A PROPOSITO DI UNA SIGNORA
Sergio Velitti
A proposito del personaggio
Leontina Z. già contessa di B. è un gentile fantasma di quasi quattro anni. Come età reale possiamo tenerci sui trentacin-que anni: se attribuiamo a Leontina l'età che aveva quando mori. Fu donna graziosa, svagata. Fu — fino a un certo punto della sua vita — una donna onesta. Quando decise di non esserlo più il caso glielo impedì. E que-sto è un cruccio deliziosamente femminile del nostro fan-tasma. Quando tutto tace nella casa che fu già sua, Leontina ritorna, va e viene, suggerisce pensieri al vedovo marito, Stefano, che dorme e russa e non sospetta tanto movimento nella stanza da letto. Leontina è infatti inquieta. Morendo, oltre a non poter fare ciò che aveva in animo di compiere, nemmeno ha detto tutto ciò che aveva da dire al suo signor marito. Ha taciuto da viva. Parla da morta. Tutto sommato è un fan-tasma rispettabile. Vale la pena di ascoltare la nostra Leontina. È una donnina deliziosa che dice con graziosa voce cose non prive di spirito. Malizia, civetteria, femminilità albergano ancora in lei. È forse più viva adesso, adesso ch'è morta? È comunque una donna, una signora. Non disturbiamola: la-sciamola fare. L'abito che indossa è quello che aveva la sera dell’incidente ». E con quell'abito è ritratta in una grande tela che è al centro di una parete nella stanza da letto di suo marito. È da questo quadro che Leontina discende qualche volta.
A proposito della scena
La stanza da letto del signor Stefano Z., impresario teatrale. A destra, seminascosta, l'alcova dove il signor Stefano dorme. E russa. Al centro un piccolo tavolo, una sedia. Sul tavolo una bottiglia di , cristallo e un bicchiere. A sinistra un piccolo trumeau ingombro di carte. Molte tende e velluti. Sulla parete di fondo un grande ritratto a figura naturale della de-funta signora Leontina. È in atto di movimento e tiene alto un cande-liere d'argento a quattro broccia. li tempo Una sera di primo inverno del 1870.
Qualche accordo di musica. Qualcosa di delicato, leggermente evo-cativo. Nel buio si alza il sipario. La camera del signor Stefano. Una pendola batte dodici colpi. Poiché, com'è d'obbligo, questa e l'ora dei fantasmi, Leontina discende dal quadro.
Leontina: (posando il candeliere sul tavolino) Questo candeliere. (Verso l'alcova dove Stefano dorme) Pesa, mio caro, cosa credete? Pesa. Che idea, la vostra, di farmi ritrarre con quest'accidenti in mano! Tutte voi, amico mio, tutte voi! E anche la posizione! Assurda, ecco. Assurda. Ma era così, no?, che vi piacevo di più. Un leggero atto di movimento, da castellana. Un po' teatrale, direi. Egoista. (Un tempo. Leontina ravvia con grazia le pieghe del suo abito. Di nuovo verso Stefano) Dormite? E già. Dormite. (Un tempo.) E russate. (Va allo specchio e continua a parlare) La morte mi ha privato di molti piaceri che intendevo offrirmi e farmi offrire, ma mi ha liberato di tanti fastidi! Quella, ad esempio, di ascoltarvi russare era una noia maiuscola. Stefano, marito mio, lasciate che ve lo dica: eravate uno strazio. Poiché voi, vedete, non vi contentavate di russare come un qualsiasi altro uomo afflitto da tale difetto. No. Il vostro era un russare compiaciuto, ricercato, con effetti e controcanti da concerto a corte. Volatine, svolazzi, ornata calligrafia. Se non vi avesse tentato il teatro avreste dovuto darvi alla composizione. In realtà avevate il potere di snervarmi. (Un sospiro, un leggero movimento. Siede con grazia.) Sono scesa per riposarmi un poco. È qualche tempo che non vi faccio visita. Tutto è in perfetto ordine, vedo. Ah! che stanza deliziosa è la vostra! O posso dire ancora « la nostra »? Si! calda, accogliente. Invitante. (Un sospiro.) Ma ormai! E anche voi, coricato in quel letto che un giorno fu anche il mio, mi fate una certa tenerezza. Caro Stefano! In realtà siete davvero un bell'uomo e malgrado i molti rimproveri che ho da farvi mi siete ancora molto caro. Non mi deste, complete, le