120 all’ora

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120 ALL’ORA

Commedia in tre atti

di SZANTHO E SZECSEN

Traduzione di Ignazio Balla e Mario De Vellis

PERSONAGGI

MARIANNA

TIBERIO LEVISKY

IL PRESIDENTE

PROF. GIDA HORNIG

WILMA

FRANCESCO RICHTER

CARMELO HORVATH

WALTER

MULLER

KOVES

LANY

IL SOTTOSEGRETARIO PERLAKI

LA SIGNORA PERLAKI

LA SIGNORA KOVES

LA SIGNORA MULLER

LA SIGNORINA BIANCA

LA SIGNORINA SZEKELI

MICHELE, cameriere

KUCERA, usciere banca.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

L'ufficio del se­gretario Horvath, alle dieci di mat­tina. Una scriva­nia col telefono. A destra, la porta che mette nella stanza del Presi­dente. A sinistra, la comune.

Horvath                         - (è un giovane di 35 an­ni,  motto  elegan­te.   Quando il si­pario si alza parla al telefono) Sì, signor Barone; la notizia è  già uffi­ciale...    Croce   al merito    di    prima classe, con la stella... Infatti, al Presidente com­pete il titolo di Eccellenza... Per il salvataggio di un uomo? (Ride). No, ali contrario; per qua­ranta anni di attività bancaria... Grazie, riferi­rò... I miei ossequi, signor Barone. (Riattacca).

Lany                              - (entra da sinistra) Buongiorno, Hor­vath:  è stabilito il cerimoniale? Verremo indi­vidualmente o in commissione ad ossequiarmi?

Horvath                         - Non so nulla; se ne occupa il Direttore del personale.

Koves                            - (da sinistra) Buongiorno, Horvath, Ha lei la relazione del prestito?

Horvath                         -  L'ha il Presidente.

Koves                            -  Vado a chiedergliela. (Si avvia).

Horvath                         -  Non è ancora venuto, e forse non verrà. Non credo che oggi si occupi di affari.

Muller                           - (da sinistra) Il Presidente?

Horvath                         -  Non c'è.

Muller                           -  Come si fa a sapere quando dob­biamo venire per la nostra visita?

Lany                              -  Di questo si occupa Walter.

Muller                           - (con tono rassegnato) Allora farà lui  le   congratulazioni a  nome  di  tutti...  e la festa sarà finita.

Lany                              -  Si farà un banchetto...

Horvath                         -  Oh, sì!  Quello lo organizzo io. E chi parlerà?

Lany                              - (indicando Muller) Muller.

Muller                           -  Io?

Koves                            -  Sei  il Direttore  più anziano... E del resto i discorsi sono la tua specialità.

Muller                           -  No, no: non accetto. (Breve pau­sa). Poi non ho avuto nessun incarico.

Koves                            -  Scommetto che hai già il discorso in tasca.

Walter                           - (da sinistra, con un incartamento in mano) Buongiorno a tutti.

Horvath                         -  Giunge a proposito, signor Wal­ter. I direttori parlavano  dei festeggiamenti...

Walter                           -  È prematuro. Alle undici terremo un'adunanza…. La festa dev'essere grandiosa. (Con enfasi) Si tratta della più alta onorificen­za: Croce di prima classe con la stella.

Muller                           - Con la stella? (A parte) Allora debbo rifare tutto il discorso.

Walter                           - (posa l'incartamento sulla scrivania) Ecco l'elenco.

Horvath                         - (sfogliando) Ancora riduzioni, di stipendio e trentaquattro licenziati... Terribile!

Walter                           - Già! Ma realizziamo un'economia di mezzo milione all'anno.

Horvath                         - E non si potrebbe trovare un'al­tra soluzione?

Walter                           - Quale? Non si possono ridurre gli emolumenti del Consiglio di Amministrazione.

Horvath                         - Perché?

Walter                           - Perché il Governo è contrario alle economie esagerate... e i membri del Consiglio, appartengono quasi tutti al partito governativo.

Horvath                         - Si potrebbero diminuire un po' i dividendi.

Walter                           - Come si capisce che lei non è azionista! Creda a me: è doloroso, ma non si può fare diversamente...

Horvath                         - Chissà quanti malumori!

Walter                           - Quanta gente felice, vorrà dire. (Horvath lo guarda stupito). Tutti quelli che se la saranno cavata solo con una riduzione di sti­pendio. (Breve pausa durante la quale Horvath scuote la testa poggiando una mano sull'incarta­mento). Lo affido a lei. (Facendo segno col dito) Mi raccomando: è riservatissimo. (Altro tono) Sarà il più bel regalo per il nostro Presidente. (Avviandosi a sinistra) Vado nella sala del Con­siglio: voglio vedere se hanno messo a posto il busto. È somigliantissimo.

Horvath                         - C'è anche l'iscrizione?

Walter                           - Naturale: sullo zoccolo. (Come se leggesse) « Gli impiegati in segno di gratitudi­ne». (Via a sinistra).

Marianna                       - (entra da sinistra come un bolide. È la figlia del Presidente. Giovane, bella, dina­mica, molto sportiva. Indossa un abito da tennis e ha sulle braccia un gran fascio di fiori) Buongiorno, Horvath. (Senza fermarsi si avvia alla porta di destra).

Horvath                         - I miei rispetti, signorina.

Marianna                       - (quasi contemporaneamente a Hor­vath) Il babbo?

Horvath                         - Non c'è ancora.

Marianna                       - E allora che me ne faccio dei miei fiori?

Horvath                         - Si accomodi. Sarà qui da un mo­mento all'altro.

Marianna                       - (sempre in piedi) Stamani è uscito di casa senza dirci nulla: l'ho saputo al tennis che era diventato Eccellenza. Il babbo è fatto così. (Si guarda intorno) Non c'è un vaso? (Indica i fiori) Vorrei lasciarli sul suo tavolo.

Horvath                         - (preme il campanello sul tavolo) Non lo aspetta?

Marianna                       - Impossibile!  Ho piantato la par­tita per venire qui. Ho scommesso che in quin­dici minuti sarei andata e tornata. Sono tutti lì col cronometro in mano. Sono venuta in quat­tro primi e ventitré secondi. Tempo di record. Nessun agente mi ha fermata.

Horvath                         - Gli agenti ormai conoscono così bene la sua macchina che non la fermano più per eccesso di velocità. Prendono il numero al volo.

Marianna                       - Non mi spaventi! Proprio ieri ho pagato cento pengo. (Siede sulla scrivania e accende una sigaretta).

Horvath                         - (all'usciere che entra) Giovanni, mettete quei fiori sul tavolo del Presidente.

Usciere                          - Sì, signore. (Esce coi fiori. Dopo un momento ritorna coi fiori in un vaso ed en­tra a destra).

Marianna                       - Perché diceva che l'agente ha preso il numero?

Horvath                         - La forza dell'abitudine. Io le consiglierei di fare un forfait. Per quanto lei possa correre rapidamente, gli agenti sono più svelti a scrivere.

Marianna                       - Lei mi vuol canzonare! Creda: la colpevole non sono io. Sono perseguitata dalla disdetta,.

Horvath                         - Lei? E che dovrebbero dire quei due disgraziati del mese scorso?

Marianna                       - Erano due operai disoccupati. E ora, invece, fino alla fine dei loro giorni avranno duecento pengo al mese.

Horvath                         - Con questo sistema, lei potrebbe risolvere il problema della disoccupazione. Però le consiglio di essere più cauta. Ancora un in­cidente e suo padre non le permetterà più di guidare.

Marianna                       - (balzando dalla scrivania) Ha detto così?

Horvath                         - È una decisione irrevocabile.

Marianna                       - (convinta) Oh, il babbo è ca­pacissimo di farlo! Ma io non potrei sopravvi­vere. Ho bisogno della macchina, io. È la mia vita, il mio amore...

Horvath                         - Un amore molto moderno...

Marianna                       - Può darsi! Ma è uno di quegli amori senza conseguenze.

Horvath                         - (ridendo) Anzi, al contrario!...

Richter                          - (è un uomo sulla sessantina, uno dei più vecchi impiegati della Banca. Entra da si­nistra) Buongiorno, piccola Marianna.

Marianna                       - Buongiorno, caro Richter,   - (Gli scuote energicamente la mano).

Richter                          - (dà un piccolo grido di dolore e si stropiccia le dita che gli sono state strette) Dove la prendi tutta questa forza?

Marianna                       - È lo sport (Gli dà un pugno nella schiena).

Richter                          - (quasi barcolla) Già, lo sport.. È molto sano... (Si tasta la schiena) E fa molto bene.

Marianna                       - (offrendogli una sigaretta) Una sigaretta per risarcimento del dolore.

Richter                          - (prende la sigaretta e la guarda) Sono quelle di tuo padre!

Marianna                       - È uno sbaglio di otto cilindri. Sono le mie. (Indicando) C'è anche la mia sigla.

Richter                          - Ma il babbo fuma queste.

Marianna                       - È lui che me le ruba!

Richter                          - (scuotendo il capo) Il mondo alla rovescia! (Mette in tasca la sigaretta).

Marianna                       - Non accende?

Horvath                         - Non è ancora l'ora. Il signor Richter fuma la prima sigaretta alle undici precise.

Richter                          - Verissimo. Dopo lo spuntino. (Guarda l’orologio) Ho ancora un quarto d'ora.

Marianna                       - (agitata) Oh, Dio! Mi sono mes­sa a chiacchierare e ho perduto cento Abdulla. (A Horvath) Mi saluti il babbo... anzi, non gli dica nulla. Vediamo se indovina chi ha portato i fiori. Arrivederci, dottore.

Horvath                         - I miei rispetti.

Marianna                       - Addio, Richter. (Gli porge la mano).

Richter                          - (ritrae la sua) Non mi fai male?

Marianna                       - La saluterò all'antica. (Fa un inchino. Con voce da bambina) Bacio la mano, signor Richter.

Richter                          - Addio, Marianna.

Marianna                       - (gli dà a tradimento un colpo sulla schiena ed esce di corsa a sinistra).

Richter                          - Ecco le ragazze moderne... Ai miei tempi, erano così i caporali degli Usseri. (Pausa). Dov'è il Presidente?

Horvath                         - Dica, signor Richter, volevo sempre chiederglielo: come mai, avendo co­minciato col Presidente, lei è rimasto così in­dietro?

 Richter                         - È lui che è corso avanti.

Horvath                         - E perché non l'ha seguito?

Richter                          - E chi avrebbe potuto tenergli dietro? Non sono un campione, io.

Horvath                         - Però, rimanere quarant’anni in una banca come questa, e non formarsi un pa­trimonio, né una posizione...

Richter                          - Mi è mancato il tempo per accu­mulare un patrimonio. Ho sempre lavorato tan­to! E poi, se anche l'avessi accumulato, che mi sarebbe rimasto, ora? Cartelle del prestito di guerra e il diabete. A che mi servirebbe? Mi accontento. Non ho che un desiderio: essere trasferito alla succursale di Csaba. Ho una passione... H

Horvath                         - Allevare i polli. Lo so.

Richter                          - Gliel'ho detto?... A Csaba ho una casetta e un pezzo di terra. Li ha ereditati mia moglie...

Horvath                         - (interrompendolo) ...dai suoi genitori.

Richter                          - Le ho detto anche questo? Là potrei vivere tranquillamente.

Horvath                         - Perché non ne parla al Presi­dente?

Richter                          - Mille volte ho tentato. Da trent'anni sono il suo migliore amico e il suo com­pagno di gioco. Non mi ha mai lasciato finire il discorso. (Squilla il telefono).

Horvath                         - Pronti... Grazie. (Riattacca). È arrivato il Presidente. (Si alza, riordina le carte sulla scrivania e indica l'incartamento lasciato da Walter). La sorpresa della giornata.

Presidente                     - (entra da sinistra seguito dall'u­sciere. È un uomo sulla sessantina, di figura si­gnorile, distinto e imponente. Il tipo del grande finanziere) Buongiorno, signori.

Horvath                         - (con un inchino) Signor Presi­dente...

Walter                           - (si mette davanti agli altri e si in­china profondamente) Buongiorno, Eccellen­za. Mi permetta di cogliere l'occasione per con­gratularmi, dal profondo del cuore, per questo grande e si può dire, raro... veramente raro..";

Presidente                     - (interrompendolo) Grazie. Walter, grazie. (A Richter, battendogli sulla spalla) Come va, Francesco?

Richter                          - Si vive, Eccellenza.

Presidente                     - Eccellenza? Ma io per te sono sempre Corrado.

Richter                          - L'alto riconoscimento dei tuoi meriti mi rende felice in sommo grado, perché...

Presidente                     - (lo interrompe con tono affettuo­so) Lascia andare. Forse volevi dirmi qualche altra cosa?

Richter                          - In questa bella occasione... Se mi permetti...

Presidente                     - Avanti, avanti caro...

Richter                          - A Csaba ho una casetta, con un pezzo di terra, e sarei felicissimo se...

 Presidente                    - Francesco mio, ma questa è una questione privata. Non la possiamo sbri­gare qui. Ne parleremo oggi a casa.

RlCHTER                     - Faremo anche oggi la solita par­tita?

Presidente                     - E perché no? Tutto rimane immutato. A più tardi. (Si avvia a destra e si ferma sulla soglia. A Horvath) Perché quei fio­ri? Sa che non mi piacciono queste esteriorità.

Horvath                         - Sono della signorina Marianna.

Presidente                     - (con gradevole sorpresa) Di mia figlia?

Horvath                         - Sì, Eccellenza.

Presidente                     - Grazie. (Esce a destra seguito k Horvath),

Richter                          - (a Walter) Fra poco gli potrai presentare il tuo regalo.

Walter                           - (soprapensiero) Quale regalo?

Richter                          - La riduzione del personale.

Walter                           - Non capisco perché ti addolori tanto. Sei uno dei più anziani qui dentro, sei l'amico del Presidente... dovresti avere una maggiore comprensione degli interessi della Banca.

Levisky                         - (un giovane dì 28 anni. Irrompe da sinistra, molto eccitato).

Usciere                          - (lo segue) Prego! Qui non è per­messo entrare!

Richter                          - Che cosa c'è, Levisky?

Levisky                         - Voglio parlare col signor Presi­dente.

Richter                          - Col Presidente? Ma lei è pazzo!

Usciere                          - Gli ho già detto che non si può. (A Levisky) La prego di uscire.

Levisky                         - Caro signor Richter, debbo par­lare col Presidente.

Richter                          - (all'usciere) Va' pure, Giovanni. Me la sbrigherò io. (L'usciere esce a sinistra). Che cos'ha? Che è accaduto?

Levisky                         - Mi vogliono licenziare.

Richter                          - Viviamo in un'epoca triste!...

Levisky                         - Ma io ho delle responsabilità. Sono capo di famiglia, signor Richter.

Richter                          - Lo so, figliolo. La vita è molto difficile, e anche le Banche, oggi...

Levisky                         - E che farò? Posso ricominciare da capo?

Richter                          - Non bisogna disperarsi mai, quando si è giovani.

Levisky                         - A che mi serve la gioventù?

Richter                          - Lei è svelto. Troverà un altro posto.

Levisky                         - Nessuna Banca, oggi, assume nuovi impiegati.

Richter                          - Esistono forse soltanto le Ban­che?...

Levisky                         - Ma a me piace questa carriera. La notte lavoro intorno a un libro di Economia, e sento che ho talento per questa materia.

Richter                          - (scuotendo la testa) Talento? Ma non ne occorre, qui. Occorrono relazioni... Non scrivere libri: fare affari.

Levisky                         - Il mio è un lavoro serio: la ra­zionalizzazione dell'industria.

Richter                          - Sciocchezze! Razionalizzi la sua vita. Faccia un buon matrimonio, porti qui suo suocero come cliente, e non la licenzieranno.

Levisky                         - Anche per lavorare bisogna essere ricchi?

Richter                          - Si capisce!

Levisky                         - E l'ingegno?

Richter                          - L'ingegno è il lusso del povero.

Levisky                         - (accennando a destra) Comunque, tenterò: devo guadagnarmi la vita. Infine, an­che lui è un uomo e mi ascolterà. Non ho altra via. (Si avvia verso la porta a destra).

