Commedia in un atto di
Alberto DE MARIA e Giuseppe POSSENTI
Da IL DRAMMA n. 268 – Gennaio 1959
LE PERSONE
Primo signore
Secondo signore
Gino Varzi
Tilde Monti
La madre
Un cameriere
La coppia di giovani
Uno spazzino
L'AZIONE SI SVOLGE Al GIORNI NOSTRI
La scena: all'alzarsi del sipario completamente buia. S'illumina poi sul lato destro e molto in avanti, quasi in ribalta: uno o due tavolini, qualche seggiola di legno colorata, una pianta in un grosso vaso. Leggermente più indietro, a destra delle sedie, quasi in quinta, l'arco dì una porta d'ingresso del « Bar della Pineta ». La porta è chiusa da una di quelle caratteristiche tende a frange filiformi di colori diversi, molto in uso nei bar di provincia. Attraverso le frange della tenda filtra la luce accesa nell'interno. In alto una insegna luminosa: « Bar della Pineta », o semplicemente « Bar ». Seduto ad uno dei tavolini il Primo signore legge il giornale e di tanto in tanto beve a piccoli sorsi la sua bibita. Sono circa le ventuno di una calda, afosa serata d'estate. Compare dalla destra il Secondo signore; si asciuga con un fazzoletto la fronte bagnata di sudore. È florido, piuttosto basso, sulla sessantina. È un uomo senza problemi e, a modo suo, felice, forse perché non ha mai avuto la possibilità di « essere infelice ».
Secondo signore Ah! Finalmente. È un po' lunga arrivare fin quassù, ma almeno si respira. C'è un certo venticello... (Avvicinandosi al tavolo dove sta l'altro signore) Scusi, posso sedermi?
Primo signore Prego... faccia pure. (Parlerà sempre con un tono basso, impersonale).
Secondo signore Grazie... Ah, che bell'aria!
Primo signore Eh, sì! È veramente un posto fresco... ci viene spesso?
Secondo signore Quasi ogni sera. Cosa vuole... dopo una giornata di lavoro trascorsa in quell'inferno laggiù (indicando con la mano) fa piacere...
(Compare sul vano della porta del bar un cameriere).
Il cameriere Buona sera, signore. In ritardo questa sera... Il solito, vero?
Secondo signore Sì, grazie, Giovanni, il solito.
Il cameriere Bene, signore. (Scompare nel bar).
Secondo signore Sarà magari un po' scomodo, fuori mano, e poi... alla nostra... mi scusi... non volevo...
Primo signore(senza entusiasmo, ma gentile) S'immagini! Dica pure, tanto i nostri anni non possiamo certo nasconderli.
Secondo signore ... alla nostra età... si farà fatica a venirci... ma poi, che pace, che silenzio... e questo odor di pino che quasi ti stordisce. È la mia droga! Guardi, le dico una cosa: io starei qui anche a dormire.
Primo signore(quasi divertito) A dormire poi...
Secondo signore Sì, anche a dormire. Cosa vuole, sono innamorato di questo posto. Per tutta la giornata, nel mio ufficio, non faccio altro che pensare al momento in cui arriverò qui, nel mio rifugio.
Primo signore Come da ragazzi, quando si pregustava, si sospirava per tutto il giorno il momento, la sera, di vedere la propria fidanzata. E poi magari era una delusione.
Secondo signore Oh, ma io non sono delusoaffatto! Lei è la prima volta che ci viene?
Primo signore Sì, non sono di qui, ma solo di passaggio.
Secondo signore Ah! (Annuendo) Che tranquillità, che incanto!
(Il cameriere entra, posa un bicchiere sul tavolino davanti al Secondo signore)
Grazie. Hai il giornale di questa sera, per favore? (Rivolgendosi di nuovo al Primo signore) Stasera ho fatto un po' tardi... sa, per guadagnare di più... un po' di straordinario... e il mio vecchio giornalaio se n'era già andato.
Primo signore(porgendogli il suo) Guardi, guardi pure il mio.
