uscire mezz’ora fa. E avessero detto « scusate, abbiate pazienza »! Sai che m’hanno detto perché fir­mavo con malagrazia ? « Giovanotto, ti vuoi fare un altro mesetto?»

Una piccola pausa. De Pretore si va calmando.

Ninuccia Hai mangiato?

De Pretore Vieni qua.

Ninuccia non aspettava altro. Prende il pacco dei giornali, si avvicina a De Pretore e gli siede accanto. Tutto a un tratto si abbracciano, senza parlare, e restano a lungo cosi. Poi si sciolgono, e si baciano.

 

Sei venuta alle quattro e mezzo?

Ninuccia Alle quattro.

De Pretore Sei stata in pensiero?

Ninuccia A un certo punto ho pensato che non venivi più.

De Pretore E se veramente non venivo più?

Ninuccia Già! Che vuol dire? Non uscivi oggi, uscivido­mani.

De Pretore Perché ? Non potevo morire ?

Ninuccia Non scherzare con queste cose.

De Pretore Ma potevo morire. E allora, che facevi tu?

Ninuccia Quello che facevo lo so io, non lo devo dire a te. Parliamo invece seriamente. Tutto questo tempo che tu sei stato là…

De Pretore (sorride, sinceramente, e le carezza la guancia) Quant’è bella! Io perciò le voglio bene; per delicatezza non hai voluto dire « carcere ». Hai detto « là »…

Ninuccia Non per delicatezza, per vergogna. Insomma tu non lo capisci che è una vergogna andare in car­cere? Specialmente quando ci si va per furto? Ecco, l’ho detta la parola, «furto»… Non ho detto « per quella cosa là »… Quando ci si va per furto la gente non te lo perdona più, e ci vanno di mezzo tutti, madre, padre, sorelle, parenti…

De Pretore Ma io non ho nessuno!… Ninuccia E io, chi sono? Ah, non sono nessuno!

De Pretore La donna! La donna! Ma proprio adesso dob­biamo parlare di questo fatto? Non potevi aspettare domani?

Ninuccia No, non potevo aspettare. (Diventa sinceramente addolorata) Stammi a sentire. Tutto il tempo che sei stato… là…

De Pretore (le prende la mano) Dici «là» per vergogna?

Ninuccia(gli stringe la mano) … Per delicatezza… Ho pensato, ho pensato, ho pensato… E ho capito perché le cose ti vanno male, e perché non riesci a trovare una strada.

De PretoreNinu’, se hai capito questo, sei una padreterna! Io ti giuro che ho sempre pensato a questa cosa, ma non sono mai riuscito a capire niente. (Iro­nico, senza volerlo) Come hai fatto?

Ninuccia(si alza di scatto, e con voce decisa, afferma) Se non la finisci di scherzare, ti lascio e me ne vado! Chi credi di essere tu? Io sono una povera ragazza che lava le bottiglie… Eccoli i giornali, me li ha dati per senza niente il tabaccaio. Don Ciro! Don Ciro!

Don Ciro (dalla tabaccheria) Che c’è?

Ninuccia Me li avete regalati voi i giornali?

Don Ciro Sì.

Ninuccia Vi ho detto che mi servivano per ritagliare le figure, no? Non è vero! Lavo le bottiglie in una cantina! E pure i piatti lavo! Perciò ho le mani che fanno schifo! E così mi guadagno la vita! E voi che m’avete detto parlando di lui?

Don Ciro (appare sulla porta) Io non so niente.

Ninuccia Diteglielo in faccia, quello che dice la gente.

De Pretore (arrogante) Io a voi non vi conosco. Che avete da dire sul mio conto ?

Don Ciro (dopo averlo squadrato) Giovanotto, io tengo una faccia e una camicia. Quello che tengo qua (indica il cuore) lo tengo qua (indicando la bocca) e perciò la notte, quando metto la testa sul cuscino, dormo. Ho detto alla ragazza quello che qualunque padre di famiglia ha il dovere di dire. Questa povera figlia è stata qua cinque ore e mezzo, ad aspettare il gran si­gnore che usciva dal carcere! E ricordatevi bene che quando uno esce dal carcere non ha nessun diritto di mettersi sul cavallo d’Orlando e di dire: « Che avete da dire sul mio conto? » E sai che ti dico? Che se avessi un figlio come te, lo farei campare tre giorni. E adesso, se avete voi qualche cosa da dire a me, me lo scrivete per lettera, per­ché io, con i mariuoli, non ci parlo. (Fa per rien­trare nella bottega).

De Pretore Tu hai ragione che sei vecchio…

Don Ciro (voltandosi)

Non fa niente, i francobolli costano lo stesso, per i giovani e per i vecchi. Scrivetemi per espresso. (Entra nella bottega).

De Pretore Ma perché l’hai chiamato? Stavamo parlando con tanta calma…

NinucciaStavamo parlando uno a levante e una a ponente. Io ti parlavo sul serio e tu mi prendevi in giro. Io non sono una padreterna, sono una che ti vuole bene… Ma che può fare anche a meno di te, perché un altro con il vestito bello, con la cra­vatta a pallini e col fazzoletto profumato, lo trovo! (E scoppia a piangere).

 

Vincenzo si commuove, si avvicina e l’accarezza.

 

De Pretore Ma tu che vuoi da me?

Ninuccia (calmandosi) Non voglio niente. Ma non devi scherzare.

De Pretore Non scherzerò più. Allora?

Ninuccia Adesso non mi va di parlare.

De Pretore Perché?

Ninuccia Il perché non te lo so dire. Ma prima potevo parlare, adesso no.

De Pretore Perché prima mi volevi bene e adesso no?

 

Ninuccia non risponde.

 

Non mi vuoi bene più?

Ninuccia No. De Pretore E se dovessi morire, che fai?

 

Ninuccia sorride, intenerita.

 

Ninuccia Perché tu non credi a niente. Dimmi una cosa: la notte, quando ti metti a letto per dormire, te la fai la croce?

De Pretore (sincero) Lo sai che non me ne ricordo? Aspetta… certe volte si, ma certe volte sono stanco, il sonno è più forte di me. In carcere me la sono fatta sempre. Ma perché mi chiedi questo?

Ninuccia Perché io, se non mi faccio la croce, e non dico : « Santa Rita mia, proteggetemi voi », non dormo.

De Pretore (scettico) E santa Rita ti protegge?

Ninuccia E il lavoro delle bottiglie, come lo trovavo?

De Pretore (involontariamente ironico) Ah!, è stata santa Rita? (Poi, prevedendo la rea­zione di Ninuccia) No, no, non sto scherzando. Dimmi il fatto di santa Rita.

Ninuccia A me santa Rita mi protegge. Quando le cose non vanno bene, quando vedo che in casa manca il necessario, io m’inginocchio e prego. Ho pure una figurina di santa Rita, ma m’inginocchio veramente, quando sono sola, e ci parlo. E mia madre? Non la protegge la Madonna del Carmine? E papà? Non lo protegge sant’Antonio? Sant’Antonio fa una grazia al giorno. E a te, chi ti protegge?

De Pretore Io non ci ho mai pensato. Ma questa protezione ha dato dei frutti? Voglio dire, va bene, tu sei il protettore mio, ma io che devo fare? Che ti devo dare? Non credo che un santo protegga un tizio qualunque senza pretendere qualche cosa.

Ninuccia Una candela ogni tanto, un lumino, una lampada a olio. Olio vogliono i santi.

De Pretore E in cambio che ti danno?

Ninuccia Mammà attraversava un momento veramente brutto, perché papà aveva perduto la testa per una donna del vicolo, una che comprava e ven­deva, che dava i soldi con l’interesse, e per questa donna abbiamo sofferto la fame. Mammà disse alla Madonna del Carmine: « Madonna mia, trova tu una strada! » Dopo poco tempo, quella donna non si vide più. Come finì, non si è saputo. Chi dice che partì per l’America, chi per l’Au­stralia… il fatto vero è che papà non ebbe più occasione di vederla, e si mise l’anima in pace. E papà? Quando disse a sant’Antonio « O mi fai trovare un posto o ti tolgo le candele, ti do tre giorni di tempo ». Dopo tre giorni, non lo vennero a cercare a casa, per dargli il posto di guardiano in una fabbrica di dolci, e sta ancora là? E quante di queste cose ti potrei raccontare; se non trovi un santo che ti protegge, non ti riesce mai niente nella vita.

 

De Pretore rimane assorto: le parole di Ninuccia lo hanno scosso. Dopo una piccola pausa, dà uno sguardo al tabernacolo di san Giuseppe, e chiede a Ninuccia:

 

De PretoreQuello, che santo è?

NinucciaÈ san Giuseppe, non vedi il mantello giallo?

De PretoreChi vede niente, è tutto sporco di polvere!

NinucciaÈ sporco, ma si vede che il mantello è giallo.

De PretorePerché, i santi si riconoscono dai vestiti?

Ninuccia Certo. Sant’Anna, per esempio, ha il mantello verde. L’Immacolata veste di celeste, l’Addolo­rata di nero con la frangia d’oro…

De Pretore (pratico) Insomma, a secondo l’importanza?

Ninuccia Questo io non lo so, per me i santi sono tutti uguali.

De Pretore Eh, no! Una graduatoria fra loro ci deve essere! Ninuccia E a te che te ne importa?

De Pretore Permetti che, se mi debbo scegliere un protettore, me lo scelgo importante! (Indica san Giuseppe) Lui è simpatico.

Ninuccia È il padre di Gesù.

De Pretore Sì, questo me lo ricordo, faceva il falegname. Che dici, mi faccio proteggere da lui?

Ninuccia Lui o un altro! Uno ne devi scegliere.

De Pretore Lui mi sembra importante. È il marito della Madonna.

Ninuccia Sì. (Precisando) Ed è imparentato a sant’Anna, la quale è nonna di Gesù. E un grado di paren­tela ce l’ha pure con san Gioacchino, che è lo zio di Gesù.

De Pretore E dove lo trovo un protettore più influente di lui? Se mi faccio proteggere da lui ho quasi tutto il Paradiso dalla parte mia. (Alludendo alla for­mula che dovrà usare nei confronti di san Giu­seppe) Come devo dire?

