Affari di stato

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AFFARI DI STATO

 


Commedia in tre atti

diLouis Verneuil

Titolo originale dell'opera: AFFAIRS OF STATE

Versione italiana di Ada Salvatore

Da IL DRAMMA n. 198 del 1° febbraio 1954.

LE PERSONE

FILIPPO RUSSEL

COSTANZA RUTSSEL

GIORGIO HENDERSON

IRENE ELLIOT

BYRON WINKLER

LORENZO

La grande stanza di soggiorno in casa di Giorgio Henderson a Chevy Chase, a una quindicina di chilometri da Washington. In fondo, a destra, ad angolo, grande balcone a quattro pannelli a cui si accede mediante tre gradini. Il bal­cone apre su una terrazza che dà nel giardino. Sul davanti, a destra una finestra che affaccia essa pure nel giardino. A sinistra in fondo, porta a due battenti con due gradini che mette nell'anticamera. Sul davanti, porta che dà nella biblioteca, e poi nella sala da pranzo e nel rimanente della casa.

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

(Fra le due porte, a sinistra un piccolo bar. In fondo, in centro, quattro o cinque scaffali pieni di libri rilegati. In centro, verso sinistra grande tavola rettangolare circondata da tre seggioloni: uno die­tro, due ai lati. Una panchina imbottita, lunga come la tavola, con braccioli ma senza spalliera, è davanti alla tavola. Un altro seggiolone può essere vicino alla porta che è a sinistra sul davanti. A destra davanti alla finestra, scrivania di media grandezza, con sopra i soliti oggetti fra cui lampada e telefono. Una sedia da scrivania fra questa e la finestra; una poltrona a sinistra della scrivania; uno sgabello quadrato imbottito davanti alla scrivania. In fondo, sotto agli scaffali, un « sommier ». Ai due lati di questo, due tavolini rotondi, su ognuno dei quali una grande lampada, davanti a questo divano, un tavolino basso rettangolare per il caffè. Due specchi alle pareti: tino fra la finestra e il balcone, l'altro davanti, a destra della finestra. Dal soffitto pende un grande lampadario. Durante questo quadro due battenti del balcone sono aperti e le tende tirate. È verso la metà di luglio. Pome­riggio: circa le diciotto. Il sole splende ancora attra­verso la finestra. Filippo Russel è solo, seduto in cen­tro, a destra della tavola. Legge un giornale ed ha da­vanti un bicchiere con whisky e soda. Entra Lorenzo da sinistra, chiude la porta e tossisce).

Filippo         — Che c'è, Lorenzo? Altre visite?

Lorenzo      — No, signor Russel. Il telefono.

Filippo         — Vi ho detto che non rispondevo più a nessuno.

Lorenzo      — Ma credo che questa volta...  È la Casa Bianca.

Filippo         — Dipende. Chi chiama?

Lorenzo      — Il Presidente.

Filippo         — In questo caso...

(Accenna a Lorenzo che gli dia la comunicazione. Va al telefono, prende il ricevitore e siede alla sedia della scrivania por­tando con sé il bicchiere e il giornale. Lorenzo esce da sinistra. Si sente il tintinnio del telefono)

Pron­to?... Sì... Come va, Harry?... Come avete fatto a rintracciarmi qui?... No: mia moglie ed io siamo ospiti di Giorgio Henderson finché la nostra casa non è pronta... Henderson? Ma sì, lo conoscete di certo... Ministro a Lisbona durante la guerra; poi è stato con me al Dipartimento di Stato. Adesso è al Senato; quando il vecchio Whitelaw è morto, il Governatore del Colorado gli ha affidato l'inca­rico fino alle prossime elezioni. Ma non credo che mi abbiate telefonato per avere una biografia del mio ospite! In che posso servirvi?... Domani alle tre?... Certo; ma mi pare di ricordarmi che avete accettato le mie dimissioni cinque mesi fa. Perché non vi rivolgete al mio successore? È Byron Winkler che deve prendersi questi grattacapi... Beh, se insistete...

(Dalla terrazza entra Costanza, eccitata).

Costanza    — Filippo, sei proprio l'uomo di cui meno ci si può fidare... (Vedendo che è al telefono) Oh,scusa... (Posa la borsetta sul sofà).

Filippo         (a Costanza) — Ssss, ssss!

Costanza    — Con chi stai parlando?

Filippo         (coprendo il microfono) — Col Presidente.

Costanza    (seccata) — Ancora? (A destra della scri­vania, si toglie i guanti).

Filippo         — Come vuoi che faccia?... (Al telefono) Pronto, pronto... No; è entrata mia moglie e pare che abbia qualcosa di spiacevole da dirmi... (Sorri­dendo) Avete ragione: una donna può aspettare per esprimere le proprie congratulazioni; ma non per esprimere le proprie critiche. Grazie. Le avevo detto che avrei preferito di no... Arrivederci, Harry. A domani. (Riattaccando) Ti manda i suoi compli­menti.

Costanza    — Molto gentile.

Filippo         (torna verso la tavola col suo bicchiere) — Ora, carissima, sono a tua disposizione, ansioso di sapere in che cosa ho potuto dispiacerti...

Costanza    (andando allo specchio) — Una domanda sola: lo sai che sono le sei passate?

Filippo         (guardando l'orologio da polso) — Infatti!

Costanza    (voltandogli le spalle e ravviandosi i ca­pelli) — E non eravamo d'accordo che mi avresti raggiunta dai Barlow alle quattro?

Filippo         — È vero. Scusami.

Costanza    (si toglie il cappello sempre davanti allo specchio) — Avevano invitato David Burch soltanto per farlo incontrare con te. Ho aspettato fino alle cinque e mezzo. Non ho fatto altro, tutto il tempo, che dire: «Certo sarà qui a momenti»... Immagini come mi sono sentita?

Filippo         — Come una donna il cui marito è stato trattenuto più di quanto credeva.

Costanza    — Tutto questo tempo  a  parlare col Presidente?

Filippo         — No; mi ha chiamato un momento prima che tu entrassi. Ma, oltre alla telefonata, ci sono stati due direttori di collegi, tre delegati delle Na­zioni Unite e un Governatore dell'Alabama.

Costanza    — Mi pareva che ti fossi ritirato dalla vita pubblica, no?

Filippo         — Tanta gente crede che io possa essere utile... Posso chiuder loro la porta in faccia?

Costanza    — Non è la tua porta ma quella di Giorgio... e questa sarebbe un'ottima scusa.

Filippo         — Come sarebbe a dire?

Costanza    (andando a posare guanti e cappello sul sofà) — Siamo ospiti di un amico... lontani dalla città... in piena estate... Tre ragioni che potrebbero benissimo evitarti tutti questi seccatori.

Filippo         (sorridendo) — Non ho parlato di politica neanche per cinque minuti. (Va a rimettere il bic­chiere sul mobile bar).

Costanza    — Non essere così... tecnico. Avevo sperato che le tue dimissioni mi avrebbero resti­tuito mio marito. Invece ti vedo meno di prima.

Filippo         (la guarda stupito) — Ma Costanza, cara... sono stupito... e lusingato...

Costanza    — Stupito che io mi senta sola?... e, magari, anche un pochino offesa?

Filippo         — Io ti ho offesa, Costanza?

Costanza    — No... ma quello che mi offende, dirò meglio, che mi ferisce, è la mia inutilità, la parte poco importante che rappresento nella tua vita.

Filippo         (dolcemente) — Cara! Dimentichi che io ho quasi sessantacinque anni e tu quaranta.

Costanza    (correggendolo) — Trentanove.

Filippo         (con un piccolo sorriso) — Già, è vero. (Continuando) Vorresti dire che tutto ad un tratto soffri per la mia... poca premura?

Costanza    —  Ad ogni modo, soffro della mia solitudine spirituale... (Stava camminando. Si ferma bruscamente) E poi... (Pausa) Filippo...

(Altra pausa. Evidentemente trova difficile proseguire. Va al bal­cone e chiude i due pannelli centrali).

Filippo         (sorpreso) — Non hai mica freddo?!

Costanza    (pausa. Mentre chiude) — No; ma quello che ti debbo dire non riguarda il giardiniere.

Filippo         — Che hai da dirmi?

Costanza    (cercando di essere molto calma e dolce) — Filippo, siamo oramai sposati da sedici anni... Credo di essere sempre stata una moglie irreprensibile...

Filippo         — Assolutamente.

Costanza    (lentamente, con un certo imbarazzo) — Eppure... tu mi conosci... la mia vita non è mai stata eccessivamente gaia... I tuoi amici erano, un tempo, dei grandi personaggi... ma quelli che sono stati capaci di sopravvivere, difficilmente sono ca­paci di stare svegli... E mi accorgo, con una certa pena, che fra non molto tempo comincerò anch'io ad invecchiare, senza aver goduto una vita piace­vole. E vorrei, prima che sia troppo tardi... cercare di vivere la mia vita più completamente. Filippo... vuoi darmi la mia libertà?

Filippo         (dopo una pausa) — Vuoi divorziare?

Costanza    — Tu puoi benissimo fare a meno di me.

Filippo         — Sei innamorata?

Costanza    (volgendosi altrove) — Che idea!

Filippo         — Quando una donna desidera la propria libertà, di solito è perché intende perderla nuovamente.

Costanza    (con dignità) — Finché sono stata... (Si corregge) Finché « sono »tua moglie, non potrei pensare ad un altro uomo.

Filippo         — Grazie, Costanza.

(Breve pausa. Filippo va verso il fondo, girando dietro alla poltrona in centro e viene di fronte a lei. Con bontà)

Allora, esaminiamo la cosa con attenzione... Quando persi la mia prima moglie, mi sentii tremendamente solo... Tu sembrasti comprenderlo... e mi mostrasti un af­fetto, una sollecitudine che mi commossero profon­damente... Avevo cinquant'anni... Tu ne avevi ventiquattro.

Costanza    — Ventitré.

Filippo         (sorridendo) — Già... (Continuando) Non avevo illusioni.  Tu non  potevi  essere follemente innamorata di un uomo che aveva cinque anni di più di tuo padre...

Costanza    (protestando) — Filippo!

Filippo         (seguitando) — Compresi che il mio nome, la mia posizione  e le fabbriche di  tessuti di mio nonno mi rendevano abbastanza attraente...

Costanza    (interrompendolo) — E la  tua intelli­genza... Il tuo carattere...

Filippo         — I vantaggi controbilanciavano il roman­zo che non potevo offrire!...

Costanza    — Non ho alcun rammarico.

Filippo         — Grazie.  Ma allora,  mia cara,  dovresti avere il coraggio  delle  tue convinzioni.  Quando una donna sceglie la strada che tu hai scelta, deve seguirla  sino   alla  fine.   (Siede sul seggiolone in centro dietro la tavola. Giocherella col fermacarte) Per sedici anni hai occupato una posizione sociale e politica che definirò unica... Ora che sono vec­chio... Che mi sono ritirato dall'agone...  Non sa­rebbe giusto che tu mi abbandonassi.

Costanza    — Filippo, questa conversazione non ha nessun rapporto col tuo ritiro dalla vita pubblica. Quando ti sposai non eri Segretario di Stato.

Filippo         — No; ma avevo... delle prospettive. (Sor­ridendo) Chi non ha delle prospettive, oggi?

Costanza    (seccata) — Nessuno.

Filippo         (insistendo dolcemente) — Ma pure, devi avere un motivo!...

Costanza    — Te l'ho detto.

Filippo         — Non mi è sembrato molto chiaro. E potrebbe sembrare ugualmente poco chiaro ad altri.

Costanza    — Non è cosa che riguarda altri.

Filippo         — Ma sì: riguarda sempre « gli altri »... Questo tribunale immediato che si chiama la Pub­blica Opinione. Sarebbe spietata verso di te... Tutte le cattive lingue di Washington ti si accanirebbero contro... I cronisti mondani ti bollerebbero nelle co­lonne di ogni giornaletto di provincia... (Si alza) No, mia cara; non ho il diritto di lasciarti commettere un errore così grave. Devi rimanere mia moglie. (Va verso il balcone. Sale un gradino) Se non lo fai per me, fallo per te stessa.

