‘A manella ‘e Concettina

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" 'A manella 'e Concettina"

" 'A manella 'e Concettina"

Commedia in due atti e tre quadri di                                       Maurizio Navarra

PERSONAGGI

Concettina Mastrone - Angelo                           

Antonio Mastrone                                                

Diavolo - Oreste l'idraulico - Giornalista            

Maria Mastrone

Luigia Adornati                      

Lucia Mastrone                                                    

Marinella 'a povera guagliona                             

Agnesina Diotallevi                                             

Marcello 'o pezzente                                             

Primo Tempo

Fondale neutro, interno giorno, due quinte di ingresso. Una sedia colorata sulla quale siede un uomo completamente vestito di bianco. Testa reclinata all’indietro. Dorme. Porta, come un collare, il sedile di un water.

Entra una donna, anche lei vestita completamente di bianco. Va accanto all’uomo e lo sveglia agitandogli prima piano, con dolcezza, e poi sempre più forte la spalla.

Angelo: (prima sussurrando poi a voce sempre più alta) Antonio….Antonio!…..Antonio!!….Antonio!!!!

Antonio: (si sveglia di soprassalto, farfuglia) Vabbè, vabbè mò vengo! E che cosa mò! Non si può neppure fa’ ‘no filino ‘e pennica in pace. (si alza e si stira, si rivolge ad Angelo) E che manera poi ‘e scetà la ggente! Zibù, zibà su ‘a spalla. Me st’ha vatte manco fosse ‘nu tammuriello!

Angelo: (ha cercato più volte di interromperlo. Approfitta del fatto che Antonio riprende fiato) Signor Antonio, abbiate pazienza, quello non era un filino di pennichella, piuttosto era un bel cordone di sonno! E poi…

Antonio: (interrompe) Ma chi sì tu? Me vulesse venne ‘nu gelato? Ja, mo che ti vedo m’è venuta voglia. Portame ‘nu bello spumone. No, meglio ancora, portame ‘na cassata ja.

Angelo: (con pazienza) Signor Antonio, c’è un equivoco. Io non vendo nulla, tanto meno gelati.

Antonio: Ma, si nun venne gelati, perché te sì vestita ‘a gelataro?

Angelo: Ma quale gelataio! Ripeto che qui c’è un equivoco.

Antonio: Ja, coso! Aridalle co’ ‘st’equivoco! Fusse che mò mi vuoi dire che io sono equivoco?!

Angelo: (divertito) Signor Antonio, ma che dite…non mi permetterei mai…e poi se voi foste veramente equivoco…Semplicemente non sareste qui! Credetemi.

Antonio: Senti cosa, vabbè, ja. Ti credo. Ma… si nun tiene gelate, o si tu nun mo vuò dà è uguale, pecchè me sì scetato? Vattinne va, e lasseme riposà in pace!| (si risiede)

Angelo: Ecco Antonio. Vedo che cominciate a capire. Qui dove siete proprio avrete tutto il tempo per riposare in pace, o meglio, in santa pace!

Antonio: (perplesso) Tutt’o tempo, tutt’a pace…Ma santa pace, cosa, dimmi un poco…

Angelo: Signor Antonio, ma insomma! Volete smetterla di chiamarmi cosa?

Antonio: (si alza di scatto e si avvicina ad Angelo) Signora cosa, io me ne stavo a durmì, tu zibù, zibà, sì alluccato “Antonio, Antonio” e me sì scetato; me vulive venne ‘o gelato e po’ nun m’hai voluto cchiù dà; e poi sì escito il fatto dell’equivoco… e qui siamo io e tu e dici che non ho capito. Insomma Signora cosa gelataia, per essere strana sei strana…ma tu, chi sì?

Angelo: Signor Antonio, mi rendete la cosa difficile. Possibile che non abbiate ancora compreso la situazione?

Antonio: Quale sarebbe ‘sta situazione?

Angelo: Oh insomma! Potete chiamarmi Angelo. Capito?

Antonio: Ecco, mò ho capito o’ fatto dell’equivoco! Scusato! Tu te chiamme Angelo e sì dall’atra parte d’o fosso. (a parte) Proprio sembra ‘na femmena! Non ci si può proprio più fidare.

Angelo: (sbottando) Antò, ma proprio non cambi mai! Capatosta prima e capatosta mo’. Io non mi chiamo Angelo. Io…sono un Angelo e, come tale, non sono né maschio né femmina! Sono soltanto un Angelo. Ora prova a riflettere: sono un Angelo, tu mi stai vedendo e puoi parlare con me. Hai capito la situazione?

Antonio: Scusato di nuovo, ma è la prima volta che sento che chi ha certe tendenze si può anche chiamare Angelo. Io, parlando con rispetto, aggi’a sempre inteso dì femminiello o, pe’ dilla comme i cafune, ricchione!…

Angelo: (perde la pazienza, alza gli occhi al cielo) Perdonami! (prende Antonio e lo scuote forte, quasi gli strilla) Antò, lasciamo stare il fatto dell’equivoco o non rispondo più di me stesso. Antò, io sono vestito di bianco, tu sei vestito di bianco, renditi conto Antò. Tu sei arrivato nell’aldilà.

Antonio: (quasi balbetta) Signor Angelo non è come dite voi. Si, io sono vestito di bianco e non so chi mi ha vestito così. E’ chiaro che io non ho nulla contro quelli come te ma… io al di là del fosso non ci sto e non ci voglio stare.

Angelo: (sbuffa) Antò, Antonio tu non sei diventato femmeniello! (alterato) Antò tu sei qui, qui nell’aldilà, perché sei morto Antò! (rivolti gli occhi al cielo) E quando ci vuole ci vuole!

Antonio: Me vulisse fa’ murì ‘e subbito?! Tiè! (fa le corna) Io morto! Non mi sono mai sentito meglio di così!

Angelo: Non fare quei gesti perché… rischi di chiamare la concorrenza. Vedi Antonio, io per la precisione sono il tuo angelo custode e, per dirtela con franchezza, tu sei morto proprio di colpo.

Antonio: Condoglianze! E come sarebbe successa questa cosa?

Angelo: Vedi, è stata una cosa improvvisa. Ti aiuto a ricordare. Che cosa hai in collo?

Antonio: (finalmente percepisce l’oggetto e se lo sfila rapidamente) Mi sembra ‘nu sedile ‘e cesso, parlando con decenza!

Angelo: Ecco, appunto. Anna, tua nipote, ha fatto intoppare il water e tu, invece di chiamare Oreste, l’idraulico, ti sei ostinato a voler fare tutto da te. Non sei riuscito a sturare, a proposito Annuccia aveva gettato nel water le scarpine nuove che le aveva comperato la zia Cesira, ti sei arrabbiato, hai cominciato ad urlare e….(fa un gesto eloquente)

Antonio: Insomma io sarei morto c’a capa int’o cesso! (Angelo annuisce, Antonio mette il coperchio del water sulla sedia e fa come per mimare il suo trapasso. Si risolleva di scatto ed esclama) Ih che cess’e morte!

Angelo: Non prenderla così, non ha importanza! Ci sono altre cose…in sospeso.

Antonio: Scusato Angelo, comme non ha importanza! Per essere un Angelo capisci poco e niente! Così domani sul Mattino di Napoli esce il necrologio “Co’ la capa nel cesso si è spento oggi Antonio Mastrone”. Sotto si dovrà scrivere: “Non fiori ma tanta carta iggienica!”. Che figura ci faccio con la gente?

Angelo: Oramai….

Antonio: Bell’Angelo custode che sei! M’hai fatto murì proprio bene! Mi hai miracolosamente salvato dal terremoto, mi hai fatto uscire illeso da chillu sfaccimme ‘e incidente sull’autostrada Napoli Salerno che per tirarmi fuori dalla 500 hanno dovuto lavurà i pumpiere pe’ tre ore sane, m’hai tirato fuori dal mare forza sei con quella criatura che ho “eroicamente tratto in salvo” come diceva ‘o giurnale, m’hai fatto sopravvivere alla gioia dello scudetto del Napoli…Tutto chesso pe’ famme murì in d’o ciesso. No, questa non te la perdono, scusa.

Angelo: Mi dispiace. Io non posso disporre…E poi non voglio meriti non miei. Solo una volta sono intervenuto per te.

Antonio: E quando è stato?

Angelo: Quando qualcuno ti ha spinto in mare proprio per darti una morte “eroica”, come se ti fossi tuffato volontariamente per salvare il bambino. Lo so io chi ci aveva messo le zampacce…

Diavolo: (entra in scena tutto vestito di nero) Questo è un colpo basso e da te non me lo aspettavo! E poi. Sai bene che le cose non sono andate così.

Antonio: (preoccupato) Ma tu chi sì? Sei…

Diavolo: Si Antò, sono il Diavolo.

Antonio: (avvicinandosi ad Angelo) Uh che impressione. Ma a te chi t’ha chiamato? Ma poi, è proprio ‘o vero che sei un diavolo in persona o sei un altro equivoco? A me non sembra…

Diavolo: Vedi? Anche tu sei vittima della propaganda. Noi diavoli non siamo assolutamente come ci descrive la concorrenza. Non puzziamo di zolfo, ci mancherebbe con tutto quello che spendo in deodoranti, non abbiamo corna e zoccoli di caprone…Insomma, siamo buoni diavoli come si dice anche da voi.

Antonio: E la spinta? Come la metti che mi volevi affogare?

Diavolo: Andiamoci piano. Senti prima la mia versione dei fatti. Non sono stato io a spingere…Ricorda bene. Tu non eri solo sugli scogli. Qualcuno ha gridato “Una persona a mare! Poverino, è nu guaglione!” e mentre tu ti sporgevi per guardare bene…zac!...ha spinto. Antò la mano non era mia anche perchè, per contratto, non lo posso fare!

Angelo: La mano non era la tua, ma l’ispirazione si!

Diavolo: Ispirazione…Antonio aveva fatto una mal’azione. Quella, Concetta aveva detto di aspettare una creatura e Antonio aveva messo in dubbio che il figlio era suo..

Angelo: (continuando) Perché stava dando ascolto a te!

Diavolo: (seccato) Mi ero limitato ad un consiglio legale, in auge fino dal tempo dei romani “la madre è sempre certa, il padre mai!”. Non c’era mica la prova del DNA allora!

Angelo: Ma Antonio lo sapeva bene che Concetta, quando si era data a lui – sempre il tuo zampino c’è stato di mezzo – era come l’aveva fatta mamma. Poverina.

Antonio: (ha seguito la discussione con interesse) Allora la manella che mi ha aiutato a tuffarmi era chella ‘e Concetta! Eravamo in otto su quello scoglio a vedere la scena. E io mi sono sempre chiesto chi poteva essere quel grande pezzo di fetente che mi aveva fatto lo scherzo. Per anni ho cercato o’ padrone d’a manella soltanto pe’ potello struppià ‘e mazzate e l’ho avuto per trent’anni vicino a me, nella mia casa, nel mio letto.

