A caval d’un asino

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Stefano Palmucci (id. SIAE 201804)

(2013)

Due atti brillanti


Stefano Palmucci – A caval d’un asino


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A caval d’un asino

Personaggi:

ØGiorgio

ØGiovanna (sua moglie)

ØPasquale (amico di Giorgio)

ØFrancesca (moglie di Pasquale)

ØPironi (poliziotto)

ØDon Vittorio (zio di Giorgio)

ØMarcella (perpetua)

La commedia si svolge nella casa di campagna di Don Vittorio che solitamente con-cede in uso all’amato-odiato nipote Giorgio per tutto l’arco dell’anno. La scena è costituita dalla classica living-room rustica ma elegante: al centro l’arco che dà nell’ingresso, in fondo a sinistra una grande porta finestra che conduce alla veranda, a destra una porta che da sulle cucine, a sinistra una porta che conduce al piano superiore e alle camere da letto. E poi i divani, tavolini, librerie, tutto quello che occorre.

Giorgio è in piedi, in preda a robusta agitazione. Dal centro giunge Francesca.

Giorgio:        (appena giunge) Francesca!

Francesca:   Giorgio! Si può sapere cosa è successo?

Giorgio:        (disperato) una tragedia, una catastrofe, la fine del mondo…

Francesca:   cosa dici, Giorgio? Mi fai venire i brividi. Dai, racconta ….

Giorgio:        ha scoperto tutto, ha scoperto!

Francesca:   chi?

Giorgio:        come chi?! Tuo marito, no?!

Francesca:   Pasquale? No, dai!! Cosa dici? è impossibile!

Giorgio:        sì, impossibile!! Ti dico che ha scoperto tutto, ti dico! Ecco perché ci ha convo-

cati qui.

Francesca:   ma come ha fatto? Siamo stati attentissimi, non può essere.

Giorgio:        ah, non può essere? L’ho sentita io la telefonata, mica te! Ho ancora l’orecchio

ustionato …

Francesca:   e cosa ha detto? Dai, dimmi …

Giorgio:        cosa ha detto? Prima di tutto bisogna sapere “come” lo ha detto.

Francesca:   e “come” lo ha detto?

Giorgio:        aveva una voce che tremava tutta, pareva venisse dall’oltretomba.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Francesca:   lascia perdere l’oltretomba, dai! Cosa ha detto di preciso?

Giorgio:        ha detto: “Giorgio, debbo parlare immediatamente con te, per una cosa che ri-

guarda mia moglie. Ci vediamo nella tua casa di campagna alle sei precise”.

Francesca:   anche a me ha detto di farmi trovare qui, ma alle sei e un quarto.

Giorgio:        e quando ha cominciato a sentire la mia voce un po’ titubante, è stato chiaro. Ha

detto: “te lo chiedo in nome della nostra vecchia amicizia”.

Francesca:   oh, Madonna santa. E poi?

Giorgio:        e poi: “fa presto, che devo parlarti assolutamente prima che arrivi Francesca”.

Francesca:   oh Dio, no!

Giorgio:        e quando io gli ho chiesto il perché, sai lui cosa mi ha risposto?

Francesca:   cosa?

Giorgio:        “stai tranquillo, che te lo dico a voce. Poi quando arriverà anche Francesca fa-

remo un discorso tutti tre insieme”.

Francesca:   così ha detto?

Giorgio:        esatto, parole precise, mi si sono stampate qui in testa come un tatuaggio sul

braccio di un marinaio.

Francesca:  oh Dio, come può essere? Abbiamo sempre controllato attentamente di non es-sere visti da nessuno, abbiamo preso mille e più precauzioni e quando abbiamo intravisto la possibilità, anche la più piccola, di essere scoperti, abbiamo sempre

rinunciato.

Giorgio:        anche io credevo di essere stato dalla parte del sicuro. Ci avrei messo la mano

sul fuoco. Invece adesso stai pure sicura che sul fuoco ci finiamo noi due.

Francesca:   e se invece ci avesse convocato per altro?

Giorgio:        e per cosa, avrebbe organizzato questa bella riunione qui, con tutto quest’ansia e

agitazione? Per chiederci di andare a castagnare? No, Francesca, qui bisogna

guardare in faccia la realtà: in un modo o nell’altro tuo marito è venuto a sapere

tutto, c’è poco da fare.

Francesca:   pensi che qualcuno ci abbia visto e abbia fatto la spia?

Giorgio:        sicuramente è andata così. Se ci avesse sorpreso lui, non sarebbe stato capace di

aspettare, lo conosci. Sarebbe piombato in casa come un pazzo e avrebbe scate-nato un quarantotto.

Francesca:  ma chi può essere stato? Chi può essere quel serpente così infido e malvagio da scoprire la tresca e fare la spia?


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Giorgio:        non ne ho idea Francesca, ci penseremo. Adesso dobbiamo pensare a come evi-

tare la burrasca che scoppierà qui tra cinque minuti e tentare di non venire spaz-

zati via come foglie al vento!

Francesca:  e se gli dicessimo che non è vero? Che è tutta una invenzione di quel malefico

che ha fatto la spia?

Giorgio:        no, Francesca, io l’ho sentito bene al telefono: parlava col tono deciso di chi è

già convinto. Se anche gli dicessimo che non è vero niente, lui comincerà a fare

domande. E se ci chiederà dove eravamo giovedì sera, cosa gli diciamo?

Francesca:   non hai un amico fidato che potrebbe fornirti un alibi?

Giorgio:        ci ho già pensato, ma non ce l’ho. L’unico che poteva essere in grado di farmi

un piacere del genere, era Pasquale. Gli altri sono tutti mezzi deficienti che se

Pasquale decide di andare a fondo, si confonderebbero come galline ubriache. E

figurati se Pasquale, in una questione come questa, non vorrà andare a fondo.

Francesca:   io potrei digli di essere stata da mia mamma.

Giorgio:        si, con l’età che ha, ormai è così – scusa eh? – deficiente, che se le fa un paio di

domande un po’ insidiose, figurati se non si tradirà. Senza contare che quel ser-pente che ha fatto la spia potrebbe essere più d’uno, o avere delle fotografie.

Francesca:   giusto. Lo faremmo infuriare ancora di più, se mai fosse possibile.

Giorgio:        no, Francesca, è giunto il momento di affrontare tutte le nostre responsabilità.

Quando ci incontravamo, anche se non ci pensavamo, in fondo in fondo lo sa-pevamo che un giorno sarebbe potuta andare a finire così.

Francesca:  hai ragione. Allora siamo arrivati alla resa dei conti. (Come declamando) E’ ar-rivato il momento di andare incontro al nostro destino, a testa alta e senza nes-suna paura. (Cambia tono) ecco, allora intanto che voi parlate, io scappo di qua.

Giorgio:        si, Francesca, stai tranquilla, vai pure. Lo affronterò da uomo a uomo, guardan-

dolo in faccia, dritto dentro agli occhi.

Francesca:   (ammirata) oh, che uomo…

Giorgio:        comunque per stare dalla parte del sicuro ho chiamato anche Pironi, il mio ami-

co che è in polizia, e gli ho chiesto di portare la pistola. Se le cose dovessero prendere una brutta piega, avrò bisogno di qualcuno che mi difenda.

Francesca:  addirittura con la pistola? Pensi che potrebbe andar fuori di testa o fare una paz-

zia?

Giorgio:        come posso saperlo? Non si può mai sapere come può reagire un uomo, messo

di fronte al fatto che la propria moglie va a letto col suo migliore amico.

Francesca:  chiederà il divorzio? Mi ammazzerà di botte? Tu comunque avverti Pironi di non allontanarsi, fino che la situazione non si sarà chiarita completamente.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Giorgio:        stai tranquilla che non ti lasceremo sola. Prima voglio parlare con lui, magari

farlo sfogare un po’, e poi cominceremo a ragionare con calma tutti insieme.

Siamo persone civili, adulte e vaccinati, mica animali.

Francesca:  giusto! allora io fuggo di qua, così sono sicura di non incontrarlo … in bocca al

lupo … (esce a destra).

Pasquale:     (dopo un tempo entra dal centro) Giorgio!

Giorgio:        (spaventato e titubante) Pasquale…sei tu?

Pasquale:     (deciso) sì perché? Chi doveva essere?

Giorgio:        per la verità, stavo aspettando anche il mio amico Pironi, (calcando) il … poli-

ziotto. Dovrebbe arrivare da un momento all’altro.

Pasquale:    Pironi? E perché dovrebbe venire anche lui?

Giorgio:        mah, così, è un po’ di tempo che non lo vedo e allora mi son detto: visto che

devo incontrare Pasquale, magari posso approfittare per chiamare anche Pironi,

(calcando) il mio amico poliziotto. Così potremo stare tutti tre insieme a fare

due chiacchiere, una partita …

Pasquale:    Giorgio, ti senti bene? Lascia perdere la partita e le chiacchiere, che ho bisogno

di parlare subito con te. Sono così agitato che se non riesco a sistemare subito

questa faccenda, ho paura che mi prenda un coccolone.

Giorgio:        e io cosa ti dico sempre? Eh? Che prendi le situazioni troppo di punta. Bisogna

adoperare la testa. Imparare a lasciar correre, a lasciarsi scivolare le cose addos-

so, e pensare alla salute, che è la cosa più importante …

Pasquale:    ah, tu fai presto a parlare. Non sei sui carboni ardenti, come me. Altrimenti fa-

resti presto a perderla, la salute.

Giorgio:        ecco: “sui carboni ardenti” … il solito esagerato. Devi pensare che nella tua si-

tuazione non sei il primo e non sarai l’ultimo. Eh, nella storia del mondo, in

quanti si saranno trovati come te e non ne hanno fatto una tragedia.

Pasquale:    e invece qui, la tragedia – e grossa – scoppierà presto, se non mi dai una mano a

sistemare le cose meglio che si può.

Giorgio:        (incredulo) ti dovrei… dare una mano…io?

Pasquale:    si, tu, chissà chi. Ti ho chiamato apposta. Ho bisogno dell’amico più fidato che

ci possa essere. E tu, secondo me, sei il migliore che ho.

Giorgio:        (un po’ sollevato) ah, beh, sono onorato. Dimmi pure, dunque, di cosa si tratta?

Pasquale:    si tratta di mia moglie.

Giorgio:        (di nuovo un po’ preoccupato) cosa ha fatto tua moglie?

Pasquale:    niente. Per adesso. Ma lo sai come sono fatte le donne.


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Giorgio:        come sono fatte?

Pasquale:    sono fatte che, prima, non ci pensano e poi dopo, piano piano, la testa gli co-

mincia a ronzare e la magagna gli viene in mente un poco alla volta.

Giorgio:        non capisco. Che magagna dovrebbe venire in mente a Francesca?

Pasquale:    questa mattina ero con lei al mercato, dove abbiamo incontrato Michela, la

mamma dei fratelli Gnassi. Beh, ad un certo momento, di punto in bianco, Mi-

chela è andata a tirar fuori che i suoi figli erano entrambi a letto con l’influenza

da una settimana.