Costanza    (dopo una pausa) — È tutto quello che hai da dire?

Filippo         — Non basta?

Costanza    — E parli solo nel mio interesse?

Filippo         (con dolcezza) — No, Costanza... (Torna verso di lei e le prende una mano) Vedi, in tutti questi anni - come devi pur sapere - sono arrivato a provare per te un affetto profondo. Come potrebbe essere altrimenti?... Sei stata preziosa per me. Io ho fatto del mio meglio per procurarti una vita piacevole... Ed ho sempre creduto che il nostro fosse un matrimonio felice. E sai che non ve ne sono molti... Perché rinunciare improvvisamente a tutto, come se fosse stato un matrimonio sbagliato?

Costanza    (si scosta. Dopo una pausa) — Hai ra­gione. Non insisterò.

Filippo         — Ed io ti ringrazio. (Sorridendo) Posso riaprire la finestra?

Costanza    — Sì, per favore.

Filippo         — Ora che possiamo di nuovo respirare liberamente, tanto vale fare entrare un po' d'aria pura! (Riapre i due pannelli e guardando in giar­dino) Oh, Giorgio è tornato!

Giorgio       (entrando dal giardino, con una grossa car­tella in mano) — Buona sera, Filippo! Salve Co­stanza!

(Costanza va al bar).

Filippo         (in piedi dietro alla scrivania) — Salve, «senatore». Non sei esausto? Mi hanno detto che oggi il caldo, in città, era tremendo!

Giorgio       (sorride, mettendo sulla scrivania cartella e giornali) — C'è sempre un venticello piacevole, in Senato!... Ma fuori, era davvero torrido. Tu hai passato una buona giornata, Filippo?

Filippo         — Gente avanti e indietro, continuamente. Sono sicuro che questa bella casa non ha mai visto tanti... (Si volge a Costanza che sta preparando una bevanda per Giorgio) ...Come hai detto, Costanza? Seccatori.

Giorgio       —  Perché non  ha .mai  avuto un ospite così distinto!

(Passa davanti a Filippo e va verso il fondo. Costanza gli va incontro col bicchiere).

Filippo         — Ma la nostra casa sarà pronta fra non molto. (A Costanza) Vero, cara?

Costanza    — I decoratori dicono fra una settimana.

Filippo         — Vuol dire quindici giorni. E allora ti toglieremo il disturbo.

Giorgio       (tornando verso di lui) — E sarà molto malinconico, qui, senza voi due!

Filippo         — Ma dimmi, « senatore »:  non devi an­dare a rappezzare qualche cosa che non va, nel Colorado?

Giorgio       — Le elezioni primarie sono in settembre; ma sai benissimo che nessuno vota, all'infuori dei partiti dell'ordine.

Filippo         — Ho sentito che Jesse Crichton va in vacanza nel Colorado la settimana prossima. Non credi che farà una capatina al Quartier Generale del tuo partito?

Giorgio       (sorridendo) — Può darsi.

Filippo         (passa dietro a Giorgio e va ad appoggiarsi alla spalliera del seggiolone in centro. Sinceramente compiaciuto) — Beh, se il tuo presidente nazionale è per te, non c'è che da farti le congratulazioni! Come futuro candidato alla carica senatoriale, ti auguro molte felici elezioni!

Giorgio       — Grazie. (Cambiando tono) Jesse Crichton è una potenza, vero?

Filippo         — Puoi dirlo! E raramente mi è capitato di vederlo fallire quando ha voluto raggiungere qualcosa.

Giorgio       — Questo è incoraggiante.

Costanza   (si è seduta a destra della tavola. A Giorgio) — Avete fatto un discorso oggi?

Giorgio       —   Sì. Al banchetto della Associazione Politica dei Veterani.

Costanza    — Molta gente?

Giorgio       — Millecinquecento persone. (A Filippo) C'erano Elwood & Compton; così ho tagliato corto riguardo alla medicina socializzata.

Costanza    — Ah sì?

Giorgio       — Mi sono limitato ai «puri fatti», attac­cando l'ignoranza criminale del Segretario agli Interni...

Costanza    (stupita) — Credevo che foste molto amici!

Giorgio       — Lo siamo. (Sorridendo) Ho detto «la criminale ignoranza di un uomo che mi onoro di chiamare mio amico»!

Costanza    — Siete un « vero » senatore. (Ride).

Filippo         — Doveva esserci un venticello piacevole anche durante quel banchetto, a quanto pare! E Elwood non ha replicato?

Giorgio       (sorridendo) — Non ha potuto. Ho parlato fino al momento in cui tutti dovevano tornare al lavoro. Quando mi sono seduto, tutti se la sono svignata. (Va a posare il bicchiere sulla scrivania).

Filippo         (approvando) — Magnifico! Il primo scopo dell'eloquenza è di impedire che gli altri parlino.

(Lorenzo entra da sinistra con un biglietto su un vassoio)

Per me, Lorenzo? (Volgendosi verso Giorgio) Oh, scusami, Giorgio: potrebbe essere per te.

Lorenzo      — No, signor Russel: questo signore dice che lei lo aspettava alle sei e un quarto.

Filippo         (leggendo il biglietto) — Oh, Howard!... (A Lorenzo) Sì; fatelo accomodare in biblioteca. (Lorenzo esce. Filippo, volgendosi a Costanza e a Giorgio) Non si tratta davvero di politica. Howard viene a chiedermi consiglio sull'opportunità di pren­der moglie... Beh, fra matrimonio e politica non vi è poi tanta differenza! Molta gente che ne è fuori farebbe pazzie per starci dentro... e pochi di quelli che vi sono dentro desiderano di uscirne!

(Esce da sinistra. La porta viene chiusa. Giorgio e Costanza sono soli. Giorgio va dietro a Costanza e la bacia sul capo).

Giorgio       (a mezza voce) — Ebbene, gli hai parlato?

Costanza    (a mezza voce) — Sì.

Giorgio       — Ed ha rifiutato?...

Costanza    — Per il mio bene... nel mio interesse... Sai come rigira ogni cosa come gli pare...

Giorgio       — Lo so...

Costanza    — Una grande differenza di età è una cosa insormontabile!

Giorgio       — E perché non lo comprende?

Costanza    (con un po' di risentimento, guardando verso la porta da cui è uscito Filippo) — Oh, le capisce benissimo! Ma siccome sono io sola a soffrirne...

Giorgio       — Alla sua età non si rende conto...

Costanza    — E naturalmente, non ho potuto dirglielo!

Giorgio       — Avrebbe potuto essere un argomento decisivo...

Costanza    (prendendogli la mano) — Ma troppo crudele!... Ti amo, Giorgio; eppure... capisci... provo ancora verso Filippo1 un sentimento di gratitudine... una tenerezza che mi vieterà sempre di fare qua­lunque cosa che possa offenderlo.

Giorgio       — Non vorrei mai accusarti di questo. Sai quanto gli voglio bene anch'io. Oh, Costanza! Da quando sei venuta ad abitare in questa casa,  mi accolgo ogni giorno di più... che in te troverei tutto!

Costanza    — Che possiamo fare?

Giorgio       — Aspettare...

Costanza    — Per quanto tempo?

Giorgio       — Finché sarà necessario. Sai benissimo che io non cambierò mai...

Costanza    — Lo so, Giorgio...

(Irene appare in fondo a sinistra; è vestita assai modestamente e porta sotto il braccio una cartella. Giorgio va a sedere presso la scrivania).

Irene           (avanzando) — Salve, Costanza. Buona se­ra, senatore.

Giorgio       — Buonasera.

Costanza    — Come va, cara? Come mai sei arrivata qui?

Irene           — Con l'autobus.

Giorgio       — Oh, scusatemi, signorina Elliot...

Irene           — Di che?

Giorgio       — Sono venuto in macchina; avrei potuto condurvi con me. Se me lo aveste detto stamattina...

Irene           — Non lo sapevo neanch'io. Zio Filippo mi ha telefonato alle undici pregandomi di portargli questi documenti...

Costanza    — È di là a ricevere l'ultimo visitatore della giornata.   (Va alla scrivania per prendere il bicchiere di Giorgio).

Giorgio       — Ma dov'è miss Boyd?

Costanza    — È in vacanza.

Irene           — E durante la sua assenza, io aiuto lo zio. È molto più comodo per lui che dover mettere al corrente una sostituta... Tanto, io sto tutto il giorno nella sua biblioteca. (Va a sedersi sul banco accanto alla tavola, traendo dei fogli dalla cartella).

Costanza    (a Giorgio) — Non è straordinaria?

Irene           — Chi?

Costanza    — Tu, cara. (A Giorgio) Pensare: una ragazza di ventisette anni...

Irene           (correggendola) — Ventotto.

Costanza    (alzando le spalle) — Oh, un anno non fa differenza!  Beh,  insomma, diciamo pure ven-totto. Ed eccola lì a lavorare, per dieci mesi dell'anno, intenta ad un compito faticoso... (Va al bar col bicchiere di Giorgio).

Irene           — Perché credi che sia faticoso?

Costanza    — So che sei insegnante in una scuola a Minneapolis e non credo davvero che la tua vita sia troppo sollazzevole!

Irene           (mettendo dei fogli sulla tavola) — Proba­bilmente, a confronto di altre vite...

Costanza    (continuando, a Giorgio) — Ha questi due mesi di vacanza. E invece di andarsene in un bel posticino, insieme a persone della sua età, pre­ferisce il peggior clima che sia al mondo in estate, unicamente per mettere in ordine la biblioteca di mio marito. E non accetta un centesimo per questo lavoro.

Irene           — Perché dovrei? Zio Filippo ha almeno diecimila volumi... Non ce ne sono venti che siano al proprio posto. Mi tocca quindi schedarli tutti. È un modo magnifico di passare le vacanze!

Costanza    (sedendo) — E non hai mai voglia di distrarti... non so, di giuocare...

Irene           — Forse è la mancanza di pratica...

Costanza    — Come sarebbe a dire?

Irene           — Non ho mai avuto giocattoli; non lo sai? Quando erano  brutti non  mi  piacevano...   (Sorri­dendo) E quando erano belli li rompevo; sicché dovevo ripiegare sui libri!

Costanza    (a Giorgio) — È vera figlia di sua ma­dre! Mia sorella Virginia era eccezionalmente seria... Quelli che noi consideravamo divertimenti non l'hanno mai interessata. È lo stesso anche per te, no?

Irene           (dopo una piccola pausa) — Non ho mai avuto il tempo di domandarmelo.

Costanza    — Ma se te lo chiedessi?

Irene           — Finché scelgo come svago il lavoro...

Costanza    (a Giorgio) — È stupefacente! (A Irene) Perché non  ti  sposi? Immagino che qualcuno ti abbia fatto la corte?

Irene           (calma) — Suppongo.

Giorgio       (sorridendo) — Non ne siete sicura?

Irene           (sorridendo) — Probabilmente non ci ho ba­dato! Ho così poco tempo per le cose inutili!

Costanza    — Inutili?

Irene           (si alza, passa a sinistra e rimane in piedi vicino alla tavola dove prepara i documenti per Filippo) — Perciò preferisco i miei libri. Se uno non mi piace, lo chiudo e lo rimetto sullo scaffale. Non potrei far questo con un marito.

Costanza    — Ma i libri non possono bastarti per tutta la vita...

Giorgio       — Smettete di infastidirla, Costanza. (Si alza e va verso  Irene)  Siete una ragazza molto saggia, miss Elliot. Spero che rimarrete a pranzo con noi!

Costanza    (insistente) — Sì, Irene: devi rimanere. Sono già le sei e mezzo...

Irene           (semplicemente) — Ma non pensavo affatto di rifiutare. Rimango molto volentieri.