Ninuccia Devi dire le cose spontanee, come ti vengono. (Proponendo una formula) « San Giuseppe mio, proteggimi tu! »

De Pretore Non devo dire « se tu m’aiuti per questa tale e tale strada… io… così, così, così ».

Ninuccia Tu ti devi affidare a lui. Quello che dici non ha importanza.

De Pretore Adesso ci parlo. (Senza spostarsi da dove sta, volge lo sguardo verso il tabernacolo, poi ci ri­pensa, sorride, e si volta di nuovo a Ninuccia) Tu stasera mi fai diventare ridicolo.

NinucciaSe ti vergogni è inutile : o ci credi, o non ci credi. Io poi non ti voglio forzare.

De Pretore No, no, no. Ci credo, ci credo. (Rivolto al tabernacolo) « San Giuseppe mio… »

Ninuccia E tu così parli con san Giuseppe?

De Pretore E come ci devo parlare?

Ninuccia Ma tu ti devi gettare ai piedi del santo. Come fanno tutti, come faccio io! San Giuseppe non è un parente tuo o un amico qualunque! Alzati, scendi, che ci vuole?

De Pretore (alzandosi) Ma proprio inginocchiato?

Ninuccia E io, come faccio?

 

De Pretore, di mala voglia, si alza, scende lentamente le scale e si avvicina al taber­nacolo. Dopo un po’ si inginocchia, poi guarda Ninuccia, avvertendo un certo disagio per la presenza di lei; poi si decide di nuovo, e sollevando gli occhi verso il santo, riesce a stento a pronunciare qualche parola.

 

De Pretore Io… tu certamente… volevo dirti… (Si volta di scatto, infastidito, a Ninuccia) Se tu stai qua, io non posso parlare! Tu, quando parli con santa Rita, lo fai in presenza della gente? Lasciami solo con san Giuseppe: due minuti e ci vediamo.

Ninuccia Entro qui dal tabaccaio.

De Pretore No, mi dai soggezione lo stesso. Vattene al vi­colo appresso; quando ho finito ti chiamo e ce ne andiamo. (Indica a destra).

 

Ninuccia prende il pacco dei giornali e s’avvia.

 

Ninuccia Sbrigati, è già tardi. (Esce).

 

De Pretore è evidentemente preoccupato. Gira intorno al tabernacolo, squadrandolo dalla testa ai piedi. Si assicura di essere solo, guarda verso la tabaccheria, e nelle altre direzioni della strada, poi comincia a strizzare l’occhio al santo, come per dire « finalmente, siamo rimasti soli! Da uomo a uomo ci possiamo intendere meglio! »

 

De Pretore Don Peppi’, fra me e voi è un’altra cosa. Come si fa a parlare con una donna presente? E poi Ninuccia… Voi sapete tutto, la conoscete meglio di me. (Sorride, come per diventare sempre più in­timo di san Giuseppe) … C’è proprio bisogno d’inginocchiarsi?… Avete sentito come ha detto? « Ti devi gettare ai piedi » ; queste sono cose che le fanno le donne. Ci sono andato in chiesa, qual­che volta… E quante ne ho viste! Certe si strap­pavano i capelli… Sono scene da teatro 1 Un santo serio non può farsi imbrogliare da questi mez-zucci fritti e rifritti! E poi quello che vi devo dire, lei non lo doveva sentire. Voi mi potete capire e mi capirete, ma lei no. Anzi, e questo è neces­sario che lo diciamo subito, io voglio essere molto chiaro. Se ci mettiamo d’accordo – come sono sicuro, perché io sono in buona fede – di tutto quello che diciamo adesso, Ninuccia non deve sa­pere niente! E mi spiego… Non facciamo che at­traverso santa Rita… beh! Ci siamo capiti! La protezione che io vi chiedo consiste in questo fatto… Adesso non vi offendete, io non voglio stabilire « se tu mi dai questo, io ti do questo e quest’altro » ; per carità, posso fare dei patti con voi? Voglio anch’io, semplicemente, darvi un segno della mia riconoscenza : voi mi proteggerete nel senso che vi dirò io, e io vi rimetto a nuovo interamente! E sarebbe necessario, non potete mica vivere in queste condizioni. Ma come, con tanta gente che abita qui intorno, nessuno ha mai pensato di risollevarvi? Ve le porta De Pretore le candele, san Giuse’, i fiori ve li porta De Pre­tore; in poco tempo, e questo dipende sempre da voi, io quest’angolo lo faccio diventare un san-tuario. Voi mi direte: « Ma come farai? » E que-sto è il punto. La protezione…

Ninuccia(dal di dentro) Vincenzi’, hai fatto?

De Pretore (in fretta) Un momento, sto parlando. Insomma, io non vo­glio rubare più senza sapere a chi rubo. Qui sulla terra, san Giuseppe mio, e questo tu lo devi sapere, c’è tanta gente che il bene se lo butta per la faccia, che non guarda se spende dieci o mille, che se spende mille, nel momento stesso che le ha spese, non ci pensa più. Allora, mi volete dire, se io tolgo cinquecento a quello che spende mille, quale può essere il male che gli faccio? Io ho rubato, è vero, ma ho scontato pure due anni di carcere. Ma come ho rubato, io? Come ho rubato? Così, senza un orientamento, alla «come succede », ma se voi mi fate incontrare sulla mia strada persone come quelle che vi ho detto prima, io posso prendere da loro quello che mi serve senza avere nessuno scrupolo di coscienza. Ecco, questo intendevo dire, e questo vorrei ottenere da voi: mi metto nelle vostre mani. Non vi dovete impegnare a lungo, quando sarò in condizioni favorevoli, nel senso che non avrò più bisogno di nessuno, come posso dire?, ecco, san Giuse’, quando potrò dare a questa ragazza un minimo di tranquillità – perché io a Ninuccia, ve lo giuro, le voglio bene, mi piacerebbe di vederla vestita come una gran signora… Dice: «Perché non lavori? » E che guadagna Ninuccia? Tre­cento lire per lavare le bottiglie, e il mangiare, quando sì e quando no. Uno di questi lavori dovrei trovare io! A scuola non ci sono stato, non mi ci hanno mandato, non scrivo perché mi vergogno, quando scrivo faccio le zampe di gallina, e sono un signore – e tu lo sai meglio di qualunque altro – sono nato signore! Ho diritto, san Giuse’… (Si inginocchia senza nep­pure accorgetene, e si trova prostrato ai piedi di san Giuseppe) Me la devi fare questa grazia, que­sta protezione me la devi dare!

Ninuccia Vincenzi’!…

De Pretore (ricomponendosi) Due parole ancora! (Di nuovo rivolto al santo) Dunque?… (Resta a lungo interrogando il santo col gesto) Ecco, chiedi la protezione, e come fai a sapere se il santo te l’ha accordata o no? Ci dobbiamo aiutare è vero, eh già!, facciamo così: io aspetto, se il primo che passa me lo hai man­dato tu, io me ne accorgo subito: o vado in galera un’altra volta, o ti accendo una candela.

 

Dalla tabaccheria don Ciro esce tenendo con sé il bastone che serve per tirar giri la saracinesca, ma si ferma ad osservare Vincenzo.

 

Don Ciro (sorridendo) Facciamo ammenda!

 

De Pretore si scuote, si alza di scatto.

 

De Pretore Perché? Se faccio ammenda, dobbiamo dare conto a qualcheduno?

Don Ciro Avete ragione, fate i fatti vostri! (Si dà da fare per chiudere il negozio).

 

Da sinistra entra una coppia. È evidente che si tratta di due stranieri, turisti in giro per gustare il paesaggio dei vicoli durante la notte. Le prime battute si sentiranno ancora fuori scena. Quando appaiono, De Pretore sembra come folgorato e non stacca loro gli occhi di dosso. L’uomo indossa un impermeabile, la donna è in golf e panta­loni neri: ha la borsetta aperta dalla quale, come per incanto, spunta un portafogli.

 

Signora I thought you knew the road! Every day it’s the same story.

Signore Oh! Don’t get excited! I have a guide book with me.

Signora Well, let’s go on, then.

Scendono le scale; la donna scorge Vincenzo, e si avvicina a luisorridendo.

 

Oh! There’s a man; let me ask him where this Street is. (A Vincenzo) Hi!… Do you speak English?

Segno negativo di Vincenzo.

 

You don’t!… Can you please tell me where via Florio is?…

Vincenzo fa segno verso destra; intanto con destrezza, le sfila il portafogli dalla borsetta.

 

To the right of that road? I see! Thank you very much! You are so kind!

Signore (dopo aver gironzolato un po’ intorno alla statua di san Giuseppe) Why don’t you ask him if we can buy this statue.

Signora (come sgridandolo) Oh!… You and your « souvenirs ». Let’s go; it’s late and I am hungry. (Volgendosi a Vincenzo con civetteria) Good-bye, now… Thank you again. (All’uomo) Next time don’t tell me that you know this city… We’ve wasted all night on account of you…

Signore Take it easy!… It’s not the end of the world…

Signora Well I am tired…1

Escono, salendo le scale, da destra. La donna guarda ancora Vincenzo che li segue con attenzione, salutando, di tanto in tanto, in risposta ai saluti di lei.

 

Ninuccia Vincenzi’?

De Pretore (ambiguo) È fatta. Aspetta. (Va dal tabaccaio).

Don Ciro (dall’interno della tabaccheria) Io sto chiudendo.

De Pretore (pure dall’interno) Per favore…

Ninuccia (dopo una piccola pausa) Vincenzi’, è tardi. Devi mangiare!

De Pretore (uscendo con una candela in mano) Andiamo subito.

 

Va al tabernacolo, accende la candela, fa scolare un po’ di cera, poi mette bene la candela, si allontana, e dopo un’ultima significativa occhiata al santo, si avvicina a Ninuccia e la sospinge dolcemente.

 

Andiamo.

 

Cominciano a salire le scale, lentamente. All’ultimo gradino, De Pretore si volta an­cora: Don Ciro è fuori e sta abbassando la saracinesca. La luce della tabaccheria è spenta, e risalta maggiormente la fioca luce della candela che vibra nell’aria frizzante della sera.

 

Sipario.

