A fronte alta

Stampa questo copione

- A FRONTE ALTA –

- A FRONTE ALTA –

Un sogno del mille novecento cinquantasei

di

Antonello Cossia

                                    “ Non ha vita chi non sceglie una vita…”

                                                                                                                    

                                                                                                                  Pier Paolo Pasolini

                                                                                                                              

                                                                                                                                        

                                                                                                                 a mia madre.

Buio in sala. Prima del sipario e durante la lenta apertura, suoni registrati che evocano lo scenario della seconda guerra mondiale.               

Tappeto sonoro che va in dissolvenza, mentre lentamente una luce di taglio basso illumina il volto ed il busto dell’attore. Ha in testa un cappello di carta di quelli da muratore, indossa una canottiera bianca, lacera, sporca è seduto su uno sgabello a sinistra della scena.

Compie gesti lenti di pulizia della faccia e del corpo sporchi di pittura, comincia ad indossare abiti puliti, una camicia bianca, una cravatta, si pettina precisamente la testa, ha un taglio con scriminatura laterale modello anni 50. In tutta questa azione legata alla durata del testo, recita:

Povero come un gatto

vivevo in una borgata tutta calce

e polverone, lontano dalla città

e dalla campagna, stretto ogni giorno

in un autobus rantolante:

e ogni andata, ogni ritorno

era un calvario di sudore e di ansie.

lunghe camminate in una calda caligine,

tra strade di fango,

muriccioli, casette bagnate di calce

e senza infissi, con tende per porte…

Passavano l’olivaio, lo straccivendolo,

venendo da qualche altra borgata,

con l’impolverata merce che pareva

frutto di furto, e una faccia crudele

di giovani invecchiati tra i vizi

di chi ha una madre dura e affamata.

Rinnovato dal mondo nuovo, libero – una vampa, un fiato

che non so dire, alla realtà

che umile e sporca, confusa e immensa,

brulicava nella meridionale periferia,

dava un senso di serena pietà.

Un’anima in me, che non era solo mia,

una piccola anima in quel mondo sconfinato,

cresceva, nutrita dall’allegria

di chi amava, anche se non riamato.

E tutto si illuminava, a questo amore.

Forse ancora di ragazzo, eroicamente,

e però maturato dall’esperienza

che nasceva ai piedi della storia.

Ero al centro del mondo, in quel mondo

di borgate tristi, beduine,

di gialle praterie sfregate

da un vento sempre senza pace,

venisse dal caldo mare,

o dall’agro, dove si perdeva

la città tra i tuguri……..

Parte una canzone registrata “ Aprite le finestre” di Franca Raimondi vincitrice nel1956 del festival di Sanremo.

La scena si illumina, luce piena e sfolgorante.

Aprite le finestre.

“La prima rosa rossa è già sbocciata e nascon timide le viole mammole.

Ormai, la prima rondine è tornata nel cielo limpido comincia a volteggiar.
Il tempo bello viene ad annunciar. Aprite le finestre al nuovo sole, è primavera, è primavera.

Lasciate entrare un poco d'aria pura con il profumo dei giardini e i prati in fior.
Aprite le finestre ai nuovi sogni, bambine belle, innamorate.

È forse il più bel sogno che sognate, sarà domani la felicità……”

Solo in questo momento lo vedremo vestito con l’abito “della domenica”, un vestito dignitoso,

pulito, che dichiara le sue umili origini.

Sulle note e sul motivo della canzone si sviluppa una coreografia di pochi gesti leggeri e molto ironici che accompagneranno anche la recitazione, che riprende dopo le note registrate della canzone:

Aprite le finestre al nuovo sole, aprite le finestre ai nuovi sogni!

E’ forse il più bel sogno che sognate, sarà domani la felicità.

Aprite le finestre al nuovo sole, è primavera festa dell’amor.

Aprite le finestre ai nuovi sogni alle speranze all’illusione.                                                                                 Sogni, speranze, illusioni, tutto ciò che aiutasse ad uscire dagli anni bui della seconda guerra mondiale, della fame, della distruzione.

Sogni da realizzare assolutamente, incredibili, impossibili, irraggiungibili,

sogni che generano utopie, sogni che regalano gioia, sogni che infondono speranza,

che alimentano il lato positivo dell’esistenza,

sogni che spingono gli esseri umani al “folle volo”, oltre le colonne d’Ercole della nascita, verso il viaggio della vita, verso ciò che non si conosce e spesso grazie ai sogni si determina. Sogni che facessero dimenticare morte, dolore, drammi familiari, perdite.

Si avvicina ad un microfono posto su un pulpito da conferenza a destra del proscenio, indossa un paio di occhiali e con voce lenta, suadente, che cita dichiaratamente la retorica ufficiale dei politici di quel periodo recita:

La mia trepidazione è profonda, per l’attesa viva, spontanea, fiduciosa che  verso di me si rivolge da ogni parte politica, da ogni ceto sociale del nostro paese.