Costanza    (alzandosi) — Allora vado a chiamare Filippo avvertendolo che sei qui. (Passa davanti al banco ed esce da sinistra).

Giorgio       — E io dirò a Lorenzo di mettere un altro coperto e di sollecitare il pranzo... Le piccole gioie di uno scapolo... (Si alza e va verso la porta di sini­stra in fondo) Mi scusate se vi lascio sola, signorina?

Irene           (occupata con le sue carte) — Io ho sempre qualche cosa da fare.

(Giorgio esce. Irene rimane sola per un poco. Prende le riviste che sono sulla tavola e va a metterle sul ripiano inferiore del tavo­lino del caffè. Prende un libro che è su una pol­trona e lo rimette nello scaffala. Da sinistra entra Filippo).

Filippo         — Bimba mia!

Irene           (andandogli incontro tranquilla) — Zio Fi­lippo!

Filippo         (la bacia) — Come stai stasera? (La guarda) Un po' palliduccia... Lavori troppo!

Irene           (sorridendo) — Non ci pensare.

Filippo         — Ma sì che ci penso. Sei nipote di Co­stanza ma ti voglio bene come se fossi della mia famiglia. 

(Irene va a sedere sul seggiolone dietro alla tavola).

A che punto è la biblioteca?

Irene           — Quasi alla metà. Oggi ho smesso presto.

Filippo         — Forse l'odore della vernice ti dava fa­stidio?

Irene           — Un poco. Ma non è per questo... Ho avuto un invito a quel banchetto politico, allo Shoreham.

Filippo         (cominciando a esaminare i fogli) — Quello dove Giorgio ha fatto un discorso?

Irene           — Sì. Bellissimo.

Filippo         — Non mi stupisce. È un brillante oratore.

Irene           — E anche assai piacevole. Credo che sia il solo uomo politico che è bello, distinto e anche ben vestito.

Filippo         (si leva gli occhiali e la guarda sorridendo) — Bene, bene... Ti interessa, il senatore?

Irene           (immediatamente indifferente) — Zio Filippo!... Mi conosci bene! (Siede su un altro seggiolone).

Filippo         (senza insistere) — Oh sì lo so. (Le lancia un ultimo sguardo, divertito e torna a guardare i documenti)  Giorgio mi  ha detto di  aver parlato contro la medicina socializzata.

Irene            (correggendo qualche foglio) — Sì. Non l'avevo mai capita bene fino ad oggi.

Filippo         (sempre occupato dei fogli) — Sì... Farà una grande carriera... Strano che non si sia mai sposato... nella sua posizione!

Irene           — Me ne sono stupita anch'io.

Filippo         — Davvero?

Irene           — Ma ora non mi stupisce più.

Filippo         — No?

Irene           — Oggi, durante la colazione, ho sentito una spiegazione molto plausibile.

Filippo         — Cioè?

Irene           — Due signori che erano seduti alla mia tavola e pareva che conoscessero bene il senatore, lo hanno detto.

Filippo         (sempre guardando le sue carte) — Che cosa?

Irene           — Che è innamorato di una donna sposata e deve aspettare che essa sia libera.

Filippo         (alza lentamente la testa e si toglie gli oc­chiali) — Davvero? (Pausa. Riflette. Guarda verso il balcone. Sorride. Si volge a Irene) È buffo, quello che hai detto!

Irene           (stupita) — Buffo?... Perché?

Filippo         — Perché... (Si interrompe. Poi, per evi­tare di dir troppo) Aspettare che una donna sposata sia libera... significa aspettare che il marito muoia!

Irene           — Potrebbe divorziare.

Filippo         (pensieroso) — Già. Potrebbe. (Altra pausa. Guardando Irene) Chi potrebbe essere questa si­gnora?

Irene           (con un gesto di ignoranza) — Mah...

Filippo         — Non ne hai idea?

Irene           — No.

Filippo         — Non hanno fatto nemmeno una piccola allusione?

Irene           — Niente. Ho ascoltato con attenzione, ma non ho sentito altro!

Filippo         — Peccato.

Irene           — Perché?

Filippo         — Perché... (Si interrompe. Poi, rimedian­do, come prima) Perché voglio bene a Giorgio. E vorrei esser certo che quella donna è degna di lui. (Pausa) Pranzi qui stasera?

Irene           — Il senatore mi ha invitata.

Filippo         — È andato disopra?

Irene           — No. È andato ad avvertire Lorenzo per il pranzo.

Filippo         — Ah... (Pausa. Poi ad un tratto) Vuoi farmi un favore, tesoro? Andare da Giorgio, e chie­dergli se sa il numero del telefono privato di Eleonora Roosevelt?

Irene           — Vado. (Lo bacia. Si alza ed esce dalla porta in fondo).

Filippo         — Chi lo avrebbe immaginato.

(Riflette ancora, sorridendo. Si alza. Va verso il centro. Trae di tasca un taccuino e cerca un numero di telefono. Va al telefono e forma un numero)

Pronto... Il signor Jesse Crichton, per favore... Filippo Russe!... (Pausa) Jesse! Come va?... Benone, grazie... Sentite: mi hanno detto che cominciate il vostro giro nel  West dal Colorado. È vero che appoggerete Giorgio Henderson nelle elezioni primarie? Sì, è un ottimo   elemento, ma... Sì, vorrei parlare con voi prima che   prendiate una decisione in merito... Come? (Esclamando) Stasera? (in fretta) Rimandateli! Potete arrivarci in un paio d'ore con l'aereo di domani mattina... Sì, importantissimo! Benissimo; e per prima cosa domattina ci vediamo. Grazie infinite, Jesse.   Sì; e state sano. (Riattacca il microfono e torna lentamente alla tavola.

Entra Irene).

Irene           — Ecco il numero. Gramercy, 7-1166. (Gesto verso il telefono) Vuoi che chieda l'interstatale?

Filippo         (tira fuori un libro. Lo guarda e lo rimette a posto) — No, mia cara. Mi spiace averti distur­bata. Ho trovato il numero di Eleonora nel mio taccuino. Ho già chiamato. È assente per qualche giorno. (Pausa) Ora finisco di guardare queste carte. (Siede di nuovo alla tavola).

Irene           (sedendo) — Ti disturbo?

Filippo         (sorridendo) — Non ci pensare. Quando una persona mi disturba, me ne libero trovandole un posto migliore altrove. Ah, ah!

Irene           — Mi piace stare con te.

Filippo         — Anche a me piace... Sei tanto gaia e tanto giovane...

Irene           — Tu sei giovane come me.

Filippo         (sorridendo) — Diciamo che sono rimasto giovane più a lungo!

Irene           (ride. Poi) — Con tutte le tue responsabilità non ti ho mai visto irritato o sconvolto; e neanche nervoso!

Filippo         (pensieroso) — Le circostanze sono tal­mente più forti degli esseri umani, bimba mia! Perdere la testa significa perdere la partita... sempre! (Sorridendo) Credimi, Irene: possiamo domare la vita solo con la dolcezza e la gentilezza.

QUADRO SECONDO

(Dieci giorni dopo. Verso il venticinque luglio. Cir­ca le tre pomeridiane. I quattro pannelli del balcone sono spalancati. Tutta la parte destra della scena dà una certa impressione di « aria aperta». Il sole splende vivamente. Al levar del sipario Costanza è seduta a sinistra sulla sedia della scrivania, di faccia al pub­blico. Sta ricamando le proprie iniziali su una sciar­pa di seta bianca. Un cestino con l'occorrente per il ricamo è sulla scrivania accanto a lei. Giorgio è in piedi sui gradini del balcone e legge un giornale. Filippo è seduto a sinistra della tavola. Irene a de­stra della sedia della scrivania correggendo dei dat­tiloscritti. Quasi subito Giorgio scende dai gradini e getta nervosamente il giornale che stava leggendo sul tavolino da caffè. Poi va verso il centro).

Filippo         (a Giorgio con rimprovero) — Non devi prendertela tanto, Giorgio! Non ne vale la pena...

Giorgio       (cercando di dominarsi) — Se ti pare dav­vero...

Costanza    — Ma certo! Dopo tutto, la politica locale non è la vostra carriera. Fino all'inverno scorso siete sempre stato un diplomatico.

Giorgio       — Quello che mi sconcerta è il cambia­mento di Jesse Crichton! Fino a quindici giorni fa mi diceva che ero il suo candidato...

Filippo         (tranquillo) — Il Comitato dello Stato del Colorado non mangia tutto quello che gli viene porto dalla mano di Crichton... E se Jesse non è riuscito a convincerli, è ovvio che non può mettersi contro di loro.

Giorgio       (alzando le spalle) — Per appoggiare chi? Il signor Gionata Hayes? Una nullità che nessuno ha mai sentito nominare.

Costanza    — Eppure, potrebbe essere qualificato...

Giorgio       — Ho parlato con molte persone dello Stato. È tutto quello che vi può essere di più insi­gnificante. Gianni Handford dice che soffre di allergia contro il pensare...

(Irene ride discretamente)

Se il partito repubblicano ha il più lontano desiderio di vincere in queste elezioni... (Va sul davanti e a sinistra del banco).

Costanza    (cercando di calmarlo) — È il sindaco di Elkhorn Springs...

Giorgio       (fa spallucce sedendo sul banco) — Cin­quemila abitanti!

Costanza    (continuando) — Ed è la settima volta che si presenta alle primarie...

Filippo         (si alza e va lentamente alla tavola per prendere un dolcino. Ne prende due) — Il che indica per lo meno della perseveranza!

Giorgio       — E allora perché fino ad ora hanno sem­pre rifiutato di appoggiarlo?

Filippo         — Probabilmente avevano un candidato migliore.

Giorgio       — E questa volta no?

Filippo         — Forse no...

Giorgio       (annichilito) — Filippo!... Questo è quello che pensi di me?

Filippo         — Ho la migliore opinione di te, Giorgio; e lo sai benissimo... Ma la questione non è chi, fra te o il signor Hayes è più intelligente, ma chi dei due può avere maggior numero di voti... chi dei due è più adatto ad occupare il seggio per il Partito Repubblicano... E questo è ben diverso.

Giorgio       (incredulo) — E tu credi che gli elettori del Colorado preferiranno votare per Hayes?

Filippo         (vicino alla tavola) — Quelli bene infor­mati... no, naturalmente! Ma quanti sono? I cosid­detti elettori indipendenti di solito basano la loro scelta sulla biografia del candidato. Una biografia succinta: cinquanta parole in cui viene riassunta la sua vita e la sua carriera... E la verità è questa: che il signor Hayes piace più di te all'americano medio. Prendi una caramella. (Gliela offre).

Giorgio       (rifiutando) — Grazie. (Nervoso) Ma co­me?... Perché?

Filippo         — Perché siamo gente semplice, ragazzo mio. Siamo attaccati alle nostre tradizioni e ci inte­ressiamo molto alla vita privata dei nostri uomini pubblici!... L'americano ama sapere che i suoi rap­presentanti ufficiali conducono una vita di famiglia dignitosa e convenzionale!... (Si volge verso Costanza come per averne l'approvazione) Il classico esempio è la Presidenza. Immagini un candidato che faccia la grande campagna presidenziale senza avere con­tinuamente la moglie al fianco?... (Si volge di nuovo a Giorgio, quasi predicando) Una famiglia, Giorgio! Una famiglia è essenziale per chiunque chieda, negli Stati Uniti, i voti dei cittadini. Scusa, prendi una di queste: te l'ho offerta or ora. (Gli offre di nuovo le caramelle. Si muove fra il tavolino del caffè e il seggiolone in centro) Se non sbaglio, il signor Gionata Hayes è sposato da quarantadue anni. Sua moglie è Presidente della Croce Rossa di Elk­horn Springs e dell'Associazione dei pomeriggi culturali del Martedì... Durante la guerra dirigeva un centro di soccorso per i reduci... che - tra pa­rentesi - non ha mai soccorso nessuno; ma la sua intenzione era chiara! Hanno tre figlie: la mag­giore sposata con un ecclesiastico, la seconda col Primario di un ospedale cattolico e la terza col capo dell'Ufficio Legale di Abraham e Levi! (Sorridendo) Diciamolo pure: è un bel richiamo! Neanche l'uo­mo più intollerante potrebbe essere contrario al capo di una famiglia simile!

