8 scenette

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8SCENETTE

di  Mario Pozzoli

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A L   B U I O

Ripresa scherzosa di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Statua

Lui

Lei

(è notte fonda. Un giovanotto attende vicino al monumento in un giardino pubblico)

STATUA-              Che luce viene da quella parte?

LUI-                       Di là v’è l’oriente ed Elena è il sole. Sorgi bel sole e uccidi l’invidiosa luna, perché tu sei tanto più luminoso di lei. Eccola che arriva e i suoi occhi paiono stelle.

(Lui guarda da una parte e Lei entra dall’altra, di corsa, ansante, perché probabilmente in ritardo. Si getta fra le sue braccia. Si baciano. Intanto:)

STATUA-              (aulico) Elena è il sole, ma qui c’è sempre buio.

LEI-                        (un lungo sospiro) Non scorgevo mai l’istante d’esser qui con te. Ma tu, dimmi, come sei venuto?

LUI-                       In auto, angelo di luce!

LEI-                        Ma... e il blocco delle auto! Come hai fatto? E se i vigili t’avessero fermato?

LUI-                       Sono volato sopra le strade, ché nessun blocco stradale può chiudere la via della mia passione. Tutto ciò che amore osa è lecito all’amore.

LEI-                        Ma se ti avessero visto? Quale rischio, amore mio! Le multe sono salate!

LUI-                       V’è più pericolo negli occhi tuoi che in tredici pattuglie loro. E la notte mi nascose con il suo manto. Oh, mia gioia, ma se tu non mi ami, lascia pure che mi multino, che mi arrestino, che mi uccidano. Morire così è meglio che vivere implorando il tuo amore.

LEI-                        Che dici? Se la notte non celasse il mio volto, tu lo vedresti in estasi, perché io sono vicina a te.

LUI-                       Anch’io, accanto al tuo cuore, perdo il senso della vita che mi circonda. Se fossi cieco, non appena il tuo respiro mi raggiungesse, ti riconoscerei tra mille e mille.

LEI-                        Mio caro amore. Solo il calore della tua mano sui miei occhi mi basta per sapere che tu sei il mio amore.       (un bacio; intanto:)

STATUA-              Che amore, che passione, che ardore!

LUI-                       Ti giuro... sulla benedetta luna che inargenta la cima di questa statua...

LEI-                        Oh no, non giurare sulla luna, sull’incostante luna, che ogni mese si muta, a meno che il tuo amore sia altrettanto mutevole e tu voglia abbandonarmi per un’altra.

LUI-                       Mai avverrà ciò che le tue labbra hanno pronunciato! Ma allora, su cosa devo giurare? Come devo giurarti tutto il mio amore?

LEI-                        Non giurare affatto. Oh Paolo, Paolo, ma perché sei tu Paolo? Rinnega il tuo nome. Che cos’è un nome? Non è la mano, non il braccio, non è il volto né qualsiasi altra parte d’un corpo umano. Prendi un altro nome! Cosa v’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa non perderebbe il suo profumo se avesse un altro nome. E così Paolo; anche se non si chiamasse Paolo, resterebbe perfetto. Paolo, lascia andare il tuo nome; e pel tuo nome, che non è parte di te, prendi tutta me stessa.

LUI-                       E allora chiamami “amore” e sarò ribattezzato. Da questo istante non sarò più Paolo. (pausa) Però, scusa, Elena, guarda che io non sono Paolo. Io sono Giovanni.

LEI-                        Oh Giovanni, Giovanni, ma perché sei tu... Giovanni?! Non sei Paolo?! (si discosta leggermente)

LUI-                       No.

LEI-                        Giovanni?! E chi è Giovanni?

LUI-                       Io! Io, sono Giovanni.

LEI-                        Tu sei Giovanni e non sei Paolo...

LUI-                       No, Elena, mio amore, mia vita.

LEI-                        Che errore! Le tenebre mi indussero in errore: non sei Paolo, ma sei Giovanni... Giovanni...   Giovanni! A proposito, io non sono Elena, io sono Maria!

STATUA-              E’ bene non fidarsi del buio. Soprattutto negli incontri amorosi. Accertarsi dell’esatta identità del proprio partner per evitare pericolose gaffe.

F  I  N  E

Questo testo è tutelato dalla SIAE.

C E R C A S I   F A M I G L I A

Scena macabra di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Lord

Lady

Battista

Carlotta

Giorgina

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(Lord è seduto e legge. Sul tavolo ci sono un vaso con un mazzo di rose e un candelabro d’argento con inserite delle candele nuove. Entra Lady. Guarda il tavolo. Si avvicina scontenta. Strappa i fiori dai gambi e li getta, poi risistema i gambi nel vaso. Toglie le candele nuove dal candelabro e le sostituisce con altre già usate e spezzate a metà in modo che pendano chi da una parte e chi dall’altra. Ora Lady guarda tutta la sua opera molto soddisfatta. Si siede e inizia a ricamare, magari un piccolo teschio)

LORD-                  (tossisce) Pare che questa mattina la mia tosse vada meglio.

LADY-                   Certo, mio caro, ti sei allenato tutta la notte!

LORD-                  Mi spiace.

LADY-                   Devi deciderti a fare qualcosa. Di notte in questo castello non si riesce più a

dormire: prima il fantasma, poi la tua tosse, ora ci si mette anche Battista!

LORD-                  Battista?

LADY-                   Certo mio caro, tutte le sere, quando andiamo a letto, Battista si ubriaca in modo indecente e poi passa tutta la notte schiamazzando lungo i corridoi.

LORD-                  Che strano! Io non mi sono mai accorto di nulla.

LADY-                   E’ perché quando dormi, non ti svegliano neppure le cannonate, mio caro.

(pausa)

LORD-                  Oggi stesso andrò dal dottore per questa mia tosse notturna. Immantinente parlerò con Battista per gli schiamazzi. Per il fantasma, mia cara, non so cosa potrei fare. (suona il campanello)

BATTISTA-           (entra) I signori mi hanno chiamato?

LORD-                  Sì, Battista, volevo parlare qualche minuto con lei.

BATTISTA-           Dica pure, Milord.

LORD-                  Ho saputo che in questi ultimi tempi  lei si abbandona un po’ troppo agli eccessi dell’alcool.

BATTISTA-           Purtroppo è vero, Milord.

LORD-                  Sono rattristato da questo suo deplorevole comportamento.

BATTISTA-           Milord, vi chiedo scusa. Cercherò in avvenire, per quello che è nelle mie capacità, di trattenermi il più possibile.

LORD-                  Bene, bravo Battista.

BATTISTA-           Posso andare, Milord?

LORD-                  Sì. (un attimo) Battista!

BATTISTA-           Dica, Milord.

LORD-                  Ancora una cosa: vorrei comunicarle che in fondo se lei si lascia condurre per mano da Bacco, non è un problema che riguarda la mia persona e quella di Milady, dato che questo fatto non ostacola minimamente le sue mansioni, che lei svolge sempre in modo impeccabile.

BATTISTA-           Grazie, Milord.

LORD-                  Il fatto che ci indispone è che di notte, in preda ai fumi dell’alcool, lei si diverta, cantando a squarciagola, a spingere lungo i corridoi il carrello portavivande, sul quale ha preso posto uno dei suoi compagni di bagordi.

BATTISTA-           Sono confuso, Milord, non so come scusarmi; farò in modo che il fatto non si ripeta ulteriormente.

                               (pausa)

LORD-                  C’è però una cosa che non capisco.

BATTISTA-           Dica, Milord.

LORD-                  Non riesco a spiegarmi come mai io dalla mia camera non abbia mai sentito nulla.

BATTISTA-           (si china verso Lord) Consiglierei a Milord di non approfondire l’argomento.

LORD-                  No, Battista, approfondiamo! Se lei ha una spiegazione del fatto, la prego di rendermene edotto.

BATTISTA-           Se Milord insiste, posso senz’altro spiegarle perché lei dalla sua camera non si accorga mai di nulla.

LORD-                  Dica, Battista.

BATTISTA-           Gli è che, mentre io, cantando a squarciagola, spingo il carrello portavivande lungo i corridoi, il signore (si avvicina a Lord, per non farsi sentire dalla moglie) non è nella sua camera.

LORD-                  (sorpreso) Ah no!? E dove sono dunque?

BATTISTA-           Sul carrello portavivande, signore!

LORD-                  Va bene, va bene. Vada, Battista, vada!

BATTISTA-           Grazie, Milord. (esce)

(pausa)

LADY-                   Caro, dici che tornerà?