Parte seconda

Terzo quadro

La stessa scena del quadro precedente. È giorno pieno. Il tabernacolo di san Giuseppe è rimesso a nuovo. Il santo è infiorato e tutt’intorno ci sono molte candeline di diversa lunghezza. Movimento di venditori e di gente nella piazzetta. Seduta ai piedi del santo una vecchietta che vende i fiori. Accanto ha un cesto e un secchio d’acqua. Più in là una venditrice di uova fresche, un tipo di giovane paesana. Sulla scala un pizzaiuolo, col suo trespolo e con il caratteristico recipiente di latta per tenere in caldo le pizze. Un bibitaio con l’acqua sulfurea, i limoni, il cocco, ecc. Passaggio di persone, voci dei rivenditori che si incrociano, una canzone che arriva dal fondo: insomma tutta la viva, pittoresca, umana, vita del vicolo al mattino.

Don Ciro, fuori della tabaccheria, sta parlando con due donnette.

Don Ciro A spese sue. È stato lui che lo ha, diciamo così, valorizzato. (Indica il santo) Vi ricordate com’era ridotto? A momenti non si riconosceva più, tanta la patina di polvere che c’era sopra. Chi lo scam­biava per sant’Antonio, chi per san Rocco, e quando io dicevo: « È san Giuseppe ! » non ci credeva nessuno.

1a donnetta Ma scusate, questo Vincenzo De Pretore non era stato carcerato per furto?

Don Ciro E la sera stessa che è uscito dal carcere, l’ho visto io, con questi occhi, inginocchiato davanti al santo, con la faccia per terra. Infatti mi ricordo che dissi: «Facciamo ammenda!» Sarà stato il pentimento, le parole che dissi io – perché lo trattai male, a momenti venivamo alle mani — fatto sta che quella sera stessa entrò nella tabac­cheria, comprò una candela e la mise davanti al santo con le sue mani. Secondo me, la cosa è an­data così. Il santo era stufo di sentirsi trascurato e di vedersi in quelle condizioni : non ne poteva più, e che ti fa? Attira l’attenzione di questo De Pretore, coglie a volo quell’attimo di pentimento comune a tutti quelli usciti freschi freschi dal carcere, te lo mette in ginocchio e nello stesso tempo salva l’anima al penitente e si assicura la rinnovazione.

1a donnetta Perché voi dite che De Pretore s’è salvata l’anima?

Don Ciro E che può fare di più povero figlio? Io sto qua dalla mattina alla sera, e posso essere buon testi­mone. Tre, quattro, cinque e pure sei volte al giorno viene di corsa, compra le candele e le porta al santo. (Chiamando la fioraia) Donna Nanni’, quante volte al giorno viene De Pretore?

Donna Nannina E chi le conta più, sta sempre qua. Stamattina è venuto all’alba e m’ha detto : « Ma come don Ciro non ha aperto ancora? » Io vengo presto, lo sapete, compro i fiori al mercato, e poi faccio le pulizie qua, cambio l’acqua, butto via i fiori secchi. E lui m’ha detto : « Va bene, invece della candela ci mettiamo sei garofani, san Giuseppe lo capirà che don Ciro è dormiglione ».

Dalla scala scende una signora ben vestita e si dirige verso donna Nannina.

La signora Donna Nannina, datemi cinquanta lire di fiori.

Nannina aggiusta un mazzolino di fiori mischiati, la donna paga, li colloca davanti a san Giuseppe in un barattolino, si inginocchia e prega. Poi dopo un po’ si alza e se ne va.

Don Ciro (indicando la donna) La vedete? È stato come un risveglio generale. Chi porta fiori, chi porta candele… La voce corre, pare che ci siano stati diversi miracolati.

1a donnetta Quanto costano le candele ?

Don Ciro (indicandole) Ci sono di diverse grandezze. Quale volete?

1a donnetta (indicando una candela piccola) Quella là.

Don Ciro Cinque lire. (La stacca dal mazzo e gliela dà) Questa non è però « per grazia ricevuta ».

1a donnetta Eh, no. Se mi fa la grazia che dico io, don Ciro (indicando la candela più grossa che c’è in mo­stra), quella gli compro! (Paga, va al tabernacolo, si inginocchia, ecc).

2a donnetta A me mi date quella. (Indica una candela un po’ più grossa) Ho la bambina poco bene…

 

Don Ciro stacca l’altra candela, gliela dà, la donna paga e va anche lei al tabernacolo; poi, insieme si alzano e vanno via, dopo che la seconda s’è fermata un momento a comprare qualche cosa dalla ragazza che vende le uova:

Mi raccomando, datemele fresche, sono per la bambina…

Dall’alto appare De Pretore; è allegro, ben vestito. Gli affari gli vanno bene, scende le scale fischiettando.

 

De Pretore (a don Ciro) Don Ciro, buongiorno.

Don Ciro Salute..

De Pretore Che avete fatto stamattina?

Don Ciro Che ho fatto?

De Pretore Ve la spassate la notte. Andate a letto tardi, e la mattina non aprite bottega.

Don Ciro A che ora sei venuto?

De Pretore Non mi ricordo.

Don Ciro All’alba.

De Pretore Ve l’ha detto Nannina? Nannina, gliel’hai detto tu?

Donna Nannina Che cosa?

De Pretore Che sono venuto all’alba.

Donna Nannina Perché, ho fatto male?

De Pretore No, è una cosa cosi innocente… Mi meraviglia il fatto che sono diventato così importante che si parla di me pure quando non ci sono…

Venditrice Uova fresche!

De Pretore Se sono veramente fresche… (Prende due uova, una dopo l’altra, le rompe e le beve).

Pizzaiuolo (gridando) Pizza calda, olio e pomodoro!

De Pretore (alla venditrice di uova) Sono subito a voi. Mangio mezza pizza e torno.

Venditrice (dandogli dei soldi) Questo è il resto delle cinquecento lire.

De Pretore Che vi ho dato io?

Venditrice Me le avete date adesso! (Fa vedere le cinquecento lire che ha ancora in mano).

 

Intanto il signore che aveva dato veramente quei soldi si è allontanato dimenticandosi di prendere il resto.

 

E queste sono le quattrocentotrenta di resto.

De PretoreGrazie a voi… (poi dà un’occhiata a san Giu­seppe) … e pure a te! (Intasca il denaro; indi, alludendo alle pizze) Che profumo! Don Ciro, state servito?

Don Ciro (con desiderio) Quasi quasi.

De Pretore Facciamo metà per uno. Ormai siamo diventati amici, possiamo pure dividere una pizza.

Pizzaiuolo (si avvicina ai due, divide una pizza a metà e i due si servono) Mangiate, consolatevi!

Don Ciro Pago io… (Facendo il gesto di prendere la moneta).

De Pretore Lasciate stare, è già pagata… (Allude alle quat­trocentotrenta lire di resto avute dalla venditrice di uova).

Il pizzaiuolo a quell’affermazione si confonde, dichiara convinto: « Tutto pagato! » e se ne va.

De Pretore (indicando il pizzaiuolo che si allontana) Che vi avevo detto?

Don Ciro Ma quando hai pagato? Non ho visto.

De Pretore Prima, ho pagato prima. (Addenta la pizza con avidità).

Don Ciro È veramente calda… Squisita!

De Pretore Con le due uova e questa mezza pizza… Sto bene fino a stasera.

Don Ciro (tra un morso e l’altro) E Ninuccia?

De Pretore Andiamo avanti.

Don Ciro Bene o male?

De Pretore Male con Ninuccia? E come sarebbe possibile? Don Ciro, quella è una creatura che mi ha cambiato da così a così. (Accompagna le parole con gesti significativi della mano destra).

Don Ciro È d’animo buono.

De Pretore È riuscita a mettermi sulla buona strada. Voi non potete credere come sono contento di averla in­contrata. Se oggi posso contare su di una buona amicizia, lo devo esclusivamente a lei!

Don Ciro Ti ha presentato una persona influente?

De Pretore (riservato) Non posso parlare, cioè… non so se posso par­lare o no. Nell’incertezza… è meglio che sto zitto… Ho simpatia per voi. Voi mi faceste una paternale che sul momento mi fece andare il sangue alla testa, ma che poi… uno ci ripensa, no? Mi fece capire tante cose… Vi voglio bene…

Don Ciro Ma il mestiere che facevi, non lo fai più ?

De Pretore Neanche per sogno. Quello che facevo prima mi ripugnerebbe. Don Ciro, io rubavo così… alla cieca. Vi rendete conto che toglievo i soldi a chi forse ne aveva più bisogno di me? Oggi, in­vece, dormo tranquillo, la persona influente che vi dicevo… (Dà uno sguardo a san Giuseppe) Ci pensa lui…

Don Ciro In che senso?

De Pretore Mi protegge, mi aiuta. Sceglie lui stesso le per­sone che possono aiutarmi, senza danneggiare i loro interessi. Voi, per esempio, credete ferma­mente che a questo mondo tutti quanti contano i soldi? Ci sta pure chi non li conta. Ci sta chi pi­glia un pacco di biglietti da mille e se li mette in tasca senza sapere nemmeno la cifra che ha indosso, e che quando poi li conta si convince che quella è la quantità di soldi che aveva, anche se ne manca una parte; questo succede con gli spic­cioli, coi biglietti da mille e coi milioni. Ecco che la persona influente che vi dicevo, s’impone e dice: « Una parte di quei soldi la devi dare a De Pretore ».

Don Ciro Ma te la danno spontaneamente?

De Pretore Spontaneamente, no. Chi è quello che dice: que­sti soldi mi crescono, toh… prendili tu! Se non c’è la persona influente che lo costringe, niente da fare, quello si fa scannare, ma un soldo non lo sputa!

Don Ciro E questa persona è tanto influente…

De Pretore È una potenza!

Don Ciro E le cose ti vanno bene?

De Pretore Spiccioli e biglietti da mille. Ho preso in fitto una casetta, io e Ninuccia ci dobbiamo sposare… Non vediamo l’ora. (Parla con Ciro ma rivolge il discorso a san Giuseppe) Ho fissato pure i mobili… a rate. Ho dato un anticipo… (Chiama il bibitaio) A te… due gazzose…

IlBibitaioPronto. (Si avvicina ai due e prepara le gazzose).

Don CiroA me poco bicarbonato.