Giorgio       (impressionato) — Devo riconoscere che questo è giusto...

Filippo         — E tu, alla tua età, sei ancora celibe. Come vuoi sperare di competere con un candidato di quel genere? E in avvenire, caro Giorgio, dovrai sempre aspettarti una certa diffidenza e antagoni­smo... In questo paese un uomo che non è sposato è anormale, per definizione. Si cercano mille ra­gioni per questo... probabilmente infondate, ma sempre poco lusinghiere... A proposito: perché non ti sposi?

Giorgio       — Come?

Filippo         (cambia tono e batte leggermente sulla spalla di Giorgio) — Perché non ti sposi?

Giorgio       (si volge a lui, rimanendo sempre seduto sul banco, confuso) — Forse non ho trovato la donna adatta... (Ridendo per darsi un contegno) Probabilmente sono destinato a rimanere celibe!

Filippo         (bonario) — Come puoi dirlo? A volte la necessità impone di cambiare idea! E nel tuo caso, sono convinto che un mutamento è indispensabile... (Prende dalla tavola un giornale e lo dà a Giorgio indicandogli un articolo che evidentemente parla di Gionata Hayes) I repubblicani del Colorado te ne hanno dato una prova.

(Giorgio si alza, afferra il giornale, va in fondo alla scena e getta il giornale  sul tavolino da caffè)

Ora è troppo tardi, per queste elezioni... Ma ti si presenteranno altre oc­casioni... e nove volte «su nove» avrai il maggior successo se vi sarà una signora Henderson, se questa piacerà al pubblico... e se crederanno che tu la ami... ciò che non significa affatto che tu debba amarla! La pubblica opinione fabbrica da sé i par­ticolari...

(Sentendosi imbarazzata nell'udire tutto questo, Irene raccoglie silenziosamente le proprie carte e si avvia verso la porta a sinistra. Filippo nota il suo movimento e si volge a lei)

Che c'è, Irene? Devi già ripartire per Washington?

Irene           (sulla porta) — Vado in biblioteca. (Indi­cando i fogli) Devo ricopiare certi appunti.

Filippo         (affettuosamente) — Non lavorare troppo! Ricordati che sei la mia nipote preferita.

(Irene esce).

Costanza    (alza gli occhi stupita) — Ma ne hai una sola.

Filippo         (sorridendo) — E con questo? È tanto carina...

Costanza    (approvando) — E così piena di tatto. Ha capito che la sua presenza non era necessaria durante questa conversazione... che - devo confes­sarlo - trovò anch'io un po' imbarazzante.

Giorgio       (leggendo il giornale) — Perché?

Filippo         — Tu ed io conosciamo abbastanza Giorgio per...

Giorgio       — Sicuro!

Costanza    (a Filippo) — Eppure, è stato piuttosto indiscreto da parte tua; cosa che non ti somiglia. Anche un padre esiterebbe a date a suo figlio un consiglio di questo genere, a meno che non fosse consultato...

Filippo         — Giorgio mi ha chiesto perché hanno scelto Gionata Hayes. Gli ho detto la mia opinione.

Costanza    — Potevi dirgli che non riuscivi a im­maginare...

Filippo         — Da me, Giorgio non può aspettarsi che la sincerità. (Sorridendo) Del resto, le occasioni di poter dire la verità non sono tante che io possa trascurarne una!

Costanza    (diventa impaziente) — Ma in fin dei conti, Filippo, un uomo può anche avere delle ra­gioni personali per non sposarsi!

Filippo         — Oh! (A Giorgio) Hai fatto voto di castità?

Giorgio       (con rimprovero) — Filippo!

Filippo         (sorridendo) — Sicuro... un uomo rinuncia all'amore, di solito, quando è molto più vecchio di te; e allora non è guidato interamente dalle proprie preferenze.

Costanza    (leggermente scandalizzata) — Ma Filippo!

Filippo         (riflettendo) — Forse hai qualche ragione romantica?... Suvvia, a me lo puoi dire! (Lo prende per un braccio e passeggia con lui per la scena) Sei innamorato di una donna che non puoi spo­sare perché... Già: perché? Perché è troppo gio­vine... o troppo vecchia? Ma questo non sarebbe un ostacolo assoluto... (A un tratto lasciando il braccio di Giorgio e andando un po' verso sinistra) O forse è una donna sposata?...                      « Questa » sarebbe una vera difficoltà.

Costanza    (un po' nervosa) — Mi meraviglio, Fi­lippo! Con la tua reputazione di diplomazia!

Giorgio       (a Costanza, sorridendo) — Filippo ha tutto il diritto di domandare... finché mi perdona di non rispondergli.

Filippo         — Beh... se ho indovinato, dev'esserci una donna che prova dei grandi rimorsi.

Giorgio       (sorpreso) — Rimorsi? Perché?

Filippo         — Perché ostacola la tua carriera. (Ripren­dendo il giornale) Se non fosse per lei, tu saresti sposato e i repubblicani del Colorado senza dubbio ti preferirebbero a Gionata Hayes. (Come prima, mostra il giornale a Giorgio indicando di nuovo un certo articolo. Poi continua, un po' eccitato) Ma, maledizione! Lei deve essere innamorata di te... altrimenti non le saresti così esageratamente fedele!... Dovrebbe quindi avere a cuore i tuoi interessi. Aiu­tarti, invece di ostacolarti!

Costanza    (calma) — Non è colpa sua, se non è libera di sposarlo.

Filippo         (approvando) — Verissimo. (Siede sul banco e comincia a ridacchiare).

Costanza    — Perché ridi?

Filippo         — Scusami; pensavo a un'altra cosa. (Sor­ridendo) Perché questo mi ricorda un romanzo francese che ho letto recentemente... Si trattava di una ragazza. Un certo incidente nella sua infanzia le aveva lasciato un'avversione patologica verso gli uomini; la qual cosa dava gran pena a sua madre. Quando sua madre morì, si trovò nel suo testamento che la figliuola avrebbe ereditato tutto il suo patri­monio solo se si fosse sposata entro sei mesi. Spe­rava così di far tornare la ragazza alla normalità. Ma non vi riuscì. La ragazza pagò un uomo perché diventasse suo marito - naturalmente soltanto di nome - così ebbe l'eredità... e sei mesi dopo, il divorzio.

Costanza    (sorridendo) — Molto francese.

Filippo         — È parso anche a me.

Giorgio       (avvicinandosi a Filippo) — Ma a che proposito hai raccontato questo storia? (Sorridendo) Non vorresti, per caso, suggerirmi...

Filippo         — Pensavo proprio a questo. Quando il celibato è a completo detrimento del successo professionale di un uomo, allora, per quanto grande possa essere il suo obbligo verso un'altra donna, egli dovrebbe ugualmente prendere moglie. O per lo meno, fingere; la qual cosa, nel tuo caso, è suf­ficiente.

Giorgio       — Ma non vi è nulla di più odioso, per me, del matrimonio di convenienza. (Siede alla ta­vola e prende una sigaretta).

Filippo         — Ma non si tratterebbe affatto di questo, Giorgio. Sarebbe solo un contratto; e la cosa è ben diversa. Posso aggiungere che, dal punto di vista di quella donna sposata, questa sistemazione sarebbe desiderabile per la sua sicurezza.

Costanza    (senza capire) — E come?

Filippo         (va verso Costanza e si rivolge a lei) — Mettiti un po' nei suoi panni! (A Giorgio) Ecco una donna che ti ama, che non può vivere con te ed è costretta a lasciarti vivere solo. Ma altre donne non conoscono il tuo segreto! Sanno che sei solo e ti credono libero. Anche senza la tua posizione, cono­sco almeno mezza dozzina di vedove, a Washington, che ti correrebbero dietro con entusiasmo. Mentre, se tu hai accanto una moglie - o finta tale - la sua presenza ti difenderebbe da ogni persecuzione! E la povera ragazza potrebbe dormir tranquilla!

Costanza    — Ammiro questo tuo subitaneo talento di romanziere, Filippo! Se non fossi il nostro più eminente uomo di stato, saresti uno. scrittore di romanzi a fumetti a grande successo!

Filippo         (sorridendo) — Forse non c'è molta diffe­renza! (Cambiando tono) Aggiungerò, incidental­mente, che un matrimonio di questo genere non sarebbe il primo nella storia della politica americana!

Costanza    — Ne sei sicuro?

Filippo         — Assolutamente! Perciò mi è subito ve­nuto in mente. (Tornando a Giorgio) Ora non c'è altro da fare che trovare una ragazza disposta a rappresentare questa parte piuttosto insolita; e che possa rappresentarla bene!... Su questo, non so che dirti. Tocca a te!... (Va due passi verso il balcone. Si volta e torna indietro) Raccomanderei soltanto che non sia troppo brutta, perché non sarebbe con­vincente... e neanche troppo bella perché in questo caso la signora tua amica vivrebbe in ansia con­tinua! E... non so perché, questa donna mi interessa particolarmente!... Non ho la più lontana idea di chi possa essere... (Con un sorriso divertito. Guarda discretamente Giorgio, ride, si volta, va al balcone e sale i gradini) Vado a fare una passeggiata in giar­dino... Vieni anche tu, Costanza?

Costanza    — Grazie, ma sono un po' stanca. Non dormo bene, da qualche tempo.

Filippo         — Mi dispiace! (A Giorgio) Tu vieni?

Giorgio       (gesto verso la scrivania) — Grazie... ho tanto lavoro.

Filippo         — Bravo! Solo io non ho più niente da fare! (Esce).

Giorgio       (dopo breve pausa) — Che strana con­versazione!

Costanza    — È il meno che si possa dire...

Giorgio       — Non posso fare a meno di chiedermi se ha qualche sospetto.

Costanza    — Non lo sapremo mai.

Giorgio       (alzandosi e andando verso il balcone) — Ci credi a quella storia del romanzo francese?

Costanza    — Quale?

Giorgio       — Quella che ha raccontato Filippo... Ho l'idea che l'abbia inventata.

Costanza    — Può darsi. Per dare maggior peso al consiglio che ti dava.

Giorgio       (guardando) — Consiglio molto inatteso... e un po' pazzesco!

Costanza    (pensosa) — Non ne sono tanto sicura.

Giorgio       (fra la sedia e la scrivania, chinandosi su di lei) — Come?... Costanza, se mi ami davvero...

Costanza    — È proprio perché ti amo che non voglio perderti.

Giorgio       — Come sarebbe a dire?

Costanza    — Ripeto quello che ha detto Filippo. Sembra quasi che abbia letto il mio pensiero...

Giorgio       — In che modo?

Costanza    (ripetendo le parole di Filippo) — «Ve­dono che sei solo e credono che tu sia libero». Ha ragione. Io sono alla mercé di qualsiasi donna bella o intraprendente.

Giorgio       (indignato) — E mi crederesti capace di...?

Costanza    — Quale essere umano può essere sicuro che farà solo quello che desidera fare? In teoria, nessuno ha l'intenzione di sporgersi fino al punto di cadere... eppure tutte le finestre hanno tra pa­rapetto. Forse è una difesa contro involontarie emozioni o contro un capogiro... o uno scivolone!

(Si alza portando seco la sciarpa e il cestino da la­voro e va alla tavola, di fronte al seggiolone di de­stra. Giorgio si alza)

In certo modo, è la stessa cosa... Non posso stare accanto a te per difendetti. E sarei invece tranquilla se sapessi che qui c'è qual­cuno che ti difende... in caso di un capogiro o di uno scivolone!

Giorgio       — Vorresti dire sul serio...?