LORD-                  Penso di sì, purtroppo.

LADY-                   Oh no... mi sento svenire...                      

CARLOTTA-        (entra e vede la madre) Mamma, non stai bene?

LADY-                   No... no... non è niente mia cara; stavo pensando che è: QUASI ORA DI CENA!

CARLOTTA-        (terrorizzata) Oh, mio Dio! Tornerà, vero mamma?

LADY-                   Sì, mia cara, tornerà.

CARLOTTA-        Oh, mamma... (non si sente bene)

LORD-                  Gli farò ancora dire di ripassare.

CARLOTTA-        Grazie, papà.

LADY-                   Vado a dare ordini per la cena. (esce)

CARLOTTA-        (si siede, prende in mano il ricamo della madre e lo guarda) Papà.

LORD-                  (riprende il giornale) Dimmi cara.

CARLOTTA-        Quando hai sposato la mamma, eri innamorato di lei?

LORD-                  Molto.

CARLOTTA-        Dev’essere bello innamorarsi di una persona e poi poterla sposare.

LORD-                  (depone il giornale) Carlotta, dimmi: ti sei innamorata?

CARLOTTA-        No, papà.

LORD-                  Mia cara ragazza devi guardarti un po’ in giro. Possibile che fra tutti i giovani che frequentano la nostra casa non ce ne sia uno che abbia attirato il tuo interesse?

CARLOTTA-        Papà, devo essere sincera con te; a volte, sai, ho l’impressione di essere diversa, diversa da tutte le altre ragazze.

LORD-                  Perché dici questo?

CARLOTTA-        Perché tutto quello che mi piace o ingrassa o è già sposato!

                               (Battista entra e prepara la tavola)

LORD-                  Capisco, mia cara, capisco. Però se tu fossi già sposata, non avremmo questo grosso problema che ci assilla.

CARLOTTA-        Ma non si può dire di no?

LORD-                  Mia cara, sai bene che a suo tempo ho dato la mia parola, e un Lord del mio pari non può che mantenerla.

CARLOTTA-        (ha un mancamento) Oh no... papà!

LORD-                  (la rincuora) Su, su, coraggio! Lo vedi che io cerco di rimandare il più possibile, ma tu dovresti riuscire a trovare un’anima gemella, o almeno un’anima cugina! E per far questo, mia cara, bisogna amare, amare gli altri, amare se stessi, amare la vita. Solo se si ama, si trova chi ti ama. Se sei triste, noiosa, arida, la gente ti fuggirà sempre come la peste.

(pausa)

CARLOTTA-        Papà, sai una cosa? Se io mi innamorassi di un uomo e lui si innamorasse di me e poi ci sposassimo, non sarei completamente felice, perché un’ombra offuscherebbe la mia gioia: andarmene da questa casa, da te, da Giorgina e soprattutto dalla mamma, alla quale sai sono molto legata.

LORD-                  Lo so, lo so. Però per mamma un rimedio ci sarebbe: potresti portarla con te!

GIORGINA-          (subito entra di corsa, trafelata) Papà! Papà!

LORD-                  Giorgina! Ricomponiti! Che maniere sono? Quando imparerai a comportarti come una signorina?

GIORGINA-          Hai ragione, ma ho una notizia sensazionale.

LORD-                  Va bene. Sentiamo questa notizia sensazionale. Ma mi raccomando: controlla il tuo fisico e le tue reazione emotive.

GIORGINA-          (si adegua e cerca di parlare con calma) Caro papà, questa mattina a scuola c’è mancato pochissimo che prendessi un bel dieci in matematica.

LORD-                  Un dieci in matematica? Tu? Possibile?

GIORGINA-          Sì, c’è mancato proprio poco, perché l’ha preso la mia vicina di banco!

BATTISTA-           Signori, la cena è servita.

CARLOTTA-        Ho paura!

LORD-                  Su, Carlotta, sìi uomo! (si avvede della gaffe) Va beh! (si siede a tavola con Giorgina e Carlotta. Rivolto a Battista) E Milady?

BATTISTA-           Sta guardando se arriva la persona di cui tutti sappiamo.

LADY-                   (entra) Non si vede nessuno. Forse questa sera non verrà. (si siede)

CARLOTTA-        Speriamo

(Battista esce. Silenzio, solo rumore di piatti)

GIORGINA-          Mamma, non voglio mangiare l’uovo!

LADY-                   Giorgina, mangia l’ovetto, che ti fa tanto bene.

GIORGINA-          (un attimo e poi) Mamma! Ma non è fresco!

LORD-                  Giorgina, quando c’è da mangiare l’uovo, trovi sempre delle scuse. Su, mangialo senza tante storie!

GIORGINA-          (sconsolata) Va bene, papà.

                               (silenzio, solo rumore di piatti)

GIORGINA-          Mamma, l’ho finito. Ma devo mangiare anche le zampine?

                               -CAMPANELLO

                              

(tutti hanno una reazione di spavento: Lord inghiottisce di traverso e tossisce; Carlotta sviene; Lady batte la forchetta sul piatto come tremando)

GIORGINA-          Mamma, ho paura!

BATTISTA-           (entra; è tremante e spaventato) Milord, il principe Adolfo è tornato. Insiste per ottenere, come nei patti, la mano della contessina vostra figlia.

CARLOTTA-        (terrorizzata) Noooo...!

LADY-                   Caro...

LORD-                  Battista dica a sua altezza che ripassi domani.

BATTISTA-           Sarà fatto, milord. (esce)

                               (riprendono a mangiare)

BATTISTA-           (entra) Milord, sua Altezza il principe Adolfo insiste perché manteniate la promessa fatta a suo tempo e quindi PRETENDE di avere la mano della contessina vostra figlia.

CARLOTTA-        (sviene)

LORD-                  (si alza, la soccorre e poi deciso) E va bene. Carlotta, su! (le dà qualche buffetto sulle guance) Dai, Carlotta.

CARLOTTA-        Papà...

LORD-                  Carlotta, vieni. (escono. Carlotta  è sorretta dal padre)

                               (silenzio. Dopo pochi istanti si ode un colpo sordo e un urlo straziante di donna. Battista si morde le mani e Giorgina corre dalla mamma che vacilla sulla sedia)

LORD-                  (rientra con un pacchetto di carta di giornale sporco di sangue)  Battista!

BATTISTA-           Dica, Milord.

LORD-                  Battista, dica a sua altezza il principe Adolfo, che ho onorato la promessa da me fattagli anni fa. Consegnategli pure (gli dà il pacchetto) la mano di mia figlia, per il resto dica a sua altezza di ripassare domani.

F  I  N  E

Questo testo è tutelato dalla SIAE.

D O M A N D A   D I   M A T R I M O N I O

Scherzo brillante di Anton Cechov

Traduzione, riduzione ed elaborazione di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Stepan Stepànovic Cùbukov

Ivan Vasìl’evic Lòmov

Natàl’ja Stepànovna

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scena  1

(Cùbukov parla con uno o più spettatori, quando entra Lòmov in gran tenuta da cerimonia)

CUBUKOV-     Ehu! Ma guarda chi si vede! Ivan Vasìl’evic! Il mio vicino. Le sue terre confinano con le mie. Buona famiglia, eh! Ottimo giovane. (gli si fa incontro)

Ivan Vasìl’evic, carissimo! Che bella sorpresa!  Che piacere, eccetera, eccetera. (lo abbraccia e lo bacia tre volte) Come sta, mio caro?

LOMOV-               Molto bene. E lei, piuttosto, come sta, Stepan Stepànovic?

CUBUKOV-         Tiriamo avanti, angelo mio, grazie al cielo. Ma si accomodi, per cortesia. (lo guarda bene) Carissimo, perché tutte queste formalità? L’abito scuro, i guanti, eccetera, eccetera? Va forse a far visita a qualcuno, amico mio?

LOMOV-               No, sono venuto soltanto da lei, egregio Stepan Stepànovic.

CUBUKOV-    Ma allora perché vestito così, anima mia? Mica siamo agli auguri di capodanno!

LOMOV-               Adesso le spiego. Sono qui a disturbarla, egregio Stepan Stepànovic, perché avrei un favore da chiederle... Potrei bere un po’ d’acqua? Sono nervoso. (intanto che Lòmov si versa dell’acqua e beve:)

CUBUKOV-         Prego, prego. E’ lì sul tavolo. E’ bella fresca. L’abbiamo appena presa dal pozzo.    (a parte) E’ venuto a chiedere dei soldi. Ma niente da fare!

