LA FORTUNA CON LA EFFE MAIUSCOLA

La fortuna

con l’effe maiuscola

TRE ATTI COMICI

di Eduardo De Filippo e Armando Curcio

PERSONAGGI

CRISTINA

CONCETTA

DON VINCENZO

ENRICUCCIO

GIOVANNI RUOPPOLO

DONNA AMALIA

AVVOCATO MANZILLO

NOTAIO BAGLIULO

PIETRUCCIO

ASSUNTA

CARMELA

IL DOTTOR GERVASI

BRIGADIERE

SANDRINO

ATTO PRIMO

La scena rappresenta una stanza della casa di Giovanni Ruòppolo: povera, gelida camera con finestrone in fondo, che lascia vedere la rampa delle scale. A destra, in prima, una piccola porta che immette in altra camera e, in fondo, una branda su un piccolo soppalco munito di scala. A sinistra, una credenza, un fornello a mattoni, pochi e poveri utensili da cucina. In fondo, sulla sinistra, porta di entrata che è la comune. Al centro, un tavolo sgangherato con qualche sedia spagliata.

All’apertura del sipario la scena appare vuota e desolata. Una musica triste fa da contrappunto. Entra Cristina, prende a riordinare la stanza, poi invano va a controllare che nella credenza ci sia qualcosa da mangiare. Sconsolata, si siede e prende a cucire una camicia.

CONCETTA (compare sulle scale e si ferma a parlare dal finestrone) Donna Cristina, donna Cristi’…

CRISTINA Sto qua, sto qua.

CONCETTA (a bassa voce) Un’altra volta! E’ successo un’altra volta!

CRISTINA Ma che cosa?

CONCETTA (c.s.) Adesso vi dico…

CRISTINA Entrate, entrate… (le apre la comune)

CONCETTA Appena consegnati i pantaloni stirati -perchè la moglie non gli stira nemmeno i pantaloni!- don Vincenzo m’ha detto: “Conce’, ascolta bene: ci stanno cento lire per te se mi dici chi viene qui quando io non ci sto”. “Voi scherzate, don Vincè, qui non ci viene nessuno!”. Che gli potevo dire? Quello m’ha guardato fisso dentro gli occhi… “Senti, ti ripeto ancora una volta che ci stanno cento lire per te. Tu dici che non viene nessuno e mi sta bene. Però, sappi che io sto in guardia e se scopro che pure tu mi fai fesso, ti faccio passare un brutto quarto d’ora!”. “Non dubitate: se vedo qualcosa ve lo dirò”. Vedete in che condizione mi trovo?

CRISTINA Avete ragione.

CONCETTA Gli potevo dire che, come mette il piede fuori del palazzo…

CRISTINA Per l’amor di Dio! Ci scapperebbe il morto. Voi sapere don Vincenzo quant’è terribile…

CONCETTA Me lo dite a me? E avrebbe pure ragione… Bella ingratitudine! Un uomo che non le fa mancare nemmeno il latte di formica! Noi sappiamo chi era donna Amalia… Quello ti ha levato da una casa d’appuntamenti, ti fa fare la signora, riverita e rispettata da tutti e tu lo ricambi in questo modo? Abbiate pazienza, questa è infamità!

CRISTINA Che non sia la volta buona! Come si dice: tante volte va la gatta al lardo…

CONCETTA Visto che ci troviamo a parlare di questo fatto, vi volevo avvisare di una cosa. Dite a Enricuccio di stare molto attento…

CRISTINA Che c’entra Enricuccio?

CONCETTA Non lo sapete che porta l’ambasciate all’amico di donna Amalia?

CRISTINA Ma che dite?

CONCETTA Don Vincenzo se n’è accorto e me lo ha pure detto… Perciò, diteglielo voi. E’ bene che certi incarichi non se li prenda più, perché se quello se ne accerta, non si sa come va a finire…

CRISTINA (sconsolata) Che dovrei fare? Cacciarlo di casa? E dove lo mando? Mi fa così pena… Quello è malato. Tante volte litigo con mio marito se lo maltratta. Lo so io quello che ho passato per farlo crescere. L’abbiamo preso che aveva dieci anni. Mia sorella morì di meningite. Il padre non l’ha mai conosciuto. Che potevamo fare? Lo potevamo lasciare in mezzo alla strada in quelle condizioni?

CONCETTA Per carità!

CRISTINA Ne parlai con mio marito. Gli dissi: “Teniamolo con noi. E’ orfanello. E’ tanto bellino”. Mio marito si commosse, così ce lo siamo tenuto e l’abbiamo cresciuto come un figlio…

CONCETTA Sì, adesso però vostro marito mi sembra che non si commuova più…

CRISTINA Si lamenta che Enricuccio non è riconoscente e che, vedendo tutto il bisogno che c’è in casa, dovrebbe andare a lavorare. Invece, quello non vuole fare niente…

CONCETTA Vostro marito ha ragione. Perché non lo mandate a lavorare?

CRISTINA Ma che può fare? E’ malato. Quel povero guaglione non tiene la salute. Gli cade la roba dalle mani. Non è riuscito nemmeno ad imparare a leggere e a scrivere. Non riesce ad applicarsi… E’ nervoso…

CONCETTA Peccato, avrebbe potuto aiutare un po’ la barca…

CRISTINA Volesse il Cielo! Qua non riusciamo più ad andare avanti. A voi lo posso dire… Ci siamo impegnati tutto. Pure il cappotto mi sono impegnata! Pure il cappotto!… Adesso ho mandato Enricuccio dal padre a dirgli che è inutile che a mezzogiorno venga qui per il pranzo. L’avvocato che gli doveva mandare dei soldi per un lavoro svolto, non si è ancora visto e io non ho potuto comprare nemmeno un pezzo di pane…

VINCENZO (scende dal piano superiore) Concetta!

CONCETTA Che c’è don Vincè?

VINCENZO (si ferma a parlare dal finestrone) Vedi se mi puoi cambiare questo biglietto da cinquemila lire…

CONCETTA (prendendo i soldi) Va bene. (fa per andare)

VINCENZO Aspetta! Poi, chiamami subito una carrozzella. Ho molta fretta…

CONCETTA Va bene. (c.s.)

VINCENZO Aspetta! Poi, vai di sopra dalla signora Amalia, le dai mille lire e ti fai dare la valigia…

CONCETTA Va bene. (c.s.)

VINCENZO Aspetta! La valigia me la tieni giù di sotto. Quando vengo me la piglio. Mi raccomando…

CONCETTA Come comandate… (resta ad aspettare ulteriori ordini)

VINCENZO Che aspetti?

CONCETTA Non devo aspetta’?

VINCENZO Corri, fuggi!

CONCETTA Come siete nervoso! (esce)

CRISTINA Don Vince’, ma che state in mezzo alle scale? Entrate!

VINCENZO (entrando) Permesso?

CRISTINA Entrate, accomodatevi… Partite?

VINCENZO Si, donna Cristi’… Devo andare a Salerno.

CRISTINA A Salerno?

VINCENZO Perché non posso andare a Salerno?

CRISTINA Andate pure a Salerno. A me che me ne importa?

VINCENZO (marcando) Devo partire… Ho un affaruccio mio… Voglio vedere se mi sbaglio… (c.s.) Devo partire… Enricuccio non c’è?

CRISTINA No, è andato a portare un’ambasciata.

VINCENZO A chi?

CRISTINA A mio marito.

VINCENZO Ah, be’!

CRISTINA Gli dovete dire qualche cosa?… Enricuccio è un po’ scemo, ma non è cattivo…

VINCENZO Quello è scemo a modo suo, è scemo quando vuole lui… Ma, che stesse accorto, perché, prima o poi, qualcuno potrebbe fargli saltare le cervella! Donna Cristi’, devo partire.

CRISTINA Lo so.

VINCENZO Ma non sapete perché parto.

CRISTINA No, questo non lo so.

VINCENZO Perché qui ce l’hanno tutti con me.

CRISTINA Ma no, no…

VINCENZO Sì, ce l’hanno tutti con me! (esce)

CONCETTA (giungendo dal basso con le cinquemila lire) Eccomi qua, la carrozzella sta giù di sotto. Queste sono le quattromila lire. Mò porto mille lire a Donna Amelia.

VINCENZO E prendi la valigia.

CONCETTA Va bene. (via sulle scale)

VINCENZO (Affacciandosi dalla comune) Donna Cristi’, devo partire. Ci vediamo quando torno da Salerno…

CRISTINA Stateve buono.

CONCETTA (dopo una pausa, comparendo sulle scale con la valigia) Donna Cristi’?

CRISTINA (trasalendo) Ch’è stato?

CONCETTA Voi non avete capito niente?

CRISTINA Di che?

CONCETTA (entrando) Questa partenza non è legittima…

CRISTINA Come n’aggio capito? E che so’ scema! Ha detto troppe volte “devo partire, devo partire”. Uno che parte veramente, lo dice una volta sola e se ne va.

CONCETTA Don Vincenzo vuole cogliere la moglie in fragrante e non ci riesce… State pur sicura che tra mezz’ora vedete salire don Petruccio…

Enricuccio entra piangendo. Ha ventisei anni che dimostra in pieno. Indossa un abito smesso, rattoppato e sporco.

CRISTINA Che è stato?

ENRICUCCIO So’ caduto a terra…

CRISTINA Com’è successo?

ENRICUCCIO Non lo so. Di là non si vede niente, è tutto scuro. (a Concetta) Colpa tua: tu devi mettere le lampadine nel palazzo.

CONCETTA Io le lampadine nel palazzo le metto, e tu me le scassi.

ENRICUCCIO (piangendo) Non è vero!

CRISTINA Lasciatelo stare: non è lui che scassa le lampadine.

CONCETTA Sì, è lui. Le scassa con la fionda. (Enricuccio c.s.)

CRISTINA (facendogli le coccole) No, bello di mamma… Avete visto, donna Conce’: l’avete fatto piangere. Abbiate pacienza, non lo sapete che è malato?

ENRICUCCIO Io so’ malato.

CONCETTA Tu sì scostumato! (Enricuccio c.s.)

CRISTINA (congedando donna Concetta) Arrivederci, donna Conce’. (Enricuccio fa dei versacci a Concetta)

CONCETTA Arrivederci. (esce)

CRISTINA Hai freddo? (Enricuccio le accenna di sì) Aspetta, mettiti questa, così stai bello caldo… (gli mette una coperta sulle spalle) Sei andato da tuo padre?

ENRICUCCIO Sì, ci sono andato.

CRISTINA Gli hai detto che qui non c’è niente da mangiare?

ENRICUCCIO Sì, ce l’ho detto e lui m’ha dato uno schiaffo.

CRISTINA E perché?

ENRICUCCIO E io che nne saccio?

CRISTINA Ma tu come gli hai detto?

ENRICUCCIO Preciso come m’hai detto tu: “Non venire a pranzo, che non c’è niente da mangiare”. Pà, uno schiaffone! (piange)

CRISTINA Non glielo avrai detto davanti alla gente?

ENRICUCCIO Sì, c’era tanta gente.

CRISTINA Adesso, capisco perché ti ha dato uno schiaffo… Gli hai fatto fare una brutta figura… (Enricuccio tira fuori un pulcinella con il fischietto e prende a fischiare) E la devi finire con questo pulcinella, perché tuo padre non lo vuole sentire. E poi, ti avverto: non portare più lettere o ambasciate all’inna-morato di donna Amalia! Noi non ci vogliamo compromettere…

ENRICUCCIO Quali lettere? Quali ambasciate?

CRISTINA Statte zitto! (sottovoce) Perché nun è overo che porti l’ambasciate? Ma stai attento che don Vincenzo se n’è accorto e quello è uno terribile! (come si allontana un attimo per andare in camera, Enricuccio ne approfitta per prendere la fionda e tirare fuori attraverso il finestrone; si sente il rumore di vetri rotti e subito dopo le proteste dei vicini)

CRISTINA (rientrando allarmata) Che hai fatto? Che hai fatto? Hai rotto un’altra volta il vetro del ragioniere! Sono tre volte. Quello ci denuncia, ci denuncia! Mò che viene tuo padre glielo dico.

ENRICUCCIO E che me ne importa’

CRISTINA Che te ne importa? Te faccio fa ‘na faccia ‘e pacchere accussì!

ENRICUCCIO Voglio proprio vede’? Lui non m’è padre e non mi può prendere a schiaffi. (piangendo) Io so’ malato.

CRISTINA (commossa) Nun chiagnere… Se non ti è padre, però ti vuole bene come un figlio. Io non ti voglio forse bene come una mamma?

ENRICUCCIO (c.s.) Tu sì, ma lui non mi può vedere, mi strilla sempre…

CRISTINA Non ne combini mai una buona!…Ieri sera, sai che mi ha detto? Che è dispiaciuto, perché tu a me mi chiami mamma e a lui don Giovannino.

ENRICUCCIO E si capisce, perché tu mi vuoi bene veramente, invece lui no.

CRISTINA (sentendo il marito arrivare) Eccolo che arriva! Mi raccomando: chiamalo papà. (va ad aprire la comune mentre Enricuccio va a rifugiarsi sul suo soppalco)

Entra Giovanni Ruòppolo. Tipo sui cinquant’anni, pallido, malvestito. Senza parlare si toglie il cappello e lo attacca ad un chiodo.

CRISTINA L’avvocato Marzillo finora non ha mandato niente…

GIOVANNI (a Enricuccio) Io non ti prendo a schiaffi perché sono troppo debole e poi, con la faccia da scemo che ti ritrovi, sarebbe tempo perso.

ENRICUCCIO (preoccupato) Mammà, quello mi…

CRISTINA Non ti preoccupare. Ci sta mamma tua.

GIOVANNI (a Cristina) Ha rotto un’altra volta i vetri al ragioniere… Possiamo andare avanti così? Tu non gli dici niente. Avevi detto:”non lo fa più” e lo ha fatto altre due volte. (a Enricuccio) Delinquente! A lavorare non ci vai, eh?… Non gli conviene lavorare, tanto ha trovato la vita comoda: il letto lo trova, da mangiare lo trova… (Enricuccio e Cristina lo guardano interrogativi) Raramen-te, ma lo trova!

CRISTINA Ah, ecco!

GIOVANNI (a Enricuccio) Ringrazia questa santa donna. Se non fosse per lei tanti anni fa: “Pigliamolo con noi. E’ orfanello; è tanto bellino”. (a Cristina) questo sarebbe un orfanello bellino?

CRISTINA Sì.

