UN RAGAZZO DI CAMPAGNA

UN RAGAZZO DI CAMPAGNA

di Peppino De Filippo

Personaggi:

CONCETTA, balia di Pasqualino, 60 anni

GIOVANNI, calzolaio, 25 anni

GIORGIO PATERNÒ, 40 anni

PASQUALINO PATERNÒ, suo fratellastro, 20 anni

MARGHERITA PATERNÒ, detta “la baronessa”, moglie di Giorgio, 35 anni

VINCENZO, brigadiere, 50 anni

DON GENNARO, benestante, 60 anni

LUCIA, sua figlia, 18 anni

DON ALESSIO, medico, 50 anni

AMALIA, sua moglie, 40 anni

ENRICO CANESTRI, giovane amante di Lucia, 25 anni

1a INVITATA, 25 anni

2a INVITATA, 20 anni

1a CAMERIERA, grassa, 50 anni

2a CAMERIERA, magra, 30 anni

1° PAESANO, 30 anni

2° PAESANO, 40 anni

3° PAESANO, 40 anni

ALTRI INVITATI

Scena:

L’azione si svolge in Italia, in un piccolo paese, d’estate, negli anni ‘30.

ATTO I: l’interno di un negozio di commestibili di paese. Al centro il banco. A sinistra un focolare e, un po’ discosto in avanti, un tavolo. In fondo, sempre a sinistra, una scala a giro che conduce ai locali superiori. A destra, in seconda quinta, una vasta porta con telaio a vetri che immette nel cortile dell’edificio dal quale si intravede la campagna verde e luminosa.

ATTO II: una vasta camera da letto, con mobili di stile vecchiotto e di gusto provinciale. Al centro della parete, in fondo, un cassettone con sopra un grosso orologio dorato, affiancato da due campane di vetro che coprono trofei di fiori di cera. A sinistra, in seconda quinta, il letto matrimoniale, altissimo, con coperta di broccato e cuscini con coperture ricamate. A capo del letto, alla parete, un quadro di soggetto religioso. Ai lati, i comodini con paralumi illuminati; ai piedi del letto un tavolo ovale coperto da un tappeto con frange; intorno, poltroncine. Ai lati del letto, gli scendiletto; alla parete di fronte, la fotografia ingrandita, in cornice, di familiare defunto. Lampadario al soffitto, illuminato. Sul letto e sul tavolo, buona parte dei regali di nozze (servizi di posate, piatti, vasi di cristallo, scatole d’argento, soprammobili, ecc.). In prima quinta, a destra, una porta aperta che immette in un ambiente illuminato. In fondo, sempre a destra, una porta finestra che conduce su di una terrazza che affaccia sulla campagna, ora all’imbrunire. In prima quinta, a sinistra, una porticina a muro sormontata da una piccola finestrella ovale.

ATTO PRIMO

Concetta è a sinistra, presso il focolare, sul quale saranno alcune pentole coperte, intenta a cucinare.

GIOVANNI – (entrando dalla destra) Salute, Concetta. (depone sul tavolo che sta presso il focolare due scatole che ha con sé, poi siede. Concetta borbotta qualcosa continuando a cucinare) I padroni sono in casa?

CONCETTA – Pasqualino è andato al deposito.

GIOVANNI – Cerco Giorgio.

CONCETTA – Il “signor” Giorgio, vuoi dire.

GIOVANNI – Io l’ho sempre chiamato Giorgio e basta.

CONCETTA – Male. A lungo andare rischi di sentirti dire quello che ha detto a me: “Insomma, come ti permetti? Ricordati che sono il tuo padrone, mi devi chiamare Signor Giorgio”!

GIOVANNI – E va bene, lo chiamerò “Signor Giorgio”! Mi deve pagare queste due paia di scarpe nuove.

CONCETTA – Anche le scarpe? Niente si fa mancare: l’altro ieri sei camicie di seta, ieri il cappello di pelo nero lucido, oggi le scarpe.

GIOVANNI – Mi ha detto che gli servono per il matrimonio di Pasqualino. Non c’è?

CONCETTA – Dorme ancora…

GIOVANNI – È quasi mezzogiorno. (guarda il suo orologio) Manca un quarto.

CONCETTA – Se hai tempo, aspettalo.

GIOVANNI – Anche la sua signora, la baronessa, dorme?

CONCETTA – È andata in città a fare delle spese, così ha detto. Si prepara per la festa di domani.

GIOVANNI – Dice di essere baronessa!

CONCETTA – (con sopportazione) Sì, quella è baronessa come io sono la moglie del Papa. Quanto siete fessi, in questo paese…

GIOVANNI – Giorgio dice che, in prime nozze, sposò un barone che poi morì in duello… insomma, così sanno tutti no?

CONCETTA – Meglio non parlarne, se no mi viene voglia di dirne quattro come le so dire io! Baronessa! Baronessa! Cose da pazzi. E io sono la regina di Francia, se lei è baronessa! Va’ su, vai a vedere la sua stanza. Tutto sottosopra, una confusione…una camicia qui, un paio di calze là, tutta la biancheria in disordine: un campo di battaglia. Va’ là, che hanno fatto una bella coppia. Giusto, Dio li crea e poi li unisce.

GIOVANNI – Non riesco a convincermi come un uomo possa rimanere a letto fino a quest’ora.

CONCETTA – (ironica) Vita comoda, caro mio. Se fosse ancora vivo il signor Domenico, il padre di Pasqualino, il signor Giorgio e la sua nobilissima signora, la grande artista del varietà, la baronessa, non starebbero qui a fare i porcacci comodi loro alla faccia della buona creanza. Meritava una sorte migliore, Pasqualino… invece pare proprio che la fortuna voglia tenersi lontana da lui.

GIOVANNI – Quel fratello!

CONCETTA – (correggendolo) Fratellastro, vuoi dire: fratellastro.

GIOVANNI – E Lucia? Non per parlarne male: è una brava ed onesta ragazza, potrà diventare una buona moglie, ma che brutto carattere che ha. Quando la si vede al caffè in piazza, si mette lì, seduta, con gli occhi che guardano in terra, e non dice una parola.

CONCETTA – È molto simpatica al signor Giorgio, ed è stato lui a trattare il matrimonio. (mordendosi le dita) Potessi parlare! Potessi dire tutto quello che Pasqualino non capisce, caro mio!

GIOVANNI – A quanto si dice, Giorgio ne ricava qualche milioncino da questo matrimonio.

CONCETTA – E intanto è già d’accordo con Pasqualino che, a nozze avvenute, questa casa diventa di sua proprietà.

GIOVANNI – (sottovoce, pettegolo) Matrimonio d’interesse. Lo hanno capito tutti in paese. Lucia non ha un soldo! Sì, qualche piccola proprietà, ma roba di poco conto. Troppo buono, Pasqualino… (va al focolare e si accende una sigaretta)

CONCETTA – E tutti se ne approfittano. (ha sentito venire qualcuno dalle scale) Eccolo!

GIOVANNI – Pasqualino?

CONCETTA – Giorgio!

GIORGIO – (appare in cima alla scala e la scende con pigrizia, sbadigliando. Indossa un paio di leggeri pantaloni e una camicia di fustagno. È spettinato e porta in mano una tazza di caffè con piattino. A metà scala si ferma e si rivolge a Concetta con tono di rimprovero) Tu sei una malafemmina. (Azione di Concetta per replicare) Taci; fammi parlare. Ricordati che sono il tuo padrone e tu sei quella che deve lavorare tacendo e tacendo obbedire. È il tuo destino: sei nata serva. Come io sono nato per comandare e fare il mio comodo. Dunque: tu sei una malafemmina, dispettosa e antipatica; ma io non sono uno stupido e in giro da te non mi faccio prendere.

GIOVANNI – Buongiorno, signor Giorgio!

GIORGIO – (a Giovanni) Perché mi interrompi? Hai o non hai educazione? Tutti ineducati, in questo paese: tutti rimbambiti. Lo senti che sto rimproverando la schiava! (azione di Concetta) Schiava, e se no che sei? Meno di schiava sei: una bestia! Dunque: ti avrò detto centinaia di volte che il caffè lo desidero passato bene e carico, molto carico. Questo che mi hai portato è acqua sporca. (a Giovanni) Assaggia, ti prego.

GIOVANNI – Non occorre, grazie. Si vede dal colore che non è buono.

GIORGIO – Acqua sporca, ti dico: acqua sporca. Quella, sai come fa? (allude a Concetta che fa per reagire) Schiava maledetta zitta, non rispondere che ti metto al palo. Io li ho visti i negri al palo, bruciare… Sai come fa? Quando il caffè è pronto, le prime due tazze le mette da parte, una per sé e l’altra per Pasqualino, e a me tocca la scolatura. Mi sento la bocca amara come il fiele. (annusando la tazza) E poi puzza! (a Giovanni) Assaggia, ti prego, assaggia!

GIOVANNI – (rifiutandosi) Ci credo, ci credo.

CONCETTA – Domattina vi porterò la prima tazza, va bene? (con scatto, cambiando tono) Vi ho già detto parecchie volte, che il caffè non so farlo meglio. Se non riesco ad accontentarvi, fatevelo da voi!

GIORGIO – Me lo faccio io?

CONCETTA – Voi, voi, o chi meglio vi piace. (continua a borbottare)

GIORGIO – Brutta, sei brutta!

CONCETTA – Lo so!

GIORGIO – E non provvedi? (a Giovanni) È brutta, lo sa e se ne sta tranquilla come se niente fosse. Hai sentito com’è sgarbata? Che ne vuoi sapere? In questa casa tutte le attenzioni sono per Pasqualino: per lui si fa la torta speciale, per lui si cucina bene; per me, solo dispetti.

CONCETTA – Voi avete vostra moglie, quel povero ragazzo non ha nessuno. Ha solamente me che l’ho allevato come se fosse stato un figlio mio. Senza mamma è cresciuto.

GIORGIO – Anch’io ho perduto mia madre quand’ero giovane.

CONCETTA – Voi avete un altro carattere. Voi…

GIORGIO – …smettila, cafona!

CONCETTA – (risentita) Quando uno si sveglia a mezzogiorno…

GIORGIO – Pensa ai fatti tuoi. Voglio svegliarmi quando mi pare e piace: a mezzogiorno, all’una, alle due, alle tre. T’interessa? Sei tu a svegliarti o io?

CONCETTA – Voi.

GIORGIO – E allora? Ci rimetti qualche cosa? (a Giovanni) Anche mio padre, buon’anima, pretendeva che mi alzassi presto alla mattina. “Ma perché?”, gli domandavo, non avevamo nulla da fare. Niente: era irremovibile. E noi ci si alzava presto, ci sedevamo, ci guardavamo in faccia mezzo assonnati, poi si ritornava a letto perché avevamo sonno. E fu principalmente per questa ragione che all’età di dieci anni fuggii di casa. Sentii il bisogno della libertà. E da allora, bene o male, cominciò la mia vita avventurosa che tutti conoscete: crociere, caccia grossa… Sei mesi di foresta, cari miei: sei mesi. Duelli.

GIOVANNI – Ah, già, i duelli…

GIORGIO – Caro mio, quando ti trovi faccia a faccia con la vita, o campi tu o campo io. Che ne sapete, voi? Ho il corpo che è un colabrodo. Sono tutto un duolo. Io, poi, se mi alzo dal letto cinque minuti prima del solito, mi sento male, resto nervoso tutta la giornata. La notte scorsa, sapessi, non sono riuscito a dormire tranquillo. Un’ansia, un incubo… (pronuncia la parola con l’accento sulla “u”),

GIOVANNI – (lo corregge) Si dice incubo.

GIORGIO – Perché?

GIOVANNI – Perché si dice così.

GIORGIO – Si dice così?

GIOVANNI – Sempre così ho sentito dire.

GIORGIO – Bene. Ti dicevo, dunque: un incubo…

GIOVANNI – Perché?

GIORGIO – Ho sognato che mi tenevano digiuno da una settimana. Mi sentivo, nello stomaco, come un morso, una pena, un tormento. Sai quando mi è passato? Quando, verso le quattro, albeggiava, sono sceso qui e ho mangiato una mezza salsiccia…

CONCETTA – …tre: tre salsicce.

GIORGIO – …Beh, uno, al buio, taglia… che ne sa se ne ha tagliate tre o mezza? Un po’ di caciotta…

CONCETTA – …mezza caciotta: mezza!

GIORGIO – …e una fettina di pane.

CONCETTA – Una pagnotta intera!

GIORGIO – Quella mi fa da controllo notturno in casa! Anche di notte sorveglia quello che faccio.

GIOVANNI – Questa notte vi siete mangiato tre salsicce, mezza caciotta…

CONCETTA – …e un chilo di pane. Per questo vi sentite la bocca amara. Perché non vi purgate, ora?

GIORGIO – Mi purgo?… Oh, perché non ti purghi tu? Io ho il fegato a pezzi. Sei mesi di foresta… La baronessa è rientrata?

CONCETTA – La baronessa?

GIORGIO – Insomma?!

CONCETTA – Insomma che?

GIORGIO – Siamo qui da mesi e ancora non sai chi è la baronessa? Tutti lo sanno, tu non lo sai?!

CONCETTA – Non me lo ricordo.

GIORGIO – Allora te lo ricordo io. La baronessa è mia moglie, la signora Margherita. Perché è baronessa? Perché è la vedova del barone Scardamacchia, colonnello di cavalleria, morto in duello all’ultimo sangue, per causa d’onore. Tutti lo sanno, lei no!

CONCETTA – Con questo volete dire, forse, che sposando la vedova del barone Scardamacchia siete diventato barone anche voi?

GIORGIO – Voglio dire che mia moglie è baronessa e basta, e per tale deve essere trattata in casa, fuori di casa e all’estero!

CONCETTA – Va bene.

GIORGIO – Allora? Dov’è la baronessa?

CONCETTA – Non lo so.

GIORGIO – E Pasqualino? Mio fratello? Il cognato della baronessa?

CONCETTA – Pasqualino è al magazzino. È in piedi dalle cinque di stamattina: da allora sta lavorando ancora.

GIORGIO – Se si è alzato, in piedi deve stare. Si è mai visto uno che si alza coricato? È ragazzo e il lavoro gli fa bene. (a Giovanni) Tu che vuoi, che stai qui da mezz’ora a sentire i fatti miei? Chi sei?

GIOVANNI – Giovanni, sono. Il calzolaio. Vi ho portato le scarpe nuove.

GIORGIO – Già… è vero… oggi è domenica…

GIOVANNI – Eh già. (apre le scatole) Eccole qua. Le nere e le gialle.

GIORGIO – Calzami le sgialle, allora.

GIOVANNI – (che non ha capito) Cosa?

GIORGIO – Ho detto: le sgialle! Ci ho dato l’accento fiorentino. Conosci Firenze?

GIOVANNI – (accingendosi a calzargli le scarpe) No.

GIORGIO – Io sì. Ci sono stato con la baronessa. (imitando il dialetto fiorentino pronuncia qualche frase) Ho fatto un duello a Firenze. Mi sono battuto alle ‘ascine. (alle Cascine)

GIOVANNI – Ho dimenticato il calzascarpe.

GIORGIO – Fa niente. (batte forte il piede a terra, forzando la scarpa)

GIOVANNI – Piano, piano, si rovina la forma.

GIORGIO – Prima o poi si dovrà rovinare. Ogni bella scarpa diventa ciabatta. (guarda con intenzione Concetta e ripete) Ogni bella scarpa diventa ciabatta. (a Giovanni) Ammesso che uno nasca scarpa, perché può accadere che uno nasce direttamente ciabatta e allora… (ride sguaiatamente mentre finisce di calzare la scarpa) Ecco fatto. (siede) L’altra. (porge il piede e mostra il calzino rotto alla punta)

GIOVANNI – (alludendo al buco nel calzino) Accidenti! (ride)

GIORGIO – (indicando il suo piede) Capisci? Guarda e apprendi come sono trattato. (a Giovanni che trattiene il sorriso) Ridi, ridi!

GIOVANNI – Non mi permetto.

GIORGIO – Ridi, ti dico: ridimi in faccia, me lo merito. (Giovanni ride) Più forte! (Giovanni ride più forte) Più forte ancora! (Giovanni esegue, ridendogli sgangheratamente sul viso, ma Giorgio si offende, gli fa cenno di tacere e Giovanni smette di colpo) Beh? Come ti permetti?

GIOVANNI – Mi avete detto di ridere.

GIORGIO – Un po’… ma tu esageri! (a Concetta) È questo il modo di tenermi la biancheria? (mostra un secondo buco, tallone)

CONCETTA – Io non sono vostra moglie. Tocca a lei fare queste cose.

GIORGIO – Tocca a lei o tocca a un’altra, alla donna tocca. Ieri sera ti dissi di farci un rammendo a questi calzini…

CONCETTA – Se li avessi trovati!