Secondo signore Grazie. (Al cameriere) Non importa allora. (II cameriere rientra nel bar) Sa, è un'abitudine. Io leggo il giornale per abitudine. Che vuole... si potrebbe anche fare a meno di leggerli, che tanto sono perfettamente uguali...
Primo signore Mi pare che esageri... perfettamente...
Secondo signore Beh, guardi, l'unica differenza la si può trovare nella maggiore o minore grandezza dei titoli. Ma per il resto... Fotografie di calciatori e di delinquenti, dive che partono o che arrivano, qualcosa di politica in prima pagina, e infine la cronaca, la solita sporca cronaca...
Primo signore Sporca, addirittura; via...
Secondo signore Ma per forza, come la vuol chiamare? Furti, omicidi, suicidi. E tutto descritto nei più minuti particolari. La fotografia, magari, del morto coperto da uno straccio. Una volta in un giornale c'era anche della letteratura. Ora parlano di sport e di miss anche in terza pagina.
Primo signore E lei crede che la cronaca sia una cosa sporca, da non far conoscere!
Secondo signore Non dico questo, ma un po' di discrezione, perbacco! Fossero almeno originali... ci son sempre le stesse cose.
Primo signore Ma caro signore, che cosa è la cronaca? Non è altro che il racconto particolareg-giato o meno di tutti i fatti che accadono in questo paese, nelle altre città, nel mondo. Noi siamo qui, quieti, tranquilli a goderci il fresco, ma quante cose accadono frattanto sulla terra! Dia... dia uno sguardo alla città... laggiù. Quante luci, quante case, quanta gente. E che fa quella gente? Vive. Pensi, caro signore, è lo stesso istante, lo stesso momento di una qualsiasi giornata. E una giornata è fatta di questi momenti e la vita... che cos'è la vita se non l'unione di tutti questi piccoli, impercettibili momenti? E la cronaca è vita. La tragedia, il dramma o la commedia di un minuto, di tanti minuti, di tante ore. Certo essa coglie i fatti salienti, quelli che interessano di più. Non si possono riempire le pagine dei quotidiani di tutto quel che succede.
Secondo signore E lei ha il coraggio di chiamare fatti importanti i furti, gli omicidi, i suicidi ed altre cose di questo genere? Ma mi faccia il piacere! È ora di finirla con questa cronaca...
Primo signore Allora bisogna abolire la vita, secondo lei!
Secondo signore Ma cosa... io non ho detto questo. Non mi faccia dire ciò che neppure ho pensato. Io dico che... (Mentre parla sfoglia il giornale, poi trionfando come se con quella scoperta avesse finalmente trovato la risposta) Ecco qua, guardi. Poi dica che ho torto. (Legge) Tragico suicidio di due giovani. Lui un reduce dall'ultima guerra, lei una universitaria prossima alla laurea.
Primo signore Vada avanti.
Secondo signore Pare che l'uomo fosse tornato dalla prigionia un po' sconvolto, un po' esaurito.
Primo signore Certo, sconvolto, esaurito. Ecco come siamo noi uomini, subito ci affanniamo a trovare una ragione, un perché che per « noi » sia logico! Sa qual è il mio passatempo preferito? Guardare per la strada la gente che passa. E provare, dal loro modo di vestire, di gesticolare, dalla voce, dalle mani, ad immaginarne l'esistenza. Se lei avesse incontrato quell'uomo per la strada, e l'avesse osservato bene, avrebbe forse letto nei suoi occhi l'an-goscia, il tormento, la sofferenza che l'agitavano?
Secondo signore(che evidentemente non ha capito niente) Io? Se non lo conoscevo neppure!
Primo signore E i fatti, come si sono svolti i fatti?
Secondo signore Che ne so io? Qui non c'è altro. Lei lo sa?
Primo signore Può darsi! (Lunga pausa) Immagini un bravo giovane, un uomo come tanti, felice di vivere. Si chiamava... come... (Indicando all'altro il giornale).
Secondo signore (scorrendo in fretta il giornale) Gino... Gino Varzi.
