A ciascun diavolo l’anima che merita

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A CIASCUN DIAVOLO L’ANIMA CHE MERITA

 N° SIAE 916559A

Commedia in 2 atti di Gennaro Tagliaferri

PERSONAGGI:

ROBERTO CASTALDO

VERONICA, FIDANZATA DI ROBERTO

PEPPINO, PORTIERE / PEPINIEL ANGELO CUSTODE DI ROBERTO

DEMONE MAROU ZIEL

REPORTER DELLA RIVISTA CIAK

ANGELO MICAEL / AVVOCATO ARCANGELO MICHELE

ANGELO RAFAEL / LELLUCCIO

ROBERTA CASTALDO

PRIMO ATTO

ATTO I - SCENA 1

SINTESI: Roberto rientra a casa ubriaco, si addormenta sul divano e nel sonno rivela a Veronica, la fidanzata, di essersi giocato tutto a carte compresi i regali di lei e l’anello compratole per il loro anniversario. Veronica va via di casa malamente.

PERSONAGGI: Roberto - Veronica

SCENOGRAFIA PRIMO ATTO: Ambiente interno con ampio vano centrale, ingresso dall’esterno a sinistra e ingresso ad altre camere a destra; divano doppio posto al centro con davanti un tavolino basso; alla destra del divano e accostato alla parete un tavolo con due sedie imbandito a lume di candela, con secchiello portabottiglia, bicchieri con tovagliolo all’interno; sulla parete a sinistra tavolo con televisore e vicino alla porta appendiabiti e citofono; a sinistra della parete centrale un mobile bar e a destra una piccola libreria con alcuni libri; alle pareti alcune locandine di film; per terra, sul divano e sul tavolino manoscritti e qualche libro.

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Il sipario si apre. Luce soffusa.

ROBERTO:        (entra barcollando e farfuglia ubriaco alternando singhiozzi) Permesso, permesso… c’è nessuno? posso entrare? perm… ma chest’è a casa mie… hi hi, chiede permesse a casa mie? E chi risponde? Ie no! Permesso? Chi è? Io Roberto, il padrone di casa. Prego entrate… attenzione al tappeto (finge di inciampare) ah ah ah, … chiudete a porte. Nzerra chesta porte che fa currente, ah ah ah uhhh. Casa, dolce casa… (con finta drammaticità anche nella gestualità) c’è mancate poco e pure tu me stive addeventanne amare… (tornando ironico) wa comme facce e sceneggiate ie manche Mario Merola e sape fa, hi hi… mannagge, guarda qua… appene e sorde pe na birre. (si fruga nelle tasche e intanto si siede sul divano) Uh altri 3 euro, dimane me piglie altre 2 birre hi hi… tiè bive nu poco… grazie… ah ah ah, che suonne. Scusate vi spostate un po’, mi vorrei schiare, e jatevenne (scalciando) ah ah ah, buonanotte… buonanotte. (si addormenta russando sonoramente dopo un po’ suona una sveglia)

VERONICA:      (chiamando da dietro alle quinte) Roberto, Roberto, Robbè… (entra con camicia bianca e gonna da tailleur e pantofole e si accende la luce e rimane nella zona di spalle al divano) Ma comm’è questo non s’è proprio ritirato? Nemmeno stasera? Uff me fa sta co penziere a me. E addò sarrà andato? Chiamo la polizia… (si accorge delle mani di Roberto che gesticolano in aria come a tenere le carte in mano) uh chi è?

ROBERTO:        (parlando nel sonno) Fiori, fiori… tanti fiori

VERONICA:      Eccolo qua mamma mia, mo’ mi faceva piglià un crepacuore… piccolotto mio. Sta dormendo.

ROBERTO:        Fiori, fiori…

VERONICA:      (lo accarezza) Che cucciolo, sta sognando i fiori. E parla pure nel sonno. È meglio non svegliarlo, dice che fa male… è tesoro?

ROBERTO:        Cip, cip…

VERONICA:      Sta sognando anche gli uccellini, quanta tenerezza che mi fa. Che romanticone.

ROBERTO:        Vedo, vedo…

VERONICA:      Cosa vedi amore mio? Dimmi. I prati verdi e in fiore? Il mare al tramonto? Gli uccellini che cinguettano, cip, cip. Dimmi…

ROBERTO:        Full di jack…

VERONICA:      Full di jack?

ROBERTO:        Rilancio… più 200…

VERONICA:      E fiore, cip… full di jack? (arabbiata) Te staie sunnane e carte Robbè?

ROBERTO:        Zitte, sto giocando.

VERONICA:      Cioè chille parle dinte o suonne e me risponne pure.

ROBERTO:        Che tieni? Doppia coppia? Nun si buone!

VERONICA:      Chi ha vinto?

ROBERTO:        Puose e sorde full di jack. Ho vinto io

VERONICA:      Quante e vinte?

ROBERTO:        1200 eure…

VERONICA:      1200 euri? Bravo amore. Sei forte…

ROBERTO:        Un altro giro.

VERONICA:      No Roberto basta, hai vinto abbastanza ritirati mo’. E poi lo sai giocare fa male… soprattutto alla tasca.

ROBERTO:        No, un altro giro, un altro giro.

VERONICA:      Ma cu 1200 eure ce facimme nu bellu viaggio a Parigi, mi porti a cena sulla torre eiffel e poi mi compri quell’anello con diamante che ho sempre desiderato, dai prenditi sti soldi e ritirati Robbè.

ROBERTO:        (si mette seduto sempre rimanendo addormentato) Un altro giro, un altro giro, un altro giro…

VERONICA:      (spaventata) Uh mamma mia, calmati. Dorme pure assettate, comme e cavalle. E va bene un altro giro, ma non esagerare.

ROBERTO:        (sfogliando col mani le carte) Bene, bene. Allora… cappa, cappa, n’ata cappa…

VERONICA:      Ma quanta cappe tiene?

ROBERTO:        4 cappe.

VERONICA:      Poker! Tu tiene na cappa tanta…

ROBERTO:        Poker di cappa, gioco… tutto quanto, so 1200 eure.

VERONICA:      No Roberto, ti giochi tutto? Lascia qualcosa.

ROBERTO:        Nooo, tenghe nu poker e cappe, tutte cose me posse giocà. Tiè st’orologio… me gioco pure l’orologio. (offrendo il polso)

VERONICA:      No Robbè l’orologio che t’ho regalato io no… (gli prende il polso e si accorge che l’orologio non c’è) ma addò sta l’orologio Robbè? Hai dimenticato di mettere l’orologio che ti ho regalato? Poi dici cha fai sempre tardi perché non sai che ore sono…

ROBERTO:        Anche la catenina d’oro. (offrendo il collo)

VERONICA:      La caten… (si accorge, frugandogli il collo, che la catenina non c’è) Roberto dove sta la catenina d’oro che ti ho regalato per il tuo compleanno? L’avrai persa, (si abbassa sotto al divano a cercarla) forse è caduta qua a terra… quella ci sta pure la mia iniziale…

ROBERTO:        Ci sta pure la V in oro, l’iniziale di Veronica, la mia donna. Mi voglio giocare anche questa.

VERONICA:      Roberto ma stai scherzando?

ROBERTO:        Aspe mi gioco anche questo… (porgendo qualcosa con la mano)

VERONICA:      E che è?

ROBERTO:        È un anello con diamante…

VERONICA:      E di chi è?

ROBERTO:        L’avessa regalà a Veronica, oggi festeggiamo il nostro anniversario. Lo desidera da sempre. Ma me lo voglio giocare… 4 cappe. Me lo gioco, tante vence ie. L’anello con diamate di Veronica. Vale una cifra.

VERONICA:      (emozionata) L’anello con diamante per me… te ne sei ricordato allora? Ma che amore che sei… aspè non giocartelo però questo tesò… Robbè questo no Robbè è peccato.

ROBERTO:        Si mi gioco tutto, poker di cappa, mi gioco tutto.

VERONICA:      Ti giochi tutto… (triste e preoccupata) Roberto, ma alla fine quanto hai vinto?

ROBERTO:        Vedo…

VERONICA:      Che vedi?

ROBERTO:        Vedo…

VERONICA:      E famme vedè pure a me Robbè.

ROBERTO:        Un asso.

VERONICA:      Un asso? Tu tiene e cappe… a isse tene l’asse?

ROBERTO:        Si. Un altro asso.

VERONICA:      2 assi.

ROBERTO:        Il terzo asso.

VERONICA:      Tris d’assi, e vabbè nuie tenimme 4 cappe. Avimme vinciute?

ROBERTO:        (esprimendo sofferenza) E sotte, annascuse, pareve ca se metteve scuorne e ascì.

VERONICA:      Chi?

ROBERTO:        O quarte. O quarte asse. Poker d’assi… aggia perze tutte cose. I che mazze ca tiene!

VERONICA:      I che strunze ca si. (ad alta voce) Robbè ma tu veramente fai? Robbè ma tu veramente stai dicenne?

ROBERTO:        Me so rimaste e sorde pe na birre. Sule na birre. Vuò nu poche e birre?

VERONICA:      L’orologio, la catenina d’oro con le mie iniziali, l’anello con diamante… (urlando) Robbbbèèèèèrrrtoooooo!!!!

ROBERTO:        (ridestandosi di colpo) We we, oè oè, che è stato, che è successo… nun allucate, nun allucate… ahi a capa mie…

VERONICA:      (si alza infuriata) Tu…

ROBERTO:        Io?

VERONICA:      Basta, me ne vado, mi hai stufata.

ROBERTO:        Veronica, Verò… ma… ma che passate?

VERONICA:      Me ne vado… m’è scucciate Robbè, la mia pazienza ha un limite. Te decidere a crescere, ma comme a n’omme, no comme a nu criature senza responsabilità.

ROBERTO:        Ma aspetta, parliamone…

VERONICA:      Me n’aggia ieeeee (urlando va in camera e finisce di vestirsi)

ROBERTO:        Eca passate mo? S’è impazzute all’improvvise? (si alza e osservando la tavola imbandita e facendo conti con le dita) Ma Uh Gesù, mo ho capito. Ieri era il nostro anniversario. (afferrando le cose che nomina) Guarda qua, aveva preparato la cena a lume di candela, i fiori, e bastoncini di incenzo profumate, umpff. Pure o vine dinte o rinale. Mannagge a capa mie… (prendendosi la testa tra le mani) aaahh che dulore e cape mamma mie. Sto tutte ntrunate, nun me ricorde chiù niente… me so scurdate pure l’anniversarie… chelle pirciò sta comme e na pazze. Devo rimediare… mo ce penze ie. Ascoltami donna. (con sicurezza falsa)

VERONICA:      Cher’è? (urlando dalla camera)

ROBERTO:        (intimorito) Pia… piano, con calma, non urlare. (sicuro con fare da attore navigato) Concedimi di recuperare al mio torto dimostrandoti tutta la mia devozione nei tuoi confronti.

VERONICA:      (tornando con un trolley) Mmmm e famme vedè ja!!!

ROBERTO:        Però sta chiù rilassate Veronica. E te po’ venì qualcosa. Allora… (istrionico) avrei voluto farti dono di fiori ma…

VERONICA:      (interrompendolo) Ma te so uscite solo picche e quadri.

ROBERTO:        (interdetto) I nostri cuori…

VERONICA:      (interrompendolo) Manco uno, nemmeno un cuore, solo picche e quadri, nemmene a carte te iesce o core.

ROBERTO:        A carte…? (interdetto) Comunque ho fatto il passo, il passo decisivo…

VERONICA:      (interrompendolo) Tu sule nu passe devi fare, e passà nu guaio.

ROBERTO:        (esasperato)Veròòòò, e me fa finì di parlare però. E tu mi interrompi sempre. E io cerco di trovare le parole migliori, uniche, per rappresentarti ciò ch’io conservo gelosamente nei più nascosti anfratti del mio cuo…

VERONICA:      (interrompendolo) Robbè, attacca a curte, me n’aggia ie!