Forse mai e non credo che ombra di vanità mi faccia velo, la più alta istituzione della Repubblica è stata così vicina all’anima popolare come in questo momento, mai un ansia di rinnovamento si è levata a cuore così aperto da ogni zona dell’opinione pubblica verso colui che ha ricevuto da una solenne indicazione del Parlamento il mandato per la suprema magistratura dello Stato. La percezione precisa è che nell’opinione pubblica un ciclo decennale si è chiuso, ed una nuova fase si inizia. Ma il clima permane agitato, le previsioni per il domani sono ancora grigie ed incerte, non è scomparso quel senso di insicurezza che conferisce il carattere di lotta alle rivendicazioni di migliori condizioni di esistenza. Soprattutto assai basso è il livello di vita di tante famiglie, e troppo ancora è il potenziale di lavoro inerte o insufficientemente utilizzato, preziosa riserva di energie ancora negate allo sviluppo del nostro paese. Difficilmente ci si può esimere dal convenire che nessun progresso vero si realizza nella vita interna di ciascuna nazione senza il consenso ed il concorso del mondo del lavoro. Per l’economia italiana tutti debbono riconoscere che il primo problema da risolvere in ordine di urgenza è costituito dalla eliminazione della disoccupazione, che si accompagna alla miseria ed agli stenti. Per liberare il più rapidamente possibile tutti ed ognuno dall’angoscia dell’incertezza del pane, occorre che alla continua espansione del reddito nazionale si accompagni un impegno di fondo per migliorare la distribuzione nel senso di un costante sviluppo della linea sociale dell’economia. Occorre trasformare l’ambiente fisico e sociale del Mezzogiorno, come sta già accadendo, ma procedere ad un ritmo più intenso, affinché le nuove occasioni di lavoro si tramutino in fonte occupazionale stabile e continua e si impedisca l’aggravarsi del dislivello regionale di produzione e reddito fra Nord e Sud penoso travaglio

Per l’efficienza dell’economia nazionale.                                                                                                                                     Iddio illumini ed aiuti la nostra fatica. Viva la repubblica! Viva  l’Italia!.

Cambia l’atmosfera, una luce fredda, al neon accompagna l’azione di indossare una tenuta di allenamento, in stile anni 50. Questa azione accompagna il testo fino alla parola “pugilato”.

Nel mille novecento  cinquantasei  un giovane di ventisei anni, di nome Agatino, un sogno tenta di renderlo reale. E’ nato e vive in una frazione alla periferia nord di una grande città,

che allora aveva lo status e la bellezza del paese di campagna, sarà sempre per lui il paese migliore del mondo.

E’ cresciuto in una modesta famiglia, con altri sette fratelli, tra questi Mimì, il secondo maschio dopo Agatino, lo seguirà come un angelo custode nella sua impresa. Il padre ex carabiniere coltiva la campagna e gestisce una piccola cantina. Da questo luogo, che si riprende  dalla guerra con lenta fatica, tra conserve di pomodori in bottiglia, la vendemmia a settembre, un maiale ammazzato a Natale e quattro donne a fargli da balie, Agatino sogna una vita diversa, costellata di successi e vittorie e decide di buttarsi con tutto se stesso nella passione che alimenta quel sogno: il pugilato.

Giocatore di pallacanestro, sport praticato e  molto sostenuto nel suo paese, una sera mentre è in giro con i fedeli compagni di sempre, si scontra con un gruppo di ragazzi più grandi,

abitanti di un altro quartiere, fa a botte con il più grosso fra questi, conciandolo male.

Un anziano della zona, accorso a separare i contendenti, nota il talento fisico di quel ragazzo

tutto nervi e grinta, lo indirizza verso lo sport che all’epoca aveva già i suoi miti,

i suoi esempi eroici di uomini semplici, improvvisamente divenuti beniamini popolari: la boxe.

Quando si insegue un sogno nella vita, si è sempre vigili, attenti ad ogni accadimento,

ad ogni particolare, che può condurci alla sua realizzazione.

Si protegge ciò che si è conquistato per avvicinarsi ad esso.

Si attacca tutto ciò che può distruggere il sogno.

Proprio come nel pugilato, in cui la posizione di partenza, fondamentale,

viene chiamata “guardia”.

-Vigilare- fare attenzione- proteggere- attaccare.

Da questa posizione il boxeur parte per ogni azione per rientrarvi rapidamente.

Dalla zona nord della città, in cui Agatino è nato e cresciuto amato da tutti, talvolta, si recava a piedi in palestra, attraversando interi quartieri, percorrendo lunghi chilometri, ma la cosa non gli pesava affatto.

Frequentava la palestra Olimpia, al numero sedici, in una delle strade più ricche ed eleganti della città, in un sottoscala da cui però i migliori pugili della regione aspiravano a passare, per sentirsi più tutelati, ma soprattutto, per migliorare la propria tecnica, sotto la guida di un maestro, Nino, dalla personalità un po’ ruvida, con due fondi di bottiglia per occhiali, ma dotato di grande umanità, capace di “vedere” il pugilato dall’angolo come pochi.

L’Olimpia era motivo di orgoglio per qualsiasi pugile.

La città pullulava di palestre, nonostante lo scémpio, che in quegli anni di ricostruzione andava perpetrandosi, a causa della irresponsabile politica urbanistica, da parte di imprenditori, consiglieri parlamentari.

Voragini, crolli, fogne a cielo aperto, un incubo di cemento distrugge il verde delle colline, isterilisce la campagna, oscura il sole.

Un saccheggio, che infligge alla città danni più ingenti di quelli provocati dai bombardamenti non tanti anni prima.

Insomma, mentre i nuovi lanzichenecchi mettevano avidamente “le mani sulla città”,

dai siti più inimmaginabili, venivano fuori grandi campioni.

Prima dell’Olimpia, Agatino, frequenta la Fulgor.

 

Palestra inaugurata grazie all’opera di un ex capitano militare, grande invalido di guerra,

- aveva due protesi al posto dei piedi perduti al fronte –,

luogo in cui un altro grande maestro aveva aperto la strada ad Agatino.