(a lui) Di che si tratta, bello mio?

LOMOV-               Dunque, Stepan Egrégiovic, pardon, egregio Stepan Stepànovic... Mi scusi, sono terribilmente nervoso...

CUBUKOV-         Lo vedo! Dica, dica! Coraggio!

LOMOV-               Sì, subito! Il fatto è che sono venuto a chiedere la mano di sua figlia, Natàl’ja Stepànovna.

CUBUKOV-         (con gioia) Ivan Vasìl’evic! Tesoro caro! (un attimo) Ripeta ancora una volta, non ho sentito bene!

LOMOV-               Ho l’onore di chiedere...

CUBUKOV-         Carissimo! Come sono contento, eccetera, eccetera. Già, proprio così. (lo abbraccia e lo bacia) Non desidero altro. (qualche lacrima) A lei, angelo mio, ho sempre voluto bene come a un figlio... Ma io sto qui come un citrullo. Vado a chiamare Natascia. Che Dio vi benedica, eccetera, eccetera. (va)

LOMOV-               Dice che posso contare sul consenso di sua figlia?

CUBUKOV-         Ma via! Un bell’uomo come lei! Natascia non dovrebbe acconsentire? Sarà innamorata come una gatta. Torno subito. (esce)

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scena  2

LOMOV-       (passeggia su e giù, molto agitato) Tremo tutto come prima di un esame. Natàl’ja Stepànovna è bravissima ad amministrare la casa; non è brutta e ha una cultura... Cosa posso desiderare di più? D’altra parte è ora che anch’io mi sposi. Ho già trentacinque anni. E in secondo luogo ho bisogno di una vita ordinata e regolare. (si siede)  La cosa principale è questa: bisogna decidersi. Se ci si riflette troppo, se si fanno troppe chiacchiere, se si sta ad aspettare l’ideale o il vero amore, non si prende mai moglie.

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scena  3

NATAL’JA-           (entrando, è sorpresa) Oh bella! E’ lei! Papà mi aveva detto che era venuto uno per fare un contratto. Buongiorno, Ivan Vasìl’evic!

LOMOV-               (che si era alzato) Buongiorno, egregia Natàl’ja Stepànovna!

NATAL’JA-           Come mai non si è fatto vivo per tanto tempo? Si accomodi. Oggi è una giornata splendida. Ieri invece è piovuto tanto che i braccianti sono stati tutto il giorno senza fare niente. Da lei quanti mucchi di fieno hanno già fatto? (lo osserva bene) Ma come?! Lei è in abito da cerimonia! Lo sa che è proprio bello? Va a una festa da ballo?

LOMOV-               (nervoso) Vede, egregia Natàl’ja Stepànovna... Il fatto è che mi sono deciso a chiederle di ascoltarmi. Naturalmente lei si meraviglierà o forse si arrabbierà, ma io... (titubante)

NATAL’JA-           Di che si tratta? (Lòmov non si decide) Dica?

LOMOV-               Sì, certo. Lei sa, egregia Natàl’ja Stepànovna, che tra le nostre famiglie ci sono sempre stati rapporti di amicizia. Inoltre le mie terre confinano con le vostre. Ad esempio, come certamente ricorderà, il mio Prato del Bove confina col vostro bosco di betulle e quindi, da buoni vicini...

NATAL’JA-           Scusi se la interrompo. Lei ha detto: “il MIO Prato del Bove”. Ma... è sicuro che è suo?

LOMOV-               Certo che è mio! Di chi dev’essere?

NATAL’JA-           Questa poi! Il Prato del Bove è nostro, non suo!

LOMOV-               Nossignore, egregia Natàl’ja Stepànovna, è mio.

NATAL’JA-           Ma senti che novità! Come fa ad essere suo?

LOMOV-               Guardi che io sto parlando del Prato del Bove che entra a cuneo tra il vostro bosco di betulle e la Palude bruciata.

NATAL’JA-           Sì, sì, proprio quello. E’ nostro, lo sanno tutti!

LOMOV-               No, si sbaglia, è mio.

NATAL’JA-           Siamo seri, Ivan Vasìl’evic! Da quando è diventato suo?

LOMOV-               Come da quando? Fin da quando mi ricordo. E’ sempre stato della mia famiglia.

NATAL’JA-           Questa è proprio grossa!

LOMOV-               I documenti parlano chiaro, egregia Natàl’ja Stepànovna. E’ vero. Un tempo il Prato del Bove è stato in contestazione, ma adesso tutti sanno che è mio. Infatti da quando c’è stata la legge di riforma...

NATAL’JA-           Mio nonno e il mio bisnonno consideravano le terre fino alla Palude bruciata loro proprietà, quindi il Prato del Bove era nostro. Non capisco cosa ci sia da discutere. E’ persino seccante!

LOMOV-               Le mostrerò i documenti, Natàl’ja Stepànovna!

NATAL’JA-           Lei non mi mostrerà un bel niente! Mi dica: sta scherzando o vuole prendermi in giro? Possediamo questa terra da trecento anni e un bel giorno ci vengono a dire che non è nostra! Non è che mi importi di quel Prato, Sono cinque ettari in tutto, e non valgono niente, ma quello che mi indigna è l’ingiustizia. E l’ingiustizia non la sopporto!

LOMOV-               Mi ascolti, la scongiuro! I contadini del nonno di suo papà...

NATAL’JA-           Nonno, nonna... Il Prato è nostro, punto e basta!

LOMOV-               Le garantisco che è mio.!

NATAL’JA-           E’ nostro! Può parlare per due giorni di seguito, può mettersi tutti i vestiti della festa che vuole, ma il Prato è nostro, nostro, nostro!... Quel che è suo non lo voglio, ma che quel che è mio me lo voglio tenere... Sia ben chiaro!

LOMOV-               Egregia Natàl’ja Stepànovna, il Prato non mi interessa affatto, ma è una questione di principio. Potrei benissimo regalarglielo e così chiuderemmo questa discussione.

NATAL’JA-           Me lo regala!  Come fa a regalare una cosa che non è sua? Sono io che posso regalarlo a lei, perché il Prato è mio! Ivan Vasìl’evic! L’abbiamo sempre creduta un buon vicino, un amico. Le abbiamo persino imprestato la nostra trebbiatrice e lei adesso ci tratta da zingari. Mi regala la mia terra! Le è un... un... rapinatore! Un ladro!

LOMOV-               Cosa!? Signorina, io non mi sono mai appropriato delle terre di nessuno, io! Il Prato del Bove è mio!

NATAL’JA-           E’ nostro, nostro!   E glielo dimostrerò: manderò oggi stesso i miei uomini a falciarlo.

LOMOV-               Cosa! E io li caccerò a pedate!

NATAL’JA-           Come osa! E non gridi, per favore!

LOMOV-               Il Prato del Bove è mio!

NATAL’JA-           Alzi la voce a casa sua!

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scena  4

CUBUKOV-         (entrando) Cosa c’è? Perché gridate?

NATAL’JA-           Papà, spiega per favore a questo signore a chi appartiene il Prato del Bove.

CUBUKOV-         Il Prato del Bove...? E beh, il Prato del Bove è nostro, si sa! Da che mondo è mondo...

LOMOV-               Ma assolutamente no, Stepan Stepànovic, come fa ad essere vostro? Cerchi di ragionare, almeno!

CUBUKOV-         Permetta, carissimo, lei dimentica che i contadini di mia nonna, eccetera, eccetera, quindi: è nostro.

LOMOV-               (urla) Io le dimostrerò che è mio!

CUBUKOV-         Perché gridate tanto, anima mia? Gridando non dimostra niente.

LOMOV-               Dice che la terra è sua e poi non vuole che io perda la calma. Non ci si comporta così tra buoni vicini. Ma lei non è un vicino, lei è un usurpatore!

CUBUKOV-         Cosa ha detto!?

NATAL’JA-           Papà, manda subito a falciare il Prato! Il prato del Bove è nostro e su questo non cedo, non cedo!

CUBUKOV-         Usurpatore a me?

LOMOV-               La vedremo! Vi dimostrerò in tribunale che è mio!

NATAL’JA-           In tribunale! Ecco, lei non aspetta altro che l’occasione per far cause. Attaccabrighe che non è altro!

CUBUKOV-         E’ vero. Tutta la sua famiglia ha nel sangue il litigio...

NATAL’JA-           Tutti, tutti, tutti!

LOMOV-               Prego non offendere la mia famiglia. Noi siamo sempre stati gente onesta! Non come suo zio che è finito in tribunale per peculato.

