PRANZIAMO ASSIEME

PRANZIAMO ASSIEME

Farsa in un atto di Peppino De Filippo

Personaggi:

FEDERICO ZAMPIRELLI

MARGHERITA, sua moglie

IL MARCHESE EUGENIO VIGLIAROTTI

IL DOTTOR CIPRIANI

GIOVANNI, maggiordomo del marchese

MATILDE, governante del marchese

Scene:

L’azione si svolge a Roma.

Scena I: una pulitissima strada di città, rappresentata da pochi elementi, un lampione elettrico e una bella della fermata del filobus.

Scena II: un ricco salone adibito a sala da pranzo stile antico. Tavolo con candelieri al centro, candele spente da accendere, poltrone e grande lampadario acceso. In fondo, l’apparecchio radio-grammofono. Finestrone con sfondo parco. Ad una parete, un grande quadro ad olio raffigurante una bellissima donna in abito da sera.

ATTO UNICO

In scena sono Federico e Margherita. È pomeriggio. Federico indossa un cappotto leggero. Siamo ai primi di aprile.

FEDERICO – Per mezzo minuto lo abbiamo perduto.

MARGHERITA – Ce n’è subito un altro. (osserva una carta topografica) Poi andremo allo Zoo, poi a Piazza San Pietro. Poi…

FEDERICO – …ce ne andremo finalmente in albergo a riposare.

MARGHERITA – Sempre riposare. Siamo a Roma, nella più bella città del mondo, la più antica, la più interessante, ci siamo venuti apposta per visitarla, e te ne vuoi stare sempre in albergo.

FEDERICO – Perbacco! Siamo qui principalmente in luna di miele, vuoi che a te io preferisca il Colosseo o l’Arco di Tito? Ora va bene, ti accontento e andremo a visitare il Colosseo, poi ritorneremo in albergo a riposare! Poi faremo un bel bagno… poi usciremo e andremo dove vuoi tu. Conosco anche qualche simpatico amico a Roma, ma forse gli amici è meglio lasciarli perdere.

MARGHERITA – Sei geloso? Bada che odio la gelosia.

FEDERICO – Non sono geloso.

MARGHERITA – Perché, forse non mi vuoi bene?

FEDERICO – Come siete voi donne. Non si sa mai come prendervi. Non sono geloso perché sono troppo sicuro di te.

MARGHERITA – Mi credi stupida?

FEDERICO – Voglio intendere che ho stima di te.

MARGHERITA – Ci mancherebbe che tu non ne avessi.

FEDERICO – Appunto.

MARGHERITA – Certe volte mi fai prendere i nervi, cosi per delle stupidate. (singhiozza) Lo vedi? (continua a singhiozzare)

FEDERICO – No, no, cara. Ecco l’acqua. Il medico ha detto di prenderne 15 sorsi senza respirare. (le dà l’acqua che avrà versato da un thermos che ha con sé) Bevi. (Margherita si calma) Bene! Tutto passato?

MARGHERITA – Tutto passato.

FEDERICO – (guarda l’orologio) Sarà mancata la corrente!

EUGENIO – (entrando seguito da Giovanni. È molto distinto. Indossa un cappotto leggero. Il suo atteggiamento è quello di un uomo tranquillo e sereno) Se non ci sono taxi, prendiamo il filobus.

GIOVANNI – (anche lui indossa un cappotto leggero) Se vuole, telefono a casa per farci raggiungere dalla macchina.

EUGENIO – No, preferisco fare una passeggiatina.

GIOVANNI – Infatti abbiamo ancora un quarto d’ora.

FEDERICO – (vedendo Eugenio) Eugenio? (Eugenio lo guarda meravigliato) Mi sbaglio, forse?

EUGENIO – Ma, veramente… (ricordandosi) Federico?!

FEDERICO – Appunto, come stai?

EUGENIO – Ottimamente. Ottimamente, caro.

FEDERICO – (si abbracciano) Amico carissimo. Ti presento la mia cara mogliettina.

EUGENIO – Piacere.

FEDERICO – (indicando Eugenio) Il mio più caro amico d’infanzia. Siamo stati in collegio insieme. Il marchese Eugenio Vigliarotti.

MARGHERITA – Lieta, Marchese.

FEDERICO – Ma che marchese. Chiamalo Eugenio. (ad Eugenio) Ti spiace?

EUGENIO – Figurati! È un onore per me.

FEDERICO – Siamo in viaggio di nozze. Mia moglie avrebbe voluto recarsi a Venezia, ma per farle godere un clima sopportabile, ho insistito perché si venisse a Roma. In confidenza, soffre di nervi. La minima ansietà, la più stupida emozione la rendono smaniosa.