GIOVANNI E’ bellino questo qua? Guardate che schifezza di orfanello bellino! E’ brutto e maleducato. (fa per andare a picchiare Enricuccio, ma Cristina subito lo ferma) Delinquente che non sei altro!

ENRICUCCIO Non vi pigliate collera, papà.

GIOVANNI Ma quale papà? Chi te conosce a te? Un figlio scemo come a te… (Enricuccio piange) Stavo concludendo un affare importante con certi clienti, è arrivato lui e mi dice: “Ha detto mamma che è inutile che torni a casa, tanto non c’è niente da mangiare”. So’ morto di vergogna. E se non bastasse, m’ha pure fatto una pernacchia col Pulcinella! Inutile dire che ho scoraggiato tutti e che l’affare è andato in fumo…

CRISTINA Non l’ha fatto apposta…

ENRICUCCIO Io so’ malato.

GIOVANNI Delinquente!…Sicché, non c’è proprio niente da mangiare? (controlla la dispensa)

CRISTINA Proprio niente. Io per me non tengo fame.

ENRICUCCIO Nemmeno io.

GIOVANNI E si capisce: piano piano ci stiamo prendendo la brutta abitudine di non mangiare. Uno di questi giorni ci troveranno stecchiti.

CRISTINA Più tardi, se l’avvocato manda i soldi, ci facciamo due maccheroni lesti lesti.

GIOVANNI (tirando fuori un uovo dalla tasca) Per fortuna, ho provveduto io!

CRISTINA (con stupore) Un uovo!

GIOVANNI Su, vieni a farlo al tegamino!

CRISTINA Hai comprato un uovo?

GIOVANNI Che sono diventato milionario? Con quello che costa un uovo! Non l’ho comprato.

ENRICUCCIO L’ha rubato.

GIOVANNI (rincorrendolo) Delinquente! Mò ti faccio vedere io!

ENRICUCCIO Scherzavo…Non lo faccio più, papà!

GIOVANNI E dalli con papà! Che papà? Io non ti conosco.

CRISTINA Se po’ sape’ il mistero dell’uovo?

GIOVANNI Vicino alla fermata del tram, ci stava una contadina con quatto, cinque galline… Quando è salita sul tram, è rimasto questo uovo in terra, me lo sono messo dint’’a sacca e me ne sono venuto via…

ENRICUCCIO (con semplicità) Embè, l’ha rubato.

GIOVANNI Ma quale rubato? Caso mai, l’ho salvato. Se passava una carroz-zella e lo schiacciava? Che dovevo fare?

ENRICUCCIO Lo dovevi restituire.

GIOVANNI Oh, bella! E a chi lo dovevo restituire?

ENRICUCCIO Alla gallina.

GIOVANNI E già, io prendevo l’uovo e lo mettevo in culo un’altra volta alla gallina!

CRISTINA Giovanni!

GIOVANNI (a Cristina, mostrandole l’uovo) Guarda che bello!

CRISTINA (prendendolo in mano) Uh, è ancora caldo!

GIOVANNI (entusiasta) Questo e un uovo speciale: fallo al tegamino, ma stendilo bene, largo largo.

CRISTINA No, no…

GIOVANNI Vuoi farci la frittata?

CRISTINA No, no…

GIOVANNI Fai così, Cristi’: il bianco lo cucini adesso e il rosso questa sera a cena. (mette l’uovo in un piattino)

CRISTINA Questo non si può fare in nessuna maniera. Non c’è un filo d’olio.

GIOVANNI C’è la sugna che va bene lo stesso.

CRISTINA No, non c’è.

GIOVANNI Ti dico che c’è. Stamattina c’era. (a Enricuccio) E’ vero che c’era?

ENRICUCCIO (annuendo) C’era, c’era. Adesso non c’è più.

GIOVANNI E chi se l’è pigliato?

ENRICUCCIO Io.

GIOVANNI Tu? Hai mangiato la sugna dal vasetto?

ENRICUCCIO No.

GIOVANNI E che ne hai fatto?

ENRICUCCIO (mostrando soddisfatto alcuni festoni di carta) Ci ho fatto questi.

GIOVANNI Hai fatto la colla con la sugna?… (facendo per menargli) Ma io…

CRISTINA Giovanni!

GIOVANNI Ha fatto la colla con la sugna!

CRISTINA Non dargli retta…

GIOVANNI Adesso come lo cuciniamo l’uovo?

CRISTINA Giovanni, l’uovo (facendo il verso di succhiare) sucatillo.

GIOVANNI Questo non è un uovo da sucare, Cristi. Bisogna cucinarlo come si deve. Fammi il piacere: fatti dare un pochino d’olio dalla signora De Lucia.

CRISTINA Eh, no! Io non ci vado. La settimana scorsa ci sono andata tre volte: l’olio, il prezzemolo, il basilico.

GIOVANNI La settimana scorsa. Oggi è lunedì, ricominciamo da capo.

CRISTINA Ho detto di no.

GIOVANNI Su, un momento solo!

CRISTINA Ci vai tu. Io mi vergogno. (se ne va in camera)

GIOVANNI Va bene, ci vado io. Me lo faccio mettere dint’’o tegamino… (prende un tegamino e facendo per uscire, a Enricuccio) Tu non ti scomodare, delinquente, che ci vado io. (esce)

Enricuccio, come vede Giovanni uscire, si avvicina al tavolo, osserva con attenzione

l’uovo, poi lo prende in mano e ci gioca finché questo non gli cade a terra e si rompe.

CRISTINA (rientrando) Che c’è? (Enricuccio le mostra l’uovo rotto) Uh, hai rotto l’uovo!

ENRICUCCIO Mammà, l’uovo non è come la palla, non zompa.

CRISTINA Adesso, chi glielo dice a tuo padre? Te la vedi tu. E chi lo sente adesso che scende e trova l’uovo rotto?

GIOVANNI (da fuori) Grazie, grazie assai e, quando avete bisogno, domandate pure… (entra) La signora De Lucia è sempre gentile… (mette il tegamino sul fornello) Dove sta l’uovo?

CRISTINA (facendo l’indifferente) Dove sta l’uovo?

GIOVANNI Dove sta l’uovo che era qui sopra?

CRISTINA (c.s.) Dove sta l’uovo che era qui sopra?

GIOVANNI Cristi’, vuoi scherzare? Ti ho chiesto dov’è l’uovo che ho lasciato qui nel piattino.

CRISTINA (c.s.) Tu vuoi sapere da me dov’è l’uovo che hai lasciato qui nel piattino?

GIOVANNI Che è un gioco di società? (perdendo la pazienza) Dove sta l’uovo, Cristì?

CRISTINA Io non te lo posso dire dove sta l’uovo, perché se te lo dico qui succede il quarantotto. E quarantotto oggi, e quarantotto domani, nun ne posso cchiù a sentire tutte le lamentele del palazzo.

GIOVANNI Cristina, sei uscita pazza? Ti ho chiesto solo dov’è l’uovo.

CRISTINA (indicando Enricuccio) Lo teneva in mano, l’ha fatto cadere e si è rotto.

GIOVANNI Ha rotto l’uovo!… E io mò resto digiuno?

CRISTINA Sissignore, resti digiuno… (esplodendo in una scena “alla napoletana”) Che vuoi da me? Pigliatela co isso. (dando una spinta a Enricuccio) Mandalo via, accidilo! (Enricuccio si mette a piangere accovacciato per terra)

GIOVANNI T’avess’accidere a tte che te lo sei voluto tenere in casa tutto questo tempo!

CRISTINA E caccialo, caccialo via! Basta che nun ve sento cchiù… (s’abbatte su una sedia e piange) Nun ce la faccio chhiù! Io me ne voglio andare da ‘sta casa.

GIOVANNI E vattenne!

CRISTINA Sì, me ne vado e te lascio solo co isso.

GIOVANNI No, isso te lo porti.

CRISTINA No, me ne vado da sola. Nun ce la faccio cchiù dinto a ‘sta casa!

(esce e si ferma a piangere seduta sulle scale)

GIOVANNI E’ inutile che fai la tragedia! La colpa è tua. Sei troppo tenera con il ragazzo. Non lo sai educare. Anche il dottore l’ha detto: “uno schiaffo ogni tanto gli fa bene”. Tu, per carità! Guai a chi te lo tocca, il gioiellino!… (a Enricuccio) Delinquente, guarda questa povera donna: sta piangendo per colpa tua. Da trent’anni sputa sangue dietro a te… (a Cristina) Avanti, vieni dentro!

CRISTINA (da fuori) No.

GIOVANNI (va fuori e aiuta la moglie a rientrare) Su… (poi, guardando Enricuccio che è rimasto sempre nella stessa posizione) Imbecille! Animale! Delinquente! Guardalo: da mezz’ora sta con la testa in terra! (alla moglie) Fallo alzare che gli fa male. (Cristina esegue) Quello già è scemo, gli va pure il sangue in testa e non capisce più niente. Dagli uno schiaffo. Anche il dottore lo dice: “uno schiaffetto gli fa bene”. Ha fatto una cattiva azione. Dagli uno schiaffo.(Cristina, invece, gli dà un bacio al figlio) Quello sarebbe uno schiaffo?

CRISTINA (commossa) E’ malato.

ENRICUCCIO Io so’ malato.

GIOVANNI Ma quale malato? Tu sei ruffiano. Dov’è il Pulcinella? Dammelo!

CRISTINA Lascialo stare.

GIOVANNI Ti approfitti che c’è tua madre. Quando esce, ti faccio vedere io! Se non mi dai il Pulcinella, mi levo la cinta. Andiamo a finire in questura! (controllando, sconsolato, la dispensa) Non c’è niente… M’ha rotto l’uovo, ‘sto delinquente. Io ho fatto tanta fatica per pigliarlo… (prende un flacone di sciroppo, ma scopre che è vuoto) Pure la medicina è finita. Ogni tanto me la sucavo. Un po’ di medicina mi fa bene… Tu sei la rovina di questa casa!

AMALIA (da fuori) Enricuccio!… Enricuccio!…

GIOVANNI (a Enricuccio) Nasconditi! Quella ti manda a fare le ambasciate…

(Enricuccio si nasconde dietro la scala)

AMALIA (c.s.) Chi sa dove si sarà cacciato?… Enricuccio! (entrando dalla comune che era rimasta aperta) Buongiorno, don Giovà.

GIOVANNI Buongiorno, donna Amalia.

AMALIA Donna Cristina non c’è? (scorgendo donna Cristina) Donna Cristi’, non me chiamate seccante. Voglio fare il gateau di patate per mio marito e non mi ricordo se ci vogliono capperi e olive.

CRISTINA Quali capperi e olive? Ci vogliono le patate, il burro e la mozzarella.

AMALIA Anche la cipolla?

CRISTINA Ma quale cipolla?… Aspettate, adesso vi scrivo la ricetta…

AMALIA Grazie, grazie! (scorgendo Enricuccio, si precipita da questi, gli parla all’orecchio e gli dà un biglietto; Enricuccio fa per uscire)

CRISTINA (a Giovanni, vedendo il figlio uscire) Dove va il guaglione?

GIOVANNI (ironico) La signora l’ha mandato…(moglie e marito a furia di gesti si contrastano)

AMALIA (a Enricuccio) Corri! Lo trovi al bar, digli che tra mezz’ora può venire. Corri, fa presto! (dà dei soldi a Enricuccio che subito esce)

CRISTINA Dove vai?

ENRICUCCIO Mò vengo.

AMALIA Scusate, donna Cristì. Mi è andato a prendere un cachet per il mal di testa.

CRISTINA Tenete il mal di testa?

AMALIA (fingendosi dolorante) Sì, assai, assai.

GIOVANNI (gridando dalla comune) Enricu’, fa presto, nun fa soffrì donna Amalia!

CRISTINA Don Vincenzo è partito?

AMALIA Sì, è andato a Salerno per un affare. Torna domani. Uh, come mi sentirò sola senza Vincenzino mio!

CRISTINA Sola, sola…

GIOVANNI (allusivo) Poverina! Perché non scendete da noi? Vi facciamo compagnia noi.

AMALIA (decisa) Eh, no!

GIOVANNI Scusate, perché no?

AMALIA No, perché quando Vincenzino mio non ci sta, io mi corico presto la sera, specialmente oggi che tengo il mal di testa. Anzi, se permettete, mi vado a mettere a letto. (fa per uscire)

CRISTINA Donna Ama’, ma la ricetta non la volete?

AMALIA (prendendo la ricetta) Sì, molto gentile. (fa per andare)

CRISTINA E il cachet per il mal di testa?

AMALIA Mandatemelo sopra, se non vi dà fastidio.

GIOVANNI (c.s.) Sì, è meglio che ve lo prendete dint’’o letto…

AMALIA Sì, a me a letto mi fa bene.

GIOVANNI (c.s.) Lo sappiamo, lo sappiamo…

AMALIA Grazie, donna Cristi’, siete stata molto gentile a darmi la ricetta per la pastiera… (esce)

CRISTINA (gridandole dietro) Ma quale pastiera? Il gateau di patate!

GIOVANNI Guarda com’è bugiarda e ipocrita: il gateau di patate! Quella è capace di fare la pastiera napoletana con la ricetta del gateau di patate.

CRISTINA Ma statte sitto!

GIOVANNI Quella è una zoccolona, altro che gateau di patate! A me non interessa quanti amanti abbia, ma non deve compromettere la mia famiglia.

CRISTINA Perché?

GIOVANNI Come, perché? Ha mandato Enricuccio a portare un’ambasciata al suo ganzo.

CRISTINA Quando mai?

GIOVANNI Tu non ti accorgi di niente? Gli ha pure dato dei soldi… Non voglio che ci andiamo a compromettere con don Vincenzo. Quello è terribile, gira armato ed è geloso come un Otello.

Enricuccio entra canticchiando giulivo. Porta con se un paio di involti. Attraversa la

scena e va ad accomodarsi sul suo soppalco.

GIOVANNI (dopo una lunga pausa) Dove sei andato, delinquente? Hai fatto l’ambasciata per conto di donn’Amalia?

ENRICUCCIO No, no…

GIOVANNI Non ti vergogni? Per cinque lire che ti ha dato, ti metti a fare il ruffiano…

ENRICUCCIO Sì, cinque lire…!

GIOVANNI E quanto t’ha dato: dieci lire?

ENRICUCCIO Sì, dieci lire…!

GIOVANNI Quanto t’ha dato?

ENRICUCCIO M’ha dato ciento lire!

GIOVANNI (cambiando tono) Chiamami papà, figlio mio bello!