ROBERTO:        (distante)Fredda, fredda e acida… allora (come declamando) voglio farti il dono supremo, un regalo che è esso stesso il simbolo dell’unione eterna, del legame indissolubile, l’oggetto che rappresenta il per sempre.

VERONICA:      Robbè che mi hai regalato?

ROBERTO:        Resterai a bocca aperta.

VERONICA:      Già me manche o ciate.

ROBERTO:        Eccolo, ecco… (frugandosi le tasche) addo sta? L’avrò perso… se l’avessere arrubate? Ma addò sta…? … nun o trove…

VERONICA:      Lascia stare, me ne vado.

ROBERTO:        (come pregandola) Ma aspetta, dove vai… Non ne facciamo un dramma. Me so scurdate l’anniversario è vero, ma posso rimediare, sono ancora in tempo. Andiamo a prenderci qualcosa al bar, parliamone davanti ad una bella colazione. E poi è presto, dove vai a quest’ora? Non vedi che ore sono? Che ore sono… (guardandosi i polsi)

VERONICA:      Già, che ore sono?

ROBERTO:        E che ore sono, (guardandosi anche le caviglie) che ore… aggia perdute pure l’orologio.

VERONICA:      Infatti.

ROBERTO:        L’orologio che mi hai regalato tu… guarda ti giuro che lo ritrovo, lo giuro.

VERONICA:      Nient’altro?

ROBERTO:        No.

VERONICA:      Nun te manche niente chiù… di mio, che ti ho regalato io? Che ti ricorda me? Che te fa venì a mente o nomme mie… pecchè t’o scuorde sempe Robbè, il mio nome… comme e l’anniversario, t’o scuorde sempe! (con fare iracondo)

ROBERTO:        No, no… il tuo nome ce l’ho sempre con me, guarda… è… e addò sta? (fa prendere la catenina dal collo ma afferra solo l’aria) Guarde la catenina con la lettera V… ma che nun a riesche acchiappà?  Veronica, guarde, guarde… mannagge aggia perze pure a catenine.

VERONICA:      Ecco!

ROBERTO:        (con lavorata ipocrisia) Ma amore, sarà stata la distrazione e poi che vuoi che siano degli oggetti materiali di fronte ad un sentimento etereo, viscerale. (sempre istrionico) Un sentimento che supera i confini di questo mondo terreno. Il sentimento, quello non lo perderò mai.

VERONICA:      Robbè, tu e perze pure a cape.

ROBERTO:        (prendendo tra le mani la testa) No a cape ce sta… che vuò dicere?

VERONICA:      E lo sai addò le perze?

ROBERTO:        No.

VERONICA:      Ncoppe o tavele.

ROBERTO:        Ncoppe a tavele… me stevi facenne preoccupà… e damme na mane a la truvà. (si avvicina alla tavola imbandita frugando) Addò sta, amore dove l’hai vista, dov’è? Non la trovo, non la…

VERONICA:      Ncoppe o tavele verde.

ROBERTO:        Ma chiste è bianche…

VERONICA:      O tavele do poker.

ROBERTO:        O poker?

VERONICA:      E su quel tavolo hai perso pure me…

ROBERTO:        Veronica ti prego, dammi un’ultima possibilità.

VERONICA:      Robbè io non mi ricordo manco quand’è stata la prima possibilità che ti ho dato. Troppe te ne ho date Robbè, troppe. Si sempe o stesse, nun si mai cagnate.

ROBERTO:        Ma cambierò, ti giuro… guarda (mostra i copioni a terra) vedi a quante cose sto lavorando? Ho mandato molti copioni in giro. Mi faranno sapere.

VERONICA:      Ti faranno sapere, ti faranno sapere e poi nisciune te dice mai niente. Nisciune te fa sapè mai niente. Nessuno si interessa mai ai tuoi copioni, alle tue sceneggiature. Chisà pecchè?

ROBERTO:        Che vuò dicere…

VERONICA:       (plateale) Ca fanne schife!

ROBERTO:        Ma…

VERONICA:      Tu e fa sule e teatrine e piazze e gli spettacolini dinte e chiese, per giunta gratis. Ma cagne mestiere, famme o piacere. Truovete nu mestiere ca se guadagne buone. Me so scucciate di pagare i debiti che fai per giocare a carte.

ROBERTO:        Sono solo molto sfortunato… ma al gioco. In amore tenghe a te Verò, in amore so furtunate.

VERONICA:      Me sa che la sfortuna al gioco a nfettate pure l’amore.

ROBERTO:        Nun è vere, io ti amo Verò.

VERONICA:      Ie invece no. Ormai nun è chiù amore. È pietà. E me so scucciate e pruvà pietà pe l’omme che dovrei amare.

ROBERTO:        Addiritture te facce pene?

VERONICA:      Me fai pena! Fino a mo penzave  “Vabbè, col tempo cambierà, metterrà a cape a fa bene e ce spusamme”. Robbè so sei anni ca vivimme insieme e la parola matrimonio nun l’hai mai manco sfiorata.

ROBERTO:        O matrimonie è sule nu cuntratte… e l’amore nun avessa essere fatte e cuntratte. Nun l’aggia mai suppurtate sta cose, e tu o saie.

VERONICA:      E gia, tu gli unici contratti che accetti sono solo quelli da artista. Se… l’artista. Ma famme o piacere. Me diceve “vabbuò lo capirà un giorno che il mestiere dello spettacolo non fa per lui e accetterà la proposta di lavorare in banca con me, ho molte conoscenze mi sarà facile farlo assumere” invece no l’artista non vuole fare il burocrate… (con sarcasmo) l’artista! (urlando) Stisse a fa o pezzente si nun fosse pe me.

ROBERTO:        Nun è vere. Io ho i numeri e un giorno te lo dimostrerò. Te voglie vedè quanne addevente famose. Sarrai tu a me cercà…

VERONICA:      Ma famme o piacere. (sarcastica) Famoso! Tu si famoso solo per essere un pollo alle carte. Tutte e bar do paese te cunoscene. Sto vizio del gioco… ma stennimme nu vele pietoso. Comme te vedene e arrivà fuori a un bar subbete “oilloche, sta arrevanne o pullastielle e ogge ciò spennamme n’ata vote, tante a fidanzate sta chiene e sorde, pave esse”.

ROBERTO:        Nun è vere. Qualche volta ho pure vinto.

VERONICA:      Si a tubbulelle a Natale! Mo baste, baste. La pazienza ha un limite. Statte buone Robbè e fatte curà perché dinte o suonne parle, parle assai… (ripensandoci su) anze no, nun te fa curà… (urlando) muore. (ed esce)

ATTO I - SCENA 2

SINTESI: Peppino, il portiere del palazzo, porta la posta a Roberto e lo invita a riflettere sul suo rapporto con Veronica ma Roberto finge indifferenza e fa false promesse a Peppino per evitare il discorso debiti.

PERSONAGGI: Roberto – Peppino

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ROBERTO:        (con tono sferzante) E vai, vai… vattenne. Tanto tornerai lo so che tornerai… tu hai bisogno di me, tu… e ie? (rammaricato) Mamma mia c’aggia cumbinate? Aggia perze tutte cose. Aggia perze pure a Veronica. Ho perso la mia donna. (riprendendo e ostentando finta sicurezza) Tante ne trove altre mille come te. Ne trovo altre mille… come e te, cu nu lavoro di direttrice di banca… altre mille… (realizzando la realtà dell’affermazione) vabbuò ne trove ciente. Come te, altre cento, figlia di un padre industriale che ha lasciato il suo patrimonio milionario all’unica figlia… ati, ati ciente… (c.s.) dieci va. Vuoi vedè che non le trovo dieci ragazze come te che hanno la villa a mare, la baita in montagna, il casale in campagna, la barca, l’aereo personale e la ferrari con l’autista? (ritornando angosciato) E addò a trove a n’ate, une comme a te… famme chiammà subbete a cheste. Ie aggia apparà stu fatte. (si precipita al telefono ma suonano alla porta) E chi è? (con presunzione) Eh eh eh sei tornata indietro, lo sai che non riesci a stare senza di me, l’hai capito adesso. Quasi quasi non ti farei neanche entrare (risuonano alla porta). No, non insistere, adesso devi aspettare fuori alla porta che si calmi la mia rabbia, e cirche e truvà e parole adatte pe te fa perdunà. Esigo le tue scuse, subito!

PEPPINO:           (da dietro alla porta) Signor Robbè aprite sta porta, lo so che ci siete. Ho sentito la vostra voce.

ROBERTO:        Ma chi è?

PEPPINO:           Comme chi è signor Robbè? So Peppino il vostro custode… cioè o purtiere do palazze.

ROBERTO:        (tra se e se) S’a purtate a Peppine appriesse, se penze ca isse ce po mettere a bona parola. (rivolto a Peppino fuori alla porta) Peppino non ti immischiare in cose che non ti riguardano, lo so che c’è Veronica lì con te. Digli che non la voglio più vedere.

PEPPINO:           Dottò ma quale Veronica, ci sto solo io.

ROBERTO:        Nun dicere bugie Peppì ca te facce licenzià.

PEPPINO:           Dottò a signorina Veronica l’ho vista uscire poco fa. Sto sule ie v’o giure, v’aggia purtate a poste. Aprite.

ROBERTO:        Non giurà falso Peppì che vai all’inferno.

PEPPINO:                    Dottò l’inferno nun fa pe me, aprite che sto da solo.

ROBERTO:        (apre la porta) Trase Peppì…

PEPPINO:           Eccoci qua. Ma che c’è dottò, vi vedo abbastanza scosso. Ma vi sentite bene… o forse? A già, stivene pruvanne qualche parte di un nuovo film, infatti vi sentivo parlare. Vi ho disturbato allora?

ROBERTO:        Ehm si stavo provando delle parti e comunque Peppì me fa na cortesì, per prima cosa non mi chiamare dottore…

PEPPINO:           Vabbè ma adesso che siete un grande autore e regista site na perzona importante eeee…

ROBERTO:        Peppì lascia sta, tu mi conosci da che sono nato…

PEPPINO:           (commosso) è vere, t’aggia viste e nascere, piccerille, piccerille… dinte a cunnululle… ti cullavo io e quanne chiagnive te faceve e pernacchielle e tu ridevi sempre, te ricuorde, prrr prrr (mima il cullare un neonato e gli fa le pernacchie)

ROBERTO:        Poi dice che uno cresce con i traumi infantili. Peppì e allora un poco di confidenza ci sta, quindi togli sto dottore davanti.

PEPPINO:                    Vabbè, allora Robertino va bene?

ROBERTO:        Si Peppì, a cunferenze, ma nun te scurdà ca ciò 33 anni. Robertino… pare che staie chiammanne a nepotete.

PEPPINO:                    È si hai ragione, allora, Roooberrrto…

ROBERTO:        E chist’è o nepote ca è cresciute c’o traume infantile. Lasciamo sta Peppì, dammi sta posta. Piuttosto, hai detto di aver visto uscire Veronica?

PEPPINO:                    Si, è anche di questo vi volevo… emh scusa, ti volevo parlare.

ROBERTO:        E che mi devi dì?

PEPPINO:           Robbè tu la tratti troppo male a sta guaglione, tu e cercà e ta tene stretta stretta.

ROBERTO:        Sì Peppì ma essa nun me lasce nemmene respirà. Aggia perze tutta la libertà, l’intimità. È troppe azzeccosa.

PEPPINO:                    E tu si troppe sceme. (tossendo)

ROBERTO:        Peppì, ma comme…

PEPPINO:           Emh scusatemi… scusami, il fatto è che Veronica è troppo na bella ragazza. Addò a truove n’ate bell’accusì?

ROBERTO:        Peppì, nel mondo dello spettacolo, che io modestamente frequento, sai quante ne trovo di donne più belle.

PEPPINO:                    È nu buone partite. Sta chiene e sorde.