EUGENIO – Consulta un bravo medico. Qui ce ne sono.

FEDERICO – Nessun disturbo grave. Solo un singhiozzo. Un singhiozzo così noioso e insistente che è un miracolo quando le passa subito.

EUGENIO – Niente altro che curare il sistema nervoso.

FEDERICO – Solo questo. Ma questo filobus non arriva. Facciamo quattro passi. Ti dispiace?

EUGENIO – Tutt’altro.

FEDERICO – Noi andiamo verso il Corso.

EUGENIO – Anch’io.

FEDERICO – Non ti disturba davvero?

EUGENIO – Figurati, soprattutto poi in compagnia della tua gentile e graziosa mogliettina. Giovanni, telefona a casa e avverti la marchesa che tra poco saremo da lei. (Giovanni si inchina ed esce)

FEDERICO – Come sta la marchesa? (si incamminano mentre il sipario si chiude alle loro spalle così che si ha il tempo di preparare l’ambiente che segue)

EUGENIO – Alludi alla mamma, forse? (si ferma)

FEDERICO – Già.

EUGENIO – È morta tre anni fa. Il babbo, lo sai, molto prima.

FEDERICO – Mi spiace. (cercando di assumere un’aria allegra) Scusa, sai. Abiti sempre lì?

EUGENIO – In viale Lovignani, sicuro.

FEDERICO – Che casa principesca, Margherita: una reggia.

EUGENIO – Il mio caro Federico. Ci si rivede dopo circa sette anni, vero?

FEDERICO – Precisamente. (entra Giovanni)

EUGENIO – (vedendolo) Ebbene, Giovanni?

GIOVANNI – Il signor marchese mi perdonerà. La signora marchesa è lieta del suo arrivo e desidera che io le tenga compagnia.

EUGENIO – Bene, bene. Se piace alla marchesa. (ride) Mia moglie teme sempre qualche pericolo per me.

GIOVANNI – Mi deve scusare. Se crede, vado via e poi ritorno.

EUGENIO – Stai pure lì.

FEDERICO – Anche tu sposato?

EUGENIO – Da due anni.

FEDERICO – E dicevi che saresti rimasto scapolo. “Il matrimonio è un nodo scorsoio”, dicevi, “è una catena, resterò scapolo.”

EUGENIO – Parole. Da giovani e in certe determinate circostanze, ragioniamo in maniera del tutto diversa da come poi agiremo. (a Margherita) È vero signora, io detestavo il matrimonio, ma dopo aver conosciuto mia moglie, ho cambiato parere. Il matrimonio è il nodo della felicità.

MARGHERITA – (emozionata) È vero. Ed è tanto bello amarsi; volersi bene. (prende la mano di Federico e la stringe a sé) Stimarsi. L’amore tra due cuori che si comprendono è il vero scopo della vita, nevvero signore? (singhiozza) E lei ha un animo veramente sensibile e squisito. (singhiozza)

FEDERICO – (a Eugenio) Vedi? Senti? Si è emozionata. Bevi, tesoro. Quindici sorsi. (le offre l’acqua come nella scena precedente)

EUGENIO – È evidente che si tratta di debolezza nervosa.

FEDERICO – È un tipo emotivo, comprendi?

MARGHERITA – (sorridendo) È passato. Non bisogna farci caso.

EUGENIO – Dove alloggiate?

FEDERICO – In albergo.

EUGENIO – Se lo avessi saputo vi avrei ospitato in casa mia.

FEDERICO – Troppo gentile, sarà per un’altra volta. E dimmi, di cosa ti interessi tu?

EUGENIO – Ho una fabbrica di aeroplani.

FEDERICO – Ricordo che ti occupavi di ingegneria.

EUGENIO – Sono laureato in ingegneria.

FEDERICO – Ma bene, bene.

EUGENIO – Nuove idee, mio caro, nuovi congegni. Ora che posso fare da me, ora che tutto dipende da me, riuscirò finalmente a rendere più agevole, più perfetta e sicura 1a nostra aviazione civile, se non quella di tutto il mondo. Ho allo studio un nuovo tipo di apparecchio transoceanico. Una meraviglia di tecnica. Ti mostrerò il disegno!

FEDERICO – Benissimo!

EUGENIO – Sono stato un mese lontano da casa appunto per trattare degli affari: acquisto di materie prime, di personale specializzato. Ora vorrei andare a casa, caro, mia moglie mi aspetta.

FEDERICO – Andiamo pure.

EUGENIO – Dove andate a pranzo questa sera?

FEDERICO – Non abbiamo un programma preciso: siamo in viaggio di nozze e dove ci capita, ci capita.

EUGENIO – Pranziamo assieme, allora, a casa mia.