De PretoreA me un cucchiaino pieno… la pizza è pesante.

BibitaioEccovi serviti. (Porge le bibite ai due).

De PretoreSalute. (Beve).

Don CiroSalute! (Beve a sua volta).

De Pretore (al bibitaio) Quant’è?

BibitaioDieci lire.

Don CiroPago io. (Rovista nel portafogli).

De PretoreLasciate stare… pago io.

Don CiroHo già fatto.

 

Nel porgere le dieci lire al bibitaio, lascia cadere un biglietto da mille in terra, ai piedi di De Pretore, il quale, senza che Ciro se ne accorga, lo raccoglie furtivo.

 

Bibitaio (intascando la moneta) Buona giornata. (E se ne va).

De Pretore (stringendo nella mano destra il biglietto da mille) Adesso, la persona influente… mi dovrebbe dare chiarimenti…

Don Ciro Che chiarimenti? De Pretore Un fatto mio. Quanto avete nel portafogli?

Don Ciro (sospettoso) Non facciamo scherzi… De Preto’.

De Pretore (guardando significativamente san Giuseppe) Non vorrei sbagliare…

Don Ciro (allarmato) Che cosa?

De Pretore Mi piacerebbe sapere quanto avete nel porta­fogli.

Don Ciro Caro mio… i soldi li conto, io. Ho cambiato diecimila lire stamattina, ho lasciato i soldi a casa… (Conta i biglietti nel portafogli) Devo avere… uno, due, tre, quattro… e tre sette… Sì, tanto devo avere: settemila lire.

De Pretore (ambiguo) Otto, no?

Don Ciro (convinto) No: sette!

De Pretore Ho capito. (Intasca il biglietto da mille) E vi dicevo… piano piano sto mettendo su casa.

Don Ciro Mi fa piacere per Ninuccia.

De Pretore Fra poco viene qua. Si presenterà con un vestito nuovo. Giorni fa feci un affaruccio abbastanza buono, e allora dissi : « Questi sono i soldi, fatti fare un vestito di tuo gusto ». « E le scarpe? » disse lei. « Comprati pure le scarpe, dissi io, e pure la borsa ».

Don Ciro È una bella creatura.

De Pretore E vestita bene diventa più bella. Credete a me, don Ciro, certe volte una scarpa, un paio di calze intonate, un vestito di stoffa di prima qua­lità… tutte queste cose valgono più di una bel­lezza perfetta. E che farei per lei! Vorrei vestirla come una regina… Ma per il momento non posso. Per il momento: spiccioli e biglietti da mille! Appena si presenteranno i milioni… E non tar­deranno… Sono sulla buona strada. La persona influente, fra non molto, lo sento, mi metterà a contatto con un milionario…

Don Ciro E chi è questo milionario?

De Pretore È uno che lavora in banca; l’ho già visto altre volte; ma non devo avere fretta. La persona influente mi consiglia di aspettare. Quando sarà il momento il milionario stesso mi cercherà.

Don Ciro Per darti i milioni?

De Pretore (precisando) Per farmi la parte che mi spetta.

Don Ciro (incredulo e quasi divertito) E dove abita questo milionario?

De Pretore Voi forse lo avete già visto qualche volta, passa spesso da questa strada.

Don Ciro E ti darà imilioni?

De Pretore Se la persona influente vuole, sì. Naturalmente devo essere pronto, devo intuire il momento favorevole.

Don Ciro Sinceramente parlando: non ti capisco.

 

Un uomo scamiciato passa davanti ai due per entrare nella tabaccheria.

 

Scamiciato Don Ciro, mezzo chilo di sale grosso e trenazionali.

Don Ciro Pronti.

 

Entra nella bottega e l’uomo lo segue.

 

Vigile (appare dalla scala. Dopo quattro o cinque scalini si rivolge ironicamente al pizzaiuolo) E bravo! Come se non avessi parlato! Come se non t’avessi avvertito che per vendere le pizze fuori sede ci vuole il permesso.

 

Il bibitaio se la sta squagliando.

Tu è inutile che te la squagli… con tefacciamo i conti un’altra volta.

Ma il bibitaio è già sparito.

Pizzaiuolo Io sto qua da cinque minuti…

Vigile O cinque minuti o dodici ore è la stessa cosa. La multa non te la toglie nessuno. (Rivolgendosi alla venditrice di uova) E la pagate pure voi.

Venditrice Io non pago niente perché sono di passaggio.

Scamiciato (dalla bottega) È una povera donna.

Vigile L’avvocato andatelo a fare in Pretura. (Al pizzaiuolo) Vuoi conciliare?

Pizzaiuolo (alludendo al fatto che ha pochi soldi in tasca) Io da stamattina ho venduto una pizza a quel signore. (Indica Vincenzo).

De Pretore Questo è vero.

Vigile (ironico a De Pretore) Voi siete parte civile?

Pizzaiuolo Io non posso pagare… Sequestrate le pizze.

Intanto un gruppetto di gente si ferma a curiosare, a ridere, a commentare.

Vigile (alla venditrice di uovo) Come ti chiami, tu?

Venditrice (ironica) Ovaiola.

Pizzaiuolo E io pizzaiuolo.

Tutti ridono.

Vigile Non scherzate, perché ve ne faccio pentire!

Una signora (la stessa che nella scena precedente ha messo i fiori davanti al santo) In questa piazzetta non si trova pace! (Rivolgendosi al vigile) Lasciateli stare… povera gente… deve vivere.

Vigile E io devo fare il vigile. (Al pizzaiuolo e alla ven­ditrice di uovo) Non perdiamo tempo: come vi chiamate?

Tutti parlano, ognuno dice la sua. Chi giustifica ì venditori, chi si dichiara solidale con la legge. Ne nasce una confusione assordante. Il vigile, al centro del gruppo, gesticola e si agita più di tutti. Ne approfitta Vincenzo il quale, a distanza, come un

gatto che punta il topo, segue i movimenti di tutti. La signora ben vestita perde un bracciale d’oro. Vincenzo lo raccoglie e lo intasca. Una penna stilografica lotta dispe­ratamente per resistere ai movimenti del suo padrone, per non finire smarrita sul sel­ciato. Vincenzo corre in suo aiuto: la fa sparire. Toglie il portamonete da una borsetta aperta, sgancia l’orologio dal panciotto di un signore, i fazzoletti li fa fuori tutti; la gioia di Vincenzo è al colmo. Con piccoli salti e passetti di danza, che vogliono signi­ficare disinvolta indifferenza per ciò che sta accadendo, gira intorno al gruppo, si confonde con esso e, dopo un poco, riappare al lato opposto, trionfante, con qualche oggetto strano nelle mani, che è riuscito a rimediare durante l’asportazione. Final­mente il vigile con due poderose bracciate si libera del gruppo tumultuoso.

E toglietevi dai piedi! La multa la dovete pagare!

Nella furia di prendere il bollettario delle multe e una matita biro, non si accorge di aver tratto dalla tasca della giubba, insieme ai due oggetti, pure il portafogli personale il quale, mezzo fuori e mezzo dentro, non potrà reggere a lungo quella precaria posizione: l’occhio vigile di Vincenzo coglie a volo quest’ultimo incidente.

De Pretore (spudoratamente si avvicina al vigile, gli toglie il portafogli e lo intasca. Quando si accorge che il suo gesto spudorato è sfuggito a tutti, compreso l’interessato, strizza l’occhio a san Giuseppe e grida verso la tabaccheria)

Due candele da cinquanta! (Entra svelto nella ta­baccheria. Dopo poco torna recando diligente­mente due candele accese che va a collocare ai piedi del santo).

Cameriere anziano (entra dalla sinistra. Reca a fatica un grosso involto di argenteria. Si avvicina a Vincenzo e gli chiede)Scusate, giovanotto: mi hanno detto che qui vicino c’è una bottega dove si pulisce l’argento…

De Pretore (interessato) Avete argento da pulire?

Cameriere Qualche pezzo da pulire, e qualche altro da do­rare. (Trae di tasca un portasigarette e una tabac­chiera) Questi si devono dorare.

De Pretore È argento?

Cameriere Argento massiccio.

De Pretore Vi accompagno io.

Cameriere Grazie.

 

Escono insieme da destra.

 

Vigile (a conclusione delle formalità di legge) Mi dispiace, ma ve lo avevo avvertito più di una volta.

 

La venditrice di uova ha pagato. Il pizzaiuolo ha dato le generalità; non aveva soldi.

 

(soddisfatto del suo intervento e incurante dei commenti sgradevoli pronunciati a denti stretti da coloro i quali hanno sentito, si avvia per uscire)

Buona giornata.

Pizzaiuolo (con amarezza) …Pizza calda!

Venditrice … Uova fresche!

 

Ninuccia entra da sinistra. Indossa un abito nuovo. È un abito vistoso e sproporzio­nato per la sua età. Per la prima volta porta cappellino, guanti e borsetta. I tacchi alti di quelle maledette scarpe nuove, che le imprigionano i piedi sofferenti, la costrin­gono a calcolare la lunghezza dei passi con l’altezza e il peso della persona, per assicurarsi un minimo di equilibrio. Si è acconciata, secondo lei, come Vincenzo la desidera: da gran signora. La fioraia, la venditrice di uova e il pizzaiuolo sbarrano gli occhi e si scambiano sguardi significativi fra loro.

 

Don Ciro (entrando scorge Ninuccia e ne rimane sorpreso) E chi è?

Ninuccia Non mi conoscete?

Don Ciro (incredulo) Ninuccia?!

Fioraia (ammirata) Fatti vedere… Quanto stai bene!

Pizzaiuolo Posso offrire una pizza?

Ninuccia No, grazie.

Pizzaiuolo (ironico) Per Ninuccia, adesso, ci vuole il « sandevicce » e il « punto e mezzo » a piazza dei Martiri.

Ninuccia (rivolgendosi a Don Ciro) Avete visto Vincenzo?

Don Ciro No.

Fioraia Stava qua… poi se n’è andato per le scale… (indica a destra).

Pizzaiuolo L’ho visto andare da quella parte. (Indica a sinistra).

Ninuccia Grazie. (E s’avvia per la scala con difficoltà in­credibile e grande spasso di quelli che la osser­vano. Giunta alla sommità, scompare per la strada indicata dal pizzaiuolo).