CUBUKOV-         E tutti i Lomov erano pazzi!

NATAL’JA-           Tutti, tutti, tutti!

LOMOV-               Suo nonno beveva come una spugna!           

CUBUKOV-         Non è vero!

NATAL’JA-           E sua zia minore è scappata con un architetto.

LOMOV-               E sua nonna era sciancata!

CUBUKOV-         Che maleducato!

LOMOV-               (si porta una mano al cuore) Oddio! Provo una fitta!... Oddio!... Dell’acqua!

NATAL’JA-           E suo padre giocava a carte e correva dietro a tutte le contadine!

CUBUKOV-         Me lo ricordo benissimo!

LOMOV-               Non sento più la gamba sinistra...

NATAL’JA-           E sua madre era una pettegola come poche!

CUBUKOV-         Parole sante, ragazza mia, parole sante!

LOMOV-               Oh, il cuore! Mi balla la vista... Da che parte devo andare? (va barcollando)

CUBUKOV-         Che bassezza! Che squallore!

LOMOV-               Non vedo più niente Dov’è la porta? (esce)

NATAL’JA-           Lei è un essere velenoso, perfido, ipocrita! E non metta più piede in casa mia!

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scena  5

CUBUKOV-         Al diavolo! (cammina agitato)

NATAL’JA-           Che mascalzone!

CUBUKOV-         E questa canaglia, dunque, ha il coraggio di venire a fare una domanda, eccetera, eccetera! Bella questa! Una domanda!

NATAL’JA-           Una domanda? Quale domanda?

CUBUKOV-         Quel buffone era venuto per farti la domanda di matrimonio. (si siede)

NATAL’JA-           La domanda di matrimonio? A me? E perché non l’hai detto prima?!

CUBUKOV-         Ma non l’hai capito? Per questo era vestito alla festa, il citrullo!

NATAL’JA-           A me? La domanda di matrimonio? Ah! (cade su una poltrona e geme) Fatelo tornare! Ah! Fatelo tornare!

CUBUKOV-         Far tornare chi?

NATAL’JA-           Presto! Presto! Sto male... Fatelo tornare!

CUBUKOV-         (si alza) Che vuol dire “Fatelo tornare?”  Ma se gli hai appena detto di non mettere mai più piede, eccetera, eccetera!

NATAL’JA-           Muoio!

CUBUKOV-         Accidenti, smettila!

NATAL’JA-           Fatelo tornare! Ivan Vasil’evic! Sto male!

CUBUKOV-         Sì, va bene, va bene! (esce)

NATAL’JA-           Che abbiamo fatto! Vuol farmi la domanda e noi... Oddio, che abbiamo fatto!?

CUBUKOV-         (rientra) Ritorna, eccolo. Ma ci parli tu. Sia chiaro! (va) Oh Signore! Che croce una figlia da marito! Mi ammazzo! Parola d’onore, mi ammazzo! (esce)

scena  6

LOMOV-               (entra) Che terribile palpitazione... la gamba è di piombo...

NATAL’JA-           Scusi, Ivan Vasìl’evic, abbiamo un poco ecceduto.

LOMOV-               Mi batte il cuore...

NATAL’JA-           Adesso ricordo: il Prato del Bove è suo!

LOMOV-               Il Prato è mio? Mi manca il respiro!

NATAL’JA-           Ma si accomodi. (si siedono) Si accomodi. (a parte) Cosa gli dico, adesso? Non so come incominciare. Coraggio! (a lui) Quando pensa di andare a caccia?

LOMOV-               Spero presto. Appena il mio cane Azzecca, che lei sicuramente conosce, avrà smesso di zoppicare.

NATAL’JA-           Che peccato! Come mai?

LOMOV-               Deve aver preso una slogatura. (sospira) Pensare che è il miglior cane che ci sia in giro. Con quello che mi è costato: cento rubli!

NATAL’JA-           Ma pensa! Papà per il nostro Acchiappa ha dato solo cinquanta rubli, e sì che Acchiappa è molto meglio del suo Azzecca!

LOMOV-               Acchiappa meglio di Azzecca? (ride) Ma cosa dice?

NATAL’JA-           Che è meglio. E’ giovane, ma per proporzioni e scioltezza non lo batte nessuno.

LOMOV-               Scusi tanto, egregia Natàl’ja Stepànovna, ma lei dimentica che è corto di mandibola e quindi avrà sempre poca presa.

NATAL’JA-           Corto di mandibola? E’ la prima volta che la sento! Innanzitutto, il nostro Acchiappa è di buona razza, mentre il suo non si capisce di che razza sia. E poi è vecchio, e brutto come il peccato.

LOMOV-               E’ vero, non è giovane, ma non lo cambierei certo con il suo, che non vale nemmeno due rubli.

NATAL’JA-           A lei, Ivan Vasìl’evic, piace fare il bastian contrario. Prima racconta che il Prato del Bove è suo, ora dice che il suo Azzecca e migliore del mio Acchiappa!

LOMOV-               E’ vero!

NATAL’JA-           Non è vero!

LOMOV-               E invece sì!

NATAL’JA-           Come può affermare una balordaggine del genere!?

LOMOV-               Perché grida, signorina?

NATAL’JA-           Perché lei dice sciocchezze! Come fa a tirar fuori in così poco tempo tante idiozie?

LOMOV-               Signorina, la prego, stia zitta! Il mio cuore scoppia!

NATAL’JA-           Non starò zitta finché lei non riconoscerà che Acchiappa è cento volte meglio del suo Azzecca!

LOMOV-               Cento volte peggio!

NATAL’JA-           Meglio!

LOMOV-               Peggio!

                               (ad libitum)

______________________________________________________________________

scena  7

CUBUKOV-         (entra) Ehu, ma insomma! Non se ne può più! Che urla! Cosa c’è ancora?

NATAL’JA-           Papà! Di’ sinceramente, in tutta coscienza, quale cane è il migliore: il nostro Acchiappa o il suo Azzecca?

LOMOV-               Egregio Stepan Stepànovic, io sono...

CUBUKOV-         Non si agiti, carissimo, che poi le vengono le palpitazioni, eccetera eccetera. Si sieda tranquillo, così.  (pensa un attimo) Il suo Azzecca, dunque, ha le sue buone qualità, eccetera, eccetera. Ma questo cane, se lo vuole sapere, ha due difetti terribili: è vecchio e di muso corto.

LOMOV-               La gamba non me la sento più...

CUBUKOV-         Ehu, ma insomma! Non appena, dunque, si accorge che un cane di un altro è migliore del suo Azzecca, subito comincia a star male, eccetera, eccetera?

LOMOV-               Ho una palpitazione al cuore...

NATAL’JA-           “Ho una palpitazione al cuore...”! Ma che razza di cacciatore è mai? Dovrebbe starsene a letto, al caldo... “Ho una palpitazione al cuore...”

CUBUKOV-         E’ vero! Stia a casa invece di ballonzolare qua e là su una sella!

LOMOV-               Lei va a caccia solo per entrare nelle grazie del conte e combinare intrighi...

CUBUKOV-         Cosa dice?

LOMOV-               Il mio cuore!... Lei è un intrigante!

CUBUKOV-         Cosa? Io un intrigante?

LOMOV-               Intrigante!

CUBUKOV-         Moccioso! Sbarbatello!

LOMOV-               Vecchio bacucco!

CUBUKOV-         (prende un oggetto per darglielo in testa)

NATAL’JA-           Sta’ zitto, se no prendo il fucile e ti impallino come una pernice! Balordo!

CUBUKOV-         Brava!

LOMOV-               O mio Dio! Lo sanno tutti che sua madre buonanima picchiava suo padre!

CUBUKOV-         Mia moglie mi picchiava!?

NATAL’JA-           E tu ti lasci mettere sotto i piedi della tua governante!

CUBUKOV-         Sì, sì, sì, sotto i piedi! (va a bere)

LOMOV-               Ecco... mi è scoppiato il cuore! Non mi sento più la spalla! Dov’è la mia spalla? Un dottore! (cade su una poltrona e sviene)

CUBUKOV-         Moccioso! Bamboccio! “Un dottore!” “Un dottore!”

NATAL’JA-           Ma come fa lei a tenersi in sella...? (lo guarda) Papà! Cos’ha? Papà! Guarda, papà! (strilla) Ivan Vasìl’evic! E’ morto! (lo scuote per una manica) Ivan Vasìl’evic! Cosa abbiamo fatto! E’ morto! (cade su una sedia, sviene) Papà!