MARGHERITA – Non vorremmo disturbare.

FEDERICO – Macché disturbo, sono sicuro che gli facciamo gran piacere. (ad Eugenio) Sì, sì, pranziamo assieme, così avrò occasione di conoscere la tua gentile signora.

EUGENIO – Grazie. Giovanni, telefona a casa e avverti Matilde che i signori saranno a cena da noi.

GIOVANNI – Va bene, signor marchese. (esce)

FEDERICO – Senti, Eugenio, forse ardisco troppo… tu conosci le mie qualità di uomo ordinato e amante del lavoro. Ho un diploma di ragioniere e se ti capitasse di farmi occupare nel tuo stabilimento mi farebbe piacere. Io non vivo a Roma, per ora sono a Livorno, in casa dei familiari di mia moglie. Volentieri mi trasferirei qui, se mi capitasse di trovare una buona occupazione.

EUGENIO – È possibile, caro, possibilissimo. Studierò bene la tua richiesta; credo che il posto vacante ci sia. Naturalmente, in particolar modo, in omaggio alla nostra cara amicizia. Andiamo? Per me è tardi. (escono di scena mentre il velario si apre lasciando vedere la sala da pranzo di Eugenio. I personaggi che, durante lo svolgersi della vicenda scenica, siederanno intorno al tavolo, si disporranno nel seguente ordine: di spalle al pubblico, nessuno. Al centro, di fronte al pubblico, Eugenio, alla sua destra Margherita, alla sua sinistra il posto resterà vuoto. Federico a capo del tavolo a sinistra e il dottore a quello di destra)

GIOVANNI – (in tight e cravatta nera e guanti sta preparando la tavola) Ecco fatto. Il signor marchese, la signora marchesa, il signor… come si chiama, la sua. signora e il dottor Cipriani.

MATILDE – Dove li ha conosciuti?

GIOVANNI – Riconosciuti. Per strada: si tratta di un suo vecchio amico.

MATILDE – Giovanni, e i fiori? (si agita) Sei sempre il solito confusionario, l’eterno distratto. Sai bene che il marchese tiene moltissimo a queste cose e tu…

GIOVANNI – Calma, calma, un momento. Non ti allarmare, poi dici che ti senti male. Vado subito a prenderli in giardino.

MATILDE – Un momento. (si sente mancare) Soccorrimi. Mi viene. Mi prende per davvero!

GIOVANNI – Fatti forza, ti ha detto il dottore. Si tratta di una suggestione.

MATILDE – No, no, mi viene. Ecco, mi sento mancare. (lancia un forte strillo e cade di peso sulla sedia che le sta dietro)

GIOVANNI – (soccorrendola) Matilde? Matilde? (le spruzza dell’acqua sul viso)

DOTTORE – (entrando calmo) Non c’è niente da fare; passa da sé, lo sai. Si tratta di qualche attimo (è in smoking)

GIOVANNI – Lo so, ma intanto disturba tutti.

DOTTORE – (sollevando Matilde aiutato da Giovanni) Su, su, cara. Ecco, si riprende, rinviene.

MATILDE – (rinvenendo) Mio Dio! (vedendo Cipriani) Dottore!

DOTTORE – Non si spaventi. Sta prendendo quelle pillole?

MATILDE – Si. Ma di tanto in tanto…

DOTTORE – …non passerà, mia cara, potrà modificarsi il male: ma non guarirà. Si tratta di una psico-nevrosi.

MATILDE – Intanto mi prende nei momenti meno adatti.

GIOVANNI – Ormai ci siamo abituati.

MATILDE – Da un po’ di tempo le crisi sono più frequenti, dottore.

DOTTORE – Nessun pericolo. E il marchese?

GIOVANNI – Sarà in camera sua o nello studio.

DOTTORE – Ci sono invitati, vero? Meno male. Sono felice quando c’è qualcuno.

EUGENIO – (entrando allegro, in smoking) Tutto pronto? Ciao amico, come stai?

DOTTORE – Bene, tu?

EUGENIO – Benissimo. La signora?

MATILDE – È in camera sua. Non era con lei poco fa?

EUGENIO – Sì, cara: ma le ho detto di riferirti di mettere la tovaglia ricamata in rosa; te lo ha detto? (Giovanni esce)

MATILDE – Sì, me lo ha detto. Provvedo subito.

EUGENIO – Abbiamo a pranzo una giovane sposa; dunque: tovaglia ricamata in rosa.

DOTTORE – Quanta finezza!

EUGENIO – Dov’è Giovanni?

DOTTORE – Sarà andato in giardino.