Giorgio:        e allora?

Pasquale:    e allora io il giovedì vado sempre a giocare a carte dai fratelli Gnassi. Ma se

giovedì scorso loro erano a letto con l’influenza, io dove ero?

Giorgio:        non sei rimasto a casa?

Pasquale:    no, sono uscito lo stesso. Francesca non c’è ancora arrivata ma io dico che non

tarderà poi tanto.

Giorgio:        scusami ma ancora non capisco. Dove dovrebbe arrivare Francesca?

Pasquale:    sveglia, fessacchiotto! Tra un po’ comincerà a pensare a dove sono stato io gio-

vedì sera.

Giorgio:        e dove sei stato tu, giovedì sera?

Pasquale:    il punto non è quello, il punto è che a lei, piano piano, verrà il dubbio che io sia

stato con un altra.

Giorgio:        tu.

Pasquale:    sì, io, stiamo parlando di me, no?

Giorgio:        e tu dici che lei andrà a pensare una cosa del genere? Ma lascia perdere, dai. E

perché mai dovrebbe pensarlo?

Pasquale:    come perché? Non le conosci le donne? Hanno tutte un tarlo nel cervello,

un’idea fissa. Sono sospettose di natura. Nascono così.

Giorgio:        (finalmente rilassato) e sarebbe tutto qui? Sarebbe solo questo il motivo di tutta

la tua agitazione?

Pasquale:    perché, non basta? Stai pure sicuro che non tarderà molto. Io sono seduto su una

bomba ad orologeria.

Giorgio:        ma quale bomba, Pasquale, lascia stare. Mi avevi fatto prendere uno spavento al

telefono, eri così agitato che pareva avessi il fuoco addosso.

Pasquale:    ti ripeto che questa diventerà una bomba atomica, se non riusciamo a disinne-

scarla prima che scoppi.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Giorgio:        ma cosa vuoi che scoppi? Mi fai scoppiare a me, ma dal ridere. Francesca è così

innamorata che anche se ti vedesse a letto con un'altra, potresti raccontarle che

la cameriera nuova che ti ha chiesto un aiutino per rifare il letto.

Pasquale:    povero scemo! Povero ingenuo, tu non la conosci come la conosco io.

Giorgio:        io penso di conoscerla anche meglio, invece.

Pasquale:    perché?

Giorgio:        no, perché … siamo cresciuti insieme qui in paese, allora la conosco bene.

Pasquale:    beh, comunque, per stare dalla parte del sicuro, adesso a lei, quando arriva, le

diciamo che giovedì sera ero con te, così mi levo il pensiero. E cerca di essere convincente, mi raccomando.

Giorgio:        le dovremmo dire che ... giovedì scorso … io … ero con te?

Pasquale:    sì, giovedì sera, non sbagliare.

Giorgio:        no Pasquale, ascolta: è meglio che a tua moglie non diciamo nulla, dammi retta,

per una volta.

Pasquale:    perché?

Giorgio:        perché giovedì io … perché … perché …io non vedo il motivo di andare a tirare

fuori questa storia quando lei ormai non ci pensa neppure più. Perché stuzzicare il cane che dorme? Finisce che fai peggio.

Pasquale:    peggio di così non potrei fare. Non vedi che tremarella che ho? Quando al mer-

cato la mamma dei Gnassi ha parlato dell’influenza dei figli, mi si è gelato il

sangue. E da quel momento non vivo più, mi pare che mi venga a meno il fiato.

Giorgio:        (come a se stesso) ma guarda te la mamma dei Gnassi cosa è andata a tirar fuo-

ri, non poteva starsene zitta?

Pasquale:    eh! Lo vieni a dire a me? L’avrei strangolata.

Giorgio:        beh, comunque io non sono capace di mentire. Mi confondo, mi inceppo, peg-

giorerei la situazione. Sarà meglio cercare qualcun altro che possa tenerti il sac-co, io farei un disastro. Sarei il meno adatto ad aiutarti, , stavolta.

Pasquale:    ma che dici, Giorgio? Hai il coraggio di dirmi questo nel momento del bisogno?

Il migliore amico che ho? Francesca arriverà qui a momenti.

Giorgio:        è di quello che ho paura! No, no, dammi retta, è meglio pensare qualcos’altro.

Io il giovedì sono sempre al circolo, è il mio giorno fisso. Mi sbaglierei di sicu-

ro.

Pasquale:    Giorgio, tu sei l’unico che in questo momento può salvare la mia vita e il mio matrimonio. Te lo domando in ginocchio in nome della nostra vecchia amicizia.

Giorgio:        ma giovedì non posso, Pasquale, non capisci? Se fosse stato un altro giorno ….


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Pasquale:    perché o giovedì o mercoledì, cosa cambia?

Giorgio:        eh, cambia, cambia …sapessi …

(dal centro irrompe Pironi con foga, pistola in pugno)

Pironi:            fermi tutti, mani in alto!

Giorgio:        (lo placca) Pironi, che fai? Sei impazzito?

Pironi:            (indica Pasquale) è lui quello che ti voleva briscolare?

Pasquale:    eh?

Giorgio:        ma no, non c’è nessuno qui che mi voglia picchiare, cosa vai a tirare fuori?

Pironi:            me lo hai detto tu mezz’ora fa al telefono.

Giorgio:        io? Io ti avrei detto …? Ma no, Pironi. (inventa) Sì, ho detto: “briscolare”, ma

per dire di giocare a briscola. Volevo fare una briscola col mio amico Pasquale

e ti ho chiamato per giocare con noi.

Pironi:            davvero? ma da quando si dice “briscolare”, per giocare a briscola?

Giorgio:        eh, tra di noi, è un po’ che diciamo così, non lo sapevi?

Pironi:            è la prima volta che lo sento. E perché allora mi hai detto di portare la pistola?

Giorgio:        come? Io ti avrei detto di portare la pistola? Ah, no, si vede che la tua linea tele-

fonica non funziona bene. Ti ho detto: “ci vediamo lì, pistola”. Era un modo af-

fettuoso di chiamarti.

Pironi:            ah sì? Boh, io allora avevo capito tutta un’altra cosa.

Giorgio:        eh! E non sarebbe neppure la prima volta, eh pistola? Il mio amico Pasquale lo

conosci?

Pironi:            sì, di vista.

Giorgio:        Pasquale, questo è Pironi, il mio amico che è in polizia.

Pasquale:    piacere. (A Giorgio) ascolta, Giorgio, ti senti bene? Mi pare che oggi non sia in

te. Ti pare il momento di giocare a briscola, in una situazione del genere?

Giorgio:        (fulminato) idea! Bravo. Hai ragione, nessuna briscola. Però a Pironi è la prov-

videnza che lo manda.

Pasquale:    sì: la tua testa oggi ha qualcosa che non va.

Giorgio:        la mia testa ha partorito un’idea geniale. Un’idea capace di salvare capra e ca-

voli.

Pasquale:    e che idea sarebbe?

Giorgio:        a Francesca, quando arriva, le diciamo che giovedì tu eri a giocare a carte con

lui!


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Pasquale:    io, a giocare a carte con lui?

Giorgio:        sì! è un poliziotto! Non ci potrebbe essere testimone più fidato, più sicuro, più

garantito!

Pasquale:    mah … non saprei. Mi pare una soluzione un po’ estemporanea.

Giorgio:        ma che estemporanea. Ti dico che meglio di lui, non poteva capitarci nessuno.

E’ la persona giusta, nel posto giusto, al momento giusto. Meglio di così?

Pasquale:    e poi bisogna vedere se lui è d’accordo.

Giorgio:        certamente che è d’accordo, se glielo chiedo io. E’ un amico dei tempi della

scuola, vero Pironi?

Pironi:            veramente, non me ne ricordo. Però io sono andato a scuola fino a trent’anni.

Sarebbe stato difficile non capitare insieme almeno una volta.

Pasquale:    in cosa si è laureato?

Pironi:            laureato? Ma scherza? Non ho finito neppure le professionali. E poi le ho ripe-

tute tutte parecchie volte.

Pasquale:     (a Giorgio) sei sicuro che ci sia da fidarsi di questo? Ha capito almeno che cosa

dovrebbe fare? Non è che in questo modo andiamo a complicare ancora di più la situazione?

Giorgio:        con Pironi? Ma scherzi? Questo è un professionista. Non vedi che occhi di

ghiaccio che ha? che sguardo intelligente? Questo è capace di convincere un

bue che è più cornuto lui dell’asino.

Pasquale:    tu dici? mah … speriamo.

Giorgio:        allora Pironi, hai capito, no, cosa devi fare?

Pironi:            sì, sì, certo, beh … più o meno … insomma … no, credo di non avere capito

niente.

Giorgio:        vedi, Pironi, al nostro amico Pasquale è saltata la partita del giovedì sera, ma

siccome che lui è uscito lo stesso, quella sera, teme che sua moglie possa pensa-re che sia andato da un'altra donna.

Pironi:            ah, birichino.

Giorgio:        no, ma lui non era con un’altra. Solo che sua moglie potrebbe pensarlo, sai co-

me sono fatte le donne.

Pironi:            eh, lo so, lo so, non lo sapessi, invece lo so.

Giorgio:        e allora adesso, quando la moglie di Pasquale arriverà, le diciamo che lui era a

giocare a carte con te, giovedì scorso.

Pironi:            giovedì scorso?


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Pasquale:    sì, precisamente.

Pironi:            ma però non è vero.

Giorgio:        no, non è vero. Lo diremo solo alla signora Francesca, giusto per farla stare

tranquilla. Facciamo un’opera di prevenzione, per salvare la pace familiare. Hai

capito?

Pironi:            va bene, non c’è problema. Farò finta di compiere un’opera di solidarietà tra

uomini.

Giorgio:        bravo Pironi, se non ci diamo una mano tra noi uomini? Eh?

Pironi:            giusto! Tanto ormai comandano loro, bisogna che cominciamo ad organizzare

la resistenza, se no va a finire che ci spazzano via dal mondo e non ce ne accor-giamo neppure.

Giorgio:        giusto! Hai visto, Pasquale, che aiuto super che abbiamo trovato?

Pasquale:     (sarcastico) eeehh! …speriamo bene.

(giunge dal centro Francesca)

Francesca:   (titubante, cerca lo sguardo di Giorgio per capire) Pasquale…

Pasquale:    oh, Francesca, sei arrivata finalmente.

Giorgio:        (cerca di rassicurarla con lo sguardo) Oh, Francesca, ecco. Pasquale ci hachiamato per giocare a briscola, (calcando) solo per quello.

Pasquale:    sì, Francesca, ti ho chiesto di venire qui perché ti volevo presentare il mio nuo-vo amico, Pironi. Pironi, questa è mia moglie, Francesca.

Pironi:            piacere, signora.

Francesca:   piacere. Il suo nome di battesimo?

Pasquale:     ehm …

Pironi:            Bruno.