GIORGIO – E dove stavano?

CONCETTA – Tutta la notte ai vostri piedi! Siete andato a letto senza togliervi i calzini…

GIORGIO – (abbozzando) Ho avuto un colpo di sonno. Abituato a vivere nella foresta… Lì, mica ti puoi spogliare. Si dorme vestiti: sempre pronti a difendersi. Ti capita un giaguaro… una giraffa, che fai?

GIOVANNI – (dopo che Giorgio ha calzato l’altra scarpa) Ecco fatto.

GIORGIO – Vediamo un po’. (passeggia per provare le scarpe)

GIOVANNI – Fanno male?

GIORGIO – Mi pare… (indica il piede destro e Giovanni gli stringe la punta della scarpa. Giorgio gli dà uno scappellotto) Che stringi?!

GIOVANNI – Avete un callo?

GIORGIO – Che callo? Una ferita: un duello.

GIOVANNI – Un duello al piede?

GIORGIO – (a Concetta) Porta via le pantofole. (Concetta le raccoglie, prende anche le scatole delle scarpe e si avvia per le scale, mentre Giorgio dice a Giovanni) Quanto ti debbo?

GIOVANNI – Quanto combinammo: dodicimila lire.

GIORGIO – (a Concetta) Vai da Pasqualino e fatti dare dodicimila lire.

CONCETTA – (allarmata) Dodicimila?

GIORGIO – Si tratta di un prestito. (a Giovanni) Non mi trovo denaro spiccio. (Concetta sale le scale borbottando ed esce) Senti, senti come borbotta, la marmotta.

GIOVANNI – Domani, dunque, gran festa.

GIORGIO – Si fa baldoria. Pasqualino non sta nei panni dalla gioia! Ha ragione! Lucia è veramente una bella ragazza e possiede tutto: grazia, bellezza, ricchezza!

GIOVANNI – Però, non per criticare s’intende, non me lo permetterei, Pasqualino mi pare troppo giovane per sostenere il peso di una famiglia. Avreste dovuto aspettare ancora qualche anno prima di dargli moglie.

GIORGIO – E che, gli mancano i mezzi a Pasqualino? È ricco sfondato; mio padre lasciò tutto a lui: terre, palazzi, contanti. A me non toccò niente perché tra me e mio padre non correvano buoni rapporti. Poi, caro Giovanni, non c’è età per prendere moglie, quando questa è “moglie” nel vero senso della parola. Moglie significa tutto: calore del focolare, profumo della mensa. Tu torni a casa dopo una giornata di lavoro e chi trovi, pronta a consolarti, a confortarti? Tua moglie. È lei che tiene cura della tua persona, ti tiene in ordine un vestito, ti cuce un bottone…

GIOVANNI – …ti rammenda un pedalino!

GIORGIO – Hai fatto lo spiritoso?

GIOVANNI – Mi sono permesso…

GIORGIO – Non lo fare più perché sono permaloso… (sorvolando) Io sono tanto contento di aver sposato Margherita che nessuno lo può immaginare, in questo paese di selvaggi.

GIOVANNI – È una brava donna!

GIORGIO – Intelligente, pratica della vita…

GIOVANNI – …baronessa…

GIORGIO – …ne ha conosciuti, principi e marchesi!

GIOVANNI – Cantava in varietà, vero?

GIORGIO – Grande attrice.

GIOVANNI – Quella fotografia che avete sopra, a colori, con le gambe scoperte… che bella! Sembra una statua, una Venere! Quanto mi piace.

GIORGIO – Piace a tutti.

GIOVANNI – Aveva un corpo delizioso.

GIORGIO – Anche adesso. Eh! La Cherubini, vedetta internazionale! Che tournées memorabili: Campobasso, Modena, Forlì, Tripoli, Mogadiscio, Addis-Abeba: sei mesi ad Addis-Abeba! Andammo per una settimana, ci fecero rimanere sei mesi, dico sei! Quei negri! Che pubblico intelligente! Che entusiasmo! Saltavano, ballavano, gridavano: “Italia, Italia, Italia”! Che donna. Sposandola, credi, feci un vero atto di carità, dal lato morale, s’intende. Sapessi che vita disagiata è quella degli artisti di varietà. Viaggiare sempre, fare e disfare le valige: oggi qui, domani là… e poi lei, sola, da poco vedova, senza genitori…

GIOVANNI – …orfana.

GIORGIO – Credo, non aveva genitori.

GIOVANNI – Orfana!

GIORGIO – (forte) Non lo so, so solamente che non aveva né padre né madre.

GIOVANNI – In questi casi si dice: orfana!

GIORGIO – Ma tu come le sai certe cose? Tu sei un ignorante!

GIOVANNI – Ho sentito dire sempre così.

GIORGIO – Ne sei sicuro?

GIOVANNI – Sicurissimo. Si dice: orfana. (scandisce) Or-fa-na!

GIORGIO – (ripete) Or-fà-na. (pone l’accento sulla seconda vocale)

GIOVANNI – No, voi sbagliate, dite orfàna. Si dice: òrfana.

GIORGIO – (ripete) Orfana! (esatta pronuncia) Molti mi rimproverano di aver sposato una donna libera. Ma che vuol dire? Sotto certi aspetti è preferibile sposare una donna libera, perché una donna che ha vissuto non desidera più niente. Non c’è pericolo di cambiamenti, di mutamenti.

GIOVANNI – Giusto. Se uno sposa una ragazza ingenua, inesperta della vita, che può accadere? Quando meno te lo aspetti, ti fa un cambiamento.

GIORGIO – Una donna come mia moglie, no.

GIOVANNI – È un’altra cosa.. Il cambiamento l’ha già fatto.

GIORGIO – Tu mi hai capito. (gli stringe la mano con effusione)

CONCETTA – (rientrando dalla porta di destra) Ecco i soldi! (butta i soldi sul tavolo e va al focolare)

GIORGIO – (prende le banconote e le dà a Giovanni) Tieni.

GIOVANNI – (intascando il denaro) Grazie. Avete altri comandi?

GIORGIO – Niente, per il momento.

GIOVANNI – Buona giornata a voi e a te, Concetta! (esce)

CONCETTA – Grazie. (è presso il focolare e fa aria con una ventola sul fuoco di carboni di uno dei fornelli sopra il quale vi è una grossa pentola che si immagina contenga l’acqua per cuocervi i maccheroni. In realtà è vuota: sarà sostituita, poi, con altra uguale in cui saranno effettivamente i maccheroni già cotti, da mangiare in scena. Accanto alla pentola, sul fornello, c’è anche una piccola casseruola con sugo vero di pomodoro, già cotto e coperto)

GIORGIO – (gira un po’ per la scena con svogliatezza: un po’ si ferma qui, un po’ lì, non sa cosa fare. Tocca questo, tocca quello, sbadiglia. Poi si avvicina al focolare e scopre la pentola grande) Acqua. (scopre la più piccola) Salsa. (a Concetta) Pomodori freschi?

CONCETTA – (con sopportazione) Signorsì.

GIORGIO – Bene, bene… (pigramente si trascina dietro al banco e svogliatamente, quasi a fatica, taglia malamente e con sforzo una grossa fetta di pane da una pagnotta, dalla parte del dorso e la smollica come per raccoglierci dentro qualcosa di liquido; infatti, ritorna presso il focolare, intinge il pezzo di pane nel sugo e lo ritrae colmo di salsa che beve addirittura come si beve dell’acqua raccolta in un apposito mestolo. Accorgendosi che Concetta ne è indispettita, ripete alla svelta l’azione, poi butta via il pane gettandolo sul focolare e si allontana dirigendosi verso la porta della bottega. Qui, lentamente, sempre con evidente pigrizia, dispone attorno a sé cinque sedie: una per sederli, due ai lati per appoggiare i gomiti, due di fronte, a distanza, per allungarci comodamente le gambe, poi siede pesantemente) Bella giornata! (dice, guardando verso l’esterno. Poi, a Concetta) Quel pollaio è sporco, si deve pulire.

CONCETTA – Signorsì! (tra sé) Che scocciante!

GIORGIO – Lo laverai oggi con la pompa dell’acqua. Io siederò qui e dirigerò i lavori d’igiene. (come vedendo qualcuno in lontananza) Ehi?!… Pasqualino!

PASQUALINO – (di dentro) Eh?

GIORGIO – Che fai?

PASQUALINO – (c.s.) Vengo subito!

GIORGIO – Vieni, facciamo quattro chiacchiere. È domenica, non si lavora… (a Concetta) Che si mangia?

CONCETTA – Maccheroni. (continua ad affaccendarli intorno ai fornelli)

PASQUALINO – (entra accaldato. È in pantaloni e maniche di camicia, sporco di farina) Ho fatto scaricare in deposito cinquanta quintali di farina e quindici di pasta. Questa è la fattura: la metto nel registro. (lo prende dal banco) Vedi, Giorgio? Domani il negozio passerà nelle tue mani ed è logico che tu sappia tutto. Non ci sono debiti: nessuno deve avere niente. Ti mostrerò, poi, il registro e il resto. (prende dal banco un pezzo di pane, lo spezza e lo mangia con avidità)

GIORGIO – Questo negozio, con la casa che mi hai regalato, perché sei stato tu a regalarmi questa roba… (azione affermativa di Pasqualino) No, perché qui si vocifera che io l’abbia pretesa… (azione negativa di Pasqualino) Ti prego di smentire questa malignità. Dunque, ti dicevo: sotto la mia amministrazione, questo locale farà faville. In paese manca un localuccio dove la notte ci si possa divertire. Un piccolo night… stile pompeiano, per esempio.

PASQUALINO – Fai come vuoi. Io ti consiglio di lasciar perdere. Le cose eleganti e moderne vanno poco; quello che conta è la bontà della merce. (a Concetta) C’è tempo per mangiare? Ho una fame da lupo!

CONCETTA – Per forza, stai lavorando da stamattina! Vuoi uno spuntino? Prenditi un uovo fresco: ne ho messi da parte due proprio per te. Intanto che preparo te le bevi, eh? Te le vado a prendere. (fa per andare su per le scale)

GIORGIO – (dal suo posto) Dove vai?

CONCETTA – A prendere le uova per Pasqualino.

GIORGIO – Quelle due che stavano sul cassettone, dietro il quadro della Vergine?

CONCETTA – Sissignore!

GIORGIO – Le ho succhiate io.

CONCETTA – Anche quelle? Ma come, io le nascondo…

Giorgio…e io le trovo! Qui non ci sono ladri in casa!

PASQUALINO – Non fa niente. Come se le avessi prese io.

GIORGIO – Proprio. Siamo fratelli, chi succhia, succhia…

PASQUALINO – A proposito di mangiare, Concetta, metti il pastone al maiale. Ho visto che ha la tinozza vuota.

CONCETTA – Vuota? (meravigliata) Gesù! Stamattina l’ho riempita due volte: due volte! (andando verso la porta di destra e guardando Giorgio) Chissà chi è che si mangia tutto.(esce)

GIORGIO – (che ha capito l’antifona) Quella è pazza! Chissà chi è che si mangia tutto e guarda me. (parlando forte verso la porta da dove è uscita Concetta) Tu sei una sciagurata! Ecco quello che sei.

PASQUALINO – Hai ragione! (anche lui parlando verso l’esterno) Potresti essere un pochino più educata con mio fratello. L’ha mangiato, non l’ha mangiato… se l’è voluto mangiare, t’interessa?

GIORGIO – (offeso) Scherzi?! Che, mangiavo il pastone dei maiali?

PASQUALINO – Lascia perdere. Ti piace? Mangiatelo. Tu puoi mangiare quello che vuoi.

GIORGIO – Ma non il pastone del maiale…

PASQUALINO – Giorgio, sai che questa mattina sono stato da Lucia? Sono già arrivati tanti regali per il matrimonio. E che bella roba! Servizi di piatti, posate, servizi di bicchieri… cravatte…

GIORGIO – A proposito di regalo, (Concetta rientra e va al fornello) mi devi fare un favore. Tanto io quanto mia moglie, la baronessa, siamo in dovere di farti un “presente” per le nozze. Ora, pensa alla mia personalità, a quella di mia moglie e ti renderai conto che non ce la possiamo cavare con un regalo di poco conto, ma siccome mi trovo momentaneamente senza contanti dovresti farmi il piacere di darmi in prestito i soldi per comperarti il dono.

PASQUALINO – Quanto ti serve?

GIORGIO – Cinquanta… sessanta… settantamila. Facciamo una cosa: tu dammi centomila lire, se ci resta qualche cosa faremo i conti poi; ma io credo che non ci resterà niente perché voglio farti un regalo importante.

PASQUALINO – Grazie.

GIORGIO – Prego.

PASQUALINO – Ma tu, Giorgio, cosa ne pensi? Lucia mi vorrà bene?

GIORGIO – Perché? Non te ne vuole?

PASQUALINO – Non so. Mi pare sempre triste. Non mi dice mai una parola. Non mi guarda mai negli occhi. Papà diceva: “A chi non ti guarda negli occhi non parla il cuore”.

GIORGIO – Papà diceva un mucchio di fesserie. Gli piaceva fare il sentenzioso. Lascia stare papà: papà è morto! Dai ascolto a me che sono tuo fratello e, per fortuna, sono ancora vivo. Lucia è una ragazza bene educata. Del resto ti devi convincere che se non t’avesse voluto bene non avrebbe accettato di sposarti. La voleva sposare don Sebastiano, medico rispettabile e ricco…

PASQUALINO – …era anziano…

GIORGIO – …e fu scartato. Il figlio del Sindaco, anche lui ricco…

PASQUALINO – …zoppo, però…

GIORGIO – …e fu scartato! L’ingegnere, quello che ha costruito la cabina elettrica sulla nazionale…

PASQUALINO – …aveva un occhio storto…

GIORGIO – …ed è stato scartato. Tra tutti questi scarti sei stato scelto tu: che significa?

PASQUALINO – Che non sono stato scartato?

GIORGIO – Significa che sei stato scelto tra gli scarti: scarta questo, scarta quello, sei venuto fuori tu: la perfezione!

PASQUALINO – Questo l’ho pensato anch’io.

CONCETTA – L’acqua bolle e la carne è cotta. Calo la pasta?

GIORGIO – Calala.

PASQUALINO – Non aspettiamo Margherita?

GIORGIO – No. Un’altra volta impara a trovarsi per tempo quando è l’ora di colazione. Non siamo in trattoria, qui. Scelgo io la pasta. Prepara la tavola, Pasqualino. (Pasqualino esegue prendendo l’occorrente da dietro il banco: tovaglia rustica, posate, bicchieri e piatti) Pasta lunga, oggi: bucatini. I maccheroni bucati si digeriscono meglio e per me, che ho lo stomaco delicato, vanno bene. (finge di calare la pasta nella pentola, ma questa sarà dopo poco cambiata da Concetta con l’altra dove, come si è detto, vi sono i maccheroni già cotti, a tempo debito, fuori di scena. Naturalmente, Concetta per fare questa azione dovrà servirsi dell’aiuto esterno di una persona addetta la quale scambierà le due pentole, attraverso un’apertura nascosta al pubblico e di fianco al focolare, mentre Concetta avrà appoggiato per breve momento la pentola vuota nel luogo apposito fingendo di attizzare i carboni e sventolandoli. Poi prenderà la pentola con i maccheroni cotti e la rimetterà sul fuoco)

PASQUALINO – (guardando verso la porta e sentendo ridere Margherita) Ecco Margherita.

GIORGIO – È finita la gita in città.

MARGHERITA – (d.d. e sempre ridendo) Salute, don Saverio, Buongiorno, Amalia! (d.d. alcune voci rispondono a soggetto ai saluti di Margherita che entra, seguita dal Brigadiere che porta pacchi e pacchetti) Come siete ridicolo! Sembrare un facchino!

GIORGIO – È quasi l’una, mi pare un po’ tardi per rientrare.

MARGHERITA – (con aria allegra e scanzonata) Ho perso la corriera delle undici e ho preso quella di mezzogiorno. (al Brigadiere, con civetteria) Mettete tutto qua. (indica il banco) Grazie, caro! (gli dà un buffetto su una guancia)

BRIGADIERE – (galante) Prego. (depone tutto sul banco, dietro il quale si trova ora Giorgio) È un dovere.

MARGHERITA – Bisogna esservi riconoscenti. Avete portato questo peso dalla piazza fin qua.

BRIGADIERE – Ho incontrato la signora Margherita, la baronessa, alla fermata della corriera e mi ha dato una grande soddisfazione: tra tanti giovanotti che si sono offerti di accompagnarla, ha scelto me.

1° PAESANO – (si affaccia alla porta e vi resta appoggiato allo stipite) Buongiorno.

2° PAESANO – (segue il primo e si ferma con lui) Buongiorno!