EUGENIO – Fiori rosa. (ride) Fiorellini rosa. Tutti boccioli di gerani. Ci vado io. Matilde, se Vittorina chiama, dille che tomo subito e che faccia lei gli onori agli ospiti. (esce)

DOTTORE – Quanto tempo è stato fuori il marchese?

MATILDE – Un mese, questa volta.

DOTTORE – Ho visto il rapporto medico, e questa volta è migliore. (si bussa internamente)

MATILDE – Permettete, dottore. (esce per ritornare)

DOTTORE – Fai pure, cara.

MATILDE – (introduce Margherita e Federico: quest’ultimo ha con sé un grosso fascio di rose. Sono tutti e due in abito da sera)

FEDERICO – Grazie.

DOTTORE – (presentandosi) Dottor Cipriani.

FEDERICO – Piacere: Zampirelli.

DOTTORE – Lieto.

FEDERICO – Mia moglie.

MARGHERITA – Piacere. (porge la mano)

DOTTORE – (baciandole la mano) Lieto, signora.

FEDERICO – Siete amico di Eugenio?

DOTTORE – Perfettamente.

FEDERICO – Che bravo amico! (seggono) Quanti ricordi di fanciullezza, questa casa : ricordo tutto.

MARGHERITA – Federico, posa quei fiori.

FEDERICO – (a Matilde) Ecco: per la vostra signora.

MATILDE – Grazie. (li prende e li porta via)

FEDERICO – Non sapevo che Eugenio si fosse ammogliato. A quanto mi dice è invaghito addirittura di sua moglie.

DOTTORE – Già!

FEDERICO – Deve essere una bella donna.

DOTTORE – Eccola. (indica il grande quadro ad olio)

MARGHERITA – Che bella!

FEDERICO – Bellissima!

MARGHERITA – Un sogno!

DOTTORE – Ecco: ha detto bene. Un sogno: un dolce sogno.

FEDERICO – E dove sono?

DOTTORE – Il marchese è nel parco a cogliere fiorellini rosa, boccioli di gerani per metterli a tavola al posto dove la sua gentile signora siederà.

FEDERICO – Che delicato! (a Margherita) Te l’ho detto io: è stato sempre un sognatore. E la marchesa?

DOTTORE – La marchesa madre?

FEDERICO – La marchesa madre è morta, lo so: intendo la moglie.

DOTTORE – (con un sospiro) È morta.

FEDERICO – (trasecolando) Eh?

MARGHERITA – Morta?

DOTTORE – Si, signora, purtroppo!

MARGHERITA – Improvvisamente?

FEDERICO – Oggi?

DOTTORE – Due anni fa. Sulla Barcellona-Parigi: diciannove vittime tra le quali la bella e affascinante Vittorina, sposa solamente da tre mesi e in grazia di diventare madre. Fu una sciagura terribile.

FEDERICO – Mio Dio! Ma Eugenio me ne ha parlato come se fosse viva.

DOTTORE – Infatti: egli la considera viva nel suo cervello impazzito dal dolore.

FEDERICO – È impazzito?

DOTTORE – Si, caro. E la vede, le parla. La presenta agli amici, l’adora., la rispetta, la venera come se fosse ancora viva. Essa è qui. Giorno e notte. Balla, suona, canta, vive insomma.

MARGHERITA – Mio Dio, andiamo via, Federico: ho paura.

DOTTORE – Nessun timore. È un malato calmo, altrimenti non potrebbe vivere come una persona normale. Io non lo lascio mai. Sono il suo medico: abito qui, dormo qui. Di tanto in tanto mi scambia per il suo collaudatore di apparecchi aerei o per qualche altro.

FEDERICO – Infatti mi ha detto che possiede una fabbrica di aeroplani civili. È vero?

DOTTORE – Fissazione, vorrebbe creare quel tale aeroplano sicuro, capace di non precipitare al suolo.

MARGHERITA – Ma non si accorge di non averli questi aerei che dice do possedere?

DOTTORE – Egli li vede, li manovra, li pilota…

FEDERICO – Li pilota?

MARGHERITA – Con la fantasia, si capisce.

DOTTORE – Appunto. Certe volte crede perfino di aver fatto dei lunghi viaggi, delle pericolose trasvolate.

FEDERICO – Che strano. Mi ha detto: ogni mattina alle cinque mi levo e vado in fabbrica. Dove andrà a quell’ora?

MARGHERITA – In nessun posto, caro.

FEDERICO – Si sveglia, si gira dall’altra parte, si riaddormenta e crede di essere andato in fabbrica.

DOTTORE – Proprio così, amico.