ENRICUCCIO Ma quale papà! Io nun ve so’ niente!

GIOVANNI Perché, non ti abbiamo sempre trattato come un figlio?… (a Cristina) Ha avuto ciento lire, meno male! E’ il padroncino di casa. Sù, da’ i soldi a mamma che va a fare la spesa.

ENRICUCCIO Io i soldi non ce l’ho più.

GIOVANNI E che ne hai fatto?

ENRICUCCIO Li ho spesi.

GIOVANNI Hai speso ciento lire? Che hai comprato? (Enricuccio mostra un orinale) Hai comprato l’orinale. E perché?

ENRICUCCIO Ho comprato l’orinale perché la notte, quando esco fuori a fare il bisognino, sento freddo.

GIOVANNI (alla moglie) Non ha pensato a comprare qualcosa da mangiare. Poi, dici che sono io… (a Enricuccio) Non capisci che prima si mangia e poi serve l’orinale, cretino!

ENRICUCCIO Sì, ma io ho comprato anche da mangiare…

CRISTINA (con sollievo) L’ha comprato.

GIOVANNI Come potevo capire? Ha cacciato l’orinale… (Enricuccio apre l’altro involto) Che cos’è? Una provola? Una scamorsa? Tengo ‘na fame!

ENRICUCCIO (mostrando fiero un mazzo di sorbe acerbe) Queste sono sorbe.

GIOVANNI Hai comprato le sorbe acerbe?

ENRICUCCIO Quando sono mature ce le mangiamo.

GIOVANNI (fuori di sé, facendo per andare a picchiarlo, subito fermato da Cristina) Delinquente! (alla moglie) E tu lo difendi pure!

CRISTINA Io non lo difendo. Puoi picchiare uno che è mezzo scemo?

ENRICUCCIO Io so’ malato.

CRISTINA Ormai, l’ha fatto e non lo fa più.

GIOVANNI Dici sempre così: “Ormai l’ha fatto e non lo fa più”. Uno di questi giorni mi ucciderà e tu dirai: “Ormai l’ha fatto e non lo fa più”. (a Enricuccio) Perché hai comprato le sorbe? Rispondi.

ENRICUCCIO Perché le sorbe sono buonissime e fanno benissimo.

GIOVANNI Le sorbe fanno schifo e non servono a niente, cretino. Ti si allappano in bocca e ti fanno andare di corpo. Dobbiamo andare di corpo noi? Non ci abbiamo nemmeno più il corpo! Siamo delle larve umane… Perché le hai comprate acerbe?

ENRICUCCIO Perché Renato, il fruttaiuolo, mi ha detto che entro un quarto d’ora si maturano.

GIOVANNI E tu gli hai creduto? Vedi che sei ciuccio! Il fruttaiuolo ti ha fatto fesso. Altro che quarto d’ora! Ci vorranno due mesi… (Enricuccio guarda fisso le sorbe) Che stai facendo, scemo?

ENRICUCCIO Aspetto che si maturano.

GIOVANNI Levati innanzi agli occhi miei!

ENRICUCCIO (piangendo) Io so’ malato… Quando si maturano non te ne do

nemmeno una.

CRISTINA (che si era affacciata fuori della comune, rientrando) Giovà, l’avvocato Manzillo!

GIOVANNI Ti sarai sbagliata. Figurati se l’avvocato Manzillo viene a casa mia!

AVVOCATO (affacciandosi dalla comune) E’ Permesso?

GIOVANNI Avvocato Manzillo! Prego… Quale onore…

AVVOCATO Buongiorno, signora.

CRISTINA Serva vostra, avvocato.

GIOVANNI In cosa vi posso servire?

AVVOCATO Per carità, voi mi favorite… Sono venuto a portarvi delle carte da copiare e a pagarvi il lavoro svolto.

GIOVANNI E vi siete incomodato di persona? Sarei venuto io nel vostro studio. Quanto fastidio.

AVVOCATO Nessun fastidio, dovevo recarmi da queste parti. Io vi devo centocinquanta lire, vero?

GIOVANNI Centocinquanta lire, precisamente.

AVVOCATO Ecco qua. (prende il portafogli) Ve ne darò duecentomila. Il lavoro è stato eseguito con scrupolosità e coscienza. Siete contento?

GIOVANNI Contento?… Contentissimo!

AVVOCATO (a parte) Eliminate vostra moglie!

GIOVANNI La debbo uccidere?

AVVOCATO Uccidere? Vi dicevo eliminatela con una scusa, un pretesto. Vi devo parlare di un affare importante…

GIOVANNI Allora: allontanate. Che spavento m’avete fatto pigliare! Mi credevo che dovevo uccidere mia moglie: per duecentomila lire non vale nemmeno la pena! (ridono) Cristina, dammi un bacio. Tu sei viva per miracolo!

GIOVANNI (a parte) Cristina, prendi soldi e vai fare un poco di spesa…

CRISTINA (prendendo i soldi) Uh, che bellezza!

GIOVANNI (c.s.) Io, intanto, parlo con l’avvocato. Dice che si tratta di un affare importante…

CRISTINA Compro i maccheroni?

GIOVANNI Maccheroni e provola: ce li mangeremo stasera… (a Enricuccio) Tu mangiati le sorbe acerbe! (Cristina si allontana in camera)

GIOVANNI Avvoca’, ho eliminato mia moglie senza spargimento di sangue.

AVVOCATO (dopo essersi guardato intorno) Vi trovate bene in questa casa?

GIOVANNI Come potrei? Questa casa è umida e fredda, talmente fredda che abbiamo eliminato i vetri, visto che si appannavano da fuori. Quando ci vogliamo scaldare un poco, ci affacciamo fuori…

AVVOCATO Quanti ambienti ci sono?

GIOVANNI Tengo due camere, questa e un buchetto dove dormiamo io e mia moglie…Pago mille e cinquecento lire al mese…

AVVOCATO Mille e cinquecento lire?

GIOVANNI Non me ne parlate! Devo pagare sei mesi arretrati al padrone di casa. Meno male che voi mi date il lavoro!

AVVOCATO E ditemi una cosa… (Enricuccio fa una pernacchia all’avvocato con il Pulcinella e questi ha un sobbalzo) Che è stato?

GIOVANNI Scusate tanto. Vi siete spaventato?

AVVOCATO (scorgendo Enricuccio) Abbiate pazienza: è un ragazzo malato che ci siamo cresciuti. E’ infantilito: è rimasto col cervello di un bambino di cinque anni.

AVVOCATO Ritardato?

GIOVANNI No, scemo proprio. E pure maleducato. (al figlio) Come ti permetti di fare la pernacchia all’avvocato? Chiedi scusa… Chiedi subito scusa all’avvocato.

AVVOCATO Lasciatelo stare.

GIOVANNI Mi perdoni, io sono mortificato…

AVVOCATO Per carità!

GIOVANNI Posso offrirvi qualcosa?

AVVOCATO Niente, niente.

GIOVANNI Di quello ce ne abbiamo quanto ne volete.

CRISTINA (torna dalla camera con cappello e borsa per la spesa) Giova’, io vado a fare la spesa…

GIOVANNI Sì, intanto parlo con l’avvocato… (facendolo sedere) Accomoda-tevi, avvoca’…

CRISTINA Giova’, posso andare a fare la spesa?

GIOVANNI Certo che puoi andare!… I soldi te li ho dati?

CRISTINA Sì, Giova’… (indicandogli il cappotto)

GIOVANNI Ah, hai ragione! Scusate un momento, avvocato… (si toglie il cappotto per farlo indossare alla moglie che esce)

AVVOCATO Ma…

GIOVANNI Avete visto, avvoca’? Io e mia moglie non possiamo mai uscire insieme. Siamo come la funicolare: uno viene e l’altro va!

AVVOCATO Veniamo a noi… Vi devo dire una cosa importante… (con circo-spezione) Lo volete un figlio?

GIOVANNI State scherzando, avvoca’? Stavo dicendo di sì perché abbiamo bisogno di tutto… A stento mangiamo noi tre… (indicando Enricuccio) Se volete quello ve lo regalo.

AVVOCATO Questo figlio non resterà in casa vostra. Vuole semplicemente poter dire: “Giovanni Ruoppolo è mio padre” e poi non pretenderà più niente…

GIOVANNI Non ho capito… Di che si tratta?

AVVOCATO Si tratta di un giovanotto che io conosco, il quale vorrebbe sposare una signorina ricchissima, la figlia del marchese Branco. Immagino che l’avrete sentito nominare.

GIOVANNI Altroché! Branco è una delle famiglie più importanti dell’aristo-crazia napoletana.

AVVOCATO Precisamente. E dalla differenza di classe sociale nasce l’inciampo per il matrimonio. Questo giovanotto non ha padre…

GIOVANNI E’ morto.

AVVOCATO La madre è morta, era una baronessa. Il padre non l’ha mai conosciuto. In poche parole, è figlio di enne enne. Il marchese giustamente s’è opposto. Tutti gli amici e le altre famiglie aristocratiche non gli aprirebbero più le porte. Ma,

la povera Teodolinda piange e si dispera…

GIOVANNI Teodolinda?

AVVOCATO Sì, la figlia del marchese è innamorata pazza. Il suo principe azzurro mi ha incaricato di trovare qualcuno che possa legittimarlo… Io ho pensato che quel qualcuno potreste essere voi… Voi darete il nome al giovanotto e questi in cambio vi darà centomila lire.

GIOVANNI Avvoca’, voi dite che lui mi darebbe centomila lire? Ma io, per centomila lire, sono disposto a fare qualsiasi cosa!

AVVOCATO Io stesso sono stato incaricato di versarvele: trentamila lire adesso e, se accettate, settantamila dopo… Che ne dite?

GIOVANNI Avvoca’, sto sudando… E’ la prima volta che qualcuno suda in questa casa fredda!… Voi che mi consigliate?

AVVOCATO Io vi consiglio di accettare senz’altro.

GIOVANNI Non ci sarà qualche imbroglio sotto?

AVVOCATO Assolutamente no.

GIOVANNI Tutto regolare?

AVVOCATO Tutto tranquillo. Non avrete nessuna noia. Quando gli avrete dato il nome, quello si sposa la marchesina, e voi diventerete il suocero della figlia del marchese Branco.

GIOVANNI Voi credete che io posso fare il padre del principe azzurro?

AVVOCATO Sì, avete una bella figura.

GIOVANNI Allora, accetto.

AVVOCATO Benissimo… (si stringono la mano)

GIOVANNI (baciandogli le mani) Voi siete il mio benefattore.

AVVOCATO (fa per andare) Allora, ci vediamo dopodomani. Arrivederci.

GIOVANNI Un momento, avvoca’… Non mi avete detto che mi avreste dato subito trentamila lire?

AVVOCATO L’ho detto?

GIOVANNI A me sembra proprio di sì…

ENRICUCCIO Sì, l’ha detto…

GIOVANNI Avete visto? Anche lo scemo vi ha sentito… (a Enricuccio) Come ha detto l’avvocato?

ENRICUCCIO Trentamila lire subito e settantamila dopo il riconoscimento.

AVVOCATO Si ricorda tutto il giovanotto… (apre il portafogli e tira fuori, una

ad una, tre banconote da diecimila lire) E una…

GIOVANNI (prendendo la banconota) Cos’è questa?

AVVOCATO Una banconota da diecimila lire.

GIOVANNI Piacere, Giovanni Ruòppolo! Madonna, quanto sei bella! Ti cono-scevo di nome, ma non di persona. Dove stavi che non ti trovavo mai?

AVVOCATO E due… e tre. Fanno trentamila lire.

GIOVANNI Vi devo firmare qualcosa, un impegno?

AVVOCATO Voi dovete ancora avere settantamila lire. Quello è l’impegno.

GIOVANNI Già, è difficile che cambio idea…Allora, a quando?

AVVOCATO Dopodomani mattina vengo con il giovanotto e dopo andiamo dal notaio.

GIOVANNI Va bene.

AVVOCATO Posso stare tranquillo?

GIOVANNI E quante vote se parla?

AVVOCATO Benissimo. Arrivederci a dopodomani.

GIOVANNI Arrivederci.

AVVOCATO Tanti rispetti alla vostra signora.

GIOVANNI Vi servirò… (l’avvocato esce) Trentamila lire… Quanto so’ belle!

(Concetta si affaccia alla porta, ha in mano della posta) Chi è?

CONCETTA So’ io.

GIOVANNI Che spavento! Credevo che già i ladri sapevano della situazione…

Che vuoi, Conce’?

CONCETTA Vostra moglie si è dimenticata la bottiglia dell’olio e mi ha chiesto di venire a prenderla…

GIOVANNI Che ci deve fare con la bottiglia dell’olio?

CONCETTA Deve comprare un misurino d’olio.

GIOVANNI Un misurino d’olio?… (snob) Scendo io, cara. Vado a comprare una damigiana d’olio. Anzi, un barile, una botte, due botti…

CONCETTA Vi siete messo a fa’ l’ogliaro?… Che me ne fotte a me?

GIOVANNI Voglio comprare una carretta di roba da mangiare… Voglio rimanere a tavola per almeno dodici ore… (a Enricuccio) Io vado. Sta attento alla casa… Hai capito, Conce’? Mò magno. E pure domani, dopodomani, tutta la settimana, tutto il mese, due mesi, tre mesi, senza preoccupazioni e digiuni forzati. Hai capito? Io magno! Io magno! (via per la comune)

CONCETTA Povero don Giovanni, la miseria gli ha dato al cervello! (vedendo Enricuccio che guarda le sorbe) Che stai facendo?

ENRICUCCIO Sono affari che non ti riguardano.

CONCETTA Cos’è successo a don Giovanni che stava così allegro?

ENRICUCCIO Lo vuoi sapere?

CONCETTA Sì.

ENRICUCCIO Adesso te lo dico.

CONCETTA Racconta, racconta a Concetta tua! Ma fai presto che devo andare a consegnare la posta.

ENRICUCCIO E’ successa una cosa, una cosa di magnificenza… Se te la dico, tu non mi credi e dici che sono un bugiardo…

CONCETTA No!

ENRICUCCIO E’ venuto un signore elegante con la sciarpetta qua, il cappello qua, i baffetti qua… Questo signore è entrato, si è seduto e ha detto…

CONCETTA (interrompendolo) E dici, dici!

ENRICUCCIO Fammi finire… (ricominciando) E’ venuto un signore elegante con la sciarpetta qua, il cappello qua, i baffetti qua… Questo signore è entrato, si è seduto e ha detto…

CONCETTA (c.s.) E dici, dici!