Walter                           - (esce da destra e si trova faccia a faccia con Levisky) Che fa qui, lei?

Levisky                         - (rimane un attimo interdetto, poi) Vorrei parlare col signor Presidente.

Walter                           - (stupito) Con chi?

Levisky                         - Col Presidente. (Sembra contento di aver pronunciato questa parola).

Walter                           - E per quale motivo?

Levisky                         - Scusi, ma questo posso dirlo sol­tanto a lui.

Walter                           - Ignora forse che bisogna seguire la via gerarchica? Mi esponga per iscritto il suo desiderio e attenda la risposta. (Con. finta bo­narietà) Torni al suo ufficio adesso... Non bi­sogna abbandonare il lavoro.

Levisky                         - (raccoglie tutto il coraggio) Scusi, signor direttore, ma io non esco di qui.

Walter                           - (ridiventa autoritario) Come, co­me? Si rende conto di quello che dice? (Rich­ter esce alla chetichella da sinistra).

Levisky                         - Perfettamente.

Walter                           - Inaudito! (Avanza verso sinistra).

Levisky                         - (corre verso Horvath che entra da destra) La scongiuro, segretario, mi aiuti. Lei è un uomo di cuore: lo sappiamo tutti. Mi vogliono licenziare.

Horvath                         - Caro Levisky, come posso aiu­tarla?

Levisky                         - Mi faccia parlare col Presidente.

Horvath                         - Impossibile! Lo sa che non si può?! (Si avvicina alla scrivania).

Levisky                         - (lo segue) Ma «devo», dottore! Ho una mamma vedova, una sorellina, e ci mettono sul lastrico. Che sarà di noi?

Horvath                         - (con molta dolcezza) Il Presi­dente non può occuparsi del personale.

Levisky                         - Si tratta della vita di tre per­sone... (Si avvia verso la porta di destra, ma Horvath si interpone. I due uomini si fissano un momento. Levisky appare deciso).

Horvath                         - Vuole entrare per forza?

Levisky                         - Sono deciso a tutto!

Horvath                         - (scostandosi, indica la porta) Ecco... (Levisky fa qualche passo e afferra la maniglia) ...ma io mi gioco il posto.

Levisky                         - (abbandona la maniglia, china il capo e si avvia a sinistra) Mi scusi. (Esce).

Horvath                         - (lo segue con lo sguardo, scrolla la testa; in tono compassionevole) Povero ra­gazzo!

Walter                           - (arrabbiato, fa alcuni passi dietro Levisky stringendo i pugni) Incredibile!

Presidente                     - (esce da destra sorridendo; calza i guanti) Caro dottore, ora vado...

Horvath                         - Benissimo, Eccellenza.

Presidente                     - C'è altro?

Horvath                         - Nulla, per oggi.

Walter                           - Perdoni, Eccellenza. Alle undici e mezzo, una rappresentanza degli impiegati vor­rebbe...

Presidente                     - Una rappresentanza? E perché?

Walter                           - In occasione dell'altissima onori­ficenza...

Presidente                     - No, no. A me non piacciono queste cose. (A Horvath) Piuttosto, versi alla Cassa pensioni degli impiegati ventimila pengo. Li addebiterà al mio conto privato.

Horvath                         - Grazie, Eccellenza. Sarà fatto subito.

QUADRO SECONDO

Il vestibolo della villa del Presidente. In fondo, una porta a vetri che è la comune. A destra e a sinistra, porte che mettono nell'ap­partamento. Mobili di puro stile inglese; arre­damento molto signorile ed elegante. Lo stesso giorno del primo quadro, tra le cinque e le sei pomeridiane. Quando si alza il sipario, la sce­na è vuota.

Michele                         - Si accomodi, professore.

Hornig                           - (tra i 5O e i 6O anni, molto ben con­servato, elegante, entra. È da molti anni il me­dico e l'amico di casa. Siede su una poltrona).

Wilma                           - (entra dopo pochi momenti. È la so­rella del Presidente. Una zitellona che governa da anni la casa del fratello vedovo. Viene da destra) Buongiorno, professore.

Hornig                           - Buongiorno, piccina. Come va?

Wilma                           - Lei scherza sempre.

Hornig                           - Per me le donne rimangono sem­pre bambine finché non si sposano. Anche se hanno centoventi anni.

Wilma                           - (ridendo) Poco ci manca...

Hornig                           - Oh, oh! Non è facile imbrogliare il medico. Lei non ha raggiunto ancora i cento anni. (Breve pausa. Si guarda intorno) E Cor­rado? Scommetto che è in biblioteca a schiac­ciare un sonnellino in compagnia di Goethe.

Wilma                           - Lei non rispetta nessuna autorità. In biblioteca c'è il segretario Horvath.

Hornig                           - Anche lui viene qui a dormire?

 Wilma                          - Oh, no! Risponde alle congratu­lazioni. Ne sono giunte a cataste.

Hornig                           - Lo credo. In città non si parla d'altro.

Presidente                     - (da sinistra) Buongiorno, mio caro Gida.

Hornig                           - (gli va incontro a braccia aperte) Caro Corrado! (Lo abbraccia) Anch'io mi ral­legro tanto. Quale altro reato hai commesso per meritare un tal premio?

Wilma                           - (al Presidente) Finora se l'è presa con me, ora tocca a te.

Presidente                     - (sorride) Gida è un vecchio farabutto incorreggibile. Non so se sia peggiore come amico o come medico. (Vengono avanti).

Hornig                           - Credo d'essere preferibile come ospite. Mangio e bevo senza aspettare che mi venga offerto... (A Wilma) A proposito, il co­gnac? E i sigari?

Wilma                           - (avviandosi a destra) Li faccio por­tare subito. (Via).

Presidente                     - (siede) Che c'è di nuovo?

Hornig                           - Lo chiedi a me? E allora perché saresti diventato Eccellenza? Raccontami inve­ce a che si deve questa sciagura nazionale.

Presidente                     - Mah... al mio lavoro. La mia Banca, e le altre mie imprese, danno pane a circa diecimila persone.

Hornig                           - È vero. E oggi questa è una gran bella cosa... Si deve riconoscere che hai la testa solida... (Breve pausa). Sei un uomo abilissimo e hai saputo acciuffare la fortuna.

Presidente                     - Di. quale fortuna parli?

Hornig                           - (accende un sigaro) Di quella che ti ha accompagnato in tutta la vita.

Presidente                     - La mia fortuna è stata di po­ter lavorare, per quarant'anni, senza un giorno di riposo. Tutti i miei impiegati, anche i più modesti, hanno avuto certo un'esistenza meno agitata della mia. Spesso li invidio più di quan­to essi non invidino me.

Hornig                           - (scherzoso) Se il Signore ti ha fatto milionario, devi sopportare con rassegnazione la tua sorte. Tu hai tutto quello che un uomo può desiderare e questo si chiama fortuna.

Presidente                     - E, secondo te, lo debbo sol­tanto alla fortuna?

Hornig                           - (scherzoso) Oh, no! Anche il caso ha avuto la sua parte.

Presidente                     - Lo dici proprio tu che conosci tutta la mia vita? Allora io non devo niente a me stesso? Non avevo meriti, non avevo in­gegno...

Hornig                           - Li avevi, ma sono stati inutili fino a quando il caso non ti ha dato il modo di dimostrarli.

Presidente                     - (si alza e viene avanti) Il caso non esiste. Lo hanno inventato gli uomini man­cati. Inutile sorridere; non esiste. Non c'è che l'ingegno che sappia aprirsi la sua strada/.

Hornig                           - Nego. L'ingegno, al massimo, faci­lita la strada, ma non riesce a spalancare le porte. (Si alza. Breve pausa). Siamo sinceri: noi possiamo concederci questo lusso... Fino a trentotto anni, tu avevi gli stessi meriti e lo stesso ingegno... Che cosa eri a trentotto an­ni?... Capo-ufficio. Oggi, al massimo, saresti procuratore, e in pensione, se...

Presidente                     - Se...?

Hornig                           - (trionfante) ...se non esistesse il caso. (Il Presidente scuote le spalle). Me l'hai raccontato tu, che un marito tradito stava per sparare contro il tuo direttore. Per caso, sei en­trato tu nella stanza e lo hai disarmato.

Presidente                     - Non ho fatto che il mio dove­re. Ho evitato una tragedia...

Hornig                           - (interrompendo) ...e hai spalan­cato quella tale porta. Perché vuoi negare che esista la fortuna? È la più bella speranza, e voi uomini arrivati, dovreste francamente ed one­stamente dire agli altri che non ci si deve sco­raggiare, perché a tutti, uno per volta, essa stende la mano. Ma dov'è l'uomo che osa con­fessarlo? Quando sono giunti alla vetta, tutti sono geni.

Presidente                     - Gida, perché vuoi distrugger­mi anche l'illusione che io devo al mio ingegno quello che sono? Che mi rimane, allora?

Hornig                           - Ah! Tu lavori solo per l'illusione? E il denaro non conta nulla?

Presidente                     - Che ne godo, io, del denaro? L'unico mio divertimento si limita alle due ore che passo con voi, giocando a carte. (Sorride) E voi mi vincete quel denaro che guadagno. Che altro ho dalla vita?

Hornig                           - Ah! ah!... E Marianna?

Presidente                     - Anche il mio portiere ha la gioia di esser padre. Ma questo non ha nulla a che fare con la mia posizione sociale.

Hornig                           - È vero; ma è sempre una gioia vivissima.

Presidente                     - (sorride) Vivacissima, vuoi dire. Viene, va, corre. Tutta la sua vita si svolge con un ritmo di centoventi all'ora. Se qualche volta mi dà un bacio, non faccio a tempo a ri­cambiarglielo, perché è già scomparsa lasciando soltanto un po' d'odore di benzina.

Hornig                           - I giovani d'oggi, sono così. Tutta la loro vita non è che una gran corsa.

Presidente                     - (un po' addolorato) È vero. (Breve pausa). Marianna forse non si innamo­rerà mai. Come potrebbe trovare marito? Come potrebbe resistere alla vita matrimoniale? Non so immaginarla moglie e, meno ancora, madre. Corre sempre: chi le darà la pazienza di aspet­tare nove mesi? Come metterà al mondo un fi­glio? Questo non si può fare al volante...

Hornig                           - (dopo breve pausa) A proposito: dove è andato a finire quel tuo vecchio e logoro contabile? Non viene oggi per la. partita?

Presidente                     - (sicuro) Non sono ancora le sei.

Hornig                           - (guarda il suo orologio) Sono già passate.

Presidente                     - Il tuo orologio va avanti: Richter è un cronometro.

Richter                          - (dal fondo) Buonasera, signori.

Presidente                     - (a Hornig) Ecco: ora sono le sei. Regola l'orologio. Caro Richter...

Hornig                           - (o Richter) Senti, vecchio crono­metro: se tu non fossi sempre così puntuale, a quest'ora avremmo già giocato due partite, avre­sti fumato due sigari e ne avresti rubati altri quattro. Perciò nella vita non farai mai nulla.

                                      - (Escono tutti a sinistra. Wilma entra da de­stra e mette un po' in ordine).

Marianna                       - (dopo un momento fa cautamente capolino dalla comune. Ha in mano un cap­pello da uomo, infangato) Zia Wilma!

Wilma                           - (allarmata) Santo Dio! Che cosa è accaduto?

Marianna                       - Non mi chieder nulla. Il babbo?

Wilma                           - (indicando la seconda porta a sinistra) Gioca alle carte. Ma che cosa è accaduto?

Marianna                       - Non ti agitare. Vieni ad aiu­tarmi. (Escono dal fondo. Dopo un istante riap­pariscono sorreggendo Levisky che ha un brac­cio intorno al collo di Marianna. Il vestito di Levisky è infangato e lacero in più punti. I ca­pelli sono arruffati. Quasi non si regge in piedi. Lo fanno sedere su una poltrona verso il pro­scenio. Il dialogo si svolge sottovoce). Come mi batte il cuore! (Si versa un bicchierino di co­gnac e beve).

Wilma                           - Danne un po' anche a lui.

Marianna                       - Giusto! (Apre la bocca di Le­visky stringendogli il naso e gli versa il cognac in bocca).

Levisky                         - (quasi soffocando) Grazie.

Marianna                       - Sta meglio?

Levisky                         - Sì.

Marianna                       - Sia lodato Iddio! S'è fatto male in qualche posto?

Levisky                         - Qui un po'. (Si tocca un braccio).

Marianna                       - Vedere! (Gli stira il braccio).

Levisky                         - (con un grido) Ahi!

Marianna                       - (gli dà un colpo sulla testa) Zitto!

Wilma                           - (avviandosi) Vado a chiamare il dottor Hornig.

Marianna                       - Non occorre! (A Levisky) Non è vero che non c'è bisogno di dottore?

Levisky                         - No, no, grazie... Non è nulla... Solo... (Mostra il vestito infangato e lacero).

Marianna                       - Mando subito qualcuno a casa sua a prenderle un altro vestito. Dove abita?

Levisky                         - Grazie, ma... non ho che questo. Anzi, per essere più precisi, avevo solo questo...

Wilma                           - Non si preoccupi. Sarà risarcito di tutto.

Marianna                       - (nervosa) Naturale! Ma ora bi­sogna farlo mettere in ordine in qualche modo. (Accenna verso destra. Wilma suona il campa­nello. Marianna, a Michele che comparisce) Mi­chele, conducete il signore nel mio gabinetto da bagno. (Vuole aiutare Levisky ad alzarsi) Si può alzare? Michele, aiutatelo.

Levisky                         - Grazie. Posso fare da me. (Aiu­tato da Michele si avvia).

Marianna                       - Faccia con tutti i suoi comodi... Frattanto cercheremo un altro vestito. (Fa cen­no a Michele di tacere. Levisky esce appoggiato a Michele. Marianna tira un gran sospiro come se si fosse liberata da un incubo) Sia ringraziato Iddio che è vivo. Ho avuto una paura...

Wilma                           - Ah, quella macchina!

Marianna                       - Non ti disperare: non ha in­vestito te.

Wilma                           - Ma com'è accaduto? Dimmi!

Marianna                       - Non è il momento. Ora occorre il vestito. Subito.

Wilma                           - Che vestito?

Marianna                       - (stizzita) Non un abito da ballo, certo. Un vestito da uomo. Se ne può prendere uno del babbo.

Wilma                           - Per quell'uomo?

Marianna                       - Perché tanta meraviglia? Non può mettersene uno tuo...

Wilma                           - E quello del babbo, sì?

Marianna                       - E perché no? Anche il babbo porta dei vestiti da uomo.

Wilma                           - Ma con una giacca, si fa un sopra­bito per lui... (Indica dove Levisky è uscito).

Marianna                       - (impaziente) Gli serve soltanto per arrivare a casa.

Wilma                           - Non siamo in carnevale!

Marianna                       - (va su e giù tenendosi la testa fra le mani) Come fare? Quell'uomo deve spa­rire subito. Guai se il babbo viene a sapere. E in tutta la casa non esiste un vestito per lui?

Wilma                           - Non siamo organizzati per dare abiti in prestito.

Marianna                       - (improvvisamente, come ispirata) Michele...

Wilma                           - Vuoi fargli indossare una livrea?

Marianna                       - Perché, non ha altri vestiti?

Wilma                           - È vecchio: non esce mai!

Marianna                       - (a voce altissima) Ma che spe­cie di casa è questa?! (Pausa. Riflette). Di' un po': il babbo, prima non era più magro?

Wilma                           - (colta da un'idea) Aspetta... ci deve essere... sì... c'è un vecchio tait.

Marianna                       - Un tait? Va benissimo!

Wilma                           - Ma non si può... Tuo padre l'ha pagato col suo primo stipendio e ci tiene molto.

Marianna                       - Solo per farlo arrivare a casa.

Wilma                           - Non hai sentito che quel poveretto non ha altri vestiti? Non lo rivedremmo più.

Marianna                       - Non ti preoccupare. Domani penso io a tutto. (Michele esce da destra e sta per attraversare la scena). Presto! Questo tait!

Wilma                           - (rassegnata) Michele, su in guarda­roba, c'è quel vecchio tait... Portateglielo.

Michele                         - Subito, signora.

Marianna                       - (gli porge il cappello infangato di Levisky) È pulite bene questo.