Il maestro Geppino, uomo di bella presenza, appassionato, pieno di energie, che aveva nel sangue l’amore per la tecnica ed il talento per l’insegnamento, che preferiva, alla rissa volgare e stupidamente violenta.

Per anni si è cercato di capire quale fosse il segreto di quel luogo così poco accogliente,

situato all’interno di un portone, in un sottoscala sotto il livello stradale,

in una centralissima via della città al numero quattrocentodiciotto.

Ogni sera, prima di andare via da quel posto, bisognava sistemare del veleno,

nel vano tentativo di liberarsi della presenza di certi enormi topi da fogne, che imperversavano nel locale, una volta chiuso e deserto, rosicchiando anche attrezzi faticosamente acquistati.

Tante furono le ragioni sostenute dai vari esperti.

Di sicuro, le capacità tecniche ed umane di quel maestro, sono state fondamentali in una realtà sociale spesso difficile e complessa: “ Ora c’è la disoccupazione che è un gravissimo problema,

ma allora c’era la fame che è tutta altra cosa”, spiega il vecchio maestro, “cinquecento lire per una fetta di carne” era un forte incentivo per impegnarsi negli allenamenti e nei combattimenti”.

Alla Fulgor segue la palestra Alcione del cavaliere Antonio,

portata poi al successo dal figlio, anche egli apprezzato pugile in gioventù.

Divenuto poi un intraprendente ed importante editore.

Addirittura l’azienda tranviaria autotrasporti, tenne per un periodo una palestra,

gestita da un suo dipendente ex- pugile.

Umili e poveri templi per la preparazione, la formazione, dei moderni gladiatori, eroi romantici,

spesso esempi di comportamenti rigorosamente etici e morali, con il sogno di una migliore condizione di vita anche se al prezzo di tante e faticose privazioni.

Assumendo un tono più intimo, con meno enfasi, come una sorta di confidenza intima fatta a chi ascolta:

Siamo sempre pronti, sempre disponibili a rischiare per il nostro sogno,

teniamo alta la guardia, prestiamo attenzione, proteggiamo, vigiliamo manteniamo vivo il nostro sogno.

Attacchiamo sempre ciò che tenta di distruggere il nostro sogno.

Spesso siamo costretti a comprometterci, con ciò che anestetizza i nostri desideri più profondi ed arditi.

Siamo costretti ad abbracciare a  stringere forte tutto ciò che ci capita,

anche le cose più indesiderate, pur di continuare ad alimentare il nostro sogno.

Insomma un vero corpo a corpo tra due aspetti contrari e complementari

del nostro essere presenti sul ring quotidiano dell’incedere vitale.

Dove bisogna lottare per conquistare e lottare ancora, per difendere ciò che si è conquistato.

Un giorno dopo l’altro, sveglia all’alba per la corsa che prepara i polmoni, giornata di lavoro come muratore nella città da ricostruire, sera in palestra a definire il corpo, ad assorbire le posizioni per la difesa e l’offesa, un colpo dopo l’altro al sacco, saltelli alla corda, punching ball, jab, montanti, diretti, ganci, la preparazione di Agatino procede serrata. Tutte le figure, le posizioni, gli spostamenti, diventano parte della sua danza di lotta, il controllo, la forza, l’attesa, i calcoli della sua potenza nervosa, animale, coraggiosa, generosa, ma soprattutto, onesta e corretta.

Era mancino Agatino, questo procurava nei suoi avversari un certo timore.

Era sveglio e veloce, non solo sulla distanza normale, aveva una certa abilità anche nell’accorciare la distanza tra se e lo sfidante, riusciva a sedere sulle corde, a sgusciare dall’abbraccio dell’avversario, per lavorarlo ai fianchi fino a sfinirlo.

Entrava nel corpo a corpo deviando o schivando i colpi alti dell’avversario, di nuovo colpiva forte nei fianchi per fiaccarne ancora le forze, uno - due, uno - due, uno - due, uno - due, fino a spezzare il fiato.

Abbassava il tronco, girava veloce su un lato e via, si sporgeva lateralmente e lasciava partire un gancio.

Subito dopo un diretto investiva il volto dell’altro, si allargava saltellando lungo il quadrato, poi di nuovo all’attacco. Corpo a corpo, corpo a corpo, corpo a corpo, colpi corti, schivate, ganci, e ancora  corpo a corpo, corpo a corpo, corpo a corpo…….

BREAK!                         Pausa, si ferma, cambia posizione, riprende:

Corpo a corpo, clinch, abbracciare l’avversario, trattenerlo, tenerlo stretto, controllarlo.

Per entrare nel corpo a corpo si deve accorciare la distanza, deviando o schivando i colpi alti dell’avversario.

Non appena ci si trova vicini, bisogna fare il possibile per mettere le braccia, con i gomiti aderenti al corpo, nell’interno di quelle dell’avversario, per trovarsi nella posizione migliore e proteggere i punti vulnerabili del proprio corpo, nello stesso tempo per poter colpire agevolmente quelli dell’altro. I colpi in questa posizione vengono definiti “corti” e appunto perché vibrati da corta distanza, acquistano una speciale efficacia.

E’ un lavoro utilissimo, nell’economia dell’incontro, poiché grazie ai diversi modi di difesa si mette l’avversario nella condizione di essere colpito con precisione e forza al mento.

In questa posizione una serie di colpi possono mettere in grave difficoltà quello tra i due combattenti che ovviamente li riceve.

Mette al collo un fazzoletto rosso, fermo al centro della scena con un faro che lo illumina a pioggia.