ENRICUCCIO (c.s.)E’ venuto un signore elegante con la sciarpetta qua, il cappello qua, i baffetti qua… Questo signore è entrato, si è seduto e ha detto…

CONCETTA (c.s.) E dici, dici!

ENRICUCCIO (scoppia a piangere) E’ venuto un signore…

CONCETTA (c.s.) E dici!

ENRICUCCIO Ha detto…

CONCETTA (c.s.) E dici!

ENRICUCCIO Concetta?

CONCETTA Sì?

ENRICUCCIO Vaffanculo! (Concetta via dalla comune)

Si sente una musica allegra. Enricuccio si abbandona a qualche passo di danza.

Dopo una piccola pausa, da finestrone si affaccia il notaio.

NOTAIO Scusate, giovanotto. Abita qui Giovanni Ruòppolo?

ENRICUCCIO Sì, questa è casa sua.

NOTAIO (entrando) Permesso? Vi dispiace chiamarmi don Giovanni?

ENRICUCCIO Non posso.

NOTAIO E perché?

ENRICUCCIO E’ uscito poco fa

NOTAIO (con rammarico) No! Gli devo dire una cosa importante…

ENRICUCCIO Aspettate che torna.

NOTAIO Quando torna?

ENRICUCCIO Torna tra un’ora.

NOTAIO (guardando l’orologio) Non posso aspettarlo… Tra mezz’ora devo partire… Quando mi dispiace che non l’ho trovato…

ENRICUCCIO Potete lasciare un’ambasciata a me.

NOTAIO Un’ambasciata a te?

ENRICUCCIO Sì, a me. Io di mestiere faccio l’ambasciatore!

NOTAIO Ma tu chi sei?

ENRICUCCIO Io sono il figlio.

NOTAIO Il figlio?!

ENRICUCCIO Gnorsì!

NOTAIO Non sapevo che don Giovanni avesse un figlio… Aspetta, tu sei Enricuccio?… Ma tu non sei suo figlio…

ENRICUCCIO Mamma mia e papà mia murettero…

NOTAIO (correggendolo) Morirono.

ENRICUCCIO Morirono?

NOTAIO Eh, sì.

ENRICUCCIO A me hanno sempre detto: murettero.

NOTAIO Chi ti aveva riconosciuto? Io ti ricordo piccolo così…

ENRICUCCIO Io non mi ricordo.

GIOVANNI Si capisce… Cosa ti vuoi ricordare. Sono vent’anni che non vedo don Giovanni, da quando il fratello, don Federico, partì per l’America… Io sono un vecchio amico di don Giovanni e di don Federico Ruòppolo. Ero il notaio di famiglia quando se la passavano bene. Purtroppo, alcune speculazioni sbagliate li mandarono in rovina. Federico, il fratello maggiore, se ne andò in America e divenne milionario… Adesso don Federico è morto e ha lasciato tutto al fratello, don Giovanni… Cinquanta milioni in contanti. Il testamento è stato consegnato a me dal Consolato, in quanto la buon’anima in questa occasione ha fatto il mio nome. E’ una buona notizia o no quella che porto?

ENRICUCCIO Papà i soldi ce li ha. Ha fatto un grande affare…

NOTAIO Ah, sì? Che affare ha fatto?

ENRICUCCIO Ha fatto un affare che gli farà guadagnare centomila lire, perché dopodomani mattina va dal notaio a riconosere un figlio.

NOTAIO Un figlio?

ENRICUCCIO E’ uno che deve sposare una signorina, ma siccome è figlio di nenè..

NOTAIO Nenè?

ENRICUCCIO Di Nenella. Nun tiene padre… Allora è venuto un signore elegante con la sciarpetta qua, il cappello qua, i baffetti qua… Gli ha dato trentamila lire e dopo, che saranno andati dal notaio, altre settantamila lire…

NOTAIO No, non lo deve fare! Se legittima quello, perde tutta l’eredità.

ENRICUCCIO E perché’

NOTAIO Il testamento dice che se don Giovanni ha un figlio legittimo, l’eredità passa a questi, cioè al nipote di don Federico. Bisogna subito avvisare don Giovanni. Tarda assai?

ENRICUCCIO Ve l’ho detto. Un’oretta…

NOTAIO Non posso aspettarlo. Devo partire subito per Roma. E’ una cosa urgente: un’apertura di testamento. Quando ha detto che andrà dal notaio?

ENRICUCCIO Dopodomani mattina.

NOTAIO Non so se riuscirò a tornare in tempo… (guarda l’orologio) Mò perdo pure il treno. Facciamo così… (dandogli un biglietto da visita) Questo è il mio biglietto da visita: notaio Bagliulo… Quando viene don Giovanni, gli dai questo e gli racconti tutto il fatto. Gli devi dire che il fratello maggiore, Federico…

ENRICUCCIO (ripetendo) Maggiore Federico…

NOTAIO E’ morto in America…

ENRICUCCIO (c.s.) In America.

NOTAIO Gli ha lasciato un’eredità. Soldi!

ENRICUCCIO (c.s.) Soldi!

NOTAIO Cinquanta milioni.

ENRICUCCIO (c.s.) Cinquanta milioni.

NOTAIO Soprattutto ricordati di dirgli che non facesse la sciocchezza di riconoscere quel giovanotto. Non deve riconoscere nessuno. Altrimenti, don

Giovanni perde tutta l’eredità e il giovanotto, senza fare niente, si pappa tutta l’eredità.

ENRICUCCIO Va bene.

NOTAIO Mi raccomando: non deve riconoscere nessuno, altrimenti perde tutta l’eredità, che passerebbe a questo figlio legittimo. Posso stare tranquillo?

ENRICUCCIO Gnorsì.

NOTAIO Digli pure che non l’ho potuto aspettare per un affare urgente a Roma e che torno dopodomani. Io vado, altrimenti perdo il treno. Statte buono, Enricu’… (uscendo) Mi raccomando: non deve riconoscere il giovanotto, non deve riconoscere il giovanotto… Io vado. Sta’ allegro, le pene tue so’ finite. Diventando ricco don Giovanni, diventi ricco pure tu… Statte buono e mi raccomando…(esce)

ENRICUCCIO Non dubitate.

PIETRUCCIO (affacciandosi alla comune) Chi era quello, Enricu’?

ENRICUCCIO Non vi preoccupate. E’ un amico di don Giovanni… La portiera vi ha visto?

PIETRUCCIO No, ho approfittato di un momento che stava distratta a parlare col tabaccaio.

ENRICUCCIO Meglio così… (allungandogli la mano per la mancia) Andate, donna Amalia vi sta aspettando da un pezzo…

PIETRUCCIO Zitto!

ENRICUCCIO So’ solo, non ci sta nessuno. Sono usciti tutti.

PIETRUCCIO Bene, così si evitano i pettegolezzi.

ENRICUCCIO Come dite?

PIETRUCCIO Niente, poi ti farò un bel regalo.

ENRICUCCIO Quando volete voi… Andate, non la fate aspettare. (Pietruccio esce) Vi sta aspettando con le sise di fuori. Fatevi onore!

PIETRUCCIO (dal finestrone, salendo le scale) Zitto!

Enricuccio si sofferma sulle scale a seguire con lo sguardo Pietruccio e, mentre

fa il gesto di salutare i due amanti, alle sue spalle sopraggiunge silenzioso don

Vincenzo. Nel vederlo, Enricuccio preso dal terrore, vorrebbe gridare, ma don

Vincenzo gli serra la bocca, lo spinge in casa e gli fa cenno di tacere, minacciandolo;

dopodiché, si avvia per le scale lasciando Enricuccio tremante che vorrebbe scappare,

se le gambe non gli si piegassero.

CONCETTA (affacciandosi) Hai visto che hai combinato, ruffiano?… Mò succede una tragedia! Io vado a chiama’ la gente, le guardie! (via)

Si sentono delle urla e dei colpi di pistola. Pietruccio si precipita per le scale; pallido e spaventato, entra in casa di don Giovanni e fa per nascondersi da qualche parte.

AMALIA (da fuori) Vince’, per carità! Vince’!

Don Vincenzo, pallido, con la rivoltella in pugno, entra in scena, vede Pietruccio, lo

rincorre, ma questi riesce a scappare per la comune. Si sentono due colpi di pistola.

Amalia, aggrappata ai ferri del finestrone, grida e poi sviene. Don Vincienzo entra

dalla comune, afferra Enricuccio che intanto si era nascosto sotto una coperta.

VINCENZO Tu chi sei?

ENRICUCCIO Sono la sorella della portiera!

VINCENZO (puntandogli la pistola sulla tempia) Dopo sparo pure a te. (esce)

CONCETTA (rientrando)Enricu’, che è stato? Enricu’! (Enricuccio si dibatte ma non riesce a parlare) E dici, dici!… Questo è muto, è diventato muto! (Enricuccio sviene; alcuni inquilini si affacciano, mentre Amalia è stata trasportata al piano superiore).

S I P A R I O

ATTO SECONDO

La stessa scena del primo atto. Il mattino dopo.

All’alzarsi del sipario Enricuccio è solo in scena, intento a rimirare il mazzo di sorbe.

ASSUNTA (dall’esterno) Nun parla cchiù. Chissà che ll’è venuto?

CARMELA (dall’esterno) Che sarà stato? Uh, povero guaglione!

ASSUNTA (entrando) Donna Cristi’, è permesso? (alle altre) Entra, entra… (Carmela entra) Ah, sta ccà… (a Enricuccio che sembra indispettito) Non dovresti stare a letto?… Addò sta mammà?

CARMELA Se ha perso la lingua, come può rispondere?

ASSUNTA Ih, che guaio che hanno passato! Quello già era scemo, mò ha perso pure la lingua… Per poco non ha perso pure le gambe… (Enricuccio fa boccacce mugulando) Bello mio! Che te senti, core mio?… Ih, quanto si’ brutto!

CARMELA Non l’offendere!

ASSUNTA Tanto non può rispondere! (Enricuccio fa gesti di minaccia)

CARMELA Poverino, ha veramente perso la lingua?

ASSUNTA Carme’, ‘o guaglione era già fraceto.

CARMELA Fraceto?

ASSUNTA Sì, era come una mela bacata… Non vedi che faccia ingiallita tiene? Già era un ospedale. La paura ha fatto il resto.

CARMELA La paura?

ASSUNTA Perché non lo sai che faceva il portapollastri alla moglie di don Vincenzo?

CARMELA Il portapollastri?

ASSUNTA Uh, Giesù! Come v’aggi’a spiega’? Faceva il ruccu-ruccu, il

ruffiano. Portava lettere e ambasciate a don Pietruccio… Donna Carme’, quello

anche a me ha fatto una corte che non potete immaginare, ma ha capito subito

che non c’era trippa per gatti…

CRISTINA (entrando) Buongiorno, donna Assu’! Buongiorno… (le due donne rispondono a soggetto)

ENRICUCCIO (additando le due donne, fa segno a Cristina che è stato insultato e che vorrebbe essere vendicato; poiché Cristina non capisce, brandisce una sedia e vorrebbe cacciare le donne)

CRISTINA (rabbonendolo) Non fare lo scostumato, bell’’e mammà! (alle donne) Avete visto che disgrazia mi è capitata?

ASSUNTA Siamo venute per questo, donna Cristi’. Com’è stato?

CRISTINA E chi lo sa? Da un momento all’altro non ha parlato più.

(Enricuccio esce per un momento)

CARMELA Donna Cristi’, fatevi coraggio… E’ cosa da niente…

ASSUNTA Vedrete che gli passerà… Il dottore lo avete chiamato?

CRISTINA Sì, stamattina, ma non è ancora venuto.

ASSUNTA Donna Amalia l’avete vista?

CRISTINA No. Con i guai che tiene per la capa…

CARMELA Ma quali guai?… E’ tutto finito.

ASSUNTA Quello scornacchiato fa sempre così: prima rivolta la casa e poi fa la pace.

CARMELA Poco fa stavano al balcone a parlare come due innamorati…

CRISTINA Giesù, Giesù, non ci si crede!

ASSUNTA (facendo per uscire) Donna Cristi’, statevi buona…

CARMELA Speriamo che è cosa da niente… (le due donne escono; entra Enricuccio, sempre minaccioso verso queste)

GIOVANNI (entra) Cristi’, il dottore è arrivato?

CRISTINA Non ancora…

GIOVANNI Oggi che si mangia?

CRISTINA Facciamo due maccheroni al ragù.

GIOVANNI Soltanto?

CRISTINA Non ti basta? Che ti sei messo in capo? Di quei quattro soldi che hai portato è rimasto ben poco… Il padrone di casa, il macellaio, il panet- tiere e così via…

GIOVANNI Hai già speso tutto? A voi donne non bisognerebbe mai darvi un soldo in mano!

CRISTINA Non dovevo pagare i debiti?

GIOVANNI Quando faccio un affare, sei pregata di non pagare i debiti, altrimenti l’affare lo fanno gli altri… (a Enricuccio) E tu nemmeno saluti?

CRISTINA Hai dimenticato che non parla più?

Il dottor Gervasi entra dalla comune con una borsa in mano.

DOTTORE Permesso?

CRISTINA Entrate pure, dottore. (indicandogli Enricuccio) E’ per il ragazzo… Ieri, stava bello e buono, e tutto ad un tratto non ha parlato più.

GIOVANNI Lascia parlare a me!… Dunque, dottore, dovete sapere che il ragazzo è scemo e, del resto, si vede… Però, ce lo siamo cresciuti lo stesso. Lui non è nostro figlio.

CRISTINA Quando mia sorella, pace all’anima sua…

GIOVANNI (interrompendola) Non perderti in chiacchiere inutili, che il dottore ha fretta!… Come vi dicevo, il ragazzo é figlio della buon’anima di sua sorella che morì in seguito ad una malattia…

CRISTINA Chi diceva meningite, chi diceva polmonite…

GIOVANNI (c.s.) Ma ti vuoi stare zitta! Dunque, dotto’…

DOTTORE Don Giova’, visitiamo l’ammalato… Queste cose non interessano la scienza.

GIOVANNI Ma interessano a me. Voi potreste pensare: “Come mai don Giovanni tiene un figlio scemo?” Che sia chiaro che questo non è mio figlio.

DOTTORE (a Enricuccio che si nasconde dietro alla madre e che non vuole essere visitato) Vieni qui e togliti la giacca! (Cristina con fatica toglie la giacca a Enricuccio)

GIOVANNI Ubbidisci al dottore!