gioie dell'amore — è vero — ma foste estremamente cortese con me. Esaudiste ogni mio capriccio e poi... quel vostro grazioso pensiero quotidiano d'inviarmi dei fiori bianchi aveva il potere di commuovermi. Ve ne sono davvero grata per allora. E poi avevate un modo cosi dolce di pronunciare il mio nome. Sembrava una carezza. Discreta. (Un sospiro.) Troppo, magari. Ma nessuno come voi sapeva chiamarmi cosi dolcemente: «Leontina...» (Si alza.) Vi porto notizie di me e vengo ad apprendere le ultime di questo mondo, che ho ormai abbandonato da tre, ma che dico, da quasi quattro anni. Dov'è il vostro diario? Nel trumeau? Guarderò poi, non c'è fretta. Che volete, Stefano caro. Sono ancora curiosa. No. Non sono ancora rassegnata. Si ha un bel dire che una volta defunti il nostro attaccamento per le cose terrene non ha più senso. Ne ha, sapete? Altro! Se la discrezione non fosse una virtù che ho carissima potrei dirvi di quelle cose! Ma sarei troppo generosa con voi. Curioso quale siete non vi parrebbe vero di aver certe notizie e ritrovandovele domani fresche nel cervello senza davvero potervene spiegare la provenienza, attribuireste il fatto alla vostra capacità di raziocinio e preveggenza di cui andate orgoglioso. Eccola un'altra noia della quale ringrazio il cielo di essermi liberata. La vostra presunzione di uomo riflessivo, ponderato. Il vostro gusto irriducibile dell'organizzazione! Io mi chiedo come il prossimo vi sopporti. Passi io, che ero vostra moglie. Ma gli altri? Organizzare. Il vostro verbo preferito. Verbo che diventava l'aggettivo principe di ogni concetto, di ogni pensiero. Capisco che la vostra professione di impresario di teatro, mondo quanto mai confuso, vi spingeva a questa abitudine. Ma voi avete ecceduto, mio caro e, a quanto mi è dato di sapere, continuate a eccedere. L'abitudine che diviene vizio è riprovevole. Per voi la parola « lavoro » non ha senso. Concepite invece « lavoro organizzato ». « Pranzare » : « organizzare un pranzo ». « Amore » tout court non aveva senso per voi. « Amore organizzato ». Appresi la malinconica gioia dei sabato sera. Organizzaste anche questo. Il sabato. Talvolta la domenica, se il lunedì era festa. Non avete mai pensato che anche il mercoledì o il giovedì io avrei potuto desiderare di...? Come vi trovavo ridicolo, mio caro Stefano! Avevate l'aria di volermi spiegare anche come si respira, come si cammina. Se avevate bisogno di una bottiglia di lavanda non vi bastava dirmi « Leontina, sono a corto di lavanda. Compratemene » ma dovevate spiegarmi dove dovevo comprarla, quale l'ora in cui uscire di casa, quale la strada da percorrere, quale il negozio ove recarmi. Come fossi una stupida. Questo mi offendeva moltissimo malgrado i vostri ripetuti « Leontina cara, Leontina amor mio ». Non ero stupida. (Un tempo.) Ero distratta. Questa fu una cosa che non mi perdonaste mai. Voi, Stefano, primo impresario del massimo teatro della nostra città, uomo d'ordine, mirabile esempio di come un individuo possa razionalizzare tempo e fantasia, aver per moglie una donna distratta! Ci perdeste il sonno a volte. (Un tempo, un sorriso.) E fu un bene, perché non dormendo non potevate russare. E io dormii. E poi scusate: alla fin fine non fui io a rimetterci? Non morii forse per un niente, per una stupida distrazione? E allora? (Una lacrima di stizza e di rimpianto.) D'accordo: anche voi ne avete sofferto ma io, se me lo concedete, ci rimisi qualcosa di più, non vi pare? (Siede sconsolata ma, al ricordo, s'è incattivita.) Non vi ho mai detto grazie per lo splendido funerale. Organizzato da voi, non c'è che dire... il trionfo della morte! Trop-pa gente per conto mio, e poi quei violini! Non dovevate farmi questo torto. Non mi piace la musica. Ma certo faceva un bell'effetto. Ero molto commossa anch'io. Mi facevo una pena! E grazie anche per le vostre lacrime. So che piangete ancora. Puntualmente: tutte le mattine per cinque minuti, aspettando la vostra colazione. E