Don Ciro Però è una bella ragazza.

De Pretore (entra svelto, rivolgendosi a Don Ciro) Una candela da cento!

Don Ciro (meravigliato) Ancora candele?

De Pretore Perché, vi dispiace?

Don Ciro No.

Impiegato (È un impiegato di banca; reca con sé una borsa di pelle gialla. Entra dalla sinistra e si rivolge alla fioraia) Scusate, buona donna… datemi un po’ di fogliame inutile… devo pulire questa scarpa… (Cerca di mostrare la suola e il tacco della scarpa destra imbrattata di qualche cosa di nauseante che gli fa torcere il naso, schifato) Maledetto vicolo schifoso!

Fioraia (servizievole) Qua, qua… (Indica la sua sedia) Mettete il piede qua… ve la pulisco io la scarpa.

Impiegato (esegue)

Grazie. (E mette la borsa di pelle per terra, ac­canto alla sedia) Ma dico io se in un paese civile…

De Pretore (adocchiando la borsa di pelle dell’impiegato) Aspettate, don Ciro… Forse ne mettiamo due di candele… e questa volta mettiamo quella là… (In­dica il grosso candelotto).

Don Ciro Quella costa cara.

De Pretore Ma ne vale la pena.

(Con aria disinvolta, ma con la sicurezza spudorata che ormai gli viene dalla, secondo lui, inconfutabile protezione del santo, si avvicina all’impiegato, gli sorride quasi in atto di sfida, e con destrezza s’impadronisce della borsa).

 

L’impiegato rimane pietrificato: non crede ai suoi occhi. De Pretore, sempre sorri­dendo, si allontana per la scala. L’impiegato realizza, sbarra gli occhi e con gesto fulmineo estrae la rivoltella, intimando:

 

Impiegato Fermati!

 

Ma Vincenzo non l’ascolta. Sempre sorridendo continua a salire le scale.

 

Impiegato (a tanta impudenza, esclama) Carogna! (E tira tre colpi di rivoltella).

 

Due proiettili vanno a vuoto, il terzo colpisce il bersaglio. Vincenzo comprime le mani sul ventre, dopo un attimo si piega su se stesso… poi rotola pesantemente per le scale.

 

Fioraia Madonna Santa!

Impiegato (si precipita a recuperare la sua borsa)Sono un padre di famiglia… (Alludendo al conte­nuto della borsa) I cinque milioni li devo portare in banca.

 

Tutti soccorrono Vincenzo.

 

Vigile (dalla destra) Che succede? (Si ferma a parlare con l’impiegato).

Impiegato Ci sono i testimoni…

Don Ciro (alludendo a De Pretore) Respira… Portiamolo all’ospedale… .

Ninuccia (dall’alto delle scale osserva per un attimo la scena. Poi realizza, si toglie le scarpe e scende di corsa fino a raggiungere il corpo immobile di Vincenzo e ghermirlo disperatamente) Vincenzino! Vincenzino!

Vigile (a viva forza allontana Ninuccia dal corpo di Vincenzo) Allontanatevi voi. (Poi dice a qualcuno) Chiamate un taxi… (A Don Ciro) Aiutatemi a sollevarlo.

 

Tutti sollevano il corpo dì Vincenzo e lo trasportano verso sinistra. Poi il vigile si rivolge con autorità all’impiegato.

 

E voi seguitemi. Dovrete fare delle dichiarazioni.

Impiegato Quante ne volete.

 

Escono tutti per la sinistra.

 

Ninuccia mezza trasognata segue il gruppo. Poi si accorge di avere perduto il cap­pello. Guarda intorno e lo vede ai piedi delle scale. Torna indietro, lo raccoglie. Poi, con le scarpe penzoloni da una mano e il cappello dall’altra, esce anch’essa per la sinistra, con gli occhi sbarrati che non osano versare una lacrima.

 

Mutazione a vista.

Quarto quadro

 

Ridente località, a pochi chilometri da Napoli, adagiata in uno dei punti più incan­tevoli di Melizzano.

A sinistra la greve presenza del portale di un castello aragonese, il cui massiccio e bullonato portone presenta due mastodontici batocchi in ferro, artisticamente foggiati da un virtuoso artigiano dell’epoca. Al centro di uno dei due battenti, preferibilmente su quello di destra dell’attore, si apre e si richiude dall’interno il finestrino-spia. Il rosso cupo delle fragranti mele « annurche » predomina sul verde del folto e rigo­glioso fogliame dell’ampia distesa d’alberi, che delimita e ricopre l’intera collina. « Mele, mele, mele! », come ha detto Vincenzo nel primo quadro della prima parte. Ve ne sono da per tutto, in ogni angolo, perfino ai due lati del sonnolento e sdegnoso portale; a cesti, a cumuli, a piramidi. La sovrapposizione dei piani, la sproporzione dei contorni figurativi e un pulviscolo dorato, che turbina nell’aria, creano intorno l’atmosfera di un’apparizione fantastica, la confusa visione di un sogno alterato da sentimenti contrastanti e in lotta fra loro. Al commento musicale sarà affidato il com­pito maggiore di sottolineare e fare intendere tale stato d’animo.

Da un gruppo di alberi appare De Pretore. Indossa un lungo camicione di mussola bianca, il quale presenta nel punto della ferita d’arma da fuoco, una larga macchia di sangue rosso vermiglio appena sgorgato. D’un pallore spettrale, e a piedi nudi, Vincenzo avanza timido e guardingo verso il portale del castello. Ogni tanto si ferma e rimane in cupa riflessione, come al bivio di una situazione penosa da risolvere.

De Pretore Adesso non ci capisco più niente. Non so se sono morto o se sono vivo. Mi ricordo una grande con­fusione e mi sento ancora soffocare… una nausea! Evidentemente m’hanno addormentato… Sì, sì… Ma allora perché sto qua? Come ci sono arrivato? (Guarda intorno come per riconoscere meglio il luogo in cui si trova) Questo è Melizzano, e questo è il palazzo del signore. (Una volta stabilito il luogo resta un attimo in riflessione, e decide) D’altra parte che me ne importa di sapere come ci sono arrivato? L’importante è che sto qua. Mi piacerebbe proprio entrare là dentro. E mi piace­rebbe pure che quel signore fosse mio padre. Io entro, gli faccio vedere l’anello: se lo riconosce, neanche i carabinieri mi cacciano via da là dentro. Li si mangia, si beve, si sta bene…

Ninuccia entra da sinistra e va a sedere a destra, di fronte al portale, su una cesta colma di mele. Il mutamento della ragazza è più che evidente. Tutto ciò che ella indossa è sobrio, fine e intonato. In sostanza la vediamo finalmente come Vincenzo voleva che fosse la sua donna: una vera signora. L’attrice che interpreterà il ruolo di

Ninuccia: badi bene allo sdoppiamento delle due personalità da controllare: quella di Ninuccia la « lavabottiglie » e l’altra; quella cioè costruita dal concetto istintivo che Vincenzo De Pretore può avere della vera signorilità. Egli la scorge ma non crede ai suoi occhi.

 

Tu qua stai?

Ninuccia Ho voluto accompagnarti fino al portone. Mi spiego? È giusto?

De Pretore E come l’hai trovata la strada di Melizzano?

Ninuccia Ma questo non è Melizzano.

De Pretore Non vedi quante mele?

Ninuccia No.

De Pretore Non le vedi?

Ninuccia No, no.

De Pretore (colpito da quest’affermazione, e felice, in fondo, di non avere più dubbi sulla sua posizione, com­menta fra sé)

Allora sono morto. Che peccato! E allora se sono morto è inutile che vada a cercare mio padre. An­che se fosse questo gran signore, io che me ne fa­rei? (Per avere ancora una riprova, per stabilire in modo definitivo il suo vero stato, chiede nuova­mente) Scusa, e tu che vedi al posto di questi al­beri, di queste mele?

Ninuccia Io niente. Quello che ci dovrebbe essere al posto di queste mele lo dovresti sapere tu. Io che ne so? Sono venuta appresso a te.

De Pretore (finalmente convinto)

Non c’è dubbio. Sono morto. Allora, se sono morto, questo è il Paradiso. Mi devo presentare a san Giuseppe. Ci pensa lui… (Guardando Ninuccia, con nostalgia) Come sei bella!… (E siede accanto a lei).

Ninuccia (lusingata) Ti sembra?

De Pretore È la verità. Questo è il vestito nuovo?

Ninuccia Quello che mi son fatto fare con i soldi che mi hai dato tu.

De PretorePure le scarpe?

NinucciaSì.

De PretoreFammele vedere.

NinucciaE non le vedi?

De Pretore Ma le vedo meglio se me le mostri. Mi spiego? È giusto? Solleva la gamba, e muovi il piede come lo muovono le donne quando vogliono ve­dere da sé l’effetto di una scarpa.

 

Ninuccia, senza pudore, alza la gonna oltre le ginocchia, poi solleva la gamba destra e muove il piede con civetteria, come voleva Vincenzo.

 

Ecco, così. Pure le calze hai comprato con i soldi che ti ho dato io?

Ninuccia Pure il cappello.

De Pretore Hai indovinato il gusto mio. Alzati ecammina, come camminano le indossatrici in una sfilata di modelli.

 

Ninuccia esegue la « sfilata » da perfetta indossatrice, sotto gli occhi di Vincenzo.

 

Così mi piaci. (Con rammarico) Siamo stati di­sgraziati. (Alludendo al primo arresto in casa sua) Ti ricordi quel giorno? Se la polizia tardava ancora una mezz’ora, ci saremmo uniti sul serio definitivamente.

Ninuccia Io mi sarei data a te con gioia. Quando uscisti dal carcere, non pensavo ad altro.

De Pretore Io pure; ma mi mettesti in testa tanti pregiudizi… fino al punto che mi convinsi anch’io di fare le cose in regola, da buoni cristiani… e pensavo di farcela… e invece siamo rimasti tu da una parte e io da quest’altra con lo stesso desiderio che non ci sarà possibile più di appagare.

Ninuccia Pazienza.

De Pretore Come: « Pazienza? » Ma non capisci che resterai vergine per tutta la vita?

Ninuccia Ma sei impazzito? E perché dovrei fare questo sacrificio?