DOTTORE (mettendo lo stetoscopio sul torace del ragazzo) Respira forte…

E adesso di’ trentatre! (Enricuccio indica con le mani i due numeri tre)

DOTTORE L’apparato respiratorio è a posto… Anche il cuore funziona bene… Adesso, siediti che controlliamo i riflessi! (Enricuccio resta impalato)

GIOVANNI Assèttete! (il dottore prende il martelletto e sta per dargli dei piccoli colpi sulle ginocchia)

CRISTINA Dotto’, non gli fate male!

DOTTORE No, quale male! (gli dà dei colpi sulle ginocchia finché Enricuccio non gli sferra un calcio)

GIOVANNI Stai fermo!

DOTTORE No, è la reazione nervosa. (estrae dalla borsa uno spillone, mentre Enricuccio cerca di scappare)

GIOVANNI (trattenendo il figlio) Stai buono!

DOTTORE (come lo punge sulla coscia, Enricuccio ha un sobbalzo, si scaglia contro il medico e gli dà del cornuto a gesti)

DOTTORE Però, che scostumato!

GIOVANNI Dottò, ve l’ho detto che è scemo.

CRISTINA E’ una cosa grave, dotto’?

DOTTORE Si tratta di un trauma di origine nervosa… Il ragazzo è indub-biamente di natura epilettoide e quindi predisposto all’infantilismo. Adesso è ritornato allo stato in cui si trovava prima di apprendere l’uso della parola… Bisognerà rieducarlo, cominciando dai primi elementi, piano piano e con molta pazienza… E’ una cosa lunga. Dovrete dedicargli due o tre ore al giorno, dandogli l’imbeccata e iniziando con le parole più facili: ma-ma, pa-pa…

GIOVANNI Come se fosse un neonato?

DOTTORE Esatto.

GIOVANNI Ricominciamo da capo! Quello ha imparato a parlare da poco. Ci abbiamo messo trent’anni per impararlo!

DOTTORE E’ una cosa lunga. A meno che non si verifichi il caso che una forte emozione gli faccia riacquistare di colpo la parola, così come l’ha perduta… Altrimenti, allenandolo due o tre ore al giorno, potrebbe essere necessario qualche anno prima che il ragazzo riacquisti la favella… Adesso, vi prescrivo un calmante per i nervi, gliene date tre cucchiai al giorno, dopo i pasti. (scrive la ricetta)

GIOVANNI Dopo i pasti? E quando glielo diamo! Abbiate pazienza, ma tre cucchiai dopo i pasti non è possibile…

DOTTORE Non avete il cucchiaio?

GIOVANNI No, non abbiamo i pasti!

DOTTORE Mi dispiace, ma va preso dopo i pasti.

GIOVANNI Va bene, ci arrangeremo…Per quanto tempo?

DOTTORE Per tre mesi.

GIOVANNI Non è che poi parla troppo?… (chiamando) Cristina!

CRISTINA (dando una busta al dottore) Grazie, dotto’.

DOTTORE Grazie a voi. Torno più tardi a vedere come sta. Mi raccomando: agitate sempre la bottiglia prima di dargli la medicina. Arrivederci. (esce)

CRISTINA Arrivederci.

GIOVANNI Arrivederci e grazie.

CRISTINA Io vado in farmacia a spedire la ricetta…

GIOVANNI Va, va… Torna presto che devo andare dall’avvocato a portare certi documenti. Domani mattina mi devo alzare presto per andare dal notaio.

ENRICUCCIO (a gesti, cerca di dirgli di non andare dal notaio, altrimenti perderebbe l’eredità)

GIOVANNI Che c’è, che mi vuoi dire?… Mare… Lontano… Fede… Saluto… Cinque… Non ti agitare! Già sei brutto, con le smorfie diventi ancora più brutto…

CRISTINA (facendo per uscire) Ma quale brutto? E’ bello Enricuccio mio.

GIOVANNI Ogni sgarrafone è bello a mamma suia! (Cristina esce) Su, cerca di parlare! Piano piano… Guardami in bocca: ma-ma…ma-ma…pa-pa…pa-pa…ba-ba… (Enricuccio, non riuscendoci, si mette a piangere) Ti do un soldo per ogni parola che dici.

ENRICUCCIO (allungandogli la mano per prendere il soldo) Papà.

GIOVANNI Potenza del denaro! Ecco il soldo. (glielo dà)

ENRICUCCIO (c.s.) Mammà.

GIOVANNI (dandogli un altro soldo) Non parlare troppo!

ENRICUCCIO (c.s.) Zio… Nonna…

GIOVANNI No, nonna è morta, nun ce sta cchiù. Adesso devi parlare senza soldi…

BRIGADIERE (entrando) Disturbo, don Giova’?

GIOVANNI Accomodatevi, bridadie’… In cosa posso servirvi… Vi posso offrire un bicchiere di vino?

BRIGADIERE No, grazie… In servizio non bevo mai.

GIOVANNI Meglio così, perché non ce ne stava…

BRIGADIERE Don Giova’, dovrei interrogare un momento il ragazzo.

GIOVANNI Interrogatelo pure. Vi rispondo io. Di che si tratta?

BRIGADIERE No, deve rispondere lui. Mi deve raccontare cosa ha visto e sentito ieri sera, quando è successa quella lite tra moglie e marito…

GIOVANNI Donna Amalia e don Vincenzo?… Ma, è finito tutto, si sono rappacificati.

BRIGADIERE Lo so, ma il commissario vuole sapere se veramente sono stati sparati due colpi di rivoltella.

GIOVANNI Io non ho sentito niente perché non c’ero… (vedendo la moglie rientrare) Ah, ecco Cristina! Possiamo domandare a lei.

CRISTINA Buongiorno brigadie’.

BRIGADIERE Donna Cristi’, sedetevi… (Cristina esegue) Mi sapreste dire chi è che ha sparato ieri sera due colpi di pistola?

CRISTINA Hanno sparato?… Due colpi di pistola?… Io non ho sentito niente.

BRIGADIERE E tu, Enricuccio, lo sai chi ha sparato?

ENRICUCCIO (allunga la mano per la mancia)

GIOVANNI Leva ‘sta mano! Lui non sa niente. Ha dormito tutto il giorno.

BRIGADIERE Ha dormito, eh? Insomma, qua nessuno ha sentito niente.

GIOVANNI e CRISTINA Niente, niente.

BRIGADIERE Nessuno ha visto niente?

GIOVANNI e CRISTINA Niente, niente.

BRIGADIERE Qua non è successo niente?

GIOVANNI e CRISTINA Niente, niente.

BRIGADIERE Non mi resta che riferire che nello stabile di Via Andrea Relavi 54 non è avvenuto alcunché?

GIOVANNI e CRISTINA Alcunché, alcunché.

BRIGADIERE (facendo per uscire) Stateve buono. (esce)

CRISTINA Buona giornata.

AMALIA (affacciandosi) E’ permesso?

CRISTINA Venite.

AMALIA (entra) Donna Cristi’, il brigadiere che voleva?

CRISTINA Voleva sapere chi ha sparato nel palazzo, ma noi non abbiamo parlato.

AMALIA Per carità! Nessuno. Chi aveva sparà? Vincenzino mai è innocente.

GIOVANNI Innocente?

AMALIA Ha sparato, è vero, perché è focoso. Si è adombrato per certe voci che hanno messo sul mio conto qui nel palazzo…Adesso, abbiamo fatto pace, ma sapete comm’è… E’ così sospettoso… Capace che viene qui a domandare se Enricuccio qualche volta ha portato delle lettere per mio conto. Io, di voi, sono sicura, ma o’guaglione avesse parlà?

GIOVANNI Magari fosse!

AMALIA Mme vulite fa accidere?

GIOVANNI No, dicevo: “Fosse Iddio che gli ritornasse la parola!” il ragazzo si è ammutolito… Un trauma nervoso, il fondo epilettoide e si è infantilito. Quindi, potete stare tranquilla.

AMALIA Uh, che disgrazia!

GIOVANNI Per voi è una fortuna!… (cercando di allontanare la moglie) Cristina, la medicina non gliela dai?

CRISTINA Deve prima mangiare.

GIOVANNI Allora, prepara… Donna Ama’, fatemi il piacere di non mandare più Enricuccio a portare lettere e ambasciate al vostro giovanotto.

AMALIA State tranquillo, non capiterà più. Col giovanotto è tutto finito. Mio marito mi ha perdonata… (sensuale) Adesso come farò?… Don Giova’, io ogni tanto mi devo abbandonare…

GIOVANNI Abbiate pazienza, se voi vi abbandonate, noi qua passiamo i guai. Vi prego: non vi abbandonate più!

AMALIA Mi abbandonavo, don Giova’. Adesso, non mi abbandono più.

GIOVANNI Come mai?

VINCENZO (chiamando da fuori) Amalia!

AMALIA Perché lui non mi abbandona e io non mi posso abbandonare… (esce)

GIOVANNI Uh, la Madonna dell’abbandono! (prende le sue carte e , come fa per imboccare la comune, s’imbatte nell’avvocato che entra)

AVVOCATO Don Giova’, stavate per uscire?

GIOVANNI No, prego, accomodatevi. Come mai in anticipo? Dovevate venire domani.

AVVOCATO Il notaio parte e l’atto dobbiamo firmarlo oggi stesso.

GIOVANNI Oggi? Allora, i soldi me li date subito?

AVVOCATO Certamente.

GIOVANNI Non diciamo niente a mia moglie, così le faccio una sorpresa…

AVVOCATO Aspettate, sono io che voglio farvi una sorpresa… (chiamando Sandrino che era rimasto fuori) Entrate, signor barone…

GIOVANNI Il barone in casa mia? (si guarda intorno e cerca di mettere ordine) Io mi vergogno.

AVVOCATO Lo faccio entrare… (esce per tornare subito dopo con Sandrino)

GIOVANNI (alla moglie e al figlio che erano in camera) Voi rimanete dentro…

Il barone in casa mia! Che emozione!… (vedendo Sandrino) Quant’è bello! Sembra un’apparizione!

AVVOCATO (facendo le presentazioni) Barone, vi presento Giovanni Ruòppolo, vostro padre… Il futuro barone, Sandrino di Torrepadula, vostro figlio…

GIOVANNI (inchinandosi) Piacere, figlio mio bello. (stende la mano verso Sandrino che lo lascia con la mano tesa e che, con aria altezzosa, gli fa cenno di allontanarsi) Piacere, figlio mio bello… (Sandrino c.s.) Piacere, figlio mio bello… Quale onore potervi ricevere nella mia umile dimora!

SANDRINO Statte sitto! Avvoca’, questo sarebbe il tale che…

AVVOCATO Che vi riconosce come figlio.

SANDRINO (squadrandolo dalla testa ai piedi) Quello là? Potevate trovare qualcosa di meglio. Come posso presentare un padre simile?

AVVOCATO Perché? Non si presenta poi così male…

SANDRINO Non si presenta male? (Enricuccio entra)

AVVOCATO (a Giovanni) Ma cosa mi combinate?

GIOVANNI (riferendosi a Enricuccio) E’ entrato all’improvviso…

AVVOCATO No, dicevo a voi. Mettetevi un po’ in ordine.

GIOVANNI (sistemandosi) Non aspettavo la visita del signor barone…

AVVOCATO Già va meglio…(a Giovanni che subito esegue) Voltatevi! (a Sandrino) Vedete: ha un bel portamento… Don Giova’, adesso passeggiate.

GIOVANNI Dove devo andare?

AVVOCATO Camminate in casa.

GIOVANNI (grottesco, nel tentativo di darsi un’aria aristocratica, mentre Sandrino lo guarda schifato) Ma che bella giornata! Ma che bella giornata!

AVVOCATO Adesso fate finta di incontrare la contessa…

GIOVANNI Signora contessa…

AVVOCATO Sciolto!

GIOVANNI Ma che bella giornata! Ma che bella giornata!

AVVOCATO Sciolto!

GIOVANNI Avvoca’, più sciolto di così mi squaglio! Ch’aggia fa’?

AVVOCATO Camminate normale.

GIOVANNI Normale…(cammina in lungo e largo come una trottola)

SANDRINO Fatelo fermare!

AVVOCATO Fermatevi, don Giova’!

GIOVANNI Che debbo fare?

SANDRINO Niente, non dovete fare niente.

GIOVANNI Perché?

SANDRINO Perché non va bene. Non va bene… Mi avevate parlato di un tipo distinto… Avevate detto: “Quello tiene ‘na figura da professionista. Pare una persona per bene. E’ elegante”. E’ elegante quello la?

AVVOCATO Perché non è elegante?

SANDRINO Ma famme ‘o piacere!

AVVOCATO Non vi va bene?

SANDRINO No, non mi va bene.

AVVOCATO Con quello che gli abbiamo dato!

SANDRINO Potevamo spendere anche meno.

AVVOCATO Meno di centomila lire?

GIOVANNI (preoccupato, all’avvocato) Non mi vuole più?

AVVOCATO Aspettate… (a Sandrino) Per centomila lire potevo trovare solo uno come lui, un miserabile, un morto di fame, un disgraziato con l’acqua alla gola… (a Giovanni) Non vi pare?

GIOVANNI E come no!

SANDRINO Oramai è fatta. La colpa, del resto, è stata mia. Prima di cacciare le trentamila lire, il soggetto me lo dovevo scegliere da me…

AVVOCATO (sdegnato) Che volete dire, che non so fare il mio lavoro?

SANDRINO Esattamente.

AVVOCATO Io meglio di così non potevo servirvi. Dove lo trovavate un pover’uomo disposto a rischiare la galera?

GIOVANNI La galera? Come, la galera? Voi volete scherzare…

AVVOCATO No, non sto scherzando, don Giova’. La galera! Se si scopre il fatto, ci stanno cinque anni di carcere. (Sandrino gli fa cenno di stare zitto) Lo vogliamo dire o no questo fatto?

GIOVANNI Avvoca’, dovevate dirmelo ieri questo fatto.

AVVOCATO Falso in atto pubblico…

SANDRINO Zitto!

AVVOCATO So’ cinc’anni.

GIOVANNI Perché non me lo avete detto?

AVVOCATO Che ve lo dicevo a ffa? Non avreste accettato?

GIOVANNI Magari, avrei accettato lo stesso, ma si discuteva la cifra. Visto che c’è il pericolo della galera, dobbiamo aumentare la cifra.

SANDRINO Che aumentare? Che aumentare?

GIOVANNI Sì, aumentare. Io ieri non sono stato messo al corrente del rischio

della galera.