Primo signore Gino Varzi. Come accadde a molti altri, fu costretto ad andare in guerra, a combattere contro gente che non odiava, ma solo per fare il suo dovere. Ed un bravo ragazzo che va al fronte lascia sempre a casa una madre, una fidanzata che l'aspettano. Anche Gino... E un giorno la guerra finì ed egli tornò.
(Alla fine di queste parole la scena si fa completamente buia. Si illumina la parte opposta della scena. Essa è composta da una tavola, due sedie, e si svolge in casa di Gino. Gino e la madre sono di fronte).
Gino Mamma, come sono felice! Avevi ragione tu quando dicevi che tutto sarebbe finito, che la vita si sarebbe ripresa.
La madre Sì, caro! Hai visto.
Gino Oggi sono stato dal cavalier Borroni. Da lunedì comincio a lavorare con lui. È un buon posto, mamma, e ce la faremo. Vedrai!
La madre Ma io ho sempre creduto che ce la avresti fatta. Non ho mai avuto timore io, eri tu ad averne.
Gino E sbagliavo. Anche Tilde guadagna qualcosa, e inprincipio ci sarà molto utile. Poi spero che potrò farcela da solo e allora lei baderà, con te, alla casa, ai nostri bambini...
La madre (sospirando) ... i bambini!...
Gino Sarai felice mamma di essere nonna? Non ti sentirai troppo vecchia?
(Buio sulle ultime parole di Gino. Una panchina. Gino aspetta Tilde. Compare Tilde. È una bella ragazza, semplice nel vestire, dal volto un po' triste).
Gino Tilde, finalmente! Sono qui da cinque minuti e mi è sembrata un'eternità. Come la prima volta. Ti ricordi? Quando cominciavo a temere che non saresti più venuta.
Tilde E invece sono venuta.
Gino Certo, cara, e dimmi: te ne sei pentita?
Tilde No, e... lo sai benissimo.
Gino (scattando) No, invece. Non lo so! Una volta lo credevo. Ma ora? È da tempo che cerco di dirtelo. Che cosa è successo? Perché non siamo più noi?
Tilde Ti prego...
Gino (interrompendola) Niente prego! Ogni volta che tocco questo argomento, tu cambi discorso. E io passo giornate intere a soffrire, a pensare cose assurde. Perché? Non mi ami più, Tilde?
Tilde Che dici! Sai benissimo che nulla è cambiato, che io ti ho sempre amato e ti amo.
Gino Perché menti? (Pausa) Ti ricordi quella sera che ci promettemmo di dirci sempre tutto? Giurammo che non avremmo mai mentito. Io debbo sapere... Cosa mi nascondi?
Tilde Nulla! Forse sarò cambiata... Può darsi... Prima ero una bambina... Sei tu, forse, che non mi ami più come allora.
Gino (scattando) Ah, no! Non accusare me, adesso! Non invertire le parti.
Tilde (cambiando tono) Sì, hai ragione. Tu non c'entri. Perdonami!
Gino Perdonarti! Cosa?
Tilde Non so! Se avessi amato un altro... se non fossi più degna di te... cerca di capirmi!
Gino Capire... è una parola...
Tilde (decisa, interrompendolo) Non farmi dire di più. Lasciamoci. Sapevo che non poteva durare così. Io ti chiedo, ti scongiuro, se mi ami, di non interrogarmi più. È l'ultima cosa che ti domando. Non pretendere che parli.
Gino Ed è tutto? Ma un amore come il nostro non può finire così. (Pausa) Dicevamo che il nostro era un grande amore, che nessuno s'era mai amato come noi. Ti ricadi? Perché, perché allora un amore come il nostro deve finire così, nel nulla? Mi dici che non puoi parlare, e mi chiedi di scomparire, dicendomi addio... così... in nome del nostro amore. Ma ti pare possibile?
Tilde Ma non capisci che se mi decidessi a parlare saresti tu a soffrirne, più di me? Io, ormai, la mia sofferenza ce l'ho... qua dentro... da tempo... Perché la vuoi dividere con me?
Gino Qualsiasi cosa, ma non questo silenzio, questo dubbio atroce... ti prego...