ROBERTO:        Un giorno anche io lo sarò e poi non voglio fare il parassita c’a sacche e na femmene, non voglio campare ncoppe e spalle soie.

PEPPINO:                    Tu le fatte fine e mo!

ROBERTO:        E mo me so scucciate.

PEPPINO:                    Robbè, chelle tene a barche…

ROBERTO:        Se, chella bagnarole.

PEPPINO:           Chella bagnarole è longhe 50 metre. Tene 2 alberi che vele, a scialuppe e salvatagge, i cuochi e a servitù a borde.

ROBERTO:        (con tristezza) E tene pure a piscine co trampoline ngoppe… (tornato di nuovo superbo) Peppì la vita è fatta anche di soddisfazioni e dignità. Cu Veronica ho chiuso. Nun me ne parlà chiù. Avanti la posta, chi è che mi scrive? Leggi, leggi.

PEPPINO:                    E che facce o segretarie vuoste?

ROBERTO:        E ja Peppì, tra amici. E tu me viste e nascere.

PEPPINO:           Aggia viste e nascere o padrone mie… (cominciando a sfogliare le lettere) allora questa la manda il tennis club campano…

ROBERTO:        (fa per prendere la lettera) Dammi qua, fammi vedere che vogliono. Forse vogliono farmi partecipare a quel torneo nazionale.

PEPPINO:           (gli allontana la lettera) È no, è intestato alla signorina Veronica, non è per voi, gliela farò avere io non vi preoccupate.

ROBERTO:        Ma ci andavo io al tennis club, mica lei?

PEPPINO:                    Ma e sorde e cacciave esse però.

ROBERTO:        E vabbuò…

PEPPINO:           E vabbuò, ma voi non volete fare il parassita con la sacca di una femmina, nun vulite campa ngoppe e spalle soie.

ROBERTO:        L’ho detto io questa cosa, stu fatte?

PEPPINO:                    Si, si pocanzi.

ROBERTO:        Vabbè, vai avanti.

PEPPINO:           Quindi se è così anche il circolo nautico, il golf club, la tessera del cinema e quella del teatro inutile che le apro tanto l’aggia fa capita alla signorina Veronica. Poi ci sta l’abbonamento a repubblica, la tessera per vedere le partite del Napoli in tribuna vip al San Paolo ma pure queste sono intestate alla signorina Veronica… quindi niente giornale e niente Napoli…

ROBERTO:        (interrompendolo)Peppì fa na cosa, leggi solo quello intestato a me e nun se ne parle chiù, aaaa jamme a vedè.

PEPPINO:           Dunque bollette: luce, gas, telefono e abbonamento al corriere dello sport, tutte ampiamente scadute, oltre all’imu sulla casa.

ROBERTO:        Aspè Peppì, imu? La casa l’ha comprata Veronica. Mandala a lei.

PEPPINO:           È no, la comprata la signorina Veronica ma ve l’ha regalate a vuie e ve la pure intestata, vedite?

ROBERTO:        Nun a maie azzeccate nu regale. Ma dico io prima di fare un regalo chiedi se è di gradimento, o no? Cheste piglia e mi regala una casa. Ma se regalene e case Peppì? E si une non ha dove metterla? Io non lo so. Apposte, metti là che dopo le vado a pagare. Hai finito?

PEPPINO:                    (tira un’altra busta dalla manica) Ce ne sta un’altra.

ROBERTO:        Che fai le magie? Fai comparire le lettere? E che è chest’ate?

PEPPINO:                    Condominio! State arretrate e 6 mise.

ROBERTO:        Ma ie o condominio nun o voglie pagà. Soldi buttati. Nun se fa na lavate e scale, nun se cagnene e lampadine, l’ascensore nun funzione, la caldaia centralizzata è rotta e me facce a doccia fredde tutt’e sere. O purtiere nun sta mai dinte a portineria. Nooo, ie non lo pago.

PEPPINO:                    Robbè ma il portiere so io.

ROBERTO:        Appunte, stai cà e dinte a portinerie nun ce sta nisciune. No, io non lo pago il condominio.

PEPPINO:           Roberto, guarde che dinte e spese del condominio è compreso anche il mensile a me. E so 6 mesi che io prendo la tua parte mancante sullo stipendio. Sono circa 100 eure al mese in meno.

ROBERTO:        (cercando di lusingarlo)Peppino! E me meraviglie e te! E tu mi hai visto nascere. Mi hai cullato e fatto le pernacchine, prrr, prr. Che cosa vorresti insinuare?

PEPPINO:           Robbè ie t’aggia viste e nascere e a chillu precise mumente, quanne stive ancore dinta a culle do nide e l’ospedale, là aveva fa qualcosa… t’aveva affugà cu sti mane…

ROBERTO:        Ma Peppino, nun fa acussì. Ossaje ca staie sempe dinte e penziere mie. Ogni qualvolta scrivo na sceneggiature mi ispiro a te per i miei personaggi… Peppì, ie te facce fa nu film Peppì.

PEPPINO:                    Se. So 7 anni ca dicite accussì.

ROBERTO:        Peppì il tempo matura il personaggio e soprattutto l’interprete che saresti tu.

PEPPINO:           Robbè ie tante ca me so ammaturate me so nfracetate… ma che me stai scrivenne a parte e Matusalemme.

ROBERTO:        (pensandoci su)O nonne e Heidi.

PEPPINO:                    O nonne e Heidi? (va come in estasi)

ROBERTO:        Saresti perfetto. (tra se e se) O nonne e Heidi piglie sempe o core.

PEPPINO:           O nonne, chille ncoppe a muntagne che caprette co salutene, a nipote ngoppe all’altalene… ollalalaiò…

ROBERTO:        È è è

PEPPINO:                    E quande accuminciamme a pruvà?

ROBERTO:        Più in là, adesso vai Peppino, vai che mi è venuta un’ispirazione.

PEPPINO:                    E le spese del condominio, o stipendie mie?

ROBERTO:        Peppì, ie te facce addeventà nu grande attore, soldi a palate e tu pensi a quei quattro pidocchi del condominio? Ma vai, vai… (e lo mette fuori alla porta) che devo lavorare, ciò l’ispirazione.

ATTO I – SCENA 3

SINTESI: monologo di Roberto sulla sua carriera mai decollata e richiesta di aiuto al diavolo.

PERSONAGGI: Roberto

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ROBERTO:        L’ispirazione… èèèè! Ca un’ispirazione ce vulesse. L’aspirazione cu l’aspirapolvere, p’aspirà tutte sta munnezze e foglie a ca dinte. Guarde cà… Anni e anni di lavoro sprecato e mai nu cuntratte. Nisciune che mi dà la possibilità almeno di esprimermi. Se pigliene o cupione, so leggene e doppe mo mannene arrete con tanto di “scusi ma non ci interessa”. Ma che caspita vi interesse a vuie vulesse sape ie? Ne produttore, ma quando leggi i miei copioni, nun te vene o fridde ncuolle? Niente di meno io che li scrivo, quande m’e vade a leggere n’ata vote, me sente male, m’emozione. Piglie chiste per esempio, (prende dei copioni sparsi qua e la e poi li getta via dopo averne letto il titolo) un western, titolo: “Per una capata di euro” … mamma mie… il seguito perfetto di “per un pugno di dollari”, ma molto più avvincente. Vuò mettere a capate mie co pugne e Sergio Leone? Cu nu pugne al massime me po’ ndurzà n’uocchie, ie cu na capate o sfonne o cranie. E po’, il mio horror, l’horror per eccellenza “Le dialisi del Conte Vlad” … mamma mie… Dracule malate e reni c’aspette o trapiante e s’adda fa e trasfusione. L’horror mischiato al dramma. E chist’ate, “Ispettore Mesolella il caso settebello bucato è tuo” altro che Callagan, altro che Kojack, pure Montalbano ce fa nu baffo all’ispettore Mesolella. E po’… ci sta il fiore all’occhiello. La vera storia del Titanic, il mio “Titanic versus Iceberg”. Nun ce sta paragone. Altro che Leonardo Di Caprio, Jack, Rose e duie scieme ncoppe o ponte da nave. La vera storia d’amore non era quella, ma chelle de pinguine. (con tono laconico) Na coppie e pinguine che viveva sull’iceberg, felicemente, se becccavene, pazziavene. Se nonché, nu bellu juorne, arrive sta nave che urta l’iceberg e o spacche doie parte che si allontanano l’una dall’altra. Su una parte la pinguina disperata, sull’altra il pinguino affranto che si allontanano alla deriva, così come inesorabilmente si allontana il loro amore. (breve pausa e poi urlando) L’oscar, l’oscar, a me mo dovevano dare. Invece solo delusioni, delusioni, inganni e delusioni. Bevimme, bevimme per dimenticare. (cerca qualche bottiglia) Scurdammece o… o… scurdammece o cognac, vedimme cheste che è. (prende una bottiglia la apre e comincia a bere a collo) Buone! È vodka… buone! (mentre beve tra i fogli trovo un libro e lo apre) E chiste? Il patto col diavolo. Cheste so quelle stronzate sull’esoterismo che legge Veronica. S’o sarrà scurdate. Fa vedè. Streghe, diavoli, e fatture, a janare. Il patto col diavolo. (leggendo) Allora, chi esegue il rito del patto può ottenere qualunque cosa desidera e vedere realizzata qualsiasi preghiera in cambio della propria anima che alla morte dell’esecutore sarà posta a disposizione del diavolo per i suoi piaceri infernali. Se se, ie venghe l’anima al diavolo in cambio di favori. E po’ quante può valè n’anime? Chi sà si va a chili o a litri? Ma addò sta l’anime? Boh? (sfoglia le pagine) Qua ci sta il rito, a formule pe chiammà o diavele. Quase, quase… che ce putesse chiedere? (breve pausa e poi con tono avido) Soldi, successo e potere. Basta recitare ad alta voce queste parole: “CLATU, VERATA, NICTO, SA… “ eeee aspè, e si accumpare veramente il diavolo? Ma che strunzate… però, si venesse veramente? (ci pensa su) Ma fosse o ciele, ie risolve tutte e problemi mi. Allora vediamo: “CLATU, VERATA, NICTO, SACRORUM, PROFANET, EXETU, ACT FATO ET PATHOS”… (pausa di silenzio scrutando il vuoto) Niente, e ie o sapeve. Aspè che sta scritte cà? Ripetere per 3 volte e con enfasi. Az con enfasi, è un’interpretazione vera e propria. E che ce vò, io le scrivo le interpretazioni con enfasi. Proviamo: “CLATU, VERATA, NICTO, SACRORUM, PROFANET, EXETU, ACT FATO ET PATHOS… CLATU, VERATA, NICTO, SACRORUM, PROFANET, EXETU, ACT FATO ET PATHOS… CLATU, VERATA, NICTO, SACRORUM, PROFANET, EXETU, ACT FATO ET PATHOS” (con enfasi cadenzata in crescendo di volume. Finita la formula si spengono le luci e rumori di tuoni in sottofondo) We è mancata la corrente. Stanne a fa i tuoni, sta chiuvene, tengo e panne spase. Mannagge Veronica nun ce sta, chi e va togliere?

ATTO I - SCENA 4

SINTESI: Roberto incontra il Diavolo Marou Ziel e siglano il patto.

PERSONAGGI: Roberto – Diavolo

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si riaccende la luce ed un uomo, il diavolo, compare alle spalle di Roberto

ROBERTO:        Ecco la luce, fiat lux. La luce è tornata e solo quella. Niente desiderio, niente soldi, successo e potere. Nu libbre e merde. (e lo getta via)

DIAVOLO:         Io non direi. (con voce decisa)

ROBERTO:        (riprendendo il libro e bistrattandolo) Invece è proprio un libro scemo, inutile. Nun l’avessena proprie pubblicà cierti cose. Ma come fa la gente a crederci?

DIAVOLO:         Anche tu ci hai creduto.