In quegli anni molte altre persone erano alle prese con l’idea del corpo a corpo. Inseguivano il sogno di una vita migliore, “di migliori condizioni sociali ”.

Un giovane muore in un corpo a corpo con le forze dell’ordine a Venosa, quattordici braccianti restano feriti.

Un bracciante, muore a Comiso, (Reggio Calabria), negli scontri “corpo a corpo” con la polizia.

A Foggia la polizia risponde ad una sassaiola con l’uso di candelotti lacrimogeni.

Quaranta persone vengono fermate.

Due persone sono uccise e molte ferite a Barletta ( Bari), in seguito all’uso delle armi da parte della polizia, in un “corpo a corpo” contro i dimostranti, riuniti davanti al deposito alimentare della Pontificia opera di assistenza.

A Partinico, (Palermo), venti persone sono arrestate insieme allo scrittore Danilo Dolci,

figura di grande statura morale ed intellettuale, che tanto ha dato per il miglioramento della condizione dei ceti poveri al sud.

Il fermo avviene mentre insieme ad altri duecento braccianti partecipano al dissodamento di un terreno incolto. La manifestazione ha scopo dimostrativo, vuole segnalare il grave problema della disoccupazione nel Mezzogiorno d’Italia, rientra tra le iniziative tese al riscatto della popolazione del sud.

Siamo nel mille – novecento – cinquantasei.

Contestatori in abito da lavoro, con mani divorate dai calli, versus

lavoratori in divisa che difendono un potere invisibile che sfrutta ed abusa

del sudore e dello sforzo  di costoro.

Il sogno di una condizione di vita migliore, l’acquisizione di civiltà e dignità,

generate dal riconoscimento dei propri diritti,

spinge questa gente, che ancora fa fatica ad uscire dal disastro della guerra,

a scendere in piazza, ad ingaggiare un “corpo a corpo”, una lotta impari

con un avversario che molto spesso, proviene ed appartiene alla stessa condizione.

Questo è un sogno che ha generato utopie.

Con una forte inflessione dialettale, ad evocare il contadino autore di questa poesia:

Poveri sogni miei d’amor beati

che nel meglio del gioir siete sfuggiti

suggestivi e lacerati

come uccelli nei boschi siete spariti.

L’amor che mi nacque fu amor pio

e fu stroncato dalla sorte ingrata.

Nei primi sogni d’amor la mia vita

mi trovo in un gran groviglio disperato.

Quel groviglio che vincolato mi tiene

dolor che nel cuor mi serra

ed io con battaglia tagliar vorrei la rete

ma ogni speranza mi viene troncata.

Io sono contadino e ne vesto le spoglie,

e tutto ciò? Lo farò contro mia voglia.

Ma se il cervello si offusca o si imbroglia

Ne nascerà un battibecco o piglia piglia.

Io, io ho rossor di questo, pien di rancor

E tu Italica pien di lividor

Nostro scorno occulta, e nostro sudor;

Di me parlan di ferocia, e chi sa che male

E tutto si maschera del Papato e Quirinale.

Ahi! Cotanti duol vanno nell’oblio

Vigliacca e barbara tirannia!

Vai mio dolente addolorato Verso

in giro per questo universo.

E perché fango-vita sei così perversa?

E’ la coscienza dell’uom che è retrocessa!

Io martire e non riconosciuto

me ne infischio dei sapienti incretiniti

da me poco sono riconosciuti.

Il primo Maggio non è lungo ed il trono sarà atterrato:

Chi mi parla di realtà su questa vita?
Un imbecille o un  impazzito,

uguaglianza bella perché dormi?

Atterriamo questi nocivi vermi.

E io tra monti e valli, sfiderò la mia sorte

fra boschi  fitti inzinnanti pietre

sarà lì il regno della mia morte

con guardie gigantesche bestie nere.

(Quante cose avrei ancora da raccontare,

ma per spazio di misera carta non si può continuare….)

Toglie il fazzoletto rosso, mentre pronuncia l’ultima frase della poesia. Lentamente lo stringe nel pugno che fa quasi per alzare. Di colpo cambia energia. Come a riprendere quello che stava facendo nella scena precedente.

La luce di colpo cambia tornando all’atmosfera della palestra, fredda quasi al neon.

Per Agatino la prima occasione di realizzare il proprio sogno, si presenta ai campionati italiani dilettanti, che si svolgono in una tranquilla e prosperosa città di provincia del Nord (Parma),

nel marzo del mille-novecento-cinquantasei, che vince dopo duri e violenti combattimenti.

L’anno precedente tra l’entusiasmo del suo pubblico, nella sua città, dopo una sostenutissima offensiva, in possesso di maggiori mezzi fisici, egli metteva in difficoltà lo sfidante, ormai a corto di fiato e stanco, aggiudicandosi meritatamente la vittoria del primo titolo di campione italiano.

Ha buoni mezzi Agatino, ancora rudimentali, il giusto entusiasmo e davanti a se la strada

per ritornare ad essere un campione.

In questo marzo mille novecento cinquantasei, in quella tranquilla e prosperosa città di provincia del Nord, appare ovviamente come favorito, per la freddezza, la tecnica, e l’esperienza che lo caratterizzano.

Non vi è all’apparenza nessuno che può strappargli il titolo.

Titolo importante quest’anno.

Una volta calata la tela sugli incontri, si conosceranno i nomi dei combattenti

che rappresenteranno l’Italia alla XVI Olimpiade di Melbourne, Australia.