Tilde E va bene! L'hai voluto tu. (Pausa) Non so neppure da dove cominciare. (Pausa, poi d'improvviso) Ma prima devi promettermi una cosa... devi promettere...
Gino (interrompendola) Su... avanti. Che cosa devo prometterti?
Tilde ... che non ci vedremo mai più.
(Pausa. Incomincia pian piano la musica. È l'inizio del « primo movimento » della Sinfonia n. 9 in do minore, op. 125 di Beethoven. Poi Tilde comincia lentamente)
Tu sai che mentre eri al fronte tua madre mi voleva presso di sé; ma mio padre - anche lui costretto come te a combattere quell'orribile guerra - volle mandarmi in campagna, presso una zia...
(Buio completo sulla scema. La musica cresce, diventa violenta. Poi improvvisamente la scena s'illumina sul lato sinistro del palcoscenico. È trascorsa una settimana, Siamo in casa di Gino. Gino è seduto al tavolo con le Spalle rivolte al pubblico. È in maniche di camicia. È un uomo disfatto, sfinito. Dopo pochi istanti, si alza di scatto, comincia a muoversi nervosamente per la stanza, guardando, ogni tanto, l'orologio da polso).
Gino (guardando l'orologio) Già le sei... Dovrebbe essere già qui... Perché non c'è ancora?
(Suona il campanello. Gino esce e rientra subito con Tilde)
... Temevo che non saresti più venuta.
Tilde Già... avrò fatto bene?
Gino Certo... dovevamo vederci.
Tilde Dovevamo... come sei sicuro tu. Ma che vuoi che faccia io? Saprai comprendere, saprai perdonare?
Gino Non c'è nulla da perdonare... se qualcuno deve perdonare... sei tu... Sei tu la vittima... Cosa dovrei perdonarti io, che con tutto il mio amore non riesco a rassegnarmi, a dimenticare quello che è accaduto, senza tua colpa?
Tilde Farei per te qualsiasi cosa, caro. Per questo ti dico che non dobbiamo vederci più. Non posso vederti in queste condizioni... soffrire così... bisogna che vada via, che sparisca per sempre... solo così potrai dimenticare tutto.
Gino Ma io non voglio rinunciare a te. E poi perché dovrei farlo? (Forte) Che cosa mi obbliga a farlo all'infuori del mio stupendo egoismo?
Tilde Vedi, Gino, io ti conosco molto meglio di quanto ti conosca tu. Non fai che parlare di perdono, di vittima, ma intanto c'è qualcosa dentro di te che si ribella, che tu lo voglia o no. C'è un altro dentro di te che ti dice di lasciarmi... che sono colpevole.
Gino Non è vero! Per me nulla è cambiato.
Tilde (sincera) Forse ti sembra, forse anche lo credi... ma insieme non potremmo più essere felici. Non lo potremmo. Anch'io in certi momenti ho tentato di illudermi. Quante volte in questa lunga, orribile settimana ho creduto, come in un sogno, che veramente si potesse dimenticare tutto, ed ecco che tu, ogni sera, dimenticando tutte le promesse del giorno prima, hai ricominciato di nuovo con le tue domande, odiose... domande... Non posso più crederti, Gino!
Gino Ma, cara, se tu sapessi che momenti passo... Vorrei cancellare tutto e invece il pensiero si fissa lì, e mi tortura.
Tilde Lo vedi? Dobbiamo lasciarci. Per forza, caro. Quando cominci con i tuoi interrogatori, a chiedere i particolari, a domandarmi: « E poi... e poi... ». No... basta... non ci resisto più...
Gino Se tu sapessi quello che provo io. La notte cerco di prendere sonno, ma poi, improvvisamente, tu mi appari dinanzi, e io ti vedo... ti sento urlare... dibattere tra le braccia di quello... già... quello... Dove sarà ora... forse a casa sua... con la fidanzata... o magari felice... con moglie... coi figli... no no... morto ha da essere! Colpito da un proiettile nemico... Ah! Fosse morto davvero!... Ma io devo sapere, devo sapere tutto... Com'era... cosa diceva... perché avrà pur detto qualcosa no? E tu avrai gridato, ti sarai difesa almeno... dimmi, parla... ci sarà stato un momento che hai ceduto... un istante... un istante solo, in cui non sei stata più mia...