Michele                         - (guarda il cappello) Qui la spaz­zola non può più far nulla.

Marianna                       - Allora dategliene un altro.  - (Mi­chele si volge verso Wilma come per chiedere: « Uno qualunque? ...»).

Wilma                           - Ci deve essere anche una tuba. Dategliela.

Michele                         - Sì, signora. (Esce dal fondo).

Marianna                       - (completamente rasserenata accen­de una sigaretta, beve un altro bicchierino di cognac e canticchia).

Wilma                           - Non ti abbandonare agli stravizi. Dimmi come è accaduta la disgrazia.

Marianna                       - (siede alla turca su una poltrona)Zia Wilma, tu soffri di allucinazioni. Di quale disgrazia parli?

Wilma                           - Hai visto che la vittima cammina e subito ti dai delle arie. Però se tuo padre lo viene a sapere...

Marianna                       - Se tu non fai la spia...

Wilma                           - Io?... Sei ingiusta ed ingrata. E mi manchi di rispetto perché sono troppo buo­na con te e copro tutte le tue marachelle. Ma ora basta. Non voglio saper più nulla delle tue porcherie. Me ne vado. Non ho visto nulla! Non so nulla! (Irritata fa l'atto di avviarsi. Ma quando passa vicino alla poltrona di Marianna, questa l’abbraccia ai fianchi trattenendola).

Marianna                       - Zia, tu non credi alla mia in­nocenza?

Wilma                           - Come si può credere all'innocenza delle ragazze d'oggi?

Marianna                       - Parola d'onore! (Salta in piedi sulla poltrona) Svolto il viale per venire a casa. Dinanzi al cancello è fermo quel giovanotto che guarda nel giardino con aria imbambolata. Suono. Quello scemo fa un salto e viene a cacciarsi proprio sotto le ruote. È mia, la colpa?

Wilma                           - Figuriamoci! Tu non hai mai nes­suna colpa. Tu sei seduta tranquillamente nella tua macchina e la gente vi ci corre sotto.

Marianna                       - (insolente) Una volta tanto sei intelligente! Quando il giovanotto sarà pronto avvertitemi; e se il suo abito è troppo solenne accendete tutte le luci del lampadario. (Cantic­chiando si accinge ad aprire la porta).

Wilma                           - Hai anche voglia di scherzare? In questa casa saremo tranquilli soltanto quando avrai investito il Capo della Polizia. (Via).

Michele                         - (pochi momenti dopo che Marianna è uscita dalla seconda porta a destra, rientra dalla prima a destra e si volta indietro dicendo) Si accomodi.

 

 Leviski                         - (entra. Indossa un tait di vecchio taglio, con un panciotto grigio molto aperto, calzoni a righe, molto stretti, un colletto molto alto ed una cravatta piccolissima. Sembra un figurino di una rivista di mode del 189O. Si muo­ve a disagio. Si guarda intorno, vede uno spec­chio, si avvicina, si specchia, si mette in ordine l'abito e la cravatta).

Marianna                       - (entra da destra e lo squadra) Benissimo! Fa una magnifica figura! (Breve pausa) Mi dica subito quanto vuole.

Levisky                         - Mi ascolti, la prego.

Marianna                       - (nervosa) Vorrei che questa pic­cola disgrazia rimanesse segreta tra noi due. Sbrighiamola da uomini. Va bene?

Levisky                         - Vorrei spiegarle... Io stavo da­vanti alla villa...

Marianna                       - Lo so, sono io la colpevole. Lo riconosco. Ora mi dica quanto vuole.

Levisky                         - Scusi, che cosa immagina? Io non

voglio...

Marianna                       - (c. s.) Lo so. Lei non vuole abu­sare della situazione.

Levisky                         - Naturalmente. E spero che lei non lo abbia neppure pensato.

Marianna                       - Non voleva offenderla. Ma dopo tutto lei è un povero diavolo. Questa non è una offesa, non è vero?

Levisky                         - Mi permetta di spiegarle...

Marianna                       - È superfluo. Le ripeto che mi addosso tutta la responsabilità. Quindi mi dica francamente quanto vuole.

Levisky                         - Lei mi fraintende.

Marianna                       - Non tergiversiamo. Le ho pro­curato dei danni e ho il dovere di risarcirla.

Levisky                         - Vorrei che il signor Presidente...

Marianna                       - È proprio quello che voglio evi­tare. Cinquecento pengo, va bene?

Levisky                         - No. Voglio parlare col Presidente.

Marianna                       - Perché non vuole sbrigare la faccenda con me? Mille pengo?

Levisky                         - Io voglio parlare...

Marianna                       - Insomma, quanto vuole? Due­mila? Glieli darò, a condizione che mio padre non sappia nulla. Mi toglierebbe la macchina. Si tratta della mia vita...

Levisky                         - - Ma si tratta della mia esistenza!

Marianna                       - (recisa) Va bene! Allora tre­mila! Ma ora, la prego, se ne vada via subito, perché se il babbo la vede, si scopre tutto. È capace di farle togliere quel vestito... e allora non potrebbe più muoversi.

Levisky                         - Ha ragione.

Marianna                       - Oh, bravo! Domani provvedo a tutto, ma la scongiuro, però, di non parlare con nessuno. Me lo promette?

Levisky                         - Se è per farle piacere...

Marianna                       - Grazie. Allora mi dica dove devo mandare il denaro.

Levisky                         - In nessun posto. Io da lei non voglio nulla.

Marianna                       - Come?! Non vuole denaro?!

Levisky                         - No.

Marianna                       - (esultante) Veramente? Sul se­rio? E che cosa vuole?

Levisky                         - Nulla.

Marianna                       - Allora lei è un gentlemanl

Levisky                         - Oh, Dio...

Marianna                       - (si presenta) Scusi. Io sono Ma­rianna Turner.

Levisky                         - (si inchina) Tiberio Levisky.

Marianna                       - (birichina, gli porge la mano) Tanto piacere.

Levisky                         - Il piacere è tutto mio.

Marianna                       - (con un senso di gioia esuberante) Tiberio! Lei è proprio un carissimo ami­co... Lei mi dà una gioia enorme... (Gli butta le braccia al collo e lo bacia).

Presidente                     - (entra da sinistra. Vede i due ab­bracciati e si ferma un momento sulla soglia. Tossisce per avvertire della sua presenza. Poi, tranquillamente) Marianna!

Marianna                       - (impaurita, si stacca di colpo da Levisky. Pausa imbarazzante. Si volge verso si­nistra e sorride al padre) Il babbo!

Presidente                     - Disturbo?

Marianna                       - (cerca di nascondere il suo imba­razzo) Ma no, ti pare? Babbo, permetti che ti presenti... il mio migliore amico... Tiberio...

Presidente                     - Lietissimo. (Gli porge la ma­no, ma Marianna, dinanzi a Levisky, impedi­sce a questi di ricambiare la stretta).

Levisky                         - (fa un profondo inchino, sempre na­scosto da Marianna) Levisky...

Presidente                     - Levisky?... Della Transilvania?

Marianna                       - Si capisce, della Transilvania... (Durante la scena Levisky vorrebbe interloqui­re, ma Marianna glielo impedisce).

Presidente                     - Il figlio di Raffaele?

Marianna                       - Appunto.

Presidente                     - Guarda che caso! (Lo guarda con interesse. Poi, in tono paterno) Io ero molto amico del tuo povero padre, un uomo straordinario! Aveva un'anima candida e una profonda cultura. In tutta la Transilvania non c'era un altro magistrato buono come lui. Sono proprio contento di averti conosciuto.

Levisky                         - (molto imbarazzato) Eccellenza, io... veramente...

Presidente                     - Lascia andare. Tu sei il ben­venuto in casa mia. (Lo abbraccia. Marianna, che è passata dietro le spalle del padre, inco­raggia Levisky con qualche cenno).

Levisky                         - Grazie, grazie.

Presidente                     - Così va bene. E ora dimmi, cara: da quanto tempo siete amici?

Marianna                       - Oh! È un pezzo che Tibi è il mio partner.

Presidente                     - (a Levisky) Automobile?

Levisky                         - (si tocca i fianchi, scrolla la testa. In tono ambiguo) Eh...

Presidente                     - A te non piace molto?

Levisky                         - Non troppo.

Presidente                     - Bravissimo! Tu sei il mio uomo! Vedi, Marianna, esistono ancora giovani di buon senso.

Marianna                       - Anche lui. ha un'anima candida come suo padre.

Presidente                     - Hai ragione tu, caro figliuolo. Questo correre sempre, senza scopo, è un...

Levisky                         - Una grande sciocchezza. (A Ma­rianna) Oh, scusi.

Presidente                     - Niente, niente: è la giusta espressione. Hai perfettamente ragione. Vedo già che noi saremo buonissimi amici. E mi pia­cerebbe se lo facessi comprendere anche a Ma­rianna. A te forse darà retta.

Hornìg                           - (entra da sinistra discutendo ancora) Non è modo di giocare. Avresti dovuto get­tare il nove di fiori.

Richter                          - Il nove? Avevo solo quello.

Hornìg                           - Chi non risica non rosica. Sei uno schiappino.

Presidente                     - Smettetela di litigare. Vi pre­sento il figlio di un mio vecchio amico, il com­pagno prediletto di Marianna: Tiberio Levisky. (Presentando) Il professore Hornìg, Consigliere capo dell' Ufficio d'Igiene, medico di casa e gran villano.

Hornìg                           - Tanto piacere.

Levisky                         - Lietissimo.

Presidente                     - Il mio amico Richter, uno dei Capi-ufficio della nostra Banca.

Richter                          - (per un momento interdetto) Lieto...

Levisky                         - (imbarazzato) Le pare...

Presidente                     - Accomodatevi. (A Levisky che si tiene da parte). Siedi, caro Tibi.

Marianna                       - (non lo lascia sedere) Pur­troppo lui deve andar via subito. Non è vero?

Levisky                         - Sì, sì, infatti... È l'ora.

Presidente                     - Dove devi andare?

Marianna                       - Ha un affare urgente. È aspet­tato.

Levisky                         - Sì, sì, mi aspettano... mi aspet­tano ansiosamente.

Presidente                     - Telefona.

Levisky                         - Sì, Eccellenza. (Fa per avviarsi).

Marianna                       - Ma non si può.

Levisky                         - Giustissimo, non si può.

Marianna                       - (a Levisky) Oggi c'è la seduta di Consiglio, ricordati.

Hornìg                           - Di che Circolo è socio?

Marianna                       - (subito) Del Circolo della cac­cia. Fa parte del Consiglio e ogni giovedì c'è una seduta.

Presidente                     - Ma oggi è martedì.

Marianna                       - Fa lo stesso. Perché non va?

Presidente                     - Mi pare che lo cacci via.

filili "

 Hornìg                          - Non è lei che lo caccia; siamo noi!  che lo facciamo fuggire. Non vedi che li distur­biamo? I giovani amano star soli...

Presidente                     - Non è necessario che se ne vada. Andate a fare un po' di musica.

Marianna                       - (alzandosi stizzita) Vieni.

Levisky                         - Ma io...

Marianna                       - Andiamo a suonare il piano­forte. (Lo prende per la mano trascinandolo).

Presidente                     - (li segue con lo sguardo) Noi non conosciamo i nostri figli.

Richter                          - Io non ci capisco niente.

Presidente                     - Non avrei mai creduto che un ragazzo così semplice potesse interessare Ma­rianna... È simpatico e serio quel giovanotto.

Hornìg                           - A me pare un po' balordo.

Presidente                     - Sembra così perché è riser­vato. Sono quelli i veri ingegni. Di quella pa­sta si fanno i grandi uomini. È vero Richter?

Richter                          - (ancora stupito) Tu te ne in­ tendi, i'. Se lo dici tu, sarà così.

Presidente                     - Quel ragazzo viene da una antica famiglia patrizia. E stato educato con semplicità. Forse è un po' impacciato, ma ha un animo retto. La sua presenza mi riporta ai begli anni della gioventù e della lotta. (A Richter) Ti ricordi ancora del nostro primo tait?

Richter                          - (con un sospiro)'      - Altro che! Lo pagammo a rate mensili di dieci corone.

Presidente                     - (continua nei suoi pensieri) Io l'ho ancora, quel tait, e nella tasca del pan­ciotto c'è un marengo.

Hornìg                           - Un marengo?

Richter                          - Allora, nella nostra Banca, quan­do un impiegato entrava in pianta stabile, rice­veva in dono un marengo dal Presidente.

Presidente                     - (a Richter) L'hai serbato an­che tu per ricordo?

Richter                          - Soltanto fino alla sera. Poi sono andato al varietà e per la prima volta ho be­vuto lo champagne.

Wilma                           - (dal fondò) Come mai avete smes­so di giocare così presto?

Presidente                     - Senti un po': anche tu comin­ci ad avere dei segreti per me? Non mi hai detto una sola parola di tutta questa faccenda.

Wilma                           - Di che parli?

Presidente                     - Non fingermi. Non sai che Marianna e quel giovane...

Wilma                           - Ah! Se lo sai...

Presidente                     - Ma come è accaduto?

Wilma                           - Tu conosci il ritmo di Marianna. Fa tutto a centoventi all'ora. Ma grazie al cielo non vi sono conseguenze gravi.

Presidente                     - Che intendi dire?

Hornìg                           - (ironico) Fortuna che era un'ani­ma candida!

Presidente                     - (a Wilma, severo) È così che custodisci Marianna?

Wilma                           - Non posso sempre correrle dietro. L'importante è che non è accaduto nulla.

Presidente                     - Sicché avrebbe potuto acca­dere qualche cosa...

Wilma                           - Certo. C'è mancato un capello.

Presidente                     - Bella faccenda! E da quando esiste questa loro amicizia?

Wilma                           - (stupita) La chiami amicizia tu?

Presidente                     - E come dovrei chiamarla? Apro la porta e li trovo abbracciati!

Wilma                           - (molto più stupita) Abbracciati? Hai visto bene?!

Presidente                     - Benissimo. E si baciavano.

Wilma                           - (e. s.) Ma si può sapere che dici?

Presidente                     - (agli altri) Ora fa anche la commedia.

Richter                          - Io non ci capisco nulla!

Hornig                           - Perché? È un caso abbastanza fre­quente che un giovanotto e una ragazza si bacino.

Presidente                     - E io non avrei nulla da ridire, se non fossi venuto a saperlo solo per caso.

Wilma                           - Non avrei mai supposto...

Presidente                     - Nulla di grave! Quel ragazzo mi piace. Ora che ci penso... Forse voleva par­larmi.

Wilma                           - (spaventata) Che intendi dire?

Presidente                     - Ho visto che è in taitl

Hornig                           - Già. E il tait non è un vestito allegro. Hai notato come erano imbarazzati?

Presidente                     - Vado a vedere che cosa fanno. Anche a noi, a quell'età, piaceva essere inco­raggiati. (Apre la porta a destra. Si sente un suono di pianoforte che poi cessa quando la porta si chiude. Si volta) Scusate.

Wilma                           - (avviandosi al fondo) Quante com­plicazioni può creare l'automobile. (Via).

Richter                          - Chi avrebbe creduto una cosa simile.

Hornig                           - Sei agitato come se i baci li avessi dati tu.

Richter                          - Mi par di sognare: quel Levisky...

Hornig                           - Be'?!

Richter                          - È un impiegato insignificante del mio reparto. E mi procura molte noie perché di contabilità se ne intende pochissimo.

Hornig                           - Si intende più di donne, forse.

Richter                          - E perché lo vogliono licenziare?

Hornig                           - Chi lo vuole licenziare?

Richter                          - Walter.

Hornig                           - Deve essere una gran bestia.

Richter                          - Figurati se non lo conosco... Anche lui ha cominciato nel mio reparto. Pren­de un granchio; ma non gli dirò nulla. Però se conosce tanto Marianna, perché era così dispe­rato, stamane?

Presidente                     - (torna. Apre la porta e si sente cantare).

Richter                          - (stupito) Non sapevo che tua figlia cantasse così bene!

 

Presidente                     - È un disco della Galli-Curci. Se li vedeste come sono carini, uno accanto all'altro. Non riconosco più Marianna. Era imba-razzatissima quando sono entrato.

Richter                          - Quasi quasi telefonerei a Wal­ter. Mi permetti di telefonare?