Diavolo: (insinuante) Dopo quel tuo dubbio, Concettina ti ha sempre odiato. Al punto di diventare tua moglie. Non per amore, ma per renderti la vita impossibile!

Angelo: (polemico) Ti si riconosce sempre per la tua linguaccia, non c’è che dire. Sapessi, povera Concetta, quanto si è pentita di quel fatto. Pentita al punto di sopportarti e di regalarti tre bei figlioli.

Diavolo: (rivolto ad Angelo) Antonio è chiaramente mio. Nel suo cuore c’è odio e risentimento. Ti devi arrendere.

Angelo: Si fa presto a dire odio! Un uomo ha sempre un rapporto conflittuale con la moglie. Lo dice il proverbio! Tra moglie e marito…

Diavolo: Da quando in Paradiso vi siete buttati in pubblicità non si può più parlare con voi! Ci manca solo che ora ti metti ad offrire il caffè.

Angelo: Anche all’inferno non state combinati diversamente, anche se, naturalmente, cambia marca di caffè…

Antonio: Allora era vera la televisione! Anche qui nell’aldilà si prende il caffè. Se ne può avere una tazza? Ja Angelo ‘o gelato no ma ‘nu bello cafè…

Angelo: E perché no? (Rivolto verso le quinte, a voce alta) Si possono avere tre espressi? (immediatamente entra una donna in jeans e maglietta colorata che porta un vassoio con tre tazzine fumanti. Grida rivolta verso la quinta di ingresso).

Marinella: (Entra in scena parlando verso le quinte) Questo servizio tocca a me e a nessun’altro. (rivolta ai tre) Ecco servito il caffè (serve le tazzine e va a piantarsi davanti Antonio).Signor Antonio riverisco!

Antonio: Ma…Io a te ti conosco.

Marinella: Antò, non mi hai dimenticato ed io non ho mai dimenticato te. Eri l’unico bambino del vicinato che si degnava di giocare con me. (tira fuori da una tasca un’automobilina) Ecco, questa me l’hai regalata proprio tu. Da allora io l’ho sempre portata con me.

Antonio: Marinella! Anche tu sei qui. Non lo sapevo proprio ma…quando è stato?

Marinella: Non lo so. Qui, nell’aldilà, si perde la concezione del tempo perché,semplicemente, il tempo non c’è. Anche i ricordi a volte sono confusi. Solo un ricordo rimane vivo: quello legato al momento…del trapasso. Per esempio io non so quando è stato ma so bene come. A me mi ha portato via il terremoto, una cosa straziante. Ho fatto un figurone però! Ne ha parlato tutta la stampa sai? Titoloni! “Gara contro il tempo dei soccorritori… Una povera ragazza lotta con la morte…”. I soccorritori hanno perso la gara e…eccomi qui. E per te come è stato?

Antonio: Comm’è stato per me? Niente. (imbarazzato) Una cosa insignificante. Parliamo d’altro.

Marinella: No Antò. Qui tutti parlano solo del trapasso perché spesso, come ti ho detto, solo di quello ci si ricorda. Pensa. Tra tutti noi ci conosciamo non per nome ma per come siamo trapassati. Non ci crederai ma si formano nuove famiglie: come Incidente Automobilistico - sempre più numerosa -, Caduta da cavallo - una famiglia molto snob-, Bombardamento - una famiglia di forti tradizioni militari - , Trapasso Sereno - una delle famiglie più numerose -. Io, per esempio, sono conosciuta come “Marinella Terremoto, di Napoli”. Una famiglia antica assai la mia. E tu?

Antonio: Marinè, lasciamo stare…

Marinella: E dai, Mi metti in curiosità, non fare il prezioso, su.

Antonio: (esasperato) O Marinè sempre la stessa sei. Quando ti metti una cosa in testa…

Marinella: Racconta Antò, su

Antonio: (sbotta) Ho avuto un cesso di morte Marinè, ecco.

Marinella: Parli così perché sei appena arrivato. Tutti, all’inizio, diciamo così. Poi ci accoglie la nuova famiglia e…Dimmi come è stato.

Antonio: Marinè, Marinella. Ostinata e…capatosta. Aggi’avuto nu cesso ‘e morte Marinè. Nel senso letterale.

Marinella: (consolatoria) Sei morto mentre…(mima...la classica posizione di seduta)

Antonio: (rivolto ad Angelo e Diavolo) In che situazione mi avete ficcato! Devo scendere in particolari?

Angelo e Diavolo: si limitano a fare le spallucce. Fanno i finti indifferenti.

Antonio: Marinè (tragico) sono trapassato ‘e subbito co’ ‘a capa int’o cesso. Oh! Ora stai contenta?

Marinella: Allora sei tu quello della testa nel water! Qui nell’aldilà non si parla d’altro. Sei famoso Antò. Sul Mattino di Napoli la notizia era in prima pagina anche perché hai fatto fare terno secco: Morto 50, Capa 34, Cesso 18. Anche tua moglie Concettina li ha giocati ed ha vinto!

Antonio: Questo mi dovrebbe far sentire consolato? Una vita, tutta una vita a correre appresso al terno e, una volta morto, fanno un terno su te e hann’a facc’e cuorno ‘e vince. Hai capito a Concettina! Mo’ che tene a manella libbera fa pure il terno! Quanto ha giocato si sa?

Angelo: Una diecimila lire. Terno secco sulla ruota di Napoli.

Antonio: O anema! (ispirato) Una bella somma di vincita, capace di dare una spinta da metterti a posto per la vita… (cambia tono) Sempre ‘a stessa manella che mi ha spinto ancora una volta!

Diavolo: Un altro punto per me! Ha ancora avidità!

Angelo: Ma fammi il piacere. Poverino! Anche un terno passivo gli doveva capitare!

Marinella: Certamente devi sentirti consolato! Anche perché sei il primo a trapassare in questo modo e hai fondato una famiglia. Ora, per tutto il popolo dell’aldilà, sei Antonio “Capa in d’o cesso”, di Napoli.

Antonio: Quale onore! Figurat’o stemma ‘e famiglia. Ci metto su ‘nu cantaro, ‘na tavol’e ciesso o tutto l’insieme completo di sciacquone?

Angelo: Antò, stattene buono. Lo vedi lo zampino della concorrenza? (indica il diavolo) Hai pensato un momento che se tu sei in queste condizioni anche io divento Angelo custode…del cesso?

Diavolo: Proprio non ci siamo! E’ ora di finirla con questa tiritera che dietro tutto quello che va male ci sono io! Se Antonio avesse chiamato l’idraulico…

Angelo: Quella ostinazione è tutto merito tuo davvero. Non puoi negare che l’arrabbiatura di Antonio parte da te. Che cosa ha detto Antonio prima del colpo fatale? “E che demonio è caduto in questo cesso? S’è intoppato così bene che non va nè su né giù”. Mentre era riuscito ad afferrare una delle scarpine con il ferro, me lo ricordo benissimo, ha detto “E che demonio aggi’acchiappato che non vo’ venì?” Qualcuno (indica il Diavolo) avevaintraversato la scarpina e…è partito il colpo.

Diavolo: E no! Io in qualità di diavolo ho una reputazione! Ho una carriera impeccabile io! Ho provocato guerre, eruzioni vulcaniche mai viste, terremoti, carestie, liti familiari con ammazzamenti finali. Non ho né il tempo né la voglia di andare a ficcarmi in un cesso a reggere scarpine! E che schifo poi! Non spargiamo in giro calunnie o per avere la promozione a Diavolo di seconda classe devo provocare un altro diluvio universale!

Luigia: (entra, rimane quasi ancorata alla quinta da un volante che stringe in mano. Si intravede che il volante è tenuto anche da un’altra mano) Non provate neppure a fermarmi! Devo controllare, lo sapete bene! Agnesina, Agnesina, non fare la timida. Vieni a vedere anche tu. Sai bene che dobbiamo stare insieme! (entra anche Agnesina, attaccata al volante, quasi trascinata da Luigia).

Angelo: Un poco di calma. Qui non si grida.

Agnesina: Signor Angelo, scusate ma da quando siamo qui siamo come appiccicate coll’attàk e questa continua a trascinarmi a vedere ogni nuovo arrivo!

Luigia: Gnesì stai buona lo sai che lo devo fare!

Diavolo: Fare cosa, signora? Lei sta interrompendo…

Luigia: Io interrompo e tu rompi. Così vestito da schiattamuorte credi di far impressione a me? Ma chi diavolo ti credi di essere?

Diavolo: Ma insomma! Un po’ di rispetto! (si sente il rumore di un tuono) Non chi diavolo; io sono il diavolo. In persona.

Luigia: Ma famm’o piacere! Chissà che mi credevo. Qui, al piano di sopra, dove siamo adesso conti poco e, soprattutto, non fai più impressione. Tse! Pur o’ trucco d’o tuono!

Agnesina: Uh! Me tremma o pizzo d’a cammisa! Tse, tse e tse. Tri vote tse.

Angelo: (rivolto al diavolo) Dovresti averlo capito che il “lei non sa chi sono io” non funziona. Questi poi non sono più mortali, sono già anime e non si impressionano tanto facilmente.

Diavolo: (rivolto all’Angelo) Esigo delle scuse. Qui non si rispettano le procedure, ci sono intromissioni. Reclamo. (professorale, con aria seccata) Ecco io reclamo perché ho il sospetto che qualcuno voglia ingarbugliare le acque e privarmi di un cliente.

Angelo: Nessun imbroglio. Qui non siamo a casa tua. Se hai pazienza, vedrai che la situazione è sotto controllo. Luigia, e Agnesina, volete spiegare perché siete qui?

Luigia: E’ tutto per il nostro trapasso.

Agnesina: (rivolta a Luigia) La colpa è tua perché, lo devi riconoscere, avevi messo poca benzina.

Luigia: E dalle! Te l’ho ripetuto un miliardo di volte. Ho potuto mettere soltanto seimila lire di benzina perché non ne tenevo di più.

Agnesina: Appunto, traversare Napoli ed arrivare a Battipaglia con soltanto seimila lire di benzina: una pazzia!

Luigia: Non è una pazzia. Lo avevo fatto altre volte. Non potevo mai prevedere di trovare dentro Napoli quello stramaledetto ingorgo a croce uncinata che ci ha costretto a camminare a singhiozzo, per tre ore sane!

Agnesina: (guardando il diavolo) Chissà chi ci avrà messo le corna!

Diavolo: E volevo vedere che non si dava la colpa a me!