Costanza    — ... che non indietreggio davanti a nulla per non perderti? Senza dubbio. Il fine giusti­fica i mezzi. E il fine, qui, va considerato sotto due aspetti: la salvaguardia del nostro futuro e il van­taggio della tua carriera! (Siede a destra della ta­vola) Sì, Giorgio. Finché non sarò libera, vorrei che nella tua casa ci fosse qualcuno che... che... non so come dire... qualcuno che potesse contrastare i rischi e pericoli della tua solitudine!

Giorgio       (non può trattenersi dal ridere) — Ma ca­pisci quello che stai dicendo?

Costanza    — Perfettamente.

Giorgio       (alzandosi) — Trovarla, poi, questa ra­gazza! Dove la trovi, che abbia tutti i requisiti?

Costanza    — Oh, non sono poi tanti, i requisiti...

Giorgio       (si è alzato e mentre parla va a sedere a sinistra della tavola) — Eh sì, sono parecchi. Bi­sogna che non sia troppo ricca perché questo1, na­turalmente, dev'essere l'argomento più persuasivo... Non deve avere amoretti romantici perché quale  uomo le permetterebbe di accettare quest'incarico?... Poi dobbiamo essere assolutamente sicuri della sua serietà e discrezione... perché se si lascia sfuggire la minima cosa, non saprei più dove andare a na­scondermi!

Costanza    (che è occupata ad avvolgere i fili di seta e rimettere in ordine il cestino) — Stai descrivendo esattamente la persona che ho in mente.

Giorgio       — Come? Hai già pensato a qualcuno?

Costanza    — Sì. E proprio qui.

Giorgio       — Qui? Irene?

Costanza    (senza distogliersi dalla sua occupazione) — Non è proprio quel che ci vuole? Maestra di scuola, non molto sicura di sé, completamente priva di quello chic e di quella vernice che una donna deve avere per interessarti! (Lo guarda e sorride) Ma dimentichi la qualità più essenziale! Se io in­stallo una donna in casa tua, essa deve, prima di tutto, essere assolutamente incapace di attirate la tua attenzione!

Giorgio       (ride di nuovo) — La questione è: vorrà? Mi pare che quella signorina abbia delle idee molto decise!  E sarebbe tipo da rimettere - come dice lei - il libro sullo scaffale dov'è il suo posto!

Costanza    — Perché non tastiamo ilterreno, in­direttamente, senza dirle di chi si tratta?

Giorgio       — Ma come puoi avere una risposta con­creta, se non glielo dici?

Costanza    — Vedrò come si svolge la conversa­zione... (Si alza e va verso il telefono) Credo che debba partire verso le quattro.

Giorgio       (seguendola) — Vuoi parlarle addirittura adesso?

Costanza    — Partiamo fra due giorni; e non credo che domani venga.

Giorgio       (un ultimo tentativo per fermarla) — Ma Costanza...

(Senza dargli retta, Costanza prende il ricevitore e preme uno dei bottoni. Giorgio, rinun­ciando a discutere, va verso il fondo con un gesto di impotenza).

Costanza    (al telefono) — Pronto? Pronto, Irene?... Hai, da fare? Bene! Allora puoi venire a raggiun­germi nella stanza di soggiorno? Grazie. (Riattacca).

Giorgio       (tornando verso Costanza) — Comunque, non ci vorrà molto, a Filippo, per capire che specie di matrimonio sarà questo!

Costanza    — Non annuncerai certo il fidanzamento stasera! Fra qualche settimana, come potrebbe sospettare? Non dimenticare che secondo lui, è carina.

Giorgio       (dopo una pausa) — Mi sembra talmente fantastico... Non avrei mai pensato una cosa simile. (Cammina su e giù).

Costanza    — Lo credo. L'uomo pensa col cervello; la donna col cuore. (Teneramente dandogli la mano) Ti amo, Giorgio. Niente è troppo difficile per appartenerti un giorno. (Giorgio le bacia la mano) Ora va' in giardino. Se Irene prende in con­siderazione la cosa, mi vedrai sulla terrazza... Altrimenti, ti raggiungerò.

Giorgio       (sorridendo) — Va bene! (Esce dal balcone. Irene entra da sinistra).

Irene           (ha il lapis in mano) — Eccomi, zia Co­stanza. (Vedendo Giorgio che è ancora sulla soglia del balcone, si ferma interdetta) Oh, sei occupata?

Giorgio       (guarda Irene e poi Costanza) — No, no... Sto andando via.

(Esce, Costanza ha accompagnato Giorgio e rimane un attimo sui gradini, guardando sorridendo Irene che è perplessa).

Irene            (avanzando verso il centro)  —  Che cosa succede?

Costanza    (andando verso la tavola) — Niente di grave... tutt'altro. Cioè... veramente dipende da te... fino a un certo punto... Anzi, interamente.

Irene           — Da me?

Costanza    (tagliando i pezzetti di filo dal rovescio della sciarpa) — Irene, che stipendio hai come insegnante?

Irene           — Duemilacinquecento dollari l'anno.

Costanza    — E quanto è il massimo cui puoi arri­vare, e fra quanto tempo?

Irene           — Quattromila dollari, fra una quindicina d'anni.

Costanza    — È lunga.

Irene           — Abbastanza.

Costanza    — E poi, ti tocca stare a Minneapolis. Vivi sola e hai già ventotto anni! Devi ammettere che il futuro non ti si presenta molto roseo...

Irene           (con un sorriso gentile) — Mi hai chiamata per discutere le condizioni degli insegnanti in America?

Costanza    — No, no! Al contrario... Volevo dirti che la tua vita potrebbe cambiare completamente fin da stasera, nel modo più desiderabile...

Irene           — E come?

Costanza    (molto occupata a tagliare i fili) — C'è un giovine... cioè un uomo sulla quarantina... sca­polo... sano... che potrebbe offrirti un'occupazione... un'occupazione che posso definire eccezionale... ma che tu svolgerai alla perfezione... (Siede a sinistra della tavola).

Irene           (un po' diffidente) — Spiegati meglio.

Costanza    (alza il capo e fissa Irene per la prima volta) — Prima di entrare in particolari devi darmi la tua parola che qualunque cosa accada e qua­lunque cosa tu decida, terrai per te quanto sto per dirti.

Irene           — Prometto. (Chinandosi sulla spalliera della sedia) È un segreto grave?

Costanza    (riprendendo a tagliare) — Vedrai... Quest'uomo è innamorato di una donna... che per il momento non può sposare... Ma nell'interesse della sua carriera, è essenziale che abbia moglie... Capisci?

Irene           — No.

Costanza    (continuando) — Tu dovresti occupare questa posizione temporanea... naturalmente soltanto di nome... e quando questa donna sarà finalmente libera... il tuo, diciamo così, impiego avrebbe fine.

Irene           (dopo una pausa fa qualche passo verso de­stra) — Non supponevo niente di questo genere!

Costanza    — Ti ho detto che era una cosa ecce­zionale.

Irene           — Conosco questo signore?

Costanza    — Lo conosci benissimo.

Irene           (sorridendo) — Il nostro ospite?

Costanza    — Hai fatto presto a indovinare.

Irene           (ridendo) — Non era difficile... Specialmente dopo quello che stavate dicendo pochi minuti fa, prima che io me ne andassi.

Costanza    (dopo una pausa) — Beh... che ne dici?

Irene           (tornando lentamente verso la tavola) — Non so... Sono ancora sorpresa... Ma a prima vista, non so se questa occupazione abbia tutti i vantaggi che dici...

Costanza    — Come, Irene! Anche se tu insisti a dire che il matrimonio non ti interessa, è la con­dizione normale per una donna! E staresti assai meglio, credimi, che vivendo da sola... se avessi una famiglia e una casa.

Irene           (sorridendo) — In questo caso, ne avrei solo l'apparenza.

Costanza    — Naturalmente non parlodi questo primo matrimonio... ma del secondo... che sarà quello vero.

Irene           (ridendo) — Non ti pare che corri un po' troppo? Mi sembri la fata che stabilisce il futuro della principessina...

Costanza    — Ma non puoi dubitarne, tesoro! Fin­ché rimani miss Elliot, non troverai mai un marito come si deve. Ma quando sarai la ex signora Henderson, non avrai che l'imbarazzo della scelta!

Irene           (pensierosa) — Può darsi.

Costanza    (rimettendo le forbici nel cestino e guardando Irene) — Ti farei quest'offerta se non fosse per il tuo interesse?

Irene           (sedendo sul bracciolo dei seggiolone in cen­tro dietro alla tavola) — Questo è precisamente quello che mi rende perplessa, Che proprio tu mi faccia questo discorso. Come mai?

Costanza    (lievemente imbarazzata) — Mi aspettavo questa domanda... (Per avere il tempo dì pensare, tira la sciarpa verso di sé e la tiene di nuovo fra le mani) Vedi, tesoro...

Irene           (fissandola) — Saresti tu, per caso? (Costanza sta per rispondere ma Irene continua). No, è im­possibile!... Perdonami, ti prego.

Costanza    (si alza, va allo specchio, si drappeggia nella sciarpa) — Ma è naturale che io... Sono tua zia e noi siamo gli amici più intimi di Giorgio... Sono l'intermediaria più naturale.

Irene           — Questo è vero...

Costanza    — Quanto alla persona che dovrai so­stituire... voglio dire la signora che Giorgio intende sposare un giorno...

Irene           — Preferisco non saper nulla di lei... Prima di tutto perché, secondo ogni probabilità,  non la conoscerò mai. Poi perché, come impiegata del se­natore, la sua vita privata non mi riguarda.

Costanza    (soddisfatta di quell'atteggiamento) — Sei sempre piena di tatto e di comprensione.

Irene           (gentilmente) — Grazie.

Costanza    (indicando lai sciarpa che ha sulle spalle) — Piace?

Irene           (cortese) — Sì.

Costanza    — Beh... credo che date le circostanze, sarebbe bene che tu avessi un colloquio con Giorgio.

Irene           (sempre seduta, sul bracciolo) — Quando crede.

Costanza    (va sulla terrazza e ostensibilmente si toglie la sciarpa, dalle spalle. Poi si volta e rientra tenendo la sciarpa in mano) — Sarà qui a momenti.

Irene           (un po' sconcertata, alzandosi) — Era un segnale?

Costanza    (non risponde. Sorride. Torna alla tavola su cui posa la sciarpa che piega con cura) — Sarò felice se potrai metterti d'accordo con Giorgio; è un uomo molto ragionevole ed è facile trattare con lui...

Irene           (tranquilla) — Infatti, è la mia impressione.

Costanza    — È anche un bell'uomo...

Irene           (indifferente) — Trovi?

Costanza    (stupita) — Non ti pare?

Irene           — Non ho opinione. E non è importante.

Costanza    (mette la sciarpa piegata nel cestino che prende in mano) — Beh... non vorrai essere compa­tita, spero!... Pensa se fosse brutto, grasso o volgare?

Irene           (sorridendo) — In questi casi, staremmo già parlando d'altro! E probabilmente non mi avresti fatto l'offerta!

Costanza    (col cestino in mano guarda Irene. Con un sorriso forzato posa di nuovo il cestino sulla ta­vola) — Probabilmente.

(In questo momento Giorgio appare sulla terrazza)

Venite, Giorgio! Dunque: ho parlato con Irene e la cosa la interessa... Ora vi lascio a discutere i particolari...

(Giorgio è entrato. Costanza va sulla terrazza e da lontano grida a Irene) Buona fortuna, tesoro!

Irene           (è sul davanti a sinistra) — Ti ringrazio per esserti presa tanto disturbo!

(Costanza fa un gesto come per dire « non c'è di che! » ed esce).

Giorgio       (si avanza lentamente passando dietro la sedia della scrivania e si ferma a sinistra di questa) — Un'intervista un po' insolita, vero, miss Elliot?

Irene           — La vita è quasi sempre così priva di avve­nimenti! Per una volta tanto, ci può essere un'ecce­zione.