ROBERTO:        Ma quando mai, (si gira e lo vede) io stavo giocando… (spaventato) ooo e tu chi si? Chi sei? Come sei entrato qui dentro? (riparandosi dietro al divano e mimando una pistola in tasca) guarda che sono armato, ho una pistola… esci da casa mia. Tengo le telecamere, là e là, (indicando dove non c’è niente) adesso suona l’allarme e arrivene e guardie… la polizia, i carabinieri, a forestale… a protezione civile, facite venì a qualcune…

DIAVOLO:         (si avvicina e si side sul divano) Stai calmo. Ma che ospitalità è questa? Prima mi inviti a casa tua e dopo me ne cacci?

ROBERTO:        Io? Ma chi t’ha invitato? Ie nun te sacce proprie. Da dove sei entrato? Chi si?

DIAVOLO:         Guagliò n’a tiramme a luonghe. Il libro che tieni in mano.

ROBERTO:        (nascondendolo dietro la schiena) Quale? Ie? Addo stà? Ah, questo?

DIAVOLO:         Si… hai recitato la formula?

ROBERTO:        Quale formula? Quella formula CLATU VERATA e tutto o rieste? Si, però…

DIAVOLO:         Ed è come se tu avessi bussato alla mia porta…

ROBERTO:        Uh mamma mi… Emh scusatemi, io proprio non volevo. Magari stavate riposando? Se volete potete pure tornarvene indietro…

DIAVOLO:         Ma no, noi esistiamo apposta per questo, per essere chiamati in caso di necessità.

ROBERTO:        Noi? Ma chi siete?

DIAVOLO:         I demoni. Ce ne sono tanti… ognuno tiene na zona di lavoro. E siccomme tu rientri dinte a zona mie, modestamente tengo origini partenopee anche io, anna mannate a me.

ROBERTO:        Mamma mì, tene pure e corne e a code. E chi v’a mannate?

DIAVOLO:         Il supremo, il diavolo, Lucifero, il principe delle tenebre… tu ce fatte na richieste e isse a mannate a me a stipulà.

ROBERTO:        Stipulare?

DIAVOLO:         Guagliò ma allore si sceme, stipulare il contratto o patto col diavolo che tu hai espressamente richiesto.

ROBERTO:        Ma ie steve pazzianne. Ie nun lo voglio fa sto fatto. È state nu mumente e sconforte… me credeve ca nun esistevene sti cose. È state pe fa nu poche e scene. (piagnucolante) Ie steve pazzianne.

DIAVOLO:         Amico mio, sienteme buone, t’o dico mo e nun t’o dico chiù. Quande vuò pazzià, vattenne dinte a sala giochi. (gli toglie il libro di mano e indica qualcosa) Liegge cà… vedi in piccolo? Ci sta una postilla, un avvertimento. Una volta recitata la formula del rito non ci si può più tirare indietro, pena la morte immediata. Hai richiesto un patto? Hai recitato la formula? E mo sto patto s’adda fa sinnò mo stesse te ne scinne cu miche all’inferno.

ROBERTO:        Addiritture? Aspè fammece penzà.

DIAVOLO:         E che c’è da pensare ancora? Hai chiesto soldi, successo e potere… ma che tiene a penzà? (tira fuori una pergamena) Firme stu contratte pe piacere nun me fa perdere tiempe… ciò pure n’altro contratto da fare qua in zona. Se faccio tardi rischio di perdere l’altro cliente. Muovete.

ROBERTO:        Soldi, successo e potere?

DIAVOLO:         Si, precisamente. Firmamme?

ROBERTO:        Ed io in cambio?

DIAVOLO:         Mi consegni l’anima. Firme.

ROBERTO:        Aspe, ti consegno l’anima. Ma doppe muorte?

DIAVOLO:         E certe. Te pare che se potevo pigliarmela quando volevo faceveme tutte stu burdelle? E firme ja.

ROBERTO:        Ma fa male sta cose?

DIAVOLO:         Che cose?

ROBERTO:        Quando ti do l’anima, cioè, sentirò dolore?

DIAVOLO:         Scè, tu gia si muorte quando me venghe a piglià l’anime… che dulore vuò sentì? Ma ie nun cia facce… ie aggia cagnà mestiere. Chelli belli case infestate e na vote, addo stanne, addo stanne…? Abbastave c’asceve a dinte a l’armadie, a dinte a nu sgbuzzine oscure, faceve buuu e tutte quante se cacavene sotte… addo stanne addo…

ROBERTO:        Già è vero… ie gia so muorte quande te viene a piglià l’anima.

DIAVOLO:         Si, si muorte. E ja firma…

ROBERTO:        Ma poi, d’altronde, a che serve quest’anima?

DIAVOLO:         È solo una banale scusa della concorrenza pe ve tene sotte o schiaffe. Una scusa pure abbastanza sleale secondo me.

ROBERTO:        Ma po’ addò sta?

DIAVOLO:         Che cosa?

ROBERTO:        L’anima, dove sta? In testa, dinte o cervelle? O mpiette dinte o core?

DIAVOLO:         (pensandoci un po’ su) Mmm… teoricamente ngape ce sta a cuscienze e mpiette l’emozione.

ROBERTO:        (guardandosi allo specchio) E allore forze dinte a l’uocchie? Nel naso o in bocca?

DIAVOLO:         se…dinte e recchie…

ROBERTO:        Dinte a panze, si, dinte a panze. Pirciò a volte e sente e torcere… soprattutte quanne me mange e puparuole. È l’anime che se lamente che dice nooo, nooo, e puparuole so peccate.

DIAVOLO:         Oi mà… voglie turnà a fa o mammone, l’uomo nero che spaventa i bambini nel sonno, ma chi ma mannate a chiste stammatine? Robbè fa na cose nun ce penzà. Nun sai addo sta, nun sai a che serve, a pierde dopo che sei già morto senza senti manco nu poche e dulore, mo pienze a vivere.

ROBERTO:        E mentre so vive invece nun sente niente?

DIAVOLO:         Niente? Fino a che morirai sentirai solo il profumo dei soldi, il sapore del successo e le gioie del potere. Case, macchine, donne, tutto e tutti ai tuoi piedi. Tutti a lodarti e pregarti.

ROBERTO:        Tutti?

DIAVOLO:         A primme sarrà Veronica.

ROBERTO:        Veronica, pur’esse? Tula conosci?

DIAVOLO:         Si, certo. La tua ex, sempre arrabbiata, permalosa, di cui eri solo succube e che ti ha lasciato, di punto in bianco, senza nu motive… Robbè, Veronica t’abbandunate comme a n’omme e merde.

ROBERTO:        Comme a n’omme merde… ce l’aggia fa vede ie. A esse, o pate, ai produttori, agli altri condomini…

DIAVOLO:         Brave, firme.

ROBERTO:        Quanta vrecce a dinte e scarpe m’aggia levà.

DIAVOLO:         E vrecce? E scardune. Firme!

ROBERTO:        Famme firma! Damme na penne.

DIAVOLO:         Quala penne? Co sanghe e firmà.

ROBERTO:        Nooo, nun se ne parle proprie, a me fa impressione il sangue. Niente di meno pe me fa nu prelieve pe l’analisi m’anna anestetizzà, chiste o sapè co sanghe… nooo, quante maie!

DIAVOLO:         Ma nun ce rompere o ca…, damme stu ditefacimme ambresse. (prende il dito e lo morde)

ROBERTO:        Ahi ahi, me muzzecate!

DIAVOLO:         Firma qua. Vicino al nome mio.

ROBERTO:        Si si, firmo. Questo è il tuo nome, Mareee, Marr… che sta scritte, comme te chiamme?

DIAVOLO:         Il mio nome è Marou Ziel.

ROBERTO:        Maruzzielle.

DIAVOLO:         Marou Ziel.

ROBERTO:        E io che ho detto?Maruzzielle. E tu le ditte ca sei di qua. Dal nome l’aggia capite.

DIAVOLO:         Ma che ci azzecca il nome.

ROBERTO:        Ci azzeca, vuoi vedè? Prima hai detto che eri di Napoli. Precisamente di dove sei?

DIAVOLO:         (si alza per andare via) Mergellina.

ROBERTO:        A mare?

DIAVOLO:         Si azzeccate o scoglie.

ROBERTO:        Come i maruzzielli! E viste?

DIAVOLO:         Lasciamo stare il mio nome, piuttosto firmato il contratto, stipulato il patto posso andare.

ROBERTO:        E adesso che succede?

DIAVOLO:         Adesso cominceranno soldi, successo e potere.

ROBERTO:        (mimando di raccogliere a bracciate) Soldi, successo e potere… venite a me.

DIAVOLO:         E mi raccomando tieni per te sta cosa, non rivelarla a nessuno, adda essere nu segrete. Ogni tanto verrò a farmi un giro per accertarmi che la mia anima sia pronta per l’inferno così come la tua vita. Ti saluto Robbè.

ROBERTO:        Cia Maruzziello.

DIAVOLO:         Strunze, duorme mo duorme. (Roberto si accascia sul divano) E pure questa è fatta. Come si dice, la carne è debole. L’uomo è debole e o diavele se n’apprufitta. Jamme a vedè ja. (le luci si spengono per un attimo e quando si riaccendo il diavolo è scomparso)

ATTO I – SCENA 5

SINTESI: i desideri di Roberto cominciano ad avverarsi ma Peppino sospetta qualcosa.

PERSONAGGI: Roberto – Peppino – Reporter

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ROBERTO:        (ridestandosi) Ma che… che è state? Che suonne me so fatte… me so sognate il diavolo. Maruzzielle se chiammave, teneve pure e corne, cierti corne, ca avutate teneve, hi hi Maruzzielle, ere e Mergelline hi hi, azzeccate o scoglie. Avimme fatte o patte… o… oooo… (si accorge della ferita sul dito) guarda qua, mi so tagliato il dito e non me ne so accorte… e comme è succiesse? (scherzandoci su, credendo di aver solo sognato) A gia me la tagliate o diavele pe me fa firmà. Soldi, successo e potere, se se, magari. L’avessa firmate overe o patte co diavele. (suono di avviso ricezione di una mail sullo smartphone di Roberto) E mo chi è? Una mail. (legge la mail con espressione di stupore) Cheeeeeeee? Nun ce posse credere. La FILMAURO ha deciso di produrre il mio film “Titanic versus Iceberg”. Mi devo presentare oggi per la firma del contratto. (suona il telefono) uh mamma mi, mamma mi… ma… ma chi è? Il telefono. Pronto? Si sono io… Roberto Castaldo… lo zio Bob… lo zio Bob è morto…? (esagerando sofferenza) o zi Bob è muorte? Pecchèèè?(torna freddo e distaccato) Vabbè ma lui stava in America, non avevamo più contatti… come? coooo? Sono l’unico erede vivente. Io? Unico ere… ! E di che si tratta? Dieci milio… dieci milioni di dollari? La… la… a villa a Los Angeles? Ristoranti a New York, Washington… Se accetto? Niente di meno se accetto? Si, si, accetto… settimana prossima la firma per l’accettazione dell’eredità, si si, accetto accetto, arrivederla. Uh Gesùùùù, o meglio uh Belzebùùùù! Allore nun ere nu suonne? Sta succedendo veramente! (suonano alla porte) Chi è?

PEPPINO:                    Roberto so Peppino. Arape c’è un signore che ti cerca

ROBERTO:        È l’equitalia?

PEPPINO:                    Non credo, dice di essere un giornalista.

ROBERTO:        Un giornalista? Prego (apre la porta ed entrano Peppino e un reporter)

REPORTER:      Piacere dottor Castaldo sono della rivista Ciak.

ROBERTO:        Ciak? O giurnale che parle e cinema?

REPORTER:      Siiii! (sistema Roberto e si posiziona per fare le foto)

ROBERTO:        E che vulite a me?

REPORTER:      È arrivata notizia che sarete il nuovo regista nonché autore del nuovo film sul Titanic.

ROBERTO:        Wa gia se sape?