Luigia: E poi la mia macchina non era mica una Ferrari! Una cinquecento blu; un gioiello che non aveva manco una storzellatura, che so’ un graffio. Nulla. Fino al momento…

Agnesina: Fino al momento che abbiamo finito la benzina, appena dopo Salerno e ci siamo fermate per fortuna, abbiamo fatto in tempo a dire, in un tratto con la corsia di emergenza.

Luigia: Abbiamo pure messo il triangolo alla distanza regolare di cinquanta metri…

Agnesina: Abbiamo detto: “Rimaniamo in macchina così stiamo più sicure perché due ragazze sole sulla strada possono far venire pensieri cattivi….

Luigia: Mi stavo aggiustando di rossetto, non per vanità ma per non fare malefigura con un eventuale soccorritore, metto a posto lo specchietto solo per fare in tempo a vedere un lampo bianco, una faccia assonnata e BUM!

Agnesina: Io sono trapassata subito, sul colpo.

Luigia: Io, invece, ho fatto a tempo a dire: “Brutto fetente. Ti deve prendere un colpo ‘n copp’a ‘o ciesso”. E sono trapassata.

Angelo: (rivolto al Diavolo) Vedi? Nessun inganno, nessun imbroglio. Siamo in tema.

Antonio: Gesù!

Angelo: Un poco tardi per raccomandarti…Non so come si mette la situazione per te, ora.

Antonio: Luigia Adornati e Agnesina Diotallevi. Ho sempre pensato che, una volta passato di là, ossia di qua, vi avrei potute incontrare.

Luigia: Tu saresti…

Agnesina: Quel brutto fetente…

Antonio: Che è morto di colpo ‘n copp’a ‘o cesso!

Luigia: Tu… Veramente tu…(mima il tamponamento, quindi mima quello che è successo ad Antonio concludendo il mimato con un agitare di alucce dietro la schiena).

Agnesina: Luigia mia, complimenti che mira! E io sono stata amica per una vita di una potenza così e non l’ho saputa utilizzare?

Luigia: (imbarazzata) Non potevo sapere…Scusate

Antonio: Signorina mia, non vi dovete scusare perché mi avete tirato un colpo. Ci stava bene perché la responsabilità dell’incidente è tutta mia. Ma…come vi è venuto in mente proprio ‘n copp’o cesso, ja?

Diavolo: Però il colpo sparato è arrivato a segno. E con che precisione! Complimenti. Cara signorina, quando vorrete lavorare per me, un posto per voi lo avrò sempre.

Antonio: La prima cosa che ho fatto, dopo che i pompieri mi hanno tirato fuori, tre ore di lavoro con la fiamma, è stata quella di chiedere se qualcuno si era fatto male.

Agnesina: Siete stato ricoverato? Quanti giorni di ospedale avete fatto? Quante ossa vi si sono sfrantumate?

Antonio: Quasi mi dispiace ammetterlo signorina. Neppure un graffio. Ho soltanto rovinato un paio di pantaloni seminuovi. La maglietta si era pure conciata ma mia mamma è stata capace di risistemarla bene. “mettila, che ti porterà fortuna”, ha detto.

Luigia: (ridendo) Avresti dovuto metterla non per guidare ma per fare i lavori di idraulica!

Antonio: Non potevo sapere! Anche se avessi saputo, poi, mi sarei fatto ‘na risata, dopo gli scongiuri di rito, s’intende.

Agnesina: (profetica) E non ci sarebbe stato niente da fare. Manco un esercito di gobbi, manco ‘e corna ‘e cento mandrie ‘e buoi, manco…

Luigia: (interrompendo, seccata) Non esageriamo, Gnesì.

Antonio: E’ passato tanto di quel tempo…Ero ‘nu guaglione, un vero incosciente. Avevo fatto la notte in bianco pe’ festeggià la vittoria del Napoli, lo scudetto. La mattina dopo, un caffè e via; dovevo arrivare a Reggio. Un colpo di sonno. Non pensavo di…In tutta la mia vita, però, non ho mai scordato. Ogni anniversario ho fatto dire una messa in vostro suffragio ed ho portato fiori...lì dov’è successo il botto.

Agnesina: Che pensiero gentile!

Luigia: Che bravo guaglione!

Agnesina: Ma, al momento dell’incidente, eravate già sposato?

Antonio: (galante) Conoscevo mia moglie Concettina e gli facevo il filo, ancora niente di serio però. Non avevamo ancora messo mano…O meglio, lei non aveva ancora messo manella.

Agnesina: Quando si dice la sfortuna! Se correvi soltanto un poco di meno!

Luigia: Sono dispiaciuta, sinceramente, del colpo che vi ho tirato.

Agnesina: Anch’io sono dispiaciuta.

Diavolo: Ma senti che coro angelico. Ho portato i fiori, che sfortuna, mi dispiace, non credevo. Ma chi volete sfottere? Chi volete prendere in giro? (rivolto all’Angelo) Forse questo qui si. A me, no.

Angelo: Che vorresti dire?

Diavolo: Voglio dire che Antonio si era truccato il motore della sua cinquecento ma non si era fatto migliorare i freni, per risparmiare. Luigia ha messo solo seimila lire nella macchina per costringere Agnesina a mettere benzina anche lei e Agnesina poi! Si era fatta accompagnare a Battipaglia perché la città è abbastanza lontana da Napoli, visto che aveva dato la sua disponibilità a tale donna Elvira Lanzafame per entrare in un certo giro. Quando è successo il botto era lì lì per fare la proposta a Luigia.

Angelo: Davvero le cose stanno così?

Diavolo: Le pentole, come sempre, le faccio io. I coperchi stanno cercando di farli loro ma ci riescono male.

Antonio: I freni li avrei pure fatti aggiustare ma…avevo finito la mia disponibilità, i suòrde.

Luigia: E che male c’è se Agnesina partecipava alla spesa?

Agnesina: E che demonio mo’. Andavo a vedere. Conoscevo Elvira e ci avevo parlato. Ero soltanto curiosa. E poi, robba non ne ho fatta!

Marcello: (è tutto vestito di bianco, entra. Ha un cappello colorato in mano). Non so se posso…

Diavolo: Avanti, avanti. Fatevi conoscere.

Angelo: Caro Marcello, accomodati pure.

Marcello: I Signori qui presenti non mi conoscono, come possono ricordarsi di me? Facce come la mia se ne vedono a iosa per le città. Forse però qualcuno ricorda il mio cappello (fa segno di chiedere la carità).

In tutto il gruppo si diffonde imbarazzo. Antonio, soprattutto, cerca di defilarsi nascondendosi proprio dietro il Diavolo. Questo sembra tenergli il gioco ma, in realtà, si muove per mettere Antonio proprio di fronte a Marcello. Raggiunta la posizione giusta, all’improvviso il Diavolo si scansa e Antonio si trova faccia a faccia con Marcello.

Marcello: Tu qui?

Antonio: (vago) Io qui!

Marcello: Chiedo com’è possibile che sei qui.

Antonio: Veramente me lo sono chiesto anch’io. Poi sono venuto a sapere che qualcuno (indica Luigia) mi ci aveva mandato. Io sarei volentieri rimasto…là.

Marcello: No. Preciso che ‘nu piezz’e fetente come te doveva stare al piano di sotto. Non qui.

Diavolo: (rivolto all’Angelo e fregandosi le mani per la contentezza) Vedi? Avevo ragione. Il cliente è mio!

Angelo: Mo’ che vuoi metterti a fare il diavolo a quattro? Lo sai. Se il cliente ti appartiene non c’è problema. Abbi solo un poco di pazienza.

Antonio: (rivolto a Marcello) Fatem’o piacere! Ho già avuto una giornata pesante, sono trapassato, pe’ ‘nu colpo e per sovrappeso co ‘a capa int’o ciesso; ho saputo che mia moglie Concetta m’ha spinto co’ ‘na manella leggera leggera nel mare in tempesta, ho incontrato due signorine che ho spedito io di qua, nell’aldilà e mo’ vi ci mettete pure voi a dire che tutto questo non basta e che me n’aggi’a ì dabbasso! E che cosa! Ma siamo sicuri che questo è veramente ‘o Paradiso?

Angelo: Veramente, per essere precisi, non siamo proprio nel Paradiso. Siamo in una situazione intermedia, con accesso libero anche a quelli del piano di sotto, quelli autorizzati s’intende.

Marcello: (rivolto ad Antonio) Ah, siete voi quello…

Antonio: Si, Antonio cap’in d’o cesso sono proprio io. Per servirvi. Vulite da’ na tirata e’ sciacquone, vulite ‘nu rotolo e’ carta iggienica o vi contentate di una vista panoramica sul cantaro? A esposizione.

Marcello: Condoglianze. (con dignità, quasi sussiego) Io appartengo a una famiglia numerosa nell’al di qua e nell’al di là, sono Marcello Mort’e famme, di Napoli.

Antonio: (cerca di portarlo in disparte) Siete arrivato qui, nel Paradiso, o comunque quasi paradiso…e ancora l’avete con me per quello scherzo?

Marcello: (Alzando la voce ed attirando l’attenzione) E quello per voi era uno scherzo?

Antonio: (vuole sminuire) Uno scherzo innocente, una cosetta da scugnizzo.

Agnesina: Dovete continuare a parlare in codice o possiamo capire anche noi?

Marcello: Tutta la giornata avevo fatto si e no 300 lire. Mi era stato levato con la prepotenza un posto buono, a Via Caracciolo, proprio sopra una bocchetta di aria calda che quasi mi stavo curando i reumi. Il nuovo posto di lavoro, al semaforo, non era buono e non poteva essere buono. Le macchine a Napoli non sempre si fermano al semaforo e poi c’è la concorrenza di quelli che lavano i vetri, di quelli che vendono sigarette e quelli che vendono fazzoletti di carta. Io, come mendicante semplice, arrivavo per quarto. Chi teneva più la voglia di mettere mano al borsellino?

Diavolo: (a parte) Per una volta c’è uno che non mi tira in ballo.

Marcello: Erano le due, un diavolo di vento in giro che riusciva a passare la protezione di giornali sott’o cappotto.

Diavolo: E che cosa!

Angelo: Certo non hai un buon nome ma, non te la prendere, è solo un intercalare. Non lo fanno per cattiveria!

Diavolo: Ti piace girare il coltello nella ferita eh? Nessuno è cattivo qui! Neanche con me!

Angelo: E come sei permaloso!

Diavolo: E che cosa! Ma per essere cattivo, per te, uno deve fare, che so’ un’altra strage degli innocenti, diventare un serial killer?

Marinella: La volete smettere di polemizzare? Mi fate perdere il filo. Eravamo rimasti al vento, mi pare.

Marcello: Si. Ho sentito all’improvviso un morso di fame veramente eccezionale e ho lasciato il posto di lavoro….