BRIGADIERE – …e non faccio per dire: c’era Angelo Torricelli, che passa per un bel giovanotto, almeno dicono, Pinucci, Semola…

MARGHERITA – …Roberto Alicante, Giovannino il rosso, e Spilungone, il figlio del farmacista…

BRIGADIERE – …Battistelli…

MARGHERITA – Tutti là, a fare crocchio!

BRIGADIERE – Non hanno niente da fare tutto il giorno. Tutti bei giovanotti, non si può negare, ma lei ha scelto me, osteria!

3° PAESANO – (affacciandosi alla porta con gli altri) Baronessa! Ciao, Giorgio. (fa gruppo con gli altri due)

GIORGIO – (alludendo ai tre paesani) Comincia l’adunata. Comincia lo spettacolo.

MARGHERITA – In questo paese non si può camminare in santa pace: tutti ti guardano, ti osservano come se non avessero mai visto una donna ben vestita.

BRIGADIERE – Infatti! (sospirando) Donne come voi non se ne vedono facilmente, osteria!

GIORGIO – Come siete galante, Brigadiere.

BRIGADIERE – È la verità. Ho fatto il militare in città: due anni a Torino, e di donne me ne intendo! Osteria!

MARGHERITA – (a Concetta) Ci vuole molto per mangiare?

CONCETTA – Cinque minuti.

MARGHERITA – Non ho molto appetito. (nel corso di questa battuta siede sul tavolo accavallando le gambe e mettendole in mostra. I tre paesani siedono di fronte e guardano) In città ho incontrato il baroncino Zoccoletti, te lo ricordi Giorgio? Quel cretino che voleva sposarmi. Mi ha riempito la testa di chiacchiere: m’ha domandato anche di te. Poi ha voluto offrirmi un aperitivo e qualche tartina. (ride sguaiatamente) Ho approfittato dell’occasione e mi sono fatta comprare un litro di “eau de toilette” e qualche cremetta per il viso. Ha speso più di ventimila lire.

GIORGIO – E ti pare una bella cosa? (tira giù la gonna a Margherita, nell’intento di coprirle le gambe ma Margherita continuerà a scoprirsele)

MARGHERITA – Che c’è di male? Ci conosciamo da tanto tempo. (marcando le parole) E tu lo sai: lo sai molto bene. Non mi pare il caso di prendersela tanto! Se poi ti vengono i nervi e ti senti, improvvisamente, leso nell’onore, calmati perché con me non c’è niente da fare! Mi puoi comperare l’eau de toilette tu? Le cremette per il viso? No. Allora, taci, tollera e lasciami fare!

GIORGIO – Ed io taccio, tollero e ti lascio fare. (nel voltarsi sorprende il gruppo di paesani chinati fin quasi a terra per guardare le gambe a Margherita) Insomma? Volete il cannocchiale? Ma dove credete di essere, all’osservatorio di Capodimonte? Andate via.

BRIGADIERE – (ai tre) Via, via, per i fatti vostri. (i tre escono)

GIORGIO – E quest’altra roba che cos’è? (indica i pacchi)

MARGHERITA – Calze, guanti ed altre cosette. Mi sono comperata due combinazioni di voile che sono un amore: trasparenti che pare di non averle. (fa per prendere i pacchi)

BRIGADIERE – (fermandola, con galanteria) State comoda, baronessa. Ditemi dove vanno riposti ed io li porterò. Andate avanti, io vengo dietro.

GIORGIO – (fermandolo) Lasciate stare, brigadiere. Ci vado io dietro alla baronessa!

BRIGADIERE – Voi… io… è lo stesso.

GIORGIO – Meglio io che sono il marito, no? (a Concetta) Di’… a te, mummia! Porta su questa roba. Alla cucina bado io.

MARGHERITA – Prendi anche il cappello e portalo su. (Concetta esegue, sale le scale, poi ritornerà)

BRIGADIERE – Io tolgo il fastidio.

GIORGIO – (è presso il focolare e gira col forchettone i maccheroni nella pentola, facendoli vedere al pubblico) Grazie…

PASQUALINO – Brigadiere, un bicchiere di vino? (glielo versa)

BRIGADIERE – Lo accetto volentieri. (beve)

PASQUALINO – È quello che piace a voi, e se permettete ve ne manderò un paio di fiaschi.

BRIGADIERE – Grazie, non tanto per me quanto per i bambini. E, bada, voglio i confetti, eh?

PASQUALINO – Per voi e per tutta la famiglia.

BRIGADIERE – Carissimo Giorgio, a ben rivederci.

GIORGIO – Buone cose. (col forchettone prende i maccheroni e ne assaggia uno per controllarne la cottura)

BRIGADIERE – (con molta galanteria si avvicina a Margherita che è accanto al focolare e le porge la mano) Cara, amabile baronessa!

GIORGIO – (mettendo uno spaghetto cotto nella mano del brigadiere) Prendete, brigadiere. (dall’interno si ode una fisarmonica che suona un ballabile)

BRIGADIERE – (che si scotta con lo spaghetto tra le mani) Che ne faccio?

GIORGIO – Datelo al gallo.

BRIGADIERE – Sempre scherzoso, l’amico Giorgio. Buona giornata a tutti e buon appetito. (esce)

GIORGIO – Fa il galante, il brigadiere. (resta presso il focolare sempre badando alla cottura della pasta)

PASQUALINO – (che si è seduto al tavolo accanto a Margherita) Quando sarò sposato, Margherita, mi accompagnerai in città e mi farai vedere i bei negozi, i cinema, i teatri… (continua a parlare a soggetto mentre Giorgio toglie la pentola dal focolare e versa i maccheroni in un colapasta preparato in anticipo su un catino capace di contenere l’acqua che dovrà colare dalla pentola della pasta. Una volta colata la pasta, la versa in una insalatiera di coccio già pronta in mezzo alla tavola, poi prende il sugo di pomodoro, lo versa sulla pastasciutta e vi sparge sopra il parmigiano grattugiato, che avrà trovato a portata di mano sul tavolo. Infine, con la sua forchetta, infila un grosso malloppo di spaghetti, lo mette nel recipiente dove stava il sugo di pomodoro, raccoglie, mescolando, il sugo rimasto e versa tutto nel proprio piatto mettendosi a mangiare con avidità)

PASQUALINO – (a Concetta che rientra dalle scale) Che profumino! (ognuno si serve la propria porzione. Pasqualino mangia accompagnandoli col pane. Margherita prende due o tre forchettate e mangia senza appetito. Concetta, dopo che tutti si sono serviti, prende l’insalatiera con i maccheroni rimasti e li mangerà restando in piedi presso il focolare. Giorgio, che come si è detto si è servito abbondantemente, siede alla sinistra del tavolo e mangia succhiando addirittura i lunghi fili di maccheroni che lanciano intorno schizzi di sugo. Durante il pranzo, Margherita è seduta al centro del tavolo e Pasqualino a destra)

MARGHERITA – (a Giorgio) Mangia piano, che sporchi tutto. (la musica interna della fisarmonica cessa)

PASQUALINO – Chissà se il sarto ha portato i vestiti nuovi. Disse che li avrebbe mandati stamattina.

CONCETTA – (ricordando) Sì, li ha portati. Sono dietro il banco.

PASQUALINO – (smette di mangiare e va a prendere gli abiti, avvolti in un panno nero e, aprendo il pacco, li mostra) Eccoli! C’è pure il tuo, Giorgio!

GIORGIO – Fa vedere. (si alza, prende la giacca, si toglie quella che porta, indossa la nuova) Come mi sta?

PASQUALINO – Un po’ larga.

GIORGIO – L’ho voluta io così: modello cloche.

PASQUALINO – Che significa?

GIORGIO – Campana francese. (siede alla destra del tavolo, al posto di Pasqualino e si mette a mangiarne i maccheroni rimasti)

PASQUALINO – (che ha indossato la giacca nuova) Guarda com’è bella, Concetta. Com’è rifinita bene. Ci ha messo tutto: la fodera, i bottoni, le tasche… tutto. Ti piace?

MARGHERITA – Mi domando se questo è il momento di provarsi la giacca nuova… (a Giorgio che si è schizzato il sugo sulla giacca) Guardatelo! Si è sporcato di sugo la giacca nuova!

GIORGIO – (a bocca piena, indicando Concetta) Quella mi fa il sugo lento!… Ci vorrebbe un po’ di borotalco.

MARGHERITA – (rifacendogli il verso) …un po’ di borotalco! E pulisciti la bocca, che l’hai tutta sporca. (Giorgio fa per pulirsi la bocca con un pezzo di pane) Col pane, ti pulisci? (Giorgio fa per pulirsi la bocca col dorso della mano) Con la mano?! (Giorgio fa per pulirsi la bocca con la manica della giacca che indossa) Con la manica? (con tono deciso ed aspro) Non si discute: sei sudicio!

GIORGIO – Basta!!! (si alza, si toglie la giacca e la getta lontano) E con il pane, e con la mano, e con la manica! Sei noiosa, ecco. (rimettendosi la giacca vecchia) Ti ho detto tante volte che in presenza di gente voglio essere rispettato. Quante storie per una macchia di sugo. Sei una maleducata. (siede nuovamente al posto di Pasqualino e riprende a mangiare) Ecco quello che sei.

MARGHERITA – Stai zitto, cafone. Ricordati che sposando me ti sei civilizzato.

GIORGIO – Tu hai civilizzato me? Tu hai civilizzato Giorgio Paternò? (raccoglie la tovaglia per i lembi, con tutto ciò che contiene, e la butta a terra, lontano, presso il banco) Non si mangia più! (Concetta si avvia a raccattare i piatti rotti e a mettere ordine, pazientemente)

PASQUALINO – Ma perché non si deve mangiare più?

GIORGIO – Perché no. È mangiare, questo? (Margherita e Pasqualino si sono alzati da tavola) È veleno che ti entra in corpo! Ogni giorno, a ora di pranzo, comincia la musica. Mi provoca, mi stuzzica, mi tormenta. E mi conosce bene. Sa che certe cose non le sopporto. È stata in città, senza che io ne sapessi niente. Ma come? La “baronessa” si alza, si imbelletta, si impennacchia, se ne va in città e il “barone” resta a casa? Ma che vogliamo giocare a carte scoperte? Non ti conviene, sai, perché se mi esasperi ritornerai dove t’ho trovata.

MARGHERITA – Nei migliori teatri d’Italia, mi hai trovata: nei migliori!

GIORGIO – Nei baracconi, ti ho trovata: nei locali di quint’ordine. Non ti volevano sentire! Diciamola la verità: non piacevi. Pasqualino, tu non sai: come entrava in scena per cantare si scioglieva un rosario di fischi, di pernacchie!… Ad Addis-Abeba, ora non mi ricordo il motivo che cantava, li ho visti io, i negri, fare la faccia bianca come questo tovagliolo!

MARGHERITA – Era l’eterno partito contrario! Io sono stata una grande canzonettista, sono conosciuta in tutta l’Italia artistica: sono la Cherubini!

GIORGIO – Ti conoscono per quello che sei: una… (si tappa la bocca con una mano, poi, indicandola a Pasqualino e a Concetta) Prendeva la cocaina! Io l’ho redenta!… E la faceva prendere anche a me. Avevo le visioni: mi sentivo lungo lungo… poi piccolo piccolo… pieno di peli… ed io, credetemi, non ho un pelo sulle carni. Sono bianco come un cigno! (scopre il petto e lo mostra)

MARGHERITA – Taci! Tu me la volevi far prendere, la cocaina. Io mi sono sempre rifiutata. Ricordati, invece, quando ti salvai in quella casa da gioco: barava, quello lì, barava!

GIORGIO – È vero, sì, ma pecche baravo? Diglielo a questo! (indica Pasqualino che si trova tra lui e Margherita) Per necessità, baravo, non per vizio. Mi chiedeva la coca, io non la trovavo, come dovevo fare?

PASQUALINO – Ma cos’è la coca?

GIORGIO – Non ne posso più, Pasqualino. Questa donna mi vuole vedere morto prima del tempo. Mi considera un Pulcinella; io, invece, sono un uomo. Certe volte fingo di non saper niente. La bocca sorride… ma il cuore mi piange. (risoluto) Lo volete sapere? Mi fa le corna.

PASQUALINO – No.

GIORGIO – (categorico) Non lo sapevi?

PASQUALINO – No.

GIORGIO – (a Concetta) Mi fa le corna!

CONCETTA – (annuisce) Lo so… lo so!

GIORGIO – Ecco, lei lo sa! (con tono più forte, esasperatissimo, grida affacciandosi alla porta di destra, verso l’esterno) Signori, mia moglie mi fa le corna!

PASQUALINO – (trattenendolo e tirandolo a sé, dice verso l’esterno) Non è vero! Non è vero! (a Giorgio) Non fare scandalo!

GIORGIO – E non è vero che è baronessa. Scardamacchia era un delinquente. È morto nell’infermeria del penitenziario di Civitavecchia! (scambia con la moglie parole offensive a soggetto) Io sono un uomo che ha dato conto dell’essere suo. Serva! Ecco quello che sei: una serva!

MARGHERITA – (finalmente offesa) Giorgio, finiscila..

GIORGIO – (più forte) Sei una servaccia!

MARGHERITA – Giorgio finiscila che ti picchio. Vieni qui che ti picchio. (segue Giorgio che, dandosi un certo contegno, gira per la scena tra il tavolo e il banco, infine si fermano presso la porta di destra mentre Giorgio si fa scudo di Pasqualino trattenendolo per la manica) Levati, Pasqualino!

GIORGIO – (sempre trattenendolo) Levati, voglio vedere che fa. (e lo trattiene per la manica)

PASQUALINO – (liberandosi da Giorgia) E se non mi lasci, come mi levo?

GIORGIO – E se non ti levi, come ti lascio?

MARGHERITA – (minacciosa, a Giorgio) Ritira l’offesa!

GIORGIO – (dopo averci pensato un momento) No: sei una servaccia!

MARGHERITA – Ah, sì? (gli dà un forte schiaffo, poi sale svelta la scala e via)

Giorgia (resta disorientato ma poco dopo dice) Ci voleva, no? Avete visto? Mi ha schiaffeggiato. Mi sono mosso? No. Sono un gentiluomo, io. Soprattutto sono un uomo di carattere! (ripetendo le parole di Margherita) “Vieni qua che ti picchio, vieni qua che ti picchio”, a me? Devi venire tu da me. (indicando il posto dove si trovava quando Margherita lo ha schiaffeggiato) …e là è venuta! L’ho mortificata. (gridando verso le scale) Ti senti mortificata? (a Pasqualina) La stessa mortificazione gliela diedi ad Addis-Abeba, a piazzale Re Imperatore. (internamente si sentirà il suono di una fisarmonica, un motivo di polka) …Cos’è?

PASQUALINO – È don Salvatore che festeggia il battesimo della sua bambina.

GIORGIO – Bene, me ne vado da lui a fare un giretto di danza, alla faccia di mia moglie. Collera, io, non me ne prendo. Guai a quella moglie che schiaffeggia il proprio marito, guai, guai: Iddio la maledice. E maledetta sarà! (accennando un passo di danza, sul motivo della musica interna, esce di scena)

CONCETTA – È pazzo. Quando mai in questa casa sono accadute certe scenate? Quando mai?

PASQUALINO – Ci vuole pazienza. (guardando verso l’esterno) Oh, Dio!

CONCETTA – Che c’è?

PASQUALINO – Mi pareva… ma si, è proprio lei… È Lucia: sta arrivando insieme a suo padre. (si agita e non sa decidersi) Cosa faccio? Cosa faccio? (guarda ancora verso destra) È lei!

CONCETTA – Calmati, non ti agitare.

PASQUALINO – Mi vado a cambiare d’abito. Metto quello della domenica. (si spoglia man mano che parla) Spolvera, intanto, ramazza. Togli tutto di mezzo, dille che scendo subito! (esce di scena salendo in fretta le scale, mentre si toglie i pantaloni; dall’interno la musica cessa)

CONCETTA – (a Lucia che entra insieme a don Gennaro) Benvenuti. Pasqualino è andato a pulirsi un po’. Sedete, intanto. (offre le sedie e i due siedono)

MARGHERITA – (scendendo le scale) Lucia cara!

GENNARO – Baronessa! (bacia la mano a Margherita) Giorgio è uscito?

MARGHERITA – (a Concetta) Dov’è andato?

CONCETTA – In casa di don Salvatore.

MARGHERITA – Vai a chiamarlo. (Concetta esce dalla porta di destra) Accomodatevi. (i due che in piedi l’avevano salutata, siedono)

GENNARO – Pasqualino è di sopra?

MARGHERITA – Sì, è andato a cambiarsi. Fa caldo, oggi, vero?

GENNARO – Infatti.