Pasquale:     (subito) Bruno! Sì, Bruno.E’ un po’ di tempo che ho cominciato a giocare acarte con lui. Ed è così simpatico che mi sono detto: bisogna che lo faccia cono-scere a mia moglie.

Francesca:   ah, bene, hai fatto bene. Ma non andavi dai Gnassi, a giocare a carte?

Pasquale:    da quei villani? No, non ci vado più, stanno sempre male, non c’è modo di fare una partita in pace che gli viene l’influenza. No, no, basta.

Francesca:   oh capito, allora adesso vai a giocare da questo signore.

Pasquale:    sì, infatti, giovedì scorso ero da lui.

Francesca:   e dove abita?


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Pasquale:     (unisono con Pironi) a Fiorentino.

Pironi:            (unisono con Pasquale) a Serravalle.

Giorgio:        (dopo un attimo di gelo) abita a Serravalle ma giocano a Fiorentino, dove Pironi

ha un appartamento vuoto.

Francesca:   ah, un appartamento vuoto? Non ci saranno anche le donne, a queste partite?

Pironi:            no, no, signora, stia tranquilla. Le donne? No, no per carità. Alle nostre partite

non si sono mai viste. “Territorio vietato” eh, eh, eh …

Francesca:   e perché ci siamo visti qui? Lo potevi far venire a casa nostra.

Pasquale:     eh … volevamo farci una partita qui, ma il quarto si è ammalato. C’è l’influenza

in giro.

Francesca:   ho capito. Che lavoro fa lei, signor Pironi?

Pironi:            faccio il poliziotto.

Francesca:   davvero? Però, che lavoro interessante …

Pironi:            dipende. Certo che quando ci chiamano per un allarme, di notte, non si sa mai

cosa si può trovare. Può essere una cosa da niente, come una cosa da rischiare la pelle.

Francesca:   eh, addirittura?

Pironi:            si capisce. Per dire, quando è stato? Giovedì scorso, di sera, c’è stata una rapina

in un bar. Ci hanno chiamato alla centrale che i rapinatori erano ancora dentro.

Francesca:   oh, davvero? E li avete presi?

Pironi:            no, quando siamo arrivati erano già scappati.

Giorgio:        eh … però non è stato giovedì, Pironi, (calcando) forse era mercoledì?

Pironi:            (pacifico) no, giovedì. Mercoledì è il mio turno di riposo.

Pasquale:    allora giovedì la chiamata è arrivata dopo della nostra partita di carte, vero Pi-

roni?

Pironi:            no, è arrivata quando ero alla centrale a fare un riposino … (gesti dei due, gli

viene in mente) ah, sì sì, hai ragione… eramercoledì. Questa settimana hocambiato il turno di riposo con un mio collega.

Pasquale:    eh già, perché giovedì eri a giocare a carte con noi. (a Francesca, per rafforza-

re) c’era ancheGiorgio.

Francesca:   anche Giorgio?

Pasquale:    sé, anche Giorgio e un altro signore che ancora non conosci.

Francesca:   Giorgio, c’eri anche tu a giocare a carte giovedì sera?


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Giorgio:        (titubante) eh …così…pare.

Pasquale:    come “pare”? Hai vinto tutta la sera, avevi una fortuna …

Francesca:   è strano …

Pasquale:     cosa … è strano?

Francesca:  no, niente, se vince a carte dovrebbe essere sfortunato in amore. Invece lui è

fortunato anche lì.

Pasquale:    ah, davvero! Più fortunato di lui! Vero, Giorgio?

Giorgio:        diciamo così che finora mi è sempre andata bene.

Francesca:  allora se giochi anche tu, Giorgio, avreste potuto venire qui, senza stare a di-

sturbare questo signore.

Pasquale:    eh, hai ragione Francesca, ma Pironi ha insistito tanto …

Francesca:   ah, ha insistito, eh?

(dal centro giunge Giovanna)

Giovanna:   oh guarda, siete tutti qua? C’è un congresso?

Giorgio:        oh, Giovanna. No, quale congresso. Ci siamo visti qui per giocare a briscola, ma

il quarto si è ammalato. E poi è capitata Francesca. Conosci Pironi?

Giovanna:   no, piacere. Sono la moglie di Giorgio.

Pironi:            piacere, signora.

Pasquale:    è il nostro nuovo compagno di carte. Giovedì abbiamo giocato tutti insieme e ci

siamo divertiti un mondo.

Giovanna:   giovedì? Ma tu, Giorgio, non eri al circolo?

Pasquale:    eh, era partito per andare al circolo, ma poi lo abbiamo convinto a cambiare de-

stinazione.

Francesca:   ti fai convincere facilmente, tu, Giorgio.

Giorgio:        eh, si. (Ad Giovanna) e tu, che fai qui? Hai staccato prima dal lavoro, oggi?

Giovanna:   sì, sono passata da casa e poi sono venuta subito qui per sistemare un poco, per-

ché presto arriverà il padrone di casa.

Giorgio:        cosa dici? Lo zio?

Giovanna:   si, tuo zio prete. Ha scritto di essersi preso dieci giorni di ferie dalla sua parroc-

chia, che trascorrerà qui.

Giorgio:        davvero? E quando arriverebbe?

Giovanna:   non lo ha scritto, ma credo presto. Se ce la fa, perché di fuori nevica forte.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Pironi:            eh, avevo visto anche io che cominciava a nevicare seriamente.

Giovanna:   sì, le strade sono già tutte imbiancate.

Pasquale:    pensavo che questa casa fosse vostra, Giorgio.

Giorgio:        no, è del mio zio prete, ma siccome lui non c’è mai, la adoperiamo noi come ca-

sa di campagna.

Francesca:   tu, Giorgio, hai uno zio prete?

Giorgio:        sì, don Vittorio, il fratello di mio padre. Ma un prete un po’ sui generis. La non-

na diceva che in famiglia non la capì mai nessuno, questa vocazione improvvi-

sa: è stato più un colpo di testa. Prima di diventare prete era più comunista di

Stalin.

Giovanna:   anche nei preti ha provato di fare il rivoluzionario. Figurati che ancora lo chia-

mano: “don Riscossa”. Ma poi la Curia l’ha spedito in un paesino sperduto tra i

monti, dove non poteva più nuocere.

Pasquale:    per forza, fanno così con tutti.

Francesca:   non lo sapevo, Giorgio. Non avevi mai detto di avere uno zio prete.

Giorgio:        abbiamo pochissimi contatti, ci vediamo poco e niente.

Giovanna:   per dire la verità, con Giorgio non si sono mai presi. Da ragazzino passava tutte

le estati da lui e gliene combinava di tutti i colori. Da quella volta sono come cane e gatto. Con me invece si è sempre comportato come un padre.

Francesca:  quanta neve ha fatto, Giovanna? Bisogna che vada a vedere della mia macchina,

se è il caso di montare le catene.

Giovanna:   io ho presto jeep, altrimenti non so se ce l’avrei fatta, ad arrivare qui.

Francesca:   davvero? Allora vado subito a controllare.

Pironi:            posso darle una mano, signora?

Francesca:  ah, magari Pironi, grazie. Anche perché se dovessi aspettare questi due uomini,

credo farei prima a montare le catene da sola.

(Francesca e Pironi escono al centro).

Giorgio:        io vado ad accendere il fuoco, altrimenti qui tra un po’ si morirà dal freddo (esce a destra).

Giovanna:   (una volta usciti tutti) ha detto qualcosa?

Pasquale:    no. Giorgio s’è presentato qui con questo suo amico, Pironi, e le abbiamo fatto credere che giovedì eravamo tutti tre insieme a giocare a carte.

Giovanna:   io ancora non sono convinta che tu abbia fatto bene a coinvolgere proprio Gior-gio per chiederti di tenerti su il gioco.


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Pasquale:    non avevo altra scelta, Giovanna. In un’emergenza del genere, lui era l’unico su cui poter fare affidamento. Mi preoccupa un po’ di più quel demente di Pironi.

Giovanna:   e se per caso giovedì si fossero incontrati Giorgio e Francesca?

Pasquale:    impossibile! come sarebbe potuto accadere? Lui era al circolo, lei a casa.

Giovanna:   mah, comunque, secondo me questo è un segno che dobbiamo chiudere. Per stavolta c’è andata bene, è meglio non tirare troppo la corda.

Pasquale:    ti fai scoraggiare facilmente, Giovanna. Basterà aspettare che tuo marito e mia moglie abbiano un impegno la stessa sera.

Giovanna:   appunto, è una combinazione impossibile.

Pasquale:    beh, Giorgio giovedì è sempre al circolo, basterebbe aspettare che uscisse anche Francesca.

Giovanna:   forse è meglio lasciar perdere, quel che è stato è stato, adesso basta.

Pasquale:    ma sai che … mi pare abbia detto qualcosa a proposito del fatto che giovedì va-da a trovare sua madre.

Giovanna:   proprio giovedì? Sei sicuro?

Pasquale:    mi pare proprio che abbia detto giovedì. Poi faccio finta di nulla e glielo chiedo.

Giovanna:   non so, Pasquale, io comincio a sentire dei sensi di colpa ….

Pasquale:    forse se ci vedessimo qui, ti sentiresti meglio?

Giovanna:   eh, forse mi sentirei più sicura.

Giorgio:        (rientrando) ecco fatto, ho acceso un bel fuoco, così anche se dovessimo rima-nere a dormire qui, avremmo un bel caldino.

Giovanna:   vado a vedere che c’è da mangiare. Della pasta c’era di sicuro.

Giorgio:        sì, è vero, e poi sarà l’occasione per cominciare quel prosciutto stagionato

(Giovanna esce a destra)

Allora? Hai visto che Francesca non ci pensa neanche?

Pasquale:     per fortuna. Se dovevo fare affidamento sopra il tuo amico stavo fresco. Quando

mi sono trovato alle stretto ho dovuto per forza coinvolgere anche te.

Giorgio:        ti avevo avvertito che non era il caso, ora mi toccherà rimediarla meglio che po-

trò.

Pasquale:    perché? Cosa devi rimediare, tu?

Giorgio:        eh, niente, niente, adesso vedremo …

(rientrano Pironi e Francesca)


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Francesca:  oh, questo sì che è un uomo! Mi ha montato le catene in un batter d’occhio. Ha la forza di un toro.

Pironi:            non è questione di forza, signora. Ci vuole la mano, come in tutti i lavori.

Francesca:   allora lei ha una mano d’oro, glielo dico io.

Pironi:            grazie, signora. Si fa quel che si può.

Pasquale:    allora venga pure anche con me, Pironi, che può dare una mano anche con la mia auto.

Pironi:            pronti!

(Pironi e Pasquale escono al centro)

Francesca:   (quando sono usciti) allora?

Giorgio:        cosa?

Francesca:   giovedì sera.

Giorgio:        ah, giovedì sera?

Francesca:   sì, perché io potrei giurare che tu non eri a giocare a briscola.

Giorgio:        hai ragione, anzi, semmai a scopa, ha, ha, ha …

Francesca:   spiritoso. Allora?