Diavolo: (ancora interrompe) Tse’; si è alzato dalla scrivania, ha salutato la segretaria, “Arrivederla signorina” e…

Angelo: (interrompe a sua volta) E lascialo dire!

Marcello: Ho interrotto di chiedere la carità (rivolto al Diavolo) così vabbè? Per andare al Bar, a vedere se qualcuno aveva lasciato un caffè pagato. A quell’ora, sapete, c’è la possibilità anche di avere regalato un cornetto invenduto della mattina. Avrei fatto pranzo.

Angelo: Una città dove nei bar si trova chi lascia un caffè pagato ad uno sconosciuto è una grande città. Una città buona. Andate avanti Marcello.

Marcello: Mi sono messo il cappello in testa (mette il cappello in testa e si avvicina alla quinta di sinistra) e mi sono avviato al Bar. Avevo detto che c’era vento?

Tutti in coro: Si!

Marcello: Camminavo così, (si ferma) trascino un poco la gamba non per fare impressione ma proprio perché mi fa male…

Tutti: E dalle!

Marcello: (ha ricominciato a camminare) Guardavo a terra pe’ ‘n’accidente e’ torcicollo e…ecco qui il fatto. E stato un istante che è durato tutta una vita. Un refolo di vento, uno sfaccimme di un refolo di vento, mi porta sotto gli occhi niente meno che una centomilalire.

Diavolo: (interrompe) Ah! Ora il vento, visto che porta la centomila non è più un vento del diavolo eh?

Agnesina: Ma voi rompete assai! E poi dite che non volete essere tirato di mezzo! Avanti, Marcello.

Marcello: Sono diventato agile: un lepre. Non sentivo più il reuma e…pà. Aggi’a fermato la banconota con un piede. Mi sono guardato intorno per assicurarmi che non ci fosse nessuno, proprio nessuno che si fosse accorto di niente. (mima la scena) Comm’aggi’a fatto a nun murì nunn’o saccio. Con tutto il freddo che c’era ho cominciato a sudare e piano piano, sempre guardandomi in giro, mi sono chinato, mi sono accosciato in terra fino a che la mano ha preso la banconota.

Marinella: Ben fatto!

Luigia: Una bella fortuna!

Marcello: Qui viene il guaio: il fatto è che non ero e non sono pratico di banconote. L’ultima banconota che avevo toccato era stata una diecimila lire di tanti anni prima, oramai fuori corso da anni.

Agnesina: E allora?

Marcello: Allora il dramma: la centomila era vera o falsa? Avevo sentito dire in una discussione tra colleghi, (rivolto al Diavolo) tra colleghi pezzenti per essere precisi, che uno aveva trovato un portafoglio, era andato a spendere soldi e che per poco non lo vattono perché i soldi erano risultati falsi…..(si interrompe, si nasconde la faccia nel cappello e piange).

Agnesina: Coraggio, andate avanti.

Marinella: Posso capire la commozione: si parla di centomila lire di una volta mica di euro!

Luigia: Che cosa avete fatto? E, soprattutto, Antonio che c’entra?

Marcello: Un’imprudenza imperdonabile, un vero peccato di orgoglio!

Luigia: Dite.

Marcello: Io, la persona meno qualificata a controllare una banconota, mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo. Ho preso i soldi per il lato più corto, mi sembra di ricordare che la forma della banconota è un rettangolo, o no?

Diavolo: E che diavolo! Certamente!

Agnesina: Toh! E’ scappato pure a te!

Luigia: Non la fare lunga, Marcè. Vai al dunque.

Marcello: Il dunque è questo fetentone qui! Mi compare vicino venuto dal niente, mi sorprende con la banconota alzata che la stavo vedendo controluce e mi chiede a bruciapelo: “Trovata per terra ?” Un millesimo di secondo. Rispondo “Si”, non mi lascia il tempo di fare niente. Gli sento dire: “Uguale alla mia che l’ho persa mò”…Zà! Un fulmine! Guardo. Fetente e banconota sono spariti.

Luigia: Potevate gridare al ladro!

Marcello: L’ho fatto. E’ arrivato subito un poliziotto che mi ha chiesto: Siete voi che avete alluccato al ladro? Sì, rispondo. E che cosa vi hanno arrobbato, i pidocchi o una padellata ‘e miseria? Io rispondo serio che mi hanno rubato una centomilalire e quello, per tutta risposta dice che se non metto di alluccare mi arresta per ubriachezza molesta dopo avermi dato un fracco di mazzate.

Marinella: Ma, Antonio, dite, veramente avevate perso la centomilalire?

Antonio: No. Ma quelle centomila servivano anche a me.

Luigia: Non erano vostre, però.

Antonio: Neppure sue. Non è che lui se l’era guadagnate col sudore. Le aveva solo raccolte da terra. Io avevo visto tutta la scena e mi ero detto che no, non era possibile.

Luigia: La fortuna, si sa, è bendata.

Antonio: Io avevo deciso che era meglio che la fortuna si dava una guardata attorno. E poi. Tempo per architettare qualcosa non c’era proprio. Mi sono detto o la va o la spacca. L’ho visto alzare i soldi controluce e ho visto che li teneva per un angolino. Ho pensato che i soldi stessero ancora volando nel vento e…non ho fatto altro che raccoglierli.

Diavolo: E con questo racconto si dimostra, ancora una volta che questo signore non è pentito affatto e che, pertanto, è cosa mia.

Marcello: (E’ come incantato in mezzo alla scena. Ripete più volte) Vediamo bene in controluce. Trovata pe’ terra? Si. Uguale! Zà, non c’è più.

Antonio: E mo’ si è incantato il disco. (si fa sotto a Marcello come per farlo smettere)

Marcello: Fetentone! Controluce. Pe’ terra? Sì. Uguale. Zà. Smette solo per mettersi a piangere. (Esce di scena ripetendo la tiritera).

Antonio: Che posso dire…Ero forse più disperato di lui.

Luigia: Questa mia pare una fessaria, caro Antonio. Comincio a pensare che, tutto sommato, il colpo che vi ho tirato vi stia proprio bene.

Marinella: Questa proprio non me la dovevi fare…Cattivo! L’automobilina da te non la voglio più. (gli rende l’automobilina)

Agnesina: Ma come potete permettervi di dire che eravate più disperato di un mendicante, addirittura messo in quarta fila al semaforo a chiedere la carità? Ja Antonio non dite fessarie, anche per rispetto al posto dove siamo.

Antonio: Messa così ho torto. Ma…

Marcello: (lo interrompe facendo irruzione in scena) Niente “ma”! Fetentone! Controluce. Terra? Uguale! Zà. Più centomila! (esce nuovamente)

Angelo: E’ proprio difficile scusarti…

Diavolo: Lasciate pure qui il sedile. Giù non ce ne è bisogno: giù abbiamo tutti la stessa condizione, siamo tutti una famiglia.

Antonio: Quale condizione? Quale famiglia?

Diavolo: La condizione è che chi arriva sta con la cacca fino al collo per i prime mille anni poi, una volta fatto l’occhio…e il naso all’ambiente, viene messo sotto e basta. La famiglia, come puoi capire, è proprio una merda di famiglia. Non ti preoccupare. Ci si abitua a tutto. In fondo ho descritto condizioni che sulla terra…sai quante ce ne sono!?

Escono tutti, alla spicciolata. Rimane, oltre Angelo e Antonio, solo Marinella che se ne rimane in disparte.

Antonio: Ma io pure stavo disperato. Se non pagavo quella partita di sigarette a Gennariello ‘o Munnezzaro, quello era capace che mi buscava una coltellata, non era questione ‘e pazziarielle.

Angelo: Ma tu le sigarette non le avevi vendute?

Antonio: Davanti a Gennariello ‘o Munnezzaro avevo detto e giurato che me le aveva prese la Finanza. Proprio vicino a Palazzo Reale era successo.

Angelo: E’ meglio non giurare Antò! Quelle sigarette le avevi piazzate tutte, ai tuoi clienti fissi e senza rischiare incontri sgraditi con la Finanza.

Antonio: ‘O ssaccio. Ma i soldi non li tenevo lo stesso.

Angelo: Ti erano serviti per…

Antonio: (sbotta) Per cavarmi la soddisfazione di vedere il Napoli in Tribuna, ai posti migliori e, per lo meno una volta, comperare il biglietto ed entrare dalla porta principale. Con il resto ho comperato due chili di spaghetti per mammà accompagnati da otto belle scatole di pomodoro, di quello buono e (tira fuori la macchinetta che gli aveva reso Marinella) questa macchinetta tutta rossa, un modellino vero della Ferrari che volevo tenere per me.

Angelo: Alla partita ci sei andato…

Antonio: Ed il Napoli ha pareggiato, in casa. Uno zero a zero. Una vera schifezza di partita.

Angelo: La macchinina?

Antonio: Sono passato nel vicolo e ho visto Marinella. Il padre era appena rientrato nel basso, come al solito ubriaco; sempre come al solito, aveva buttato sulla strada quella povera creatura per non essere disturbato. Mi sono fermato…

Marinella: (interviene) Papà era una brava persona ma una malattia e qualche cattiva compagnia gli avevano fatto perdere il posto di lavoro. La consolazione la cercava in fondo alla bottiglia. Tornava a casa e si sentiva male. Non è che mi cacciava. Ero io che preferivo stare fuori. Quel giorno avevo fame, tanta fame e l’ho gridato in faccia a mio padre. Quella faccia non me la scorderò mai! Sono corsa fuori di casa, non per paura di prendere mazzate ma per non vedere più a quella faccia ed a quegli occhi. E’ arrivato Antonio e si è fermato a giocare con me. Mi ha fatto toccare la sua macchinina e mi ci ha fatto giocare…

Antonio: Gli si erano illuminati gli occhi. Ho visto che gli piaceva assai e…

Marinella: Prima di correre via ha detto “Marinè, ti piace? Tenatilla”. Non avrei accettato mai; ma prima che potessi dire “a” era già sparito, a casa sua. Il mio primo, unico, giocattolo. Antò, se le cose sono andate così, la macchinina me la posso proprio tenere. (riprende il giocattolo e se lo rimette in tasca)

Antonio: Io a Marcello lo capisco ma se dicessi che non farei più quello che ho fatto sarei bugiardo. Ma poi; non si improvvisa. Ci vuole classe, inventiva, facc’e cuorno e colpo d’occhio. Abbiate pazienza signor Angelo ma non mi posso snapoletanizzare. Se vulite chest’a me, fatemi nascere un’altra volta non so, a Gallarate, a Frosinone, a New Yorke ma non a Napoli.