REPORTER:      Tenimme buoni infiltrati. Ma adesso mettiteve in pose ca ve facce na foto, è accussì. Brave… nun ve muvite. (Roberto si esibisce in pose e Peppino si infila anche lui negli scatti)

ROBERTO:        Ma che stai facenne ne Peppì? E levete ca faie brucià e fotografie.

REPORTER:      Ok, tutto a posto, tutto a posto. Entro sta settimane e facce ascì ngoppe o giurnale. Stateve buone e grazie ancora per lo scoop. (ed esce)

ROBERTO:        Grazie a voi e m’arraccumanne faciteme ascì buone sulle foto.

PEPPINO:           M’arraccumane le foto. E scuppate buone. Fall’ascì pulite pulite. O sapè o scuppe, o sapè… Robbè…

ROBERTO:        Peppì e tu staie ancora qua. Che vuoi? Che c’è?

PEPPINO:                    è arrivate altra posta per te.

ROBERTO:        So bullette?

PEPPINO:                    Non credo.

ROBERTO:        E pure si fossene, eh eh.E per favore io sono il dottor Castaldo, regista di fama mondiale e prossimo milionario, damme sta lettere. (gliela strappa di mano)

PEPPINO:                    E che passate? Tu mo stive buone.

ROBERTO:        Dammi del lei innanzitutto.

PEPPINO:                    Lei?

ROBERTO:        È, si, bravo… allora (legge mentre Peppino annusa l’aria)… Peppino, ma tu hai capito Peppì?

PEPPINO:           (girandosi intorno e annusando l’aria) Credo di aver capito, si… aggia capite troppe buone…

ROBERTO:        No, tu ne capite niente. Mi hanno invitato al Festival del Cinema di Berlino, a fare la giuria… aggia fuie Peppì, cià. (raccoglie in fretta la giacca e fa per andarsene)

PEPPINO:                    Ma addò vai, ehm… iate… aspettate.

ROBERTO:        Aggia ie ad appiccia 10 candele.

PEPPINO:                    A San Gennaro?

ROBERTO:        No al diavolo ci devo appicciare 10, 100, 1000 candele al diavolo (ed esce)

PEPPINO:           Al diavolo? Ie senteve n’addore e zolfe. Povero Roberto mio, l’aggia perze, l’aggia perze. Ma forze stamme ancore a tiempe pe recuperà. Ma me serve na mane. Devo chiedere aiuto. A chi devo chiamare? Si facce ambresse l’anima di Roberto si potrà ancora salvare… ma mi devo muovere, devo correre, devo volare, volare, volare… (si mette su una gambe facendo il movimento delle ali con le braccia. Si chiude il sipario)

FINE PRIMO ATTO

SECONDO ATTO

ATTO II - SCENA 1

SINTESI: gli angeli Micael e Rafael giungono in aiuto di Peppino che in realtà è Pepiniel l’angelo custode di Roberto.

PERSONAGGI: Micael – Rafael - Peppino

SCENA SECONDO ATTO: Come al primo tempo ma più ordinata; sul tavolo il secchiello con lo champagne e alcuni depliant turistici; sulla libreria trofei e premi; alle pareti foto poster del protagonista con personaggi famosi. Verso la fine dell’atto, quando si chiude il sipario, alla riapertura di quest’ultimo sul mobile bar altarino con foto del protagonista, fiori e lumini, inoltre scompaiono poster e locandine dalle pareti. Un cavalletto da stiro sulla sinistra.

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Si apre il sipario e sempre con luce soffusa entrano due tizi, gli angeli Micael e Rafael.

MICAEL:           Ecco questa dovrebbe essere la casa di questo Roberto… (inciampa sul tappeto) a… ccia miseria. Rafael attento che su sto tappeto si inciampa… Rafael, Ra… ma addo sta chiste? (urlando) Rafèèèè…

RAFAEL:           (entrando dalla comune) We we, sto qua, sto venendo… stavo in bagno.

MICAEL:           Stavi in bagno? Ma noi non abbiamo bisogno del bagno. Gli angeli non hanno di queste necessità.

RAFAEL:           Lo so, però siccomme in cucina c’erano delle belle purpette al sugo, non ce l’ho fatta e lo dovute assaggià.

MICAEL:           Ma noi non mangiamo, non beviamo, non dormiamo, non…

RAFAEL:           Oooo avimme capite Micaè. E le volevo provare.

MICAEL:           E te si sentute male.

RAFAEL:           E dopo mi prendo n’alcassenze.

MICAEL:           Ma noi siamo angeli, non abbiam bisogno delle medicine, la nostra unica medicina è la fede…

RAFAEL:           E baste Michè… ere pe pruvà un’emozione antica, ancestrale. Michè ma a te nun te manche o sapore da paste e fasule, l’addore do vine, e cosce e na femmena belle…

MICAEL:           Rafael… non esageriamo. Piuttosto, cos’è questo marcato accento partenopeo?

RAFAEL:           Spirito di adattamento… e falle pure tu che il napoletano è bello, è una lingua saporita, n’a siente comm’è colorata, com’è profumata… e pruove nu poche pure tu, dici “a muzzarelle”.

MICAEL:           Ma si sceme?

RAFAEL:           Dici!

MICAEL:           (in italiano perfetto e con superbia)  “la mozzarella”.

RAFAEL:           Chiù cariche… comme si a tenisse mocche… “a muzzarelle”…

MICAEL:           “A muzzarelle”…

RAFAEL:           Brave, o siente o sapore do latte ca te scorre ca’ e ca’ (indicando i bordi della bocca). Mo pruove cu “a sfugliatelle”…

MICAEL:           “A sfugliatelle”…

RAFAEL:           Te siente o sapore da ricotte mocche? La sfoglia croccante? Dice a verità?

MICAEL:           Si, si è vero.

RAFAEL:           Mo dice… “e femmene”, pare che tuocche… dice “e femmene” …

MICAEL:           Rafè e basta mò. Non esageriamo. Non dimentichiamo il vero motivo per cui siamo qui.

RAFAEL:           Gia è vero… il motivo, e c’avevema fa?

MICAEL:           Dobbiamo recuperare un’anima che va verso la perdizione, contro l’oblio, nei più bui meandri dell’oscurità, tra le braccia del dimonio.

RAFAEL:           Michè, avimme fa na lavate e cape a nu povere strunze?

MICAEL:           In poche parole si, un insoddisfatto della vita che s’è visto costretto a stringere un patto col diavolo.

RAFAEL:           E ie mo vulesse sapè… Napoli nun è zona nostra, perché siamo venuti noi?

MICAEL:           Pepiniel, è lui che ha invocato il mio aiuto.

RAFAEL:           Peppiniello.

MICAEL:           Si è un caro amico, abbiamo fatto il corso di volo e studiato angelologia insieme. Glielo devo, ha aiutato molte volte lui a me.

RAFAEL:           E io che ci azzecco?

MICAEL:           Tu… noi… lavoriamo insieme, quindi? Hai presente Starsky e Hutch? Non si è mai visto che Starsky lavora a un caso e Hutch non lo segue.

RAFAEL:           E ie e te fosseme Starsky e Hutch? Nuie al massimo simme o sicche e o chiatte. E poi cu tanti angeli che stanno a Napoli proprio a noi?

MICAEL:           Perché dice che è un caso disperato e si fida solo di noi.

RAFAEL:           Ma ce sta l’angelo Aniel di Sant’Anastasia pecchè nun chiamme a isse?

MICAEL:           Sta impegnato in un esorcismo.

RAFAEL:           Ce stanne gli angeli Gigginiel e Marettiel, quelli lavorano insieme, so bravi…

MICAEL:           Stanno facendo un corso di aggiornamento.

RAFAEL:           Ce sta pure coso… Giuvanneniel di San Giorgio a Cremano, quello è angelo di prima classe.

MICAEL:           Sta dando già una mano a Carmeniel, l’angelo di Pozzuoli.

RAFAEL:           Tutti sti angeli stanne a Napoli e niuscine è libere, tutti impegnati… niente di meno pe truvà lavore sicure a Napele e murì e addeventà n’angele.

MICAEL:           E mica è facile diventare angeli, ci vogliono le doti?

RAFAEL:           Ma che staie dicenne? Basta che ti finisce il nome in el… a Napele sarebbe pure facile, sta chine e Gennariel, Masaniel, Felucciel, Pascariel…

MICAEL:           Ma che dici? Ci vogliono doti superiori. Le virtù, l’obbedienza. Poi si deve studiare… Angelologia e storia celeste, Geografia delle volte e degli universi, Antropologia e Nomenclatura delle creature, ecc… e poi ci sono i corsi pratici: volo, difesa dalle arti oscure, uso di armi di luce… ma te le scurdate ne Rafael? Li hai fatti anche tu sti corsi.

RAFAEL:           Si si.

MICAEL:           Ma li hai fatti sti corsi?

RAFAEL:           Più o meno.

MICAEL:           Che significa più o meno?

RAFAEL:           Steve sempe malate sai e spesse volte ero assente. Poi e cumpagne mie e classe tenevene a cazzimme e nun me purtavene maie e compite a case. Chilli nfame…

MICAEL:           Stive sempe malate?

RAFAEL:           Vabbuò sempe no. Qualche volta facevo pure filone insieme a qualche amico, ce ne ieveme a Mergelline… ja vuò dicere ca tu ne mai fatte nu filone? Nun si mai jute a Regge e Caserte?

MICAEL:           No.

RAFAEL:           Ma tu si proprie nu chiattille, se vede.

MICAEL:           Ma come te l’hanno data sta licenza Celeste?

RAFAEL:           San Gaetano.

MICAEL:           San Gaetano?

RAFAEL:           Si, un vecchio amico di famiglia. Ha mise nu poche e bona parole co preside…

MICAEL:           Col Padreterno?

RAFAEL:           Chille ca sta di case o piane e coppe, co maste, insomma chille che cummanne a barracche.

MICAEL:           Dioooo…

RAFAEL:           We non nominare il nome di Dio invano… fai peccate.

MICAEL:           Blasfemo.

RAFAEL:           Bla… che? Ma è na mala parola? Michè o vide comme fai, poi dici cà te piglie a pacchere. (minacciandolo)

MICAEL:           Smettila!!!!

RAFAEL:           Michè nun e fa o capuzziele cu miche. Te struppè.

MICAEL:           Sei, sei… lascia stare. Piuttosto Pepiniel ci ha dato appuntamento qui, ma lui dov’è?

RAFAEL:           Infatti, dov’è? Vuò vedè c’avimma fa tutte cose nuie?

PEPPINO:           (entrando dalla comune centrale) No, no sto qua. Grazie amici per aver accolto la mia richiesta di aiuto.

RAFAEL:           Peppiniè però cercamme e ce spiccia presto cà cheste già nun è zona nostra.

MICAEL:           Con calma Rafael, ascoltiamo il problema di Pepiniel.

PEPPINO:           Allora, e fatte stanne accussì… ie so l’angelo custode di Roberto e il diavolo con l’inganno è riuscite a ce fa firma nu patte cu isse.

RAFAEL:           Embè… baste, è perze, è fernute… nun ce sta chiù niente a fa.

MICAEL:           E dai Rafael…

PEPPINO:           (triste)No, l’anima di Roberto non può andare al diavolo… ci tengo in modo particolare a lui, l’aggia viste e nascere… me ce so affezionate comme a nu figlie.

MICAEL:           E come possiamo fare?

RAFAEL:           Nun putimme intervenì! Il libero arbitrio… ognuno po’ fa chelle che vò. Noi possiamo indicare la strada, vegliare su di loro, ma nun putimme intervenì.

MICAEL:           E poi il patto è stato già sottoscritto, e si sa i contratti, soprattutto col diavolo, vanno rispettati e fatti rispettare.

RAFAEL:           Si intervenimme, rischiamme e scatenà na guerra…

PEPPINO:                    No, no quale guerra. Nuie nun intervenimme direttamente.