Giorgio       — Già. (Pausa) Credo che Costanza vi abbia spiegato...

Irene           — Solo l'essenziale, e cioè che debbo vivere qui come se fossi vostra moglie... naturalmente, solo in apparenza... E questo deve durare un tempo in­definito, poiché dipende da circostanze che non mi riguardano.

Giorgio       — Proprio così.

Irene           — E allora, che dovrei fare? Quali sono i doveri di una moglie che è tale solo di nome?

Giorgio       (sorridendo) — Esattamente quella di una moglie normale... con qualche piccola eccezione.

Irene           — Ma variano tanto, da una casa all'altra, che gradirei un breve sommario...

Giorgio       (un po' imbarazzato) — Dio mio... Volete accomodarvi?

(Irene siede a destra della tavola. Giorgio a sinistra. Giorgio si alza di nuovo per offrirle le sigarette dalla scatola che è sulla tavola. Quindi siede nuovamente)

Prima di tutto, desidero che fac­ciate la padrona di casa... ricevimenti... pranzi... oc­cuparvi  della servitù...  insomma,  essere  effettiva­mente la padrona di casa.

Irene           — Bene. Niente lavoro d'ufficio? Voglio dire copiare, dattilografare, correggere bozze?

Giorgio       — Ho due segretari.

Irene           — Comunque, in caso di emergenza, so scri­vere a macchina...

Giorgio       — Grazie. (Continuando) Generalmente, abito qui. Ma passo molto tempo nel Colorado e anche in altri luoghi.

Irene           — Ed io debbo venire con voi?

Giorgio       — A volte sì... Dipende dal luogo dove vado e per quanto tempo... Ma può darsi che dobbiate...

Irene           (sorridendo) — Benone. Mi piace viaggiare. (Cambiando tono) Che atteggiamento devo avere con voi?

Giorgio       (non capisce) — Che avete detto?

Irene           — Quando siamo soli, naturalmente la più completa deferenza. Ma quando avete ospiti? Volete che rimanga fredda e distante o preferite una moglie affettuosa e amorosa?

Giorgio       (leggermente sconcertato) — Ma...

Irene           (continua con calma) — Tutti e due i sistemi hanno i loro difensori. Perciò ho domandato. Alcuni dicono che ogni manifestazione di tenerezza è volgare e che anche inovelli sposi devono occuparsi l'uno dell'altro solo quando sono soli. D'altra parte, vi sono molte persone che la pensano diversamente... e parecchi uomini sono contenti, e perfino orgogliosi di mostrare agli altri le premure delleloro mogli. Qual è il vostro modo di vedere?

Giorgio       (sorridendo) — Non ho mai avuto occasione di considerare questo problema prima di adesso. Ma credo che davanti agli amici sarà opportuno che dimostriate un certo affetto... magari ammirazione.

Irene           — All'ammirazione avevo già pensato. (Con bontà) E non sarà certo uno sforzo.

Giorgio       — Grazie. Quanto a me, credo che mostrerò della tenerezza... se non avete obiezioni...

Irene           — Nessuna. Vi conosco abbastanza per essere certa che neri passerete mai i limiti.

Giorgio       — Grazie.   (Cambiando tono)  Ora, una cosa importantissima. Dev'essere evidente che vi interessiate molto alla mia carriera, ai miei affari...

Irene           — Dovrete insegnarmi, no?

Giorgio       — Senza dubbio, l'americano medio ama sapere che i suoi rappresentanti ufficiali conducono una vita domestica dignitosa e convenzionale. Que­sta è l'impressione che desidero soprattutto sia creata da voi.

Irene           — Potete fidarvi di me. Nessuno dubiterà mai che la mia unica preoccupazione non sia il vostro successo e, naturalmente, anche il vostro be­nessere fisico e mentale, Se vi ammalerete sarò tremendamente angustiata... Una disgrazia, Dio guar­di, mi farebbe impazzire. E se doveste subire una operazione, passerei delle notti insonni e la mattina andrei in giro con un viso, da far pietà! Tutto questo è ovvio. Fa parte della routine!

Giorgio       (sorridendo) — Spero che la mia salute sia abbastanza buona da evitarvi un eccesso di la­voro...

Irene           — Lo spero anch'io... ma bisogna pensare a tutto. (Si alza e guarda attorno, sulla tavola, cer­cando della carta) Sarà meglio che prenda qualche appunto, per non dimenticare...

(Giorgio si alza e va a prendere dalla scrivania un blocco. Lo porge a Irene che a mezza voce lo ringrazia e poi comincia a scrivere velocemente rimanendo in piedi)

«Ricevimenti... Viaggi... Affari... Affetto... Malattie...». (Si volge di nuovo a Giorgio) E i miei giorni di libertà?

Giorgio       (sorpreso) — Come?

Irene           — Non chiedo tutti i giovedì o un altro gior­no come il personale regolare... capisco che potrebbe essere poco pratico. Ma questo è un impiego difficile e con certe limitazioni... Bisogna che io abbia un piccolo riposo settimanale...

Giorgio       (imbarazzato) — Capisco. Ma un giorno fisso è difficilmente compatibile con...

Irene           — Bene; lascio fare a voi. Purché io possa andar via... diciamo, per cinque giorni interi al mese. Va bene?

Giorgio       (un po' turbato) — E in quei giorni vor­reste rimaner fuori anche la notte?

Irene           — Vi seccherebbe?

Giorgio       — Non è precisamente nelle abitudini...

Irene           — È vero. La maggior parte delle mogli dormono in casa. (Sorridendo) Ma possiamo pensare un pretesto... Posso avere una sorella... o una cu­gina a Filadelfia.

Giorgio       — Quando abiterete  qui,  spero che vi piacerà abbastanza da non farvi desiderare...

Irene           — Oh, non si tratta delle mie comodità ma­teriali... Tutto sarà di prim'ordine, non ne dubito...

Giorgio       — E allora...?

Irene           (dolcemente) — Signor Henderson, voi desi­derate sposarmi perché amate un'altra donna; non è vero?

Giorgio       — Sì.

Irene           — Allora capirete che iopotrei avere sim­patia per qualcuno e desiderare di vederlo con una certa frequenza...

Giorgio       — Non in pubblico, spero!

Irene           — Ma, ecco...

Giorgio       (seccato, cammina e va vicino alla tavola) — Sentite, miss Elliot! Uno dei primi vostri doveri è naturalmente quello di non rendermi ridicolo. Se voi e questo «qualcuno» foste visti insieme...

Irene           (ride) — Mi sembrate un maestro di scuola!

Giorgio       (seccatissimo) — Sono un po' turbato... Avevo creduto che foste assolutamente sola!

Irene           — Lo sono, adesso. Ma non posso garantire per l'avvenire. Soprattutto essendo sposata. Può darsi che un giorno io trovi l'uomo disposto... a non farmi più essere sola.

Giorgio       — Vi auguro di trovarlo, ma... perdonate il mio egoismo... non troppo presto! Irene   (scrivendo sul blocco)   —   «Non troppo presto».

Giorgio       (continuando) — Se vi innamoraste di un uomo, potreste aver la tentazione di non tacergli nulla... e nessuno al mondo, invece, deve sapere di questo nostro accordo.

Irene           — Ma vi saranno almeno altre due persone che lo sapranno...

Giorgio       — Chi?

Irene           — Zia Costanza e zio Filippo.

Giorgio       (in fretta) — Oh no, lui no! Gli voglio moltissimo bene... Ma sapete com'è... Ci prenderebbe continuamente in giro o farebbe delle piccole osservazioni... e un giorno o l'altro una frase gli sfug­girebbe davanti ad estranei. No, no! È essenziale che Filippo non sappia! (Siede a sinistra della tavola).

Irene           —Va bene. (Scrivendo) «Zio Filippo no»... (Cambiando tono) Allora, mi pare che abbiamo di­scusso tutti i punti più importanti, no?

Giorgio       — Eccetto il vostro stipendio. Avete una idea in proposito?

Irene           (cauta) — Perché non mi dite prima la vostra?

Giorgio       (dopo breve riflessione) — Andrebbero be­ne millecinquecento dollari il mese?

Irene           (la cifra evidentemente la sorprende. Ma cerca di rimanere indifferente e risponde con calma) — Mi sembra ragionevole. Naturalmente, purché  io abbia una garanzia.

Giorgio       (senza capire) — Come?

Irene           — Voglio dire... Ammettiamo che dopo due mesi di matrimonio si verifichi un certo evento e voi improvvisamente non abbiate più bisogno dei miei servigi... Avrò rinunciato alla mia carriera di insegnante, abbandonato Minneapolis, cambiato tutto il mio modo di vivere, tutto per tremila dollari? No. Non posso.

Giorgio       — Come possiamo aggiustare la faccenda?

Irene           (riflettendo) — Ecco... Potreste garantirmi almeno tre anni di lavoro... cioè trentasei mesi... ossia cinquantaquattro mila dollari... Se mi tenete per tre anni o più, non ho diritto a indennità. Ma se debbo lasciare il posto prima dei tre anni, rice­verò, in contanti, la differenza fra quello, che ho già percepito e i già detti e garantiti cinquantaquattro mila dollari. (Scrive).

Giorgio       — Siete una vera donna d'affari...

Irene           (modestamente) — Questo è un altro campo nel quale potrei esservi utile.

Giorgio       — Va bene. Cinquantaquattro mila. Natu­ralmente, non firmiamo nessun contratto...

Irene           — La vostra parola mi basta. E... per i miei abiti?

Giorgio       — Saranno a mio carico.

Irene           — Cappelli... scarpe?

Giorgio       — Naturalmente.

Irene           — Parrucchiere...

Giorgio       (sorridendo) — Perché non calcoliamo un assegno mensile per spese varie... diciamo, trecento dollari?

Irene           (come prima, molto indifferente) — Dovrò cavarmela con questo... (Scrivendo) «Trecento dol­lari il mese»... (Cambiando tono) Bene, senatore: mi pare che abbiamo pensato a tutto. Quando co­mincio a lavorare? Voglio dire: quando ci sposiamo?

Giorgio       — Ci vorrà un po' di tempo per aver l'aria di conoscervi meglio... di interessarci l'uno all'altro... Direi un mese...

Irene           — Bene.  (Prende un ultimo appunto sul blocco. Poi stacca il foglio e va a posare il blocco sulla scrivania) Fino allora, fatemi sapere quando e dove volete vedermi... Mi terrò libera...

Giorgio       — Magnifico! Cominciamo da oggi?

Irene           (dolcemente) — Domani, se non vi dispiace... Non ero preparata alla vostra offerta ed ho qualche altra cosa da fare oggi...

Giorgio       (sono entrambi al centro della scena. Giorgio le porge la mano) — Siamo d'accordo.

Irene           (stringendogli la mano) — D'accordo. (Va alta porta di sinistra. L'apre, si volta) Ah, il mio numero di telefono è 6422, Nazionale. Aspetterò la vostra telefonata a qualunque ora, dopo le otto di domani mattina.

Giorgio       (va verso la porta. Sorridendo) — Facciamo le dieci. Non vi disturberò mai prima di quell'ora.

Irene           (contenta) — Ottimamente. Mi piace dormire fino a tardi. Beh, Costanza aveva ragione: questo impiego offre veramente dei grandi vantaggi. Buon pomeriggio, senatore!

(Esce, mentre Giorgio la segue con lo sguardo, sorridendo).

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

(Due mesi dopo. Fine di settembre. Circa le due e mezzo pomeridiane. I pannelli del balcone sono aper­ti. All'alzarsi del sipario Lorenzo è solo in scena, in piedi davanti al sofà, a destra del tavolino da caffè su cui è un vassoio con la caffettiera:, zuccheriera, ecc., oltre a cinque tazzine col caffè e un bicchierino contenente un liquido bruno. Subito dopo entrano da sinistra in quest'ordine: Irene, Winkler, Filippo, Costanza e Giorgio. Irene è molto mutata. In­dossa un elegante abito da pomeriggio, scollato, e sembra molto più bella che nel primo atto).