Angelo: Ma questo…

Antonio: Questo e quest’altro. Abbiate pazienza, Angelo. Non tengo voglia di chiacchierare. Ora mi siedo e, visto che dormivo bello profondo, mi fate riaddormentare. Siete o no un Angelo? Fatemi svegliare dove volete. Buona notte. (siede e si riaddormenta)

Marinella: Facciamolo dormire. Vedi? Dorme così bene che manco un bimbo. Jammunc’enne. In punta di piedi. (Esce portandosi dietro Angelo).

Sipario

Secondo Tempo

Fondale neutro, interno giorno, si può attrezzare un modesto salottino. Divanetto, poltroncine, sedie. Antonio è vestito normalmente, da casa. Dorme, si percepisce un sonno agitato.

Concetta: Antò, Antonio! Quando si ha bisogno di te ti si trova sempre a dormire. Antò, scetate! (lo scuote)

Antonio: O filino ‘e suonno o curdone ‘e suonno, accà non se duorme! (Stropicciandosi gli occhi) ‘A pace, ‘a santa pace…ma facitem’o favore! (Si guarda intorno, vede Concetta, si stropiccia più volte gli occhi)

Concetta: (con tono tra lo sfottente ed il seccato) Ti sei scetato? Sei tornato su questa terra?

Antonio: Se tu sì proprio Concetta, muglierema, si. Vuol dire ch’aggi’a turnato accà e non sono più là, nell’aldilà. (si alza e si mette vicino a Concetta)

Concetta: Antò, ci siamo svegliati sofistici! Sono qui, non sono di là…Ma famm’o piacere! (lo spinge sulla spalla)

Antonio: (Ha come un sussulto) Concettì, teniamo la manella a posto pe’ piacere! Sempre a spingere in questa casa! Io non voglio essere spinto.

Concetta: (le mani ai fianchi, combattiva) Fusse che durmenno durmenno te sì arrevotat’e capa? Ma chi ti penza, ma chi ti vuole tuzzuliare, ma chi ti tocca! (Così dicendo si fa sotto ad Antonio e, come per sfidarlo, ad ogni battuta lo spinge un po’)

Antonio: (come preso dal panico) Concettì, chella manella tua non si contiene! Pu! Pu! Spinge spinge, saresti capace co’ chella manella….de jettamm’a coppa o vascio!

Concetta: (colpita, non è più capace di aggredire) Antò, ma che stai a dire? Questo non lo devi dire neppure pe’ pazzià.

Antonio: (percepisce l’imbarazzo di Concetta ed incalza) Cà non si pazzea! E’ arrivato ‘o mumento ‘e chiarire il fatto.

Concetta: Quale chiarire? Che fatto? (imbarazzatissima)

Antonio: Sono trent’anni che ci penso, Concettì!

Concetta: Tu pensi a che?

Antonio: Ricuordate. Eravamo in faccia al mare in tempesta, un gruppetto di persone, per essere precisi eravamo in otto compresi io e te. Poi qualcuno ha alluccato “Una persona in mare!” E tu, Concè, hai aggiunto “Puveriello, è ‘nu guaglione!”. Mi sono sporto un poco dallo scoglio pe’ vedè meglio e Ciaf! Maggi’a truvato mies’o mare in tempesta.

Concettina: (come rinfrancata) E sei così diventato “l’eroico cittadino che ha salvato un povero ragazzo che altrimenti sarebbe perito tra i flutti della tempesta!” Così era il titolo della prima pagina del Mattino di Napoli, con foto tua e quella d’o guaglione. L’articolo lo so a mente e l’ho fatto imparare a mente a tutt’e tre le nostre creature.

Antonio: (cerca di fermarla) Ma il punto…

Concettina: E comm’eri bello in quella fotografia Antò! Ero perfino gelosa perché in tutto il quartiere e femmene non facevano che dire: “Ma quell’Antonio che bel giovane che è, e poi che coraggio! Sfidare il mare in un momento pericoloso assai! Fortunata chi se lo sposa!”

Antonio: (Le parole di Concetta lo hanno fatto quasi “lievitare”, al punto di farlo mettere in posa “da eroe”. Come facendo eco alle parole della moglie) Bel giovane!…Che coraggio!…Pericoloso!…Fortunata chi se lo sposa!

Concettina: (lo incalza) E tu sempre modesto, a dire ma no, ho fatto il mio dovere, più che coraggio è stato l’istinto…

Antonio: Ecco il punto Concettì. Siamo arrivati al punto.

Concettina: (convinta) Antò, questo veramente è il punto. T’ho sempre voluto bene pecchè non ti sei mai montato la capa, sei sempre stato modesto…con i piedi per terra.

Antonio: E pe’ forza! Doppo uscito da quel mare di bufera proprio si. I piedi sempre a terra, dove si tocca.

Concettina: Ih che puzz’e aceto! Comme la fai lunga!

Antonio: No Concettì! Il punto è questo. Non c’è stato né istinto né coraggio. (gli prende la mano) Concettì, l’autore vero del gesto eroico è questa manella tua che m’ha spinto in mare!

Concettina: Quale infame t’ha detto questa cosa? Un vero infamone, Antò. Vorrei proprio sape’ chi è pe’…

Antonio: Pe’ niente Concè. Quello che mi ha aperto gli occhi è una persona altolocata assai, e che mi vuole bene. Non se ne può parlare male.

Concettina: Però lui si è permesso di parlare male di me.

Antonio: Macchè, t’ha perfino giustificato.

Concetta: Allora m’avete fatto ‘o processo, in mia assenza. Che bella cosa. Che begli amici tenete! Toglimi una curiosità, sono stata assolta o sono uscita condannata?

Antonio: Ma no. Non puoi sapere lo spirito della cosa. Non sai neppure dove stavamo.

Concetta: Ve ne stavate ‘n copp’o tribbunale o dove? E da chi era composta questa compagnia? Doveva essere gente spiritosa assai per compromettere una persona assente! Che non si è potuta difendere.

Antonio: Dove stavo non te lo puoi figurare, è sempre meglio andare lì il più tardi possibile; ma su una cosa hai fatto centro: era una compagnia spiritosa, più spiritosa di così non si può.

Concettina: Ma che motivo avevo di buttarti a mare? Questo fetentone che mi ha messo di mezzo ti ha detto anche questo?

Antonio: Tu mi avevi appena detto di essere incinta, io, come ti ricordi, avevo provato a dire…

Concettina: E vuoi che non mi ricordo questo dolore che mi hai dato? Tu sapevi benissimo, sai benissimo come stavano le cose e…avevi provato a uscire dalle tue responsabilità.

Antonio: Ecco qui il punto, il movente! Il risentimento, un’ispirazione di provenienza brutta assai, ti ha spinto…Che dico? Ha spinto me, per mezzo di chella manella tua…mies’o mare.

Concettina: Antò ma fussi scemo? Chi ti sta mettendo su contro di me? Secondo i tuoi amici altolocati di questo pulecenella ‘e tribbunale, io buttavo a mare il padre della creatura che cresceva dentro di me?

Antonio: Proprio tutta colpa tua non sarebbe. Potrebbe averci messo le corna il diavolo…

Concettina: Rifletti Antò, pensa. Prova a pensare. Io, Concetta Scognamiglio, sarei stata così fessa da suicidarti prima che tu avessi riconosciuto ‘a criatura? Mi avevi offesa nel cuore Antò, è ‘o vero. Tanto offesa che buttarti a mare era veramente una cosa ‘e niente. Ma mai primma che tu avessi fatto il dovere tuo. A’ creatura mia non poteva mai nascere figli’e zoccola! Il diavolo lo possiamo togliere di mezzo. ‘E femmene, quanno so’ mamme ne sanno sempre una più d’o diavolo.

Antonio: Ma la tua manella mi ha toccato, o no?

Concettina: Per tentare di afferrarti. Il momento non era bello. Tu stavi disoccupato e ti arrangiavi con le sigarette di contrabbando, avevi distrutto la macchina, io ero una figlia di mamma senza arte né parte. ‘A criatura era proprio la ciliegina sulla torta. Antò; io per la verità ho sempre pensato che tu ti fossi buttato pe’ murì e uscire fuori da tutto.

Antonio: (a parte) Caro Angelo, dove sei sei questa l’hai sentita pure tu. Prova a ragionare con una femmena, con una una moglie…e ti trovi subito dalla parte del torto. Hai visto come mi è stata girata la frittata?

Concettina: (sembra sollevata) Vuoi la frittata per pranzo? Se è così devi scendere dabbasso a comperare le uova.

Antonio: Ma non ci può scendere Lucia o Maria? Ma tutto io devo fare?

Concettina: A proposito di fare Antonio, io ti chiamavo perché devi dare un’occhiata in bagno.

Lucia: (entra in scena) Papà, aggi’a tirato ‘o sciacquone e ‘o water sta tutto intasato quella, l’acqua, per un poco non esce ‘a fora.

Concettina: E che demonio! Ecco, mi ero scordata. E’ pe’ questo che t’aggio scetato. Va vede’ se ci puoi fare qualcosa.

Antonio: (sobbalza) Piano con le parole; non chiamiamo ospiti indesiderati. Lucia bell’e papà, corri, portami subito qui la magliettina mia, quella dell’incidente.

Lucia: Ma papà chi sa dov’è finita…

Concettina: Ma che ci dovrai fare. Quella maglietta oramai non ti sta neppure più bene…

Antonio: ‘A maglietta. Non mi muovo neppure di un centimetro se non mi portate la maglietta.

Concettina: Eh che capa tosta tiene! Vado. (esce)

Antonio: Lucia, piglia il telefono e chiama subbito a Oreste l’idraulico. Fallo venire d’urgenza.

Lucia: Vado subito. (esce)

Concettina: (entra e porta una maglietta chiaramente piccola per Antonio) Il signore è servito.

Antonio: (indossa subito la maglietta anche se con qualche difficoltà)

Concettina: Ma levati ‘sta robba, nunn’o vide che sei ridicolo? Non è più della tua misura.

Antonio: Ridicolo o piangicolo non ti deve interessare. Questa misura è giusta: è una misura cautelare.

Lucia: (rientra) Papà, ha detto Oreste che viene subbito perché stava spiccio.

Antonio: (si fa da parte) Angelo, non so dove sei ma ti ringrazio per l’avvertimento. Come vedi sono meno capa tosta di quello che sembra. (rivolto alla figliola) Lucia, famm’o favore. Prendi tua sorella Maria e vammi al vicolo di Santa Teresina. Al civico 32 ci sta un basso dove ci dovrebbe ancora abitare una certa Marinella. Valla a chiamare e digli che sei figlia mia e che Antonio Mastrone tiene urgenza di vederla.

Lucia: Marì, Maria. (grida verso una quinta)

Maria: (da dietro la quinta) Che è stato?

Lucia: Preparati che dobbiamo uscire.

Maria: (sempre da dietro la quinta) Dove andiamo?