Giorgio:        sì, dunque, la causa di tutto è stato Pironi, che giovedì sera ha fatto le corna alla

moglie e ha chiesto a Pasquale di dire che invece giocava a carte con lui. Ma

siccome Pasquale aveva paura di confondersi, ha chiesto a me e a Pironi di fare

una prova con te, e ci ha mandato a chiamare. Pensa un pò … ci siamo presi

uno spavento per nulla….

Francesca:   mmmh … voi uomini avete un sistema di copertura a vicenda che non mi piace

proprio per niente.

Giorgio: per stavolta, non devi avere nessuna paura. Ce la siamo cavata. Francesca: questo forse è il segno che è ora di smettere. Giorgio: tu dici? Adesso che cominciavo a prenderci gusto ... Francesca: lo dici a me? Solo che io comincio a sentirmi in colpa …. (da destra entra Giovanna)

Giovanna:   sì, di la abbiamo prosciutto per tutti. A questo punto restate a mangiare qui, Francesca?

Francesca:   non so, Pasquale è andato con Pironi a montare le catene, sentirò con lui.

(entrano dal centro Pironi e Pasquale)

Pasquale:    accidenti, quanta ne viene, arriva già al ginocchio.


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Giovanna:   restate a mangiare, su, senza complimenti. Può darsi che la circolazione sia già tutta bloccata. Resta anche lei, Pironi?

Pironi:            mah, non vorrei dare tutto questo disturbo …

Giovanna:   ma quale disturbo. Ci fa compagnia. E poi potremo giocare a carte, se è così bravo.

Pironi:            eh no, signora, io non sono capace di giocare a carte …

Pasquale:     (per rimediare) eh, eh, cosa dici, Pironi? Ti avevo detto che era simpatico. An-che con noi, in principio, ha fatto finta di non essere capace, e poi ci ha fregati a tutti.

Francesca:   ma non aveva vinto Giorgio tutta la sera?

Giorgio:        eh, no, abbiamo vinto un po’ per uno. L’importante è partecipare. Vieni Pironi, che dobbiamo tagliare la legna per il fuoco. (Giorgio e Pasquale lo portano via).

Francesca:   eh, che uomini che abbiamo …

Giovanna:   mah … tu forse sei un po’ più fortunata, ma col mio non rimedio mica più nien-te.

Francesca: perché parli così?

Giovanna:   eh, così, a volte mi piacerebbe con un po’ più di brio, di fantasia, di calore …

Francesca:   ma parli …?

Giovanna:   sì, anche a letto. Ormai siamo ridotti come due fratelli …

Francesca:   no! Davvero? Non avrei mai detto che Giorgio …

Giovanna:   da quel punto di vista, è spento come una lampadina fulminata.

Francesca:   ma dai, Giovanna. Mi prendi in giro. Giorgio non è così …

Giovanna:   lo vuoi sapere meglio di me?

Francesca:   ah, no, no, per carità. Dicevo giusto per dire. Era solo una impressione.

Giovanna:   un’impressione che più sbagliata non poteva essere.

Francesca:   avete provato con ...?

Giovanna:   abbiamo provato con tutto. Ma hai voglia te a dare le medicine ad un morto: quello non si alza. Poi Giorgio non può neppure esagerare perché altrimenti gli va su la pressione.

Francesca:   ho capito ... ah ma, comunque consolati, che anche il mio non è mica meglio.

Giovanna:   chi, Pasquale? Lascia perdere, dai, non ti credo.

Francesca:   ti dico che è così. Questo lo saprò meglio io, no?


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Giovanna:   ah sì, sì, per carità, anche la mia era solo un’impressione.

Francesca:   un’impressione che piò sbagliata non poteva essere. Uno di questi giorni pensa-vo di portarlo a Lourdes.

Giovanna:   mah, meglio non pensarci. Vado a preparare per cena.

Francesca:  almeno le soddisfazioni della tavola, quelle, non ce le può togliere nessuno. Ti do una mano. (escono a destra).

(entrano da sinistra Giorgio, Pasquale e Pironi)

Pasquale:    bravo, Pironi, ha tagliato un bancale di legna, che basterà per tutto l’inverno.

Pironi:            (ha le maniche rimboccate) dove posso andare a lavarmi le mani?

Giorgio:        c’è un bagno di là, la seconda a destra.

(Pironi esce a sinistra)

Pasquale:    insomma Giorgio, siamo tornati al punto di partenza. Adesso che hai detto a Francesca che Pironi era con una donna, ci sei rimasto solo tu a coprirmi.

Giorgio:        ma, scusa, perché non le dici la verità? Dove sarai mai stato quella sera?

Pasquale:     (si siede) non è quello il punto…(estrae un sacchetto dalla tasca) ti dispiace semi faccio una fumata?

Giorgio:        una fumata? Hai portato quella roba qui? Ma sei pazzo?

Pasquale:    perché? Siamo tra amici.

Giorgio:        ti sei dimenticato che c’è anche Pironi?

Pasquale:    eh, chiuderà un occhio, dai. Per un po’ d’erba …

Giorgio:        allora non lo conosci. E’ fissato, per queste cose non ragiona, ha i paraocchi come i cavalli, anzi, come i somari. Se ti vede ti mette le manette, ci mette den-tro a tutti, ci mancherebbe altro, metti vai per carità.

(entra Pironi e li sorprende)

Pironi:            ecco fatto.

(Pasquale si infila in fretta e furia il sacchetto sotto la maglia o la giacca, Giorgio lo ab-braccia per aiutarlo a nascondere).

cosa fate?

Pasquale:    no, niente … sabato devo portare mia moglie a ballare e mi sono scordato i pas-si della mazurka.

Giorgio:        sì, gli faccio un ripasso. (A ritmo di mazurka) Tan tan tan tan, taratantan …(escono a sinistra ballando).

(entrano Francesca e Giovanna da destra, Pironi guarda pensieroso verso sinistra)


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Francesca:   ecco qua il nostro Pironi, i nostri uomini l’hanno lasciato solo?

Pironi:            sono andati di là un momento. Dovevano ripassare un ballo.

Giovanna:   un ballo? mmmh … credo che a quei due, Francesca, ci tocchi accorciare il

guinzaglio.

Francesca:   hai ragione, Giovanna, altrimenti chissà che combinano.

Giovanna:   anche lei, Pironi, ho sentito dire che è un po’ birichino.

Pironi:            chi, io?

Francesca:   sì, lei. Per caso, giovedì sera, non era con una donna?

Pironi:            io? Per niente. Giocavo a carte coi vostri mariti.

Giovanna:   lasci stare, Pironi, ormai con noi può anche smettere di recitare la commedia.

Pironi:            comunque non ero con una donna; se non vado a lavorare, sto con mia moglie.

Giovanna:   perché, sua moglie non è una donna?

Pironi:            beh, su quello ci sarebbe da discutere, e parecchio.

Francesca:   è fortunato che ancora non la conosciamo e non possiamo fare la spia.

Pironi:            no, siete fortunate voi che ancora non la conoscete.

Giovanna:   venga con noi, Pironi, che per farla sentire di famiglia, le facciamo apparecchia-

re la tavola.

Pironi:            pronti. (i tre escono a destra).

FINE PRIMO ATTO


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

ATTO SECONDO

La scena è vuota, entrano dal centro don Vittorio e Marcella, si tolgono i cappotti.

Marcella:    datemi il cappotto ed il cappello, don Vittorio, altrimenti qui facciamo un lago.

D.Vittorio:  ma guarda un po’, era prevista la neve, ma questa è una bufera d’altri tempi.

Marcella:     adesso ormai siamo arrivati, l’importante era quello.

D.Vittorio:  però c’è anche quel fesso di mio nipote. Speravo di non incontrarlo, dieci giorni

di pace ed invece … . E non è neppure da solo, guarda le macchine.

Marcella:    sarà passato a salutarvi, don Vittorio, su, avete sempre da brontolare?

D.Vittorio:  macché salutare, quello è così stupido che se ne è dimenticato. E’ venuto a mangiare qui e ha fatto persino gli inviti.

Marcella:    don Vittorio, vergognatevi! Parlare in questo modo di vostro nipote.

D.Vittorio:  anche se è mio nipote, resta un fesso ed un seccatore, va bene?

Marcella:     dovreste cercare di andare d’accordo. Ormai di parenti stretti ne avete pochi, dovreste pensare che un giorno potreste averne bisogno. Io non sarò qui in eter-no a badare a voi.

D.Vittorio:  per carità! se dovessi fare affidamento su mio nipote, starei fresco. No, no, spe-riamo che il Signore mi faccia la grazia di farmi passare a miglior vita veloce-mente, quando sarà il momento, senza avere bisogno di nessuno.

Marcella:    non si può mai dire nella vita, la gente cambia.

D.Vittorio:  mio nipote, no. Scemo da bambino, scemo adesso!

Marcella:    è tanto che non lo vedete, sarà cresciuto. Non sarà più quel ragazzino che vi fa-ceva ammattire.

D.Vittorio:  zitta, per carità. Tutte le estati che mia cognata lo mandava da me, andavo ad accendere una candela alla Madonna, per scongiurare la catastrofe, ma non c’era modo.

Marcella:    io non ero ancora la vostra perpetua, ma mi ricordo che quando passavo da voi, era piuttosto vispo.

D.Vittorio:  vispo? Era indiavolato, te lo dico io. Mi faceva impazzire. L’ho portato persino a fargli fare un esorcismo, una volta, ma non c’è stato niente da fare. Invece di migliorare, è peggiorato.

Marcella:    siete il solito esagerato, don Vittorio.

D.Vittorio:  esagerato? Mio nipote era una miscela esplosiva: di carattere era una peste, d’intelletto non capiva un tubo.

Marcella:    gli avete fatto un bel quadretto. Ma non serviva anche messa?


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D.Vittorio:  solo una volta. Dopo che ha riempito il calice del vin santo con la mia grappa da alpino, che fa quasi cinquanta gradi, l’ho dovuto licenziare. C’era quella fila di suorine che andavano via di traverso, per un miracolo non sono finite sotto un camion.

Giorgio:        (arriva seguito da tutti) oh zio, che sorpresa!Ce l’hai fatta ad arrivare?

D.Vittorio:  no, sono ancora nella mia canonica. Chi è tutta questa gente?

Giorgio:        (rivolto agli altri) mio zio, gli anni passano ma lui è sempre brillante!C’è Gio-vanna, e tre amici: Pasquale, sua moglie Francesca e Pironi (presentazioni). Questo è mio zio Vittorio, il famoso “don Riscossa”. Ti chiamano ancora così?

D.Vittorio:  solo quelli che mi vogliono male. Ma io li lascio dire. Un prete deve essere pronto a sopportare questo ed altro. Nella bibbia trovi scritto: “avrete sete e sa-rete dissetati, avrete fame e sarete diffamati”.

Pasquale:    dov’è la vostra parrocchia, don Vittorio?

D.Vittorio:  in un paesino sperduto tra i monti, si chiama Monte Piccolo.