MICAEL:           E come?

PEPPINO:                    Indicandogli la via, comme a ditte Rafele.

RAFAEL:           E o patte comme o sciuoglie?

PEPPINO:           Guagliù, ca stamme a Napele. Vulite vedè ca se scioglie o sanghè e San Gennare e nun se scioglie nu patte co diavele? Venite cu me ca ve spiego il mio piano. Andiamo. (escono)

ATTO II - SCENA 2

SINTESI: il diavolo, come spesso succede, viene a far visita a Roberto.

PERSONAGGI: Roberto – Reporter – Diavolo

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Entra Roberto col la solita bottiglia in una mano e un trofeo nell’altra

ROBERTO:        Ah ah, eccoci qua.Buongiorno, buongiorno alla mia casa. Anche la mia casa mi applaude. Grazie, grazie… The winner is “per una capata di euro” di Roberto Castaldo, ooooo.

REPORTER:      Grande dottò site o meglie.

ROBERTO:        N’altro premio da aggiungere alla collezione tiè.

REPORTER:      Fatevi fa na foto dottò.

ROBERTO:        Scatta, scatta… we a proposito la foto col maestro Spielberg?

REPORTER:      Sta qua dottò. Wa dottò a foto cu Spilber… site orgogliose dottò?

ROBERTO:        Guagliò, Spielberg addà essere orgogliose e se fa fotografa cu me. Mo vai, vai. Ci vediamo domani alla presentazione del nuovo film.

REPORTER:      Va bè dottò, ci vediamo…

ROBERTO:        (urlando)Maestro, maestro mi devi chiamare.

REPORTER:      Ci vediamo domani maestro. (ed esce)

ROBERTO:        So gruosse, so gruosse. (si spengono le luci per un attimo) È mancate n’ata vote a luce? (annusa l’aria) Nu fiete e zolfe. A già, è venuto l’amico cornuto. T’ho sentito, lo so che ci sei.

DIAVOLO:         Salve anima mia.

ROBERTO:        A fanno i cugini di campagna.

DIAVOLO:         Mi fa piacere il tuo buonumore.

ROBERTO:        Scusami, ma nun putisse trasì pa porte comme tutte quante?

DIAVOLO:         Ma ie nun so tutte quante. Io sono il diavolo. (con superiorità) Marou Zieeel…

ROBERTO:        (con fare da pescivendolo) A 8 eure o chile, fresche, appene staccate a vicine o scoglie e Margelline, accattateve e maruzziel, e maruzziel e Margelline…

DIAVOLO:         Come osi? (urlando arrabbiato e brandendo un’arma)

ROBERTO:        (spaventato)Ooo steve pazzianne, nu… nun t’arrabbià.

DIAVOLO:         E non fare il cretino. Come vanno le cose piuttosto?

ROBERTO:        Bene, benissimo anzi. Ho vinto un altro premio. Ho 3 film nelle sale e nun riesche a tenè a stessa femmene pe 2 juorne… sto sempe a cagnà.

DIAVOLO:         Belle è?

ROBERTO:        Sto troppe belle, e che soddisfazione mamma mi.

DIAVOLO:         Brave, brave. E la salute come va?

ROBERTO:        Qualche problema di stitichezza, poca fame, stanchezza… ma pecchè scuse?

DIAVOLO:         Non ti fa piacere che io mi preoccupi per te.

ROBERTO:        Certo, ti ringrazio. Non credevo che il diavolo tenesse alla salute degli uomini.

DIAVOLO:         Ma io ci tengo alla tua salute, tanto, tantissimo. Anzi guarda, na bella bottiglia di whisky e un bel po’ di sigarette per i tuoi polmoni. E m’arraccumanne, finisci tutto e presto che te porto altri rifornimenti… (ed esce)

ROBERTO:        Az si preoccupà per la mia salute? E me porte liquore e tabacche? Vabbè comunque la bottiglia ci voleva proprie. Aveva fernute tutte o liquore. (apre la bottiglia e beve) Caspita e comme è forte. Però è buone… mmm… buone… (si accascia e si addormenta sul divano)

ATTO II - SCENA 3

SINTESI: Rafael appare a Roberto fingendosi un suo amico morto e lo mette in guardia riguardo al patto che ha siglato col diavolo.

PERSONAGGI: Rafael - Roberto

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La luce diviene soffusa ed entra un uomo, in realtà l’angelo Rafael

RAFAEL:           Robbè, oè Robbè… Robbè.

ROBERTO:        We chi è? E chi sei tu? Come sei entrato?

RAFAEL:           Nun me riconosci?

ROBERTO:        No! Si qualche amiche e Maruzzielle?

RAFAEL:           Qua vonghele e Maruzzielle... me pigliate po pescivendole? So Lello, Lellucce.

ROBERTO:        Lellucce?

RAFAEL:           L’amiche tuoie, te ricuorde? Giocavame a bigliarde insieme...

ROBERTO:        Noi, io e te? Giocavame a bigliarde insieme? Ie nun me ricorde e te.

RAFAEL:           Comme nun te ricuorde, ie so Lelle, Lellucce. Giocavamo pure a calcette. Poi la sera a giocà a carte o Bar e Peppe zechinette.

ROBERTO:        Aspè, me fa male a capè… forse me ricorde. E comme si trasute qua?

RAFAEL:           Veramente non so trasute... so accumparse

ROBERTO:        Si accumparse? Aggia fatte a case delle apparizioni. Mo m’arape nu santuarie. Primme o diavele e mo chist’ate.

RAFAEL:           Qua diavele Robbè?

ROBERTO:        (sviando)No niente… che significa ca si accumparse? Sei una visione? Un sogno?

RAFAEL:           Ma no, Robbè… na specie. Eeee Robbè, io so morto.

ROBERTO:        (affranto) Lellù, tu Lellù… si muorte?

RAFAEL:           È…

ROBERTO:        (con sofferenza)E comme è state? Tu stive accussì belle.

RAFAEL:           Tu fine e poca fa nun te arricurdave manco e me, comme fai a sape che steve accussì belle.

ROBERTO:        Era pe solidarietà. Come sei morto? Me ricorde che da parecchio non ci vedevamo.

RAFAEL:           Infatti. Ti ricordi ca all’improvvise accuminciaie a vencere sempe a carte?

ROBERTO:        (dubbioso) Sì, più o meno.

RAFAEL:           E me spusaie a chella guaglione, comme se chiamme?

ROBERTO:        E che ne sacce ie? Te le spusate tu.

RAFAEL:           A gia, Lionora.

ROBERTO:        Lionora… na Lione?

RAFAEL:           Na Lione chiene e sorde.

ROBERTO:        Az te sistimaste che cazze.

RAFAEL:           Uffff… sorde pe tutte parte. Addirittura pigliaie o poste dinte a na grande azienda e mi fecero pure assessore al comune.

ROBERTO:        E brave a Lellucce, che te fiaste e fa.

RAFAEL:           Ma nun stette tutte merite mie.

ROBERTO:        E raccomandazioni è… si sempe state o tipe. Mo me ricorde e te… tu nun tenive proprie genie e faticà…

RAFAEL:           (tra se e se) Chiste è sceme proprie…

ROBERTO:        … tu a sparave a fatiche è Lellucce, Lellucce. Chi t’a raccomandate né?

RAFAEL:           Il diavolo.

ROBERTO:        O Maruzzielle?

RAFAEL:           E dalle cu sti frutte e mare… e poi pecchè proprie e maruzzielle ca chille so antipatici pure a mangià. Ce vo l’aghe pe tirà fore, s’annasconnene. Chille è stesse l’attaccamente alla vita. Ma che vuò dicere? Chi è Maruzzielle?

ROBERTO:        Lascia stare… che vuoi dire col diavolo, t’a raccomandate o diavele?

RAFAEL:           In un certo senso. Ho stretto un patto con lui, ho fatto un patto col diavolo. Fortuna e ricchezza in cambio della mia anima.

ROBERTO:        (distaccato) Vabbè e che ci sta di male? Te si levate comunque tanta svizi. Come hai detto… fortuna e ricchezza. Embè le avute?

RAFAEL:           Si…

ROBERTO:        E mo e pagà. Il patto è un baratto, tu me daie na cosa a me, io ti do na cosa a te. Un contratto che va rispettato.

RAFAEL:           Stai informato su ste cose è?

ROBERTO:        Sì, emh… tengo il libro l’avvocato in famiglia. (lo prende dalla libreria) Si compra pe corrispondenza.

RAFAEL:           Robbè e a te come sta andando la vita?

ROBERTO:        Abbastanza bene… s’arrange. Se tira a campà.

RAFAEL:           (prende la bottiglia e i biglietti dal tavolo) Se tira a campà cu champagne, viaggi a Montecarlo e…

ROBERTO:        (interrompendolo) … e niente Lellù, lo sai a me piaceva scrivere. Sceneggiature, film, il cinema Lellù. Ho sfondato nel mondo del cinema. I miei film sono premiatissimi ed io sono richiestissimo. Altro che Francis Ford Coppola.

RAFAEL:           Coppola? Tu chelle si, nu cuppellicchie Robbè. Tu ne mai ngarrate manco nu teme a scuola. Le sceneggiature? Tu e sempe scritte sule strunzate.

ROBERTO:        (arrabbiato) Ma comme te permiette. Io sono un talento di fama mondiale. Io mi sono fatto da solo.

RAFAEL:           Ti sei fatto da solo? Tu te si fatte sotte… quande e sentute o diavele.

ROBERTO:        Ma qua diavele?

RAFAEL:           L’e fatte pure tu o patte co diavele? Dice a verità, l’e fatte pure tu o patte co diavele?

ROBERTO:        Embè? E si, l’aggia fatte pur’ie. Tu pecchè le fatte? Pe necessità no? E pur’ie. La vita è infame Lellù, se non ci dai una spinta non si va avanti. E comme e ditte? Te ne si viste bene… fortuna e ricchezza. Le avute no? E mo vuoi fare la morale a me?

RAFAEL:           Nisciuna morale. Solo vedi di valutare meglio ciò che hai dato in cambio.

ROBERTO:        L’anima? Ma tu me sai dicere a me, addo sta l’anima? In testa? Nel cuore? Dint’a l’uocchie? Io non la vedo, nun a sente… pe me è comme si nun ce stesse. Quindi è comme si n’avesse perze niente. Ma po’ a che serve?

RAFAEL:          Serve a…

ROBERTO:        (interrompendolo)Nun o voglie sapè. Ormai è fatta. Mo me l’aggia godè. Tu te ne viste bene fine e che si muorte? E quande more ie se ne parle. Tante ce vo tiempe.

RAFAEL:           A 33 anni.

ROBERTO:        Che fa?

RAFAEL:           A 33 anni.

ROBERTO:        Èeee, che fa a 33 anni?

RAFAEL:           A 33 anni sono morto io.

ROBERTO:        A 33 anne? Wa, mi dispiace. Così giovane? Peccato. Vabbè grazie al patto col diavolo però, chissà per quanto tempo te la sei goduta no? Ricchezza e fortuna…

RAFAEL:           Solo 6 mesi.

ROBERTO:        Che fa?

RAFAEL:           Sule 6 mise.

ROBERTO:        Lellù, n’ata vote, sule sei mise che cose?

RAFAEL:           Il patto è durato solo 6 mesi, dopo di che sono morto.

ROBERTO:        Stive gia male però?

RAFAEL:           No, a vita a incominciate ad abbandonarmi un po’ alla volta dopo aver firmato il patto. Mano a mano ca faceve e sorde accussì cadeve malate. E solde e a brunchite, ati solde e o feghete malate, ati sordi solde e o tumore o stommeche, ati solde e…

ROBERTO:        … e si muorte… baste Lellù…

RAFAEL:           E so muorte. Tu comme te siente Robbè. Staie buone?

ROBERTO:        È… si… si, non ce male grazie.

RAFAEL:           Quantu tiempe è passate da che hai firmate o patte?