Presidente                     - Va pure.

Richter                          - (avviandosi) Questo Levisky!

Hornig                           - Richter non è molto entusiasta di quel giovanotto!

Presidente                     - Francesco non è mai stato psi­cologo.

Hornig                           - Un po' dovrebbe conoscerlo: la­vora nel suo ufficio.

Presidente                     - (stupito) Chi te l'ha detto?

Hornig                           - Lui. Ma tu non sai che è nella tua banca?

Presidente                     - No. (Dopo aver meditato un po') Vedi, eh? L'amico prediletto di Marianna, figlio di un mio vecchio amico, non è mai ve­nuto da me a raccomandarsi. So soltanto per caso, da te, che è un mio impiegato. Così sono i discendenti delle vecchie famiglie patrizie: contano solo sulle loro forze. Bravo ragazzo!

Richter                          - (a parte) Non era in casa. Peg­gio per lui.

Presidente                     - (a Richter) Sento che Levisky è nel tuo reparto.

Richter                          - Sì. È addetto al conto spese.

Presidente                     - Sei soddisfatto di lui?

Richter                          - È un ragazzo pieno di talento! La perla del mio reparto!

Presidente                     - (a Hornig) Hai sentito?

Hornig                           - (batte la mano sulla spalla di Richter. Ironico) Bravo, Richter, diventi psicologo.

                                      - (Marianna entra da destra con Levisky).

Presidente                     - Avete finito di suonare?

Marianna                       - Sì, babbo. Tibi ora deve pro­prio andar via.

Hornig e Richter           - (insieme) Anche noi.

Presidente                     - Non vuoi cenare con noi?

Marianna                       - No, no. Non è nemmeno il caso di parlarne. Se non va via subito, possono na­scere gravi complicazioni. Un grosso scandalo. (A Michele) I cappelli dei signori.

Levisky                         - Anch'io sono di questo parere.

Presidente                     - Allora non ti trattengo. Però promettimi che verrai spesso... Specialmente quando anche io sono in casa.

Levisky                         - Ne sarò felicissimo.

Presidente                     - (con bonarietà paterna) Però un'altra volta, eh? non vi saluterete più qui, nella hall... Siamo intesi, ragazzi?

Michele                         - (rientra portando i cappelli e i ba­stoni di Richter e di Hornig. Levisky nota che i due danno una mancia a Michele).

Marianna                       - (decisa) Non accadrà mai più, te lo prometto, babbo.

Levisky                         - (confuso) Chiedo scusa... Ma io, veramente...

Presidente                     - Va bene, va bene... Sono stato giovane anch'io...

Richter                          - (mentre stringe la mano al Presi­dente) Volevo parlarti per quella faccenda di Csaba... se tu avessi la bontà...

Presidente                     - Ma non in questo momento, Francesco. Scrivimi due righe...

Richter                          - Come vuoi, come vuoi.

                                      - (Richter, Hornig e il Presidente escono dal fondo, accompagnati da Marianna e da Wilma che si fermano sulla soglia per salutare gli ospiti. Michele porta la tuba a Levisky, che fru­ga imbarazzato nella tasca del panciotto, trova una moneta e, senza guardarla, la consegna al cameriere).

Michele                         - (tasta la moneta, la guarda di sot­tecchi e ha un gesto di sorpresa) Signore! Ma questo è un marengo!

Levisky                         - (con noncuranza) Tenete pure! (Si avvia al fondo, si inchina a Marianna e a Wilma, mette in testa la tuba che gli casca qua­si sulle orecchie ed esce, inciampando).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

L'ufficio di Richter, nella Banca: a destra, la comune; a sinistra, porta che mette negli altri uffici. In fondo, un'ampia finestra. Sulla scrivania, una macchinetta per temperare le matite. Una bottiglia dì latte, un bicchiere e un panino. La mattina seguente, alle nove.

 (Quando il sipario si alza, Richter è seduto alla scrivania e lavora).

Bianca                           - Buongiorno, signor Richter.

Richter                          - Buongiorno, signorina Bianca.

Bianca                           - Sa che sono in collera con lei? Devo essere informata dalla signora Bokor...

Richter                          - Di che?

Bianca                           - Di Levisky, naturalmente.

Richter                          - E la signora Bokor, come lo sa?

Bianca                           - Lo sa tutta la Banca! Dica, dica: è vero che Levisky e Marianna, già da un an­no... (Gli mormora qualche cosa).

Richter                          - (alza le mani al cielo) Dio mio! Non si vergogna di ripetere queste porcherie?

Bianca                           - Hilda mi ha telefonato che lei glielo ha raccontato.

Richter                          - Io? Ha detto che io ho parlato? C'è da impazzire!

Bianca                           - E non è neanche vero che...

Richter                          - (indicando la porta) March!

Bianca                           - Allora è vero! (Si avvia a sinistra senza fretta) Non volevo sapere altro. (Esce).

Richter                          - (le grida dietro) Dirò tutto a sua madre! (Alza U ricevitore del telefono interno) Ho bisogno della signorina Szekeli. Subito. (Riaggancia e continua a lavorare).

Szekeli                          - Eccomi, signor Richter.

Richter                          - (continuando a lavorare) 26 mi­lioni 275... La prego di chiudere il conto spese del mese scorso.

Szekeli                          - Spetta a Levisky. È lavoro suo.

Richter                          - (stizzito) Ho detto a lei di chiu­derlo. Quindi non si occupi dì altro.

Szekeli                          - (remissiva) Come vuole. (Si avvia, poi si ferma sulla soglia).

Richter                          - Che aspetta?

Szekeli                          - (insinuante) Volevo mostrarle qualche cosa... (Prende di tasca una busta gual­cita e allunga il braccio verso Richter) L'ha trovata Kucera... nel cestino di Levisky.

Richter                          - (senza guardare la busta) È ora di finirla, con questo Levisky!

Szekeli                          - Eh!  Ora si spiega come si possono dare certe mance... si sa di dove vengono i ma­renghi. (Batte la busta sull'altra mano) Ven­gono da qui... dall"America.

Richter                          - (prende la busta) Faccia vedere.

 Szekeli                         - (mostrando col dito) Vede? «Mi­ster Tibor Levisky - Budapest». Mittente: «Transatlantic Trust Company - New York». (La signorina Szekeli non pronuncia corretta­mente in inglese la parola «Trust» ma deve pronunciarla con «u» italiano).

Richter                          - (la guarda stupito e ripete pronun­ciando come lei) Trust? Dove ha studiato l'inglese, lei?

Szekeli                          - (con orgoglio) L'ho imparato da me, in uno di quei manuali.

Richter                          - Ah, capisco! Se ne vada, ora. Mi lasci in pace. Vada a chiudere il conto spese.

Szekeli                          - Sissignore. (Porta via la frusta).

Richter                          - Signorina Szekeli!

Szekeli                          - Comandi?

Richter                          - Mi dia quella busta.

Szekeli                          - Eccola. (Gliela dà).

Richter                          - Grazie. Vada pure. (La signorina Szekeli via a sinistra)     - (Richter guarda la busta) Si capisce... ì marenghi vengono da qui. (Voci concitate a sinistra. Si alza, va alla porta, l'apre e grida) Che cos'è questo chiasso? Non siamo in una casa da gioco. Se non la smettete, farò rapporto al signor Walter.

Walter                           - (comparisce sulla soglia a destra mentre Richter dice le ultime parole) Il tuo reparto è sempre il più rumoroso.

Richter                          - Perché sempre?

Walter                           - Anche tu stavi gridando.

Richter                          - Un Capo Ufficio deve fare la voce grossa di tanto in tanto, per mantenere la sua autorità.

Walter                           - (ironico) Bella autorità! Alle nove e venti i tuoi impiegati non sono ancora a posto.

Richter                          - (mette una matita nella macchinetta e comincia a tempestarla) Protesto! Ci sono tutti.

Walter                           - Ah, sì? E il signorino Levisky?

Richter                          - (con la stessa intonazione di Walter) Il signorino Levisky è un'altra cosa.

Walter                           - Sarebbe a dire? Non è un impie­gato come gli altri?

Richter                          - Tu non sai chi è Levisky?

Walter                           - Uno sfacciato. E sarà il primo a prendere il volo. (Prende dalla cartella una let­tera) ilo già provveduto. Gliela puoi consegnare.

Richter                          - Sai che c'è di nuovo? Dagliela tu. Io non voglio ancora andare in pensione.

Walter                           - Cos'è questo parlare misterioso?

Richter                          - (smette di temperare la matita) Senti, per essere sincero, non ti volevo dir nulla, perché non te lo meriti... Ma anche tu hai cominciato la tua carriera qui con me...

Walter                           - Lasciamo stare il passato.

Richter                          - Come vuoi. Ma se ti preme l'av­venire sii prudente con quel ragazzo. Levisky è il partner della figlia del Presidente, ed è il preferito... Partner?... Che dico?!... C'è una grande differenza. E un contabile che sapesse calcolare questa differenza, sarebbe un genio. È il figlio del povero Raffaele. (Walter lo guar­da esterrefatto). Mi credi scimunito? No, ti sba­gli. Ieri, nel pomeriggio, l'ho trovato in casa del Presidente. Sapessi come lo tratta! Proprio come un figliolo. Gli dà del tu. E vorresti li­cenziarlo? Andiamo, via!

Walter                           - (cambiando tattica) E tu, inge­nuo, credevi che io ignorassi questo?

Richter                          - E la lettera di licenziamento?

Walter                           - (sottovoce, con gesto significativo) Una formalità... per gli altri. Ma ora, se anche tu lo sai... (Straccia la lettera).

Richter                          - Me la vuoi dare a bere.

Walter                           - Come puoi pensare che un Diret­tore del personale non sia informato...

Richter                          - (dopo breve riflessione) È vero.

Walter                           - Ti ricordi, quando venisti da me a lamentarti perché non sapevi che fartene di quel Levisky? (Ride sforzatamente) Come ho riso dentro di me. Sei proprio un ingenuo.

Richter                          - (risentito) Piano, piano. Non cambiano le carte in tavola. Io non mi sono lamentato di lui. Ha detto che non sapevo che farmene, perché il personale era al completo.

Walter                           - (condiscendente) Ma sì, ma sì...

Richter                          - Però bisogna riconoscere che ha una grande padronanza di sé. Per anni ha reci­tato la parte del povero impiegatuccio e in­tanto guazzava nell'oro. (Gli mostra la busta) Guarda che lettere riceve!

Walter                           - E tu lo sai solo adesso?

Richter                          - Ma che dici? Chi ha laggiù?

Walter                           - Non insistere, ti prego. Segreto d'ufficio.

Horvath                         - (da destra) Buongiorno, signor Richter.

Richter                          - (smette di versare) Buongiorno dottore. Che c'è di nuovo?

Horvath                         - Il Presidente mi incarica di invi­tare lei e la sua gentile signora, al banchetto di questa sera.

Richter                          - Grazie anche a nome di mia mo­glie. A che ora?

Horvath                         - Alle nove precise.

Richter                          - Allora dobbiamo prendere il battello alle sei?

Horvath                         - (ridendo) Vuole andare in bat­tello in via Maria Teresa?

Richter                          - Che c'è in via Maria Teresa?

Horvath                         - Il Circolo Unione, dove si fa il , banchetto.

Richter                          - Ma che dice, Horvath? Non ha sentito che si fa a Visegrad?

Horvath                         - No, signor Richter. Lei con­fonde. Sono due cose diverse.

Richter                          - (ostinato) No, no, Horvath; si sbaglia. Quando lei è andato via, ieri, il Presidente - mi pare di sentirlo ancora - ha dato alla sorella l'incarico di occuparsi della cucina.

Horvath                         - È proprio sicuro?

Richter                          - Se glielo dico io, può mettere una mano sul fuoco.

Horvath                         - Grazie, signor Richter! Fortuna che ho parlato con lei. Se no la facevo bella! (Dandogli la mano) Mi precipito a Visegrad. Con una macchina posso esserci in un'ora.

Richter                          - Chissà che scandalo sarebbe ac­caduto! (Fa per versare il latte).

Marianna                       - (entra da destra e da lontano getta il suo guanto a Richter).

Richter                          - (ha un soprassalto e posa la bot­tiglia del latte) Oh, Marianna!

Marianna                       - (ride forte) Buongiorno, vec­chio Richter! Le ho fatto paura?

Richter                          - Che onore, avere una tua visita...

Marianna                       - Non tema, non è per lei.

Richter                          - Me lo immaginavo. Levisky?

Marianna                       - Vorrei parlargli. Si può?

Richter                          - Da Richter tutto si può ottenere. (Esce a sinistra).

Levisky                         - (entra dopo breve. Indossa un abito nuovo fiammante) Buongiorno, signorina1.

Marianna                       - (lo squadra, compiaciuta) Che occhio, eh? Appena l'ho visto mi son detta: «Quello gli deve star a pennello». E infatti...

Levisky                         - Grazie. Lei è stata molto gentile. Perché s'è disturbata?

Marianna                       - (con rude franchezza) Perché rivolevo il tait! Guai se mio padre si fosse ac­corto che gli mancava... (Con dolcezza) Mi scu­si se l'ho messa in una situazione penosa.

Levisky                         - Oh, era terribile! (Si asciuga la fronte) Tutta la notte non ho chiuso occhio. E stamattina, fino alle dieci... (Sorride) non sa­pevo se potevo venire in ufficio.

Marianna                       - La prego di non serbarmi ran­core. Solo quando è andato via ieri sera, ho capito che lei è un impiegato del babbo. Im­magino quanto avrà sofferto.

Levisky                         - Ancora non sono tornato in me. Al solo pensarci mi corre un brivido per la schiena.

Marianna                       - Lo credo. Sono venuta appunto per ringraziarla. Si è comportato magnifica­mente. È stato correttissimo. Dirò di più: un eroe.

Levisky                         - No no... chiunque al mio posto, avrebbe fatto lo stesso.

Marianna                       - Non so. Un altro si sarebbe piantato davanti a mio padre, e gli avrebbe detto: ce Signor Presidente, la sua cara figliola mi ha investito. Mi aumenti lo stipendio».

Levisky                         - Una cosa simile non mi è neanche passata per il capo.

Marianna                       - - Ed è proprio questo altruismo che è eroico. Spero che anche per l'avvenire non mi lascerà negli impicci.

Levisky                         - Che intende dire?

Marianna                       - Caro amico, vi sono dei grandi guai.

Levisky                         - Il signor Presidente ha saputo...?

Marianna                       - No, no, al contrario. Non sa mula e non deve neppure saper nulla.

Levisky                         - Può contare su me, tacerò.

Marianna                       - Non basta. Bisogna continuare la commedia. Lei dovrà frequentare la nostra I casa.

Levisky                         - E dovrò comprare un tait?

Marianna                       - (sorride) Non è necessario. È un vestito incomodo.

Levisky                         - Non potrà mai sapere quanto ho sofferto ieri con quell'abito.

Marianna                       - Me ne sono accorta. La prima visita dì solito è imbarazzante, ma la seconda meno. Vedrà come sarà contento il babbo.

Levisky                         - Signorina, non mi chieda un si­mile sacrificio: sono incapace di continuare questo giuoco.

Marianna                       - Si deve! Altrimenti il babbo capirà che T'abbiamo ingannato. È convintis­simo che ci amiamo.

Levisky                         - Sul serio?

Marianna                       - Nulla di più serio. Si figuri che, da ieri, mi tratta in tutt'altro modo. Mi vez­zeggia come una bambina. Stanotte si è seduto sul mio letto, dicendomi:(Fa la voce con la quale si parla ai bambini) « Tu sei il mio tesoruccio... Il paparino ti vuol tanto bene...».

Levisky                         - Il Presidente? Ma è terribile!

Marianna                       - Se vedesse com'è felice!

Levisky                         - Anche? C'è da disperarsi.

Marianna                       - Che posso farci? Non è colpa mia se lei piace tanto al babbo.

Levisky                         - (si passa la mano sulla fronte. Preoc­cupato) Sarebbe meglio confessargli tutto.

Marianna                       - Per amor di Dio! La paghe­remmo cara entrambi: io ci rimetterei la mac­china, lei il posto...

Levisky                         - Per me, ormai...

Marianna                       - ... e il babbo...

Levisky                         - Cosa vuole che ci rimetta suo padre?