MARGHERITA – lo mi sento come in un inferno. (si fa vento con la sottana mostrando abbondantemente le gambe. Don Gennaro ne approfitta per gettarvi qualche occhiata di, traverso) Uffa! Come stai, Lucia?

LUCIA – (con freddezza e senza guardarla in faccia) Bene, grazie.

GENNARO – È stata tre giorni con una fastidiosissima emicrania, ma ora sta meglio. Ho avuto poco da fare, oggi, allora ho pensato di farle prendere un po’ d’aria.

MARGHERITA – Avete fatto bene: esce così poco.

GIORGIO – (di dentro) Non posso… Ho visite, ripasserò nel pomeriggio… (appare all’ingresso) …e auguri per la bambina… è una vera bambola! (entra in scena) Amico carissimo! (saluta don Gennaro, poi rivolgendosi a Lucia) La nostra Lucia, sempre allegra, sempre sorridente. (Lucia sarà, al contrario, immusonita e con lo sguardo rivolto a terra. Giorgio si rivolge con tono sostenuto a Margherita) Pasqualino dove sta?

MARGHERITA – (senza guardarlo) È di sopra.

GIORGIO – (c.s.) Vallo a chiamare!

MARGHERITA – (subito e con tono deciso) Vacci tu!

GIORGIO – (cambiando tono) Subito. (verso la scala, chiama forte) Pasqualino!

PASQUALINO – (d.d.) Vengo, vengo subito. (scende di corsa le scale e si ferma come impalato, col cuore in gola per l’emozione. Ha cambiato l’abito con quello della festa. Non ha la cravatta, in compenso ha in testa un bel cappello di colore chiaro, a larghe falde) Eccomi pronto.

LUCIA – (osservandolo, mormora tra sé) Quanto è brutto!

GIORGIO – Ha indossato l’abito della festa, aveva quello della fatica e non era conveniente, per ricevervi come meritate. Ebbene? Vieni avanti senza soggezione. Saluta Lucia…

PASQUALINO – (avanzando timidamente) Buongiorno, Lucia.

GIORGIO – Togliti il cappello e siedi. (Pasqualino esegue con esitazione e confusione) Dai la mano a Lucia.

PASQUALINO – Sì… (le dà la mano sinistra)

GIORGIO – La destra… la destra!

PASQUALINO – (china il capo e lo spinge forte in grembo a Lucia)

LUCIA – (scansandosi) Ma che fa, questo?

GIORGIO – La destra, ho detto la destra!

PASQUALINO – Avevo capito la testa… (dà la mano destra a Lucia e si stringono le mani)

MARGHERITA – Che bella coppia: veramente perfetta.

GIORGIO – Lui bruno, lei bionda: che incesto! Non dici niente, Pasqualino? C’è Lucia, che dici? (Pasqualino esita) C’è Lucia, che dici? (Pasqualino esita ancora) C’è Lucia, che dici?

PASQUALINO – (come ricordando) Ah! Ha partorito la vacca.

MARGHERITA – Bella notizia. Non interessano, a Lucia, certe cose…

GIORGIO – (a Gennaro) Bisogna compatirlo, don Gennaro. È timido. Da solo, fa mille proponimenti: “Quando vedrò Lucia… quando vedrò papà…” All’occasione, poi, perde la parola. (a Pasqualino) Su, su… dì qualche cosa.

PASQUALINO – (dopo aver esitato) Lucia… non vedo l’ora di sposarci…

GENNARO – L’avvocato doveva fare, l’avvocato!

PASQUALINO – (a don Gennaro) Papà, ma è sicuro che domani ci sposeremo?

GENNARO – Lo metti in dubbio?

PASQUALINO – È stato rimandato tante volte il nostro matrimonio. Dovevamo sposarci quindici giorni fa e non voleste perché capitava di venerdì. Si decise di farci sposare l’altro ieri e invece consigliaste il giorno tre: perché?

GIORGIO – Già, anch’io non l’ho capito. (a Margherita) Ti ricordi, anche ieri ne parlammo… (a Gennaro) Perché questo rimando al giorno tre?

GENNARO – Perché il tre è un numero sacro. Prima di tutto è il simbolo della Trinità. Quanti re si recarono alla capanna? Tre: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Quanti anni aveva Gesù? Trentatré.

GIORGIO – (distratto) Giovanissimo!

GENNARO – Per tre volte Satana, quel maledetto, lo tentò durante il suo digiuno nel deserto. Tre furono i complici della sua morte Giuda, Caifas e Pilato. Insomma, un vecchio detto afferma: “tre, numero sacro”!

GIORGIO – (che non ha capito niente) Ah, per me la religione è la prima cosa. Io, quando seppi della morte di Gesù… che colpo! Che dolore! Ma io volevo sapere, perché il matrimonio è stato rimandato al giorno tre?

GENNARO – Te l’ho detto, no? Ma sei distratto per davvero.

MARGHERITA – È ignorante.

GIORGIO – Ignorante? Io gli domando una cosa, lui mi parla della dottrina cristiana.

GENNARO – Insomma, mi piace che sposino il giorno tre. A proposito, caro Pasqualino, colgo l’occasione per donarti un ricordo: un amuleto.

GIORGIO – Come?

GENNARO – Un amuleto.

GIORGIO – Avevo capito una moneta.

GENNARO – Ho detto amuleto.

MARGHERITA – Un oggetto che porta fortuna.

GIORGIO – Ha detto amuleto.

MARGHERITA – Appunto: si dice così. (gli fa cenno di tacere)

GIORGIO – Si dice così?

GENNARO – (a Pasqualino) Dunque, Pasqualino, domani tu…

GIORGIO – (in disparte, a Margherita) A proposito… tu sei òrfana.

MARGHERITA – Lo so.

GIORGIO – (sospirando) Eh!… (la tocca sulla spalla con fare paterno)

GENNARO – (che è stato disturbato dal dialogo dei due, seccato) Allora?

MARGHERITA – Niente, continuate.

GENNARO – (a Pasqualino) Dicevo: domani sarai il marito di Lucia, che io adoro come una santa, perciò io tengo alla tua e alla sua incolumità. (prende dalla tasca una penna di fagiano) Vedi questa? È una penna di fagiano, uguale a quella che io porto sul mio cappello. Sono vecchie di settant’anni circa, hanno una storia: in origine appartenevano a mio nonno…

GIORGIO – Era pennuto, vostro nonno? (Margherita scoppia in una sonora risata)

GENNARO – Giorgio, mi lasci parlare? (a Pasqualino) Dunque: mio nonno, morendo, le lasciò a mio padre, mio padre, morendo, le lasciò a me. Io…

PASQUALINO – …quando morirete…

GENNARO – (seccato) …la do a te, Pasqualino. Questa penna allontanerà da voi due, finché vivrete, qualsiasi pericolo.

PASQUALINO – Davvero?

GENNARO – Potrei citarti non uno ma cento fatti. Una volta, mi raccontò papà, mio nonno corse il pericolo di essere travolto, per la strada, dalle furie di un toro inferocito. Bene, senza perdersi di coraggio, a poco più di quattro metri dal toro, portò con decisione la penna avanti a sé, così… (tende il braccio in avanti) …il toro, come per incanto, girò sugli zoccoli e zitto zitto se ne andò. Avete capito?

GIORGIO – Accidenti che potere! (sghignazza con Margherita)

GENNARO – (a Pasqualino) Lasciali ridere. È la pura verità, quella che ti ho raccontato. Portala sempre con te: ovunque, dovunque e comunque.

PASQUALINO – Grazie! (prende la penna e la mette in tasca con cura)

GENNARO – Non perderla.

GIORGIO – (ironico) Stai attento, per l’amor di Dio!… (ride)

GENNARO – Non ridere più, perché mi offendo.

GIORGIO – Viene da ridere a chiunque a sentire certe stupidate.

GENNARO – Semmai, vuoi dire pregiudizi.

MARGHERITA – (in disparte a Giorgio) Sei il solito ineducato: manchi di tatto e di forma. Ognuno la pensa come crede, no?

PASQUALINO – Io tengo moltissimo a queste cose, e state tranquillo che non perderò la penna.

MARGHERITA – Resta stabilito che in chiesa ci si va alle undici, vero?

GENNARO – Alle undici: sono tutti avvertiti.

GIORGIO – Alle undici, non più tardi?

MARGHERITA – E quando, alle diciassette? …prendiamo il thè?

GIORGIO – No, no, le undici sta bene. Io metto la sveglia. Il compare è stato avvertito?

GENNARO – Si capisce: è un personaggio importante, il compare.

GIORGIO – Gli avete fatto presente che il regalo di nozze deve essere di grande importanza? Che non se ne venga con i soliti dodici cucchiaini d’argento… il servizio da toletta. Ci vuole il brillante! Come si dice: il cece! Vero, Lucia?

GENNARO – Che vai pensando? Certe cose non occorre dirle.

MARGHERITA – Si capisce. (a Gennaro) Perdonatelo, questo non ha raziocinio.

GIORGIO – (offeso) No, io volevo dire…

MARGHERITA – Niente.

GIORGIO – Io volevo dire…

MARGHERITA – Niente.

GIORGIO – Volevo dire…

MARGHERITA – Niente! (decisa) Questo, volevi dire: niente! (a Gennaro) Dunque?

GENNARO – Ho ordinato gelati, dolci, liquori, champagne. Ci riuniremo a casa di Lucia, al ritorno dalla chiesa, se Dio vuole.

MARGHERITA – Peccato, però, che sia stata invitata poca gente; molti amici resteranno delusi. E poi mancherà l’allegria, la spensieratezza! Una festa come quella delle nozze si fa una sola volta nella vita ed imprimerle un particolare tono di allegria, di lusso, è bello. Sono stati invitati pochi uomini, per esempio.

GIORGIO – (con ironia) Infatti è un peccato invitare pochi uomini, in una festa.

MARGHERITA – Si capisce. L’uomo è sempre il principale elemento di curiosità per la donna, e viceversa..

GIORGIO – Sarebbe stato interessante festeggiare gli sposi in una caserma di paracadutisti!…

GENNARO – Non scherzare.

LUCIA – Meglio poca gente: sono più contenta.

GENNARO – Io ho voluto accontentarti, figlia mia bella. Che non farei per la tua felicità?

MARGHERITA – (facendosi vento con le mani) Uffa! Che caldo! Qui dentro si soffoca e ci sono mosche a migliaia. Andiamo a fare una passeggiatina per il viale? (si alza) Venite, don Gennaro? Lucia, vieni? Venite, Pasqualino, Giorgio…

PASQUALINO – Vengo.

GENNARO – Un po’ d’aria fresca fa bene alla salute. (Margherita esce canticchiando seguita da Lucia e Pasqualino)

GIORGIO – (a Gennaro che si avvia per uscire) Un momento, zitto… (ascolta il canto di Margherita che alla fine termina con un acuto stonato, e come ricordando, dice) Ecco! A questo punto i negri fecero la faccia bianca.

GENNARO – Non ti capisco.

GIORGIO – Mi capisco io. Beh? Non mi dite niente? Lettere niente?

GENNARO – Ah, sì. Una sola: la solita. (gli mostra una lettera) Leggi. Porta la data di tre giorni fa. (si guarda attorno) Com’è difficile vigilare sulla vita dei propri figli e sceglierne l’avvenire. Specialmente quando la responsabilità ricade tutta sulle proprie spalle! Fosse stata viva mia moglie, almeno!

GIORGIO – (leggendo con difficoltà perché sa leggere pochissimo) Lucia, mia adorata, stella mia, cuore mio, respiro mio, vita mia, scopo mio, conforto mio, bene mio… (smettendo di leggere) Mi sono scocciato! Esagerato! Fa il romantico, fa! Di questi tempi, sta fresco. (riprendendo a leggere) Quando tre mesi fa, con acuto dolore al cuore, laschiai il paese…

GENNARO – (subito correggendolo) Lasciai, non laschiai.

GIORGIO – (insiste) Laschiai, no?

GENNARO – Ma no, lasciai, senza l’acca.

GIORGIO – Perché?

GENNARO – Non c’è.

GIORGIO – Perché?

GENNARO – Perché non c’è.

GIORGIO – (alludendo a chi ha scritto la lettera) Non ce l’ha messa?!

GENNARO – No.

GIORGIO – Ignorante. (riprende a leggere la lettera) …lasciai il paese, immediatamente ti scrissi ma non è bi… (smette di leggere, indeciso)

GENNARO – Beh?

GIORGIO – (ripete quello che ha letto) …ma non è bi… (rivolgendoli a Gennaro) Non è bi, e chi è? (esasperato) Ma questo, che scrive?

GENNARO – Tu, cosa leggi, ignorante! Qui è scritto: “ma non ebbi risposta”. Non ebbi, non “non è bi”. (scandisce le parole) Non ebbi! “Ebbi”, voce del verbo avere, passato remoto: io ebbi, tu avesti, egli ebbe. Chiaro?

GIORGIO – (giustificandosi) Don Gennaro, io sono stato sei mesi nella foresta! Qui sono cambiate tante cose. (legge) “Non ebbi risposta…”

GENNARO – (interrompendolo) Lo credo bene, sono d’accordo col postino: tutta la corrispondenza deve passare per le mie mani.

GIORGIO – (riprendendo a leggere) “…e, senza aver risposta, da tre mesi ti sto scrivendo, anima mia. Finora non mi è riuschito…

GENNARO – Riuscito… riuscito… senza l’acca!

GIORGIO – Neanche qui l’ha messa?

GENNARO – (come per dire: logicamente) Eh, no! Giorgio (alludendo all’autore della lettera) Ma questo fa il comodo suo. (riprende a leggere) “Finora non m’è riuscito di lasciare la città, principalmente a causa del mio impiego, secondo perché da qualche settimana la mamma è molto malata e chissà se salverà la pelle…” (commosso, a Gennaro) Mi dispiace! La mamma è mamma e quando uno la perde, ce n’è una sola: una. Quando ho perduto la mia mi pareva di aver perduro la vita. (sospira) Eh!… Mah! Speriamo che la salvi, la pelle.

GENNARO – Speriamo.

GIORGIO – (riprende a leggere) “Purtroppo il dottore mi ha fatto capire chiaramente che la catastrofe è vicina. Ho saputo che tuo padre, per ragioni di interesse, ti fa sposare, contro la tua volontà, Pasquale Paternò e che il matrimonio lo ha combinato il fratellastro di questi, Giorgio, un tipo poco di buono”. (offeso) Ma come si permette di fare certi apprezzamenti?! Poco di buono? Che ne sa lui dei fatti miei? Io ho sempre lavorato onestamente: mi sono fatto da solo. (riprende a leggere) “Ma se Dio è giusto, oltre al miracolo di far guarire mia madre, mi deve far vedere Giorgio sulle scale di una chiesa a chiedere la carità! (offesissimo) Eh, no!

GENNARO – (ride) Lascia perdere.

GIORGIO – No, voi non dovete ridere. Voi non vi dovete associare alla malvagità di questo farabutto. Certe cose non si augurano nemmeno al peggior nemico. (riferendosi all’autore della lettera) Che cattivo! È proprio cattivo d’animo. (dopo brevissima pausa) Speriamo che non salvi la pelle, sua madre! (riprendendo la lettura) “Tuo padre, poi…” (a Gennaro) Ce n’è anche per voi…

GENNARO – Sì, l’ho letta.

GIORGIO – (leggendo) “Tuo padre poi…” (a Gennaro) Ah, sì? Non lo sapevo.

GENNARO – Cosa?

GIORGIO – Facevate il tramviere?

GENNARO – Io? Io sono notaio. Che dici?

GIORGIO – Io? È questo che scrive: “Tuo padre, poi, abile manovratore…”

GENNARO – Che tramviere? “Manovratore”, ha voluto intendere uno che muove i fili, che fa agire ogni cosa…

GIORGIO – Ho capito. (legge) “…abile manovratore di questa incredibile trama, non avrà più pace né riposerà tranquillo tanto il rimorso gli roderà la coscienza”.

GENNARO – Imbecille! Lo crede lui. Io ho la penna! (la indica sul suo cappello)

GIORGIO – Già, voi avete la penna sul cappello. (ride, poi riprende la lettura) “Ma una speranza mi conforta: questo matrimonio non si farà. Scriverò una lettera a quel farabutto di Giorgio Paternò e staremo a vedere che succederà. Se l’idea che ho in mente si avvererà, saremo felici. Enrico Canestri. (rende la lettera a Don Gennaro) Quale sarebbe questa idea? Dice che mi ha scritto? Io non ho ricevuto niente. Questo, che vuole da me? Insomma, io non dovrei occuparmi della felicità di mio fratello minore?

GENNARO – Lasciamo perdere. Domani i due giovani si sposeranno, e questo è l’essenziale.

GIORGIO – E sarà un matrimonio memorabile. Noi abbiamo la coscienza tranquilla, almeno la mia è a posto.