Tilde Finiscila... sei un pazzo... mi disgusti...
Gino Ma non capisci che solo così... che a costo di rivedermi tutta la scena davanti agli occhi, Dio sa quante volte, solo così potrò arrivare al momento in cui avrò la certezza che tutto quel che è accaduto non ha per me nessuna importanza?
Tilde (avviandosi) Addio...
Gino No, aspetta... aspetta, dimmi qualcosa... dammi una speranza almeno... dammela... (Si getta, piangendo, ai piedi di Tilde).
Tilde (accarezzandogli i capelli) Povero,. povero caro...
Gino Tilde, perdonami... sono un mostro, ma ti amo... tanto, devi credermi...
Tilde Sì... ti credo!
Gino Aiutami allora... aiutami...
Tilde Non c'è nulla che io possa fare! Ho creduto come una pazza che potesse esserti veramente d'aiuto raccontarti tutto... Ma è stato inutile.
Gino No, non dire così... Non mi lasciare...
Tilde È necessario! Non riuscirai mai a convincere te stesso. Quante volte mi hai giurato che sarebbe stata l'ultima volta, e poi hai incominciato da capo? Non possiamo continuare così... per tutta la vita, Gino!
Gino Che mi resta senza di te!... Nulla... Ah, no... una cosa... ecco, sì, morire...
Tilde Non dire sciocchezze! Cosa risolveresti in questo modo? Anch'io ci ho pensato in questi giorni. Non l'ho fatto per te, caro. Ho avuto paura.
Gino (pausa) Sai, anch'io... ma poi me n'è mancato il coraggio. Ieri sera, quando ci siamo lasciati, ho continuato a camminare per tutta la notte. Ho camminato... così, senza meta, sotto la pioggia. Di tanto in tanto mi passava accanto una macchina, e nei fasci luminosi dei fari distinguevo la pioggia continua, fitta, inesorabile. A un tratto ho visto da lontano il ponte, il ponte sul fiume, appena illuminato da due vecchi lampioni. E mi sono ricordato quando, bambino, andavo a giocarci con i miei compagni. E ho incominciato a correre: mi sono appoggiato al parapetto, bagnato di sudore e di pioggia, e sono caduto in ginocchio, sfinito. Col viso tra i ferri della ringhiera, ho visto l'acqua nera, densa, scorrere sotto di me. Non avevo più paura in quel momento. Avevo deciso. Quando improvvisamente ho sentito alle mie spalle uno stridere di freni e l'urlo strozzato di un animale. Mi sono alzato e sono corso sulla strada. La macchina era già lontana ed in terra giaceva un cane, un povero bastardo spelacchiato, ridotto ormai a un mucchio di carne insanguinata. Mi sono curvato su di lui, e l'ho guardato... a lungo... Non so quanto tempo sono rimasto così... Mentre la pioggia continuava a cadere, implacabile. Ho visto tanta gente morire in guerra accanto a me, ma mai avevo sentito la morte così vicina come in quel momento. Ed ho avuto paura, paura di morire. (Abbraccia Tilde, quasi cercando un rifugio al suo dolore).
Tilde (suadente, accarezzandogli i capelli) Non bisogna aver paura di morire.
Gino In questo momento, vicino a te, non ho paura...
(Buio completo, la scena si illumina sul bar, come all'inizio dell'atto).
Secondo signore Molto romantico... ma anche molto retorico!
Primo signore Macché retorico! Umano, caro signore, decisamente umano. E purtroppo siamo noi che ci costruiamo così la nostra umanità, con i suoi egoismi, le sue guerre, le sue brutalità, i suoi... (indicando il giornale) ... vizi...
Secondo signore Ma il vizio qui non c'entra. Nessuna volgarità nel caso doloroso.
Primo signore D'accordo! Ma mi dica... le sembra questo il primo caso da quando il mondo esiste?