Lucia: Una commissione per papà.

Maria: (entra. Veste jeans e maglietta) Mi devo mettere elegante?

Lucia: Andiamo all’Eccelsiòr

Maria: Veramente?

Lucia: Si, a quello che stà a Vico di Santa Teresina. Jamme. Ma, papà, Vico di Santa Teresina 32, una certa Marinella. Non potresti essere più preciso? Quanti anni tiene, come è fatta, che fa.

Antonio: Hai ragione ma so poco pur’io. Tiene su per giù gli anni miei. Com’è adesso proprio non lo posso sapere. L’ho persa di vista che era guagliona, quando io ho cambiato casa.

Maria: Ma che, dobbiamo partecipare a “Chi l’ha visto” o dobbiamo andare addirittura a “Caramba che sorpresa”?

Antonio: No, queste non sono cose di televisione. Sono cose serie. Non scherziamo e fate presto.

Lucia: La Mastrone investigation entra in azione.

Maria: Si sta muovendo la commissaria Montalbano, tremmate! (le ragazze escono)

Concettina: Antò, ma tu ne tieni di manie! Ti metti una maglietta di tre misure fa, mi hai fatto chiamare le due guaglione, dopo non so quante discussione solo di secondo nome, Luigia e Agnesina come quelle due poverette dell’incidente, che Dio le tenga con se ma mo’ questa Marinella…chi è, add’o esce?

Antonio: Una povera guagliona, una famiglia infelice assai. Poi capirai. Mi debbo levare una spina dal cuore.

Concettina: Antò, ma ti senti bene? Dopo che ti sei scetato mi sembri un’altra persona. Ma, come è stato che hai fatto chiamare l’idraulico? Hai sempre detto che per te quello era caro arrabbiato e che manco il demonio te l’avrebbe fatto chiamare. Ero convinta che il water l’avresti aggiustato tu.

Antonio: Su questo sono categorico. Posso aggiustare un tubo, sturare lo scarico di un lavandino ma Antonio Mastrone c’a capa int’o cesso, mai.

Oreste: (entra. E’ lo stesso attore che ha interpretato il diavolo nel primo tempo. Ora veste i panni dell’idraulico) E’ permesso? Sono arrivato subito. Per servirvi signor Antonio. Di cosa avete bisogno?

Antonio: (si alza di scatto e si mette sulla difensiva) Si è intasato il water. Fate il favore di provvedere. Un momento, fatti vedere. Tu mi somigli a qualcuno. Mi ricordi qualche cosa, che so, un volto, un’espressione.

Oreste: Veramente dite? Chi vi ricordo, a un attore, a un cantante?

Antonio: Non posso precisare. Vai vestito di nero qualche volta? Mi ricordi uno che conosco, un esperto di condutture. Uno capace di fare scorrere o non fare scorrere le cose.

Oreste: Un vestito tutto nero? E chi se lo può permettere un vestito nero da cerimonia? Voi mi lusingate Signor Antonio.

Antonio: Oreste, siate sincero. Ja, levatemi una curiosità. Tenete ‘e corna?

Oreste: (giustamente risentito) Ma, Signor Antonio, state pazziando?

Antonio: Scusate, ho equivocato. Volevo solo sapere se credete nella jettatura e se avete con voi qualche cornetto, quelli portafortuna.

Oreste: Non ne ho di bisogno perché con il mio mestiere è automatico toccare ferro. Si può dire che sto sempre con il ferro in mano.

Antonio: Ecco, il forcone.

Oreste: Avete ancora voglia di pazziare. Quello il forcone lo tiene il contadino. Io tengo le tenaglie, le pinze. Ma che dico; voi lo sapete bene. Comunque i miei cornetti rossi di corallo li tengo. Non si sa mai. Per servirvi signor Antonio. Se permettete vado a fare la riparazione. Anzi. Consideratela cosa fatta. (esce)

Antonio: (si fa da parte) I cornetti, lo ha detto lui, ce li ha. E io per me un certo odore di zolfo lo sento.

Concettina: Antò, più che odore di zolfo a me mi sembra che Oreste dovrebbe lavarsi la tuta, per lo meno una volta all’anno.

Antonio: E’ perché non sai collegare. Appena hai detto “manco il demonio” quello è comparso.

Concettina: Ma quale comparso! Se lo hai fatto chiamare tu, con il telefono?

Antonio: Altro che il telefono! Quello arriva appena lo nomini. Tu non lo puoi sapere.

(Entrano trafelate Lucia e Maria)

Lucia: La Mastrone investigation rientra per fare rapporto!

Maria: Possiamo aprire un’agenzia di polizia privata.

Lucia: Già. La chiamiamo “Le Mastroni Angel’s”

Antonio: Allora avete trovato a Marinella? Può venire? Come sta?

Maria: Ma papà, da quanto tempo l’avevi persa di vista?

Lucia: Per lo meno dal tempo dei faraoni!

Antonio: Si, dopp’a costruzione de chella sfinge ’e zieta Cesira!

Concettina: Sempre a mia sorella Cesira metti di mezzo!

Antonio: No. Ma io intendevo fare un complimento a Cesira, lo sfottò era per la sfinge.

Lucia: Avete fernuto il ripasso di storia? Possiamo parlare?

Antonio: Parlate. Ma senza commenti ja!

Maria: Quella poverella…

Antonio: (rivolto a Concettina) Lo vedi lo avevo detto, chella guagliona ha sempre fatto pena a tutti. Allora, quella poverella come sta? Che fa?

Lucia: Per stare sta e, ne sono sicura, dove stà mo’ non tiene nient’a fa.

Maria: Se ne sta in pace, direi in santa pace.

Antonio: Volete dire che…(fa chiaro il segno di croce)

Lucia: Non è più di questa valle di lacrime.

Antonio: Proprio mi dispiace assai.

Maria: Pover’anima. Ha fatto un trapasso infelice.

Antonio: Lasciami indovinare. Marinella è morta durante il terremoto di Napoli.

Maria: Papà, e se lo sapevi perché ci hai fatto fare questa ammoina?

Antonio: No, non’o sapevo. Diciamo che la mia è stata un’intuizione.

Lucia: Il basso dove abitava sta ancora tutto puntellato, doppo tanti anni. Un vicino ci ha detto…

Antonio: Che era rimasta viva sott’e macerie di casa ma che i soccorritori non avevano fatto in tempo a salvarla…

Maria: Sapevi anche questo?

Antonio: Sempre un’intuizione.

Lucia: Sempre lo stesso vicino ci ha detto che la poverina è stata trovata che stringeva ancora nella mano un’automobilina.

Antonio: Un modellino di Ferrari.

Concettina: (impressionata) Ma come…

Antonio: L’unico regalo ricevuto, l’unico giocattolo di quella creatura così disgraziata. Glie lo avevo regalato io.

Concettina: Ora mi devi fare capire. La sfinge di questa casa non è mia sorella Cesira ma sei tu.

Antonio: Ho avuto un sogno Concè, un sogno lungo, articolato. Non so ancora se dormivo o cosa. So che mentre me ne stavo a occhi chiusi mi si è illuminata tutta la mia vita.

Oreste: (Si affaccia timidamente, tossicchia) Si può don Antò? Io avrei finito.

Concettina: Che era stato?

Antonio: Lo dico io. Dentro il water hai trovato un paio di scarpine. Sono le scarpine che zia Cesira ha regalato ad Annuccia. Quella pover’animuccia della pupa non le poteva vedere. Esattamente comm’io non posso vedere a Cesira; ‘a pigliato le scarpine e le ha gettate nel posto giusto. Nel cesso.

Oreste: Tutto vero! Non ho visto la criatura fare il gesto e non conosco la zia Cesira ma nel water ci stavano proprio due scarpine; una di queste si era pure intraversata nello scarico. Mi ha fatto impazzire per cavarla fuori.

Antonio: La scarpina era intraversata anche per voi?

Oreste: La mia parola! Non voleva andare né su né giù.

Antonio: Ma voi non vi siete inquietato.

Oreste: Un poco, veramente, si.

Antonio: Ma non vi è preso nulla, avete continuato a stare bene?

Oreste: E certamente! Anzi, più la riparazione si presenta impegnativa, ingarbugliata, più me la godo. A me, per la verità, le cose impicciose mi piacciono assai!

Antonio: Vi piacciono gli impicci?

Oreste: Certamente!

Antonio: Riesco a indovinare anche le vostre preferenze nel mangiare.

Oreste: (interdetto) Non saprei…

Antonio: Che so, le animelle arrostite, il pollo alla diavola, tutto innaffiato con il vino Inferno.

Oreste: Signor Antonio, è quasi ora di pranzo, mi fate venire veramente appetito.

Antonio: Scommetto che vi state sognando una bella brace ardente.

Oreste: Ecco, la roba alla brace è proprio la mia passione, è il mestiere mio. Subito dopo l’idraulica.

Antonio: Non dite altro. (A parte) E’ come se fosse reo confesso. (Rivolto ad Oreste) Chissà dove volete arrivare oggi. Diavolo d’un uomo!

Oreste: Veramente vorrei arrivare a casa mia. Mi avete fatto venire una voglia…Mo’ tornando a casa vedo di prendere un poco di animelle per cucinarmele a modo mio.

Antonio: L’inclinazione non si combatte. E poi avete ragione, vi capisco benissimo: tutti che vi mettono di mezzo… e quello ci ha messo le corna, ci sta sotto il suo zampino, e che diavolo di cosa…Per forza uno come voi poi tiene la voglia di cucinarsi le animelle!

Oreste: Signor Antonio, non insistiamo con questo fatto delle corna o finiamo per discutere. Sono tranquillo e sereno, sono un buon diavolo insomma…ma quando sono provocato…

Antonio: Ecco. Lo ammettete. Chiedo scusa, ma per farvelo uscire…

Oreste: (Cambia appena il suo tono) Voi mi volete mortificare!

Concettina: Non lo state a sentire. Da quando l’ho svegliato sta nervoso assai. Tiene un diavolo per capello.

Antonio: Concettina! Non in sua presenza. Scusatela.

Maria: Papà ma che dici?

Antonio: (rivolto ad Oreste) Eppure avrei proprio voglia di sapere chi diavolo siete veramente.

Oreste: Signor Antonio, ora state esagerando.

Antonio: Scusate di nuovo, scusate capisco che vi trovate a disagio. Per forza! Non avete più a che fare! Animelle, qui, oggi per voi non ci sono. Oggi le animelle le dovete andare a prendere da qualche altra parte. Finiamola. Signor…idraulico…quanto vi debbo per il disturbo?

Oreste: (franco) Sono cento euro, cinquanta per la chiamata e cinquanta per la riparazione e i materiali. Chest’è ‘a ricevuta.

Antonio: E che demonio!