PASQUALINO – (entrando da destra) Papà, vi desidera Margherita. È seduta sotto la pergola con Lucia.

GENNARO – Vado subito. Andiamo, Giorgio? (esce)

PASQUALINO – Giorgio, che t’ha detto don Gennaro?

GIORGIO – Abbiamo parlato del più e del meno…

PASQUALINO – Ha dato per caso una penna di fagiano anche a te? (mostra la penna) la mia, eccola! (ride)

GIORGIO – E credi che l’avrei accettata? Bella figura hai fatto, in presenza di Lucia.

PASQUALINO – (sincero) Ma porta bene.

GIORGIO – (togliendogli la penna di mano) Ma che porta bene! Buttala via! (getta la penna sul tavolo) Sei un uomo o un ragazzo? Non devi credere a certe sciocchezze. La tua fortuna sono la tua salute, la tua giovinezza, la tua ricchezza, non la penna.

PASQUALINO – Se papà la cerca?…

GIORGIO – Gli dirai: “L’ho buttata via perché non voglio fare la figura del cretino. Questo gli devi dire.

PASQUALINO – E se Lucia…

GIORGIO – Lucia ti ammirerà, sarà orgogliosa di te. Dirà: “Ho sposato un uomo. Andiamo da lei, adesso. (vedendola arrivare) Eccola che arriva. Voi dovreste parlarvi un po’… fare, come si dice, un tet a tet. Tu non le dici mai niente e la ragazza si sente avvilita. Facciamo una cosa: resta qui con lei, io me ne vado dall’altra parte. Parlale.

PASQUALINO – Mi lasci solo con lei? (piagnucolando) Ho paura.

GIORGIO – (lo scuote) Eh! Svegliati, sai? Devi essere audace con le donne: alle donne non piace l’uomo timido. Sai che devi fare? Nel momento che più ti parrà opportuno, in uno slancio d’amore, dalle un bacio sulla bocca.

PASQUALINO – Un bacio?

GIORGIO – Un bacio.

PASQUALINO – Sulla bocca?

GIORGIO – Sulla bocca.

PASQUALINO – Si può fare?

GIORGIO – Si deve fare! Tu le dirai: “La tua faccia è bella come una pesca. La tua bocca è rossa come una ceresa…” Poi le prendi la testa fra le mani, e là, un bel bacio sulla bocca. (scappando su per le scale) Eccola che arriva. (esce)

PASQUALINO – Giorgio! Giorgio! Ho paura! Mio Dio! (guarda verso l’esterno, poi, vedendo Lucia prossima ad entrare corre a nascondersi dietro il banco di vendita. Lucia entra e si dirige verso il tavolo, prende la borsetta che vi aveva dimenticato e fa per uscire di scena. Nel momento in cui Lucia sfa per varcare soglia della porta di destra, Pasqualino la chiama sottovoce) Lucia! (Lucia si volta e Pasqualino si nasconde facendo capolino. Lucia non lo vede e, credendo di essersi sbagliata, fa per uscire. Pasqualino la chiama) Lucia!…

LUCIA – Chi è? (vedendolo) Ah, che vuoi?

PASQUALINO – Niente. (Lucia fa per uscire) Aspetta… (Lucia si ferma e lo guarda) Volevo…

LUCIA – (fissandolo) Volevi cosa? (fa per uscire)

PASQUALINO – Vai via?

LUCIA – (fredda) E che facciamo noi due soli, qua? Che abbiamo da dirci?

PASQUALINO – Forse nulla. Ma domani ci sposeremo…

LUCIA – (con un lungo sospiro) Domani, eh!…

PASQUALINO – (le si avvicina e con dolcezza le dice) Lucia, hai sospirato? Hai sospirato, Lucia? Lucia…

LUCIA – (voltandosi all’improvviso e con malgarbo, esclama) Ma che vuoi?

PASQUALINO – (intimorito, retrocedendo) Che paura!

LUCIA – (scostante) Parla, dunque.

PASQUALINO – Ecco… io… cioè tu… mi vuoi bene?

LUCIA – E tu?

PASQUALINO – (con slancio naturale e sincero) Tanto, te lo giuro!

LUCIA – (meno dura) Non mi potresti dimenticare, vero? Se per caso io decidessi di non sposarti, tu cosa faresti? Ti rassegneresti e pian piano finiresti per dimenticarmi?

PASQUALINO – Come sarebbe possibile? Non dire certe cose che mi fanno tanto male al cuore, Lucia. Lo so che tu non mi vuoi bene come io te ne voglio. Ed è logico: cosa sono io al tuo confronto? Un contadino, e tu una signora del paese. Ilo non ho studiato, tu sì. E poi sei tanto bella. Il tuo viso io lo vedo dappertutto: tra i campi, tra i fiori, tra la verdura. Se guardo il cielo, sei lì. Se guardo una stella, quella stella sei tu… (scandendo la frase) Se guardo il ritratto di mamma mia morta…dopo poco, piano piano, assomiglia a te. E mamma era bella, sai: tanto bella. Vuoi vederla? (fa per mostrare un medaglione che ha appeso al collo, sotto la camicia)

LUCIA – (intenerita ma non per questo amorevole, anzi dispiaciuta verso di lui che così semplicemente riesce ad essere tenero ed affettuoso) Perché? Perché mi dici certe cose? (con un lungo sospiro) Ah!

PASQUALINO – (sussurrando) Lucia, hai sospirato? Hai sospirato, Lucia? Lucia…

LUCIA – (scattando) Che vuoi?

PASQUALINO – (intimorito) Hai sospirato?

LUCIA – Ho sospirato, sì.

PASQUALINO – E perché?

LUCIA – Perché al mondo ci sono uomini che sanno amare veramente, mentre altri… si dimenticano di chi hanno amato. Tu, se mi fossi stato lontano, mi avresti scritto tutti i giorni, vero?

PASQUALINO – Tre lettere al giorno…

LUCIA – (decisa e indispettita, passando a sinistra della scena) Ti sposerò, Pasqualino. Cos’hai di diverso, tu? Niente. Anzi, sei migliore. Il tuo cuore parla con parole semplici perché naturali e spontanee. Sgorgano come acqua limpida in un torrente di amore puro. (con aria romantica) Fa tanto bene al mio cuore, quell’acqua, lo disseta: è come un balsamo. (con altro tono) Ti sposerò e cercherò di volerti bene.

PASQUALINO – Perché? Ora non me ne vuoi?

LUCIA – (Correggendosi) Più bene di quanto ora te ne voglia. (quasi singhiozzando e con tono infantile) Ho letto un libro, un bel libro; racconta di una ragazzina alla quale viene imposto di sposare un uomo che non le piace; non si ribella, si affida al tempo, alla bontà del suo stesso cuore, e lo sposa. Si chiama Andrea Giammarino, e il libro “Qualcuno ha bussato”.

PASQUALINO – (che non ha capito) Avanti!

LUCIA – (seccata) Alludevo al titolo del libro: “Qualcuno ha bussato”, cioè l’amore che bussa al cuore. (passa a destra)

PASQUALINO – (soddisfatto) Così va bene. Che felicità! E ora, per dimostrarti che io non sono uno stupido, siccome il momento mi sembra opportuno, vorrei dirti una cosa.

LUCIA – Cosa?

PASQUALINO – Ecco, un momento… vorrei… vorrei…

LUCIA – Avanti, parla.

PASQUALINO – (sottovoce, intimorito) Vorrei… vorrei darti… un bacio sulla bocca…

LUCIA – (crede di non aver capito tanto azzardata le sembra la proposta) Cosa hai detto? (gli si avvicina con sguardo severo)

PASQUALINO – (retrocedendo verso le scale, ripete) Un bacio sulla bocca…

LUCIA – Un bacio?

PASQUALINO – (tremante, invoca) Giorgio!

LUCIA – (mentre lo incalza da vicino) Un bacio?!

PASQUALINO – (retrocedendo intimorito, fino a raggiungere con le spalle i gradini delle scale in fondo, chiama forte) Giorgio!

LUCIA – (c.s.) Un bacio sulla bocca?!!

PASQUALINO – (c.s.) Giorgio!

LUCIA – Sei pazzo? Hai bevuto, stamattina? Con chi credi di trattare? Con qualche contadina come te? Mi propone un bacio sulla bocca: sfacciato, maleducato!

PASQUALINO – Siccome domani dobbiamo sposarci…

LUCIA – (ribelle) Fino a domani c’è tempo. In un’ora accadono tante cose. (gli si avvicina minacciosa) E ammesso che non accada nulla…

PASQUALINO – (terrorizzato) Giorgio!

LUCIA – …ammesso che non accada nulla, il tuo sistema non mi piace proprio. È bene che tu lo sappia fin d’ora.

PASQUALINO – Giorgio!

LUCIA – Sta’ zitto, stupido! Patti chiari e amicizia franca.

PASQUALINO – Ah, sì?

LUCIA – (rifacendogli il verso) Ah, sì? (si avvia per uscire)

GIORGIO – (entra da destra, seguito da Margherita) Lucia, tuo padre ti cerca, vuol tornarsene a casa. Accompagnala, Pasqualino.

PASQUALINO – Vado. (Lucia esce. Pasqualino, seguendola, fa cenni a Giorgio come per fargli capire qualche cosa che non può dire a viva voce, poi si decide a parlare) Non si può fare… la testa in mano… non si può… la testa in mano… (esce)

MARGHERITA – Che vuole, quello?

GIORGIO – Non ho capito.

MARGHERITA – Accompagniamo don Gennaro. Vado a prendere il cappello.

GIORGIO – Porta anche il mio. (Margherita sale le scale ed esce)

CONCETTA – (entra da destra, recando una lettera) Una lettera per voi. (Gliela porge poi torna ad uscire per dove è entrata)

GIORGIO – (guarda con sospetto la busta, la rigira tra le mani, poi, infine, la apre e legge il foglio. Man mano che legge, il suo volto passa dalla meraviglia alla paura, infine esclama) Mio Dio!

MARGHERITA – (scendendo le scale con il suo cappello in testa e con quello di Giorgio in mano) Prendi il tuo cappello, ti ho portato quello chiaro. L’altro, scuro, ti invecchia. (notando che Giorgio è preoccupato) Che hai?

GIORGIO – Che ho… che ho? Mi ha scritto quello… Canestri…

MARGHERITA – Quello di Lucia? E che vuole?

GIORGIO – (leggendo la lettera) “Signore”, (ripete) signore! “Ho saputo che domani, tre agosto, vostro fratello Pasqualino si sposa con Lucia, la figlia del notaio Benedetti. Lucia sarà mia a rischio della vita, ve lo giuro sull’anima della povera mamma che da appena una settimana è salita alla gloria dei cieli!” …Non l’ha salvata la pelle. (continua a leggere) “Per questo motivo non m’è riuscito di correre in aiuto di Lucia e di dare a voi la lezione che meritate. Comunque, ascoltate: se domani permetterete che Lucia si sposi con Pasqualino Paternò, io vi uccido!”

MARGHERITA – Ah!

GIORGIO – Eh! Dovrete fare qualche cosa…

MARGHERITA – Cosa?

GIORGIO – Unirvi, no? Organizzarvi in difesa…

MARGHERITA – Organizzarci in difesa? Perché?!

GIORGIO – Vi uccide, hai capito?

MARGHERITA – Ci uccide? A chi?

GIORGIO – A voi. Voi donne del paese.

MARGHERITA – A noi donne?

GIORGIO – (mostrando la lettera e leggendo le prime parole) “Signore, ho saputo che domani…”

MARGHERITA – (con tono deciso) “Signore” a te. Allude a te!

GIORGIO – A me?

MARGHERITA – Ha scritto a te, no? Allora, “Signore” a te, non a noi.

GIORGIO – Ah, l’ha con me? Mi uccide? Staremo a vedere. (continua la lettura) “Badate che sono deciso a tutto e vi avverto che due anni fa sono stato ricoverato, per un anno, al manicomio, reparto agitati. Enrico Canestri”. (lunga pausa durante la quale Giorgio concentra il pensiero)

MARGHERITA – (con scatto) Te l’avvisai di non metterti in questi imbrogli!!

GIORGIO – (sussultando) Che il diavolo ti porti via! È questo il modo di parlare a un marito che ha ricevuto una lettera minatoria?

MARGHERITA – E se ti uccide?

GIORGIO – Ma chi uccide?! Mi crede un capretto? Un pollo? Non è ancora nato chi può uccidere Giorgio Paternò! Io morirò di mia spontanea volontà e non per volontà di altri. È stato in manicomio? Ci ritornerà. E con la testa rotta, questa volta. Cammina. E ricorda sempre che quando sei con me non devi temere neanche il diavolo! Cammina, vai!… (Margherita si avvia verso l’uscita di destra, Giorgio la segue e, mentre lei esce di scena, si ferma un attimo, pensa, poi si dirige verso il tavolo, prende la penna di fagiano che ha gettato poco prima, la mette sul suo cappello tra il cupolino e il nastro e, traballante di paura, esce per la porta mentre cala la tela)

SIPARIO

ATTO SECONDO

È sera. Sono in scena Margherita e Lucia. Lucia è seduta a sinistra accanto al letto, indossa ancora l’abito da sposa, bianco. Vicino a lei Margherita in abito da sera sgargiante, scollatissimo e volgare. Lucia sta piangendo. Dall’interno, verso destra, si ode la musica da ballo e le voci degli invitati.

MARGHERITA – (sottovoce) Basta, adesso. Smettila, Lucia cara. Ormai sono inutili queste lacrime: rimedi non ce ne sono più.

LUCIA – Parlate bene, voi: rimedi non ce ne sono più. Ed è giusto? Non avrei mai immaginato che dalla persona più cara che avessi al mondo, mio padre, mi sarebbe venuta tanta incomprensione e tanto egoismo.

MARGHERITA – Non è vero. Tuo padre ti vuole bene, e quello che ha fatto non lo ha fatto per il suo egoismo, bensì per assicurare il tuo avvenire.

LUCIA – Quale avvenire? Giornate di dolore, sere di lacrime. Ecco quello che sarà il mio avvenire. E lo sapeva, glielo avevo confessato. Invece, me lo ha fatto sposare. (si alza e passeggia nervosa) Questa gente, la musica, il ballo… sono tutte cose che mi stanno dilaniando il cuore dalla rabbia. (cessa la musica interna. Si sente un applauso)

MARGHERITA – Ma mia cara, sarebbe stato sconveniente non invitare nessuno. Tra poco se ne andranno tutti.

LUCIA – Lo sapete che mi hanno fatto? In quale inganno sono stata travolta? Ora capisco per quale motivo, da che Enrico lasciò il paese, non ho più ricevuto nessuna notizia da lui. Tutte le lettere che mi scriveva le ritirava mio padre, a mia insaputa. (mostrandole un pacchetto di lettere) Eccole qua: queste sono una parte di esse. (dalla porta finestra del terrazzo entrano la 1ª invitata e Giovanni e si soffermano in fondo. Dopo poco, dalla stessa parte, li raggiunge Concetta che si sofferma a parlare con i due. Poi, come a concerto, esce per la prima porta a destra)

MARGHERITA – (meravigliata) Dove le hai trovate?

LUCIA – Ieri sera, quando tornammo a casa, sorpresi vostro marito che, parlando sottovoce a mio padre, segretamente gli fece leggere una lettera. Papà, dopo averla letta, la nascose in un tiretto della sua scrivania. Non mi è stato difficile trovarla, poi, assieme a queste altre. (bacia le lettere) Mio caro Enrico, tesoro mio adorato, mi aveva sempre scritto e io credevo che mi avesse dimenticato. (dalla porta in prima a destra entrano Alessio e Amalia che, parlottando tra loro, vanno in terrazza e si soffermano a parlare con gli altri, come a concerto, poi escono per la destra)

MARGHERITA – Cosa vuoi fare, adesso, di queste lettere? Rimettile al loro posto: se tuo padre si accorge di non averle più e te le trova, finirà male, ne sono certa.

LUCIA – No, no, no! Queste lettere rimarranno sempre con me. (si alza e cammina nervosamente per la scena, prima a destra, poi a sinistra)

MARGHERITA – Ma tu hai letto che cosa ha scritto Enrico nell’ultima lettera?

LUCIA – (sarcastica) Perché, voi non lo sapete cosa ha scritto? Vostro marito non ve l’ha fatta leggere?

MARGHERITA – Appunto, dico, hai letto cosa ha scritto? Ha minacciato di morte mio marito. Quel poveretto questa notte non ha dormito, tanto è preoccupato. Lo sai dove ha passato la notte, per stare sicuro? In parrocchia. (la 1ª invitata e Giovanni entrano in scena dal fondo della terrazza ed escono per la prima porta di destra. Dalla destra della terrazza, in fondo, entrano Amalia e Concetta, seguite da Alessio e si soffermano sul terrazzo. Dopo poco, le due donne escono per la sinistra del terrazzo ed Alessio, rimasto solo, accende una sigaretta. Appaiono, dopo, sempre sul terrazzo, da destra, Gennaro e Pasqualino e fanno gruppo con Alessio. Sono tutti venuti con abiti scuri, con pretese di eleganza) Meno male che fino adesso tutto’ è andato bene.