ROBERTO:        So quase sei mise.

RAFAEL:           Sei mise è?

ROBERTO:        Si e sto una bellezza… e capì? Stonghe na bellezze.

RAFAEL:           Me fa assai piacere Robbè… allora ti saluto, se fatte gia tarde pe me… me staranne cercanne. (fa per andarsene)

ROBERTO:        Chi te sta cercanne? E addo vai mo?

RAFAEL:           All’inferno Robbè. Dove ogni juorne vengo sottoposte alle più crudeli torture…

ROBERTO:        (incuriosito e preoccupato) Sarebbe?

RAFAEL:           Mi scorticano vivo, mi infilano aghi negli occhi e lasciano che i topi mi mangino i piedi mentre sono infilato su un palo dal fondoschiena.

ROBERTO:        Tutte cheste?

RAFAEL:           No, intanto brucio e bevo urina di gatto. Poi il giorno dopo ricomincia tutto da capo.

ROBERTO:        (sempre più preoccupato) E questo tutti i giorni.

RAFAEL:           Tutte e juorne pe l’eternità. Addio Robbè. Anzi, arrivederci all’inferno. (Ed esce)

ROBERTO:        Aspè Lellù, aspè. Aspè… mamma mie c’aggia fatte? Uh Signore mio aiutami tu… che ho fatto, che ho fatto? (triste ed amareggiato)

ATTO II - SCENA 4

SINTESI: Peppino si rivela a Roberto e gli consiglia di fare testamento quindi incontra Micael che si finge avvocato che gli dà una dritta per fregare il diavolo.

PERSONAGGI: Peppino – Roberto – Rafael – Micael

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Entra Peppino dalla comune centrale

PEPPINO:           Che fatte Robbè, che fatte? Mo le capite che fatte na strunzate? Mannaggia a capa tua, mannaggia.

ROBERTO:        (sorpreso)Peppino… e tu che ci fai qui? Addo si trasute? A porte sta chiuse.

PEPPINO:                    N’agge bisogne da porte. So accumparse. (sempre sorridente)

ROBERTO:        Pure tu? Ma famme o piacere ja. E po comme te si cumbinate, me pare na gallina spennate.

PEPPINO:                    Roberto io sono un angelo, il tuo angelo custode.

ROBERTO:        Il mio angelo custode? Hai bevuto Peppì? E te fa male, nun o mantiene.

PEPPINO:                    Non mi credi? Le ali… (mostrandole)

ROBERTO:        Spennate!

PEPPINO:                    La spada… (impugnandola)

ROBERTO:        Arrugginita!

PEPPINO:                    Tu credi al diavolo, ai fantasmi e non credi agli angeli?

ROBERTO:        E tu che ne sai del diavolo, del fantasma…

PEPPINO:                    Te l’ho detto, sono il tuo angelo custode. So tutto, soprattutto di te.

ROBERTO:        (triste)Allore so muorte già?

PEPPINO:                    Nun ancore… ma manca poco. Questione e juorne.

ROBERTO:        E che soddisfazione.

PEPPINO:           E poi se eri morto sicuramente nun stive cà, viste chelle ca è fatte. (voce d’oltretomba) Ma tra le fiamme dell’inferno.

ROBERTO:        Mamma mie… (disperato)

PEPPINO:                    Tra i morsi lancinanti delle bestie di satana.

ROBERTO:        Mamma mie… (piangendo) aiuteme te preghe, tu sei il mio angelo custode, mi devi proteggere.

PEPPINO:           Troppe tarde Robbè… o diavele t’a tentate e tu ce si carute comme nu sceme.

ROBERTO:        Noooo, che posse fa? C’aggia fa? Aggia aspettà sule a morte.

PEPPINO:           Intanto potresti cominciare a fa nu testamente. E guadagnate tanti sorde grazie al diavolo no? Quindi dopo tante cattiverie fa na cosa bona, dopo la tua morte lascia tutte le tue ricchezze ai poverelli.

ROBERTO:        Po servì a qualcosa, cioè ce sta na speranze ca facenne accussì me salve?

PEPPINO:           Robbè tu hai fatto un patto col diavolo e firmate nu contratte cu isse. Quello che è scritto è scritto e così sarà… l’unica cosa che puoi fare è lasciare un buon ricordo di te qua tra i vivi.

ROBERTO:        È vero, hai ragione. Almeno verrò ricordato come un benefattore. Si si, lascio tutto ai poverelli… aggia chiammà a n’avvocate, nu notaie pe fa nu testamente. A chi chiamme? (prende il cellulare)

PEPPINO:           Guarda Robbè ce ne ho io uno buono. (prende un bigliettino da visita) Fa proprio sti testamenti a favore dei poverelli. Si chiamme avvocato Arcangelo. Chiamalo.

ROBERTO:        Damme cà. Comme se chiamme? Michele Arcangelo? Che nomme è?

PEPPINO:           Michele di nome e Arcangelo di cognome. Non parlargli di me, di che il numero te la date n’amico.

ROBERTO:        Sì si, lo chiamo subito. (prende il cellulare e inizia a chiamare) Pronto… si avvocato Arcangelo? E salve sono Roberto Castaldo avrà sicuramente sentito parlare di me… che? Come no?.. l’erede di Stanley Kubrick… chi è Stanley… vabbuò… si si… (ed esce)

PEPPINO:                    Bene, bene…

RAFAEL:           Peppeniè… (entrando dall’ingresso a sinistra)

PEPPINO:                    We e tu che fai qua ne Rafè?

RAFAEL:           Tutto a posto? Come procede il piano?

PEPPINO:                    Bene, ma sparisci adesso. Nun ce facimme sgamà.

RAFAEL:           E dice a verità, comme aggia recitate?

PEPPINO:                    Me parive Al Pacino.

RAFAEL:           Che dici, Roberto mo facesse fa nu film pure a me? Magare facimme nu film inzieme ie e te. Starsky e Hutch…

PEPPINO:                    Rafè ma mo te ne vuoi andare primme ca torne chiste.

RAFAEL:           Si subbete… e a proposite simme sicure ca Michele la capite a parta soie?

PEPPINO:                    Ma certe.

RAFAEL:           Guarda ca chille Michele è nu pucurille curiuse è.

PEPPINO:                    Rafè vattenne sta turnanne Robberte… (Rafael esce in fretta) e                         pulizzete o musse c’o tiene spuorche e sarze. Te staie magnanne                      tutte e purpette.

ROBERTO:        Peppì, cu chi stavi parlando.

PEPPINO:           Io? Con nessuno. Facevo 2 preghiere per l’anima toie… e c’a ditte l’avvocato?

ROBERTO:        Ha detto che quanto prima sarebbe venuto… Peppì ma siamo sicuri ca st’avvocate è brave?

PEPPINO:           È il migliore Robbè, fidati del tuo angelo custode. (suona il citofono)

ROBERTO:        (al citofono) Chi è? Wa… (sorpreso) si, si salite, 2° piano.

PEPPINO:                    Chi è?

ROBERTO:        L’avvocato. Wa già sta cà! Peppì, mo tu te ne devi andare, devi sparire.

PEPPINO:                    Non posso restare?

ROBERTO:        No Peppì, nun me concentro…

PEPPINO:                    Vado in cucina allora.

ROBERTO:        Vai…

PEPPINO:                    Ci sta quaccose a mangià?

ROBERTO:        Ce stanne e purpette ca sarze dinte o furne.

PEPPINO:                    Buone, vado allora. (ed esce e bussano alla porta)

ROBERTO:        Si arrivo. (apre la porta ed entra l’angelo Micael tutto agitato che corre a sedersi e comincia a bere anticipando gli inviti di Roberto) Prego entrate…, molto lieto…, accomodatevi…, bevite qualcosa…, facite comme stissene a casa vostra…, appunto,  a fatte tutte cose isse. Avvocato mi presento io sono…

MICAEL:           (a cantilena)Si lo so, lei è Roberto Castaldo, me l’ha detto al telefono pocanzi. Adesso però sbrighiamoci, il tempo è denaro sa e per me è anche salute visto che oggi ho, ahimè, una brutta gatta da pelare.

ROBERTO:        (interdetto)Dovete pelare una gatta? L’avite spellà? Ma po va                                  mangiate?

MICAEL:           È un modo di dire. Ho un problema grosso che non so se riuscirò a risolvere.

ROBERTO:        Addirittura? Ma non credo guardate, che sia più grave del mio.

MICAEL:           Lei non può nemmeno immaginare che cosa... Guardi se glielo                        raccontassi…

ROBERTO:        Vabbè ma nun saranne affari miei…

MICAEL:           Ma cosa da non credere guardi. Se lei sapesse cosa mi è successo…

ROBERTO:        Avvocà io sarei pure un po’ curioso, ma se voi non potete dirmelo lasciamo stare e penziamo a me piuttosto che…

MICAEL:           Si, ma lei proprio dovrebbe sapere cosa sto passando io in questo momento…

ROBERTO:        Avvocà e vabbuò e se me lo volete dire, si avite bisogne e sfugà, parlate.

MICAEL:           Ma ci sarebbe il segreto professionale… non è che io posso raccontarlo al primo che capita.

ROBERTO:        (arrabbiato) E no avvocà. E mo avita parlà. Mo o voglio sapè pur’ie sto fatte. Anche si nun me ne importa proprio niente, ma l’aggia sapè.

MICAEL:           E va bene, non si arrabbi che glielo racconto.

ROBERTO:        Sto tutt’orecchi.

MICAEL:           Allora i fatti stanno così: qualche anno fa diedi una mano ad un vecchio facoltoso a scrivere un testamento olografo dove l’enorme ricchezza da lui accumulata negli anni veniva lasciata ad un unico nipote che gli era stato sempre caro e vicino. Conservai tale testamento in busta chiusa da aprire solo alla morte del vecchio, così come da lui stesso richiesto. Dopo la morte del vecchio, avvenuta pochi giorni fa, all’apertura del testamento questo è stato dichiarato nullo a causa di un mio errore e l’eredità non è andata all’unico nipote, come era desiderio del vecchio, ma è stata suddivisa alle altre centinaia di nipoti che avevae che mai si erano curati di lui. Per un mio banale errore.

ROBERTO:        Scusate avvocà e che errore avete fatto?

MICAEL:           Scrissi il nome dell’erede al femminile.

ROBERTO:        Cioè?

MICAEL:           L’erede si chiama Carlo ed io invece scrissi Carla… misero me.

ROBERTO:        Cioè avvocà, cambiando il sesso… non vale più il testamento?

MICAEL:           Il testamento è come un contratto…

ROBERTO:        (si illumina)Come un patto…

MICAEL:           Si, e ciò che è scritto va rispettato, così come è scritto.

ROBERTO:        (sempre più speranzoso)E se c’è un errore in quello che sta                             scritto?

MICAEL:           Il testamento, il contratto o il patto come vuole lei, non vale, non ha valore. Insomma non può essere realizzato ciò che vi è scritto.

ROBERTO:        (felice) So salve!

MICAEL:           Come scusi?

ROBERTO:        Grazie avvocà, mi avete salvato. Mo jatevenne che tengo da fare. (lo conduce alla porta)

MICAEL:           (sull’uscio della porta) Ma signor Castaldo e il suo testamento?

ROBERTO:        Nun ce sta bisogno chiù do testamente. Andate a fare le vostre cose… (chiude la porta) stateve buone.

ATTO II - SCENA 5

SINTESI: Roberto grazie all’aiuto di Peppino diventa Roberta

PERSONAGGI: Roberto – Peppino – Roberta

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ROBERTO:        Peppì, Peppino. Addo sta questo? Ho trovato il modo di salvare la mia anima ma me serve n’aiuto… Peppì… (bussano alla porta) e chi è?

PEPPINO:                    Peppino.

ROBERTO:        E che ce fai dietro alla porta?

PEPPINO:                    Mi stavi chiamando e so venute.