Giorgio:        e quando andavo a scuola, la mamma mi costringeva a passare le vacanze in quello sputo di paese. Era una tortura che non finiva mai. Pensate che non ve-devo le ore di tornare a scuola.

D.Vittorio:  un po’ tutti, non vedevamo le ore.

Giorgio:        la mamma mi diceva: “forza che il prossimo anno lo faranno vescovo, allo zio, lo manderanno in una città grande”. Eh, campa cavallo, lui ha fatto carriera al ontrario, vero zio?

D.Vittorio:  (incassa) si fa quel che si può, sono i casi della vita.

Giorgio:        eh, a fare i rivoluzionari si finisce così, “chi è causa del suo mal” …

D.Vittorio:  lei è Marcella, la mia perpetua.

Marcella:    buona sera a tutti.

D.Vittorio:  non ti è arrivata la mia lettera dove ti avvisavo che sarei venuto a stare un po’ di giorni qui?

Giovanna:   sì don Vittorio, è arrivata oggi. Ero venuta a sistemare quando ha cominciato a nevicare forte e non ce l’abbiamo più fatta ad andare via. Ci siamo fermati a mangiare qui.

D.Vittorio:  dovete sbrigarvi, dunque, altrimenti resterete bloccati. Se continua così, ne farà un paio di metri.

Giovanna:   pensavamo di rimanere a dormire qui, stanotte. Tanto domani non si lavora.

D.Vittorio:  ma c’è il posto per tutti? E per mangiare? Se andate via adesso ce la farete anco-ra bene.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Giorgio:        cosa dici, zio? C’è posto per un esercito, cibo a volontà, scorte di legna per il

camino. C’è un’atmosfera da non morire mai.

Giovanna:   dovete mangiare, don Vittorio? Noi avevamo appena cominciato.

D.Vittorio:  giusto un boccone, se c’è.

Giovanna:   come non c’è? Siamo a casa vostra, piuttosto restiamo noi senza.

Francesca:   di là ce n’è, di roba, da mangiare per un esercito.

Marcella:    allora don Vittorio bisogna che vi teniate un po’ su, altro che un boccone.

D.Vittorio:  se permetti, Marcella, saprò io l’appetito che ho.

Giovanna:   avete le valigie, don Vittorio?

D.Vittorio:  sono nella macchina.

Giorgio:        Pironi, vai a prendere le valigie del prete.

Pironi:            subito. (Esce al centro)

Pasquale:    vengo a vedere quanta ne ha fatta. (lo segue)

Giovanna:   faccio i piatti anche per voi, don Vittorio. (Esce a destra con Francesca)

D.Vittorio:  grazie, Giovanna.

Marcella:    vi do una mano.

D.Vittorio:  sì, perché lei deve sovrintendere a tutte le operazioni che mi riguardano.

Marcella:     (uscendo con le donne a destra) linguaccia.

Giorgio:        allora zio, come stai?

D.Vittorio:  così, a caval d’un asino. Ero venduto per starmene un po’ in pace, ma non c’è

modo.

Giorgio:        dai zio, solo per stasera, da domani ti lasceremo tutto solo.

D.Vittorio:  voglio sperare. (esce a destra mentre entra dalla principale Pasquale)

Pasquale:     urca Giorgio, ce n’è quasi un metro e continua a nevicare di brutto. (Sedendosi e

togliendosi le scarpe) Senti, avresti un paio di ciabatte,che mi è entrata l’acquanelle scarpe?

Giorgio:        (cerca in un mobiletto) sai che non credo di averle. Qui abbiamo solo quelle di

mia moglie.

Pasquale:    eh, pazienza, fammele provare, giusto per non rimanere scalzo.

Giorgio:        toh (gliele porge), purtroppo hanno anche un po’ di tacco. Guarda se ti vanno.

Pasquale:     (se le infila) mi pare di sì. (si alza) Sono carino?

Giorgio:        (sarcastico) eeehhh…mi sembri“Carla Fracci” (fruga in una scatola)


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Pasquale:    cosa cerchi?

Giorgio:        le chiavi del bruciatore, le teniamo tutte qui, sarà questa. (Dalla scatola estrae anche un foglio). Guarda, guardaun po’, che lettered’amore mi scriveva miamoglie venti anni fa.

(Pasquale si accosta a Giorgio, entrambi danno le spalle alla porta centrale dove rientra Pironi con le valigie del prete. Si ferma ad ascoltare Giorgio che legge, pensando che dica quelle cose a Pasquale.)

“… l’altra sera, trascorsa tra le tue braccia, è stata la più bella della mia vita. I tuoi baci, le tue carezze, i tuoi abbracci hanno risvegliato la parte più femminile di me. Non vedo l’ora che arrivi giovedì prossimo, per donarmi completamente a te, mio amore, mio respiro, mia vita. Ti desidero, cucciolotto mio” eh?

Pasquale:    son passati due giorni.

Giorgio:        eh, già.

(quasi commosso, Giorgio esce a destra, Pasquale si avvede di Pironi)

Pasquale:     (si avvicina s-ciabattando, come se avesse due pattine) oh, Pironi, ho un paio di

stivali da caccia nella macchina, li vada a prendere per piacere. Le chiavi do-vrebbero essere …

Pironi:            (che è rimasto immobile con le valigie in mano) lei, Pasquale, è gay?

Pasquale:     …o sopra quel tavolino bianco vicino la porta oppure … come … come ha det-

to?

Pironi:            guardi che io non sono deficiente. Ho capito cosa fate con Giorgio, tra di voi,

giovedì sera, e che le vostre donne non lo devono sapere. Altro che briscola.

Pasquale:    ma cosa dice, Pironi? Ha capito male.

Pironi:            quello che fate tra voi, a me non importa. Io sono liberale. Mi basta che sia

chiaro che quella briscola lì, io non la so e non la voglio giocare! Ha capito?

Pasquale:    guardi, Pironi, che si sbaglia di grosso.

Giorgio:        (si affaccia) Pironi, sei ancora lì con quelle valigie? Posale e vieni di qua, che il

bruciatore non parte. Ti vado a prendere gli attrezzi.

(Pironi si avvia a destra avendo cura di costeggiare il muro e non voltare le spalle ai due).

Cosa ha fatto?

Pasquale:    Pironi? E’ convinto che siamo due finocchi.

Giorgio:        chi?

Pasquale:    io e te. Prima ci ha visto che ballavamo, adesso con queste ciabatte addosso …

Giorgio:        ma guarda un po’. Allora ci sarà da ridere. (esce a sinistra)


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Pasquale:     (sarcastico) eh, più di così! Sei sicuro di non avere un altro paio di scarpe? (esce seguendolo e s-ciabattando).

(da destra entra don Vittorio, che sembra cercare qualcosa, seguito subito da Giovanna)

Giovanna:   don Vittorio.

D.Vittorio:  sì?

Giovanna:   vi dispiace se … io … beh, avrei bisogno di confessarmi.

D.Vittorio:  (seguitando a cercare) vedrai che domattina appena svegli saranno già passati aliberare la strada. La chiesa è proprio qui sopra.

Giovanna:   non avete capito, don Vittorio. Io ho bisogno di confessarmi adesso. Con voi.

D.Vittorio:  eh? Ah, no, no, io sono in ferie, sono fuori giurisdizione. Qui manca il confes-sionale, io non ho i miei paramenti, no, no, non si può.

Giovanna:   oh, don Vittorio, mi sento un peso qui nel petto che non so se riuscirò a resistere fino domattina. E’ una cosa grossa, un peccato mortale, ed io ho bisogno di con-fessarmi col prete, ma anche con lo zio, con l’amico ….

D.Vittorio:  oh, Giovanna, insomma non posso dire di no, giusto? Tutti vanno in ferie, dot-tori, professori, idraulici, tutti…tranne il prete. Allora dai, sentiamo, mettiamoci qui e cerchiamo di fare presto, almeno.

Giovanna:   (si siede con lui) avete ragione, don Vittorio, ma proprio non posso farne a me-no, non ce la faccio più a portarmi addosso il peso di questo peccato.

D.Vittorio:  cosa avrai mai fatto? Hai ammazzato qualcuno?

Giovanna:   no, don Vittorio, non ho ammazzato nessuno. Ma l’ho fatta grossa lo stesso, stavolta.

D.Vittorio:  allora ti decidi? Di cosa si tratta?

Giovanna:   (tutto d’un fiato) ho fatto le corna a Giorgio.

D.Vittorio:  eh?

Giovanna:   ho fatto le corna a Giorgio.

D.Vittorio:  cosa hai fatto?

Giovanna:   ho fatto. Le corna. A Giorgio.

D.Vittorio:  tu.

Giovanna:   sì.

D.Vittorio:  a Giorgio.

Giovanna:   sì, a Giorgio.

D.Vittorio:  tu hai fatto le corna a Giorgio.


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Giovanna:   eh, già.

D.Vittorio:  e … quando?

Giovanna:   eh, giovedì scorso. Ed era la terza volta.

D.Vittorio:  mmmh … ho capito. E ti sei innamorata dell’altro?

Giovanna:   no, don Vittorio, è stato solo un capriccio.

D.Vittorio:  insomma …un’avventura che è finita lì.

Giovanna:   sì.

D.Vittorio:  allora sai cosa ti dico, Giovanna? brava! Hai fatto bene.

Giovanna:   ma, don Vittorio cosa dite? Parlate sul serio?

D.Vittorio:  ma siii! A parte il fatto che ormai è diventato uno sport nazionale. E poi, ascol-ta, Giovanna, io ti conosco: tu sei una brava moglie, e se hai fatto quello che hai fatto, vuol dire che se le è meritate.

Giovanna:   beh, veramente, lui ha tutti i suoi difetti, per carità, ma non potrei proprio dire che se le è meritate.

D.Vittorio:  difetti? Lui è il dizionario “Zingarelli” dei difetti, l’enciclopedia “Treccani” dei difetti, li ha tutti, tutti. Sei stata una santa a sopportarlo fino adesso. Ti dovreb-bero dare una medaglia per il peso che ti sei caricata sulle spalle dal giorno che

visiete sposati.

Giovanna:  voi dite?

D.Vittorio:  si capisce. Non farla più grossa di quello che è, Giovanna. Per aver portato la croce del tuo matrimonio per tutto questo tempo, un momento di debolezza e di distrazione, è il minimo sindacale.

Giovanna:   oh, don Vittorio, voi non potete credere il conforto e la consolazione che mi danno le vostre parole in questo momento.

D.Vittorio:  e poi stai tranquilla che a quell’ambizioso, gli stanno meglio che un vestito nuovo.

Giovanna:   voi però, forse, don Vittorio, parlate così perché non la sapete tutta.

D.Vittorio:  cosa dovrei sapere, ancora?

Giovanna:   beh, le corna, glieli ho fatte con …

D.Vittorio:  con …?

Giovanna:   con Pasquale.

D.Vittorio:  con Pasquale.

Giovanna:   sì.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

D.Vittorio:  e chi è Pasquale?

Giovanna:   quello di là, il suo migliore amico.

D.Vittorio:  urca, questa è forte!