LUCIA – Non poteva andare che così. Cosa poteva fare, Enrico?

MARGHERITA – Ma questo Enrico… dico… tu lo hai saputo? Te lo hanno detto?

LUCIA – Cosa?

MARGHERITA – Pare che sia stato ricoverato due anni in manicomio: è pazzo!

LUCIA – Chi ve lo ha detto? Chi ha messo in giro questa vigliaccheria?

MARGHERITA – Lui stesso. Lo ha scritto a Giorgio.

LUCIA – Non è vero: non è vero! Un pazzo non scrive queste lettere. C è amore, in queste parole, non follia. Quante cose che sa la gente! Com’è cattiva l’umanità!

MARGHERITA – Beh, quello che è stato è stato, non ci si deve pensare più. Voglio solo consigliarti, per l’affetto che ti porto, di tenerti caro quel bravo ragazzo che è Pasqualino. È tanto buono! Un marito come lui, credi, non è facile trovarlo. Metti giudizio, non fare la romantica! Un marito, comunque sia, è sempre un marito. Io, vedi, nonostante non abbia trovato il fior fiore dei mariti, perché Giorgio è proprio lo schifo degli uomini, pure me lo tengo caro. È il marito, il responsabile. Al momento opportuno io posso sempre dire: “Cosa? Che? Cosa c’entro io? Io sono la signora Paternò! Prendetevela con lui. Arrestate lui!” E, nella vita, trovare una persona che ha il diritto e il dovere, perché il marito ha il “dovere”, di difenderti, non è cosa facile, te lo dice Margherita.

GIOVANNI – (sul finire della battuta di Margherita è entrato da destra e si sofferma in scena, impacciato, non sapendo dove andare)

MARGHERITA – (infastidita dalla sua presenza) Beh? Giovanni?

GIOVANNI – Mi hanno lasciato solo…

MARGHERITA – Andate in terrazza.

GIOVANNI – Sì, vado in terrazza. (esce sul terrazzo e fa scena col gruppo che, poco dopo, esce per la sinistra del terrazzo lasciando Giovanni solo)

LUCIA – Ma vi rendete conto della mia situazione? Io non amo Pasqualino. E me ne dispiace, è un ragazzo tutto cuore. Ma io amo Enrico, è lui che adoro.

MARGHERITA – E chi ti vieta di volergli bene come meglio ti piace? Quando avrai desiderio di vedere Enrico, un’ora di corriera, vai in città e lo vedi. Io, ogni domenica, è noto, vado puntualmente in città.

LUCIA – Mi dispiace, cara baronessa, ma io certe cose non le faccio. Abbraccerò il mio destino, mi farò coraggio e cercherò di volergli bene, col tempo. (Giovanni esce a sinistra del terrazzo. Dall’interno si ode il suono di un ballabile. Dalla porta di destra entra, allegro, Pasqualino)

MARGHERITA – Lupus in fabula. Eccolo qua. Stavamo parlando di te. Naturalmente chi cerca? Lucia.

PASQUALINO – Papà ha chiesto di lei. Gli invitati vogliono ballare ancora.

MARGHERITA – Vuol dire che si divertono, e lasciamoli divertire. Beh, ora che vi siete ritrovati, vi lascio soli… parlatevi liberamente come vuole l’amore di due cuori innamorati. Intanto, vado a vedere dove si è cacciato Giorgio. Giorgio… Giorgio… (esce sulla terrazza e via per la destra)

PASQUALINO – Sei stanca, Lucia?

LUCIA – Direi. Sono fatta di carne, e non di ferro!

PASQUALINO – È una festa che si fa una sola volta nella vita e bisogna farla come si conviene, ed in verità è riuscita bella. Tutti si sono ricordati di noi. Sono tanto felice che quasi mi pare di non meritarla tanta felicità. (la musica cessa) La notte scorsa t’ho sognata. Io non sogno mai perché la sera mi vado a coricare stanco morto e non ho il tempo di sognare nemmeno mamma mia. Una volta sognai la Madonna, come l’avevo vista la mattina alla processione in paese. Coi bei vestiti, piena di gioielli; ma la notte scorsa ho sognato te. Mi dicevi tante belle parole e io ero l’oggetto di tutte le tue cure. Poi, a un tratto, ci siamo trovati in una grande fattoria dove c’erano le mucche con tanti vitellini, poi la chioccia con i pulcini, le pecore con gli agnellini. Poi siamo tornati qui e abbiamo trovato la casa piena di bambini. Bambini sul letto, sul cassettone, su tutti i mobili. Ed appena ci hanno visto ci sono venuti incontro dicendo: “È arrivato papà! È arrivata mammà!” (entrano sulla sinistra del terrazzo, dove si soffermeranno a chiacchierare sottovoce, Alessio, Giovanni ed altri invitati, tutti con coppe di gelato che stanno gustando)

LUCIA – Senti, Pasqualino, io vorrei chiederti un favore… (ha visto il gruppo degli invitati sul terrazzo e abbassa la voce)

PASQUALINO – Parla…

LUCIA – Forse… non ti ho dimostrato abbastanza l’affetto che ti devo, e mi propongo di fare del mio meglio per dimostrartelo in avvenire. Ma ora, questa notte di nozze che si avvicina, lasciamela sognare come a me piace. Non domandarmi nulla, non chiedermi nulla. Lasciami passare la notte tranquilla. Abbi fiducia in me. Domani, o poi…

PASQUALINO – Ma sì, figurati… io mi sento stanco morto. Ho i piedi che mi fanno male… avanti, indietro, su, giù! Io non ti darò fastidio, mi metterò in un angoletto, lì o là… socchiuderò le imposte, ti metterò un bel bicchiere d’acqua fresca sul comodino… e, buoni buoni, faremo passare la notte. (entrano dalla porta di destra don Gennaro, Margherita e la cameriera che portano regali che vanno a deporre tra quelli già sul tavolo o sul cassettone)

GENNARO – Lucia? Insomma? Ti pare una bella cosa restare qui a chiacchierare mentre gli invitati si domandano se per caso non sei scappata?! Vai tu, intanto, Pasqualino, vai. (Pasqualino esce per la destra)

LUCIA – Stavo per venire di là.

GENNARO – Su, fai la brava, sei stanca, lo capisco…

MARGHERITA – È a pezzi, poverina!

LUCIA – Morta, mi sento, morta! In piedi da stamattina: erano le nove quando mi sono vestita. (si accalora man mano che parla) Mi sento il vestito incollato sulle carni, i piedi gonfi, li vedi? Li vedi? (toglie una scarpa buttandola all’aria con lo stesso piede, poi, quasi singhiozzando) …la testa che mi duole…

GENNARO – Calmati, ti do un ceffone! Tra poco se ne andranno via tutti.

LUCIA – (raccoglie la scarpa, e, senza calzarla, esce di scena sbuffando, dirigendosi verso la destra)

MARGHERITA – Ha ragione, poverina. (Giovanni, Alessio e gli altri, sul terrazzo, in fondo, escono verso destra)

GENNARO – Queste sono giornate che si sa come vanno. Anche io non vedo l’ora di andarmi a riposare.

GIORGIO – (dalla destra, entra seguito dal Brigadiere. Ha sulla testa il cappello nero con la lunga penna di fagiano infilata nel nastro) Venite, brigadiere, venite! Non vi allontanate, vi ho detto. Tenete gli occhi bene aperti e state sveglio. Non dormite!

BRIGADIERE – (masticando le parole) Io non dormivo.

GIORGIO – Voi dormivate.

BRIGADIERE – Signornò! Io non dormivo. Io pensavo.

GIORGIO – Pensate meno, allora. (conducendolo a sedere presso, la terrazza) Sedete qui vicino alla terrazza e prendete aria. Avete bevuto troppo: io sostengo bene il vino, mi avete detto, invece…

BRIGADIERE – Io ho bevuto quello che mi hanno offerto e una persona bene educata non rifiuta mai di ricevere una cortesia…

GIORGIO – Intanto non vi muovete di qui. (il brigadiere siede e reclina il capo sul petto) Dunque, don Gennaro… (il brigadiere russa) Don Vincenzo! Don Vincenzo! (il brigadiere si sveglia) State sveglio, ho detto.

BRIGADIERE – Sono sveglio.

GIORGIO – Stavate dormendo.

BRIGADIERE – Ero sveglio. (comincia a piagnucolare)

GIORGIO – Stavate dormendo. (rivolgendosi a don Gennaro) È vero?

BRIGADIERE – (piagnucolando) Non è vero… ero sveglio.

GIORGIO – (deciso e categorico) Stavate dormendo, perbacco!

BRIGADIERE – (piangendo come un bambino e pestando i piedi per terra) Non dormivo… non dormivo. (scoppia in pianto dirotto)

GIORGIO – (quasi commuovendosi lo accarezza come si fa con i bambini capricciosi) È bello… è be1lo. (il brigadiere si calma man mano che Giorgio lo conforta, sino a calmarli del tutto) È bello il brigadiere: è bello! (rivolgendosi a don Gennaro) Mi ha commosso… chissà che gli viene in mente… (al brigadiere) Passeggiate… passeggiando vi sentirete meglio.

BRIGADIERE – Sì… sì… passeggio. (barcollando si avvicina al letto e fa per coricarsi sopra)

GENNARO – (trattenendolo) Che fate? Siete impazzito? Quello è il talamo nuziale.

GIORGIO – Che significa “talamo”?

GENNARO – Letto nuziale!

BRIGADIERE – Una mezz’oretta, poi mi alzerò…

GIORGIO – …così arrivano i “nuziali” e trovano il talamo occupato?! (indicandogli una sedia) Sedete qui, buono buono, e state sveglio.

BRIGADIERE – Sono sveglio. (siede pesantemente)

GENNARO – Non capisco per quale ragione mi hai fatto invitare quel tipo. Non ha fatto che mangiare e bere da stamattina.

GIORGIO – Ha tanto insistito perché lo invitassi, e poiché si trattava di una autorità… (il brigadiere russa) …poiché si trattava di una autorità… (il brigadiere russa più forte) …ma se avessi immaginato che si trattava di una scrofa… (al brigadiere, con forza) Brigadiere! Don Vincenzo!

BRIGADIERE – (sussultando e alzandosi di scatto, mette mano alla pistola) Giorgio? Dove siete? Vi hanno fatto qualche cosa?

GIORGIO – Sono qui e nessuno mi ha fatto niente. Del resto, chi volete che mi faccia del male? Non vi ho invitato per difendermi, mi so difendere da solo, ma ci sono in giro tanti oggetti preziosi, la casa è al livello di strada, se qualche malintenzionato volesse approfittarne… non dormite, dunque.

BRIGADIERE – Io non dormivo!

GIORGIO – Che faccia tosta! Stavate dormendo.

BRIGADIERE – Io non dormivo! (piange come prima) Giorgio No… no… è bello, è bello…

GENNARO – (mentre il brigadiere si calma) Lascialo perdere… lasciagli fare ciò che vuole, ormai…

GIORGIO – (scorge Margherita che, stanca, si è liberata dalla stretta di una scarpa e con un fazzoletto si fa vento, seduta vicino al letto) Cosa fai, Margherita? Vai a tenere conversazione con gli invitati. Non abbassiamo il tono della cerimonia.

MARGHERITA – Vado! Vado! (nell’andare verso destra sussurra a Giorgio) Lucia ha trovato le lettere.

GIORGIO – (che non ha capito) Cosa? (e le ripete) Non abbassiamo il tono della cerimonia.

MARGHERITA – (c.s.) Lucia ha trovato le lettere.

GIORGIO – (c.s.) Cosa? (e le ripete) Non abbassiamo il tono della cerimonia.

MARGHERITA – (c.s.) Lucia ha trovato le lettere.

GIORGIO – (forte, perché non ha ancora capito) Cosa hai detto?

MARGHERITA – Crepa! (esce rapida per la destra)

GIORGIO – Che vipera!

GENNARO – Cosa voleva?

GIORGIO – Non ho capito bene. Mi pare che abbia detto: “La zia ha covato le lettere…”

GENNARO – Covato? No! Trovato. Avrà detto! Lucia ha trovato le lettere! Quelle che tenevo nel cassetto centrale della mia scrivania. Accidenti! Come si fa, ora?

GIORGIO – Bell’affare! Benedetto uomo. Era quello il posto per tenere dei documenti di spionaggio? (azione di Gennaro) Del resto è fatta, ormai, e non abbiamo più nulla da temere! Sareste pentito per caso? Verrà il giorno che Lucia vi sarà grata per quello che avere fatto per lei. Pasqualino era il marito che le ci voleva: giovane, pieno di salute, pieno di milioni. Don Gennaro, ho fatto i conti… assommano a cinquecentosettantasette, i milioni! Pasqualino vi ha dato mano libera su tutto il patrimonio. Chi è stato a convincerlo? Il sottoscritto. E allora datemene atto. (si stringono la mano)

GENNARO – Giusto.

GIORGIO – Ed ora vogliamo regolare i nostri accordi?

GENNARO – Quali?

GIORGIO – Come “quali”? Stabilimmo che il giorno delle nozze avreste versato nelle mie mani mille carte da diecimila lire…

GENNARO – Dieci milioni.

GIORGIO – D’accordo?

GENNARO – Non ci pensare! Perché vuoi pensarci?

GIORGIO – (lo trattiene) Don Gennaro, sentite, foste voi ad offrirmi la cifra. Io chiesi sette milioni, voi diceste: “No, te ne riconoscerò dieci”.

GENNARO – Dieci milioni.

GIORGIO – Lo ricordate bene?

GENNARO – Non ci pensare, che ci pensi a fare? Andiamo… (fa per uscire)

GIORGIO – (che non si spiega la risposta di don Gennaro, lo trattiene) Don Gennaro, dev’esserci un equivoco e voglio chiarirlo. Ho fatto molte spese: sarto, calzolaio, camiciaio, qualche oggetto di valore… prima di sera vorrei regolare i nostri accordi.

GENNARO – Capisco. Tu vorresti i dieci milioni questa sera.

GIORGIO – Precisamente.

GENNARO – Non ci pensare.

GIORGIO – (deciso, e sfacciato) Don Gennaro, io ci sto pensando da sei mesi. Io i dieci milioni li voglio..

GENNARO – Bene, li avrai.

GIORGIO – Voi non fare che dire: “Non ci pensare”.

GENNARO – Volendo dire che manterrò la mia promessa, cioè: non ci pensare, li avrai.

GIORGIO – Capisco. “Non ci pensare” nel senso: li avrai! Avevo capito, invece, “Non ci pensare” nel senso: non li avrai!

GENNARO – No, li avrai. (il brigadiere si alza sbuffando e, barcollando, si affaccia al parapetto della terrazza piegandosi col corpo e restando metà dentro e metà fuori, con le braccia che penzolano in basso verso l’esterno)

BRIGADIERE – Ah… ah…

GENNARO – (trattenendolo) Mio Dio! (lo sorregge) Ha rimesso tutto!

GIORGIO – E non gli passa la sbornia, non gli passa. Gli ho dato caffè amaro, acero, un bel bicchiere d’acqua e varecchina… (con don Gennaro, che sostiene il brigadiere, esce per il fondo del terrazzo a destra, mentre dalla prima porta a destra entra Margherita che porta una scatola contenente un regalo. La seguono Amalia, Lucia, Alessio. Dal terrazzo, a sinistra, entrano in scena Giovanni ed altri invitati)

MARGHERITA – È proprio bello. Mettiamolo qui. (Depone il regalo sul tavolo mentre prende il biglietto e lo legge) “A Lucia, sua zia Cristina con mille auguri di felicità”. Giovanni, avete visto quant’è bella questa “broche” di brillanti?

GIOVANNI – Bellissima. L’anello del compare è veramente bello.

MARGHERITA – Il compare è persona di gusti raffinati.

ALESSIO – Molto gentile, baronessa… Scusate, ma questo fatto di chiamarvi baronessa, mi mette a disagio…

MARGHERITA – Ma che vi salta in mente? Io non ci tengo proprio.

ALESSIO – Siccome Giorgio, vostro marito, mi disse che ci teneva…

MARGHERITA – …e io no. Sono cose che appartengono al passato. Ora sono la signora Paternò, e basta. Per voi: Margherita!

ALESSIO – Grazie! Dunque: dicevo, come compare è stato il meno che potessi fare.

AMALIA – (a Lucia che è seduta presso il letto) Come sei bella, figliuola mia: mi sembri una fata. (a Margherita) Tutti hanno avuto per lei un pensiero gentile.