FEDERICO – Sicché, il mio impiego? …Peccato. Mi aveva promesso di assumermi come ragioniere…

DOTTORE – Lei lo assecondi, per carità, non lo contraddica mai. Sarebbe pericoloso. Qualche mattina fa voleva condurre con sé in aeroplano il povero Cleonte, il giardiniere di casa, voleva intraprendere un volo di collaudo. Cleonte si rifiutò, accadde il finimondo. Il giardiniere è all’ospedale con un occhio gonfio così.

FEDERICO – Ma l’aeroplano non esisteva?

DOTTORE – No.

FEDERICO – Cleonte aveva ragione, allora! Avrà pensato: “Dove monto?” Che pretese questi pazzi!

DOTTORE – Ho voluto avvertirvi. Era mio dovere: capita spesso. Il padre, il marchese Edoardo, morì al manicomio.

FEDERICO – Davvero? Disgraziato! Ce l’aveva nel sangue il germe della pazzia.

DOTTORE – (sospirando) Eh!

FEDERICO E MARGHERITA – (sospirando) Eh! (restano assorti)

MATILDE – (dopo breve pausa entra e dice con tono di voce piuttosto forte) Ecco fatto, (Federico sobbalza) Ecco i suoi fiori. (mostra il vaso con i fiori) Lo mettiamo qui. (lo dispone su di un mobile)

FEDERICO – Grazie.

MATILDE – Prego.

FEDERICO – (al dottore) M’ha messo paura. È entrata così all’improvviso.

MATILDE – (ai due) Permesso signori. (nell’andare, esce ridendo con brevi scoppi di risatine isteriche)

FEDERICO – (al dottore alludendo a Matilde) Ma ha il cervello a posto?

DOTTORE – Non proprio.

FEDERICO – Dove siamo capitati?

MATILDE – (di dentro) Eccolo, eccolo! Mi viene, mio Dio! Mi prende, mi viene, mi prende… Giovanni… aiuto! (seguirà un grido straziante)

FEDERICO – Che succede?

MARGHERITA – (spaventatissima) Dio mio!

GIOVANNI – (di dentro) Su… su… calmatevi, Matilde. Calmatevi, è niente…

FEDERICO – Hanno ammazzato qualcuno.

DOTTORE – Non si spaventino… è nulla. Si tratta della vecchia governante, signora. Si è sentita male. (dall’interno si sentirà ancora la voce di Giovanni, che è andato a soccorrerla) Ecco che la soccorrono. Si sente già bene. (Margherita è affranta e trema tutta) È affetta da una forma abbastanza grave di psiconevrosi, ormai inguaribile. È presa da queste crisi cinque o sei volte al giorno. Ormai qui nessuno ci fa caso. (ride) Si tratta della vecchia governante di Eugenio.

FEDERICO – Ed Eugenio?

DOTTORE – Non se ne accorge proprio. Come se nulla avvenisse.

EUGENIO – (entrando con un mazzetto di fiorellini rosa tra le mani) Ecco i fiori. (deponendoli al posto dove dovrà sedere Margherita) Qui. (vedendo i due) Carissimi. (saluti) Sono felice di vedervi. (al dottore) Comincia a piovigginare.

DOTTORE – Sono piogge primaverili: è aprile.

EUGENIO – Comunque chiudo le imposte. (esegue) Cari i miei amici. (al dottore) Vi siete presentati?

DOTTORE – Certamente.

EUGENIO – (alludendo ai fiori che stanno nel vaso) Che magnifici fiori!

FEDERICO – Sono per tua moglie.

EUGENIO – Magnifici! Ma Vittorina adora le rose. Come avete potuto indovinare?

FEDERICO – Così…

EUGENIO – Vittorina ne sarà felicissima. Verrà tra poco. Si sta vestendo. È sempre così lenta, così lenta!

FEDERICO – Tutte le donne sono le stesse. Anch’io…

EUGENIO – Tu cosa c’entri? Non sei mica una donna, tu?

FEDERICO – No. Io sono un uomo.

EUGENIO – …appunto.

FEDERICO – Se vuoi ch’io faccia la donna…

EUGENIO – Perché?

FEDERICO – Se dovesse farti piacere…

MARGHERITA – (intervenendo) Voleva dire che anche lui aspetta sempre tanto quando mi debbo vestire per uscire… allora …

FEDERICO – Non volevo contraddirti. Per me tutto ciò che dici sta sempre bene… (guarda con intenzione il dottore il quale non approva questa premessa inopportuna)

EUGENIO – Grazie. Un aperitivo intanto?

DOTTORE – Ottima idea.

EUGENIO – (a Matilde che entra) Matilde, dite a Giovanni di servirci l’aperitivo. (Matilde esce) Senti, Federico… (come non ricordando) …ti chiami Federico, no?

FEDERICO – (subito) No… no…

EUGENIO – Come? Non ti chiami Federico?