CUBUKOV-         Natascia, cos’hai?

NATAL’JA-           (gemendo) E’ morto!

CUBUKOV-         Chi è morto? (guarda Lòmov) Santo cielo, è morto davvero!

Dell’acqua! Beva!... Non beve... Allora è proprio morto, eccetera, eccetera. (depone il bicchiere)  Come sono disgraziato! Proprio adesso che ero riuscito a piazzare mia figlia! Perché non mi sono ancora tirato un colpo di pistola? Datemi un coltello! (Lòmov si muove) Ritorna in vita, sembra... Beva un po’ d’acqua... così...

LOMOV-               Dove sono? E’ tutto nebbia...

CUBUKOV-         Non ne posso più! Sposatevi al più presto e andate al diavolo! Mia figlia è d’accordo. (congiunge le loro mani) Io vi benedico, eccetera, eccetera. Ma lasciatemi in pace!

                               (i due si alzano insieme)

LOMOV-               Cosa?... Chi?

CUBUKOV-         Lei è d’accordo. Baciatevi e... facciamola finita!

NATAL’JA-           E’ vivo... Sì, sì, sono d’accordo!

CUBUKOV-         Baciatevi!

LOMOV-               Chi? Dove? (la bacia) Molto lieto... Scusi, di che si tratta... Ah sì, sono felice, Natàl’ja Stepànovna...

NATAL’JA-           Anch’io sono felice...

CUBUKOV-         Che peso mi son tolto di dosso! Che disperazione una figlia da marito!

NATAL’JA-           Ivan Vasìl’evic, penso che saremo felici. Che ne dice?

LOMOV-               Credo di si?

NATAL’JA-           Ivan Vasìl’evic... senta, sia sincero però, lo ammetta almeno adesso: Azzecca è peggio di Acchiappa, vero?

LOMOV-               E’ meglio!

NATAL’JA-           E’ peggio!

CUBUKOV-         Ecco, comincia la felicità domestica !

LOMOV-               E’ meglio!

NATAL’JA-           Peggio! Peggio! Peggio!

CUBUKOV-         Champagne! Champagne per tutti.  (li spinge fuori) Che pazienza! Per la pazienza che porto dovrebbero farmi un monumento, un monumento dovrebbero farmi, eccetera, eccetera! (esce)            

F  I  N  E

Questo testo è tutelato dalla SIAE.

L A   L O T T E R I A

Scherzo fantastico di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Genovese

Santa Genoveffa

_____________________________________________________________________

(siamo in una chiesa. In una nicchia, su un piedestallo c’è Santa Genoveffa che, come una statua, resterà immobile fino a quando dovrà parlare. Davanti a lei un inginocchiatoio, candele accese, etc)

GENOVESE-        (entra, si segna e si genuflette. Si dirige verso l’altare principale e li si ferma. Di nuovo si segna)

Signore, eccomi qui. Oggi è il 31 dicembre e come ogni anno vengo a ringraziarti. Ti ringrazio innanzitutto perché i miei affari, qui nella mia adorata Genova, vanno bene. Poi ti ringrazio perché in famiglia c’è armonia e la salute è buona.  (pausa)

Signore, poiché io cerco di fare sempre il mio dovere di padre e di marito; poiché non faccio del male a nessuno e ad ogni festa mi ricordo di venire alla santa Messa, spero... ehm... vorrei dire: sono quasi sicuro che la tua benedizione scenderà copiosa su di me e su tutta la mia famiglia. Amen.

                               (si segna, si genuflette e si porta davanti all’altare di  santa Genoveffa. Lì si inginocchia sull’inginocchiatoio e si segna di nuovo)

                               Santa Genoveffa, come ogni fine anno, ringrazio te, come ho ringraziato il nostro Signore, di tutte le cose buone che ho avuto. Santa Genoveffa, tu sai che sei sempre stata la mia santa preferita, ma quest’anno, scusami tanto, masono un po’ arrabbiato con te, e un po’ tanto!

(ora con un tono di voce arrabbiato)

                               Ma come? E’ da una vita che tutti gli anni ti chiedo la grazia di farmi vincere il primo premio della lotteria  e tu niente!   (ora più dolce)

                               Santa Genoveffa, siamo sinceri, tu non sei una santa molto conosciuta e se un tuo devoto come me vincesse il primo premio della lotteria sarebbe un grosso affare anche per te, sai? Pensa che pubblicità ti faresti! Diventeresti più famosa di San Gennaro.

(pausa. Sconsolato)

                               Sai, penso che qui i casi siano due: o tu non mi stai ad ascoltare o non riesci a farmi questa piccolissima grazia, perché tutto sommato non sei quella gran santa che pensavo. (china il capo e così rimane fino alla fine)

S.GENOVEFFA- (dopo un attimo di silenzio)

E io invece ti ascolto, caro il mio figliolo, eccome se ti ascolto! Non ho nient’altro da fare!

Vedi, come tu stesso hai detto, io non sono una gran santa, ma questa “piccolissima” grazia, che poi tanto piccola non è!, con un po’ d’impegno, dovrei riuscire anche a fartela. Ma, benedetto figliolo, devi cercare di aiutarmi! Devi darmi una mano, se no addio!

Io ce la metto tutta, ma come posso farti vincere se tu, avaraccio d’un avaraccio!, non compri mai un biglietto?

F  I  N  E

Questo testo è tutelato dalla SIAE.

L’  E R E D I T A’

Scena tragicomica di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Zia

Maria

Alice

Chiara

Antonia

______________________________________________________________________

(Zia è già in scena, seduta su una poltrona. E’ malata e in fin di vita. Si lamenta. Maria vive insieme alla zia. Alice e Antonia nella stessa città.)

MARIA-                (entra) Zia. (si avvicina) Soffri? (la zia si lamenta; Maria l’accarezza e dopo un attimo, zia si addormenta)

CHIARA-              (entra, ma rimanendo sull’uscio) Maria... Maria!

MARIA-                Chiara! Ciao, sei arrivata finalmente!

CHIARA-              Ho preso il primo aereo.

MARIA-                La zia ha chiesto spesso di te.

CHIARA-              Come va?

MARIA-                Soffre molto.

CHIARA-              Ma il dottore cosa dice?

MARIA-                Cosa vuoi che dica? Lui stesso non riesce a capire come fa ad essere ancora viva.

ALICE-                 (entra. Era già in casa) Ciao Chiara.

CHIARA-              Alice! (l’abbraccia)

ALICE-                 (rivolta a Maria) Hai visto come sta?

MARIA-                Si è addormentata.

CHIARA-              E’ la voglia di vivere che ha sempre avuto che la tiene in vita.

ALICE-                 No, Chiara, la zia non è più quella di una volta. Proprio ieri in un momento di lucidità, mi ha detto che è stufa di soffrire e che non vede l’ora che il buon Dio... e invece (cambia tono) non muore mai!

MARIA-                E’ il cuore; la zia ha sempre avuto il cuore forte.

CHIARA-              (una pausa) E... per il testamento? Sapete qualcosa?

ALICE-                 Abbiamo sentito il notaio. Ha detto che, finché la zia è in vita, il testamento non si può aprire.

CHIARA-              E beh, certo.

ALICE-                 E sì.

MARIA-                Mah!

CHIARA-              Il fatto è che, se la zia ha fatto qualche sciocchezza, bisognerebbe saperlo prima del... prima che il buon Dio se la tiri là con sé.

MARIA-                Beh, Chiara, ci abbiamo pensato, sai?

ALICE-                 Sì.

MARIA-                Ieri pomeriggio Antonia è andata allo studio dell’avvocato.

CHIARA-              Ah! Però la preoccupazione rimane.

MARIA-                Sai, era vestita...

ALICE-                 Vestita? Direi che non era proprio vestita!

MARIA-                Effettivamente...

ALICE-                 Sono le dieci del mattino e non è ancora tornata. Quindi, prova a immaginarti...

CHIARA-              Ho capito. Non mi preoccupo più!

ZIA-                       (si lamenta)

MARIA-                (va dalla zia e l’accarezza. Mielosa) Zietta, sono qui.

CHIARA-              (idem) Zia, sono Chiara. Hai visto che sono arrivata?

ALICE-                 (idem) Zia, stai tanto male?

ZIA-                       (si lamenta finché Antonia non entra. Poi si addormenterà)

ANTONIA-           (entra. E’ sexissima, però un po’ in disordine) Ciao ragazze.

                               (tutte e tre prontamente abbandonano la zia e si affrettano intorno ad Antonia)

CHIARA-              Ciao Antonia.