Giovanna:   sono proprio vergognosa, vero?

D.Vittorio:  ma lascia perdere. Hai fatto bene, piuttosto che andare a cercare uno sconosciu-to, che non si sa mai, con tutte le malattie che ci sono in giro al giorno d’oggi. Così la cosa è rimasta in famiglia.

Giovanna:   sì, ma con il suo migliore amico, gli ho fatto proprio una vigliaccata. Io spero solo che non lo venga a scoprire mai.

D.Vittorio:  no, no, no, bisogna che lo sappia, invece. Altrimenti come facciamo a fargli ab-bassare la cresta?

Giovanna:   ma don Vittorio …

D.Vittorio:  Giovanna, se vuoi l’assoluzione bisogna che confessi i tuoi peccati.

Giovanna:   ma io li sto confessando a voi.

D.Vittorio:  e invece la confessione va fatta a lui.

Giovanna:   ma io non me la sento, don Vittorio.

D.Vittorio:  dai dai, il dente cariato va tolto, e prima se fa e meglio è. Gli confessi tutto, gli dici che sei pentita e gli chiedi perdono.

Giovanna:   voi dite, don Vittorio?

D.Vittorio:  non c’è altra strada, carina. Bisogna che ti liberi del peso del tuo peccato, altri-menti diventerà troppo grande da sopportare.

Giovanna:   e se fa una pazzia? Se mi ammazza di botte?

D.Vittorio:  ma lascia perdere, cosa vuoi che ammazzi, quella mezza cartuccia? Su, tranquil-la, che io starò qui con te, e ti darò una mano. Così mi faccio anche due risate.

(entrano Pasquale e Giorgio da sinistra, Giorgio ha una cassetta degli attrezzi) Giorgio: Giovanna, qui non abbiamo un paio di mie ciabatte da dare a Pasquale?

D.Vittorio:  lascia perdere le ciabatte, Giorgio. Vieni qui con noi che adesso ti facciamo le scarpe.

Giorgio:        porto questa cassetta a Pironi e sono subito da voi.

D.Vittorio:  (a Pasquale) abbia pazienza, Pasquale, gliela porti lei, la cassetta, a Pironi, chenoi dobbiamo fare un discorso di famiglia.

Pasquale:    dammi, Giorgio, che gliela porto io (s-ciabatta ed entra a destra).

Giorgio:        allora? Cosa c’è?


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Giovanna:   mettiti seduto, Giorgio, che devo dirti una cosa.

D.Vittorio:  sì, mettiti seduto che ti facciamo “barba e capelli”, servizio completo.

Giorgio:        cosa è successo?

D.Vittorio:  niente, tua moglie deve parlare con te, non si può?

Giorgio:        sì certo, come no? Parla pure che ti ascolto.

Giovanna:   allora, Giorgio, … io … ho combinato un guaio.

Giorgio:        che guaio?

Giovanna:   un guaio che …oh, don Vittorio non so come dirlo …con voi è stato più facile.

D.Vittorio:  per forza, io sono più intelligente. Lui è un po’ più duro di comprendonio.

Giorgio:        cosa hai combinato? Hai strisciato la macchina?

D.Vittorio:  eehh, ha fatto una striscia lunga …

Giorgio:        ti sei fatta un regalo un po’ costoso?

D.Vittorio:  no, lo ha fatto a te, il regalo.

Giorgio:        un regalo a me? Quel maglione che abbiamo visto l’altro giorno?

D.Vittorio:  no, non è un maglione. E’ più una cosa da mettere in testa.

Giorgio:        ma perché mi hai fatto un regalo? Non compio mica gli anni …

Giovanna:   (inizia a piangere) oh Giorgio, scusa, scusa ….

Giorgio:        insomma zio, si può sapere …

D.Vittorio:  hai proprio la testa dura, eh? Io ci sono arrivato subito.

Giorgio:        eh, invece io non ci arrivo. Vi decidete sì o no?

D.Vittorio:  ti ha fatto un cornetto.

Giorgio:        a me? Una brioches?

D.Vittorio:  sì, un “bombolone”. E’ andata a letto con un altro, la vuoi capire!?!

Giorgio:        (li guarda entrambi) mi prendete in giro?

D.Vittorio:  eh, ti piacerebbe …

Giorgio:        lasciate perdere, su …

(Giovanna lo guarda continuando a piangere e facendo sì con la testa)

Dite veramente? Fate sul serio?

D.Vittorio:  un cornetto fatto e finito. Niente di più e niente di meno!

Giorgio:        quando? Con chi?

Giovanna:   devo dire anche questo, don Vittorio?


27


Stefano Palmucci – A caval d’un asino

D.Vittorio:  veramente non è obbligatorio, ma se è curioso …

Giorgio:        sì, sono curioso, guarda un po’. (inizia ad alterarsi) Mia moglie mi mette le

corna e io sono curioso di sapere con chi.

Giovanna:   glielo devo proprio dire?

Giorgio:        lo conosco?

D.Vittorio:  credo giusto di vista.

Giorgio:        chi è?

D.Vittorio:  diciamo così che qualche volta vi siete incrociati.

Giovanna:   però Giorgio, la colpa è solo mia. Lui non c’entra. Prenditela con me, se mi

vuoi picchiare, se ti vuoi sfogare, fai pure, ma non sarebbe giusto coinvolgere la sua famiglia, che non ha nessuna colpa.

Giorgio:        insomma, si può sapere!?!

D.Vittorio:  è quello che era qui adesso, con le ciabatte addosso, lo conosci?

Giorgio:        (resta interdetto) Pasquale?

Giovanna:   siiiii. (piange) Scusa Giorgio, sono una disgraziata, una canaglia, una vergogno-

sa. Ti ho tradito con il tuo migliore amico. Ho tradito la fiducia delle dure per-sone che mi volevano più bene, tu e Francesca.

Giorgio:        ma guarda un po’ … e quando è successo?

Giovanna:   giovedì scorso, quando tu eri al circolo.

Giorgio:        proprio giovedì …sì, io infatti ero al circolo.

Giovanna:   cosa penserai di me, adesso? Che considerazione avrai? Che sono una schifosa,

una falsa, una bugiarda.

Giorgio:        sì, vai pure avanti, così mi risparmi un po’ di insulti che ti dovrei dire io.

Giovanna:   non so cosa mi abbia preso, Giorgio, cosa credevo di fare. Mi guardo allo spec-

chio e non mi riconosco neppure io. Cosa mi è successo?

Giorgio:        mi pare un po’ tardi per fare queste domande. Forse avresti dovuto farle prima.

Prima di piantarmi questa coltellata nella schiena.

Giovanna:   hai ragione, Giorgio. Sono una disgraziata, l’ultima delle disgraziate.

Giorgio:        e io, adesso, cosa dovrei fare? Eh? Dovrei tornare di là, alla nostra vita di tutti i

giorni, magari anche con quella carogna di Pasquale, e fare finta di niente? Giovanna: non lo so, Giorgio, non lo so.

D.Vittorio:  beh, Giorgio, lei ha capito il suo sbaglio, è pentita, ha giurato di non farlo più … io, da prete, l’assoluzione gliel’ho data.


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Giorgio:       ah, per te è facile, zio, sei abituato a perdonare la gente, è il tuo mestiere …e poi, scusa eh? Ma sono tutti buoni di fare i froci col culo degli altri.

D.Vittorio:  eh, lo so, hai ragione, ma cosa ci vuoi fare? Ormai è successo, indietro non si

può tornare.

Giorgio:        bisognerà vedere se lei sarà capace di farsi perdonare.

Giovanna:   ce la farò, Giorgio, dammi solo una possibilità. Farò tutto quello che vuoi, cam-

bierò, diventerò la moglie che hai sempre sognato, ti farò da serva, da amica, da moglie, tutto quello che vuoi.

Giorgio:        eh, questo potrebbe essere un buon inizio.

Giovanna:   ci metterò tutto l’impegno del mondo e tutte le mie forze per tornare a guada-

gnarmi la tua fiducia e il tuo amore.

Giorgio:        dovrai sudare sette camicie. Ti aspetta una strada lunga e faticosa, piena di im-

pegno, sacrificio e rinunce, ma lo hai voluto tu.

Giovanna:   non m’importa, Giorgio, farò tutto quello che c’è da fare, non ho paura di nien-

te. Sopporterò tutto, non mi peserà nessuna fatica e nessuna rinuncia.

Giorgio:        e tutti i miei capricci, desideri, sfizi …per te saranno ordini.

Giovanna:   basta che tu parli: sarò la tua schiava, brava, zitta ed ubbidiente.

Giorgio:        allora, se sei decisa e convinta, vieni pure di qua con me, Giovanna. La tua pa-

rola non mi basta più: vediamo di mettere nero su bianco questo tuo impegno.

Giovanna:   oh, Giorgio, se mi dai la possibilità di redimermi, ti firmo una cambiale in bian-

co per tutta la vita.

D.Vittorio:  mi posso fidare a lasciarvi soli?

Giorgio:        tranquillo, zio. Le faccio solo firmare un contratto con tutte le condizioni (esco-

no a sinistra).

Marcella:     (entrando da destra) avete capito,don Vittorio, che storia …

D.Vittorio:  che storia? Non avrai sentito …

Marcella:    eh, passavo per caso nell’anticamera.

D.Vittorio:  sì, io non posso parlare con nessuno che te, per un motivo o per l’altro, ti trovi a passare nell’anticamera.

Marcella:    sapete, don Vittorio, che avete ragione? Mi capita spesso. E così sono costretta ad ascoltare un sacco di cose che a me non interessano per niente.

D.Vittorio:  cosa hai sentito, stavolta?

Marcella:    io? Niente. Solo quella povera donna che parlava con voi e poi quando è arriva-to il marito.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

D.Vittorio:  allora è un po’ che eri lì. Quanto è grande quell’anticamera?

Marcella:    poco, non c’era neppure una sedia.

D.Vittorio:  ti ho già detto che ascoltare le confessioni altrui è peccato. Non è la prima volta che ti trovo nascosta nel confessionale, per fortuna che i parrocchiani ti cono-scono e stanno un pochino attenti …

Marcella:    anche voi, don Vittorio, che parlate tanto, avete fatto peccato di superbia con vostro nipote. Quando la moglie confessava le corna, voi eravate tutto compia-ciuto e contento.

D.Vittorio:  ma finiscila, che non è vero niente.

Marcella:     si può sapere perché ce l’avete così tanto con vostro nipote?

D.Vittorio:  perché è un ambizioso, va bene? E’ un egoista che pensa solo per sé, una di quelle persone che pensa di esserci solo lui al mondo, che sono convinte che gli altri siano tutti lì solo per aspettare i suoi ordini. Pironi! (che è appena entrato)

Pironi:            sì?

D.Vittorio:  va a prendere la mia valigia e portala nella camera.

Pironi:            subito (rientra a destra).

Francesca:   (entra da destra incrociando Pironi) oh, siete qui voialtri? Non venite a man-giare? Il cibo si fredda.