De Pretore Come : « Perché ? » Per amor mio.

Ninuccia Per amor tuo se fossi vivo. Il sacrificio l’avrei fatto se tu, da vivo, m’avessi abbandonata per un’altra donna. Allora, sì, in convento me ne sa­rei andata… fra le sepolte vive sarei finita. E come avrei potuto vivere sapendoti felice con un’altra donna? La morte invece è un fatto definitivo che ti mette di fronte all’impossibilità di trovare qual-siasi via di mezzo. Tu oramai sei sistemato, eio mi sono messa l’anima in pace. Sei morto: sono tranquilla.

De Pretore (poco convinto, ammette) Già.

Ninuccia Troverò uno che mi sposerà, e finirò pure per vo­lergli bene. Di te conserverò il ricordo, la foto-grafia… te la ricordi quella che ci facemmo insieme il giorno dopo che uscisti dal carcere?

De Pretore Sì.

Ninuccia La terrò sempre con me. …

De Pretore E sarò tranquillo anch’io.

Ninuccia Certo. Non troveresti requie, sapendomi sola e spersa per il mondo. E adesso è meglio che vai.

De Pretore (distratto) Dove?

Ninuccia (indicando il castello) Dentro.

De Pretore (alzandosi) Già. Allora… ciao…

Ninuccia Ciao.

De Pretore (avviandosi di malavoglia)

Speriamo bene. (Poi si ferma di nuovo, e dopo un attimo di muta riflessione, mostrando a Ninuccia il punto del camicione macchiato di sangue, con­clude) Io non capisco perché un protettore di quella importanza non interviene in un momento così urgente…

Ninuccia E se in quel momento stava proteggendo un altro che aveva più bisogno di te?

De Pretore (sbarrando gli occhi) Più di me?

Ninuccia Si poteva dividere in due?

De Pretore Già.

Ninuccia E sbrigati… cammina.

De Pretore (esitante) Vado…

Ninuccia Ma hai paura?

De Pretore Paura, no… ma sono impressionato…

Ninuccia Impressionato di che? Tu ti presenti e dici: « Sono morto, eccomi qua. Mi hanno sparato per­ché… » A proposito… perché ti hanno ucciso?

De Pretore (sapendo di mentire)

Mi hanno ucciso perché… è stata una disgrazia. Due tipi litigavano, uno dei due ha sparato e ha colpito me.

Ninuccia Allora sei innocente… bussa.

De Pretore Sono innocente… ma sai com’è… (Mostrando il castello) Se qua sopra è arrivata una notizia travisata…

Ninuccia Non c’è pericolo. Quelli sanno tutto.

De Pretore (ipocrita)

Per fortuna. (E guarda verso destra perché da quella parte giunge un chiacchierio comune a tutti quelli che quotidianamente debbono percor­rere un tratto di strada insieme, con lo sguardo perduto nella visione di una sede grigia e imper­sonale, dove dovranno svolgere, da eterni impiegati, un’attività monotona stagnante e priva d’imprevisti) Chi arriva? (Gioisce nel riconoscere quelle persone) Ma quella è Mammella… non c’è dubbio. E quello è Tatillo. Siamo a Melizzano.

 

Dalla destra entrano i tre. Maria veste come Vincenzo ha descritto la sua « tata » nella prima parte e reca a fatica un grosso involto che contiene una rilevante quantità di limoni. Giuseppe indossa un camice di tela blu e pantaloni di tinta incerta, sul capo un berretto grigio con visiera di pelle lucida nera. Reca una scatola di legno con tutto l’occorrente per lucidare i mobili, e una pialla di proporzioni esagerate. Ma tutto lindo e nuovo di zecca. Deve sembrare un falegname disegnato e colorato su di un libro delle scuole elementari.

 

De PretoreTata!

MariaDici a me?

De PretoreSì. Non mi riconoscete?

MariaChi sei?

De PretoreDe Pretore Vincenzo. Voi siete stata la mia tata.

Maria (sincera, come per far riconoscere a Vincenzo di essere in errore) Io sono Maria.

De Pretore E la mia Tata si chiamava Maria…

Maria (con estrema dignità) Ma io sono Maria.

De Pretore E non è la stessa cosa?

Maria (con un sorriso tenerissimo) No.

De Pretore (indicando Giuseppe) E lui è Tatillo…

Giuseppe Io sono Giuseppe. De Pretore Precisamente…

Giuseppe No… io sono Giuseppe.

Maria (rivolgendosi a Giuseppe) Vedi? Succede sempre così quando arrivano questi. Non sono ancora distaccati da tutto quello che li ha circondati in vita. Mi spiego? È giusto? E allora si imbrogliano. Ti ricordi quello che mi scambiò per la bidella della scuola?

Giuseppe E io non fui scambiato per il maestro di ginnastica?

Mariti Già. Perché non riescono a dimenticare le imma­gini dell’infanzia. (A Vincenzo) Piano piano, quando ti sarai acclimatato, quando sarà finita per te questa confusione, ti apparirà tutto come ti deve apparire…

De Pretore E non me lo potete dire voi, al posto di queste mele, di questa scala, di questi alberi, che cosa c’è?

Maria Troveresti tutto sbagliato, dopo. Perché nulla può apparire più bello di quello che piace a noi stessi. È tardi. (Mostrando l’involto che ha portato con se) Vedi quanti limoni… Il « signore », ieri sera, ha dato un grande ricevimento: canti, balli, fino all’alba… (Sempre mostrando i limoni) C’è l’ar­genteria da pulire, e tanti tanti piatti. Mi spiego? È giusto?

De Pretore L’argenteria si pulisce coi limoni?

Maria E le bottiglie coi giornali.

 

Vincenzo e Ninuccia si guardano con intenzione.

 

Giuseppe Devo lucidare i mobili. Dopo un ricevimento di quel genere… Mi spiego? È giusto? Bisogna ri­mettere in ordine ogni cosa. Specialmente i tavoli e il sediame.

 

Il portone lentamente si apre e appare Pietro, il custode.

 

Pietro (con un registro di presenza sotto il braccio e una penna biro collocata all’orecchio destro) Andiamo su… firmate.

 

Maria e Giuseppe si avvicinano al custode e firmano il registro.

 

Maria (firmando con la penna del custode, dice ad alta voce il suo nome) Maria.

Giuseppe (firmando) Giuseppe.

 

Gioacchino dalla destra a passo svelto si avvicina al custode. Con un gesto significativo chiede di firmare il registro. Il custode gli porge la biro, e lui firma.

Gioacchino Gioacchino. (Ed entra).

Ciro (dalla destra anche lui si avvicina al custode, ma con più autorità chiede di firmare) Dammi qua. (Allude alla biro).

E spariscono tutti e due silenziosamente nel castello.

Pietro Servo vostro, dottore. (E gli porge la matita con deferenza).

Ciro Ciro.

De Pretore (a Ninuccia, alludendo al nuovo arrivato) È il tabaccaio della piazzetta. S’è ripulito… (Chiamando) Don Ciro…

Ciro (volgendosi verso Vincenzo) Chi è?

De Pretore Io, De Pretore…

Ciro Ma chi ti conosce! De Pretore Siete don Ciro, il tabaccaio, no?

Ciro Niente affatto, io sono Ciro medico. (Ed entra in fretta nel castello).

Pietro E pure oggi siamo al completo. (Rientra nel castello e chiude il portone dietro di sé).

De Pretore (confuso e scontento) Eppure… ero convinto che quella donna fosse Mammella…

Ninuccia Non perdere tempo… (Indicando il portone) Bussa.

Vincenzo si avvicina al portone. Alza con difficoltà uno dei batocchi e bussa due volte.

Pietro (sporgendo la testa dal finestrino-spia) Chi siete?

De PretoreDe Pretore Vincenzo.

PietroE cosa volete?

De PretoreVorrei parlare con san Giuseppe.

PietroIn questo momento è entrato… non lo avete visto?

De PretoreSì, ma pensavo che fosse il marito della tata mia.

PietroNo, quello è san Giuseppe in persona.

De PretorePosso parlarci?

PietroMa siete atteso da lui?

De Pretore Certo. E sarà molto felice di vedermi, in quanto è stato lui che mi ha fatto salire qua.

Pietro E perché non vi ha riconosciuto quando vi ha visto?

De Pretore Evidentemente conosce il mio nome, ma non le mie sembianze. Voi ditegli: « De Pretore Vin­cenzo, quello che da vivo vi scelse come suo pro­tettore, è fuori che aspetta perché vuol sapere come deve regolarsi da morto ».

Pietro Vado e torno. (Richiude il finestrino).

Ninuccia Come vedi, va tutto per il meglio… Io scappo… è tardi.

De Pretore Non puoi aspettare?…

Ninuccia Ormai ci sei. Io devo darmi da fare. Ogni minuto che passa è una probabilità che perdo per sistemarmi.

De Pretore È giusto. Corri, non perdere tempo. Ogni tanto, una corsa al cimitero, falla.

Ninuccia Per vedere che cosa? Non fare lo «tepido. Un lumino in casa, davanti alla fotografia… (Ed esce in fretta).

De Pretore (con voce portata) Almeno per i primi tempi…

L’indifferenza di Ninuccia getta De Pretore in un profondo scoramento. La solitudine riconduce il suo pensiero all’attimo in cui gli hanno sparato.

 

… io poi dico, benedetto uomo, corrimi appresso, fammi arrestare, mettiti a gridare « Al ladro! Al ladro! », ma sparare due colpi a bruciapelo… Ma dove siamo?!

Dal lato opposto, premuroso, entra l’impiegato di banca, portando sotto il braccio la borsa che De Pretore aveva tentato di sottrarre. Si rivolge direttamente a Vincenzo.

Impiegato Ma non ho sparato per colpirti, ho tirato alle gambe. Poi si capisce, la stessa esplosione ha cor­retto il tiro a danno tuo. Ho i figli, io, sai ? Quei cinque milioni mi mandavano in galera. Se non fosse stato per il mio santo protettore…

De Pretore (insospettito) Ma a te, chi ti protegge?

Impiegato Il mio santo protettore è san Giuseppe.