ANTONIA-           Ciao Chiara. (l’abbraccia)

ALICE-                 Allora?

MARIA-                Ce l’hai fatta?

ANTONIA-           E’ stata dura, ma alla fine... si è arreso!

ALICE-                 (tragica) Antonia, ti sei sacrificata per una giusta causa!

ANTONIA-           (abbattuta) Eh, cosa non si fa per... (euforica) 25 milioni!

CHIARA-              Venticinque!

ALICE-                 Milioni!

ANTONIA-           (sognante) Venticinque milioni di Euro!

MARIA-                Ma sei sicura!

ANTONIA-           Sicura? Sicurissima! Mi ha fatto vedere tutte le carte; poi ha fatto quattro conti e, euro più euro meno, il totale fa venticinque milioni, tondi tondi.

CHIARA-              Calma. Questo è quanto la zia possiede, ma... e il testamento?

ANTONIA-           L’ha aperto, questa notte. Non so se mi spiego...

MARIA-                Ti spieghi, ti spieghi!

ALICE-                 Ti spieghi benissimo!

ANTONIA-           A parte qualche piccolo lascito, le eredi universali siamo solo noi.

ALICE-                 (quasi tra sé) Venticinque diviso quattro...

ZIA-                       (si lamenta)

ANTONIA-           (va ad accucciarsi ai piedi della zia) Zia!

                               (le altre tre si fanno intorno alla zia)

MARIA-                (ad Alice) Mamma mia, che pena mi fa!

ALICE-                 Taci! (nel senso: “non dirlo a me”)

CHIARA-              Sarebbe meglio che il Signore la tirasse là con lui. (accarezza la zia)

MARIA-                Sarebbe meglio.

ALICE-                 Sarebbe meglio.

ANTONIA-           E sì, sarebbe PROPRIO meglio!

                               (la zia si lamenta più forte, ansima, sbuffa, etc.)

ALICE-                 E’ stufa di vivere, si vede.

ANTONIA-           Io penso che ce la sta mettendo tutta per raggiungere la pace eterna.

ZIA-                       (ansima ancora)

CHIARA-              Si sforza...

MARIA-                Dai zia, noi ti siamo vicine.

ZIA-                       (è come se stesse per morire. Quando ad un tratto ha un sussulto, spalanca gli occhi e prima indica con un dito un punto in alto e poi, giuliva)  Guardate! Una zanzara!

MARIA-                Ma insomma, zia, se ti distrai, allora è finita!

                               (e tutte e quattro se ne vanno con gesti di stizza)

F  I  N  E

Questo testo è tutelato dalla SIAE

P E S C A R E

Scena scherzosa di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Pescatore

Industriale

______________________________________________________________________

PESCATORE-      (sta pescando, stancamente)

INDUSTRIALE- (è il tipico industriale milanese, anni 60. Entra e vede il pescatore) Tel lì ancora! Uhei, marocco! Sempre a far niente, eh?

PESCATORE-      Buongiorno. Sto pescando. (gli sorride)

INDUSTRIALE- Non fare quella faccia avida, marocco, oggi non ti do un centesimo. Mi sono bel e che stufato di mantenerti a far niente.

PESCATORE-      Ogni tanto qualche lavoretto lo faccio.

INDUSTRIALE- Ehu! Qualche lavoretto! Due ore di lavoro e due mesi di riposo! Bisogna piegare la schiena, caro il mio marocco, piegare la schiena e rimboccarsi le maniche. Bisogna fare come ho fatto io. Non crederai mica che sono nato con i dollaroni in tasca, io?

PESCATORE-      Ah no?

INDUSTRIALE- No bello! Io mi sono fatto dal niente; ho fatto la fame, io!

PESCATORE-      Sì, ma cosa dovrei fare?

INDUSTRIALE- Solo una cosa: lavorare e lavorare. Dieci, dodici, quattordici ore al giorno. Lavorare e risparmiare fino all’ultima palanca. Tirare la cinghia e sgobbare, notte e giorno!

PESCATORE-      E poi?

INDUSTRIALE- Poi, mentre lavori, ti guardi in giro e magari ti capita l’occasione, che ne so?, un negozietto, un piccolo commercio.

PESCATORE-      E poi?

INDUSTRIALE- E poi e poi! Poi, quando sei nel giro, magari riesci ad entrare in una piccola fabbrichetta.

PESCATORE-      E poi?

INDUSTRIALE- E poi, se ti dai da fare, e riesci a mettere in evidenza le tue doti, il principale ti nota, ti prende al suo fianco e, se hai messo da parte qualche soldino, magari ti fa entrare in società, caro il mio fanigotto!

PESCATORE-      E poi?

INDUSTRIALE- Lavori di giorno e di notte stai sveglio a pensare come aumentare i profitti. Poi, se al principale gli viene un colpo o si ritira perché è stufo, tu rilevi tutta l’azienda.  Uè, marocco! Sei diventato un capitano d’industria, te sé cuntent?

PESCATORE-      E sì, ma... e poi?

INDUSTRIALE- Come “e poi”?  Poi sei pieno di soldoni, che non sai più dove metterli. Produci, esporti, vendi. Metti sotto a lavorare  un sacco di gente.

PESCATORE-      Ah! (lo guarda, una pausa) E poi?

INDUSTRIALE- Oh insomma, marocco, mi hai già bello e che stufato con ‘sto “e poi”! Cosa devo dirti? Quando hai un sacco di gente che lavora per teee... diventi sempre più ricco ogni ora che passa!

INSIEME-             E poi?

                              

INDUSTRIALE- E poi, cara la mia bella cannetta di vetro, finalmente puoi anche riposarti.

PESCATORE-      Come?

INDUSTRIALE- Ueilà! Hai variato il vocabolario!? Cusa l’è questa botta di vita? Appena sentita la parola “riposare”, ti si sono subito drizzate le orecchie, eh? “Riposare, come” mi chiedi. Ué, ma com’è che uno si riposa? Non lavora più! Tanto semplice! Pensa, marocco, te ne stai lì, bello, beato, in panciolle e passi la tua giornata... che ne so... (lo vede nell’atto di pescare e senza pensarci) magari pescando!

PESCATORE-      (alza lo sguardo, sorpreso; poi guarda l’industriale) E io cosa sto facendo già?

F  I  N  E

Questo testo è tutelato dalla SIAE.

U N   R E G I S T A   P A R T I C O L A R E

Bizzarria comica di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Madre

Padre

Roberto

Dottore

Becchino

Regista

______________________________________________________________________

(Le battute della commedia nella commedia sono in grassetto.            Quando nel testo compare il simbolo   xxx  sostituirlo con il vero nome dell’interprete)

Lenti - Svogliati - Non sanno la parte

MADRE-               (stira ogni tanto guarda fisso nel vuoto, il tono di voce è piatto) Sono preoccupata.          

(silenzio)

MADRE-               Sono preoccupata. (silenzio)  xxx! Sono preoccupata.

PADRE-               (stava leggendo il giornale; lo abbassa) Tocca già a me?

MADRE-               Sì.

PADRE-               (estrae un foglio e legge la parte) Dunque... Di cosa?

MADRE-               (abulica) Come di cosa? Nostro figlio è uscito ieri sera a mezzanotte per andare in discoteca, ti ricordi...?

PADRE-               (legge il giornale) Vedrai che sarà qui a momenti.

MADRE-               Aspetta!   Nostro figlio è uscito ieri sera a mezzanotte per andare in discoteca, ti ricordi...?

PADRE-               (idem) Vedrai che sarà qui a momenti.

MADRE-               xxx! Devi aspettare!

PADRE-               Ancora?

MADRE-               Fammi finire.  ...per andare in discoteca, ti ricordi o no? Sono le 9, no, le 9 e mezza, o le 10? Va beh, cosa cambia? Facciamo le 10 e non è ancora tornato.

(un attimo. Madre indica al Padre che tocca a lui)

PADRE-               Vedrai che sarà qui a momenti. (come un attore alle prime armi, guarda verso le quinte per vedere se Roberto entra, anticipando quindi il succedersi degli eventi)

ROBERTO-          (entra in ritardo, lento e svogliato) Mamma, sto male.

MADRE-               (continua a stirare) Roberto, bambino mio.

PADRE-               (riprende a leggere) Avrai bevuto troppo.

ROBERTO-          Muoio. (sbadiglia; poi si guarda intorno) Si ma dov’è che muoio?

PADRE-               Dai, prendiamo quella panchetta. (eseguono)

ROBERTO-          Muoio. (si stende, si fa male alla testa) Ahio!