D.Vittorio:  arriviamo, Francesca. Ho dovuto dare una mano a Giorgio e Giovanna per si-stemare una questione familiare, sono andati un momento in camera, ma arriva-no subito.

Francesca:  è una fortuna per una famiglia avere uno zio prete che ti può dare una mano tut-te le volte che c’è bisogno.

(Pironi entra da destra con una valigia ed esce a sinistra)

Marcella:    lo può dire chiaro e forte. Tutte le volte che c’è bisogno, Don Vittorio è sempre a disposizione.

Francesca:  e poi si vede subito che voi siete un prete buono e comprensivo. Non mettete soggezione come certi preti altezzosi che la fanno cadere dall’alto.

Marcella:    ma scherza? Un prete più alla buona a pacioccone di così, non si trova più.

D.Vittorio:  grazie Marcella, mi ha fatto un bel ritratto.

Francesca:  anzi, don Vittorio, dato che ci sono, faccio la sfacciata: avrei bisogno di confes-sarmi.

Marcella:    anche lei?

Francesca:   perché anche? Chi si è confessato?


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D.Vittorio:  no, nessuno. La mia perpetua parlava dei parrocchiani che si sono confessati stamattina.

Francesca:  io, don Vittorio, mi sento un peso qui nel petto che se non mi confesso mi pare mi venga a meno il fiato. Mi sento soffocare.

D.Vittorio:  domattina chiamiamo subito la chiesa qui sopra per sentire se è aperta.

Francesca:  io veramente, don Vittorio, mi volevo confessare con voi. Il mio peccato è mol-

to grave e io sento che solo voi mi potreste capire e, forse, assolvere.

Marcella:    eh, ma se è una cosa così grossa, Francesca, la confessiamo subito, vero don Vittorio? Si metta pure a sedere sopra il divano, (si accomoda per prima) ecco, qui, tra me e don Vittorio. Perché lui, come prete, la può confessare e dare l’assoluzione; io, invece, come donna posso capire meglio il travaglio dei suoi sentimenti e magari darle un consiglio da donna a donna, considerata l’esperienza che ho. Sì perché io, non si vede, ma ormai ho una certa età, sono più grande di lei, al mio paese tutti sono abituati a chiedermi un consiglio, un suggerimento, una parola buona. Stia pure tranquilla che al mio paese non si prende una decisione di una certa importanza senza aver prima sentita la Mar-cella.

(Marcella parla sul divano dando le spalle a don Vittorio e Francesca, che restano in piedi. Don Vittorio fa cenno a Francesca di lasciare parlare Marcella e di seguirlo alla porta di destra, dove escono. Poco dopo entra Pasquale.)

Veh, ma dove sono andati?

Pasquale:    a me hanno detto di venire qui e trattenerla per dieci minuti.

Marcella:    ah, quel birichino d’un prete. Non perde occasione per farmi passare da quella che è interessata alle confessioni degli altri. Capirà, a me cosa importa. Io, si-gnor Pasquale, sono abituata a farmi gli affari miei e basta.

Pasquale:    non ho motivo per dubitarne.

Marcella:    invece il prete è convinto che mi interessino i fatti degli altri. Non ci potrebbe essere cosa più lontana dalla verità. E’ solo perché un paio di volte mi è capitato di trovarmi dentro il confessionale a pulire, quando è venuto qualcuno a confes-sarsi, ed io sono rimasta ad ascoltare. Mi scusi, signor Pasquale: cosa avrei do-vuto fare?

Pasquale:    non saprei.

Marcella:    dovevo fermare quei poveri cristi nel mezzo della confessione e dire: “aspetta, io non sono il prete, fino adesso avete parlato con la perpetua” e metterli in un imbarazzo simile? Non avrei peggiorato al situazione?

Pasquale:    non saprei che dire, mi parrebbe di sì.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Marcella:    una volta, per dire, che mi trovavo dentro al confessionale è venuta a confessar-si mia cognata. Cosa dovevo fare? Ormai aveva iniziato. E poi ha cominciato a parlare di me, della sua cognata, dicendo che sono un’ambiziosa, una pettegola, una che si impiccia degli affari degli altri e che lei era molto invidiosa di me ...

Pasquale:    davvero? E lei?

Marcella:    e io zitta, l’ho lasciata parlare. E quando ha finito le ho dato l’assoluzione.

Pasquale:    ma sua cognata non si è accorta che c’era lei, dentro?

Marcella:    no, perché il confessionale fa l’”eco”, e poi io facevo la voce grossa.

Pasquale:    e le ha dato l’assoluzione?

Marcella:    sì, le ho detto: “questo è un peccato grave, cara, un peccato mortale. Per avere l’assoluzione devi dire tre milioni di Padre Nostro!”

Pasquale:    tre milioni?

Marcella:    sì, tre milioni. Così impara: io sarò anche ambiziosa, ma lei è ancora lì che pre-ga.

Pasquale:    questa è forte!

Marcella:    il fatto è che io sono abituata a pensare solo ai miei affari. E basta, caro il mio signor Pasquale. Ha dei figli, lei?

Pasquale:    sì, due.

Marcella:    e lavorano o studiano ancora?

Pasquale:    il piccolo studia, il grande lavora.

Marcella:    dove lavora?

Pasquale:    lavora nella serigrafia di …

Marcella:    ho capito, quella dei fratelli Turoni. Annibale che ha sposato la Ginetta del Sas-so e Asdrubale che è ancora ragazzo. Ragazzo, insomma, ha quasi cinquantatre anni, ormai non si sposa più. Ha avuto una storia con una ragazza della bassa Italia, cinque anni fa, ma non hanno concluso niente, anche perché lei aveva adocchiato il cugino, Amilcare, si vede che dopo l’hanno ammucchiata su alla meglio …

Pasquale:    sicuramente.

Marcella:    beh, dieci minuti sono passati, io sono stanca di aspettare, vado di qua. (esce a destra impettita)

Giovanna:   (entra da sinistra) Pasquale! Pasquale, gli ho detto tutto.

Pasquale:    a chi??

Giovanna:   a Giorgio.


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Pasquale:    come gli hai detto tutto? Sei diventata matta?

Giovanna:   no, Pasquale, mi sono liberta di quel peso che avevo nel petto. Prima mi sono

confessata con don Vittorio e poi, dietro suo consiglio, anche con Giorgio. Ed è

stata una liberazione da non credere. Mi sento più leggera, più libera. Adesso

dovrò scontare il mio sbaglio, non c’è dubbio, e Giorgio me lo farà pagare caro,

con tutti gli interessi, ma non mi importa. Mi sono liberta di tutti quei rimorsi

che sentivo prima. Adesso voglio parlare anche con Francesca.

Pasquale:    no, no, no, aspetta un momento. Francesca non deve sapere niente. Giorgio che

ti ha detto?

Giorgio:        (entra) te lo dico subito cosa ho detto, “ex” amico.

Pasquale:    Giorgio, lasciami spiegare, per piacere.

Giovanna:   io vado a parlare a Francesca (esce a destra).

Giorgio:        cosa vuoi spiegare, tu? Forse che quel coltello che mi hai piantato nella schiena,

era finto?

Pasquale:    è capitato tutto per caso, Giorgio, non so neanche io come è potuto accadere.

Giorgio:        sta zitto, carogna! Abbi almeno la creanza di stare zitto. Ti credevo il mio mi-

gliore amico, eri un fratello per me, mi sarei buttato nel fuoco. E tu, intanto, die-tro le spalle, mi confezionavi questo bel regalo.

Pasquale:    non è così, Giorgio, anche per me eri mio migliore amico …

Giorgio:        ah, bell’amico. Li tratti così, tu, gli amici? Hai avuto persino il coraggio di

chiedermi di dire che stavo con te, quella sera!

Pasquale:    ti posso almeno dire …

Giorgio:        no! Zitto devi stare, solo zitto, e uscire subito da questa casa. E considerati for-

tunato se finisce così.

Pasquale:    perché fortunato? Cosa vorresti dire?

Giorgio:        che se la tiri troppo per le lunghe, potrei anche metterti le mani addosso.

Pasquale:    ah, ecco, ci mancherebbe solo quello.

Giorgio:        sta attento, Pasquale, che la pazienza prima o poi finisce.

Pasquale:    ma lascia perdere, dai …

Giorgio:        lascia perdere? Come “lascia perdere”? ti faccio vedere io …

(gli mette le mani al collo, nella colluttazione finiscono sul divano. Entra Pironi da snstr)

Pironi:            (schifato) non vi vergognate, zozzoni? Se non riuscite a trattenere i vostri“bol-lori”, almeno andate di là, in una camera. Se entrano le vostre mogli, cosa gli raccontate? che state giocando a briscola? (si avvia verso destra) mi fate schifo!


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Giorgio:        (alzandosi) Pironi dove vai?

Pironi:            a sparecchiare la tavola e lavare i piatti, e poi voglio uscire per sempre da questa

casa depravata.

Pasquale:    ma no, Pironi, non volete prima spalare un po’ di neve, almeno? (Pironi è usci-

to)

Giorgio:        ora basta, Pasquale, vai a prendere tua moglie e poi sparisci da questa casa. Non

ti voglio più vedere.

D.Vittorio:  (entra da destra sull’ultima frase, seguito poco dopo da Marcella) se permetti,Giorgio, il padrone di casa sono io, e sono io che decide chi deve andare e chi

deve restare.

Giorgio:        conosci la storia, zio. Non puoi biasimarmi se caccio quest’uomo. Non mi puoi

umiliare e sconfessare anche questa volta, zio, perché altrimenti con lui, siamo diventati ex amici, e con te diventeremo ex parenti!

D.Vittorio:  Giovanna mi ha detto che le hai fatto firmare un foglio?

Giorgio:        sì (lo estrae da una tasca), è il contratto delle condizioni per essere perdonata.

D.Vittorio:  (mentre lo prende) io la storia la conosco tutta, Giorgio, tutta. Questo foglio (lo

strappa) non ha nessun valore.E quest’uomo può rimanere fino che vuole.

Giorgio:        allora non c’è nessuno problema, zio. Vado via io. E stai pure sicuro che se in

questi anni ci siamo visti poco, da adesso in avanti non ci vedremo più per nien-te. (esce adirato a sinistra).

Pasquale:    Giorgio, (lo segue) dai, Giorgio non fare così (esce anche lui).

Marcella:     (seria ed arrabbiata) volete smettere?

D.Vittorio:  eh?

Marcella:    avete capito, don Vittorio. Ve la dovete smettere!

D.Vittorio:  con chi? Ma cosa dici?

Marcella:    con vostro nipote, don Vittorio.

D.Vittorio:  e a te cosa importa? Non sono affari tuoi.

Marcella:    è lo stesso: dovete smettervela con quella rabbia, quella cattiveria, quel livore

che avete sempre nei suoi confronti.

D.Vittorio:  senti, Marcella, da che mondo è mondo, è la perpetua che deve fare quello che dice il prete e non il contrario.

Marcella:    io non parlo come perpetua, ma come amica. Dovete smetterla di prendervela sempre con lui, che non ha nessuna colpa!