Oreste: Ancora?

Antonio: Per carità. Scusate e annullate la seconda chiamata. So bene quello che rischio, ma per questo prezzo la prossima volta faccio da me! (lo paga e Oreste esce dopo avere incassato. Antonio lo accompagna. Ogni volta che Oreste è di spalle Antonio fa le corna, senza mai farsi sorprendere)

Maria: Per essere caro è caro, ma addirittura farci e‘corna mi sembra un eccesso papà!

Antonio: Marì, non puoi sapere, voi tutte non potete sapere quello che è stato!

Concettina: E’ da due ore che lo dico: oggi Antonio Mastrone si è svegliato di controsenso e chi lo capisce è bravo.

Lucia: Ha ragione mammà, si può sapere che capita in questa casa….

Maria: O dobbiamo rimettere in moto la Mastrone investigation?

Antonio: Ma come faccio a farvi capire…ancora io non ho capito bene.

Concettina: Tu prova. Hai visto mai che ti accorgi di non ritrovarti ‘n mies’a ‘na famiglia ‘e scemi?

Antonio: Ma come vi faccio capire…come vi spiego che prima che tu mi svegliassi io mi sono ritrovato addirittura morto. E in che manera poi!

Maria: Ma famm’o piacere papà, ma se stai una bellezza!

Lucia: Non scherzare neppure. E in che maniera saresti trapassato?

Antonio: Una fetenzia di maniera. C’a capa…No, no questo non si può dire.

Concettina: E mo’ ci hai messo in curiosità . Ja dici.

Antonio: Stavo facendo una piccola riparazione…

Lucia: Stavi aggiustando il water!

Antonio: Avete risaputo qualcosa. Chi ha detto, chi ha parlato…La gente non si fa i fatti suoi manco nei sogni!

Lucia: No papà, la mia è stata solo una intuizione.

Antonio: Andiamoci piano con le intuizioni e non spargiamo la voce. Quello, uno come niente finisce sui giornali. Titoli di prima pagina addirittura! “Antonio Mastrone c’a capa così, così così”. Si perde la reputazione di una vita!

Concettina: Così, così, così che cosa?

Antonio: Quello che si sa di la, nell’aldilà, di qua non si può dire. Mettiamoci una pietra.

Concettina: Antò, ma tu ha fatto tutta questa ammuina per dire che ha fatto un sogno?

Maria: Papà, i sogni si possono dire, si devono dire

Lucia: Così tu poi li racconti a un assistito bravo che ti da i numeri…

Antonio: Ma guarda un poco! Che capa che tengo. Mi stavo quasi scordando. I numeri ci sono già.

Concettina: E tu hai trascurato fino a mo’ il particolare più interessante? Cosa di farsi chiudere la tabbaccheria! Antò, scetate Antò. Oggi è sabato, si gioca. E’ già tardi. I numeri Antò, i numeri. Facimm’ampressa.

Antonio: Presto detto. Ruota di Napoli 50, 34 e 18. Cocettì scendi dabbasso. Tieni. Gioca una diecimila lire. Meglio. Gioca 10 euro e facciamo conto patto (da una banconota a Concettina che esce veloce)

Maria: E che insogno scombinato che hai fatto…50 fa  morto, 34 fa la capa e 18 fa ‘o cesso.

Lucia: Ti sei insognato di essere morto c’a capa ind’o cesso. Hai raggione papà. Proprio un trapasso fetente. Direi un trapasso di m…

Antonio: (minaccia un manrovescio) E tu prova a finire la frase e io ti do tante di quelle mazzate che per riconoscerti allo specchio ti ci vorrano due testimoni giurati.

Concettina: (Entra ridendo) Se i numeri sono quelli che mi hai fatto giocare, l’insogno è che sei trapassato c’a capa int’o cesso! Ho raccontato i numeri a mia sorella Cesira che stava facendo la fila pure lei per giocarsi un ambo sicuro e ha subbito interpretato così.

Antonio: E così anche Cesira…Sa. Una cosa riservata, delicata, l’hai messa in meno al Gazzettino. Quella prima ci ride e poi gira pe’ tutt’o quartiere come il pazzariello.

Concettina: Per ridere ci ha riso parecchio, ma poi ha fatto una giocata pure lei. Soprattutto dopo c’o Babà…

Antonio: Ci stava pure ‘o Babà, l’assistito?

Concettina: Si. E dietro a lui ci stava mezzo quartiere che gli chiedeva i numeri

Lucia: Ah. E ‘o Babà che ha detto?

Concettina: Si è quasi schiantato dalle risate quando gli ho raccontato la cosa. Poi pure lui ha detto che l’interpretazione di Cesira era corretta. Ha detto: “Giocatevi il terno di Antonio Mastrone, ‘o muorto c’a capa int’o cesso”. Detto questo…(fa un gesto come per dire sono successe cose grosse)

Maria: (interrompendo) Che è stato?

Concettina: Io ho potuto fare la mia giocata, subito dopo il Maestro, per rispetto del fatto che avevamo dato i numeri ma poi è scoppiato il finimondo. Sapete come vanno queste cose. La voce si è sparpagliata e tutta la strada, tutto il rione voleva entrare nella ricevitoria per giocarsi il terno. E’ dovuta correre la polizia, non avete inteso le sirene?

Antonio: Non è possibile…E’ di questo che mi volevano avvertire le anime sante! Ecco come si rovina la reputazione di una vita.

Concettina: Ma quale reputazione! E corsa anche la stampa. Un giornalista del Mattino niente meno mi ha voluto intervistare. Ha detto che se stasera esce il terno domani la prima pagina non ce la toglie nessuno.

Si fa buio in scena. Dopo pochi secondi si riaccende la luce. Sulla stessa scena sono gli stessi personaggi.

Concettina: Ma ti rendi conto che hai buttato dalla finestra mille euro?

Antonio: Concettì, dammi retta. Mi sono dovuto togliere un debito.

Concettina: Mettere in mano a dieci mendicanti un biglietto da cento euro…

Lucia: Dicendo ogni volta…

Maria: Li riconosci? Sono uguali a quelli che ti ho visto perdere.

Concettina: Antò a te la vincita ti ha fatto uscire pazzo.

Antonio: Rendiamoci conto che la vincita viene da un sogno mio e che io, non vi posso dire perché, ero in obbligo. Marcello ora sarà contento.

Maria: E mo’ chi è ‘sto Marcello?

Antonio: Chi è, o chi era (si segna), sono fatti miei.

Concettina: No, sono fatti nostri se per questo Marcello getti nel vento tutti quei soldi!

Antonio: Chiudiamo qui la polemica. La benedett’anima ora sarà in pace. Piuttosto, Maria, ho detto che voglio vedere il giornale, subito.

Maria: (nasconde il giornale dietro la schiena) Ma che t’importa del giornale; i giornalisti, lo sai, esagerano sempre

Lucia: Lo dici sempre pure tu.

Concettina: Leggere il giornale è tempo perduto. La cosa importante è che abbiamo vinto. Dico: un terno secco.

Maria: Ecco, l’articolo parla di questo… e poco più

Antonio: O mi date questo accidente di giornale o vi giuro che faccio una pazzia e domani sul giornale ci torniamo tutti quanti, magari in edizione straordinaria. (si avvicina a Maria e si impossessa del giornale)

Concettina: E che modi sono questi!

Antonio: (finalmente ha preso il giornale) Finalmente. E che cosa! Voglio proprio vedere!

Maria e Lucia: (quasi gli si gettano addosso) Maria: Ma papà. Lucia: Abbiamo vinto niente di meno che un terno. Maria: ce lo compri un regalino? (tentano di portargli via il giornale)

Antonio: (si libera delle figlie) Lasciatemi in pace. Fateme vedè. (Apre il quotidiano, legge) Ecco qui. Un titolo di prima pagina a cinque colonne. “Antonio Mastrone sogna di morire con la testa nel water e sbanca il lotto” Evento eccezionale al rione di Porta Nolana. Ieri in serata equipaggi della Questura Centrale e gazzelle dei Carabinieri sono dovuti accorrere…. L’assembramento si era creato … con grande sorpresa degli agenti, davanti al locale botteghino del lotto in quanto praticamente tutto il circondario voleva giocare un terno secco sulla ruota di Napoli, prima della chiusura del gioco.

Concettina: Tale e quale com’è andata. Te lo avevo già detto io.

Antonio: (riprende la lettura) Quando il nostro inviato ha chiesto il perché di tanta folla, ha appreso che una così improvvisa voglia di giocare all’ultimo momento e quasi alla chiusura della ricevitoria, era nata da un fatto veramente singolare. I numeri li aveva dati Aniello Cascone, meglio conosciuto come o’ Babà, nella nostra tradizione popolare un “assistito”. Il terno che o’ Babà suggeriva era 50, 34 e 18 subito battezzato come il terno di Antonio Mastrone…. Il nostro inviato è riuscito ad intervistare la signora Concettina Mastrone, moglie di Antonio. La signora ha confermato che i numeri all’assistito li aveva dati proprio lei e che i numeri provenivano da uno strano sogno fatto dal marito…. La signora faceva tanto affidamento nel sogno che ha giocato addirittura cento euro sul terno. Nel sogno, un brutto sogno ma dall’esito favorevole, il signor Mastrone era morto con la testa nel water…. Naturalmente il signor Mastrone sta benissimo…

Maria: Lo vedi? Niente di particolare.

Antonio: Ho letto l’articolo. Ma l’articolo chi lo legge? E’ il titolo che conta. E tutta Napoli sa che io vado passando il mio tempo ficcando la testa nel cesso!

Lucia: Nel sogno, papà, solo nel sogno!

Antonio: Sogno o non sogno per la gente Antonio Mastrone rimarrà quello d’a cap’in do cesso!

Giornalista: (è sempre lo stesso attore che ha impersonificato il diavolo e Oreste l’idraulico. Veste elegante.) E’ permesso? Posso entrare?

Concettina: E che demonio! Un poco di creanza. Dite permesso, chiedete di entrare e siete già in casa!

Antonio: (a parte) Io a questo lo conosco.

Concettina: Non era proprio il caso di venire a farci visita oggi.

Antonio: Ma perché, tu lo conosci? (sempre a parte) Io da qualche parte l’ho già visto.

Concettina: Lo conosco e non lo conosco, ci ho appena parlato.

Giornalista: Signora, ma come! Ieri mi avete rilasciato…

Concettina: Niente!

Giornalista: Mi avevate promesso…

Concettina: Niente!

Antonio: (ancora a parte) Più lo guardo e meno mi convince. (rivolto al giornalista) Dite che mia moglie vi ha rilasciato, che vi ha promesso. Non potete essere più chiaro? E poi, si può sapere chi diavolo siete?