Marianna                       - Le sue illusioni, che è più gra­ve ancora. E la sua coscienza sopporterebbe di aver distrutto le illusioni di un povero padre?

Levisky                         - Mi perdoni...

Marianna                       - Non perdono affatto! Può capi­re, lei, le preoccupazioni di un padre? Ma già! È stato padre qualche volta, lei? E può sapere che cosa significa, per un padre, se la sua unica figlia ama qualcuno? E se questo qualcuno, per una volta tanto, piace anche a lui?

Levisky                         - Ma è un bruttissimo gioco! Con una menzogna copriamo un'altra menzogna.

Marianna                       - In questo caso è una buona azione. Lasci fare a me; sono donna e me ne intendo.

Levisky                         - (si mette davanti alla scrivania come se parlasse al Presidente) Mi presenterò a suo padre e gli dirò: Eccellenza, mi rincresce immensamente, ma non posso frequentare la sua casa.

Marianna                       - (imitando il padre) Perché, fi­gliolo mio?

Levisky                         - Perché... perché ho una fidan­zata.

Marianna                       - (c. s.) Ah, sì? E me lo dici solo ora? Che sarà di mia figlia che tu hai vilmente ingannata? Dunque il figlio di quell'anima can­dida di Raffaele è semplicemente un mascal-zone che raggira le fanciulle! Ma bravo!

Levisky                         - Dove mi sono andato a cacciare!

Marianna                       - Sotto una macchina! E dopo un simile investimento non si può balzare in piedi e fuggire dal luogo del disastro, lasciando sola la povera vittima.

Levisky                         - Scusi la domanda indiscreta: la vittima sarebbe lei?

Marianna                       - Non discutiamo! (Gli si accosta e gioca coi bottoni della sua giacca) Lei, invece, frequenterà la nostra casa, rimarrà a cena qual­che volta, sentiremo insieme la radio- Levisky - (interrompendo) È spaventoso!

Marianna                       - Insomma, ci comporteremo come una coppia di innamorati modello.

Levisky                         - E fino a quando dovremo rap­presentare questa commedia?

Marianna                       - Fino al 26 agosto.

Levisky                         - Perché proprio quel giorno?

Marianna                       - Perché allora il babbo va a Karlsbad per sei settimane: fa la cura delle acque.

Levisky                         - (spaventato) E anche noi dovre­mo bere le acque?

Marianna                       - No, non è necessario. Quando il babbo tornerà, fra noi tutto sarà finito.

Levisky                         - Certo?

Marianna                       - Certissimo. Perché, dopo la cura, con lo stomaco in ordine, il babbo potrà più facilmente mandar giù il dispiacere.

Levisky                         - Quale dispiacere?

Marianna                       - (in fretta e senza dare importanza) Che frattanto abbiamo rotto il fidanzamento. (Breve pausa) Dunque?

Levisky                         - (rassegnato) Come vuole. Tanto io non ho niente da perdere.

Marianna                       - Ecco. E poi, chi sa che lei non ci guadagni qualche cosa, invece.

Levisky                         - Sia fatta la sua volontà.

Marianna                       - (gli porge la mano) Grazie. Al­lora cominciamo: oggi alle quattro ci troveremo all'Isola Margherita.

Levisky                         - Dove?

Marianna                       - Al tennis. Al babbo piacerebbe vederla giocare.

Levisky                         - Piacerebbe anche a me.

Marianna                       - Perché?

Levisky                         - Perché non ho mai presa una rac­chetta in mano .

Marianna                       - E nemmeno il babbo: Non ha importanza. Lei deve soltanto battere le palle. Per il resto si fidi di me. Stasera, poi, verrà con noi... Almeno saprà ballare?

Levisky                         - Oh questo sì!

Walter                           - (da destra) Oh, scusi! (Si inchina a Marianna) Signorina...

Marianna                       - Entri pure. Stavo per andare. (A Levisky) Cosa devo dire al babbo?

Levisky                         - Che gli mando un bacio.

Marianna                       - Glielo darò. Addio tesoro. (A Walter) Buongiorno, Walter.

Walter                           - I miei rispetti, signorina.

Marianna                       - (dalla soglia getta un bacio a Le­visky).

Levisky                         - Arrividerci a più tardi, cara. (Marianna via a destra).

Walter                           - (in tono confidenziale) Una bella ragazza... Una bellissima ragazza.

Levisky                         - (siede, cava dalla tasca una limetta e comincia a limarsi le unghie con noncuranza) Sì, carina... una simpatica figliola.

Walter                           - Mi permetterai di rallegrarmi... (Mettendosi la mano sulla bocca) Oh scusa! Ma via! Diamoci pure del tu.

Levisky                         - Per me... Figurati!

Richter                          - (picchia prima alla porta di sinistra, poi entra di spalle) Si può?

Levisky                         - (con superiorità) Si può. (Rimette in tasca la limetta ed esce a sinistra).

Richter                          - (sorpreso) Eri qui?

Walter                           - Perché non avrei dovuto esserci?

Richter                          - (ironico) Eh già! Un capo del personale deve saper tutto!

Walter                           - (fingendo di non aver sentito) Credi che Levisky abbia qualità oratorie?

Richter                          - Ne sono sicuro: è un ragazzo di molto talento.

Walter                           - ... e che il Presidente sarebbe con­tento se stasera al banchetto parlasse lui?

Richter                          - Contentissimo. Non ne dubito. Però ho sentito dire che il discorso ufficiale lo farà Muller.

Walter                           - Non vi è nulla di stabilito. Si ve­drà. Non ne parlare con nessuno.

Richter                          - (mentre sta per uscire) Walter... (Walter si volge a lui) So tutto.

Walter                           - Tutto che?

Richter                          - (accennando alla porta da cui è uscito Levisky) Di Levisky e del Transatlantic Trust. Volevi fare il misterioso con me. Il Presidente del Transatlantic è suo zio. Ecco.

Walter                           - Levison?

Richter                          - Perché fingi di stupirti? Come se non lo sapessi!

Walter                           - (fa un gesto vago) Già, già... Ma tu, come l'hai saputo?

Richter                          - (con aria di superiorità) Anch'io ho le mie fonti di informazioni. Levison era ungherese. Quando ha preso la cittadinanza ame­ricana da Levisky è diventato Levison. Eh?!

Walter                           - Incredibile! In questa banca non ' si può serbare un segreto! Dammi quella busta.

Richter                          - (gliela consegna) Sei tu che devi imparare che per Richter segreti non ve ne sono.

Walter                           - (intasca la busta e si avvia) Non ci si può fidare di nessuno. Che gentaglia! (Via).

Richter                          - (dopo che la porta si è richiusa die­tro Walter) Chi? Chi è gentaglia? (Versali latte, si accinge a bere ma suona il telefono. Posa il bicchiere pieno di latte accanto al tele­fono e prende il ricevitore) Pronto... Sì, sono io... Buongiorno, Corrado... Sì, sì... Il segreta­rio?... Era qui poco fa. Sì, grazie, mi ha invi­tato. Grazie anche a nome di mia moglie... Si capisce, ci saremo... Puntualissimi... (Impauri­to) Dove?... Ah sì, sì, già, già... (Si asciuga la fronte)... Lo so, ai Circolo Unione, in via Ma­ria Teresa... Sì, sì, lo so. Arrivederci, Eccel­lenza. (Riattacca. Si avvia a destra, poi a sini­stra. È agitato, non sa cosa fare, si asciuga la fronte e finalmente apre la porta a sinistra gridando) Signor Levisky!

Levisky                         - (dalle quinte) Vengo.

Richter                          - Oh che bestia! Che bestia!

Levisky                         - (entra) Che c'è, signor Richter?

Richter                          - (gli afferra il braccio) Signor Le­visky, se vuol salvarmi la vita, stasera, al ban­chetto, deve sostituire il segretario.

Levisky                         - Perché? Cosa gli è accaduto?

Richter                          - È partito... in piroscafo... in auto­mobile... non so con quale mezzo. Non me lo domandi!

Levisky                         - Ma io non so che cosa fare in questi banchetti.

Richter                          - Una cosa semplicissima: basta mangiare e bere.

Levisky                         - Oh allora...

Richter                          - (gli stringe la mano) Grazie, gra­zie! Le sono riconoscentissimo. Non dimenti­cherò mai questo suo atto generoso! (A parte) Che bestia che sono stato!

Usciere                          - (da destra) C'è al telefono un si­gnore per il signor Levisky.

Levisky                         - (sorpreso) Per me? E chi è?

Usciere                          - Feleki... (Marcato) ...sartoria a rate... ha detto.

Levisky                         - (ha un gesto di disappunto. Fa per avviarsi).

Richter                          - (a Levisky, con un gesto, trattenen­dolo) Può parlare di qui liberamente. (All'usciere) Fagli dare la comunicazione. (Usciere via). Io, frattanto, vado in contabilità. (Prende qualche incartamento ed esce a sinistra).

Levisky                         - (siede al posto di Richter assumendo quasi involontariamente una posa d'importanza. Guarda qualche oggetto che è sulla scrivania, lo prende, lo osserva. Il telefono squilla; stacca il ricevitore) Pronto... sì, sono io... (Con tono al­legro) Oh caro signor Feleki, buon giorno, che mi dice di bello?... (Pausa, ascolta) Capisco... questa è una cosa brutta... ma io non sono re­sponsabile se lei è un modesto sarto e non un milionario... perché ha scelto quella profes­sione?... (Pausa, ascolta, sorride) Ah sì? è for­nitissimo di consigli? Allora gliene chiedo su­bito uno: come potrei avere un frack per questa sera?... (Pausa,ascolta) In prestito, s'in­tende... però deve essere elegantissimo... (Pau­sa) No, no, deve aver pazienza solo per pochi giorni. Il mese prossimo riceverò cinquanta dollari dall'America... (Pausa) Da mio zio... il fratello di mia madre... (Pausa, ascolta) No, no, non è un milionario... però ha un magni­fico posto al «Transatlantic Trust»... (Pausa). Direttore, no; è l'autista del Presidente... (Pau­sa). Dunque, me lo presta questo frack?... (Pausa). Grazie... allora ci conto... Alle set­te precise a casa mia... (Pausa). Ne avrò la massima cura, stia tranquillo... Arrivederci, signor Feleki. (Posa il ricevitore. Si alza. Si allontana dalla scrivania. Il telefono squilla di nuovo. Ha un attimo d'incertezza, si volta, guar­da verso il telefono, sorride, si comprende che ha un'idea improvvisa. Alza il ricevitore, ascol­ta) Lo chiamo subito. (Appoggia il ricevitore sul tavolo, prende il bicchiere del latte, sorride, beve, posa il bicchiere, apre la porta a sinistra gridando) Signor Richter... al telefono. (Esce).

Richter                          - (entra in fretta da sinistra, si accor­ge che il bicchiere è vuoto, lo prende in mano e lo guarda pensando a chi possa averlo bevuto. Poi, rassegnato, lo posa e prende il ricevitore) Pronto!... Sì, sono io... Buongiorno, Muller... come?.... Come?....Levisky farà il discorso?... Io?... Walter ti ha detto che è una mia idea? È una vera porcheria!... Ne riparleremo dopo... Chi, il segretario?... No, ora no... C'è stato, ma è andato via... Come posso sapere dove va a gi­rare quel vagabondo?!... S'è fermato un po' ed è scappato!... Per il banchetto?... Domandalo a Levisky... A Levisky, sì, sì!... (Riattacca, ap­poggia i pugni sulla scrivania e dice verso il pubblico) Sì, qui fa tutto il signor Levisky!...

La scena rappresenta un salotto del Circolo Unione. Porte a destra, a sinistra e al fondo. Un po' prima di mezzanotte dello stesso giorno.

 (Quando il sipario si alza, dal fondo entrano la signora Koves e la signora Muller).

Signora Koves              - Però è sconveniente che una donna flirti in un modo così sfacciato in presenza di suo marito.

Signora

Muller                           - Il pericolo accresce il piacere dei flirt. Le Perlaki è una donna au­dace e io l'ammiro.

Signora Koves ______ - (come continuando) ad onore del vero, non ha cattivo gusto. Quel Le­visky è un ragazzo simpatico e gagliardo. E che magnifico oratore! Come sa parlare!

                                      - (Dal fondo entrano Muller, Koves e la signo­rina Bianca che si avvicina alle due signore).

Muller                           - (a Koves continuando un discorso) E perché quel ragazzo ha fatto il discorso ufficiale, mentre ci sono io?

Koves                            - Era desiderio del Presidente.

Walter                           - (entra da destra, con Lany, ridendo) Non ho mai visto il Presidente così di buon umore. Racconta persino delle barzellette.

Walter                           - (a Muller) Che hai? Perché sei di malumore?

Muller                           - (sgarbato) Va', va', che lo sai be­nissimo. (Esce dal fondo).

Walter                           - Ma che ha?

Lany                              - È amareggiato per il discorso. Siamo giusti: gli è stato fatto un affronto.

Walter                           - E che c'entro io?!

Lany                              - Eh... un pochino c'entri!...

Walter                           - T'inganni! Dev'essere stato Rich­ter...

Lany                              - Non Koves?

Walter                           - Koves? (Riflette un momento) Guarda, guarda. Forse hai ragione. Si sente tre­mare il terreno sotto i piedi e incomincia ad accarezzare Levisky.

Lany                              - Non vedo il rapporto.

Walter                           - Sembra che il prestito si sia are­nato. Gli inglesi non vogliono dar quattrini.

Lany                              - Oh, bellissima! Il prestito va a mon­te e lui è già stato fatto Eccellenza... E ora, che cosa decideranno?

Walter                           - (si guarda intorno e poi cava di ta­sca la busta di Levisky) Guarda qui.

Lany                              - (guarda la busta) Che cos'è?

Walter                           - Si orientano verso gli americani. Il «Transatlantic Trust».

Lany                              - (prende la busta e osserva) Levisky? E Koves?

Walter                           - Silurato. Non è stato capace di concludere da quella parte...

Lany                              - Ma Levisky, come può?

Walter                           - Relazioni personali. (Scandendo) Levison è suo zio.

Lany                              - Oh, allora... (Pausa).

Walter                           - Io non ho parlato. (Tende la mano come per prendere la busta).

Lany                              - (fingendo di non aver visto il gesto) E io non ho sentito. Sta' tranquillo. (Intasca la busta).

Signora Perlaki              - (si sente prima il suo riso squillante. Viene dal fondo, con Levisky. È una bella donna elegante, molto mondana. Civetta ostentatamente con Levisky) Badi, eh! La prendo in parola.

Presidente                     - Ecco la più bella signora della festa. E come va? Si è divertita?

Signora Perlaki              - Quel tanto che si può ad un banchetto finanziario.

Perlaki                           - Però, a tavola, ho visto che eri molto allegra.

Signora Perlaki              - Ci sei tutto intero, in questa frase: se sono di buon umore, lo noti subito; ma se mi annoio, non te ne accorgi mai...

Levisky                         - (galante) Non posso neppure con­cepire tale eventualità: è troppo bella, lei, per annoiarsi.

Presidente                     - Ben detto! Bravo, Tibi! Sai fare la corte alle signore con molta galanteria.

Signora Perlaki              - (al Presidente) Finché sarà il mio cavaliere, non corro rischio di an­noiarmi! (A Levisky) La condurrò con me a tutti i banchetti.

Levisky                         - Lietissimo di mettermi a sua di­sposizione.

Signora Perlaki              - Però a un patto: che non faccia la corte ad altre. Solo a me.

Perlaki                           - (ride) Non sono di troppo?

Signora Perlaki              - Sei proprio un marito ideale; intuisci subito quando devi abbandonare le posizioni...

Presidente                     - (ridendo) Qualità preziosa per un uomo di finanza.

Perlaki                           - Noi dobbiamo andare. Potete par­lare tranquillamente. (A Levisky, battendogli sulla spalla) Perché tu sei di quelli che san­no parlare, ragazzo mio, e parlare bene. (Al Presidente) Mi congratulo con te, Corrado. Il tuo giovane amico è pieno di talento. Dovrebbe fare la carriera diplomatica.

Presidente                     - È troppo intelligente. (Escono a destra ridendo).