 

Irene           (a Costanza, continuando una conversazione già iniziata fuori scena) — Così, Giorgio si è deciso per una Cadillac!

Winkler      — Decisione molto saggia.

(Irene va dritta al tavolino del caffè, Costanza siede nel seggiolone a sinistra della tavola).

Filippo         (a Giorgio) — Ho avuto delle colazioni squisite in casa tua, Giorgio; ma mai come quella di oggi!

Winkler      (che si è avvicinato alla scrivania) — Si capisce che gli sposi sono appena tornati dall'Europa.

Irene           (accanto al tavolino) — Caffè, signor Win­kler? (E gli dà la tazza).

Winkler      — Sì, grazie. (Filippo si è avvicinato. A Giorgio) Quanto tempo siete rimasti a Parigi? (Siede).

Giorgio       — Dieci giorni. Ed una settimana a Londra.

Costanza    — Si sta ancora così male, laggiù? Molte limitazioni?

(Lorenzo dà il caffè a Filippo e a Giorgio).

Irene           (va a portate la tazza a Costanza e la posa sulla tavola davanti a lei) — In Inghilterra sì.

Giorgio       — Ma in Francia, affatto. Quattrini e allegria dovunque. Alberghi, ristoranti, teatri sono sem­pre pieni, sia pure con prezzi astronomici.

Irene           (porta lo zucchero a Costanza. Poi torna prendere il proprio caffè) — Più svalutano il franco, più sale il costo della vita.

Filippo         (siede davanti alla scrivania) — Se si arri­vasse mai a pareggiare il dollaro col franco, nessun americano potrebbe più permettersi il lusso di an­dare a Parigi.

Irene           — Sarebbe un peccato... Un paese così indi­vidualista! E tutti sono talmente simpatici...

Filippo         — La verità è che il fascino dei francesi è stato inventato in America. Loro non sapevano di averlo finché noi non glielo abbiamo detto. Ci hanno creduto, ed ora se ne servono.

Winkler      (a Giorgio) — Che cosa pensano di una guerra con la Russia?

Giorgio       — Evitano di pensarci. Sarebbe troppo spiacevole.

Filippo         — Non sono i soli ad avere questa opinione.

Irene           — Spencer ha detto che vi sono due cose che l'uomo non può guardare in faccia: il sole e la morte. Avrebbe dovuto aggiungerne una terza: la verità.

Winkler      (impressionato) — Una constatazione molto profonda, signora Henderson.

(Si volge a Filippo che è alla sua destra, mostrando la sua sorpresa per l'intelligenza di Irene. Filippo annuisce con un sorriso. Frattanto Irene ha dato la propria tazza vuota a Lorenzo che la riporta sul tavolino. Irene prende un bicchierino e va ad offrirlo a Giorgio).

Irene           — Tesoro...

Giorgio       (accigliandosi) — Che roba è?

Irene           — Lo sai benissimo... La medicina che devi prendere dopo ogni pasto. Ordine del dottor Kling.

Giorgio       (protestando) — Sono stufo! Aveva detto solo per due giorni...

Irene           — Sì; ma hai tossito di nuovo... (A Costanza) Aiutami, Costanza! E così caparbio! Ha tossito tanto la notte scorsa... mi ha svegliata di soprassalto e non mi sono più potuta riaddormentare.

(Costanza, con la tazza in una mano e il piattino nell'altra, guarda Irene e Giorgio con evidente scontento).

Winkler      (ridendo) — Coraggio, Giorgio! Avanti, mandala giù!

Irene           (grata) — Grazie, signor Winkler. Che vo­lete, il più piccolo malessere di Giorgio mi preoccupa tremendamente. So che è una stupidaggine, la mia...

Winkler      (protestando) — Invece è una cosa molto carina!

(Guarda Costanza. Pausa mentre Giorgio senza insistere oltre, beve. Poi dà il bicchierino a Lorenzo, va al balcone dove rimane per un poco guardando il giardino).

Irene           — Un po' di cognac, Costanza?

Costanza    — No, grazie.

Irene           — Signor Winkler?...  Lo abbiamo portato proprio da Cognac... (È andata al bar dove prende una bottiglia di cognac).

Winkler      (alzandosi) — Con piacere.

Filippo         — Ma come,  Byron! Credevo che fossi diventato astemio come una foglia secca!

Winkler      (va verso destra porgendo la tazza a Lorenzo che gli è andato incontro)  —  Lo credevo anch'io. Evidentemente tutti e due eravamo male informati.

Filippo         (alzandosi con la tazza in mano) — E ti pare prudente?

Winkler      — Mah... ricordi quando ebbi quel pic­colo attacco cardiaco? Quattro dottori diversi mi dissero che non mi restavano più di sei mesi da vivere. Questo avvenne dieci anni fa. I quattro dot­tori sono morti. Devi ammettere che è una sciocchezza cercare di esser prudente.

(Filippo sorride e va al tavolino a dare la tazza a Lorenzo. Poi torna verso una poltrona. Intanto Irene ha riempito di cognac un bicchierino che va a porgere a Winkler).

Winkler      — Grazie infinite. (Siede a destra della tavola) E l'Italia? Ci siete stati?

(Lorenzo esce chiudendo la porta).

Irene           — Ci siamo stati. Un paese veramente fan­tastico. Delle bellezze che non riusciamo neppure a immaginare...

Giorgio       (è tornato verso il centro) — E vi sono ancora dei signori che offrono dei pranzi serviti da trenta domestici in calzoni corti e parrucca bianca.

Irene           — Ti ricordi quel miliardario che ci ha invi­tati a pranzo a Venezia?

Costanza    — Chi era?

Giorgio       — Un banchiere, credo, che in tre anni è diventato l'uomo più ricco d'Europa.

Filippo         — Sono i nostri tempi che fanno questo... I profittatori vanno bene quando i governi vanno male...

Giorgio       — Non sai fino a che punto hai ragione! Ho avuto il tempo di fare una piccola inchiesta. Quello a cui servono, nell'Europa Occidentale, i dollari americani, è inconcepibile.

Winkler      — Devi parlarci di questo, Giorgio.

Giorgio       (con riserbo) — È quello che intendo fare.

Costanza    — Vi è piaciuta Venezia, Giorgio?

Irene           (risponde prima di Giorgio il quale sta per parlare) — Oh, un'impressione straordinaria! Si sente che nulla è mutato dal tempo dei Dogi. Ci si aspetta di incontrare ad ogni angolo Lucrezia Borgia che sta macchinando l'assassinio di Alfonso d'Este... Otello che spia Desdemona... oppure Sforza in testa ai suoi guerrieri... Mi sono perfino sentita un po' fuori posto, non essendo vestita in costume del Ri­nascimento!  

(Poiché gli altri tre personaggi sono alla sua sinistra Irene si volge leggermente verso Giorgio, l'unico  che è alla sua destra, guadandolo per averne l'approvazione).

Winkler      (sempre più colpito) — Mi sembrate molto colta, signora!

Irene           (modestamente) — Oh no, signor Winkler! Più passano gli anni e più mi accorgo quanto poco so su una quantità di cose in generale... e anche in particolare!

Costanza    (ai due sposi) — Avete detto che siete tornati passando per la Svizzera?

Giorgio       — Sì: il Reno, il Belgio e l'Olanda.

Winkler      — E in volo da Parigi?

Giorgio       — Sì.

Costanza    — Avete avuto difficoltà per avere i posti in aereo?

Giorgio       — Non troppo. Il prezzo è quattrocentocinquanta dollari: ne ho offerti all'impiegato seicento... Devo riconoscere che li ha rifiutati.

Winkler      (sorpreso) — Davvero?

Irene            (ridendo) — Perché ne voleva settecento!

Filippo         — Ma con tanto fascino, vero?

Irene           (sorridendo) — Proprio così. Ad ogni modo, sono tornata a casa incantata!... È stata una mera­vigliosa luna di miele, la più bella che Giorgio avrebbe potuto offrirmi.

(Prende il braccio di Giorgio e vi appoggia teneramente la guancia. Costanza guarda Irene con crescente scontento. Dal suo posto dietro alla poltrona in centro Filippo osserva sua moglie con un sorriso che non ha niente di beffardo o cattivo o malizioso).

Winkler      (che non si rende affatto conto di quanto accade intorno a lui, a Irene e Giorgio) — Da quanto tempo siete sposati, oramai?

Irene           (calcolando) — Dal diciassette agosto... era un sabato... (Esclama) Sei settimane! Giorgio, anche oggi è sabato. (Lo abbraccia e lo bacia teneramente. Costanza è sempre più turbata. In questo momento sente che Filippo la sta osservando. Si volge a lui, constata che effettivamente la sta guardando. Si volta in fretta e posa la tazza sulla tavola).

Giorgio       (un po' imbarazzato) — Dovete scusarci, Byron.

Winkler      (sorridendo) — Vi invidio! (Si volge a Costanza) È una gioia vedere una coppia così bene assortita! La maggior parte dei matrimoni non sono così felici!

Costanza    — Oh, certo! A proposito: come sta vostra moglie?

Winkler      — Non avendo avuto sue notizie questo mese... ne deduco che sta benissimo!

Costanza    — È ancora a Santa Barbara?

Winkler      — Quarantanove settimane all'anno, da trentacinque anni. E questa è la base principale della nostra perfetta  comprensione. Come possono non andar d'accordo due persone che non si vedono mai?

Filippo         (sorridendo) — Eppure, può anche accadere!

(Di dentro un orologio-carillon suona la mezza).

Winkler      — Che ore sono? Le tre?

Filippo         (guardando il proprio orologio) — Le tre e mezza.

Winkler      (balzando in piedi, a Irene) — Impossibile! Il fascino della signora Henderson fa sì che le ore volino... Perfino una concione di un Congressista sembrerebbe breve se lei fosse presente. Filippo (sorridendo) — Sarebbe davvero una grande prova, questa!

Irene           (a Winkler) — Dovete già andare?

Winkler      — L'Ambasciatore rumeno è stato richia­mato per consultazione... o liquidazione: la cosa non è ben certa! E viene ad accomiatarsi alle quattro. Non siamo abbastanza in buoni rapporti col suo governo perché io possa darmi il lusso di non farmi trovare.

Filippo         — La politica impone la considerazione non tanto verso gli amici quanto verso i nemici.

Winkler      (approvando) — E vostro zio se ne intende più di me.

(Beve l'ultima goccia di cognac e posa il bicchiere sulla tavola. Intanto Giorgio gira dietro alla scrivania per andare ad aprire la porta in fondo).

Filippo         (a Costanza) — Sei pronta per tornare a Washington, cara?

Costanza    — Ora no. Giacché sono qui a Chevy Chase, ne approfitto per fare una visita a Marjorie Barlow. (Va a baciare Irene) Grazie, tesoro: è stata una colazione deliziosa.

Filippo         (a Costanza) — Allora ti lascio la macchina.

Costanza    — Grazie. (Va verso la porta in fondo a sinistra stringendo la mano a Giorgio che è rimasto presso quella porta) Arrivederci, Giorgio.

Giorgio       — Arrivederci. (Costanza esce).

Filippo         (volgendosi verso Winkler) — Byron, sarai forse tanto gentile da darmi un passaggio per tornare in città?

Winkler      — Volentieri. Cara signora Henderson... non ho parole per dirvi quanto vi ringrazio della vostra ospitalità... (Va verso la porta per stringere la mano a Giorgio. Irene lo segue) Lasciate che mi congratuli nuovamente con voi, Giorgio: avete una moglie incantevole.

Irene           (prende la mano del marito con un sorriso) — Siete troppo buono, signor Winkler. L'uomo più buono del mondo.

Winkler — Dovreste dirlo ai nostri amici russi: pare che non se ne siano mai accorti. Arrivederci, cari amici! (Esce).