Giornalista: Che parole grosse! Non vi innervosite. Certo voi siete il signor Antonio. Innanzitutto vengo a congratularmi con la signora per la grossa vincita.

Antonio: Questo è vero. Quarantaduemila e cinquecento euro, più di ottanta milioni, addirittura.

Giornalista: Ma, volete prendermi in giro?

Concettina: Ma no, chi vi vuole sfottere. Ha ragione mio marito. Una bella vincita (fa segno al giornalista di stare zitto)

Giornalista: (non ha capito il gesto che Concettina continua a ripetere) Scusate, ma non avete letto il giornale?

Antonio: Ho letto sì!

Giornalista: Ma non avete fatto attenzione

Antonio: (a parte) Sento un odore, che so’ una puzza che comincia a diventarmi familiare. (rivolto al Giornalista) Attenzione a che?

Giornalista: Alle giocate fatte, io ho consigliato, le ho viste.

Concettina: (disperata) Entrate senza permesso, vi pigliate tutta questa confidenza, non capite quando si deve parlare e quando non si deve. E che demonio di capa!

Antonio: Un momento Concettì. Ho sentito parlare di giocate e non di una giocata sola.

Concettina: Ma quelli, i giornalisti, esagerano sempre

Giornalista: Non esagero e non diffamiamo la categoria dei giornalisti alla quale mi onoro di appartenere. Su quel terno la signora ha fatto dieci giocate da dieci euro. Cento euro in tutto. Per cui la vincita è….

Antonio: Quattrocentoventicinquemila euro.

Giornalista: Precisamente. La signora aveva fatto una sola giocata ed io ho avuto diciamo…non solo il merito di averla spronata a fare le altre nove giocate ma di avergli anche fatto da scorta fino alla cassa.

Antonio: E così voi siete un giornalista.

Giornalista: Per servirla signor Antonio. Io ho scritto l’articolo di giornale che stavate leggendo. Un capolavoro.

Antonio: E ve ne vantate?

Giornalista: Certamente.

Antonio: Siete voi il giornalista al quale Concettina ha rilasciato l’intervista.

Giornalista: Precisamente.

Antonio: Cosa vi aveva promesso mia moglie?

Giornalista: Se ci fosse stata una vincita, un’intervista esclusiva con voi e con tutta la famiglia.

Concettina: Ma veramente…

Antonio: Concettì, le promesse sono promesse e vanno mantenute, altrimenti si perde l’onorabilità

Giornalista: Vi ringrazio. E poi la vincita c’è stata…

Antonio: Accomodatevi. (lo fa sedere in poltrona) Permettete un momento. Vado e torno, non posso rilasciare una intervista così. Mi debbo preparare, mi debbo mettere la divisa da intervistato (esce)

Giornalista: Ma che dice? Non capisco…

Concettina: (Appena Antonio è uscito) Parlare con voi e parlare con un muro è uguale!

Giornalista: Non capisco…

Concettina: Gli avete dovuto spiattellare proprio tutto?

Giornalista: Non capisco. Tutto che cosa?

Concettina: A questo gli si è incantato il disco “non capisco, non capisco…” Tenete una capa di legno! Vi ho fatto segno di stare zitto e voi…”Non una ma dieci giocate da dieci euro” Avete capito ora?

Giornalista: Il Signor Antonio sapeva soltanto di una giocata?

Maria: Finalmente ci è arrivato, con l’ultimo treno!

Lucia: Meglio tardi che mai. Mamma, ma tu…

Concettina: Non l’ho detto a papà perché quelle nove giocate sono le mie. Già ho disposto tutto.

Giornalista: Cosa avete disposto?

Concettina: Le interviste sono finite. Questa è cosa mia e di Antonio.

Antonio: (torna in scena tutto vestito di bianco, con il sedile del Water attorno al collo) Eccomi qua. Pronto per l’intervista.

Lucia: Papà, ma come ti sei conciato?

Concettina: Vuoi vendere i gelati stamattina?

Antonio: A questo ci pensiamo dopo. Ora l’intervista. Caro signor giornalista, o chi diavolo siete voi, dopo esservi preso la libertà di avermi gettato addosso il ridicolo per tutta Napoli cos’altro volete sapere?

Giornalista: Ma io…Veramente…Chiedo scusa…Non potevo sapere che non sapevate delle altre nove giocate…

Antonio: Vi siete presa la soddisfazione di avermi visto così? Eccomi, mi sono messo tale e quale nel sogno.

Giornalista: Davvero eravate così, interessante, dite.

Antonio: Vi dovete contentare. Da questo momento qui non ci sta più niente di interessante per voi.

Giornalista: Ma i soldi della vincita…Tutti quei soldi…

Antonio: Sono pronto a scommettere che voi non avete giocato.

Giornalista: Infatti. Non ho avuto il tempo

Antonio: O non avete creduto. Non credere è quello che frega tutti quelli come voi

Giornalista: I soldi della vincita, come li impiegherete?

Concettina: (interviene) Proprio non capite o fate finta di non capire. Ho detto che questa è cosa mia e di mio marito. Su questo argomento le interviste sono finite.

Giornalista: Tolgo il disturbo (fa per andarsene)

Antonio: (lo ferma e lo costringe a stare seduto sulla poltrona) Signor chi diavolo siete, ora l’intervista ve la facc’io. Come fate a nascondere la coda? Ve la legate intorno alla vita o la tenete azzeccata stretta ad una gamba?

Giornalista: Non capisco…

Antonio: La marca di deodorante che usate qual è? Comunque, per quanto buono, ‘a puzza si sente uguale.

Giornalista: Ora offendete

Antonio: E’ chiaro che voi tenet’e corna. Come le nascondete?

Giornalista: Ancora! Ma cosa dite?

Antonio: E’ importante saperlo perché mo’ viene il bello! Potrei farvi male…

Giornalista: Ma io me ne vado. Non tollero (fa per alzarsi ma Antonio lo costringe a stare seduto)…

Antonio: Tollerate le mazzate?

Giornalista: No, non oserete veramente…

Antonio: Non mi mettete alla prova (Si toglie il coperchio del water e lo infila al giornalista) Ecco. Così abbiamo messo le cose a posto. Ora potete andare. (si sposta e lo lascia alzare)

Giornalista: (Alzato, fronteggia Antonio ma parla un po’ incerto nella voce) Sentirete ancora parlare di me, voi non sapete chi sono!

Antonio: Chi diavolo siete oramai lo sappiamo tutti. Lasciatevelo dire. Così come state siete proprio un cesso di demonio!

Maria, Lucia, Concettina: (rivolte al Giornalista che se ne va) Tene ‘a coda fra le gambe. Si è messo scuorno. E’ proprio un cesso di demonio.

Antonio: Marì, Lucia, fatem’o piacere e lasciatemi solo con vostra madre. (Le ragazze escono)

Concettina: (Concettina e Antonio siedono vicini) Antò, scusa. Come ti avevo detto, è proprio lui che mi ha spinto a fare le altre giocate. Ho fatto del tutto per convincerlo che tu sapevi di una giocata sola, ma quello tiene una capa così tosta! Per me lo faceva apposta a non capire.

Antonio: E’ uno specialista in pentole! Ma i coperchi non li sa proprio fare! In banca com’è andata?

Concettina: Tutto come avevamo deciso e molto di più. Quello, il direttore, ha detto che provvede lui all’incasso delle vincite e che apre tre conti intestati alle ragazze. Si interessa pure a prenotare la crociera per noi e per dare in beneficenza quello che abbiamo stabilito.

Antonio: Il resto della vincita?

(non visto rientra in scena il diavolo e si mette dietro i due seguendone con interesse la conversazione)

Concettina: Quello, il direttore è proprio una brava persona. Fa tutto lui. Ha detto che i soldi sono assai e che potranno dare frutto se seguiamo il suo consiglio.

Antonio: Veramente dici?  Cosa ti ha consigliato?

Concettina: Ha detto che ci compera…vediamo si ‘o saccio dicere… Ecco. Compera una cosa complicata, azioni o obbligazioni. Non tutte uguali, ha detto. (imitando una voce professionale) Bisogna differenziare l’investimento. Insomma siamo ricchi. Siamo azionisti.

Antonio: Che vuoi dire? Che significa azionista?

Diavolo: (a parte, rivolto verso il pubblico) Ora ve lo faccio vedere io cosa vuol dire mettere la mia coda di mezzo!

Concettina: Significa che abbiamo comperato ‘nu piezz’e fabbrica.

Antonio: Veramente. Quale fabbrica?

Concettina: Roba seria. Un po’ di Cirio, si quella che fa ‘a pummarola, un po’ di Parmalat, quella che fa ‘e merendine che piacciono tanto ai pupi. Aggio firmato ‘nu quintale ‘e carte. Proprio con questa manella.

Diavolo: La stessa manella. Sempre lei. Serviti di barba e capelli! Pezzenti eravate e pezzenti resterete! (esce di scena ridendo).

Antonio: Hai sentito ridere?

Concettina: Saranno ‘e creature. Jamm’Anto’…

Antonio: (la ferma) C’è solo più una cosa Concettì.

Concettina: Dici Antò

Antonio: Ma ora che mi hai visto vestito così…Non ti ricordi niente?

Concettina: Mi ricordo di quando avevi trovato da fare quel lavoro nel forno, la notte. Lo straordinario, dicevi; per pagare il debito fatto per il matrimonio di nostra figlia Assuntina.

Antonio: No Concettì. Il fatto è che mentre sistemavo il giornalista, mi sono ricordato tutto nei dettagli e mi si è aperta la mente.

Concettina: Cosa è stato, non mi fare stare in curiosità.

Antonio: Nel sogno stavano vicino a me tante persone, le ragazze dell’incidente che erano tal’e quale a Maria e Lucia, quella povera guagliona di Marinella di Vico Santa Teresina e Marcello, ‘nu poro pezzente al quale avevo fatto un torto.

Concettina: Ora mi spiego tante cose.

Antonio: Ci stavano anche un diavolo e un angelo. ‘O diavolo, che ti devo dire, assomigliava a Oreste, l’idraulico ma era pure tal’e quale a questo giornalista e l’angelo…

Concettina: Hai visto veramente un angelo?

Antonio: Con i miei occhi. Come mo’ ved’a te! Il mio angelo custode.

Concettina: E comm’era? Teneva le ali, il tonacone bianco? Volava intorno?

Antonio: (si alza) Mo’ ten’a capa tosta pure tu? Quell’angelo era un bell’angelo, l’angelo più bello che si possa pensare. L’unica cosa è che teneva una manella imprevedibile. Però è una manella che m’ha fatto ricco, non per i soldi. (prende Concetta per mano e la fa alzare) Concettì, niente ali e niente tonaconi, l’angelo mio sei tu! (abbraccia la moglie)

Sipario.