Una voce, simile a quella degli speakers della radio anni cinquanta, comincia a parlare e contemporaneamente su uno schermo

-situato sul fondo a modo di fondale- appare il logo della Rai Radiotelevisione Italiana, introducendo l’elemento video nello spettacolo.

“Il titolo di campione italiano dilettanti dei pesi piuma,

apre la strada alle selezioni per far parte della squadra

che rappresenterà l’Italia alla sedicesima edizione dei giochi olimpici,

che si terrà in Australia, Melbourne.

Dopo un mese circa di ritiro collegiale, in tre giorni di selezioni,

i migliori puri del pugilato nostrano, si contenderanno il viaggio oltreoceano,

inseguendo il sogno di una grande affermazione in campo internazionale.

Partono le immagini di repertorio RAI, relative a quel periodo, di un combattimento pugilistico in bianco e nero.

L’attore entra nella luce del video e recita, accompagnato fino alla fine dalle immagini:

Il primo incontro con un lombardo, termina con la vittoria di Agatino.

Vince largamente, dopo aver scosso con una serie di sventole, il coraggioso avversario.

Segue l’incontro con un piemontese. Agatino è costretto a battersi con molto impegno.

Alla fine coglie un franco successo. Trova sulla sua strada per il terzo incontro un marchigiano.

Agatino lo mette al tappeto, ma lo risparmia nella terza ripresa, lasciandogli terminare in piedi il match, meritandosi l’applauso lungo e sentito del pubblico, che apprezza il cavalleresco gesto.

Finalmente arriva l’incontro valido per la finale dei campionati italiani dilettanti.

Un emiliano combattivo e molto irruento è lo sfidante, ancora da sgrezzare.

Commetterà infatti molte scorrettezze, usando anche la testa,

spaccando così le sopracciglia ad Agatino.

Il pubblico è tutto dalla parte del proprio beniamino,  - trovandosi ovviamente in terra nordica -.

Parte velocissimo, cattivo l’emiliano, mette in difficoltà Agatino.

Si aggiudica la prima ripresa. Mette a segno colpi potenti e ben piazzati.

Agatino - il campione d’Italia uscente Agatino - nella seconda ripresa, “lavora” abilmente al corpo l’avversario.

Mette a segno una serie di “diretti” e di “ganci”. L’emiliano ringhiosamente risponde.

Terza ripresa.  Agatino porta i colpi più numerosi e precisi.

Si aggiudica l’incontro.  Verdetto fischiatissimo (a torto) dal pubblico, caos in sala,

il tumulto è altissimo, la premiazione viene soppressa.

Accorre la polizia, sul quadrato piove ogni sorta di oggetti:

arance, manciate di granoturco, giornali vecchi.

Agatino esce dalla sala tra i fischi, ma ha vinto giustamente.

Il lavoro al corpo compiuto costantemente, risulta meno appariscente,

ma viene tenuto nella giusta considerazione, da parte del collegio giudicante.

Fine dei campionati italiani dilettanti.

La fascia tricolore, va a cingere il torace di un atleta definito modesto e serio come pochi,

da tutti i giornali sportivi. Agatino, giovane proveniente da un paese del sud,

ventisei anni, cinquantasette chili per centosessantacinque centimetri,

è per il secondo anno consecutivo campione d’Italia dei pesi piuma.

Il filmato va al buio, cambio di luce.

I vincitori vengono convocati nella capitale,

devono effettuare la prima delle vaccinazioni prescritte per la trasferta Australiana.

I medici si compiacciono della perfetta forma in cui si trovano gli atleti convocati.

Partono per il ritiro di preparazione.

Arrivederci tra un mese per la seconda vaccinazione.

Dopodiché, la nazionale italiana volerà in Australia.

Partenza il 31 ottobre mille novecento cinquantasei, ore 02.50.

Arrivo il due novembre, mille novecento cinquantasei ore 12.25.

Agatino, generoso e ostinato ragazzo di campagna, sarà il primo pugile della storia

a rappresentare la sua regione alle Olimpiadi.

Cinquantasette chili per centosessantacinque centimetri. Peso piuma. Combattente indomabile.

Così i giornali lo definivano, già al momento del suo percorso dilettantistico.

Ventisei anni, cinquantasette chili per centosessantacinque centimetri, 

Agatino è il primo pugile della storia a rappresentare la sua regione alle Olimpiadi.

Un giovane nel pieno delle sue forze, delle sue aspirazioni, delle sue ambizioni,

alle prese con un sogno che diventa realtà.

La possibilità di ripagarsi di tutte le fatiche, di tutti i sacrifici,

di tutti gli sforzi compiuti per arrivare a quell’appuntamento.

Quello di Agatino, non fu l’unico scontro, seppur sportivo, di quell’anno.

Il mille-novecento-cinquantasei, fu ricco di avvenimenti.  Fu teatro di conflitti.

Fu periodo di grandi tensioni a livello mondiale.

Nel mille-novecento-cinquantasei, il ventuno di dicembre, Agatino compie ventisei anni.

Non era il solo nel mondo a coltivare un grande sogno nella propria vita.

Molti erano i sogni, profondamente diversi tra loro, che migliaia di uomini,

spesso contrastandosi duramente, tentarono di realizzare.

Mentre Agatino si preparava a salire sul ring di Melbourne, tanti altri match

ebbero luogo sul quadrato della società mondiale di quell’anno.

Lentamente parte una musica registrata: “Heartbreak – Hotel” di Elvis Presley.

Seguendo la musica, usando ironicamente anche il movimento del corpo, a contrasto durante tutto il testo a seguire:

A Gennaio, in America, compare sulla scena Elvis Presley,

con il suo primo disco Heartbreak Hotel.