ALESSIO – Se lo meritava! Come medico non mi manca l’occasione di conoscere gente, ebbene, mia moglie ne è testimone, non c’è persona che pensi male di lei, e noi le vogliamo un mondo di bene.

MARGHERITA – Anche lei ve ne vuole, ed ha ragione di volervene perché oltre ad essere delle persone di gusti raffinati, siete ammirevoli per bontà di cuore e sentimenti elevati.

ALESSIO – Bontà vostra, Margherita.

AMALIA – Ci volete ondulare!

ALESSIO – Adulare: adulare!

AMALIA – Si, va bene, è lo stesso.

1ª INVITATA – (dalla destra) Donna Margherita, cosa state facendo?

MARGHERITA – Facevo ammirare i regali di nozze al compare.

1ª INVITATA – Facciamoli vedere anche a mia sorella. (chiama verso la porta dalla quale è entrata) Filomena? Filomena?

2ª INVITATA – (appare sulla porta) Che c’è? (cammina zoppicando a causa delle scarpe strette)

1ª INVITATA – Vieni a vedere che bei regali. (dal terrazzo entrano in scena Concetta ed altri invitati tra cui qualche ragazzo assonnato) Che hai?

2ª INVITATA – Le scarpe. Mi fanno male le scarpe. (si avvicina al tavolo, guarda per un attimo i regali) Belli, belli!! (va a sedersi a destra)

CONCETTA – Quant’oro e quant’argento! (commossa) È stata trattata come una Madonna, sempre sia lodata! (si segna)

AMALIA – Eh!…(sospirando) Così fosse anche per mia nipote, poverina, la figlia di mio fratello.

MARGHERITA – È ancora ammalata?

AMALIA – Che volete? L’A.B.C. è una brutta malattia!

ALESSIO – (correggendola) T.B.C! T.B.C!

AMALIA – Si, va bene, è lo stesso. (a Margherita) È una brutta malattia, d’accordo, ma con un medico in casa!

ALESSIO – Che ci posso fare. io? Purtroppo la scienza…

AMALIA – Sì, la scienza! Voialtri non ne capite niente! (agli altri) Scusate ma se io ho una virtù è quella di parlar chiaro, senza parole, come si dice, sotto… semafori!

ALESSIO – (correggendola) Sottometafora. (scandisce) Sottometafora.

AMALIA – Sono moglie di un medico e non dovrei dire certe cose, ma che volete? Ho poca fiducia in questi qua. (indica Alessio) Una sola volta mi ha fatta una iniezione e mi è andata male. E si trattava di una semplice iniezione sotto Catania!

ALESSIO – Sì, sopra Palermo.

AMALIA – Perché? Come si dice?

ALESSIO – Sottocutanea. (scandisce) Sottocutanea.

AMALIA – Sono termini che non ho il dovere di sapere.

ALESSIO – (ad Amalia) Pensala come vuoi, ma faresti bene a tenerle per te le tue idee. La medicina è una scienza misteriosa, a cui pazienti e studiosi si devono affidare con fiducia e coscienza. (sottovoce) E parla meno, perché quando parli vai fuori dei limiti e lo sai.

AMALIA – Non incominciamo. Oh, se vi siete alcolizzati tutti contro di me è un altro paio di maniche, allora.

PASQUALINO – (dalla destra) Lucia? (tutti applaudono allo sposo)

AMALIA – Eccola qua, compare. Non temere: nessuno te la ruba.

MARGHERITA – È un ragazzo d’oro. Io e Giorgio siamo felici di averlo sposato a Lucia.

ALESSIO – È il marito che ci voleva per lei.

AMALIA – Azzeccato, si direbbe! (entra la 1ª cameriera. È una figura molto alta e molto grassa. Il grasso lo mostra dappertutto: sui fianchi, sulle anche, alle caviglie, sotto il mento. Indossa, molto male, un abito nero con grembiule bianco, crestina bianca, polsini bianchi e guanti bianchi; non appena entrata, dalla porta di destra, si ferma. Ha in mano un vassoio coi bicchieri di liquore)

MARGHERITA – (alla cameriera che è entrata) Vieni, vieni… gira il vassoio… (la cameriera gira e ogni invitato si serve. Arriva la 2ª cameriera: è un tipo magrissimo e patito e di statura bassa. Anche lei è vestita di nero ma il suo abito è lungo. La gonna le tocca le caviglie. Ha la crestina mal messa, i guanti bianchi, polsini e grembiule. Entrando, offre agli invitai un vassoio con biscotti. Come a concerto le due cameriere escono di scena mentre gli invitati discorrono tra loro mangiando e bevendo)

MARGHERITA – (ridendo) Ah, ah! Sai cosa si diceva, Pasqualino? In chiesa, quando hai detto “sì” sembravi rimbambito!

PASQUALINO – Si capisce, tanta confusione. È la prima volta che mi sono sposato. (tutti ridono. Lucia, Giovanni, 1ª e 2ª invitata vanno sul terrazzo e fanno gruppo)

CONCETTA – (si avvicina a Pasqualino) Immagino come ti sentirai stanco. Per lo meno potessi riposarti questa notte… invece… (ad Alessio) Dottore, gli farà male se si affatica troppo?

ALESSIO – Concetta, non dite sciocchezze. Gli farà bene: vedrete che gli farà bene!

GENNARO – (da destra) Tutti qui? (gli invitati lo applaudono) Grazie, grazie. Cosa fate qui?

MARGHERITA – Si parlava, si chiacchierava…

GIORGIO – (entra da destra, seguito dal brigadiere) Venite, brigadiere. Mi sono spostato in camera da letto.

BRIGADIERE – (barcollando più che mai) Eh?

GIORGIO – Siete diventato anche sordo? Ho detto: mi sono trasferito in camera da letto. (fa sedere il brigadiere) Sedete.

ALESSIO – Abbiamo ammirato i regali, Giorgio. Non parliamo, poi, del vostro: un cimelio!

GIORGIO – In che senso?

ALESSIO – È un oggetto da museo.

Giorgio. Lo credo bene! Si tratta di una sciabola storica. Pare che sia appartenuta a Garibaldi che la lasciò quando fu di passaggio qui. (a Gennaro) Il vostro regalo, però, è il più importante. (allargando il gesto) È una casa magnifica, questa.

ALESSIO – Molto bella.

AMALIA – Bella, bella! Con quella veneranda di vetro battuto!

GENNARO – Veranda. (scandendo la parola) Ve-ran-da!

ALESSIO – Veranda di ferro battuto.

GIORGIO – …di ferro sbattuto! (fa il gesto, con la mano, di chi frulla delle uova)

AMALIA – Ed ho notato che in alcune camere c’è anche il riscaldamento: otto elementi per ogni gladiatore!

GENNARO – Radiatore!

ALESSIO – Radiatore.

MARGHERITA – Radiatore!

GIORGIO – (chiama in disparte don Gennaro) Don Gennaro, avete notato che la moglie del medico è analfabetica?

GENNARO – L’ho notato. L’ho notato.

GIORGIO – Ha detto gladiatore invece di radiatore.

GENNARO – Già, già.

GIORGIO – I gladiatori erano i guerrieri americani, vero?

GENNARO – Sì, sì, americani. (ad Alessio) Una casa comoda, ariosa, al primo piano. Ci si affaccia dal terrazzo e ci si trova di fronte aria, sole, campagna!

ALESSIO – Un vero paradiso!

GIORGIO – Io non la conosco bene tutta. È un’altra camera, quella? (indica la porticina a sinistra)

GENNARO – No, è il cesso.

GIORGIO – (non ha capito) Come?

GENNARO – Il cesso, il cesso!

GIORGIO – Ah, il cesso?

GENNARO – Guardalo, guardalo! (si avvicina alla porticina insieme a Giorgio) L’ho ricavato da questa camera.

GIORGIO – (apre la porticina di destra e osserva all’interno) Piccolo, molto piccolo.

GENNARO – No, è abbastanza comodo. Ci ho fatto mettere le mattonelle bianche, il tappetino di linoleum, le tendine rosa: un vero budoire. Mi è parso comodo in questa camera…

GIORGIO – Si sente un certo che di…

GENNARO – È la vernice, la vernice fresca!

GIORGIO – Troppo fresca. (si allontana disgustato)

ALESSIO – E voi, dove vi siete sistemato?

GENNARO – Al piano superiore. È un piccolo appartamento.

ALESSIO – Siete solo, ormai, vi è più che sufficiente.

GENNARO – Non ho voluto tenermi lontano da mia figlia…

AMALIA – Ma cosa si fa? Stiamo così? Nessuno fa niente? Nessuno dice niente? Non so, una poesia, una canzone.

2ª INVITATA – Il dottore ci aveva promesso di farci sentire qualche cosa.

AMALIA – Ma si, fai quella scena che recitasti in casa di mia sorella. Era un monocolo.

ALESSIO – Sì, un cannocchiale. Monologo, vuoi dire: monologo!

AMALIA – Già, monologo. Com’era intitolato?

ALESSIO – Ma no, non è il caso… (sottovoce ad Amalia) Il giuramento.

AMALIA – Ah! Il giuramento.(applausi degli invitati)

GIORGIO – (avanzando dal terrazzo) Che succede?

GENNARO – Il dottore ci fa sentire “Il giuramento”.

GIORGIO – Il giuramento? Lo conosco anch’io!… “Giuro di essere fedele al Re ed si suoi Reali Successori, di servire la Patria…”

ALESSIO – È roba passata, questa. Avete confuso. Non il giuramento militare; intendevo: “Il giuramento”, di Rovetta, un’opera teatrale. Per favore, signori, abbiate la compiacenza di mettervi tutti dalla stessa parte; avremo così la platea da una parte e il palcoscenico dall’altra. (Tutti raggruppati si spostano a sinistra, chi seduto, chi in piedi) Dunque, dirò: “Il giuramento”, da “Romanticismo” dramma storico in quattro atti di Gerolamo Rovetta. (breve pausa, poi declama con enfasi) Nel nome di Dio e della mia Nazione. Nel nome di tutti i martiri della nostra santa causa, caduti sotto i colpi della tirannide straniera e domestica…

AMALIA – (sottovoce) Ho perduto un orecchino. (si mette a cercare il suo orecchino per terra, aiutata dagli altri invitati mentre Alessio, tutto preso dalla sua declamazione, continua imperterrito)

ALESSIO – …Pei doveri che mi legano alla terra ove Dio m’ha posto ed ai luoghi ove nacque mio padre e dove vivranno i miei figli, per l’odio innato in ogni uomo al male, all’ingiustizia, all’usurpazione e all’arbitrio… (nel girarsi verso i presenti si accorge che questi sono chinati, intenti alla ricerca dell’orecchino, e, particolarmente Margherita, Amalia, ed un’altra invitata, gli presentano il sedere cercando l’oggetto sul pavimento) Che succede? Che fate, signore?

GIORGIO – Vostra moglie ha perso un orecchino.

ALESSIO – Figuriamoci se non perdeva qualcosa!

AMALIA – Eccolo, l’ho trovato! Era sotto il tavolo.

GIORGIO – Avanti, dottore. (tutti applaudono)

ALESSIO – Dunque, dicevo. “Io, Vitaliano Lamberti di Agliate…”

AMALIA – (sottovoce a Margherita) S’è rotta la molla. (Allude all’orecchino)

ALESSIO – (ripete) “Io, Vitaliano Lamberti di Agliate…”

GIORGIO – Ecciù! (starnutisce rumorosamente sul capo di Lucia che gli sta seduta davanti)

ALESSIO – Salute! (Lucia fa per alzarsi indignata, mentre Pasqualino vorrebbe asciugarle la testa con il fazzoletto)

GIORGIO – Su, su… compare… coraggio. (applausi)

ALESSIO – Dunque: (ripete) “Io, Vitaliano Lamberti di Agliate….” (dall’interno, una esplodente musica lo interrompe. Tutti i presenti, con un sospiro di sollievo, escono per la porta di destra mentre Alessio, offeso, esce per la terrazza)

AMALIA – Andiamo di là, andiamo a fare gli ultimi quattro salti. Venite, donna Margherita?

MARGHERITA – Sono stanca: ho le gambe spezzate!

AMALIA – Siete ancora giovane, voi, e muoversi fa bene alla salute. Promenare, promenare. (escono tutti, meno Giorgio, il brigadiere e don Gennaro)

GENNARO – (indicando il brigadiere) Giorgio, bisogna mandare via questo. Non vorrai farlo restare qui?

GIORGIO – Don Vincenzo, alzatevi. (lo scuote)

BRIGADIERE – Chi è?

GIORGIO – Si chiude, si chiude!

BRIGADIERE – Sempre pronto a difendere il signor Giorgio da qualsiasi attentato. Guai, per chi tocca Giorgio Paternò!

GIORGIO – Questo era l’accordo, ma voi non avete fatto altro che dormire!

BRIGADIERE – Non è vero. Io non dormivo.

GIORGIO – Ma che sfacciato. (forte, in tono di rimprovero) Voi dormivate!

BRIGADIERE – Non dormivo, perbacco, non dormivo. (piangendo forte) Ma perché non mi volete credere? Non sono capace di mentire!

GIORGIO – (commosso) Ma vi ho visto, perché negate?

BRIGADIERE – (piangendo) Non è vero, non è vero, non dormivo…

GIORGIO – (anch’egli piangendo) Sì, vi ho visto io… (escono tutti e due, piangendo a dirotto, mentre la musica interna cessa e dalla terrazza rientrano Pasqualino, Lucia e Margherita)

GENNARO – Pasqualino, figlio mio, ti raccomando Lucia.

PASQUALINO – Giuro, papà: le vorrò più bene che alla mia stessa vita.

GENNARO – Te l’affido.

MARGHERITA – Eccoci finalmente liberati da tutta quella gente. Se ne sono andati tutti.

LUCIA – Non ne potevo più.

GENNARO – Ora potrai metterti a tuo comodo e pensare solamente alla vostra felicità.

GIORGIO – (rientrando, dalla destra) Don Vincenzo è andato via: l’ho fatto accompagnare dai suonatori. (prende in disparte don Gennaro) A proposito di suonatori, mi è venuta un’idea che mi sembra ottima. Ho raccomandato ai professori di appostarsi, tra una mezz’oretta, quando gli sposi saranno a cuore a cuore, all’angolo della strada e di suonare una serenata, la solita, quella che si suona in queste occasioni: “La santa notte”. (accenna il motivo) “Tutti uniti, canteremo, pien di gioia e pien d’amore…” Si deve creare l’atmosfera, capite? Il ragazzo è ingenuo, la ragazza, naturalmente, anche; la musica, si sa, intenerisce i cuori, gli animi. Il ragazzo si sentirà accompagnato, voi mi capite, no?

GENNARO – D’accordo. Ora credo che ce ne possiamo andare e lasciare in pace questi due piccioncini.

GIORGIO – Giusto. Siamo di troppo.

MARGHERITA – (a Lucia) Buonanotte, Lucia cara, stai tranquilla, non pensare a cose che non riguardino la vostra felicità coniugale, ricordati i consigli che ti ho dato e ci vedremo domani, con l’aiuto del Signore.

GIORGIO – (in disparte, a Margherita, con intenzione) Hai parlato tu, a Lucia?

MARGHERITA – Sì, le ho spiegato io tutto.

GIORGIO – (tra sé) Povero Pasqualino! (forte) Lucia, noi accompagniamo tuo padre su, a casa sua, faremo ancora quattro chiacchiere, anzi, dieci… (allude ai milioni che spera di avere quella sera)

MARGHERITA – Si dice “quattro”, no?

GIORGIO – Noi ne faremo prima “dieci”, poi quattro! Dopo, io e Margherita ce ne torneremo a casa nostra e voi resterete padroni del campo.

CONCETTA – (appare all’uscio di destra) Permesso?

PASQUALINO – (andandole incontro) Concetta, ancora qui?

CONCETTA – (commossa) Non mi hai detto una sola parola da stamattina.

PASQUALINO – (con premura ed affetto) Che vuoi? Tante cose da pensare…

CONCETTA – Capisco.

PASQUALINO – Te ne vai a casa?

CONCETTA – Io non so dire tante cose… come si dice… pulite. Sono una ignorante.

GIORGIO – lo sappiamo.

CONCETTA – Dovete scusarmi, ma…

GIORGIO – Ma che? Hai paura di qualche cosa? Temi qualche cosa?

CONCETTA – Io non ho paura di niente. Se questo matrimonio è stato fatto con giustizia, avrà la benedizione di Dio… perché non c’è oro, non c’è salute né bellezza che valgano a dare la felicità quando tra due persone l’amore non è condiviso in egual misura.

GIORGIO – Ma sentitela! Quella fa la filosofa. Si può affermare, guardando questi due, che non si amino? (Lucia è seduta immusonita e Pasqualino le sta accanto in piedi, come scolpito nel legno)

GENNARO – Sarebbe un nonsenso.