Secondo signore Ma che ne so io? Non vorrà mica che mi metta a catalogare, a fare statistiche su tutte le tragedie d'amore che sono successe al mondo, per caso?
Primo signore Allora glielo dico io: ce ne saranno stati... senz'altro... chissà quanti... I fatti, caro lei, sono sempre uguali... ma siamo noi, noi a renderli ogni volta diversi.
Secondo signore Ma lei ce l'ha proprio con questa umanità! E non ne fa parte, lei, di questa umanità, di questa società, alla quale si vergogna di appartenere?
Primo signore Certo. Diversi, perché tutti noi lo siamo, gli uni dagli altri. Perché, vede, a ciascuno di noi spetta una parte... e sì, diciamolo pure... una fetta di una grande torta. Le porzioni sono identiche... uguali... tocca a ognuno di noi consumare la propria nel modo che ci sembra il migliore... piano... in fretta... come vogliamo, insomma!
Secondo signore Chiacchiere... Filosofia spicciola...
Primo signore Per lei! Perché lei si sarebbe ammazzato?
Secondo signore Ah, questa poi!... Ci mancherebbe altro...
Primo signore Lo sapevo... stia tranquillo... neppure io l'avrei fatto... Loro invece hanno creduto opportuno risolvere il problema, agendo in quel modo... ma caro signore, non spetta a noi giudicarli! Con che diritto, poi?
Secondo signore Beh!... perché...
Primo signore Perché noi siamo uomini? Ma se proprio per il fatto stesso d'essere tali siamo diversi gli uni dagli altri. Si metta a cercarli e me li trovi, lei, due uomini che di fronte allo stesso caso, allo stesso problema, reagiscano nella stessa, unica maniera. Cerchi di capire.
Secondo signore Ci risiamo con la filosofia... ma che vuole che capisca di queste cose, io... uguali... non uguali... diversi... le dirò di più, per me gli uomini sono tutti uguali.
Primo signore(ironico) Eh! Lo so... tutti buoni o tutti cattivi. O magari divisi in due schiere, i buoni da una parte, e i cattivi...
(Interrompe il cameriere).
Il cameriere Signore, al telefono.
Secondo signore A me?
Il cameriere Sì, a lei... presto! (Scompare).
Secondo signore Ah, grazie... vede, non si può stare un momento in pace; hanno già scoperto il mio rifugio... (Quasi fra sé) Come avranno fatto, poi, non so... (Alzandosi) Beh, andiamo a vedere chi è... Arrivederci, signore... riprenderemo un'altra volta...
(Il Primo signore fa un gesto di saluto e l'altro si avvia. Giunto sulla porta del bar si ferma e....)
A proposito... grazie per il giornale...
Primo signore(canzonatorio) Si figuri...
(II Secondo signore s'avvia definitivamente. Il Primo signore rimane seduto al tavolo. Dopo qualche istante prende dalla tasca dei soldi, e li fa cadere con rumore sul tavolino. Si alza e lentamente se ne va. Esce in quel momento il cameriere, fa un cenno di saluto al signore, ritira i soldi e i bicchieri e rientra nel bar. Si spengono le luci del bar. Passano di corsa, tenendosi per mano, due giovani).
Lei(correndo) Su, andiamo. Facciamo tardi...
Lui (scherzando) Quanta furia! Se mi amassi tanto come dici, non avresti tutta questa fretta di tornare a casa.
(Si sente fischiare. Appare un uomo d'una certa età, in mano una scopa e una pattumiera. È vestito con una tuta. Avanza lentamente. Si china, raccoglie un mozzicone di sigaretta. Lo guarda, se lo mette in un taschino. Continua a scopare avvicinandosi al tavolo. Vede il giornale, lo prende, lo guarda con un gesto rassegnato, lo getta nella pattumiera. Continua a scopare. Le luci si abbassano. La musica ancora la Sinfonia n. 9 in do minore op. 125 di Beethoven cresce. Le luci si abbassano sempre più, poi buio completo).
* Copyright A. De Maria - G. Possenti 1950.