poi voi e soltanto voi spolverate il mio quadro. Vi prego di fare più attenzione quando mi passate il piumino sul viso... mah! ecco che riprendete a russare. (Verso l'alcova) Se provaste sul fianco destro? Ecco... bravo... cosi. (Leontina gironzola per la stanza. Osserva sul trumeau un piccolo ritratto.) La Gonfalonieri?! Non è la Gonfalonieri, questa? (Irritata e sorpresa sarebbe dir poco: co-munque Leontina reagisce) Stefano... Stefano, non mi direte che? Non me lo dite ma lo immagino. (Decisa) Bèh, no, signor mio. Non ve lo concedo. Se voi credete che io vi permetterò di sostituirmi con una donna del genere vi sbagliate di grosso. Amico mio, quando si è stati, e lasciatevelo dire, immeritatamente, il marito di una donna come me, bisogna stare molto attenti in seguito. (Con malignità) e poi ha il seno finto: e a voi le donne senza seno fanno schifo. Ed è stata l'amica dell'Arardi, non lo sapevate? Non vorrete prendere i suoi scarti, vero? (Un tempo.) Molto bene. So che domani mattina controllerete. (Ripone il ritratto e lo saluta) Addio, mia cara. Fra dieci ore sarai morta nel cuore di Stefano. Morta davvero. Tè lo garantisco. (Torna verso l'alcova) Mi avete sempre organizzata voi, mio caro, permettetemi di ricambiarvi la cortesia. Come si dice: il matrimonio è un contratto di mutua assistenza. (Riflettendo) Finché morte non vi divida. (Un sorriso.) Ma io sono cosi poco morta. Per gli altri non nego, ma per me stessa e per voi, amico mio, non lo sarò mai abbastanza.E vi ripeto: ho intatte le mie voglie. (Siede. È evidente che ha qualcosa da dire di una certa importanza) Sapete... Stefano... c’è una cosa che dovrete pur sapere prima o poi. Ho deciso di dirvela io stasera. Mentre riposate. Ve ne rimarrà un vago ricordo domani svegliandovi non basterà. Riannoderete il filo. Se poteste farlo mi chiedereste forse il perché di questa confessione. E non sarebbe facile rispondervi. Perché una donna si confessa? Al proprio marito, poi? Bene. Se fossi viva sarebbe un'imprudenza ma poiché non ho da sopportare nessuna conseguenza nulla mi impe-disce di farlo. E ho i miei motivi, vedrete. Intanto voglio dirvi questo. Ho scoperto che voi uomini non sapete far parlare una donna. Non avete i mezzi intelligenti per conoscere le sue nascoste verità. Gli è che voi uomini, voi amanti, voi mariti non avete scoperto il nostro punto, come dire di crisi Quando siamo nude. Ecco. Quando siamo nude non dico che parleremmo volentieri ma non sapremmo impedircelo. Appunto perché nude, indifese, totalmente alla mercè della vostra virilità noi ci sentiamo — e come ci piace! — deboli. In tutto. (Un tempo.) Ma fortunatamente voi avete in quei momenti la testa ad altro. Se pure avete una testa in quei momenti. Ci date dunque il tempo di ricoprirci, di pettinarci ed è allora immancabilmente che fate due cose. Sempre le stesse. Accendete un sigaro e fate delle domande. Passi per il sigaro ma in quanto a domandare, voler sapere... ebbene è troppo tardi. Appena avuto il corpo vorreste l'anima. L'abilità sta nel cogliere le due cose insieme. Se non ne siete capaci... non è colpa nostra. (Un tempo, quasi un'esitazione. Ma poi, con molta decisione) Dicevamo la mia confessione, Stefano caro. Eccovela. Intera. Stefano: io non vi sono stata fedele. Vi ho tradito. Si. Vi ho tradito, amico mio. Cioè. (Un tempo.) Cioè... volevo... volevo tradirvi. (Rapidamente) La fatalità. La fatalità e soltanto la fatalità me lo ha impedito. Ma potenzialmente voi siete stato, come si dice... voi siete stato un ...ecco. Appunto. (Un sospiro.) Ne ho sofferto io per prima, cosa credete? Uomo di poca fede. E ho resistito. Poi... voi sapete come vanno queste cose: si ha un bei resistere quando in realtà non si desidera che di cedere. Cosi ho ceduto. Cioè. (Un tempo, un sospiro.) Cioè... stavo per cedere. (Un sorriso.) Mi pare di sentirvi: «Con chi? Leontina, esigo il nome.» (Dura) Esigete un bei niente! (Di nuovo cortese) Ma che importa, mio caro