MARGHERITA – Giulietta e Romeo, Paolo e Francesca, Napoleone e Maria Walewska, i grandi amori!

GIORGIO – I grandi amori. (indicando se stesso e Margherita) Giorgio e Margherita!

MARGHERITA – (a lui solo) Che c’entri tu?

CONCETTA – (commossa) Buonanotte, Lucia. Vogliate bene a Pasqualino. È cresciuto senza mamma ed è tanto affettuoso. (non riesce quasi a parlare) Poi…

GIORGIO – E poi basta con questa tristezza, con questa lagna.

CONCETTA – Mi scuserete, ma per vent’anni l’ho messo a letto tutte le sere…

GIORGIO – E adesso ci andrà da solo.

CONCETTA – E l’ho svegliato tutte le mattine. Me lo sono curato come un figlio… ora… ora… (piagnucolando) Buonanotte, Pasqualino mio bello, buonanotte… (piange)

PASQUALINO – (scoppia in pianto dirotto e abbraccia Concetta) Concetta… (e piangendo, abbracciati, escono seguiti da Lucia e da Gennaro)

GIORGIO – L’ha fatto piangere!

MARGHERITA – C’è riuscita. Quella è la nostra nemica.

GIORGIO – La manderò via. Sulle scale di una chiesa a chiedere la carità! Lì, finirà! (porta le mani ai fianchi) Mi sento stanco morto. Ho passato tutta la notte piegato in due nel confessionale. C’era un buio pauroso. Tutti i Santi guardavano me: che spavento! Stamattina, poi, don Clemente, trovandomi lì alle cinque, mi ha voluto confessare. Non ti dico le bugie che gli ho raccontato. Comunque abbiamo visto sposato Pasqualino: finalmente li abbiamo visti sposati.

MARGHERITA – Mi sembra di non poterci credere.

GIORGIO – Ci crederai meglio più tardi, quando ti mostrerò un assegno di dieci milioni.

MARGHERITA – Te lo ha dato?

GIORGIO – Si va su per questo.

MARGHERITA – (soddisfatta) Finalmente! Potrò comprarmi la pelliccia di visone. (esce per la porta di destra)

GIORGIO – (richiamandosi al dialogo che poc’anzi ha avuto con don Gennaro dei dieci milioni, dice con espressione maligna) Non ci pensare… non li avrai. (lieto e baldanzoso va a prendere il cappello che ha lasciato poco prima sulla poltroncina a sinistra, vicino sl letto, dà una lisciatina alla penna e lo calza. Non si accorge, pertanto, che dalla terrazza, come un fantasma, è apparso Enrico Canestri. Si tratta di un giovane molto alto e robusto, pallido, i capelli foltissimi e neri in disordine. Indossa un vestito nero, a lutto. Nel vederlo, Giorgio, resta come pietrificato, incapace di muovere un passo e resta lì, agghiacciato dallo spavento)

ENRICO – (con tono grave e severo, sbarrandogli gli occhi addosso come un folle) Buonasera!

GIORGIO – (con voce fioca) Buonasera. (non sa che fare. Infine si decide: accenna un lieve e rispettoso inchino e fa per andare) Permesso.

ENRICO – (subito e con tono deciso) Stai lì. Fermo. Non muoverti. (Giorgio accenna a camminare) Non un passo… (Giorgio si muove ancora) Non un gesto, fermo, così!

GIORGIO – (rimanendo con una gamba e un braccio a mezz’aria) Così?

ENRICO – (deciso) Così!

GIORGIO – (senza muoversi) Con il piede così? (indica la gamba rimasta a mezz’aria)

ENRICO – Con il piede così! (Giorgio resta fermo come una statua, su una gamba sola, la sinistra. La gamba destra distesa in avanti, il braccio destro poggiato sul fianco e l’altro allungato, con il dito indice puntato in direzione del piede destro) Pasqualino se ne starà a casa sua. (si avvicina a Giorgio e gli punta con forza l’indice sotto il mento, costringendolo, man mano che pigia in su, ad allungarsi sulla punta dei piedi) Lucia sarà mia, capisci? Mia! (gli toglie il dito da sotto il mento)

GIORGIO – (cadendo pesantemente sui talloni) È vero, però…

ENRICO – Sta’ zitto: buffone, lestofante, filibustiere. (lo schiaffeggia, poi gli sputa sul viso, Giorgio fa per pulirsi, col braccio) Sta fermo. Non ti muovere… Fermo così!

GIORGIO – (che nel frattempo avrà assunto un’altra posizione) Così?

ENRICO – Così.

GIORGIO – Con lo sputo sulla gota?

ENRICO – Con lo sputo sulla gota! (Giorgio resta immobile) Ti sei creduto capace di togliermi Lucia dal cuore? Ti sei creduto in diritto di disporre della mia e della sua felicità? Non ti vergogni di quello che hai fatto? (Giorgio è sempre fermo come una statua ed anche la sua espressione di paura è ferma sul viso) Ah, è questa la tua professione, vero? Trattare e concludere matrimoni? Farabutto, ruffiano! (gli dà un ceffone)

GIORGIO – (traballa ma poi si rimette in equilibrio e balbetta, sempre restando fermo) Permesso. (fa per andare)

ENRICO – Fermo. (Giorgio accenna a qualche movimento) Non ti muovere. Fermo. (Giorgio si ferma assumendo una qualsiasi posizione) Così.

GIORGIO – Così?

ENRICO – Così. (Giorgio resta fermo. Enrico emette una sgangherata e stridula risata) Come vedi ho mantenuto la parola. Eccomi qua.

GIORGIO – (sempre senza muoversi) Benvenuto.

ENRICO – Ti dimostrerò chi sono io e come la penso. Ti accorgerai di che cosa è capace un uomo quando ama veramente.

GIORGIO – (sempre fermo) Eh… l’amore fa commettere follie.

ENRICO – Anche quella di uccidere una carogna come te.

GIORGIO – (c.s.) Lo credo bene. Non si agiti… (tra sé) Mamma mia, com’è furioso.

ENRICO – Poche chiacchiere, dove sono? Dov’è Lucia?

GIORGIO – Lucia si è sentita poco bene…

ENRICO – (allarmato) Sta male?

GIORGIO – No, stava male, poi è stata portata al manicomio…

ENRICO – (al colmo dello sconforto) Al manicomio?

GIORGIO – (sempre fermo) Cioè, no… mi posso muovere?

ENRICO – (forte) No!

LUCIA – (entra dalla porta di destra e, vedendo Enrico, ha un grido di sorpresa e di gioia subito represso per tema che qualcuno li scopra) Enrico!

ENRICO – (correndole incontro) Anima mia, vita mia… scopo mio, sole mio… (si abbracciano con trasporto e si baciano sulla bocca. Intanto Giorgio si è mosso e li guarda intorno indeciso su quanto possa fare) Finalmente ti rivedo, Lucia mia!

LUCIA – Mi pare di sognare, vita mia. Aspetta. (corre ad ori. origliare alla porta, poi la socchiude, mentre Giorgio si agita)

ENRICO – (a Giorgio) Stai fermo.

GIORGIO – (si ferma di colpo nella posizione in cui il perentorio ordine di Enrico lo ha colto) Così?

ENRICO – Così! (a Lucia) Dimmi, Lucia…

LUCIA – Non posso vivere senza di te. (poi, alludendo all’abito nero di Enrico) Ma tu… perché così?

ENRICO – (con tono cupo ed addolorato) Mia madre… (breve pausa) …è morta.

GIORGIO – (dal suo posto, senza muoversi) Condoglianze.

ENRICO – Taci, tu! Non parlare. Tu mi ricordi la mamma. Lucia, ora non è il momento di pensare a certe cose. (stringendola al petto) Quanto mi hai fatto soffrire. (Giorgio cerca con gli occhi qualche oggetto pesante col quale colpire Enrico, ma non lo trova; cercherà, allora, di servirsi del pomo d’ottone del letto e tenta di svitarlo ma non ci riesce) Tre mesi senza scrivermi una sola parola. Io, invece, non ho passato un attimo di questo lungo tempo senza pensare a te.

LUCIA – Le tue lettere le ritirava mio padre, a mia insaputa, d’accordo con il postino e con quel bel pezzo di galantuomo. (indica Giorgio)

GIORGIO – (ad Enrico che lo fissa con lo sguardo sdegnoso, si inchina togliendosi il cappello) Piacere tanto!

LUCIA – (prendendo a braccetto Enrico) Quando partisti io ti scrissi all’indirizzo che mi avevi lasciato. (passa a sinistra, sempre al braccio di Enrico)

GIORGIO – (si toglie il cappello, salutando rispettosamente i due, ogni volta che gli passano davanti)

ENRICO – Io risposi immediatamente.

LUCIA – Ma io non ricevetti nessuna risposta. E per tre mesi nessuna notizia tua. Ho aspettato, per qualche tempo, col cuore pieno d’ansia e di speranza, poi… credendo che tu mi avessi dimenticata… Non so dirti se per dispetto o che, accettai di sposare Pasqualino. Ma credimi, Enrico, ti ho sempre amato e ti amo tanto. Voglio bene solamente a te. Ti scongiuro, non abbandonarmi! Non lasciamoci più! (si ferma con Enrico e restano abbracciati, Giorgio, approfittando che i due non l’osservano, si toglie dal cappello la lunga penna alla quale attribuisce potere benefico, e con questa fa larghi segni di scongiuri alle spalle di Enrico)

ENRICO – Ascolta, Lucia: all’angolo del palazzo c’è un mio amico con l’automobile pronta: mi ami?

LUCIA – Tanto!

ENRICO – (deciso) Scappiamo, allora! (Giorgio, allarmatissimo, si accarezza il viso e tutto il corpo con la penna, come a voler scongiurare un immediato pericolo sulla sua persona fisica)

LUCIA – Scappare?

ENRICO – Rifiuti?

LUCIA – No… ma mio padre… lasciarlo, procurargli un simile dolore…

GIORGIO – (con forza, in un momento in cui gli è riuscito di afferrare un po’ di coraggio) Giusto! Quello è diabetico.

ENRICO – Taci, tu! Perché ti sei mosso? Sta’ fermo li! (fermandolo sul movimento) Così.

GIORGIO – Col braccio così? (allude al braccio sinistro che tiene alzato e piegato in avanti e le cui dita della mano sono serrate in punta, e resta fermo in quella scomoda posizione)

ENRICO – (non badandogli, si rivolge a Lucia) Tuo padre? Non pensi a quello che ti ha fatto? Non pensi che non si è curato se il tuo cuore rideva o piangeva? (Giorgio vuole impedire ad Enrico di scappare con Lucia e vuole fermarlo a tutti i costi; infatti prende un grosso mestolo d’argento da una scatola di posaterie che sta sul letto e fa per colpire alla testa Enrico, ma questi si gira all’improvviso e Giorgio, confuso e intimorito, finge di volergli regalare l’oggetto: Enrico lo prende e lo intasca, riprendendo a parlare con Lucia. Giorgio ritenta con un altro oggetto e afferra un grosso forchettone ma, mentre sta per colpirlo, Enrico si volta all’improvviso e si ripete la scena di prima) Perché lo ha fatto? Per un senso di giustizia? No! L’uomo giusto non può mentire e ingannare se stesso. Non può transigere su quelli che sono i veri sentimenti che gli detta la coscienza. Solamente una volgare speculazione può indurlo a certe ingiustizie: il denaro, il vile denaro!

LUCIA – Hai ragione, ma pensa allo scandalo!

ENRICO – Non dobbiamo pensare a niente, anima mia, e scappiamo!

LUCIA – Dove andremo?

GIORGIO – (avvicinandosi ai due) Dove la volete portare? La ragazza è zitella, sapete?

ENRICO – (minaccioso) Zitto, tu! (a Lucia, sempre più incalzante) Non pensare dove andremo: certamente incontro alla nostra felicità. (dall’interno, proveniente dal terrazzo che dà sulla strada, si udrà suonare “La santa notte” con mandolini e chitarre, cantata in coro da voci maschili, e questa serenata continuerà fino alla fine dell’atto)

LUCIA – Vengo… Prendo i gioielli.

ENRICO – Non servono, denari ne ho… Vieni. (si avvicina, con Lucia, alla porta che dà sul terrazzo)

GIORGIO – (con coraggio) Ma insomma? Questo è pazzo, Lucia, è stato due anni al manicomio.

ENRICO – (minaccioso) Non parlare, ti ho detto! (gli si avvicina mentre Lucia va ad origliare alla porta) Non fiatare nemmeno, se no ti sparo. (mostra una grossa pistola)

GIORGIO – (spaventatissimo) Non scherziamo con questi argomenti… (intanto con la penna sfiora il revolver segnando intorno all’arma immaginari scongiuri)

ENRICO – Sta’ zitto, uomo da niente. (gli dà uno schiaffo. Subito Giorgio si passa la penna sulla guancia colpita) Morto di fame! (gli assesta un forte calcio nel sedere e Giorgio si tocca il posto dolorante con la penna, facendole fare piccoli movimenti circolari sulla parte colpita) Farabutto. (altri schiaffi e calci mentre Giorgio muove nell’aria la penna facendo i soliti scongiuri) Questo avrei dovuto fartelo già da tempo: ruffiano! (lo schiaffeggia ancora: Giorgio è quasi sfinito) Te lo faccio ora, senza pietà, senza rimorsi. (Enrico e Giorgio sono arrivati presso la poltroncina in prima quinta a sinistra) Apri quella porta.

GIORGIO – (ancora con una certa risolutezza) È il cesso.

ENRICO – È il posto che ti meriti. Apri!

GIORGIO – (apre la porticina) Ho aperto.

ENRICO – Entra. (lo schiaffeggia)

GIORGIO – Un momento. (getta lontano la penna con disprezzo e ci sputa sopra: poi, ricevendo sempre calci e schiaffi senza ribellarsi, esce di scena facendo rispettosi inchini. Enrico chiude a chiave la porta. Toglie la chiave, la mette in tasca ed esce di scena con Lucia per la terrazza. Giorgio batte colpi all’interno della porticina, mentre si ode sempre la musica proveniente dalla strada) Aiuto… Aiuto!

PASQUALINO – (entra poco dopo, dalla porta di destra) Lucia?…Lucia?…(evidentemente credeva di trovarla nelle altre stanze e non l’ha trovata; ora la cerca qui. Guarda negli angoli della stanza e, ingenuamente, perfino sotto il letto come se Lucia avesse voluto fargli uno scherzo. A questo punto sente picchiare alla porticina di sinistra, va verso di essa e dice forte) Lucia, sei tu?

GIORGIO – (con forza) Sono io.

PASQUALINO – (meravigliato) Sei tu, Giorgio? (breve pausa) E Lucia è con te?

GIORGIO – Apri la porta.

PASQUALINO – La porta è chiusa e la chiave non c’è. Cosa succede?

GIORGIO – Presto, corri! Lucia è scappata con il suo amante, Enrico Canestri.

PASQUALINO – (quasi soffocalo) Scappata?

GIORGIO – Scappata, sì. Corri, fai presto. Chiama qualcuno… sono fuggiti per il terrazzo!

PASQUALINO – (si senta mancare, poi corre alla terrazza e grida forte verso l’esterno in basso) Lucia!… (poi verso l’esterno in alto) Papà!

GIORGIO – (d.d.) Pasqualino!

PASQUALINO – (verso la porta del gabinetto) Giorgio! (corre nuovamente verso il terrazzo) Lucia!…

GIORGIO – (si affaccia alla finestrella situata sopra la porticina. Evidentemente è riuscito, con sforzo, ad arrampicarsi e di là chiama con forza) Pasqualino!

PASQUALINO – (perdendo vigore e piangendo, rivolto verso il fratellastro) Giorgio…

GIORGIO – (c.s.) Pasqualino!

GENNARO – (dalla porta di destra, accorrendo senza giacca e senza colletto) Che succede?

MARGHERITA – (appare alla porta di destra, dietro Gennaro) Che sta succedendo?!

PASQUALINO – (quasi non riuscendo a parlare) Lucia… è… fuggita…

GENNARO – Fuggita?

MARGHERITA – (vedendo Giorgio) Cosa fai, lì?

GIORGIO – Apri!

MARGHERITA – Non c’è la chiave…

GENNARO – Pasqualino, insomma?

PASQUALINO – Lucia è scappata! (cade affranto su una sedia piangendo come un bambino) Giorgio! Giorgio! (dall’esterno, la musica e il coro continuano. Le note si diffondono, dolci e lievi, nell’aria fresca della campagna, in quella sera d’estate, come ardenti e tenere carezze d’amore in contrasto con gli urli di Giorgio e degli altri e dei singhiozzi di Pasqualino, sui quali cala la tela)

SIPARIO