D.Vittorio:  colpa? Cosa dici? che colpa?


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Marcella:    ho indovinato, vero?

D.Vittorio:  che cosa?

Marcella:    ci sono arrivata per caso, ma quando ci sono arrivata è stato come tirare un vaso contro un muro. Quando vai a raccogliere i cocci, ti accorgi che tutti i pezzi combaciano.

D.Vittorio:  ma che cocci? Ne ho abbastanza delle tue stupidaggini …

Marcella:    ah, stupidaggini, eh? Primo: dite sempre che quando vostro nipote veniva da voi, d’estate, andavate ad accendere una candela alla Madonna per scongiurare la catastrofe. Ma se veramente non lo volevate, bastava dire a vostra cognata che non avevate posto. In realtà, voi, non vedevate le ore che vostro nipote arri-vasse, e la candela alla Madonna era per ringraziarla.

D.Vittorio:  e allora? Anche se fosse?

Marcella:     secondo: se qualcuno vi confessa che ha rubato due caramelle gli fate una pa-ternale di tre ore e gli fate dire trenta pater-ave-gloria. Se invece uno ha fatto le corna al consorte, per voi è come niente, anzi, quasi quasi gli date una medaglia.

D.Vittorio:  se non la smetti di stare ad ascoltare le confessioni degli altri …

Marcella:    terzo e più importante: vostro nipote è nato l’anno dopo che vi faceste prete.

D.Vittorio:  insomma, Marcella, si può sapere dove vuoi arrivare con tutte queste considera-zioni strampalate e sconclusionate?

Marcella:    voglio arrivare al fatto che voi, don Vittorio, non siete entrato nei preti per un colpo di testa, come tutti i vostri parenti hanno sempre creduto e detto. No. Pro-prio per niente. Voi vi siete fatto prete per il rimorso.

D.Vittorio:  ma cosa dici, povera sciocca? Che rimorso?

Marcella:    il rimorso per essere stato con vostra cognata, per avere tradito vostro fratello con lei. E per togliervi questo tormento dal petto, vi siete fatto prete. In verità Giorgio non è vostro nipote, don Vittorio, lui è …

D.Vittorio:  stai zitta!

Marcella:    vostro figlio.

D.Vittorio:  (si accascia) stai zitta …

Marcella:     ecco perché ce l’avete sempre con lui ed ogni occasione è buona per screditarlo e sfogarvi. Giorgio è il figlio della vostra colpa.

D.Vittorio:  t’ho detto di stare zitta.

Marcella:    a quel ragazzo, da una parte, gli mangiate la faccia e ne parlate male ogni volta che potete, ma dall’altra io lo so che gli volete un bene dell’anima.

D.Vittorio:  cosa vuoi sapere, te?


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Marcella:    niente, don Vittorio. Solo che non è per niente giusto che quel ragazzo debba ancora patire i vostri rimorsi e i vostri sensi di colpa.

D.Vittorio:  ragazzo…ormai non è più un ragazzo, ha passato i quaranta. Questa è una storia che ha più di quarant’anni. E da quella volta io ancora non ce l’ho fatta a libe-rarmi da quel peso.

Marcella:    avete assolto centinaia di traditori e traditrici in tutti questi anni, e non siete an-cora stato capace di perdonare voi stesso?

D.Vittorio:  no, Marcella, ancora non ce l’ho fatta. Pensavo che farmi prete sarebbe stata la soluzione per tutto, per liberarmi una volta per sempre dal rimorso che sentivo verso mio fratello. Invece, più il tempo passa e più mi accorgo che non è servito a niente.

Marcella:    avete pagato quello sbaglio per tutta una vita, don Vittorio. Non credete che possa bastare?

D.Vittorio:  lo so, Marcella, hai ragione. Ma non ci posso fare niente, è più forte di me.

Marcella:    ormai vostro fratello non c’è più, e non ha mai saputo niente. Andate da Giorgio e fate pace. Guardate che anche lui, lo nasconde bene, ma vi vuole un bene dell’anima. Ormai la storia è andata così. Non potrete più essere un babbo, ma almeno potreste ancora essere un buon zio.

D.Vittorio:  forse hai ragione, Marcella. E’ ora di chiudere per sempre questa storia. Voglio ascoltare il tuo consiglio, stavolta. Giorgio non ha nessuna colpa del mio sba-glio. Andrò a fare la pace gli chiederò di perdonarmi. La verità non la saprà mai, ma almeno voglio fargli sapere che d’ora in avanti potrà sempre contare su di me. E chissà che, se mi perdona lui, non sia la volta buona che riesca final-mente a perdonare anche me stesso.

Marcella:    bravo, don Vittorio.

(Don Vittorio esce a sinistra. Da destra entra Pironi)

Marcella:    oh Pironi, propri lei!

Pironi:            dica, signora.

Marcella:    che cosa fa, in questi giorni?

Pironi:            cosa vuol dire?

Marcella:    questi dieci giorni, avremmo bisogno di un guardiano, di un custode, un uomo di fatica che mi possa dare una mano nei lavori di casa più pesanti.

Pironi:            veramente io lavoro, signora, faccio il poliziotto.

Marcella:    sì, ma avrete le ferie anche voialtri, no?


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Pironi:            sì signora, come in tutti i lavori, mi pare che quest’anno mi sia rimasta una set-

timana.

Marcella:    solo una settimana? Non avete i permessi sindacali, quelle cose lì, per arrivare a

dieci giorni?

Pironi:            sì, li abbiamo, però …

Marcella:    anche perché, Pironi, non va bene che io e don Vittorio restiamo da soli in que-

sta casa per tutto questo tempo. Non è mica niente, io sono la sua perpetua uffi-

ciale, registrata anche presso la curia. Ma ci sono delle pettegole, in giro, che

non sono proprio capaci di farsi gli affari propri e potrebbero ricavarvi delle

chiacchiere.

Pironi:            ah, sì, sì, io lo capisco, ma …

Marcella:    ci sono donne che non sanno fare altro che chiacchierare dietro la schiena della

gente dalla mattina alla sera, curiose, bigotte e maligne. Eh, caro il mio Pironi,

non sono mica tutte come me, che sono abituata a farmi i fatti miei e di quelli

degli alti non mi importa nulla. Lei, Pironi, è sposato?

Pironi:            sì.

Marcella:    e ha dei figli?

Pironi:            no.

Marcella:    come mai? Non li avete voluti?

Pironi:            no, no, all’inizio ci abbiamo provato, ma si vede che il destino ha voluto così.

Marcella:    e chi non poteva averne? Lei o sua moglie?

Pironi:            quando abbiamo fatto le analisi abbiamo scoperto che i miei “cosi” erano un po’

… diciamo così … svogliati.

Marcella:    e avete lasciato perdere? Oggi con la medicina si arriva dappertutto. Ci voleva

poco a dar la sveglia ai vostri “cosi”. Domattina chiamo subito sua moglie e le spiego cosa dovete fare.

Pironi:            va bene.

Marcella:    adesso venga di qua con me, che bisogna portar fuori la spazzatura.

Pironi:            pronti! (escono a destra)

D.Vittorio:  (entra da sinistra con Pasquale e Giorgio) insomma ragazzi, senza che uno sa-pesse niente dell’altro, avete fatto uno di quegli “scambi di coppia” che vanno tanto di modo oggi. Non è mica niente.

Giorgio:        oh capito, zio. Ma a me brucia lo stesso.

D.Vittorio:  meglio così. Avete provato, vi siete pentiti, avete capito che è meglio stare ognuno a casa sua. Vi siete fatti uno scherzo, tutti e due nello stesso momento.


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Stefano Palmucci – A caval d’un asino

Giorgio:        sì ma lui ha avuto anche il coraggio di chiedermi di dire a sua moglie che ero con lui, quella sera.

Pasquale:    ero frastornato, Giorgio. Non capivo più niente. Sei il primo che mi è venuto in mente, il miglior amico che avevo.

(entrano Francesca e Giovanna)

Giovanna:   oh, siete qua? Avete parlato? Noi di là abbiamo ragionato un bel po’, ci siamo perdonate e abbiamo fatto pace, vero Francesca?

Francesca:  sì. Abbiamo fatto finta di esserci ubriacate. Abbiamo imparato la lezione, ab-biamo capito lo sbaglio e siamo pronte a tornare alla nostra vita normale, di tutti i giorni.

D.Vittorio:  e allora, forza ragazzi, anche voi, datevi la mano e tornate i buoni amici di una volta. Sei stato capace di far pace con me, Giorgio. Non la vuoi fare con il tuo vecchio amico Pasquale?

(i due si guardano, si danno la mano, poi si abbracciano. Naturalmente entra Pironi).

Pironi:            ah, complimenti! Fate le vostre smancerie di fronte a tutti, adesso? Anche con la

benedizione del prete? Questa è la casa dello scandalo, della depravazione e della vergogna. Mi fate schifo! (fa per uscire)

D.Vittorio:  ma no, Pironi, venga qui, dove va?

Pironi:            vado di fuori a spalare un po’ di neve. Avete un badile?

Giorgio:        no Pironi, il badile non l’abbiamo. Adopera le mani.

Pironi:            ci vorrà un po’ di più.

Pasquale:    pazienza, Pironi, ha tutta la notte davanti.

(Pironi esce al centro, entra Marcella da destra)

Francesca:  senti, Pasquale, vogliamo andare a prepararci per la notte, così domattina subito togliamo il disturbo?

D.Vittorio:  per me nessun disturbo, potete restare quanto volete. Anche se questo è l’ultimo giorno che parlo come padrone di casa. Da domani voglio intestare tutto a Gior-

gio.

Giorgio:        grazie, zio, ma non ce n’è alcun bisogno.

D.Vittorio:  sì, invece. Se mi dovesse capitare qualcosa, non vorrei che la chiesa mettesse la

mani sulla mia proprietà. Voglio morire povero, come sono nato.

Giorgio:        ma finiscila, zio. Prima di morire abbiamo ancora un sacco di tempo da trascor-

rere insieme.

D.Vittorio:  il tempo che ci riamane lo decide il Signore. Noi possiamo solo decidere il mo-do migliore per adoperare il tempo che ci è concesso. E non è detto che, in que-


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sti giorni, io decida di prendere una strada diversa da quella che ho percorso fi-no adesso.

Giovanna:   cosa volete dire, don Vittorio?

D.Vittorio:  niente. Solo che voglio adoperare questi dieci giorni di pace e solitudine per ri-flettere se per me sia ancora il caso di rimanere prete.

Pasquale:    davvero, don Vittorio? Pensate addirittura a quello?

Marcella:    lo sapete, don Vittorio, che se decidete di spretarvi, fuori c’è sempre una brava vedova che vi aspetta a braccia aperte.

D.Vittorio:  e chi sarebbe?

Marcella:    sono io, no?

D.Vittorio:  allora, state pure tranquilli che non mi muovo di un filo. Me ne guardo bene!

Marcella:    linguaccia! (tutti ridono).

FINE


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