Stefano, il nome del peccatore? È già abba-stanza saporoso quello del peccato. Pronunciate, pronunciate con me: adulterio. Splendido vocabolo. E tutte le altre frasi di condanna al riguardo? Deliziose! « Tu non commetterai adulterio... » « Guai all'adultera... » Noi donne non abbiamo poi grandi ambizioni: concedetemi dunque questa: di aver desiderato d'essere un'adultera. Una peccatrice. Ne avevo tanto sentito parlare. Ah! Se le virtù avessero la stessa pubblicità del peccato noi donne impazziremmo per la virtù. E invece! Colpa dei poeti, degli scrittori, dei drammaturghi. Colpa degli artisti! Ma voi uomini avete anche creato una bruttissima parola per condannare una donna che... che diciamo... scivola. Infatti di una donna che tradisce si dice « sgualdrina ». E perché mai invece di un uomo che commette lo stesso peccato si dice al massimo « libertino... caposcarico... » Non è carino, ne gentile. (Un sorriso dopo una rapida riflessione.) Per fortuna esiste il rovescio della medaglia. Eh, si, mio caro. L'abbiamo anche noi la parolina per colpirvi. Riflettete. Infatti cosa si dice di una donna ingannata? Questo semplicemente: che è una donna tradita. E la si compiange. (Lentamente, con malizia) Invece... di un uomo ingannato si dice: «che gran cornuto » e lo si deride. Questo discorso, Stefano caro, è necessario poiché evitando, come spero, di pensare che io sono una sgualdrina, eviterete anche come conseguenza di affibbiarvi del cornuto. Meglio dire che il nostro matrimonio ha avuto un incidente. E lievissimo poiché io, ve lo ripeto, non ho consumato. Non per mia virtù, sia chiaro. (Con rabbia) Per la mia maledetta distrazione. Perché proprio quella sera che al posto del cordiale mi capitò di bere il veleno, ebbene... proprio quella sera avevo deciso di darmi a Gianfìlippo... oh! M'è scappato il nome. (Una pausa.) Ebbene, si. Si trattava proprio di lui. Non ci sareste mai arrivato da solo. (Un tempo.) Perché Gianfilippo? Be'... e perché non lui? Perché un altro? In realtà non è stato a caso. È stato per un riguardo verso di voi. Sicuro. Un riguardo. Io ho notato che voi uomini siete cosi strani... ma cosi strani. La prima cosa che volete sapere è con chi. Evidentemente valutate l'offesa a seconda del nome. Bene: io ho tenuto conto di questo. Osate, se potete, farmene un rimprovero. Avendo deciso di trasformarmi da virtuosa in adultera ho avuto nei vostri riguardi questa estrema delicatezza. Mi sono chiesta: « Chi, chi dispiacerebbe meno a Stefano? » Ho scartato subito Gianfranco. Vostro concorrente in teatro. La preferenza sarebbe stata doppia e doppia l'offesa.L'ho scartato. Luigi, nemmeno. Era magro. Voi siete, diciamo, robusto. Vi avrebbe colto il pensiero di essere grasso e mi avreste odiata il doppio. Ho scartato anche lui. Ho scelto Gianfilippo. Un impiegato di concetto a poche lire il mese. Suo unico pregio. Dei grandi occhi malinconici. Ma anche voi, e lo sapete, avete degli splendidi occhi. Inoltre Gianfilippo veste male, è meno intelligente di voi, è un gaffeur nato mentre voi, Stefano, siete uno squisito uomo di mondo. Ho pensato: caso mai Stefano scoprisse la cosa avrebbe il conforto di dire : « Quello là? E cosa ci ha trovato? » II fatto di saperlo sicuramente inferiore a voi, di non potergli in co-scienza invidiare nulla, ero sicura vi avrebbe fatto soffrire di meno. Avreste detto : « Leontina, sei una pazza » e mi avreste compatita. Non è cosi? Sbaglio? No. Non sbaglio. Forse sulle prime, nell'impeto dell'ira... mi avreste dato ugualmente della sgualdrina ma in quanto a voi, vi sareste sentito meno... appunto : meno. Può una buona moglie far di più? Non può. Non è facile essere una buona moglie adultera. E una Leontina quale io ero non la troverete più. Mai più. (Si è commossa, la povera cara, e singhiozza. Poi, grazie a Dio, si riprende.) Bene, si sta facendo tardi e io purtroppo non posso trattenermi a lungo. (Va verso il trumeau.) Non ho ancora dato un'occhiata al vostro diario e sono curiosissima di sapere quanto ci è accaduto ultimamente. (Ha trovato un piccolo volume e lo sfoglia.) Questo già l'ho letto. Vediamo: sei dicembre. A cena col sovrintendente. Si è parlato di politica e della questione polacca. 