Signora Perlaki              - Lei è un uomo attraen­te... Vi sono, in lei, delle ingenuità inconsuete, davvero interessanti. Da un pezzo non mi in­contravo con una persona così simpatica.

Levisky                         - Io, invece, non ho mai incontrato una donna splendente come lei.

Signora Perlaki              - Non esageri. Mi offra una sigaretta.

Levisky                         - (offrendo il portasigarette) Prego. (Quindi le offre da accendere e frattanto la guarda negli occhi).

Signora Perlaki              - Ma dove tiene il fuoco? (Gli prende la mano e avvicina l'accendisigaro alla sigaretta)Perché le trema la mano? Cos'ha?

Levisky                         - Non lo so neanche io stesso. Però è come se mi girasse un po' la testa.

Signora Perlaki              - Segga, segga... Ha bevuto molto?  A proposito: vuol venire domani a casa mia per il tè?

Levisky                         - Grazie, molto volentieri... Ma...

Signora Perlaki              - Il a ma » non m'interes­sa. Del resto, si capisce: Marianna.

Levisky                         - Appunto.

Signora Perlaki              - Vede? (Breve pausa). Però mi piacerebbe sapere come intende con­ciliare le due cose: far la corte a Marianna e conquistare me.

Levisky                         - Se osassi sperare...

Signora Perlaki              - (sorridendo) Dovrei an­che incoraggiarlo?... Provi!

 

Marianna                       - (entra dal fondo) Oh, finalmen­te ti trovo! Tutti chiedono di te!

Signora Perlaki              - (a Levisky) Non glielo dicevo? E lei, invece, se ne sta qui a farmi la corte. (A Marianna, ridendo) E se sapessi con che calore!

Marianna                       - (con lieve ironia) Non mi mera­viglio affatto, cara. Sei giovane, bella e mari­tata. Gli uomini non vogliono fastidi...

Signora Perlaki              - Verissimo! Ma se siamo preferite, lo dobbiamo alle ragazze d'oggi. (Si alza) Ora vado da mio marito; non vorrei che si mettesse a giocare. Arrivederci. (Esce a de­stra).

Marianna                       - In tutta la sera lei non mi ha nemmeno guardata. (A un gesto di Levisky) Zitto! Ha flirtato in un modo scandaloso. Tutti se ne sono accorti.

Levisky                         - (ridendo) Non sarà gelosa, spero.

Marianna                       - Che sciocchezza! Qui non si tratta di noi, si tratta del babbo.

Levisky                         - Ancora?

Marianna                       - Naturale. Quando è solo faccia quel che vuole; ma quando il babbo è presente, si comporti come si deve.

Levisky                         - Il mio ruolo diventa sempre più difficile. Ammetterà che un uomo scapolo e li­bero può trovarsi anche in una situazione... (sorridendo) per la quale non pensa più a suo padre. Se io continuo a recitare la parte dell'a­moroso, un bel giorno finirò per innamorarmi seriamente di lei.

Marianna                       - E sarebbe una cosa tremenda?

Levisky                         - Eh! Un amore senza speranza!... Perché sarebbe senza speranza, non è vero?

Marianna                       - Tra i nostri patti, non v'è ob­bligo della confessione.

Levisky                         - Veda dunque... Sarebbe assurdo.

Marianna                       - Però se per lei fosse più facile, immagini che io sia una ragazza bruttissima e che mi fa la corte soltanto per la mia dote.

Levisky                         - La dote non mi interessa. La don­na che mi piace può avere anche un milione.

Marianna                       - Ah, sì? E se ne avesse due? Perché io ne ho due.

Levisky                         - Per me è indifferente.

Marianna                       - Ma io non distribuirò la mia dote fra i poveri per farle piacere! Dunque, lei non deve fare altro che occuparsi di me, mo­strarsi premuroso, starmi molto vicino e di tan­to in tanto baciarmi.

Levisky                         - Benissimo. (Fa subito l'atto di baciarla).

Marianna                       - (fermandolo con la mano) Be­ninteso, solo davanti al babbo.

Marianna                       - (di colpo gli si stringe vicino) Attenzione!  Ecco il babbo!  Presto, mi abbracci.

Levisky                         - (l'abbraccia. A denti stretti) Cara! Se potessi immaginare che cosa provo in questo momento... se potessi dirtelo...

Marianna                       - (con grande dolcezza, un po' le­ziosa) Caro!  Se tu potessi immaginare quanto poco me ne importa...

Walter                           - (entra, con Lany, da sinistra) Oh! Domando scusa. (Si ritraggono un po').

Levisky                         - (si stacca da Marianna seccato) Ma che scherzi mi fa? Quei due non sono il babbo.

Marianna                       - È lo stesso... Costituiscono l'opi­nione pubblica.

Levisky                         - Noi non lavoriamo per la folla! (Escono dal fondo).

Walter                           - (avanza con Lany) Hai visto?

Lany                              - Eh, sì. Hai ragione tu... quello è l'uomo dell'avvenire.

Walter                           - Naturale! Non Koves col suo pre­stito arenato! (Si avvia a sinistra, ma si incon­tra con Muller).

Muller                           - (entra brontolando) È assurdo! È veramente assurdo!

Lany                              - Che brontoli?

Muller                           - È inutile! Non la posso mandar giù. Me ne vado a casa.

Lany                              - Non è il momento d'andare a casa.

Muller                           - Perché? Che c'è di nuovo?

Lany                              - (con aria misteriosa) Il prestito in­glese è andato a monte.

Muller                           - Che dici?

Lany                              - (tira fuori la busta con importanza) Abbiamo iniziato trattative con l'America: « Transatlantic Trust ».

Muller                           - (guarda la busta) Levisky?

Lany                              - (con tono leggero) Sì... relazioni per­sonali... parentele... Il Presidente Levison è suo zio...

Muller                           - Levison?!

Lany                              - (c. s.) Sì, sì. E Koves non si occupa più del prestito.

Muller                           - (unisce le mani in atto di preghiera guardando il cielo) Esiste ancora una giusti­zia divina! Dammela! (Prende la busta).

Lany                              - Ma io non t'ho detto nulla. (Esce o sinistra).

Muller                           - Naturalmente. (Siede accanto al tavolo d'angolo col capo appoggiato a una ma­no, come assorto in gravi pensieri).

Presidente                     - (dopo un momento viene dal fon­do) Oh! Che medita qui, solo solo?

Muller                           - Pensavo al prestito, Eccellenza!... (Con ipocrisia) Mi rincrescerebbe veramente se tutto il lavoro di Koves fosse infruttuoso...

Presidente                     - (scuote la testa, un po' preoccu­pato) Eh, sì!... sono sorte delle difficoltà.

Muller                           - Non c'è da preoccuparsi, però. L'America è sempre un paese molto ricco, e l'ascendente che il nostro Levisky ha su Levi­son, rappresenta una seria base di successo.

Presidente                     - (subito si fa attento, ma non lo dimostra) Già, già... Infatti... Ma lei, come fa a sapere?...

 

Muller                           - Levisky è nipote del Presidente del «Transatlantic Trust»... ed è con lui in continui rapporti epistolari... (Prende la busta di tasca e la consegna) Ecco la prova, Eccellenza.

Presidente                     - (guarda la busta) Le occorre?

Muller                           - E a sua disposizione, Eccellenza.

Presidente                     - (si avvia verso il fondo) Grazie.

Muller                           - (si frega le mani soddisfatto) E ora, si può giocare a bridge. (Via a sinistra).

Presidente                     - (sulla, soglia si incontra con Wal­ter che si fa da parte premurosamente per la­sciarlo passare) Oh, a proposito: ha notizie di Horvath?

Walter                           - Purtroppo non so ancora nulla, Eccellenza.

Presidente                     - È addirittura incomprensibile!

Walter                           - Per essere sincero, dirò che a me Horvath sembra un uomo strano, non perfet­tamente equilibrato. Con tutta deferenza, pro­porrei di metterlo in aspettativa. Un po' di ri­poso gli farà bene.

Presidente                     - Poverino! Mi rincresce...

Walter                           - (cava di tasca un taccuino e segna) Anche a me. Era un uomo di grande cultura... Proporrei il dottor Peterffy. E un giovane di buona famiglia, elegante, si presenta bene, non ha idee proprie... un segretario ideale.

Presidente                     - Non lo ritiene immaturo per un posto di tanta responsabilità?

Walter                           - Infatti. Pensavo di affidargli le mansioni più semplici... e a Segretario Gene­rale, per cui occorrono speciali attitudini, raccomanderei il signor Levisky, che è un giovane di rara intelligenza.

Presidente                     - (gradevolmente sorpreso) Sem­bra anche a lei?

Walter                           - Senza dubbio.

Presidente                     - Ne ho piacere, perché mi con­ferma che non m'inganno nel giudicare le per­sone.

Walter                           - E che famiglia, Eccellenza! Suo zio, è Presidente del «Transatlantic Trust».

Presidente                     - Lo sa anche lei?

Walter                           - (con falsa modestia) È un po' il mio mestiere...

Presidente                     - Bravo, Walter. (Gli mette la mano sulla spalla) Lei ha un occhio d'aquila. (Breve pausa). E pensa a tutto.

Walter                           - (si inchina soddisfattissimo) -          - È il mio dovere, Eccellenza. (Annota nel taccuino, mentre il Presidente esce dal fondo).

Horvath                         - (entra da destra ansante. È in frack e cilindro. In disordine. Un po' arruffato. Si getta in una poltrona sfinito) Signor Walter!

Walter                           - (si volta, alza gli occhi dal taccuino, parla in tono gelido) Di dove viene, lei?

Horvath                         - (sempre ansante) Da Visegrad.

Walter                           - Col frack? (A parte) Lo dicevo che è uno squilibrato!

Horvath                         - È naturale!

Walter                           - Non è tanto naturale che si vada a gironzare in frack.

Horvath                         - Ci sono andato per il banchetto.

Walter                           - Quale banchetto?

Horvath                         - Questo qui.

Walter                           - (con un sorriso ambiguo, come se parlasse a un pazzo) Ma «questo» è qui.

Horvath                         - Ora lo so anch'io. Ma prima cre­devo che si tenesse a Visegrad. Invece, non ho trovato anima viva.

Walter                           - (scettico) E non poteva avvertire?

Horvath                         - Al castello non c'è telefono, per volere del Presidente. Avevo rimandato la mac­china... ho dovuto fare dieci chilometri a piedi. (Pausa. Con voce rabbiosa) Dov'è Richter?

Walter                           - È già andato a casa.

Horvath                         - Per sua fortuna! E il Presidente non mi ha cercato?

Walter                           - Altro che!

Horvath                         - È successo qualche guaio?

Walter                           - (sorridendo) No, no. Tutto è an­dato magnificamente. (Maligno) Levisky ha provveduto a ogni cosa, e così bene che era un piacere vederlo.

Horvath                         - (stupito) Levisky? Quel giovane che è in contabilità?

Walter                           - (marcato) Che « era » in contabi­lità. Perché, da stasera, è Segretario Generale.

Horvath                         - (toccandosi la fronte) Mi sento girare la testa. E io non so nulla di tutto questo?

Walter                           - (ironico) Si capisce. Lei arriva dalla provincia...

Horvath                         - Come potrò comparire domani davanti al Presidente?

Walter                           - Anche questo problema è risolto.

Horvath                         - Ah, sì? E in che modo?

Walter                           - Non deve comparirgli davanti. Da domani, lei è in aspettativa. (Gli fa con la mano un piccolo cenno di saluto e si avvia a sinistra, mentre cala il sipario).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

La veranda del castello di Visegrctd. A destra e a sinistra, una porta. Nel fondo, una balaustra oltre la quale si vede il parco, a cui si accede per due scalini. Panorama d'alberi e di mon­tagna. Pomeriggio avanzato che verso la fine del quadro, diventa crepuscolo. Nel parco c'è una a garden party ».

Marianna                       - (viene dal parco con Levisky. È nervosa) Non ne posso più!

Levisky                         - Neanch'io.

Marianna                       - Lei si comporta in modo scan­daloso! Ne ho fino alla gola, e se non fosse per un riguardo al babbo, avrei smessa da un pezzo questa commedia.

Levisky                         - Sarebbe ora! Anch'io sono stufo, Non ho più un minuto dì tranquillità, un attimo di respiro. Non posso fare un passo... è peggio d'un matrimonio!

Marianna                       - (d'improvviso) Che vuole dalla Perlaki? Lo fa per umiliare me o quella donna le piace proprio tanto?

Levisky                         - Nel nostro patto non c'è obbligo di confessione: lo ha detto lei stessa.

Marianna                       - (irritata) E perché non può de­dicarmi cinque minuti?

Levisky                         - Perché con lei è una commedia, e io non sono capace di recitare per la platea. Sarò forse poco moderno, ma io non posso far la corte a una donna soltanto perché gli altri vedano. Io voglio baciarla quando piace a me, non quando piace ai padri...

Marianna                       - E il nostro patto?

Levisky                         - Me ne infischio! (Si guarda intorno. Di colpo attira a sé Marianna e la bacia a lungo appassionatamente) Ecco! Adesso mi fa­ceva piacere.

Marianna                       - (interdetta) Impazzisce?!

Levisky                         - Può darsi. Lo avevo detto che è un gioco pericoloso?

Marianna                       - (con rudezza soltanto apparente) Lei dimentica chi è il suo partner, in questo gioco. Io non sono abituata a questo stile.

Levisky                         - (mortificato) Lo terrò presente. Mi scusi. Da ora in poi sarò più attento. (Via dal fondo).

Marianna                       - (non si accorge che Levisky si è allontanato) E farà benissimo. La prego, in avvenire... (Si accorge di esser sola. Stizzita, to­glie da un vaso una rosa con un lungo stelo e comincia a frustare l'aria).

Hornig                           - (viene da sinistra) Che le ha fatto quel povero fiore?

Marianna                       - Quale?

Hornig                           - Quello che ha in mano. (Marianna, sorpresa, getta via la rosa con rabbia). Inutile prendersela con quella rosa... strappi invece i capelli a quella signora; si calmerà più presto.

Marianna                       - (ingenua) Di chi parla? Che ha contro la Perlaki?

Hornig                           - Ecco. Dunque lei sa di chi parlo. Come può tollerare tutto questo tranquillamen­te? Non pensa ai commenti di quella brava gen­te di là? (Accenna verso il fondo).

Marianna                       - Dicano ciò che vogliono... mi è indifferente! Ma lei, che pretende? Non posso far concorrenza alla Perlaki... Sono una ragaz­za, io!

Hornig                           - Anche le ragazze, oggi, hanno le loro armi; e buone armi! Io lo so: sono un vecchio armaiuolo...

Marianna                       - (sorpresa) E crede che io vo­glia battermi per un ragazzo? Io, Marianna

Turner?

Hornig                           - Sì: lei, Marianna Turner! Vivia­mo in tempi difficili... Oggi, un uomo, bisogna conquistarselo palmo a palmo...

Marianna                       - No, amico mio: io sono più or­gogliosa. (Alza la testa con orgoglio).

Hornig                           - Insomma, subisce una sconfitta e si rassegna... Si rassegna a lasciarsi portar via il suo primo corteggiatore serio... Stia attenta. Quella donna è una Cleopatra moderna e, se vuole un uomo, sa prenderselo!

Marianna                       - No, no... Non è della razza del­le Cleopatre. È soltanto una piccola moglie di Putifarre che fa dell'amore uno sport, ma vince esclusivamente in piccole gare casalinghe.

Hornig                           - L'amore moderno è una gara com­plessa, nella quale si contano i punti, ed essa ne ha parecchi per battere i concorrenti.

Marianna                       - Però nel finish rimarrà indietro.

Hornig                           - Io, invece, ritengo che vincerà di una intera lunghezza... una lunghezza di corpo.

Marianna                       - (punta sul vivo, risoluta) Que­sta volta no. Glielo garantisco.

Hornig                           - (soddisfatto come se fosse riuscito nel suo intento) Oh, finalmente!

Marianna                       - (si avvia in fretta verso il fondo).

Hornig                           - E dove corre?

Marianna                       - In trincea... sulla linea del fuoco. (Via).

Hornig                           - (via a destra).

Presidente                     - (viene con gli altri due da sini­stra) Io ho fiducia nell'orientamento ameri­cano. Una relazione personale così intima può costituire una base molto seria.