FEDERICO – (c.s.) Non t’arrabbiare. Non mi chiamo Federico.

EUGENIO – Come è possibile?

FEDERICO – Tu hai detto: ti chiami Federico no?

EUGENIO – Ho detto “no” per dire “sì”.

FEDERICO – (tremante) Non capisco…

MARGHERITA – Ma sì che ti chiami Federico. Il marchese vuol sapere come ti chiami.

FEDERICO – Ero distratto. Avevo creduto di contraddirti, Eugenio… Sì, mi chiamo Federico.

EUGENIO – Bene. Volevo dirti: buone notizie per il tuo impiego in fabbrica. Si tratta di pazientare soltanto un pochino. Non appena andrà via quel paracadutista canadese, lo sostituirai. È un posto di grande lucro, sai?

FEDERICO – Ma figurati… non aspettavo che un posto di paracadutista. È stato sempre il mio sogno. Finalmente sarò paracadutato.

GIOVANNI – (entra e serve l’aperitivo) Ecco serviti.

EUGENIO – Serviti intanto. Vado a sollecitare Vittorina. (esce)

FEDERICO – Non capisco proprio che differenza ci sia tra lui e un uomo normale. Però mettiamo le cose a posto, dottore. Io non sono paracadutista. Come si fa? Se gli salta in mente di paracadutarmi quello è capace di portarmi in terrazzo e di mollarmi giù.

DOTTORE – Di che temete? È probabile che già non ricordi più nulla. (Giovanni esce)

MARGHERITA – Se Federico muore per le mani di quel pazzo, farò voto di rimanere vedova per tutta la vita.

EUGENIO – (entrando come se introducesse una persona, dice) Vieni, cara. (il dottore si alza invitando Federico ad alzarsi) Vieni. Ecco i miei cari amici. (indica Federico e Margherita che non sanno dove guardare per scorgere l’immaginaria moglie di Eugenio) Qui, qui. Eccola. Dove guardate? (indica il suo lato destro)

FEDERICO – (inchinandosi) Piacere.

MARGHERITA – (con voce debole) Lietissima.

FEDERICO – (confondendo) Ha parlato?

EUGENIO – Volevi che fosse muta?

MARGHERITA – (c. s) Sono stata io che ho parlato. Ho detto: felicissima.

DOTTORE – Cara la Vittorina! Sempre bella e gentile, attraente e delicata come un fiore. (a Federico) Vero amici?

FEDERICO – Magnifica!

EUGENIO – Sediamo, prego. (come porgendo una sedia alla sua destra) Siediti, Vittorina. (agli altri che sono rimasti in piedi meno il dottore) Vi prego. (Federico e Margherita siedono impacciatissimi) Ti piace, dottore, l’abito che ho fatto indossare a Vittorina per onorare gli ospiti?

DOTTORE – Davvero stupendo. Elegante e semplice nel contempo.

EUGENIO – (parlando alla sua destra) Questi, Vittorina, è il mio più caro amico d’infanzia. Siamo stati in collegio assieme. Mia madre gli voleva un gran bene e spesse volte l’invitava a passare qualche settimana con noi. Lo chiamava “pallottolino” tanto era grassetto e tondo! Eravamo due birbe, come si dice! Non stavamo un minuto fermi. Non correte, diceva la mamma, e noi invece si correva per il parco e per le stanze come due diavoli scatenati. Non toccate niente! Noi invece strappavamo piante, fiori e rompevamo rutto quello che ci capitava tra le mani. Due ossessi, eravamo. Un giorno, ricordo bene, salimmo sul belvedere del palazzo alto circa 12 metri. Non vi affacciate, per carità, gridò spaventata la mamma, è troppo alto. Lui si affacciò e cadde. Per fortuna, sotto c’era un cumulo di erba fresca tagliata e vi cascò sopra. Fu un miracolo se non ci rimise la pelle.

FEDERICO – Troppo alto il salto.

EUGENIO – (trasognato come se seguisse un pensiero lontano) Già, troppo alto.

FEDERICO – Troppo!

EUGENIO – (c. s) Quattromila metri…

FEDERICO – …dodici metri… (il dottore gli fa cenno di lasciarlo parlare)

EUGENIO – (continuando) …ed essa era lì: tra cielo e terra. Lì, quale stella luminosa in quella notte stellata. Nessuna stella era più bella e brillante di lei. Ad un tratto uno schianto, un’immensa fiammata, avvolgendo in un rogo immenso quelle carni innocenti, precipitò inabissandosi nel mare turgido e schiumante. (segue una pausa durante la quale dall’esterno si sente cadere fitta la pioggia) Piove. Ascoltiamola questa pioggia. Il rumore del suo precipitare è lieve e monotono. È una pioggia dolorosa: è il pianto del cielo. Cadrà un giorno anche sulle nostre tombe fredde. Udremo come ora il fruscio del lento suo cadere? (breve pausa) Era là!