PADRE-               To’, prendi un cuscino.

ROBERTO-          Grazie. (si finge morto, ma non sta fermo)

PADRE-               (legge sempre. Alla Madre) Telefona al becchino.

MADRE-               Ma, xxx!

PADRE-               Cosa c’è?

MADRE-               Devo già telefonare al becchino?

PADRE-               Nooo! Scusa, hai ragione! Telefona al dottore.

MADRE-               (va al telefono e, senza fare alcun numero, parla sfogliando una rivista) Pronto, dottore? Presto venga che mio figlio sta male.

DOTTORE-          (entra col copione prima che la Madre abbia finito di parlare)  Eccomi. Cosa succede?

ROBERTO-          (al Dottore) Dovevi entrare prima!

DOTTORE-          (sveglione) Ho aspettato troppo?

ROBERTO-          Troppo presto, oca!

DOTTORE-          Rifaccio?

ROBERTO-          Ci manca! Vai avanti che ho un appuntamento!

DOTTORE-          Sì, allora: (allarga le braccia come fanno i bambini quando recitano) Eccomi, cosa succede?

MADRE-               Dottore, mio figlio! (riprende a stirare)

DOTTORE-          Vediamo  (si china su Roberto. Si gratta la testa)

ROBERTO-          (al Dottore) xxx, telefona di spostarmi l’appuntamento alle quattro.

DOTTORE-          (controlla sul copione)  Ma... dovevi dire questa battuta?

ROBERTO-          Certo che no! Ma se non ti sbrighi il mio appuntamento va a farsi benedire, cribbio!

DOTTORE-          Mi sbrigato, mi sbrigato subito! Signora suo figlio è morto.

MADRE-               (stira, incolore) Oh destino crudele! L’unico figlio che avevamo!

PADRE-               (alla Madre, intanto va al telefono) Scommetto che dovevo essere già al telefono?  Pronto, impresa pompe funebri? Venite che mio figlio è morto (poi fa per uscire, ma è fermato sulla soglia dalle parole di Roberto)

ROBERTO-          xxx, dove stai andando? A farne un’altro?

PADRE-               Di cosa?

ROBERTO-          Di figlio?

DOTTORE-          Era nel copione?

ROBERTO-          Oh mio Dio! Ma certo che non era nel copione! (al Padre) Non devi uscire!

PADRE-               No, eh?

ROBERTO-          No!

BECCHINO-        (tenta di entrare, ma è impedito dalla presenza del Padre sulla soglia, che poi spinge via. Ha un metro in mano) Se magari ti sposti, posso fare un’entrata decente! Dov’è il caro estinto?  (guarda in posti diversi)

DOTTORE-          Guarda che è lì.

BECCHINO-    Ma non si era detto che doveva...? Va beh. (lo misura) Farò una bara bellissima e...

REGISTA-            (interviene dal pubblico. A Roberto) xxx, che ne dici se, invece di morire così, ti sparassi un bel colpo di rivoltella?

ROBERTO-          Perché?

REGISTA-            Capperi, ma per svegliare il pubblico! (alterato) E’ una cosa  vergognosa. E tre mesi che avete in mano il copione e non sapete ancora la parte.  (al dottore) Quello gesticola come un bambino. Non c’è un attacco o un’entrata giusta.  Capperi, datevi una svegliata!

BECCHINO-        Rifacciamo, capo?

REGISTA-            Direi! E concentratevi: vi voglio veloci, scattanti e pieni di vita! (va)  E tu, capperi, quante volte ti ho detto di non chiamarmi capo?

BECCHINO-        OK, capo.

                               (riprendono tutti le loro posizioni di partenza)

____________________________________

Ad un ritmo indiavolato - Molto seri

MADRE-               (stira velocissimamente) Sono preoccupata

PADRE-               (abbassa il giornale) Di cosa?

MADRE-               Come di cosa? Nostro figlio è uscito ieri sera a mezzanotte per andare in discoteca, ti ricordi o no? Sono le 9 e non è ancora tornato.

PADRE-               Vedrai che sarà qui a momenti.

ROBERTO-          (subito entra)  Mamma sto male.

MADRE-               Roberto, bambino mio!  (va al telefono)

PADRE-               Avrai bevuto troppo.

ROBERTO-          Muoio, ah. (velocemente si stende)

PADRE-               Telefona al dottore.

MADRE-               Pronto dottore. Presto venga che mio figlio sta male.

DOTTORE-          (entra) Eccomi. Cosa succede?

MADRE-               Dottore, mio figlio!

DOTTORE-          (guarda il Padre)

PADRE-               Non sono io, è lui! (va al telefono)

DOTTORE-          Ah, bene.  Vediamo. Signora, suo figlio è morto.

MADRE-               Oh destino crudele! L’unico figlio che avevamo!

PADRE-               Pronto, impresa di pompe funebri? Venite che mio figlio è morto.

BECCHINO-        (entra col metro ancor prima che il Padre abbia parlato, sovrapponendosi) Dov’è il caro estinto? (velocemente misura) Farò una bellissima bara e...

REGISTA-            ...e vorrà dire che invece di darla in teatro, questa commedia, la daremo in uno stadio olimpico.

DOTTORE-          (sveglione) Davvero? Avremo così tanti spettatori?

REGISTA-            Sì, specialmente se rifate una corsa ad ostacoli come questa.

DOTTORE-          (sveglione) Allora dovrò allenarmi!

ROBERTO-          (rivolto al Dottore) xxx! Lascia perdere!

REGISTA-            Capisco che (di Roberto) xxx ha un appuntamento, ma così non si capiscono neanche le battute. Troppo veloci!

BECCHINO-        Però prima ci avevi detto che eravamo troppo lenti.

REGISTA-            E adesso avete esagerato nell’altro senso! Dai, tutto da capo; con dei tempi normali, se è possibile. E poi: troppo seri!

BECCHINO-        Ma in questa tragedia non c’è niente da ridere.

REGISTA-            Lo so, ma la gente quando viene a teatro, ogni tanto vuole sorridere, altrimenti non si diverte. Date retta a me: siate più brillanti, più pimpanti, più sorridenti, insomma!

                               (riprendono tutti le loro posizioni di partenza)            

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Ridono tutti a più non posso

MADRE-               (stira, si ferma e scoppia a ridere)

PADRE-               (abbassa il giornale, ride)  Cosa c’è?

MADRE-               Sono preoccupata.

PADRE-               E chi se ne frega?

MADRE-               Ma lo sai che tuo figlio è uscito ieri sera a mezzanotte...

PADRE-               A mezzanotte, il cretinetti!

MADRE-               ...e non è ancora tornato.

PADRE-               (mano davanti alla bocca. Vuole parlare, ma non riesce, perché gli viene da ridere)

MADRE-               Cosa c’è?

PADRE-               ...magari ha avuto un incidente!

MADRE-               Buona questa! Un incidente! E probabilmente si è sfracellato contro un albero!

ROBERTO-          (entra, piegato in due dalle risa) Mamma...  Mamma, (di colpo è serio) ti sembro in buona salute?

MADRE-               Direi di sì.

ROBERTO-          E invece sto malissimo!             

                               (ridono tutti)

ROBERTO-          Muoio dal ridere, ah! (si stende)

PADRE-               Bravo Roberto! Uno in meno da mantenere!

MADRE-               (al telefono) Pronto, dottore? Adesso la faccio ridere: mio figlio sta male!  (al Padre) Ha detto che... non gliene frega niente!

DOTTORE-          (entra) Eccomi, Cosa succede?

MADRE-               Dottore, mio figlio!

DOTTORE-          Signora, la sa l’ultima?

MADRE-               No.

DOTTORE-          Suo figlio è morto.

PADRE-               Non mi sono mai divertito tanto! Dov’è il becchino?

MADRE-               Il becchino! Per mio figlio!...

BECCHINO-        (entra) Dov’è il caro estinto? E’ questo sgorbio qui?            

PADRE-               E’ proprio lui.

BECCHINO-        Farò una bellissima bara e...

REGISTA-            E io mi farò una buonissima insalata con i pomodori che vi tirerà il pubblico.

DOTTORE-          (sveglione) Si mangia!?

REGISTA-            Fate semplicemente schifo! Più proviamo e peggio è. Capperi, avete ridotta la mia tragedia in una farsa! Ma è possibile che non sappiate recitare con quel giusto equilibrio restando vagamente nel tragico-leggero e nel brioso-compassato? (ora lezioso) E poi, ragazzi, ci vuole... patos!