SANDRINO Ma quando mai? Avvoca’, può andare in galera questo qua?

AVVOCATO No.

SANDRINO No.

GIOVANNI Hanno già cambiato la legge?

SANDRINO Hanno cambiato la legge.

GIOVANNI All’improvviso: Prima avete detto che c’era la galera…

AVVOCATO Sì, ma se c’è la denuncia. Chi volete che vi denunci? Dovrebbe denunciarvi lui, e lui non ha interesse… Voi, lo stesso. Che fate, vi volete autodenunciare?… Quindi, la cosa resterà segreta.

GIOVANNI E se si viene a sapere?

AVVOCATO In che modo?

GIOVANNI Avvoca’, mi dispiace, se non mi date qualcosa in più, non se ne fa niente.

SANDRINO Sì, avvocato, svincoliamoci. Possiamo trovare di meglio.

GIOVANNI Ah, voi trovate di meglio? Uno che cammina meglio di me?

SANDRINO Ma iatevenne!… Avvoca’, andiamo via, qui c’è una puzza insopportabile.

AVVOCATO (a Sandrino) Aspettate un momento. Lo convinco io.

SANDRINO Chi devi convincere? Fatti dare le trentamila lire e andiamo via.

AVVOCATO E poi, che facciamo?

SANDRINO Ne troviamo uno a poco prezzo.

AVVOCATO Ci pensate voi?

SANDRINO Ci penso io.

AVVOCATO Una volta che è così… Don Giova’, mi dispiace ma non se ne fa più niente. Restituitemi l’anticipo e sia come non detto…

GIOVANNI (fingendo di non capire) Certo, il rischio è grave…

AVVOCATO Oramai, non è più il caso di parlarne.

GIOVANNI E’ quello che dico anch’io. Arrivederci, avvocato.

AVVOCATO Come: arrivederci?… Mi dovete restituire l’anticipo.

GIOVANNI Quale anticipo?

AVVOCATO Le trentamila lire.

GIOVANNI Voi mi avete dato trentamila lire?

AVVOCATO Certo.

GIOVANNI Non me lo ricordo. Quando me le avete date?

AVVOCATO Ieri, a questo tavolo. Non vi ricordate? E una… e due… e tre.

GIOVANNI Vi ho firmato una ricevuta?

AVVOCATO No.

GIOVANNI Le trentamila lire non me le avete mai date. Voi non vi ricordate i

cinque anni di galera e io non mi ricordo le trentamila lire.

AVVOCATO Un momento, io vi ho dato la mia fiducia…

GIOVANNI Io sono una persona per bene, non vi preoccupate. Le trentamila lire me le avete date. Ma, se volete che faccio il padre del giovanotto, invece delle settantamila lire, mi date altre centomila lire e corro il rischio della galera.

SANDRINO Come, come, come?

GIOVANNI Sì, signor barone, mi dovete dare altre centomila lire.

SANDRINO Voi vorreste centotrentamila lire per questo affaruccio?

GIOVANNI Lo chiamate: “affaruccio”? Ci sono cinque anni di galera. Che sono centotrentamila lire? Nemmeno trentamila lire all’anno.

AVVOCATO (a Sandrino) Che dobbiamo fare?

SANDRINO Che dobbiamo fare? Non se ne parla proprio. Andiamo, che c’è una puzza…

GIOVANNI E dagli con la puzza! Ma quale puzza? Siete voi che puzzate di profumo. A casa mia, puzziamo di fame, ma non abbiamo altre puzze.

AVVOCATO Don Giova’, che dobbiamo fare? Centomila lire o l’affare va a monte.

GIOVANNI Facciamo centoventimila.

AVVOCATO Baro’: centoventimila…

SANDRINO Niente, non caccio una lira di più della cifra pattuita.

GIOVANNI Va bene: centodiecimila.

SANDRINO Ma che stiamo al mercato? (facendo per andare) Statevene buono.

AVVOCATO Aspettate!… (piano a Giovanni) Don Giova’, accettate le settantamila lire, altrimenti questo se ne va. Voi avete bisogno…

GIOVANNI Questo è il guaio, che ho bisogno. Mia moglie ha già speso le trentamila lire che mi avete dato per pagare i debiti e così sono di nuovo bisognoso. Posso mai rifiutare settantamila lire? Avete vinto voi. Barò, datemi le settantamila e non ne parliamo più.

AVVOCATO Un momento, dovete venire dal notaio, firmare questa dichiara- zione e avrete il pattuito. (tira fuori una carta) Leggete.

GIOVANNI Dove devo firmare?

AVVOCATO Qua sotto.

GIOVANNI Datemi una penna.

AVVOCATO No, davanti al notaio

GIOVANNI Va bene, andiamo dal notaio. (fa per dargli la carta ma Enricuccio, che durante l’ultima parte della conversazione silenziosamente era uscito dalla camera, gliela strappa dalle mani e, mugulando e con gesti di diniego, cerca di far capire al padre che l’atto non deve essere firmato) Scusate un momento, il ragazzo è malato. Ha avuto una crisi di nervi. Adesso gli passa…

SANDRINO Pure lo scemo dint’a casa!

GIOVANNI Non è scemo. E’ malato. Sta buono, delinquente!… E’ cresciuto in casa mia come un figlio ed è geloso. Ha sentito che mi adotto un figlio e non vuole… (levando la carta a Enricuccio) Calmete, bell’’e papà! (Enricuccio cerca di riprendersi la carta) Sta fermo! Non te la posso dare… (Enricuccio c.s.) E’ dell’avvocato… Non te la posso dare… (Enricuccio c.s.) La straccio, ma non te la do! (esegue) Delinquente, mi ha fatto stracciare la carta!… Che ci volete fare, si è affezionato assai a me…

SANDRINO Come nu cane.

GIOVANNI (facendo per uscire) Stai buono. Non vado dal notaio. Vado al caffè con questi amici… (all’avvocato, ammiccando) Avete visto come si è calmato? (commuovendosi) Non credevo che mi volesse così bene.. Andiamo, avvoca’! E’ lontano?

AVVOCATO No, è qua. Sono due passi…

GIOVANNI (al figlio) Mi raccomando… Se fai il bravo, ti porto il pasticciotto.

SANDRINO Comprategli l’osso.

ENRICUCCIO (cercando di dire a Sandrino “a soreda”) A sor…

SANDRINO A mammeta!

GIOVANNI Che avete capito: “a soreda”? No, ha detto ‘e sorbe. (al figlio) Vuoi le sorbe? (Enricuccio fa cenno di no e che voleva dire proprio a soreda)

SANDRINO Allora, avevo capito bene! (esce insieme all’avvocato)

GIOVANNI Stai buono, delinquente! (esce)

Enricuccio, giulivo, raccoglie i pezzetti della carta stracciata e ci gioca come fossero

fiocchi di neve. Don Vincenzo, guardingo e furtivo, entra e sorprende Enricuccio alle

spalle, che tenta di scappare.

VINCENZO Vieni qua! Ascoltami bene: tu sei l’unico testimone del piccolo incidente che è avvenuto ieri. So che alla questura stanno cercando di sapere chi ha sparato… (Enricuccio indica con il dito don Vincenzo) Leva questo dito! Fallo sparire!… (Enricuccio fa il verso di farlo sparire) Non devi mai parlare. Mai! Quando il brigadiere ti domanda: “Enricuccio, chi ha sparato?” (Enricuccio fa per indicare don Vincenzo con il dito, ma questi lo blocca) Fermo!… Quando il brigadiere ti domanda chi ha sparato tu devi dire… (Enricuccio indica don Vincenzo con il dito dell’altra mano) Fai sparire pure quest’altro!… (Enricuccio esegue) La vedi questa rivoltella? Ci stanno sei colpi dentro. (Enricuccio lo corregge indicando quattro) Hai ragione: due gli ho sparati. Se tu parli, ne rimangono tre. Hai capito che non devi mai parlare?… (Enricuccio, atterrito, annuisce) Nemmeno tra un mese, nemmeno tra due mesi… (Enricuccio a gesti gli chiede: “tra tre mesi?”) Nemmeno tra tre mesi. Mai! Vediamo se hai capito… Io sono il brigadiere, arrivo e ti domando: “Enricuccio, ti ricordi per caso quel giorno chi fu a sparare? (Enricuccio fa segno di no) Pensaci bene!… Allora?… Chi fu? (Enricuccio indica don Vincenzo) Piezz’’e carogna! (infuriato, agita la rivoltella finché non gli parte un colpo di rivoltella) Non sono stato io! Madonna, che aggio fatto? Non sono stato io! (scappa dalla comune)

CRISTINA (rientrando) Hanno sparato ancora! Chi è stato? Non se ne può più in questo palazzo! (al figlio) Chi è stato? (affacciandosi) Signora De Lucia! Donna Conce’!… Chi ha sparato?

ENRICUCCIO Quel cornutone di don Vincenzo.

CRISTINA Giesù! Enricu’, tu hai parlato! Bell’’e mammà, tu hai parlato!

(abbraccia festosa il figlio, poi vedendo arrivare Giovanni) Ecco pure papà.

GIOVANNI (entrando, carico di bottiglie e pacchetti) Che succede?… Hanno sparato ancora?

CRISTINA Giova’, Enricuccio parla, parla un’altra volta!

GIOVANNI Davvero? Fai sentire a papà!

ENRICUCCIO Papà, tengo fame.

GIOVANNI (scarica sul tavolo bottiglie e pacchetti) Bravo, bell’’e papà!

Festeggeremo pure questo avvenimento. (Enricuccio esce) Piglia i bicchieri, Cristi’, che dobbiamo festeggiare un avvenimento che è capitato a tuo marito.

CRISTINA Quale avvenimento?

GIOVANNI Dopo te lo racconto davanti agli amici… Fammi il piacere, valli a chiamare… Tu, Enricuccio, sali da donna Amalia e dille se vuole venire a bere un bicchierino.

ENRICUCCIO No, non ci vado. ‘O marito spara!

GIOVANNI Il ragazzo sta ancora impressionato. Vai tu, Cristi’. Enricuccio va a chiamare la portiera… (Enricuccio esce per tornare subito dopo)

CRISTINA (da fuori della comune) Donna Carmela!… Donna Assunta! Venite!… Donna Amalia, scendete, mio marito vi vuole!

CONCETTA (entrando) Buonasera.

GIOVANNI Accomodatevi, donna Conce’, che dobbiamo brindare!

CONCETTA Ah, sì?

CARMELA (entra insieme ad Assunta) E’ permesso?

GIOVANNI Prego, prego… Accomodatevi. Dobbiamo festeggiare, perché sono capitate due cose belle: innanzi tutto, Enricuccio parla un’altra volta…

ENRICUCCIO Papà, ‘ste ciantelle cacciale via!

GIOVANNI Avete sentito come parla?

CONCETTA Me ne sono già accorta, perché come mi ha visto, mi ha detto una brutta parola.

GIOVANNI (al figlio) Maleducato! Dici brutte parole?

AMALIA Permesso?

CRISTINA Accomodatevi…

AMALIA Buonasera.

GIOVANNI Vostro marito?

AMALIA Uh, tiene il mal di testa e si è messo a letto. Quello dorme fino a domani.

GIOVANNI Allora, gli porterete i nostri auguri di pronta guarigione… (tutti si dispongono attorno al tavolo, Cristina offre i pasticcini, Giovanni versa da bere nei bicchieri che passa poi a Enricuccio, affinché questi li distribuisca ai presenti, ma egli se li scola e passa ai presenti il bicchiere vuoto) A donna Concetta… A donna Amalia…

CRISTINA (accorgendosi che il figlio si sta scolando tutti i bicchieri) Ma che fai?

GIOVANNI Perché? Che ha fatto?

CRISTINA Si è scolato tutti i bicchieri.

GIOVANNI (tirando le orecchie al figlio) Già sei scemo, ti ubriachi pure! Stai seduto, maleducato! (versa da bere a tutti di nuovo) Alla salute!… Adesso, voglio raccontarvi cosa mi è capitato oggi…

VINCENZO (affacciandosi al finestrone) Scusate, avete visto mia moglie?

GIOVANNI Sì, sta qua.

AMALIA (scocciata) Sto qua, sto qua…Ma tu non stavi a letto? Non tenevi il mal di testa?

VINCENZO Adesso, mi è passato.

GIOVANNI Don Vince’, accomodatevi, venite a bere un bicchierino con noi!

VINCENZO (entra e avvicinandosi alla moglie) Amaliuccia, che paura! Non ti trovavo più…

GIOVANNI (passandogli un bicchierino) Bevete.

VINCENZO Grazie.

GIOVANNI Grazie a voi, cari amici dell’onore che mi fate a intervenire a questa piccola festa che si fa…

ENRICUCCIO A questa piccola festa che si fa…

GIOVANNI Non mi interrompere, maleducato!… Hai ritrovato la parola?

ENRICUCCIO Sì.

GIOVANNI Mò, statte zitto e non parlare più!… Cari amici, la vita dell’uomo certe volte è come una giornata invernale: pioggia, lampi, saette. Poi, quando meno te lo aspetti, si aprono le nuvole ed esce un raggio di sole. Guardate! (cava fuori dal portafogli le settantamila lire che mostra a tutti con fierezza)

Cristì, tienilo tu il denaro! Contalo bene: devono essere settantamila lire…

VINCENZO Complimenti! Avete fatto qualche affare?

GIOVANNI Un piccolo affare, un po’ rischioso… Ma, come si dice, chi non risica non rosica. Però, ho avuto la soddisfazione che il notaio mi ha detto: “Avete fatto una buona azione” e se lo dice il notaio…

ENRICUCCIO Papà, papà! Il notaio?

GIOVANNI Sì, il notaio. (agli altri) Dunque, vi dicevo…

ENRICUCCIO Papà, il notaio, adesso che mi ricordo, è venuto qua ieri…

GIOVANNI Che stai dicendo? Sono andato io dal notaio…

ENRICUCCIO Papà, il notaio… Cinquanta milioni…

GIOVANNI Che stai dicendo: cinquanta milioni? Questo ha ritrovato la parola e ha perduto del tutto il cervello! Fammi raccontare, non dire sciocchezze!

ENRICUCCIO Papà, zio Federico… E’ morto e ti ha lasciato cinquanta milioni…

GIOVANNI Stai calmo! Hai fatto un bel sogno, eh?

ENRICUCCIO Guarda! (gli dà il biglietto da visita del notaio)

GIOVANNI Cos’è questo?… (leggendo) Notaio Bagliulo… Ma allora… E’ morto Federico?… Parla! Che ti ha detto il notaio?