I giovani trovarono subito quello che cercavano nella musica, in quel momento di reazione violenta, irrazionale, orientata contro la società occidentale ed il modo in cui quest’ultima si stava sviluppando, mentre la spensierata e consumistica opulenza raggiunge altissimi livelli.

In Africa la bandiera dell’indipendenza viene innalzata a forza, in quasi tutti gli stati coloniali.

In Cina i fermenti di un miliardo di persone premono

nella direzione della “Rivoluzione Culturale”.

Ad Est si vive male e ci si ribella.

La nazionale italiana volerà in Australia.

Partenza il 31 ottobre mille novecento cinquantasei, ore 0 2.50.

Arrivo il due novembre, mille novecento cinquantasei ore 12.25.

A febbraio un vero e proprio shook arriva dal XX congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica: Nikita Khruscev rivela i crimini di Stalin, abbatte senza pietà il culto della personalità

del grande dittatore.

A marzo in America vengono resi pubblici i rapporti di Kruscev, in Italia all’interno del P.C.I., nascono contrasti con il segretario Palmiro Togliatti, che temporeggia per prendere le distanze dall’operato di Stalin.

Vive un suo personale dramma, ha vissuto per anni in Russia, non poteva essere all’oscuro.

- Qualcosa se non tutto, per vie ufficiali o traverse doveva pur sapere -,

questa l’accusa interna al partito.

Enrico Mattei è il nuovo proprietario del Giorno, quotidiano che esce per la prima volta in edicola il ventuno aprile.

Il presidente dell’ente nazionale idrocarburi, riesce a calmierare i prezzi interni.

Interviene direttamente nella vita politica italiana condizionandola fortemente.

Usa i partiti -parole sue- :

” come taxi, ci salgo, mi faccio portare dove voglio, poi scendo e pago”.

Molti sono i nemici di potere che riesce a crearsi.

Qualche anno dopo, in una notte piovosa, mentre con il suo jet personale è in viaggio,

si schianta al suolo.

Le cause precise non sono ancora state accertate.

Resta, questo, uno dei tanti misteri del nostro paese.

La nazionale italiana volerà in Australia.

Partenza il 31 ottobre mille novecento cinquantasei, ore 02.50.

Arrivo il due novembre, mille novecento cinquantasei ore 12.25.

Misteriosa è rimasta la dinamica dell’incidente tra il transatlantico Andrea Doria e

la nave svedese Stockolm, che con la sua prua apre uno squarcio in quello che era definito

il gioiello della Marina Italiana.

Il 25 luglio mille novecento cinquanta sei, al largo dell’oceano atlantico a nord di New York,

quella che per la rinascita del paese era considerata :

“più di una nave, uno stile di vita, un’esperienza unica indimenticabile”,

“il simbolo del sogno di ripresa e di riscatto di un intero paese”,

finisce a picco con a bordo mille- cento- trenta- quattro passeggeri.

Quarantasei persone muoiono. Altri cinque morti sono parte dell’equipaggio svedese.

Il tempo passa ma Il mito resta immutato. Non fu una nave che affondava.

Fu: “La fine di un’epoca, di un rapporto paritario dell’uomo con il tempo e lo spazio, la fine del concetto di viaggio”.

Non c’è tempo di riprendersi da questa tragedia.

Agosto mille-novecento-cinquantasei.

Marcinelle - Belgio, in una miniera di carbone crolla una galleria.

Duecento trentasette minatori rimangono intrappolati, cento trentanove sono italiani….

Anche Angelo in quel periodo sognava, proprio come Agatino,

per questo era partito per il Belgio.

Scambiato dal governo italiano, a sua insaputa, insieme a tanti altri,

per due quintali di carbone al mese, per ogni uomo ingaggiato.

Quella mattina dell’otto agosto mille novecento cinquantasei,

aveva appena finito il turno di notte,

stava mangiando qualcosa, quando scoppiò l’incendio nella miniera.

Nonostante la grave situazione che gli si parò dinanzi, una volta giunto al pozzo,

decise di scendere lo stesso in fondo a quel cunicolo buio e maledetto.

Riuscirà a portare fuori solo sei compagni, prima che quell’inferno di fuoco e di gas,

non lasci più vivo nessuno di quei centotrentanove sognatori venuti dal sud.

Angelo non è mai più tornato al suo paese, partito giovane per inseguire un sogno lontano,

muore a sessantasette anni, per silicosi.

Viene sepolto in un cimitero poco lontano dalle bocche di quegli stessi pozzi

che, trenta anni prima avevano ingoiato i suoi compagni.

“Minatore è stato mestiere di infilati vivi nella fossa comune al pensiero di uscirne a fine orario.

Prima di cederla alla stufa trattieni nella mano la pietra del carbone l’opera degli anneriti, illuminati dall’acetilene sotto i vicoli ciechi della terra. Alla domenica erano i più aperti, i loro occhi, e le camicie in piazza le più bianche….

La nazionale italiana volerà in Australia.

Partenza il 31 ottobre mille novecento cinquantasei, ore 02.50.

Arrivo il due novembre, mille novecento cinquantasei ore 12.25.

L’autunno non fa in tempo ad inoltrarsi in questo mille novecento cinquantasei.

Il tre di ottobre il mondo corre un rischio grandissimo. Si sfiora la guerra atomica!

Il presidente Nasser nazionalizza il canale di Suez.

Francia e Inghilterra, ne chiedono invece l’internazionalizzazione, coalizzandosi in blocco.