DOTTORE – (richiamandolo dolcemente) Eugenio?

EUGENIO – (c.s.) Era là. (un lampo illuminerà la scena e il rumore di un forte tuono farà sussultare di spavento Federico e Margherita che si stringono l’uno contro l’altra)

DOTTORE – Che tempo!

EUGENIO – (riprendendosi) Sì, che tempo!

GIOVANNI – (entrando) Il pranzo è servito.

EUGENIO – Bene, bene. (si alza e parla verso la sua destra come se ci fosse qualcuno) Vuoi cara? (breve pausa) Grazie. (agli altri) Prego? (tutti si mettono in piedi intorno alla tavola. Ad un cenno di Eugenio, il quale fa credere che la padrona di casa si sia seduta, seggono tutti in silenzio mentre Giovanni serve le cibarie, non trascurando di soffermarsi al posto vuoto) Sai, dottore, che sono stato un mese in giro per affari?

DOTTORE – Mi ha accennato qualcosa la cara Vittorina.

EUGENIO – Avrei potuto evitare la partenza e servirmi della intelligenza e della fedeltà del mio amministratore, ma da un pezzo mi sono accorto che a costui difetta tanto la prima che la seconda qualità. Allora fu giocoforza partire e governare da me il mio cavallo.

FEDERICO – (con voce debole) Chi si governa il suo cavallo non è chiamato mozzo di stalla.

EUGENIO – Vittorina mi consigliò la stessa cosa. Ma ci guidò una provvidenziale e prudente ispirazione. Un amore come il nostro, così vasto e forte, non può durare in una continuità eguale e tranquilla. Ad un amore così profondo una pausa, un intervallo è necessario, così il desiderio di amarsi, di volersi bene si accenderà più vivo. Vero, Vittorina? (intanto Giovanni sta servendo il pranzo)

DOTTORE – Vittorina è sempre d’accordo con te.

EUGENIO – (parlando verso la sua sinistra) Vedi, tesoro, (indica Margherita) che visino gentile è quello della nostra sposina! (a Federico) Non mi hai raccontato come vi siete conosciuti!

FEDERICO – A Livorno. Lei vi abitava con i suoi genitori. A Castiglioncello ci fu una corsa di treni…

EUGENIO – …di treni? Di auto…

FEDERICO – (subito) Autotreni.

EUGENIO – Autotreni?

FEDERICO – Autotreni, si.

EUGENIO – È mai possibile?

FEDERICO – Tu che ne pensi?

EUGENIO – Che non è possibile.

FEDERICO – (al dottore) Adesso che debbo fare?

MARGHERITA – (intervenendo) Insomma, fu una manifestazione sportiva… Una corsa ciclistica e noi eravamo in treno…

EUGENIO – Anche noi ci incontrammo la prima volta ad una manifestazione sportiva. Una corsa di cavalli. Eravamo in dieci fantini. Una giornata splendente. La terra sotto i nostri piedi odorava di sole. Eravamo tutti con i giubbetti colorati: chi rosso, chi verde, chi rosa. Le bestie fremevano. Scalpitavano sotto la stretta delle briglie ben tenute. Vittorina impavida al centro del gruppo, nobile, altera. Era l’ammirazione dei suoi rivali. Al segnale, i cavalli si lanciarono come demoni scatenati. Ad un tratto… (porta le mani al viso) …non ho la forza di continuare… (voltandosi verso la sua sinistra) …ti prego, Vittorina, racconta tu… (poggia i gomiti sul tavolo portando le mani davanti agli occhi. Il dottore assume un contegno disinvolto, ma attento. Federico e Margherita fingono di ascoltare qualcuno che comincia a parlare. Ne seguirà una lunga pausa interrotta di tanto in tanto da qualche “Eh…” o “Oh…” sospirato ora da uno ora da un altro come a commentare il racconto. Dall’esterno la pioggia non ha cessato di cadere, lontano, il brontolio di qualche tuono si fa sentire, rendendo l’atmosfera dell’ambiente ancora più paurosa)

DOTTORE – (dopo che Eugenio avrà sollevato il capo) Un racconto davvero emozionante. Ogni volta che lo sento…

FEDERICO – …già lo conoscevate, dottore?

DOTTORE – Eh!

EUGENIO – (a Federico) Figurati quando, di corsa, nell’avvicinarmi al gruppo per assicurarmi sulla sorte di quelli che erano stati travolti, vedo Vittorina trasportata a braccia… (a Federico) che pur essendo stata in pericolo di essere travolta in una pericolosa caduta, era giunta per prima al traguardo e, fiera, stringeva in una mano la bandiera della vittoria.