ENRICUCCIO Il notaio è venuto qua ieri… L’ho ricevuto io…

GIOVANNI E che ti ha detto?

ENRICUCCIO Ha detto così: “Dì a don Giovanni… il fratello Federico è morto…

Ha detto una cosa… in testa…

GIOVANNI Come in testa?

ENRICUCCIO In testa… (si tocca la testa e poi il mento) Mento… Testamento…

GIOVANNI Il testamento! Ha scritto il testamento. E che dice il testamento?

ENRICUCCIO “Io sono Federico Ruoppolo e voglio lasciare a mio fratello, Giovanni Ruoppolo, cinquanta milioni”.

GIOVANNI Allora, è vero?… (ride come impazzito, poi piange) Povero Federico! Hai sentito, Cristi’? Cinquanta milioni! (a Enricuccio) E me lo dici adesso?

ENRICUCCIO Non potevo parla’. Però, ti ho fatto segno di non firmare la carta e tu hai fatto bene a stracciarla…

GIOVANNI Ma quale carta?

ENRICUCCIO La carta del figlio. Se la firmavi non pigliavi niente, perché il notaio ha detto che se tu tieni il figlio…

GIOVANNI Che succede?

ENRICUCCIO Si pappa tutto lui! (Giovanni viene colto da un malore, prova a parlare ma riesce solo a mugulare, si abbatte su una sedia)

CRISTINA Giova’!… Giova’!

CONCETTA Che vi sentite? Non ci fate mettere paura!

CRISTINA Giova’! Madonna, chillo non parla cchiù!

ENRICUCCIO Levatevi di mezzo! Ci penso io a farlo parlare… Ma-ma… Pa-pa… Pa-pa… Pa-pa…

SIPARIO

ATTO TERZO

La stessa scena degli atti precedenti. Il giorno successivo.

Enricuccio sta giocando con il Pulcinella e suona la trombetta. Entra Cristina con la spesa che subito sistema nella credenza.

ENRICUCCIO Mammà, tengo fame.

CRISTINA Mamma ti ha portato una cosa buona…

ENRICUCCIO Le sorbe?

CRISTINA Ma quali sorbe!… Papà sta ancora dormendo?

ENRICUCCIO L’ho chiamato, si è vestito e si è infilato un’altra volta nel letto.

CRISTINA Come, vestito?

ENRICUCCIO Sì, ma senza le scarpe, perché me le ha tirate appresso… Adesso, parla bene. E’ bastata la mia lezione… Pa-pà… Ma-mma…(Enricuccio suona la trombetta)

CRISTINA Stai buono! Quando papà dorme, il Pulcinella non lo vuole sentire. Su, dammi il Pulcinella!

ENRICUCCIO No, è mio. (le scappa)

NOTAIO (affacciandosi alla comune) E’ permesso? Buongiorno. Don Giovanni è in casa?

CRISTINA Sì, accomodatevi…

NOTAIO Sono il notaio Bagliulo.

CRISTINA Adesso ve lo chiamo… (si avvia verso la camera)

ENRICUCCIO Mammà, quello che è venuto ieri… (al notaio) Io a papà ce l’ho detto: “Cinquanta milioni… Tuo fratello è morto… Non devi firmare quella carta! Non devi legittimare il giovanotto! Non devi legittimare il giovanotto!”

NOTAIO Bravo, perché se l’avesse legittimato, sarebbe stato un bel guaio!

ENRICUCCIO Si pappa tutto lui!

NOTAIO Bravo!

GIOVANNI (appare dalla camera con il viso stravolto, al figlio) Delinquente, dammi subito il Pulcinella! Mi ero appisolato e mi hai svegliato col Pulcinella.

ENRICUCCIO Non ce l’ho.

GIOVANNI Tu ce l’hai. Dammi il Pulcinella!

NOTAIO Caro don Giovanni, come andiamo?

GIOVANNI E come deve andare?

NOTAIO Vi ricordate di me?

GIOVANNI Come no?

NOTAIO Notaio Bagliulo.

GIOVANNI Notaio Bagliulo, avete visto che disgrazia mi è successa?

NOTAIO Lo so, ma vi dovete fare coraggio…

GIOVANNI E’ una parola!

NOTAIO (ilare e festoso) Dunque, don Giovanni, (aprendo la borsa) ho qui con me il testamento, di cui vi darò lettura ufficiale oggi stesso davanti a quattro testimoni.

GIOVANNI Che dolore! Che dolore!

NOTAIO Lo so, la perdita di un fratello…

GIOVANNI No, la perdita dei soldi di un fratello!

NOTAIO Vi dico subito di che si tratta… (leggendo) “Io sottoscritto Federico Ruòppolo, eccetera, eccetera… nato a Napoli, eccetera, eccetera… nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, lascio erede universale mio fratello Giovanni Ruòppolo, se è senza figli. Nel caso mio fratello avesse figli, tutta l’eredita passa al primogenito, pur lasciando a questi piena libertà di disporne come erede, anche nei confronti del padre Giovanni Ruòppolo”.

GIOVANNI Quindi, avendo un figlio, è lui che eredita…

NOTAIO Già, ma siccome voi figli non ne avete, questa disposizione rimane lettera morta. Ecco qua l’elenco dei beni che il povero don Federico vi ha lasciati…

GIOVANNI No, lasciamo perdere!

NOTAIO Come sarebbe?

GIOVANNI A me i beni fanno male…

NOTAIO Lo devo leggere, è la prassi…

GIOVANNI Per forza? Va bene, ma lo faccia delicatamente, piano, piano…

NOTAIO Dunque, dunque… “Cinquanta milioni in contanti, una villa a Capri, composta di diciotto vani e dieci pertiche di terreno, con orto e frutteto del valore di trentacinque milioni…

GIOVANNI (sempre più stremato) Vi prego, sospendete! Non ce la faccio più!

NOTAIO No, non fate così. (commuovendosi) Voi sapete quanto ero affezionato a vostro fratello… Se fate così, fate piangere pure a me…

GIOVANNI Piangiamo per ragioni diverse…

NOTAIO (porgendogli un mazzo di chiavi) Queste sono le chiavi. Poi, ci sono alcuni valori depositati in una cassetta di sicurezza, qui elencati: due collane di perle, quattro anelli con rubini e brillanti, una croce di smeraldi…

GIOVANNI Una sola?

NOTAIO Qui c’è scritto così…

GIOVANNI Due collane, quatto anelli… Mi aspettavo otto croci! In crescendo.

NOTAIO (un poco scocciato) Se preferite così: una croce, due collane e quattro anelli. (continuando a leggere) Cento monete d’oro di Luigi Filippo…

GIOVANNI Ah, quelle non sono mie, sono di Luigi Filippo…

NOTAIO Dell’epoca di Luigi Filippo, più alcuni crediti e obbligazioni che ammontano a circa tre milioni. Roba da poco…

GIOVANNI Un po’ di spiccioli per le sigarette!

NOTAIO Ad occhio e croce raggiungiamo i duecento milioni.

GIOVANNI Come siete spietato!

NOTAIO Allora questa lettura quando la vogliamo fare? Se riuscite ad avere il certificato dello stato civile attestante che non avete figli, possiamo farla oggi stesso. Altrimenti, la rimandiamo a domani.

GIOVANNI Rimandiamola a domani.

NOTAIO Allora, voi domani venite, leggiamo il testamento e mi firmate l’atto di accettazione.

GIOVANNI Devo firmare un atto?

NOTAIO Un atto dichiarante che accettate.

GIOVANNI Ma io non accetto.

NOTAIO Come non accettate? Non ci sta neanche un soldo di debito, né ipoteche. E’ tutto pulito.

GIOVANNI Più è pulito e più non accetto.

NOTAIO Don Giova’, ci pensate a quello che state dicendo? Se non accettate, l’eredità passa allo Stato.

GIOVANNI Meglio allo Stato che a lui.

NOTAIO A lui, chi?

GIOVANNI Al barone.

NOTAIO Quale barone?

GIOVANNI Mio figlio.

NOTAIO Avete un figlio?

GIOVANNI Un figlio di due giorni…

NOTAIO Un figlio di due giorni? Un neonato?

GIOVANNI No, tiene trent’anni.

ENRICUCCIO Io a papà ce l’ho detto di non firmare la carta. Tuo fratello è morto… cinquanta milioni… Non devi legittimare il giovanotto! Non devi legittimare il giovanotto!

NOTAIO Don Giova’, che guaio avete combinato! Avete riconosciuto quel

tale che vi offriva centomila lire? Mi ero tanto raccomandato a Enricuccio…

Non v’ha detto niente?

GIOVANNI Lui me l’ha detto dopo. Prima non poteva parlare per un trauma. Ha cercato di spigarmelo con i gesti, ma non ho capito niente. Voleva dirmi che mio fratello è morto lontano in America e ha fatto il mare. Poi, voleva dire America, ha fatto Amè, Amè. Io ho capito merda e siamo affogati tutti nella merda! Nota’, quando uno nasce sfortunato, non ce sta niente da fare. Per pochi soldi vado a perdere tutta quella sostanza!

NOTAIO Ditemi una cosa, chi è questo tale che avete riconosciuto?

GIOVANNI Un barone antipatico e superbo.

NOTAIO Dunque un signore. E’ ricco?

GIOVANNI Ricchissimo. Ha un cappotto tutto suo non vi dico altro…

NOTAIO Come sarebbe?

GIOVANNI Un cappotto di uso privato, personale. Se lo tiene stretto con una cinta e non lo dà a nessuno. Si sposa una donna con cento milioni di dote…

NOTAIO Allora, è molto meno grave di quello che credevo. Se si tratta di una persona facoltosa, che non ha bisogno, gli si spiega la cosa e lui capirà perfettamente. Un gentiluomo non potrà che riconoscere lealmente che, nonostante le apparenze, la sostanza spetta a voi. Non vi preoccupate, gli spiegherò la cosa e gli farò firmare una dichiarazione con la quale rinunzia all’eredità che legalmente gli spetterebbe.

GIOVANNI Quindi, se lui firma la carta…

ENRICUCCIO Papà, non firmare nessuna carta! Tuo fratello è morto e t’ha lasciato cinquanta milioni.

GIOVANNI Statte zitto! Firmata la carta…

NOTAIO L’eredità è vostra.

GIOVANNI Se lui firmasse oggi, io domani entrerei in possesso dei cinquanta milioni, più i gioielli e la villa?

NOTAIO Naturale!

GIOVANNI Io quella villa, pensandoci bene, quasi quasi me la vendo.

NOTAIO Non vi conviene.

GIOVANNI (ridandogli le chiavi) No, notà, la villa me la vendo. Io e mia moglie non sappiamo nuotare e, come arriviamo a Capri, affoghiamo. Mi prendo, invece, un bel palazzo al Vomero. Un appartamento me lo tengo per me e gli altri me li affitto. Il denaro liquido me lo mangio.

NOTAIO Vi mangiate cinquanta milioni?

GIOVANNI Sì, mi mangio cinquanta milioni, ma non per modo di dire. Io mi chiudo in casa e me li mangio tutti. Io devo mangiare pure per gli antenati miei. Noi siamo pezzenti da sette generazioni. La famiglia mia non mangia da duemila anni. E’ arrivato Giovanni il vendicatore!

NOTAIO Dove abita questo giovanotto?

GIOVANNI L’indirizzo ce l’ha l’avvocato. Passiamo un momento da lui e ce lo facciamo dare… Enricuccio, dì a mamma che torno subito… (come fanno per andare, compare Sandrino sull’uscio) Barone, come mai da queste parti? Notaio, ecce homo! Questo è mio figlio.

NOTAIO Piacere… (Sandrino gli fa cenno di allontanarsi)

GIOVANNI Non ci fate caso. Lui fa sempre così. Scaccia tutti quanti.

SANDRINO (a Giovanni) Buon uomo, dovrei parlarvi da solo a solo…

NOTAIO Allora, mi ritiro…

GIOVANNI Di che si tratta? Parlate pure… Il notaio può sentire, è un amico…

SANDRINO Come volete… Del resto, quello che devo dirvi è molto semplice. Si tratta del mio matrimonio che avverrà alle dieci di dopodomani. La zia della mia fidanzata ha avanzato la pretesa di conoscere il padre dello sposo, cioè voi… Figuratevi con quanta gioia ho dovuto accondiscendere… Capirete, la dote gliel’ha data lei!… Dunque, occorrerà che voi presenziate al matrimonio…

GIOVANNI Figlio mio, con tutto il piacere. Sarà una grande cerimonia. Può venire anche il notaio?

SANDRINO Ma chi lo conosce? Dove deve venire?

GIOVANNI (al notaio) Mi dispiace, non potete venire. (a Sandrino) Non vi preoccupate, che lui non viene.

ENRICUCCIO Papà, vengo anch’io?

SANDRINO Ci mancherebbe altro! Vengono tutti al mio matrimonio. Ma iatevenne! Al mio matrimonio venite solo voi. Dunque, pochi avvertimenti: abito nero… mettetevi in ordine: lavatevi, rasatevi, fatevi tagliare i capelli. Durante la cerimonia, vi permetterò di darmi del tu.

GIOVANNI Quanto al tu, te lo posso dare anche adesso…

SANDRINO No, ho detto durante la cerimonia.

GIOVANNI Per il vestito, dovrai accontentarti di questo qua, perché non ne tengo altri. E’ il vestito del viaggio di nozze. L’ho messo allora e non me sono più levato. Mia moglie l’ha rivoltato due volte…

SANDRINO E si vede!

GIOVANNI Mia moglie lo lava, lo stira, lo fa venire nuovo.

SANDRINO Ma quale nuovo? Quale nuovo?

GIOVANNI Volete scommettere che non lo riconoscerete?

SANDRINO Ma stateve zitto! Non potete venire con questo vestito.

GIOVANNI Ho solo questo. Che vengo nudo?

SANDRINO Vuol dire che passerete, a mio nome, dalla sartoria Mazzetti, dove fittano abiti per cerimonia e vi farete dare un tight… Mi raccomando la puntualità: alle dieci precise.

ENRICUCCIO Baro’, io come vengo vestito?

SANDRINO Dio, che gente!

GIOVANNI Stai tranquillo, mi farò dare dalla sartoria Mazzetti un bel frack. Gli dirò che è per il tuo matrimonio.

SANDRINO Buon uomo, vi ho concesso di darmi del tu soltanto durante la cerimonia.

GIOVANNI Come volete, signor barone. Facevo così per abituarmi.