Insieme ad Israele che con le sue truppe occupa la striscia di Gaza.

Intervengono le Nazioni Unite, che ordinano il cessate il fuoco.

Nel frattempo, l’Unione Sovietica lancia un ultimatum, minacciando il ricorso alle armi atomiche.

Gli Stati Uniti, riescono a convincere le due potenze occidentali, a rinunciare all’”avventurosa iniziativa”, foriera di una guerra apocalittica.

Le truppe si ritirano, solo gli Israeliani restano ad occupare il territorio.

Questa è una storia che non è ancora finita.

Il mille novecento cinquantasei continua il suo corso,

sembra non finire mai la sequenza di eventi drammatici.

Ad ottobre in Ungheria scoppiano manifestazioni di protesta.

Si ribellano operai e studenti contro l’Unione Sovietica. Contro l’atteggiamento di invasione ed ingerenza nei confronti della Polonia, ma anche verso tutti gli stati cuscinetto.

Anche qui decine, centinaia di migliaia di donne, uomini, vecchi e bambini, ingaggiano un  “corpo a corpo”  con la polizia segreta prima e con i carri armati sovietici poi,

per ottenere maggiori libertà politiche e migliori condizioni di vita.

Il venticinque di ottobre, civili disarmati vengono massacrati davanti al parlamento, dalle mitragliatrici della polizia segreta, passando da uno stato di gioia ed euforia, alla morte. Alla fine di numerosi giorni di scontri e combattimenti, il governo fa fucilare almeno diecimila persone. Altre stime dicono che i morti furono cinquantamila. Tutti i burocrati del partito, dalla Jugoslavia, alla Cina, fino all’Europa ed in Italia, anche se in momentanea divergenza con il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, tuttifurono solidali con la linea del Cremlino. Trecentomila militanti nel nostro paese quell’anno lasciarono il partito.

La nazionale italiana volerà in Australia.

Partenza il 31 ottobre mille novecento cinquantasei, ore 02.50.

Arrivo il due novembre, mille novecento cinquantasei ore 12.25.

Un cambio di luce e di posizione fa in modo che la situazione cambi.

Il racconto procede in prima persona, è Agatino a parlare:

Sto benone! Mi dicono che i russi, i polacchi e gli americani, sono più forti.

Bene. Chi avrà più resistenza ai colpi vincerà.

Sono contento di essere stato prescelto per la grande manifestazione olimpica.

Mi auguro di avere fortuna. La fortuna può essere determinante sul risultato.

Abbiamo lavorato sodo nei giorni scorsi.

Abbiamo perfezionato la tecnica, abbiamo corretto i difetti.

Facevo a gara con i miei compagni per alzarci prima della sveglia, all’alba.

L’inizio degli allenamenti era sempre un momento di grande carica tra noi.

Per un momento ho avuto paura che mi scartassero.

Volevano mandare un altro al mio posto.

Il fatto è che nell’ultimo incontro ho vinto ai punti, evitando di mandare al tappeto il mio avversario.

Adesso sono qua però. Provo molta gioia, sono emozionato.

Quanta gente che c’è in quest’albergo. Una bolgia, quanti fotografi, quanti giornalisti,

ci sono anche tanti miei tifosi. Una stretta di mano, una foto, un sorriso.

Grazie, grazie, veramente.

Voglio sinceramente ringraziare e salutare, tutti gli appassionati tifosi che

mi hanno seguito e che mi seguono con tanta affettuosità.

Cercherò di non deludere tutti coloro che sperano in una mia affermazione.

Vincere o perdere mi importa relativamente.

E’ inutile dire che impiegherò tutte le mie forze, la mia volontà, per ottenere un gran risultato.

Quello che più di ogni altra cosa mi interessa, è di tenere in ogni caso la fronte alta.

Io sono di Napoli. Mi spezzo, ma non mi piego. Non so se ce la farò a vincere, ma chi mi batterà dovrà faticare molto, questo è certo. E’ una promessa.

Cambio luce e posizione, torna il racconto in terza persona.

Melbourne Australia -1956- XVI Olimpiade.

L’evento per motivi climatici non può essere celebrato nel tradizionale periodo estivo, che ha sempre caratterizzato questa importante manifestazione. Il periodo scelto per la disputa di tutte le altre gare è dal ventidue novembre all’otto dicembre. L'Ungheria per protesta contro l’invasione dei carri armati sovietici, sembra intenzionata a rinunciare all'Olimpiade, poi vi prende parte con una ridotta rappresentativa e ciononostante conquisterà 26 medaglie. L’Ungheria sfila durante la cerimonia di apertura dei giochi accolta da un lunghissimo applauso. L’Unione Sovietica viene accolta dal silenzio totale e surreale di tutto lo stadio Cricket Ground.

Centotremila gli spettatori stimati, settantadue nazioni partecipanti.

Tremila trecento quarantadue atleti in totale, duemila novecento cinquantotto uomini, trecento ottanta quattro donne, venti sport, cento cinquantuno competizioni. Le due Germanie sono in campo sotto la stessa bandiera. Mancano l’Olanda, la Spagna e la Svizzera, che boicottano i Giochi in segno di protesta per l’invasione sovietica.

Qualche giorno per smaltire le fatiche del viaggio.

Gli allenamenti riprendono intensi sul ring.

Vengono annunciati gli esiti dei sorteggi per gli incontri.

Al primo turno, Agatino incontrerà il temutissimo russo Safronov.

Agatino il caposquadra per disciplina.

Ragazzo schietto, generoso, pronto al sacrificio per un compagno, per un amico.