MARGHERITA – Ah… già una volta ha corso questo grave pericolo la marchesa?

EUGENIO – Una giornata memorabile.

GIOVANNI – (entra cauto e dice piano ad Eugenio) È desiderato al telefono, signor Marchese. (poi avvicinandosi al dottore gli dice piano) È il professor Costanzi della Clinica.

DOTTORE – Eugenio? Sei desiderato al telefono. Il collaudatore Costanzi.

EUGENIO – Corro subito. (parlando alla sua sinistra) Permetti, cara? (si alza ed esce mentre dice) Mi scusino.

DOTTORE – Ti accompagno. (agli altri) Permesso? (ed esce)

GIOVANNI – Permesso? (esce)

FEDERICO – Ci hanno lasciati soli con la defunta. (guarda con paura il posto vuoto)

MARGHERITA – Andiamo via.

FEDERICO – Ho paura di muovermi.

MARGHERITA – Maledetto il momento che ci siamo venuti.

FEDERICO – (facendosi forza) Beh! Margherita, che significa ciò? Mi credi davvero un pauroso? È stupido aver paura di queste cose. Coraggio, e non pensarci. (dall’interno si sentirà il solito grido di Matilde, poi un forte tuono e la luce si spegnerà) Mamma mia! (spaventatissimo) Anime del purgatorio!

MARGHERITA – (piangendo quasi) Voglio andar via. Questo è il castello dei Carpazi. (dall’interno giunge la voce di Giovanni che soccorre Matilde)

FEDERICO – Zitta. (Restano in. ascolto) È la governante, no?

MARGHERITA – Accidenti a lei! Se fossimo andati in giro a visitare le antichità! (si riaccende la luce)

EUGENIO – (rientrando seguito dal dottore) Eccomi qua!

GIOVANNI – I signori prendono il dolce?

MARGHERITA – Io no.

FEDERICO – Io nemmeno.

DOTTORE – Neanch’io.

EUGENIO – Prendiamo il caffè. (agli altri) Lo prendete?

FEDERICO E MARGHERITA – Sì.

EUGENIO – Passiamo di là, allora. (si alza. Giovanni scosta la sedia come per far posto a qualcuno) Ecco, cara. (Come se accompagnasse la sua dama si sposta verso il lato destro della scena) Siedi, cara. (come se facesse sedere qualcuno)

FEDERICO – Eugenio, scusaci… vorremmo andar via.

MARGHERITA – Alle nove abbiamo appuntamento col direttore dell’albergo. Abbiamo chiesto di cambiarci la camera con una più comoda e se non passiamo a vederla… ci scuserà, signora marchesa?

FEDERICO – Certamente che ci scuserà.

EUGENIO – Perché non restate qui a dormire? Vittorina ne sarà felicissima. Giusto c’è la camera verde a fianco di quella di Matilde, la nostra governante.

MARGHERITA – Immagino come staremmo tranquilli.

FEDERICO – Sarà per un’altra volta, Eugenio. Questa sera lasciaci andare.

EUGENIO – Come vuoi, caro. Intanto prendete il caffè? (Giovanni avrà messo un disco che suona sottotono)

DOTTORE – Certamente. (fa dei cenni a Federico, come per rassicurarlo} Prendete il caffè. Scendiamo insieme poi. Ho la macchina giù.

FEDERICO – E va bene… (il disco trasmette un motivo ballabile)

EUGENIO – Un po’ di ballo? (si alza) Balliamo, Federico?

DOTTORE – Io me ne resto tranquillo qui. (siede e fuma tranquillo)

EUGENIO – (girandosi sulla sua destra) Prego, cara? (allunga le braccia come per invitare a ballare qualcuno e balla. Dopo poco dirà a Federico) Non balli?

FEDERICO – (confuso) Sì… ballo. (a Margherita) Prego, cara? (balla con Margherita)

EUGENIO – (dopo qualche giro, con tono galante e smettendo di ballare dirà) Adesso cambieremo dama. (si avvicina a Margherita) Prego, signora? (e balla. Dopo qualche giro, dirà) Federico? Non vuoi ballare con Vittorina? (e balla con Margherita che trema tutta dalla paura)

FEDERICO – Sì… (come se parlasse a qualcuno dice con galanteria) Permette? (e balla fingendo di avere per dama la marchesa. Intanto, dall’interno, la pioggia diventa più insistente, seguita da lampi e tuoni. Ad ogni tuono, Federico cede sulle ginocchia. Margherita comincia a singhiozzare} prima leggermente, poi più forte, e mentre Giovanni entra col caffè, cala la tela)

SIPARIO