Perlaki                           - Allora bisogna far partire al più presto il nostro amico Levisky.

Presidente                     - È necessario. Va a misurarsi in una bella battaglia.

 (La musica comincia suonare nel parco. I tre escono e dopo un po' entrano ballando, da sini­stra, Levisky e la signora Perlaki).

Levisky                         - (si guarda intorno, vede che non c'è nessuno) Anna! (La stringe a sé e fa per baciarla).

Signora Perlaki              - (respingendolo) Abbi giu­dizio, Tibi.

Levisky                         - Me l'avevi promesso...

Signora Perlaki              - Siete straordinari, voial­tri uomini. Oggi una donna non può neanche fare una piccola promessa senza che debba man­tenerla. Volete solo voi questo privilegio.

Levisky                         - Eppure mi hai permesso di ab­bracciarti. Sento che il sangue mi va alla te­sta... Vuoi farmi impazzire?

Signora Perlaky             - (con molta civetteria) Io?! Caro, ma tu sogni.

Levisky                         - (appassionato) Sì, sogno di te... Anna, capiscimi finalmente. Da quando t'ho conosciuta, non posso più dormire... soffro...

Signora Perlaki              - (c. s.) Molto?

Levisky                         - Infinitamente... Mi struggo dal desiderio...

Signora Perlaky             - (lo fissa profondamente ne­gli occhi. Poi, continuando a ballare, dice con voce insinuante) Saresti capace di un sacri­ficio?

Levisky                         - (c. s.) Di qualunque sacrificio...

Signora Perlaki              - (sempre ballando, si stringe più a lui in modo da sfiorargli quasi la bocca con le labbra) Romperesti anche con Ma­rianna?

Levisky                         - Ti ho già detto che, tra noi, non v'è nulla...

Signora Perlaki              - Tanto meglio, allora.

Levisky                         - Nessun sentimento d'amore: una buona amicizia e basta. Perché vuoi che la rompa?

Signora Perlaki              - Così!... Io non mi divido con altre... (Breve pausa). Sì? Mi prometti che non andrai più in quella casa?

Levisky                         - Ma si tratta del mio Presidente; da lui può dipendere il mio avvenire...

Signora Perlaki              - Il mio amore ti compen­serà di tutto... Allora, sì?

Levisky                         - (la fissa qualche momento, poi dice piano, con voce roca) Sì! (La Perlaki gli af­ferra la testa, lo bacia rapidamente sulle lab­bra e poi esce dal fondo. Levisky resta per un momento stordito, poi si stira le braccia, siede e si asciuga la fronte, mentre da destra entrano il Presidente e Hornig).

Presidente                     - (scorge Levisky) Che hai, Ti­bi? Non ti senti bene?

Levisky                         - (riprendendosi) Anzi, Eccellenza. Mai come in questo momento. (Esce dal fondo).

Presidente                     - Questo ragazzo è diverso dagli altri... È serio... (Breve pausa). Mi piace molto.

Hornig ......................... - Anche a Marianna, sembra. Le ho parlato poco fa: è gelosissima. Vorrebbe averlo sempre vicino.

Presidente                     - Questo è un guaio. Come farò a staccarli?

Hornig                           - Staccarli? Sei pazzo! Perché?

Presidente                     - Solo per qualche settimana. Voglio mandarlo a New York per il prestito. Ti ho già detto di Levison. Ma non voglio che sospetti che mi servo di lui per le sue relazioni personali.

                                      - (Escono a sinistra. La scena rimane vuota un attimo mentre di fuori la musica suona un bal­labile. Poi entrano dal fondo Marianna e la si­gnora Perlaki fumando).

Signora Perlaki              - Senti, Marianna, noi sia­mo moderne e possiamo parlare francamente, come tra uomini.

Marianna                       - (in tono scherzoso e facendo con la mano un gesto cavalleresco) A tua disposi­zione.

Signora Perlaki              - Non così: come due buo­ni amici.

Marianna                       - Volentieri. Allora possiamo an­che sedere. (Seggono e fumano. Breve pausa). Sicché, caro old boy, di che si tratta?

Signora Perlaki              - Di lui. A me quel ragaz­zo piace.

Marianna                       - Mi rincresce, caro old boy: pia­ce anche a me.

Signora Perlaki              - (piccata) Guarda Marian­na, io posso anche essere un buon amico. For­se, non è ancora troppo tardi. Se ritiri il guanto che mi hai gettato, io cavallerescamente rinun­zio a Levisky.

Marianna                       - (ironica) Sei un vero gentiluo­mo... rinunzi a ciò che è mio? (Si alza) Ma non ho bisogno della tua magnanimità.

Signora Perlaky             - Come vuoi. Allora devo dirti che la battaglia è già vinta. Oggi Levisky romperà con te, per amor mio.

Marianna                       - (resta un momento interdetta, poi con voce stridula) Per tua norma, cara mia, con me non rompe nessuno. Sono io che, se vo­glio, posso rompere con gli altri.

Signora Perlaki              - Questa volta, cuoricino mio, sei in ritardo.

Marianna                       - Credi? Intoni troppo presto YhalalW E dov'è la volpe? (Su questa parola Levisky entra dal fondo).

Signora Perlaki              - (si volta di scatto) Voìlà! Venga, un po' qui, amico mio. (Levisky si av­vicina). Se non erro, poco fa m'ha detto di do­ver comunicare a Marianna qualche cosa di molto importante. Non è vero?

Leviski                          - (dopo un attimo di incertezza) Infatti...

Signora Perlaki              - Allora, questa è la più bella occasione. (A Marianna, con un salutino ironico) Bey bey! (Esce dal fondo. Di fuori ri­comincia la

 

Marianna                       - (dopo un silenzio penoso, con de­cisione) So già che cosa vorrebbe dirmi... Quindi risparmi le parole. Da questo momento lei è libero.

Levisky                         - Mi creda, Marianna, io...

Marianna                       - Lei ha ragione. Sono cose che non si possono fare soltanto per conservare le illusioni di un padre. Bisogna sentirle. Ero una ingenua: mi perdoni! Le ho chiesto di fare del­le cose non gradite...

Levisky                         - Marianna! Lei mi fraintende...

Marianna                       - La commedia è finita, ed io sarò sincera. Le confesso che sentirò la sua mancanza...

Levisky                         - (colpito) Che intende dire?

Marianna                       - Non lo so neanche io... Tutto quello che abbiamo fatto, era frutto della nostra fantasia... eppure, ora che rompiamo i legami apparenti che avevamo creati, sento un vuoto dentro di me... come se davvero qualche cosa si spezzasse...

Levisky                         - Dice sul serio?

Marianna                       - Non so che sia... pure sento qualcosa di insolito qui dentro... (Siede. Breve pausa). Io m'ero già abituata a lei; cominciavo già ad aspettarla... Qualche volta, l'ho aspet­tata, pur sapendo che non sarebbe venuto... Com'è incomprensibile il nostro animo! Ieri, quando lei ha tardato un po' cominciavo già a diventare nervosa... Strano, non è vero?... Mi accorgo ora che lei mi è molto simpatico...

Levisky                         - (c. s.) E perché mi ha respinto... poco fa...?

Marianna                       - (dopo un attimo di riflessione) È stato così, all'improvviso... e nessuno mi ha mai baciata a quel modo... Ho avuto paura...

Levisky                         - Mi perdoni, Marianna...

Marianna                       - (di colpo, con energia) Ma che uomo è lei!  Una volta nella vita compie un atto energico e domanda anche perdono!

Levisky                         - Lei si è tanto scandalizzata! |

Marianna                       - Naturale! Pretendeva che mi gettassi subito nelle sue braccia? (Accennando dove è uscita la Perlaki) Quella donna l'ha vi­ziato troppo... e questo mi faceva male... Aspet­tavo che mi venisse vicino e mi dicesse: « Ma­rianna, non ne posso più...».

Levisky                         - Gliel'ho detto! Con altre parole...

Marianna                       - No! Doveva gridare: «Marian­na!  Ti amo e me ne infischio di tutti».

Levisky                         - Non l'avrei mai osato, questo...

Marianna                       - E invece, io, questo mi aspetta­vo! Tibi, che gran somaro è stato!

Levisky                         - Come avrei potuto soltanto pen­sare che lei ed io... Sembrava così irraggiun­gibile...

Marianna                       - Nulla è irraggiungibile, special­mente con una donna! Ma gli uomini sono così codardi!

Levisky........................ - (si appoggia alla spalliera della poltrona dì Marianna e dice con sincerità quasi commovente) Non se ne stupisca! Che cosa ero io finora? Un nome qualunque in un elenco di stipendi... un nome che poteva cancellarsi da un momento all'altro... un biglietto da vi­sita su una porta: nulla! «Tiberio Levisky, via tale, numero tale»... in un pianterreno umido, senza luce... Da una settimana soltanto il sole ha cominciato a scaldarmi ed io non oso ancora credere che sia vero... (Mostra il suo vestito prendendolo per i risvolti) Ecco il mio primo vestito su misura... E allora, quando ho incon­trato una donna bella, elegante, fine... deside­rabile... la prima vera signora della mia vita... era naturale che mi venisse il capogiro... Ma­rianna, lei deve comprendere tutto questo e deve sapermi perdonare...

Marianna                       - Ha ragione... capisco... Ma ora vada...

Levisky                         - Mi manda via?

Marianna                       - (indicando dove è uscita la Perlaki) È la prima vera signora... Non bisogna farla attendere... Tibi, non si lasci sfuggire questa occasione!

Levisky                         - No, no! Ora non potrei più... Non voglio...

Marianna                       - (con finta sorpresa) Come, non vuole?

Levisky                         - (commosso) No! Voglio soltanto una parola da lei... Posso sperare?

Marianna                       - (turbata, porgendogli la mano) E me lo domanda?

Levisky                         - (le bacia la mano a lungo, con pas­sione, mentre Marianna, con un sorriso birichi­no, strizza l'occhio verso il pubblico).

Presidente                     - (viene con Hornìg, da sinistra. Vedendo i due) Vedi? È possibile staccarli? A me non basta il cuore.

                                      - (Entrano dal fondo Perlaki con la moglie e Koves).

Marianna                       - Babbo, di che si tratta? Dove dovrebbe andare Tibi?

Presidente                     - In America, per una missione importante.

Signora Perlaki              - Non lasciarlo partire.

Marianna                       - (senza darle retta) Molto impor­tante, babbo?

Presidente                     - Importantissima: si tratta di un prestito, indispensabile per le nostre indu­strie... Tutto il paese se ne avvantaggerà.

Marianna                       - (marcato, con uno sguardo alla Perlaki) Bisogna andare!

Perlaky                          - Brava Marianna! Lei è una buo­na patriota!

Signora Perlaki              - È troppo presto per ral­legrarsi: Levisky non è ancora partito.

Marianna                       - Ma partirà. (Con molta dolcezza a Levisky) Tibi, devi partire.

Presidente                     - Sì, figliuolo mio. Abbiamo bisogno del tuo ingegno. Dunque?

Marianna                       - Parte. (Si accosta a Levisky) Vo­glio che tu parta.

Leviski                          - (cori uno sguardo d'amore a Marian­na) È un immenso sacrificio... ma per il mio paese lo faccio volentieri. (Si avvicina al Presi­dente che lo abbraccia. Subito dopo Perlaki gli stringe calorosamente le mani).

Signora Perlaki              - (a Marianna) Battuta per uno a zero! (Le stringe virilmente la mano) Mi congratulo, cara Marianna.

Marianna                       - (soddisfatta e con una punta di ma­lizia) Hai visto? Anch'io sono cacciatrice...

QUADRO SECONDO

La scena del secondo quadro del primo atto. Le cinque del pomeriggio. Due mesi dopo il quadro precedente.

Wilma                           - (lavora a maglia. Appena il sipario si alza, dalla prima porta a destra esce Michele che traversa la scena andando via dal fondo. Michele ha in mano un vassoio con una meren­da. Si vede che non è stato toccato nulla. Wilma guarda il vassoio sollevandosi un po' dalla pol­trona. Appena Michele è uscito, a Marianna) Neanche oggi hai preso nulla.

Marianna                       - (in piedi, dinanzi allo specchio, si rassetta i capelli) Non ho appetito... forse più tardi...

Wilma                           - Che hai?

Marianna                       - Nulla!...

Wilma                           - Inutile negare. È qualche settima­na che ti osservo. Sei assolutamente cambiata. Non giuochi più, non balli... non vai neanche in automobile. Da due mesi non hai investito nessuno. Sei ammalata? Sembri nervosa.

Marianna                       - (va su e giù per la scena) Sono già passate le cinque...

Wilma                           - E poi?

Marianna                       - Il babbo lo aspetta certo con ansia.

Wilma                           - E tu sei nervosa per questo?

Marianna                       - Il treno è arrivato da un'ora e un quarto.

Wilma                           - Non pretenderai che dalla stazione corra qui, direttamente, dopo un viaggio così lungo...

Marianna                       - Può darsi che non venga nep­pure.

Wilma                           - È impossibile: Corrado lo aspetta.

Marianna                       - E se viene, andrà soltanto lui.

Wilma                           - In che strano modo parli. (Si pian­ta dinnanzi a Marianna fissandola) Marianna... anche tu lo aspetti?

Marianna                       - Sì.

Wilma                           - Allora non mi ci raccapezzo più. Due mesi fa ti lambiccavi il cervello per trovare il modo dì liberartene. Adesso non ti par l'ora di vederlo.

Marianna                       - In due mesi sono accadute tante cose...

 Wilma                          - Quali? È stato in America...

Mariann3                       - Appunto per questo.

Wilma                           - Capisco che davanti al babbo re­citi la commedia dell'innamorata, ma davanti a me...

Marianna                       - (sincera) Non recito affatto.

Wilma                           - - Allora è una cosa seria? Siamo a questo!...

Marianna                       - Proprio così, cara zia Wilma.

Wilma                           - (le fa una carezza) Non fa nulla, piccina mia! Così è la vita! (Commossa) È un ragazzo tanto intelligente... tanto educato... E come gli stava quel tait... Tuo padre gli vuol bene come ad un figlio. Avrà un bell'avvenire e spero che sarete molto felici.

Marianna                       - Non è vero, zia Wilma? Tu te ne intendi eh? (Breve pausa) Ma come siamo cattive, noi donne! Che cosa non faremmo per orgoglio! Quante finzioni... quante menzogne...

Wilma                           - Che dici?

Marianna                       - Sì. A Visegrad, per strapparlo alla Perlaki, gli ho detto che lo amavo.

Wilma                           - Ecco le donne di oggi!

Marianna                       - Poverino... Se l'avessi visto co­me era felice quando è partito!

Wilma                           - Beh! non affliggerti: non ne sa nulla...

Marianna                       - No no: gliel'ho scritto. La co­scienza mi rimordeva.

Wilma                           - Allora lo ami proprio quel ragazzo? Non sarà un altro capriccio?

Marianna                       - Questa volta è una cosa seria, te lo assicuro. Quanto più passavano i giorni, tan­to più ci pensavo. La lontananza mi avvicina a lui. Quest'uomo che viene dal nulla, ha una rude franchezza, che mi ha conquistata. Non l'ho trovata in nessuno del mio mondo. È per questo che mi manca.

Wilma                           - Glielo avrai scritto, spero?

Marianna                       - Avrei voluto; ma l'amor proprio non me l'ha permesso.

Wilma                           - Accidenti all'amor proprio! Se do­vete dire delle cose spiacevoli, siete subito pron­te; ma se si tratta di procurare un pochino di piacere, allora, no... interviene la vanità, l'or­goglio... Se fossi nei suoi panni, non ti guar­derei più.

Marianna                       - Queste cose può dirmele anche lui: non ti incomodare. E siccome viene dal sob­borgo, può dirmene anche di peggiori...

Wilma                           - Te le meriteresti! (Michele rientra dal fondo).

Michele                         - (annunzia) Il signor Levisky.

Wilma                           - Ah!... Eccolo. (A Michele) Fatelo passare qui. (A Marianna) Lo ricevi tu. (Mi­chele via. Wilma si alza e si avvia a destra. Giunta alla porta si ferma, si volta e dice sorri­dendo e facendo con la mano un cenno di mi­naccia) Sentirai... (Apre la porta e si volge) È vero che è un'indegnità origliare alle porte?