De Pretore (come di fronte a una rivelazione)

Ecco spiegato. Aveva ragione Ninuccia: « Non si poteva dividere in due ». In ogni modo io ti rin­grazio per le informazioni.

Impiegato Ma ti pare.

De Pretore Adesso ci penso io. Grazie mille. (Con ricono­scenza e rispetto) Stia bene. Si conservi.

Pietro (dal finestrino) Signor De Pretore!

De Pretore (pronto) Eccomi!

Pietro Ci deve essere uno sbaglio… San Giuseppe non vi conosce.

De Pretore (trasecolato) Non mi conosce?

Pietro (semplice) No, no.

De Pretore Ma gli avete detto che sono morto?

Pietro Sì, ha risposto : « Che posso farci ? Che me ne importa. Muore tanta gente ».

De Pretore E io che faccio?

Pietro Io che ne so.

De Pretore Voglio dire: da morto dove devo andare?

Pietro Ha detto che dovete andare dove vanno tutti i morti : al cimitero.

De Pretore (dubbioso) Ma ha capito chi sono io?

Pietro Non vi conosce… ve l’ho detto. Permettete, devo rientrare. (Si ritrae, ma Vincenzo lo ferma).

De Pretore Aspettate! Cercate di comprendere…

Pietro Che cosa? (Spazientito) Vi ho detto che san Giu­seppe non vi conosce.

De Pretore Ma questa è malafede bella e buona… Le candele che gli portavo se le consumava, e come!

Pietro Quali candele?

De Pretore Lo so io quali. (Con rabbia appena contenuta) Lo dica a me quello che ha detto a voi. (Gridando) Venga a dirmi in faccia che non mi conosce…

Pietro Non gridate.

De Pretore Io grido quanto mi pare! E grido per farmi sen­tire da lui. (Gridando verso l’interno del castello, per farsi sentire dall’interessato) Se non trova il mezzo di farmi entrare e di farmi rimanere in Paradiso, faccio correre i vigili dell’aldilà!

Pietro Ma siete pazzo? Vi ho detto di non gridare.

De Pretore Io strillo finché ho voce. (Gridando a perdifiato) Ho il diritto di entrare! Quando gli parlai alla piazzetta, fui chiaro nella richiesta… il patto fu preciso…

Giuseppe (dall’interno) Che c’è? Chi grida? Pietro, apri.

Pietro Pronto. (Apre il portone per metà).

Giuseppe (fuori) Cos’è questo chiasso? Il Signore ha sentito ed è fuori di sé… (Rivolgendosi a Vincenzo) Chi sei?

De Pretore (stende una mano come per indicare se stesso al­l’attenzione del santo, e rinnovare, con quel gesto rafforzativo, un accordo preciso avvenuto di re­cente fra loro due) De Pretore Vincenzo… mezz’ora fa m’hanno sparato…

Giuseppe (sinceramente sorpreso) Povera creatura… Perché vi hanno ucciso? Chi è stato?

De Pretore Ma come… non sapete niente?

Giuseppe No.

De Pretore Allora ve lo dico io: se mi hanno ucciso è stato soprattutto per colpa vostra.

Giuseppe Come?…

De Pretore Certo. Forte della vostra presenza qua, dell’ac­cordo preso con voi, della vostra protezione… io rubavo con sicurezza.

Giuseppe Rubavi? Ma allora sei un morto ladro?

De Pretore Che c’entra. Ero ladro da vivo. Da morto sono onesto. Un uomo vivo non ruba per morire, ma ruba per vivere.

Giuseppe (ammettendo in parte l’affermazione di Vincenzo) È giusto. Ma questa tua affermazione è valida fino a un certo punto… Questo tuo ragionamento strano non può cambiare una legge antica. Il la­dro rimane bollato sia in vita che in morte. Se il ladro avesse diritto al perdono, allora sarebbe inutile tutto il traffico del fuoco eterno.

De Pretore Ma io tutto questo non devo saperlo. Il protettore mio siete voi… Se poi c’è stato il disguido di quell’altro…

Giuseppe Quale altro?

De Pretore L’impiegato. Voi mi direte che aveva più diritto di me, lui era un padre di famiglia. Ma io sono solo. E voi dovete pensare per me…

Giuseppe Ma di quale protezione stai parlando?

De Pretore Di quella che vi chiesi in ginocchio, e che voi mi accordaste.

Giuseppe Questo lo affermi tu… è tutto un fatto tuo perso­nale. Te la sei presa da te questa protezione che dici… Non capisco perché avrei dovuto dartela.

De Pretore E tutte le candele? I fiori? E il tabernacolo rin­novato? Eravate ridotto in condizioni pietose… Chiedete informazioni al tabaccaio di fronte. La spesa della rinnovazione l’ho sostenuta io! (Tagliando corto) Poche storie! Tornate dentro e in­sistete presso il Signore. Glielo dite papale pa­pale : « Questo Vincenzo De Pretore è un mio protetto, ha fatto il suo dovere nei miei con­fronti… deve entrare e rimanere con noi nel pa­lazzo ».

Giuseppe E se dice di no?

De Pretore Tanto peggio per voi. Significa che la vostra auto­rità, lì dentro, non conta niente. Per conto mio avrò speso male i miei soldi, ma la vostra di­gnità… crolla. Ve lo dico io.

Giuseppe (rivolgendosi a Pietro) Ma guarda che tipo mi capita, oggi.

Pietro (sottovoce a Giuseppe) È un ignorante, ma simpatico. Cerca di aiutarlo.

Giuseppe Ma in che modo?

Pietro Se il Signore è di buon umore…

Giuseppe (rivolgendosi a Vincenzo) Entra. Aspetta nell’ingresso. (Al custode) Non lo fare entrare nel Salone se non te lo dico io. (Entra nel castello).

Pietro Entrate, vi darò una sedia.

De Pretore (sostenuto) Grazie.

 

Entra seguito dal custode. Il portone si chiude.

 

Mutazione a vista. Commento musicale.

 

 

Quinto quadro

 

Il salone del castello.

Maria, Gioacchino, Ciro. Servitori e camerieri.

Il gruppo di questi personaggi sarà disposto in bell’ordine.

Al centro di esso vi sarà il padrone del castello: Il Signore. La composizione deve ricordare molto da vicino quei gruppi tipici da Presepio. Il Signore indossa un vestito da cacciatore, osserva, e imbraccia di tanto in tanto il fucile. Tutti gli altri sono occu­pati in faccende casalinghe. Chi pulisce un piatto, chi un pezzo di argenteria, chi batte un tappeto. Qualcuno gratta il formaggio. Un altro pulisce la verdura. Ogni volta che il Signore riempie i polmoni di aria e protende in avanti l’ampio torace,

Ciro vi colloca al centro l’orecchio, con attenzione, per ascoltare i battiti di quel cuore

tanto regale e sensibile.

Il commento musicale continua.

Giuseppe entra esitante seguito da De Pretore che, durante tutta la scena, resterà dalla quinta, ad assistere e a commentare ciò che accade. Giuseppe si ferma, e non osa affrontare l’argomento che lo ha spinto a tanta audacia. Il Signore, dopo un poco, s’accorge del suo imbarazzo.

 

Signore Giuseppe, cosa c’è?

Giuseppe È accaduto un fatto insolito.

Signore (rabbuiandosi) Un fatto? Accadono fatti in casa mia?

Giuseppe Qui no. Fuori…

Signore Beh? Giuseppe Ecco… fuori c’è un ladro…

Signore (allarmato) Un ladro?…

I servi (a loro volta allarmati, ripetono in coro) Un ladro…

Giuseppe (pronto, per rassicurare tutti) Morto, morto!…

Tutti (compreso il Signore, si chetano) Ah…

Giuseppe Si chiama De Pretore Vincenzo. Da vivo scelse me come suo protettore. Nella sua ignoranza ha creduto di averne il diritto… Ora da morto vorrebbe entrare qua.

Signore E tu hai pensato (severo) che io avrei consentito che costui mettesse piede in casa mia? Giuseppe: un ladro! Sei svanito, Giuseppe… Sei vecchio.

Giuseppe (impermalito) Che c’entra la vecchiaia? È in ballo la mia dignità. Si tratta di un ragazzo sempliciotto… è stato un ladro, ma ha pagato con la vita. Ha cre­duto fermamente nella mia protezione… mi ac­cendeva le candele… Fiori, rinnovazione… Che faccio? Gli dico che non ne so niente… che non ho nessun potere… che vada all’inferno perché la protezione dei potenti non esiste… Fatelo entrare e diteglielo voi tutto questo. Per conto mio vi di­chiaro che una figuraccia simile non ho inten­zione di farla. E vi dico inoltre che, a queste con-dizioni, non mi conviene di restare in casa vostra. Vi sarò sempre devoto, servo, ma me ne vado per i fatti miei.

Signore (minaccioso) Bada bene! La porta di casa mia si chiuderà die­tro le tue spalle, e resterà chiusa per sempre.

Giuseppe (allusivo) E metteteci la spranga. (Con passo lento si avvia di nuovo).

Maria (alludendo a Giuseppe) È il mio sposo… devo seguirlo. (Si accoda a Giu­seppe, dopo di aver salutato il Signore con un rispettoso inchino).

Gioacchino (con un cenno del capo invoglia tutti gli altri servi a seguirlo) Andiamo.

I servi, solidali, si avviano silenziosamente.

Signore (autoritario) Fermi tutti!

Il gruppo dei servi si ferma e attende la decisione del Signore.

Questa vostra intimazione è assurda! Parlo nel vostro interesse. Se decidete di andar via sul serio, io mi troverei in imbarazzo per breve tempo, ma voi finireste sul lastrico. Non per cedere al vostro atteggiamento, ma per appagare una mia intima curiosità… voglio interrogarlo. (Dopo una breve pausa, decide) Giuseppe, fate entrare questo tipo.

Il gruppo dei servi si schiera di nuovo ai due lati del Padrone.

Giuseppe (parlando verso l’interno) Vieni avanti.

Vincenzo entra esitante. È come schiacciato dal lusso. Dopo pochi passi si ferma inti­midito dallo sguardo scrutatore del Signore, al quale lui non sa dare una precisa definizione, per la continua e confusa sovrapposizione che avviene nella sua mente fra i personaggi che abitavano il paese della sua infanzia e le figure che, secondo la tua ingenua fantasia, popolano il Paradiso.