Amato da tutta la sua squadra per queste doti. Agatino ragazzo di campagna, che faceva il muratore nella sua città. Il primo pugile a rappresentare la sua regione alle Olimpiadi.

Agatino quell’anno, il ventuno di dicembre mille novecento cinquantasei, compie ventisei anni.

Agatino si batterà con il favorito della sua categoria, al primo turno degli incontri.

Il roccioso, irsuto, rude, il russo Safronov, è lo sfidante agli ottavi di finale.

Al suono del primo gong, le gambe di Agatino tremano per l’emozione.

Ma è subito pronto. Picchia come un dannato il russo.

Non solo picchia forte, ha anche una buona scuola, il russo.

Agatino tiene duramente. Nella prima ripresa, due destri, forti, di rimessa centrano Agatino.

Il round termina in difficoltà. Seconda ripresa.

Agatino, rinfrancato risponde per le rime agli attacchi,

lo eguaglia in velocità ed efficacia. Agatino dà fondo a tutte le sue energie.

Nella terza ripresa, sfrutta tutte le risorse a disposizione.

Riesce a controllare gli attacchi di Safronov.

Gli dà filo da torcere. Cerca di coglierlo di sorpresa.

Ribatte tutti i colpi, lo attacca, si difende, suona il gong.

Fine dell’incontro.

Il russo Safronov  “win no easily on strong italian Agatino”

Agatino perde ai punti, con scarto minimo.

Safronov, il russo Safonov, vola verso la medaglia d’oro.

Vince per knoch out tutti gli incontri successivi.

Dopo la trionfale vittoria, Safronov affermò che un solo incontro lo aveva infastidito, preoccupato. Un solo sfidante non finì al tappeto.

Un solo, ostinato, generoso combattente terminò l’incontro non cadendo.

Uno solo quando suonò l’ultima e definitiva campana,

aveva la fronte alta nei confronti del vincitore.

Uno solo era pronto a combattere ancora. Ventisei anni, cinquantasette chili di peso.

Peso piuma, combattente indomabile, faceva il muratore nella sua città,

Il primo pugile a rappresentare la sua regione alle olimpiadi. Agatino non deluse.

Agatino, mio padre, aveva mantenuto la promessa.

Un momento di sospensione,  riprende la stessa azione iniziale dal pulpito, recita parti del discorso del Presidente Gronchi,

trasmesso il trentuno dicembre mille novecento cinquantasei:

Italiani, l’anno che sta per chiudersi e che parve al suo inizio segnare un confortante miglioramento nella situazione internazionale, ha avuto, a metà del suo corso, una svolta che si è poi palesata densa di incognite e pericoli. La nostra situazione interna offre fondati motivi ad un ragionevole ottimismo.

Se si deve riconoscere che è tuttora ingente la mole dei problemi che attendono soluzione, non vi è dubbio che l’importanza e le dimensioni delle opere compiute siano tali da renderci paghi del cammino percorso e da giustificare la fiducia nell’avvenire. 

Parte una canzone registrata ad un volume molto basso in sottofondo, “ Somebody up there likes me” di Sammy Chain e Bronislau Kaper cantata da Perry Como.

Approderemo a risultati sempre più confortanti se ci soccorreranno lo stesso spirito di iniziativa, la medesima volontà di lavoro e di collaborazione che ci hanno sorretto finora, ciascuno per la propria parte, darà il più volenteroso concorso all’opera di elevazione morale, sociale ed economica della nostra Nazione.

Auguro a tutti un buon Natale ed un Felice anno nuovo.

Iddio illumini ed aiuti la nostra fatica. Viva la repubblica! Viva  l’Italia!

Lentamente la luce si abbassa, il volume della musica sale al massimo fino al buio.

                                          

                                                                                                                                                     Fine

P.S. : Il testo si avvale di un supporto video che riguarda alcune riprese rai in tele cinema b/n,

relative ad un incontro di pugilato degli anni cinquanta sostenuto da

Agostino Cossia.

Bibliografia

Adriano Cisternino           - Le stelle del ring in Campania -    Edizioni Video free International

Mario Sanvito                  - Pugilato -                                      EdizioniSperlig & Kupfer Milano

Franco Volonterio                  - Il direttore sportivo -                      Edizione fuori commercio F.P.I

Steve Klaus                    - BOXE colpi combinati -                 Edizioni Sperling & Kupfer Milano

Steve Klaus                    - PUGILATO la tecnica -                 Edizioni Speriling & KupferMilano                                                                 

Pier Paolo Pasolini         - Le ceneri di Gramsci -                              Edizioni Einaudi

Rocco Scotellaro            - L’uva puttanella. Contadini del sud -        Editori Laterza

Erri De Luca                   - Solo andata -                                            Edizioni Feltrinelli

Paul Ginsborg                - Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi -     Edizioni Einaudi

Guido Crainz                  - Storia del miracolo Italiano -                     Edizioni Donzelli

I discorsi del Presidente Gronchi sono estratti dal sito web della presidenza della Repubblica.

Le date, gli accadimenti e gli ulteriori riferimenti storici sono frutto di ricerche compiute anche in rete, in particolare il sito consultato è: www.cronologia.it

Agatino è il nome frutto di un errore di stampa in un articolo comparso su un giornale australiano durante lo svolgimento dei giochi olimpici a Melbourne nel 1956.

Il pugile a cui fa riferimento l’articolo è Agostino Cossia classe 1931, peso piuma, atleta della nazionale italiana e due volte campione d’Italia della sua categoria per gli anni 1955/56.