Marianna                       - Sicuro!

Wilma                           - Allora... farò un'indegnità. (Esce).

(Levisky entra dal fondo).  

Marianna                       - (gli corre incontro espansiva)  Ben tornato, caro Tibi! (Gli porge le mani).

Levisky                         - (freddo, ma corretto) Ben trovata, signorina Turner.

Marianna                       - (c. s.) Mi rallegro di cuore per il suo successo americano.

Levisky                         - (c. s.) Grazie. E il Presidente?

Marianna                       - È in casa. È molto contento di lei. Ieri doveva partire per Karlsbad, ma ha ri­mandato la partenza per aspettarla. Si accomo­di. (Vengono avanti. Seggono. Piccola pausa). Dunque, mi racconti qualche cosa di bello... Viene da tanto lontano...

Levisky                         - (sottolineando ogni parola) Sì, da molto lontano. Da un mondo tutto diverso.

Marianna                       - (si alza, gli va dietro le spalle e gli sfiora i capelli con la mano) La trovo be­nissimo: un po' dimagrito, forse. Ma il profilo è più marcato... (Osservandolo) La trovo più uomo, più serio... molto serio... (Si china sulla poltrona e gli appoggia la tempia contro la tem­pia) Sai che mi piaci molto, Tibi?

Levisky                         - (senza sgarbo, con corretta indiffe­renza, si alza e fa qualche passo) Il Presi­dente forse dorme ancora?... Tornerò più tardi.

Marianna                       - (lo segue, gli prende una mano, gli china la testa sul petto) Mi tiene il broncio? Riconosco che non è bello quello che ho fatto a Visegrad...

Levisky                         - (c. s., si allontana) La prego, la­sciamo stare. Cose già superate.

Marianna                       - E le lettere appassionate che mi ha scritto dall'America?

Levisky                         - Rientravano nel nostro patto.

Marianna                       - (sconcertata) Sicché, ogni parola era una menzogna? Per ventisei lettere, di quat­tro pagine ognuna?

Levisky                         - Un vero record!

Marianna                       - Incredibile! (Quasi piangendo) Che mascalzoni gli uomini! Ingannare così una povera ragazza!

Levisky                         - Ma sa che è straordinaria, lei? Sta' a vedere che ora il mentitore sono io.

Marianna                       - Se ha confessato in questo mo­mento! Non le si può credere neanche quando confessa?

Presidente                     - (entro, con Walter, da sinistra e va incontro a Levisky. Con affetto) Oh, caro Tibi! Sei arrivato, finalmente! Ben venuto!... (Gli batte sulla spalla, poi lo abbraccia) Mi ral­legro: hai fatto un magnifico lavoro.

Levisky                         - Grazie.

Walter                           - Permetti che anche io mi congra­tuli e che ti comunichi con vero piacere la tua nomina a direttore... Auguri... (Levisky guarda stupito il Presidente).

 

Presidente                     - Sì, caro figliuolo: è il premio per quanto hai fatto. (Si avvicina a Marianna e le poggia un braccio sulla spalla) Spero che sa­rete contenti di me...

Levisky                         - Eccellenza, non so come ringra­ziarla...

Presidente                     - Non devi ringraziarmi; lo hai meritato. Se il povero buon Raffaele potesse ve­derti, sarebbe orgoglioso di te. (Marianna si in­terpone fra il padre e Levisky facendo a questi cenno di tacere).

Levisky                         - (con voce ferma) Eccellenza, mi perdoni. Il povero buon Raffaele, non era mio padre.

Marianna                       - (a parte) Patatrac!

Presidente                     - (stupito) Come?

Levisky                         - Mi rincresce, ma è così.

Presidente                     - E allora di chi sei figlio?

Marianna                       - (sempre interponendosi) Lui è figlio di... di...

Levisky                         - Mattia.

Marianna                       - Ecco! Mattia. Sì, babbo. C'è un piccolo malinteso. La differenza è tutta qui.

Presidente                     - E tuo padre, che faceva?

Levisky                         - Il maestro di scuola.

Marianna                       - Papà, non insistere: non c'è nul­la che vada d'accordo.

Presidente                     - Almeno, sei Levisky?

Marianna                       - Oh, questo sì! È un Levisky autentico.

Il povero Raffaele         - (ben marcato) si chiamava Lehosky.

Presidente                     - (si batte un colpo sulla fronte) Ah, è vero! (Va su e giù, poi si ferma davanti a Levisky) Ma allora, mi hai ingannato? Ti sei preso giuoco di me?

Levisky                         - (addolorato) Io? Eccellenza!

Presidente                     - Sì, tu.

Marianna                       - (intervenendo, pronta) Scusa, papà: la colpa è tua che hai confuso i nomi.

Presidente                     - Dovevate avvertirmi...

Marianna                       - Eri così contento... perché di­silluderti? (Durante queste ultime battute con­troscena di Walter).

Presidente                     - Però, non è stato bello! Mi avete ingannato.

Marianna                       - (sempre alle calcagna del padre) Nessun inganno, papà. È un Levisky autentico, e ha concluso il prestito...

Presidente                     - (severo) Non si tratta di que­sto! Non è corretto! (Si avvia stizzito a destra).

Marianna                       - (correndogli dietro) Ma babbo, non tutti possono essere figli di Raffaele! (Esce con lui).

Walter                           - (che durante questa scena ha ascol­tato attentamente ogni parola ora dice col tono del superiore) Lei non ha agito correttamen­te, signor Levisky.

Levisky                         - (nervoso) La sua opinione non mi interessa.

Michele                         - (entra da destra) Sua Eccellenza chiama il signor Levisky! (Levisky, con uno sguardo malizioso a Walter, esce a destra. Mi­chele via dal fondo. Walter lo segue con lo sguardo e sogghigna stropicciandosi le mani).

Richtee                          - (entra dal fondo) Ah, sei qui?

Walter                           - Come vedi!

Richter                          - È arrivato?

Walter                           - Sì.

Richter                          - Chi sa come sarà contento il Pre­sidente! Spero che ora anche il mio desiderio sarà soddisfatto.

Walter                           - (c. s.) I polli, eh?

Richter                          - No, no. Ho venduto tutto. Mia moglie aveva ragione. Che avremmo fatto, noi due vecchi, a Csaba? Con i denari ho già com­prato un pezzo di terreno in Vallefresca. Ora vorrei fabbricare una villetta.

Walter                           - (facendo un gesto col pollice e l'in­dice come di chi conta quattrini) E... questi?

Richetr                          - Mi rivolgerò a Levisky per un prestito dalla banca, senza interessi. È il suo momento, ora... E dove sono?

Walter                           - (indica col pollice la porta di destra) Si stanno congratulando reciprocamente. (Dopo breve riflessione) A proposito, me lo di­cesti tu che era figlio...

Richter                          - (interrompendo) Sicuro! Ed an­che che era nipote di Levison. Ho un fiuto...

Walter                           - (insinuante) E come hai fatto a scoprirlo?

Richter                          - (con semplicità) Me l'ha detto Kucera...

Walter                           - (alzando le braccia) Un usciere! (Breve pausa. Dopo un momento gli si avvici­na, gli batte la mano sulla spalla, con falsa bonomia) Vieni con me in biblioteca e scrivi la domanda per andare in pensione.

Richter                          - (stupito) Ma io non ho nessuna intenzione di andarci!

Walter                           - Ormai non dipende più da te.

Richter                          - (sbigottito) Mi fai paura... Che è successo?

Walter                           - Levisky non è figlio di Raffaele, che si chiamava Lehosky; e sulla parentela con Levison ho i miei dubbi.

Richter                          - Ma il prestito l'ha concluso!

Walter                           - Vedremo quale altra porcheria verrà fuori.

Richter                          - Credi?

Walter                           - Ormai non credo più nulla. Sapes­si che scandalo è scoppiato! (Indica verso de­stra) In questo momento... (Fa un gesto con la mano come se gli torcesse il collo) ... Lo sta liquidando.

Richter                          - (involontariamente si porta una mano al collo) Dio mio! (Si avvia riluttante, quasi trascinato da Walter, ed escono a sinistra).

Presidente                     - (rientra da destra con Marianna e Levisky) È giusto! Voi veramente non avete nessuna colpa. L'errore è stato mio.

 

Marianna                       - Oh, questo è bello: riconoscere i propri torti. E poi, che vuol dire? Levisky o Lehosky, il prestito l'ha concluso; tutto l'altro non ha importanza.

Presidente                     - Verissimo. Rimane stabilito che sei un ragazzo pieno di ingegno e avresti fatto le cose anche senza l'aiuto di tuo zio.

Levisky                         - (stupito) Quale zio?

Marianna                       - (subito) Ma babbo, non entrare in questi affari di famiglia. Vedi che non ci tiene...

Presidente                     - Non deve credere che l'ho mandato laggiù per le sue relazioni. Solo dopo ho saputo che Levison è tuo zio.

Levisky                         - (e. s.) Ma, Eccellenza... mio zio è l'autista di Levison.

Presidente                     - (esterrefatto) Come, come?

Levisky                         - Chi le ha mai detto una cosa si­mile?

Marianna                       - Babbo, non capisco da dove prendi questi parenti. Prima volevi imporgli un altro padre, ora gli appioppi uno zio d'America. Quando la smetterai?

Presidente                     - Non ci capisco più nulla. (Li spinge fuori) Ora lasciatemi solo... Andate.

Levisky                         - (si inchina) Come comanda.

Marianna                       - (uscendo con Levisky) Vieni, Tibi. E ringrazia il cielo che ti sei levato di dosso tutta la parentela.

Presidente                     - (a Wilma, che entra) Ah, ah! Anche tu mi hai taciuto la verità...

Wilma                           - Non ci pensiamo più... Finalmente si vogliono bene...

Presidente                     - (stupito) Perché: finalmente? Pure questo amore sarebbe una menzogna? Non si amavano anche prima?

Wilma                           - Ora si amano; ma in principio no.

Presidente                     - In principio, quando?

Wilma                           - Quando è capitato qui... allora. Non t'hanno detto tutto?

Presidente                     - Non erano vecchi amici?

Wilma                           - Ma che! Si sono incontrati quel giorno... Marianna, come al solito, andava a centoventi...

Presidente                     - (intuendo) E l'ha investito?

Wilma                           - Davanti al cancello della villa... Se l'avessi visto quando l'ha portato qui... in­fangato, lacero...

Presidente                     - Ma era in tait!

Wilma                           - Nel tuo!

Presidnete                     - (battendosi una mano sulla fron­te) Ah! E il marengo?

Wilma                           - Sta tranquillo! Me lo son fatto re­stituire da Michele.

Michele                         - (annunzia) Il professor Hornig.

Hornig                           - (entra) Buongiorno, Corrado.

Presidente                     - Buongiorno, Hornig.

Hornig                           - (tono scherzoso ma affettuoso) È arrivato il nostro eroe?

Presidente                     - Pochi momenti fa.

Hornig                           - È veramente un ragazzo d'ingegno.

Presidente                     - Oh! Finalmente anche tu ri­conosci i meriti di qualcuno.

Hornig                           - Io riconosco sempre i meriti. Però non mi lascio accecare e vedo anche quanta parte ha il caso nella carriera di un uomo.

Presidente                     - Sei incorreggibile! Ricomin­ciamo la nostra solita discussione.

                                      - (Marianna e Levisky entrano a braccetto sor­ridendo).

Hornig                           - Buongiorno, Marianna. (A Le­visky) Mi congratulo, caro figliolo.

Marianna                       - (mentre Levisky e Hornig si strin­gono la mano) Che volevi babbo?

Presidente                     - Racconta al nostro amico per quale fortuna voi due vi siete incontrati...

Levisky                         - (sorridendo) Per quale... infor­tunio?

Marianna                       - Si figuri che l'ho investito da­vanti al cancello della villa...

Presidente                     - (continuando) ...proprio il giorno in cui mi hanno fatto eccellenza... (Con un sorriso trionfante) Che ne dici?

Hornig                           - (anche lui trionfante) Dico che se fosse stato investito da un autobus, invece che da Marianna, l'avrebbero portato all'ospedale e non qui. Come vedi, l'inizio della sua brillante carriera è opera del caso. (Sorride compiaciuto).

Levisky                         - (modesto) Per essere sinceri, è stato opera mia. Fui io che mi feci investire... (Al Presidente in tono affettuoso) ... per riu­scire a parlarle.

Presidente                     - (stupito) A me? E non potevi scegliere un mezzo meno pericoloso?

Levisky                         - (sorridendo) Avrei dovuto pas­sare sul cadavere di Walter, che mi aveva li­cenziato...

Presidente                     - (lo abbraccia) Oh povero fi­gliuolo!

Hornig                           - Bravo Tibi!  Sei pieno di iniziativa. Però l'hai scampata bella!

Marianna                       - (sorridendo) Questo non si può ancora dire... (Al padre) Figurati che ti chiede la mia mano...

Presidente                     - E io gliela concedo, a patto che il mio primo nipote si chiami Raffaele.

Marianna                       - Che brutto nome! Piuttosto pre­ferisco una bambina.

Richter                          - (entra con Walter da sinistra. Ap­pena si accorge che il Presidente abbraccia Le­visky, strappa dalle mani di Walter la domanda e la lacera) Non si va più in pensione!... Ben venuto signor Levisky.

Leviski                          - Buongiorno, mio caro Richter.

Hornig                           - (a Richter) È il tuo nuovo diret­tore generale.

Richter                          - Direttore Generale? (Mette in mano a Walter i pezzetti della domanda strap­pata e stringe con effusione le mani di Levisky) Congratulazioni signor direttore generale

 

Levisky                         - No, caro Richter. Io resto sem­pre Levisky per lei... anzi, per te.

Richter                          - Ai tuoi ordini. (Si stringono la mano).

Presidente                     - Allora, signori miei, possiamo cominciare la partita. (Si avvia con Hornig).

Marianna                       - E io intanto provvedo per il tè. (Si avvia verso il fondo e passando fa una ca­rezza a Levisky. Esce).

Hornig                           - Vieni, Richter.

Richter                          - Subito. Dico una parola a Tibi...

Hornig                           - Sbrigati. Diamo le carte... (Via col Presidente. In tutta questa scena e in quella che segue, Walter si tiene un po' appartato).

Levisky                         - Dunque, caro Richter?

Richter                          - Quella casa a Csaba, e quel pic­colo pezzo di terra... volevo pregarti...

Levisky                         - Sta tranquillo.

Richter                          - ...Ma il mese scorso...

Levisky                         - Ogni tuo desiderio sarà sod­disfatto. Provvedo subito: so tutto.

Richter                          - (stupito) Sai tutto?

Levisky                         - Il direttore generale deve saper tutto.

Hornig                           - (di dentro) Sbrigati, schiappino.

Richter                          - Hai ragione, grazie. (Nell'entrare a sinistra, passa davanti a Walter. Col gesto e il tono di chi saluta una persona per sempre) Addio Walter.

Levisky                         - (accende una sigaretta. Breve pausa) Scriva, Walter.

Walter                           - (abbattuto) Ai suoi ordini.

Leviski                          - (fa su e giù e detta indicando il tac­cuino col dito) Il dottor Carmelo Horvath, segretario del Presidente, cessa dall'aspettativa e riprende le sue funzioni.

Walter                           - ... funzioni...

Levisky                         - (c. s.) Il signor Richter, da do­mani, è trasferito alla succursale di Csaba.

Walter                           - (alza la testa) Però...

Levisky                         - Nessuna osservazione. Scriva!

Walter                           - (guarda verso la porta da dove è uscito Richter) ...trasferito a Csaba!

Levisky                         - Per ora, non c'è altro. Può an­dare.

Walter                           - (mette in tasca il taccuino) Scusi, signor direttore. Avrei anche io una domanda da rivolgerle.

Levisky                         - Sentiamola.

Walter                           - Non mi faccio illusioni sulla mia sorte... quindi chiedo di essere messo in pen­sione.

Levisky                         - (lo guarda. Breve pausa) No, lei rimane al suo posto. Io, il direttore generale, voglio farlo sul serio. (A Walter, piano) La ban­ca ha bisogno di un mascalzone della sua forza! (Mentre Walter si inchina profondamente, cala il sipario).

FINE