7 dicembre pagina quasi bianca. C'è solo una parola: rimorso. (Verso l'alcova) Oh, povero caro! Rimorso, voi? Il sette dicembre? E perché mai? Vi sono stata troppo lontana in questo periodo... vi chiedo perdono. (Riprende a sfogliare il diario.) 8 dicembre. Oblazione alle Suore di Sant'Orsola. È giusto. Festa della Madonna. Bravo, Stefano. Ore sedici. Organizzare manifestazione di simpatia per il signor Giacomo. Giacomo? Ma se lo odiavate a morte? (Continua a leggere) II signor Giacomo appoggerà in consiglio la mia carica a sovrintendente il 20 dicembre. Ma è domani il 20 dicembre! Caro Stetano come sono felice per voi! Eccovi giunto al posto che desideravate! I miei complimenti. (Riprende a leggere) 11 dicembre. Notte tremenda. Sognato di Leontina. Rimorso ossessionante... Francamente non vi capisco. (Legge in silenzio e alla fine getta un piccolo grido. Si alza e legge a voce alta) 15 dicembre. Rimorso, la morte di Leontina mi ossessiona. Dio, perdonami! Io impazzisco! Ma perché rimorso, Stefano caro? (Rapidamente) Non ce lo avete messo voi il veleno nel bicchiere... (E qui si blocca. Un dubbio atroce per la povera Leontina)... Eh!?!... Calma Leontina, calma. (Con voce serena) Stefano... (Ma poi crolla) No... è impossibile. Controllerò subito. (Si muove per la stanza. Va al trumeau e rovista nei cassetti.) Dove sono i vostri vecchi diari? No. Questo nemmeno. Eccolo: il diario di quattro anni fa. La data, presto. Quando sono morta? Accidenti! Deve essere scritto sotto il quadro. (Va al quadro.) Diciotto febbraio. (Torna e sfoglia il diario.) Tredici, quattordici, diciotto. Il diciotto la pagina è in bianco. Vediamo il diciassette. (Un momento di silenzio, poi sedendo legge a voce alta) II piano è pronto. Sono indeciso ma troverò il coraggio. Organizzazione perfetta. Leontina morrà. Non le permetterò di tradirmi con quel cretino di Gianfilippo. Se si risapesse, la mia carriera sarebbe compromessa. Coraggio, cuor mio, e addio Leontina... (Leontina lascia cadere il diario a terra. È distrutta. Povera cara: non ha tutti i torti.Ma la reazione non si fa attendere) Voi! Voi! Voi! Schifosissimo verme. Traditore ignobile. Vi odio, mi capite, vi odio! La sua carriera, si è mai sentita una cosa più cretina? Siete un lurido assassino! E ha avuto l'impudenza di far venire i violini al mio funerale! E io mi sono anche commossa vedendovi cosi pallido, cosi vestito di nero... Dunque non è stato un errore! Avete sostituito voi il cordiale con l'arsenico! (Si sente mancare, ma essendo un fantasma la cosa ha dell'improbabile.) No... non posso svenire! Vi punirò. Ah se vi punirò! Domani, dunque, voi dovreste diventare sovrintendente, eh? Non ci sarà domani per voi. Ve lo impedirò. Cosi come voi, oltre che privarmi della vita mi avete negato di essere un'adultera, anch'io vi priverò dei due piaceri: la vita e la sovrintendenza... (Isterica) E finitela di russare! Mi date sui nervi! (Va al trumeau e torna con una boccettina) Ecco l'arsenico. Ma non voglio sbagliare. (Ne beve un sorso.) Si è lui. Ricordo questo sapore senza sapore. Lasciatemi organizzare, mio caro Stefano. (Va al tavolino.) Questo è il vostro bicchiere: pronto con l'acqua zuccherata... caso mai vi svegliaste e aveste sete... ma voi vi sveglierete, vero, caro? Come sempre: tra le due e le tre del mattino. (Versa qualche goccia di veleno nel bicchiere) Et voilà. Sentirete com'è buona quest'acqua zuccherata! (Prende il candeliere.) Ma questo è nulla in confronto a quello che vi attende lassù! A domani, mio caro, a domani!
Tutte le luci si abbassano. Leontina rientra nel quadro. Immobile. Luce soltanto sul viso di Leontina e in avanti sul bicchiere mentre dal cielo discende lenta e solenne una marcia funebre. Violini.