ROBERTO:        (apre la porta) ma tu sei un angelo, può accumparì addo vuò tu e che fai, bussi?

PEPPINO:           (entrando) E volevo entrare come le persone normali.

ROBERTO:        Avissa ascì a dinte o frigorifere qualche vote?

PEPPINO:           Nun sia mai, me piglie n’accidenti. Comunque che succede, che vuoi?

ROBERTO:        Ho trovato, ho trovato il modo per imbrogliare il diavolo Peppì.

PEPPINO:                    Ma è impossibile, il diavolo non lo si inganna.

ROBERTO:        Ma io non lo voglio ingannare… voglie sule pruvà a lo mbruglià,  a lo confondere nu poche e tu me aiutà.

PEPPINO:                    E comme?

ROBERTO:        Allora il patto l’ho firmato io esatto? E se avessi sbagliato a scrivere il nome?

PEPPINO:                    Impossibile, o diavele se ne sarebbe accorte.

ROBERTO:        Aspè! Io ho firmato Roberto Castaldo… e si quande o diavele se vene a piglià l’anima nun trove a Roberto ma a Roberta? Il patto…

PEPPINO:                    … non vale.

ROBERTO:        Esatto! Basta che mi vesto da donna, che ci vuole?

PEPPINO:           E tu pensi che il diavolo nun se n’accorge? L’idea è buona, ma deve essere più reale.

ROBERTO:        Cioè… mi devo depilare?

PEPPINO:                    Non basta.

ROBERTO:        M’aggia fa crescere e capille?

PEPPINO:                    Non c’è tempo.

ROBERTO:        Mi devo truccare?

PEPPINO:                    Robbè, devi diventà donna davvero.

ROBERTO:        Davvero?

PEPPINO:                    È, che zizze, o cule… e addeventà na femmene.

ROBERTO:        Mamma mi… ie penzave e avè avuto un’idea folle. Ma tu hai esagerato proprio.

PEPPINO:           Robbè, credo che sia l’unica soluzione… pure pe fermà l’inesorabile decadimento della tua persona. Si te vestisse sule a femmene, mettenne pure ca o diavele è nzalanute e nun capisce o trucche, il tuo corpo andrà comunque a consumarsi. Invece cambiando proprio sesso è come se il vecchio Roberto morisse non lasciando conseguenze alla nuova Roberta. Robbè si avimma fa sta cose, stu tentative, l’avimma fa accussì. Scegli tu… il libero arbitrio.

ROBERTO:        Ok mi hai convinto… s’adda pruvà tutte cose dinte a vite no?

PEPPINO:                    Ok allora siamo pronti…

ROBERTO:        Aspè? Hai fretta? Nu mumente. Nun è facile… a me piacevene e femmene…

PEPPINO:                    E ti farai piacere gli uomini.

ROBERTO:        N’aggia mai suppurtate e tacche.

PEPPINO:                    Robbè, più passa il tempo più ti avvvicini alla morte.

ROBERTO:        E fammo salutà l’urdema vote. (si gira di spalle e… )

PEPPINO:                    A chi? (Si sporge a vedere) Aaaa… jamme belle ja!

ROBERTO:        Ma che vuò? È stato un amico di mille avventure. Cia, non ti dimenticherò mai, mai chiù. (si rigira) e mo facimme ambresse.

Peppino recita parole incomprensibile poi si spegne la luce (scambio uomo/donna) e si sente una voce femminile

ROBERTO:        è mancate a currente un’altra volta. Poi dici che devo pagare il condominio ne Peppì… ma ie nun paghe niente…

A luci spente scambio Roberto con Roberta

ROBERTA:        (torna la luce) è tornata la luce, fiat lux!

PEPPINO:                    Comme staie bellelle…

ROBERTA:        Ma pecchè fai lo scemo ne Peppì… (si accorge del cambiamento) uhhh, la mia voce… i capelli uh (si tiene i seni poi si gira e controlla l’intimo) … nun ce sta niente chiù!

PEPPINO:                    Ma ci stai tu e la tua vita e ce sarraie ancora pe parecchio.

Si chiude il sipario  (modifiche di scena: foto, lumini e fiori sul mobile bar, cavalletto per stirare in scena e via le foto di Roberto dalle pareti)

ATTO II - SCENA 6 – EPILOGO

SINTESI: il diavolo, venuto per controllare la sua anima, trova Roberta al posto di Roberto e viene ricacciato all’inferno dagli angeli.

PERSONAGGI: Roberta – Diavolo – Peppino – Rafael - Micael

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Si riapre il sipario con Roberta che arriva con una cesta di panni da stirare

ROBERTA:        (camminando in modo gofo sui tacchi) Ma comme se fa a cammenà ngoppe a sti trampele? Mamma mì e che torture, forse erene meglie e fiamme e l’inferno. E po’, meglie a essere magnate de surece ca a stirà sti cammise. La vita della femmina è difficile… mo capische pecchè se lamentene sempe. Bisogna rivalutare la donna. Aggia scrivere na bella sceneggiature, nu film che mette in primo piano le donne e il loro valore… Ramba a sore e Rambo… che ne vulite sapè vuie de femmene. (mancamento di luce) We we, è saltata a currente… vuò vedè cà… uhhh zitte, zitte.

DIAVOLO:         Salve buon’anima.

ROBERTA:        (con indifferenza) Uh buongiorno, buongiorno… prego accomodatevi.

DIAVOLO:         Donna, tu non hai timore della mia improvvisa presenza?

ROBERTA:        No!

DIAVOLO:         Ie so accumparse dinte a sta casa all’improvviso e tu nun tiene paure?

ROBERTA:        No perché siccome ci sta l’impalcatura montata vicino alla facciata, a stanne finalmente accuncianne, capita spesso che entrano i fravecatori dalla finestra per chiedermi se gli faccio un po’ di caffè.

DIAVOLO:         Ed io ti sembro un fravecatore?

ROBERTA:        Site o geometra?

DIAVOLO:         (urlando) Basta!!!!

ROBERTA:        Uh e pecchè alluccate? State calmo vi può venire qualcosa.

DIAVOLO:         Donna, tu non hai idea di chi io sia.

ROBERTA:        Site o rappresentante delle caccavelle. Sule lore so accussì nziste.

DIAVOLO:         (declamato) Io sono il diavolo!

ROBERTA:        Visto? Il diavolo fa le pentole… ma non i coperchi. E che me n’aggia fa de pentole senze e cupierche? Nooo, non m’interessa. Andate pe favore che ho da fare. Se volete, potete ascì pure pa porte. Avissena cade da sopra all’impalcatura.

DIAVOLO:         Ie crede ca tu nun e capite… dove sta Roberto Castaldo?

ROBERTA:        Chi? Roberto... aaaa voi cercate a Roberto? Eccolo là vedete. Quant’ere belle. (fingendo tristezza) Ci manca a tutti, ci manca. (gli mostra una foto Roberto con lumini accesi e fiori, l’icona di un defunto)

DIAVOLO:         Che significa questo? Dov’è Roberto? Chiamatelo, gli devo parlare.

ROBERTA:        (c.s.)E nun facite accussì che me vene a chiagnere. Ce tenivene assai a lui?

DIAVOLO:         Donna non scherzare con me, Roberto Castaldo non può essere…

ROBERTA:        … morto? E perché no? Roberto è morto, schiattato, trapassato, nun ce sta chiù. Mo che avete saputo la triste notizia potete pure andare… e jatevenne!

DIAVOLO:         Aspiette nu mumente… Si Roberto fosse muorte io dovrei saperlo per forza. Anzi sarei stato il primo a saperlo viste ca l’anima sua è scritto che sarebbe venute cu me all’inferno. Io ho un patto con lui. Abbiamo firmato un contratto. (euforico) Tu… tu mi stai ingannando, ti stai prendendo gioco di me… chi sei tu donna… qual è o nomme tuoie?

ROBERTA:        Roberta.

DIAVOLO:         Roberta. Roberta? (perplesso) Roberta Cas…

ROBERTA:        (anticipandolo) …Castaldo. Roberta Castaldo.

DIAVOLO:         Sei tu, si tu… impostore, imbroglione… la tua anima e a mie.

ROBERTA:        No, l’anima di Roberto era tua. Controlla il patto. Vedì che ci sta scritto Roberto non Roberta. E pure a firme, è di Roberto. Questo lo sai comme si chiamme? Vizio di forma. Vizio di forma uguale patto nullo. Nun ci sta chiù nisciune accorde tra di noi. Vattenne va, pe scale, pa feneste, pe do vuò tu ma vattenne.

DIAVOLO:         Me ne vado ma nun primme e t’ave accise.

ROBERTA:        Uh mamma mi… aiutateme

Entrano i tre angeli dai due ingressi e dalla comune centrale brandendo le spade

PEPPINO:                    Fermo demone.

MICAEL:           Marou Ziel non muoverti.

RAFAEL:           Maruzziè azzecchete ngoppe o scoglie e nun te movere.

DIAVOLO:         E voi che fate qui, che ci azzeccate vuie? (arrabbiato) È la mia                         anima.

PEPPINO:           Non più caro amico. E te la spiegate già esse. Il libero arbitro vale per gli angeli ma anche per i demoni. Roberto ha scelto di essere Roberta. La tua anima nun esiste chiù. Hai fatto un errore. Prendi sto contratto e appiccele. E brucia anche tu con lui.

I TRE ANGELI INSIEME: (puntando contro il diavolo le spade) Torna all’inferno.

DIAVOLO:         Aaaaaa,… (suoni di tuoni e luci spente, quando si riaccende la luce il diavolo è scomparso)

ROBERTA:        Se ne andato? So salve?

PEPPINO:                    Sei salva.

ROBERTA:        Comme ve posse ringrazià?

MICAEL:           Ma lascia stare figurati…

RAFAEL:           Ooo quande maie statte zitte… signorina per ringraziarci ce putesseme purtà chelli belli purpette ca sarze che tenite dinte a cucine?

MICAEL:           Ma Rafael…

ROBERTA:        Ma certo, pigliatavelle tutte quante. Anzi se ne volete ancora io li faccio tutti i giovedì.

RAFAEL:           E capì Michè… o giovedì nun piglià nisciune impegno, ca ci aspettano le purpette.

MICAEL:           Ma jammuncemme ja.

RAFAEL:           Si jammncemme, però passamme pa cucine che purpette ci aspettano. (ed escono insieme dalla comune centrale)

ROBERTA:        Peppì…

PEPPINO:           E viste quand’è importante l’anima. L’anima serve a nun te fa abbattere. L’anima non ti fa arrendere di fronte e probleme da vite. L’anima ci fa sospirare per le emozioni, che siano di gioia o di dolore. L’anima è l’arma contro la rassegnazione. O saie pecchè e diavele vogliono l’anima degli uomini? Perché loro non ce l’hanno un anima e so rassegnate, vivene senza nu motivo, nun tenene stimoli, so comme e muorte ca camminene, palline che correne ngoppe a na scese, tronche spezzate ca seguene e rapide e nu fiume in piena, foglie ca s’agitene quande soffie o viente e ca po se posene a terra appene o viente se ferme. E l’anima a siente in petto quande o core te sbatte si t’annammure o te spaviente, nganne quande aspiette na notizie importante, dint’e o stommeche quande vulisse scuppià comme e na bombe… dinte a l’uocchie quande a matine te scite e l’arape pe salutà a vite… 

ROBERTA:        È vere. Peppì, e a te angelo custode mio, comme te posse ringrazià?

PEPPINO:           Allore, innanzitutto accumience a pagà e rate del condominio ca me so scucciate e piglià miezzu stipendie. (gli va incontro con fare minaccioso fino a portarla fuori alla porta d’ingresso dove lei per difendersi impugna una scopa) E da oggi in poi la posta te la vai a prendere tu e fa na cose te truove ca scopa mane, famme na scupate e scale… (rivolto al pubblico) e vuie si ce tenite all’anima vostra, semplicemente, nun v’a scurdate.

FINE

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