SANDRINO Allora, siamo intesi… Mi raccomando la puntualità (fa per andare) Buongiorno.

GIOVANNI Aspettate un momento, signor barone. Il notaio vi deve parlare un momento…

SANDRINO Non ho tempo.

NOTAIO Non vi ruberò molto tempo. Se permettete, vi metto subito al corrente della questione. Dunque, voi siete, in base allo stato civile, il figlio di Giovanni Ruòppolo, ma in effetti non lo siete…

SANDRINO E con questo?

GIOVANNI Stai a sentire, figlio mio… (correggendosi) Scusate, signor barone, il notaio vi deve parlare…

SANDRINO E lo sto ascoltando. Se si spiccia…

NOTAIO Ecco di che si tratta: suo fratello Federico, che da vent’anni non aveva dato più notizie, morendo, gli ha lasciato qualche cosa…

SANDRINO Che volete che mi interessi tutto ciò?

NOTAIO Adesso vengo al sodo: c’è una piccola condizione.

GIOVANNI Nota’, glielo spiego io. Barone, voi mi dovreste firmare una carta con la quale rinunciate, a mio favore, all’eredità che mio fratello mi ha lasciato.

SANDRINO Come come? Vostro fratello mi ha lasciato un’eredità? E chi lo conosce?

GIOVANNI Appunto! Tu non lo conosci e neanche lui ti conosce. Pertanto,

non c’è ragione che lui ti lasci questa eredita. Giusto, notaio?

NOTAIO Giustissimo.

SANDRINO Io, finora, non ho capito niente.

NOTAIO Vi dico subito… Nel testamento è detto che, qualora Giovanni Ruòppolo avesse un figlio, l’eredità passerebbe a lui. Voi siete un gentiluomo e non credo che vorrete approfittarvi di questo povero disgraziato, di quest’uomo provato da tutte le sventure della vita, che ha sempre vissuto nella più totale indigenza e che adesso finalmente potrà vedere un po’ di bene.

SANDRINO Per amor di Dio! Me ne guarderei bene! Cosa volete che possa interessarmi una eredità di quattro stracci… Nota’, ditemi dove si deve firmare. Io sono a vostra disposizione.

NOTAIO Quand’è così, la stesura dell’atto la possiamo fare subito. Bastano due testimoni… (tira fuori dalla borsa in foglio e comincia a scrivere)

GIOVANNI (non riuscendo a nascondere il suo entusiasmo) Che gentiluomo! Che signorone! Nota’, ve l’avevo detto. Sua madre era una baronessa e questo basta.

NOTAIO (scrivendo) In questo giorno… sono comparsi davanti a me…

ENRICUCCIO Papà, non firmare la carta! Tuo fratello è morto…

GIOVANNI Statte zitto, animale! (a Sandrino) Non gli date retta! Quello è scemo. Ha avuto un trauma e si è infantilito…

NOTAIO (mostrando la carta a Sandrino) Ecco qua. Vedete se va bene… Don Giovanni, mandate a chiamare due testimoni.

SANDRINO Per curiosità, a quanto ammonterebbe l’eredità?

GIOVANNI Firma, baro’, e poi te lo diciamo.

SANDRINO Scusate, notaio, prima di firmare, credo di avere il diritto di sapere a cosa rinunzio.

NOTAIO Certamente. Io ho il dovere di dirvelo…

ENRICUCCIO Cinquanta milioni, la villa a Capri, brillanti, l’oro e le perle!

GIOVANNI (furioso) Mò ti faccio vedere io! (Enricuccio scappa)

SANDRINO Dunque, notaio?

NOTAIO E’ la verità: cinquanta milioni, una villa a Capri e alcuni gioielli che bisognerà valutare.

SANDRINO (restituisce la carta al notaio) Ho capito… Signor notaio, voi siete l’esecutore testamentario, non è vero? Quindi il vostro dovere è quello di espletare tutte le pratiche legali perché la volontà del defunto sia rispettata. Non ho altro da dirvi. Signori, buongiorno. (fa per uscire, ma poi si ferma) Ah, dimenticavo! Al matrimonio potete anche fare a meno di venire, perché non mi sposo più. No, non mi sposo più! Arrivederci.

GIOVANNI Nota’, levatemi una curiosità: non ho capito bene, questa carta il notaio la firma o non la firma?

ENRICUCCIO La carta non si deve firmare!

NOTAIO Don Giova’, non avete ancora capito? Eppure, ha parlato così chiaro: “espletate le pratiche perché la volontà del defunto sia rispettata”. Ergo: significa che voi non vi prendete un soldo e che tutta l’eredità passa a lui.

GIOVANNI Io lo sapevo! Io quello l’ho capito subito la prima volta che l’ho visto. E’ una carogna. Figuratevi, un uomo che si compra un padre per centomila lire e che non ha voluto cacciare un soldo in più! Ha vinto la lotteria, ha vinto!

NOTAIO Calmatevi e mettetevi l’animo in pace! Il consiglio che vi do è prenderlo con le buone. Ci può sempre uscire qualcosa. La Legge è dalla parte sua. Voi niente avevate e niente avete. Fate conto che vostro fratello è morto povero. Che ci volete fare?

GIOVANNI Proprio così, caro notaio. E’ meglio rassegnarsi. Tanto, a piangere il morto è tempo perduto.

NOTAIO Bravo, don Giovanni! Questo significa parlare da uomini. Mi dispiace non essere riuscito a fare i vostri interessi, ma tenterò di parlare con il barone, che vi dia almeno una regalia, un premio di consolazione.

GIOVANNI Quando mai!

NOTAIO Venite domani alle quattro nel mio studio, così ci sarà anche lui. Leggiamo il testamento e poi vediamo…

GIOVANNI Alle quattro? Se ci sono, vengo da voi.

NOTAIO Come sarebbe a dire?

GIOVANNI Le possibilità sono tante… Se ci sono, vengo.

NOTAIO Va bene. Vuol dire che, se non ci siete, faremo senza di voi. Tanto la vostra presenza ormai è inutile… Stateve buono e fatevi coraggio. (fa per andare)

GIOVANNI Ormai, mi sono rassegnato. Però, mi dovete fare in piacere…

NOTAIO Ma vi pare? Dite…

GIOVANNI Mi dovete regalare un quarto d’ora del vostro tempo. Entrate in questa camera e aspettate che vi chiamo.

NOTAIO Non capisco, don Giova’.

GIOVANNI Capirete più tardi.

NOTAIO Non più di un quarto d’ora. Io tengo da fare.

GIOVANNI E’ pure assai. Accomodatevi. (il notaio se ne va nella camera) (guardando Enricuccio minaccioso) Enricu’! (Enricuccio fa per scappare)

Fermati, che non ti faccio niente! Va a chiamare il brigadiere! (chiamando)

Cristina, Cristina!

CRISTINA Giova’, che c’è?

GIOVANNI Ho deciso: noi per cinque anni non ci dobbiamo più vedere.

CRISTINA E perché?

GIOVANNI Vado carcerato.

CRISTINA Oh, mio Dio! E che hai fatto?

GIOVANNI Falso in atto pubblico. Sono cinque anni di reclusione.

CRISTINA Ma che sei uscito pazzo?

GIOVANNI Pazzo? Sono savio, cara mia! ‘O barone pensava di aver trovato il fesso. Ti faccio vedere io! Tu invochi la Legge? E la invoco pure io. Mi denunzio, il riconoscimento viene annullato, io eredito cinquanta milioni con annessi e connessi… Totale: duecento milioni. Hai capito? E lui rimane senza un soldo e senza padre.

CRISTINA Oh, Giesù, Giesù! (piange)

GIOVANNI Ma che fai, chiagni? Ma come, tu devi ridere! Capisci o no che diventiamo milionari? Un gran palazzo, l’automobile, il cuoco, le sguattere, le cameriere. Capisci che significa? Non avere più debiti. E tu chiagni? Io ho quarant’anni. Quando esco ne ho quarantacinque. Bello, ricco, ci compriamo un palazzo al Vomero, perché la villa a Capri me la vendo e ci ritiriamo in coppa al Vomero tutti e tre.

CRISTINA Giova’, pensa bene a quello che fai!

GIOVANNI Ci ho pensato, Cristi’. Ho fatto bene i miei calcoli. Questa vita da miserabile non la voglio fare più.

BRIGADIERE (entrando, seguito da Enricuccio) Don Giovanni…

ENRICUCCIO Papà, te l’ho portato il brigadiere!

GIOVANNI Caro brigadiere, accomodatevi.

CRISTINA Giova’, pensaci bene!

GIOVANNI Tu vattene di là e lasciaci parlare!

CRISTINA Oh, Giesù, Giesù!

GIOVANNI (ad Enricuccio) Tu vai a chiamare donna Amalia, donna Assunta, donna Teresa e la portinaia! Digli che sono invitate ad un’altra piccola festa.

ENRICUCCIO Papà, ‘e pasticciotte addò stanno?

GIOVANNI Vai, corri! (Enricuccio esce) Brigadiè, io avrei bisogno di qualche informazione…

BRIGADIERE Comandate, don Giovanni!

GIOVANNI Ditemi una cosa: se un milionario dovesse andare in prigione, che trattamento gli fanno?

BRIGADIERE Come, che trattamento?

GIOVANNI Voglio dire: come vitto e alloggio…

BRIGADIERE Chi può pagare, può prendersi una camera a pagamento e farsi mandare i pasti da fuori.

GIOVANNI Se uno fa un affitto per cinque anni, può ottenere una riduzione?

BRIGADIERE Don Giova’, ma che state dicendo? La camera a pagamento è prevista solo per il periodo dell’istruttoria. Quando c’è la condanna, bisogna passare nella cella comune, dove tutto è gratuito. Ma perché mi fate queste domande?

GIOVANNI Poi, vi dirò… Una domanda ancora: per chi ha commesso un falso in atto pubblico, c’è l’arresto immediato?

BRIGADIERE Dipende: se è confesso, si. Altrimenti, ci vuole la denunzia.

GIOVANNI No, no, lui si confessa.

BRIGADIERE Ma lui chi?

GIOVANNI Aspettate che vengono i testimoni e lo saprete. (vedendo arrivare i vicini) Ah, eccoli qua! Avanti, avanti, favorite! (tutti si accomodano, Cristina si affaccia, Giovanni va a chiamare il notaio) Notaio, accomodatevi… (a tutti) Voi siete testimoni. Brigadiere, avete portato le manette?

BRIGADIERE Perché, chi devo arrestare?

GIOVANNI Nota’, voi sapete tutti i fatti… Volevo chiedervi una cosa: se un tale che ha commesso un falso in atto pubblico, per aver riconosciuto un figlio che non è suo, si costituisce alla Giustizia, il riconoscimento viene annullato e il diritto all’eredità rimane a lui…

NOTAIO (stringendogli la mano) Don Giova’, complimenti!

GIOVANNI Vorrei sapere quand’è che questo tale entra in possesso dell’ere-

dità.

NOTAIO Durante il periodo dell’istruttoria, l’eredità viene fermata. Ma, appena esce la sentenza di condanna, l’eredità viene consegnata al condannato.

GIOVANNI Brigadie’, tirate fuori le manette. L’autore del falso in atto pubblico sono io!

BRIGADIERE Voi? (tira fuori le manette)

CRISTINA Brigadie’, ma che fate? L’arrestate?

BRIGADIERE E si capisce che l’arresto! (lo ammanetta)

AMALIA Don Giova’, ma che avete fatto?

ASSUNTA Giesù, Giesù! Pareva tanto un brav’uomo!

CONCETTA Chi se l’aspettava!

GIOVANNI Mio fratello, buon’anima, mi ha lasciato suo erede a condizione che non avessi un figlio. Siccome io, due giorni fa, ho riconosciuto un figlio che non è mio –e questo è il reato- l’eredità passerebbe a lui, a quel pezzo di carogna. Ma io mi denunzio, mi vado a fare cinque anni di galera, così il riconoscimento si annulla e lui rimane senza padre e senza nemmeno un soldo.

CARMELA Allora è un’altra cosa!

AMALIA Bravo, don Giovanni!

CONCETTA Don Giova’, quanto ereditate?

ENRICUCCIO Cinquanta milioni, la villa a Capri, brillanti, perle… In tutto duecento milioni!

TUTTI Che bellezza! Bravo, don Giovanni! (appaudono)

GIOVANNI Nota’, vi nomino mio amministratore generale. Durante il periodo dell’istruttoria, mi dovrete fare il piacere di anticipare qualcosa. Qui non ce sta nemmeno una lira!

NOTAIO Disponete pure, don Giova’.

GIOVANNI Mi terrete informato sulle rendite del capitale da voi amministrato. Io vi passo trecentomila lire al mese, cinquecentomila a mia moglie. Voi pensate all’educazione del ragazzo, che quando esco lo voglio trovare che sa leggere e scrivere… Cristi’, statte bona! (vedendo la moglie piangere) Non fare così. Io là sto buono: camera a pagamento, amici non mi mancano… Na chiac-chera, na partita, nu bicchiere di vino e passa la giornata!

BRIGADIERE Don Giova’, ma che credete che andate al Grand’Hotel? Chill’è carcere!

GIOVANNI Brigadie’, e questo cos’era, non era un carcere? Letto duro, un padrone di casa che è come un secondino, un finestrone che lascia passare il vento gelido da tutte le parti, dannarsi per fare una lira, liti con la moglie a causa della miseria. Vuie pazziate? Tutto questo per cinque anni non lo vedo più. Io là sto in grazia di Dio. Vado carcerato da milionario. Brigadie’, il vero carcere è la miseria! (tutti applaudono)

AMALIA State tranquillo che non vi faremo mancare niente!

CONCETTA La migliore frutta di stagione sarà per voi!

CARMELA La cioccolata ve la porto io!

ASSUNTA Sigarette, biancheria pulita…

ENRICUCCIO Papà, vengo pure io!

GIOVANNI No, non puoi venire. Brigadie’, iamocenne!

ENRICUCCIO Papà, vengo pure io!

GIOVANNI Enricu’, statte buono! Donna Amà, salutatemi, don Vincenzo.

Donna Conce’, donna Carme’, donna Assunta stateve bbone e scrivetemi!

Brigadie’, jammuncenne!

TUTTI Tanti auguri, don Giova’!

CRISTINA Aspetta, che ti accompagno!

ENRICUCCIO Mammà, vengo pure io!

TUTTI Veniamo pure noi, don Giova’!

GIOVANNI Grazie, grazie! (esce seguito da tutti tra i battimani e gli evviva, mentre…)

 S I P A R I O