De Pretore Sono veramente confuso, Signore… Vorrei espri­mermi in maniera degna, ma un po’ me ne manca il coraggio, e un po’ la preparazione… Se fossi morto di malattia… Una di quelle malattie lun­ghe, che ti danno il tempo di sistemare i fatti tuoi, quattro parole, pulite pulite le avrei messe insieme anch’io, magari me le sarei fatte scrivere da qualcuno che ci sa fare e le avrei imparate a memoria per non fare la figura meschina che sto facendo, ma mi hanno ucciso cosi repentinamente che sono morto e nemmeno me ne sono accorto…

Signore Non importa. Qui le forme convenzionali non contano.

De Pretore Ma vogliamo scherzare? Posso mai pensare di ot­tenere da voi le stesse agevolazioni che ottengono quelli che si presentano con una bella parlantina, svelta svelta?

Signore E secondo te io mi lascerei infinocchiare?

De Pretore No. Ma con quattro parole bene azzeccate si gua­dagna la simpatia di chiunque.

Signore Beh, meglio un uomo simpatico che uno antipa­tico. E tu pretendi di rimanere in Paradiso?

De Pretore San Giuseppe ve l’ha detto. Anzi, mi dispiace di quell’incidente che c’è stato fra voi due per colpa mia. Siate indulgente… Non ve ne pentirete. In fondo sono un buon ragazzo e posso esservi utile in tante cose. So fare di tutto : ho vissuto sempre da solo e ho dovuto arrangiarmi alla meglio. So cucinare gli spaghetti, faccio un sugo! Se avete degli oggetti da vendere, oggetti smessi di cui vi volete disfare, ci penso io! Riuscivo a vendere certi tagli di stoffa scadente per stoffa inglese di prima qualità! Ho fatto pure il barbiere… schiac­cio le noci col piede scalzo… canto le canzonette… suono la chitarra… (Traendo dall’involto che ha portato con sé un mazzo di carte, lo porge al Signore, invitante) Scegliete una carta…

SignoreTu ti chiami Vincenzo.

De PretoreSì.

SignoreE di cognome?

De PretoreDe Pretore.

SignoreTuo padre?

De Pretore (abbassa gli occhi umiliato. Dopo una lunghis­sima pausa confessa) De Pretore… era il cognome di mia madre. Sono di padre ignoto.

Signore Che significa: ignoto?

De Pretore Non lo capisco nemmeno io. È un modo per in­dicare un figlio avuto da una donna che non sia la propria moglie legale. E’ uno sbaglio, secondo me. Perché un padre deve esistere per tutti. In nessun campo la parola « ignoto » dovrebbe tro­vare la sua applicazione. Di veramente ignoto non esiste niente. Chi cerca trova. La televisione, vent’anni fa, non esisteva. E la bomba atomica? Chi la conosceva. Per questi figli particolari si do­vrebbe dire: « Figlio di un padre che si è na­scosto per non andare in galera ».

Signore Sarebbe un po’ prolisso.

De Pretore Lo credo anch’io. Ma non pensa lei che la ver­sione più breve incida un po’ troppo sulla repu­tazione dei figli, mentre i padri con la scusa della brevità, riescono a conservare la loro illibata e pulita pulita?

Signore Già.

De Pretore Ognuno poi si difende come può. C’è chi, ra­gazzo, riesce a farsi riconoscere da un padre falso, per esempio. E tante mamme che, per non met­tere al mondo degli infelici…

Signore Che fanno?

De Pretore Se ne liberano. Lei forse mi può togliere una cu­riosità. Sa, è un problema che mi ha sempre inte­ressato… Tutte queste creature che non riescono ad affacciarsi nel mondo… queste, diciamo… mezze creature, dove finiscono?

Signore (commosso) Qua, in casa mia. (Rivolgendosi a Ciro) È vero, dottore?

Ciro (anche lui commosso) Sì. Faccio quello che posso. Ma sono in tanti che non faccio in tempo a curarli. Vorrei tanto met­terli alla pari con gli altri angeli… con ritrovati moderni, unguenti speciali… Cospargo loro le spalle di oli e di balsami… ma sono tutti pallia­tivi… Due aluzze embrionali sono riuscito ad ot­tenere per loro…

Signore Non importa. Non saranno in grado di spiccare il volo. Ma io sono molto paziente, e ho molto tempo da dedicare a loro. Li porto a passeggio, rincorrono le farfalle… I miei possedimenti sono immensi e pieni di tante meraviglie che solo queste « mezze creature » riescono a vedere… E poi la mia tavola è grande e può accogliere tutti. (A Vincenzo) E tu sei stato ladro?

De Pretore Se avessi avuto un padre che m’avesse mandato a scuola… Non so scrivere… leggo appena… Lei capisce, Signore,… ho fatto il ladro per vivere. E tanti come me finiscono per fare i ladri.

Signore (con una decisione improvvisa) Ascoltatemi bene tutti.

I servi si fanno attenti.

De Pretore Vincenzo rimarrà in casa mia. Andate tutti a letto. Domattina all’alba ognuno di voi spiegherà a questo ragazzo come dovrà compor­tarsi in Paradiso. Mi spiego? È giusto?

 

Tutti i servi condividono l’affermazione del Signore e riprendono con lena le loro faccende, commentando l’avvenimento con le ultime parole di lui.

 

Tutti Mi spiego? È giusto?

 

Piano piano il « mi spiego, è giusto », ripetuto in coro diventa ritmato e scandito. Il commento musicale sottolinea le voci, producendo nell’insieme l’effetto di un maglio che batte ossessivo.

 

Mutazione a vista.

 

 

Intanto fa buio. Alla fase decrescente del concertato musicale ci troviamo al:

 

 

Sesto quadro

 

In una squallida stanzetta del pronto soccorso. Un medico e due infermieri, in camici bianchi, sono intorno a Vincenzo De Pretore, che si trova nel lettino. Un poco più lontano un agente dì polizia attende. In un angolo, a destra, ignorata, vediamo Ninuccia vestita con l’abito della piazzetta. La ragazza piagnucola per conto suo. Vincenzo, nel delirio della febbre, smania, vaneggia. I due infermieri si adoperano per limitare l’agitazione di quei movimenti disordinati. Il dottore controlla il polso del degente.

 

 

1° infermiere Si è svegliato.

infermiere Complimenti, dottore.

Dottore (porgendo all’agente il proiettile che ha estratto dal corpo di Vincenzo) Ecco il proiettile.

 

L’agente se ne impadronisce.

 

Dottore Vivrà difficilmente.

 

Ninuccia trasale.

 

Agente Posso interrogarlo?

Dottore Sì, ma con prudenza. (Rivolto a Vincenzo) Cercate di rispondere.

De Pretore (affannando) Sì.

1° infermiere Su, coraggio.

2° infermiere Rispondete al signore.

Agente (con matita e foglietto, si avvicina a quel misero letto) Tu ti chiami Vincenzo?

De Pretore (con un filo di voce) Sissignore.

Agente E di cognome?

De Pretore De Pretore.

Agente Tuo padre?

De Pretore (infastidito dal ripetersi di quella incresciosa do­manda) Ve l’ho detto poco fa. Vi ho confessato tutto. (Il respiro gli diventa sempre più pesante) Vi ho detto che sono stato un ladro, e che mi hanno ucciso questa mattina… Ora sono in casa vostra… in questo Paradiso… Ho la vostra promessa… e ci resto. (Il volto gli si contorce in una smorfia di dolore. Poi chiude gli occhi, reclina il capo sulla spalla destra e s’accascia).

Dottore (accorre presso di lui, ma dopo averlo osservato con attenzione annunzia con freddézza abituale) È morto.

Ninucciasussulta. L’agente intasca foglietto e matita.

Agente Buongiorno. (E se ne va).

Dottore (come per dare le istruzioni del caso ai due infermieri) E fate uscire la ragazza. (E se ne va pure lui).

 

I due infermieri compongono alla meglio il cadavere, gli coprono il volto con il lenzuolo e si avviano.

 

1° infermiere (rivolto aNinuccia) Su, andiamo.

Ninuccia (a quella indifferenza non osa reagire né pian­gere. Si alza, si avvicina al letto, tocca il lenzuolo, aggiustandolo, poi, come parlando a persona viva)

…E finisce tutto così? Non può finire… È vero, Vincenzo? Io ti aspetterò sempre, lo sai, no? Ci vedremo nel vicolo, nella piazzetta, dal friggitore dove andavamo a mangiare le frittelle, alla gio­stra, al tirassegno… Ti ricordi quando volevi sapere da me che avrei fatto se tu morivi? Io ti dissi: « Quello che farò lo so io». E invece non lo so. Tu lo sai adesso, e non me lo puoi dire. Non lo so che debbo fare. Che cosa ti piacerebbe che io facessi ? Se lo chiedo in giro mi dicono che debbo pregare…

 

L’infermiere tossisce discretamente. Ninuccia si volta, lo vede e, muovendo verso di lui, chiede:

 

…Aveva un anello…

Infermiere Ripassa, dopo gli accertamenti, se non lo reclamano…

Ninuccia Va bene. (Si avvia verso l’uscita). Infermiere Ma tu chi sei?

Ninuccia (senza fermarsi) Nessuno.

 

Ninuccia esce. Lentamente, sulla musica, cala il ripario.

 

1Diamo qui la versione delle battute:

Signora Credevo che conoscessi la strada! Tutti i giorni la stessa storia!

Signore Non preoccuparti, ho con me la guida.

Signora Bene, andiamo avanti allora. Guarda, c’è un uomo. Chiediamo a lui dov’è que­sta strada. Ciao! Parla inglese? No? Non lo parla? Per favore, potrebbe dirmi dov’è via Forio? Quella strada a destra? Ho capito, grazie tante. Lei è gentile.

Signore Chiedi se questa statua può essere acquistata…

Signora Oh! Smettila tu e i tuoi « souvenirs »! Andiamo, è tardi, ho fame. Arrivederci, grazie di nuovo. La prossima volta non vantarti di conoscere le città… Ci siamo rovinati la serata per colpa tua.

Signore Sta’ tranquilla! Non è poi la fine del mondo…

Signora Beh, io sono stanca…