ROBERTO-          Patos come?

REGISTA-            (idem) Come faccio a spiegarvelo. Bisogna lasciarsi prendere dalla passione, dal tormento delle parole; recitare con frenesia, ardore e il massimo trasporto.

                               Da capo, ma vi scongiuro, perdindirindina, fatela con quel patos che piace a me. (torna al suo posto)

                               (vanno tutti sul fondo. Fanno circolo e confabulano per qualche secondo. Poi ognuno torna al suo posto)

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Da gay

PADRE-               (stira un paio di mutandine rosa) Sono preoccupata.

MADRE-               (abbassa il giornale) Ma cara, di cosa?

PADRE-               Per nostro figlio, amore, non è ancora tornato. Mamma mia! (passeggia ancheggiando) Non vorrei proprio che avesse incontrato qualche omaccione cattivo!

ROBERTO-     (entra, lezioso) Ohu, mamma! E’ terribile, sai? Non sto proprio bene per niente.

MADRE-               Telefono subito al dottore.

ROBERTO-          Direi proprio che muoio, ahhh...! (si distende sul tavolo con mosse femminili)

MADRE-               Dottore, mio caro dottore, che cosa atroce che devo dirle: mio figlio sta male.

DOTTORE-          (fa un’entrata tipo Wanda Osiris) Eccomi.

MADRE-               Dottore, mio figlio!

DOTTORE-          Sì calmi, mia cara che adesso vediamo. (lo guarda) Oh, ma che bel ragazzone! E che muscolacci! E’ proprio un peccato che sia: morto!

PADRE-               (al telefono) Pronto, impresa pompe funebri? Sìiii...? Venite che mio figlio è morto... No, no e no! Antonio non lo voglio. Mandatemi: Gianfabio!

MADRE-               Oh destino crudele! L’UNICA FIGLIA che avevamo!

BECCHINO-        (entra) Dov’è il caro estinto? (lo vede) Ma che bel cristiano! Ma perché ci lasciano sempre i migliori? Farò una bara bellissima, tutta a fiorellini e con tanti bei cuoricini, e...

REGISTA-            (gay al massimo) Sì, sì, sìiii!  O mio Dio, proprio come piace a me! Bravi! Venite tutti a casa mia che vi offro un gelatino!

                               (escono tutti abbracciandosi)

F  I  N  E

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VITA  A  DUE

Gioco brillante di  Mario Pozzoli

PERSONAGGI

Voce

Lui

Lei

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VOCE-                  Lui e Lei sono innamorati.

                               (Lui e Lei sono seduti sul divano. Lui l’adora. Lei è capricciosa)

LEI-                        Mi ami?

LUI-                       Ti adoro...

LEI-                        Ma quanto mi ami?

LUI-                       Tanto, tanto... tanto.

LEI-                        Uff, che banale!

LUI-                       Ma amore, non sono un poeta. Però ti voglio bene come un pazzo: ogni giorno di più.

LEI-                        Quindi oggi mi vuoi più bene di ieri?

LUI-                       Ma certo.

LEI-                        Ecco, lo sapevo: allora ieri non me ne volevi!

LUI-                       Ma no, figurati! Te ne volevo tanto, come oggi.

LEI-                        Se oggi mi vuoi bene soltanto come ieri, vuol dire che il tuo amore non cresce; allora è meglio lasciarci.  Addio! 

LUI-                       No, ti prego, non te ne andare! Ti volevo bene ieri, te ne voglio oggi e domani te ne vorrò sempre di più.

LEI-                        Ecco, oggi mi vuoi meno bene di domani. (è imbronciata)

LUI-                       Ma tesoro, ti voglio sempre tantissimo bene. (l’accarezza) Dai ciccina, non fare quel musetto imbronciato, anche se così sei tanto carina...

LEI-                        E già, sono carina solo quando ho il musetto imbronciato.

LUI-                       No, sei sempre carina.

LEI-                        Più carina di tutte le ragazze che conosci?

LUI-                       Sì.

LEI-                        Anche di quelle che non conosci?

LUI-                       Ma certo.

LEI-                        Ecco, vedi che sei un bugiardo. Allora tu conosci anche quelle, se dici che sono più carina di loro.

LUI-                       Sì. Noo! Insomma mi fai confondere. Io conosco te sola, credimi.

LEI-                        Non lo so se ti posso credere

LUI-                       E invece devi, perché tu... (sei l’unica donna)

LEI-                        (lo interrompe) Ti piace il mio vestito?

LUI-                       Molto.

LEI-                        Ti piace di più di quello che avevo ieri?

LUI-                       Sì, questo è decisamente più bello.

LEI-                        Ah, dunque ieri ero vestita male!?

LUI-                       Ma cosa dici! Forse... forse hai ragione tu: quello di ieri era più bello.

LEI-                        Lo so, ci avrei scommesso che oggi sono orribile.

LUI-                       Ma cosa ti metti in testa?

LEI-                        Tu me l’hai appena detto, crudele!

LUI-                       Non volevo... Ciccina, sono tutte e due belli: quello di ieri e quello di oggi.

LEI-                        E sono più belli di quello dell’altro ieri?

LUI-                       (disfatto) Tesoruccio mio, io sarò sincero, ma quello dell’altro ieri non me lo ricordo proprio!

LEI-                        Non te lo ricordi!? Io faccio di tutto per essere carina, seducente, elegante e tu non ti ricordi neppure come ero vestita! Sei... sei...

LUI-                       Ma sì, che stupido che sono! Come ho fatto a dimenticarmi del vestito che indossavi l’altro ieri?  Era magnifico!

LEI-                        (si alza in piedi) Bugiardo!

LUI-                       (balza in piedi) Cosa?

LEI-                        L’altro ieri non ci siamo visti!

LUI-                       Noo?

LEI-                        No! E tu ti confondi col vestito di un’altra!

LUI-                       Ma no! Cosa dici? Io... ti giuro che...

LEI-                        Non giurare falso traditore!

LUI-                       Non dirmi così!  Va bene, l’altro ieri non ci siamo visti, ma io non ho visto nessun’altra ragazza.

LEI-                        E invece sì, mio caro, l’altro ieri ci siamo visti. Ho detto il contrario per vedere se almeno ti ricordi dei nostri incontri. Ma tu, neppure quello!

                               Tu te ne freghi di me, mi trascuri, non mi pensi, non mi ami (piange) ... mascalzone... non ti voglio più vedere! (corre via piangendo)

LUI-                       (si lascia andare sul divano, disfatto. Poi si alza e le corre dietro)  Ciccina! Ciccina, ascolta!

_____________________________________

VOCE-                  Ora Lui e Lei sono “quasi” fidanzati.

LEI-                        (è seduta sul divano)

LUI-                       (entra) Amore!

LEI-                        Tesoro!

LUI-                       (si inginocchia ai suoi piedi) Vuoi diventare la regina della mia vita?

LEI-                        (estasiata) Ohhh! Ma certo!

LUI-                       (le porge un pacchetto) Tieni, tesoro. Ho preso questo piccolo pegno d’amore.

LEI-                        (lo prende, lo apre, è un anello, se lo infila al dito, lo rimira non troppo convinta)

LUI-                       Sei contenta, cara?

                               (Lei annuisce, come sopra)

LUI-                       Amore, è un diamante, PURISSIMO!

LEI-                        Eh, per forza, (schiaccia un occhio per vederlo meglio) è così piccolo che non c’è assolutamente posto per un difetto!

VOCE-                  Sposini novelli.

LEI-                        (è seduta sul divano, si sistema le unghie)

LUI-                       (è seduto sul divano e legge il giornale. Dopo poco lo chiude) Quando leggi il giornale è sempre una pena: parla solo di omicidi, disgrazie, morti, feriti...

LEI-                        (distratta) E’ vero.

LUI-                       (pensa, guarda verso l’alto) Tesoro, dimmi, se io improvvisamente morissi, mi piangeresti?

LEI-                        (è intenta a sistemarsi le unghie) Ma certo, caro, lo sai che piango per niente!

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VOCE-                  Sposati da tanto... troppo tempo!

- RUMORE DI TRENO

LUI-                       (aspetta l’arrivo del treno; guarda l’orologio)

LEI-                        (entra, felice, l’abbraccia) Ciao caro!

LUI-                       (poco entusiasta) Ciao.

LEI-                        Ma caro, non sei contento di rivedermi? Guarda quel signore con quanto slancio abbraccia la moglie!

LUI-                       Ci credo: quella sta partendo!

F  I  N  E

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