Filippo         (lo segue. Sulla porta si ferma un attimo) — Non dimenticate, ragazzi, che lunedì viaspet­tiamo a pranzo.

Irene           — Stai tranquillo. Giorgio può dimenticare altre cose, ma non questo.

Filippo         (a Giorgio) — Winkler ha ragione: è ado­rabile!...

(Esce chiudendo, Irene e Giorgio lo seguono con lo sguardo mentre scompare. Quindi si scostano rapidamente uno dall'altro, Giorgio va a prendere un libretto di appunti sulla scrivania, Irene prende le tazze e la zuccheriera e rimette tutto sul vassoio).

Giorgio       — Un uomo simpatico, il signor Winkler; vero, miss Elliot?

Irene           — Molto. Ma lo credevo più giovine.

Giorgio       — Quanti anni credete che abbia?

Irene           — Non so; ma pare che ne abbia di più. (Giorgio sorride. Irene gli si avvicina. Da quando sono rimasti soli, il suo atteggiamento è mutato com­pletamente. Ora essa è distante e rispettosa, come alla fine del primo atto) Ho avuto verso di lui il giusto atteggiamento? Siete contento di me, sena­tore?

Giorgio       — In linea di massima, sì. Ma... parlate troppo.

Irene           (turbata) — Ho detto qualcosa di male?

Giorgio       — Affatto. Avete un'ottima educazione, una buona cultura e parlate benissimo. La qualità era eccellente. Era la quantità. (Siede alla scrivania).

Irene           (turbata) — Dio mio! Sono una chiacchierona: mi è stato detto altre volte...

Giorgio       — Byron Winkler è un uomo importante. Avrebbe preferito che lo lasciaste discorrere di più!

Irene           (con deferenza) — Starò più attenta, signor Henderson; farò ogni sforzo per fare di meglio in avvenire. (Va a prendere il bicchiere del cognac. Si ferma).

Giorgio       — Grazie. Ora... quanto al vostro atteg­giamento verso di me...

Irene           (delusa) — Sbagliato anche quello?

Giorgio       — Temo che mi dimostriate un po' troppo affetto...

Irene           (stupita) — Davvero?

Giorgio       — Fra l'arrivoe la partenza dei nostri invi­tati, mi avete baciato una diecina di volte. Irene (protestando rispettosamente) — Scusatemi signore... (Facendo in fretta un piccolo calcolo men­tale) Dieci volte... Sono stati qui tre ore e un quarto il che fa una media di tre baci ogni ora. Dopo sei settimane di matrimonio, non mi pare un'esagera­zione!

Giorgio       (un po' seccato) — E poi, perché mi avete fatto prendere quella medicina che detesto? (Irene non può trattenersi dal ridere) Da una settimana non ho più tossito...

Irene           (dolcemente) — Volevo convincere il signor Winkler che prendo il più vivo interesse alla vostra salute. Mi è parso che la medicina fosse un mezzo eccellente...

Giorgio       — Un'ultima cosa...

Irene           (spiacente) — Non è stata una delle mie buone giornate!

Giorgio       — Non voglio criticare come vi vestite... avete molto buon gusto.

Irene           — Ma quest'abito non vi piace...

Giorgio       — È perfetto per la sera! Ma per una cola­zione... non è un po'... un po' troppo... (Indica la scollatura).

Irene           (abbassa la testa come per scusarsi) — Avete ragione. Ma mi avevate detto da cercar di interessare il signor Winkler...

Giorgio       (protestando) — Interessarlo spiritualmente, miss Elliot!

Irene           — Perdonatemi... sono così ansiosa di accon­tentarvi...

Giorgio       (con indulgenza) — Dio mio, siete molto coscienziosa...

Irene           — Proprio così. È sempre con le migliori intenzioni che si fanno le cose più... lamentevoli... Lo dice Schopenhauer. (Porta via il bicchierino dalla scrivania mettendolo nel vassoio).

Giorgio       (guardandola)  — Winkler  ha  ragione... Siete molto colta, per una donna...

Irene           (tornando) — Ma non sono una donna!

Giorgio       — Come sarebbe a dire?

Irene           — Una donna è una creatura spensierata... gaia... frivola... debole... Una donna ha del romanzo nella propria vita... matrimoni, divorzi... Ha quegli incanti che io non avrò mai, fa tutto ciò che io non ho mai fatto! (Cambia tono, ma senza interrompersi) Che progetti avete per questa sera, senatore? Avete bisogno di me?

Giorgio       — Non aspetto nessuno. (Irene si inchina lievemente e va verso la porta di sinistra) Uscite adesso?

Irene           (si ferma e si volta) — Ho qualche cosa da disporre per il pranzo di domani sera.

Giorgio       — E c'è tanta fretta?

Irene           — Viene il generale McArthur... (Giorgio fa una smorfia) Devo fare incorniciare una sua foto e metterla sul piano. Credo che gli farà piacere.

Giorgio       — È lontano questo corniciaio? (Si alza e fa qualche passo verso Irene).

Irene           — Sul Boulevard Lincoln.

Giorgio       — Mandate l'autista.

Irene           — Non volete che esca?

Giorgio       (un po' imbarazzato) — Veramente... sapete quel discorso che sto preparando?

Irene           — Sì.

Giorgio       — Avrò bisogno di qualche importante ri­cerca... Pensavo... se mi aiutaste?...

Irene           (prendendo prontamente un blocco e un lapis e preparandosi a prendere degli appunti) — Ma certo! Su quali punti, specialmente?

Giorgio       — Vorrei avere un elenco, il più completo possibile di tutte le circostanze nelle quali gli Stati Uniti hanno avuto ingerenza nelle faccende euro­pee, dal principio di questo secolo, menzionando im­parzialmente i risultati ottenuti ogni volta.

Irene           (mentre Giorgio parlava ha scritto. Ora ri­flette) — Ci sono due libri dai quali potete ricavare tutte le informazioni. Credo che li abbiate tutti e due in biblioteca. (Gesto verso la porta di sinistra).

Giorgio       (continuando) — Poi, stamane pensavo a quella faccenda del Venezuela. Sapete a cosa mi riferisco?

Irene           — Perfettamente.

Giorgio       — Non è stato prima del millenovecento?

Irene           — Oh no, senatore. Quando il Kaiser mi­nacciò di occupare il Venezuela, fu Teodoro Roosevelt che insistette per un arbitrato e avvertì Guglielmo II che la Marina degli Stati Uniti si sarebbe opposta a qualsiasi sbarco delle forze germaniche. Questo fu nel millenovecentotre o novecentoquattro. Castro era ancora a Caracas.

Giorgio       (stupito) —Come fate a sapere tutto questo?

Irene           (sorridendo) — Lo dovevo insegnare...

Giorgio       (guardandola) — Me n'ero dimenticato! (Battendo la mano sulla tavola) Avete così poco l'aspetto di una maestrina... Specialmente in questi giorni! (Va verso destra. Lorenzo appare alla porta di sinistra in fondo) Che c'è?

Lorenzo      — La signora Russel, signore. (Prende il vassoio del caffè ed esce mentre Costanza entra).

Giorgio       — Che bella sorpresa! Non mi avevate detto che sareste tornata!

Costanza    — Marjorie Barlow non c'era. Così, piut­tosto che tornare di notte a Washington, ho pensato...

Giorgio       (sinceramente felice) — Sono felicissimo! Accomodatevi!

Costanza    — Disturbo? Stavate lavorando?

Giorgio       (subito) — No, no, affatto...

Irene           — Me ne stavo appunto andando... (Si cor­regge rivolgendosi a Giorgio) A meno che non pre­feriate che rimanga, senatore!

Giorgio       — Grazie, miss Elliot...

Irene           (guarda Costanza con ammirazione) — Oh, Costanza, volevo proprio dirti che hai un abito splendido.

Costanza    (guardandola, ma non con altrettanta bon­tà) — Anche il tuo è molto bello! Forse un po' troppo habillé a quest'ora...

Irene           (a Giorgio, sorridendo) — Avevate ragione, senatore! Spero che vorrete scusare la mia inespe­rienza... (Esce da sinistra e chiude la porta).

Costanza    (la segue con lo sguardo. Poi si avvicina alla tavola. Con indulgenza) — Non puoi pretendere troppo da lei! In così poco tempo non può avere ac­quistato il gusto... Del resto, una donna che sappia sempre come vestirsi è una rarità!

Giorgio       — Questo è vero.

Costanza    — Sarei ben contenta di darle dei consigli, se credi. Vuoi che vada a fare le spese con lei?

Giorgio       — Non voglio abusare del tuo tempo...

Costanza    (sorridendo) — Me ne sono accorta.

Giorgio       — Che vuoi dire?

Costanza    — Sei tornato da quattro giorni e questa è la prima volta che siamo soli.

Giorgio       (con rammarico) — Lo so! E me ne ram­marico non meno di te.

Costanza    — Davvero? (Siede. Dopo una pausa) Beh... sei contento di lei?

Giorgio       (andando verso Costanza) — Ha molte buo­ne qualità! Il suo aspetto è assai migliorato...

Costanza    — In modo sorprendente!

Giorgio       — E credo che in complesso faccia un'ec­cellente impressione su tutti quanti.

Costanza    — Winkler era addirittura entusiasta; questo è certo. E ora andrà dicendo per tutta Washington come siete felici insieme.

Giorgio       — E non è precisamente quello che desi­deravi?

Costanza    — Sì... Ma avevo ragione?

Giorgio       — Che vuoi dire?

Costanza    — Giorgio... ho paura di avere sbagliato.

Giorgio       — In che modo?

Costanza    — Facendoti assumere Irene. Quando mi è venuta l'idea... o piuttosto, quando Filippo ce l'ha messa in testa... ho visto solo il lato utile... che è in­negabile, per la tua carriera! Il timore di perderti era diventato un'ossessione!... Mi impediva di accorgermi della mia imprudenza. Di cui mi rendo conto sol­tanto oggi. Un po' tardi.

Giorgio       (sedendole accanto) — La tua imprudenza?

Costanza    (con collera subitanea) — Irene ci ha in­gannati! O piuttosto, mi sono ingannata io sul suo conto! Per me è sempre stata un essere insignifi­cante... un po' goffo... insomma, una maestrina di provincia! (Si alza e va verso il balcone, con indignazione crescente) Ed ecco che trovo una donna che ha una personalità non comune; sicura di sé, che seduce i tuoi ospiti, ti bacia ogni cinque minuti e comanda i tuoi domestici come se non avesse mai fatto altro in vita sua!

Giorgio       — Ma l'abbiamo assunta precisamente per questo.

Costanza    (riavvicinandosi a Giorgio) — Non fingere di non capire. Nessuna donna potrebbe fare un si­mile mutamento se fosse solo per assolvere un com­pito! Tutto questo rivela altre ambizioni.

Giorgio       — Per esempio?...

Costanza    — Quella di farti innamorare di lei.

Giorgio       — Ma questo è ridicolo, Costanza.

Costanza    — Sei una magnifica preda, Giorgio... a cui non avrebbe mai sognato di aspirare. E l'idea che, per raggiungere il suo scopo, mi spezzerebbe il cuo­re, non la tratterrebbe neanche per un secondo! Anzi... (Siede a sinistra).

Giorgio       (dolcemente) — Le hai detto che sei tu la donna che amo?

Costanza    — No.

Giorgio       — E allora?... (Pausa) Se glielo avessi detto e malgrado ciò lei tentasse di soppiantarti, di sop­piantare sua zia, sarebbe davvero una cattiveria!... Ma dal momento che non sa...

Costanza    — Hai parlato di me con lei?

Giorgio       — Spesso... E non c'è stata mai la più piccola allusione. Nulla che possa far credere che sospetti menomamente...

Costanza    (trionfante) — Ragione di più per credersi libera di agire. Non avrebbe scrupoli.

Giorgio       (ridendo, va a metterle un braccio intorno alle spalle) — Mia cara, la tua logica è invincibile! Se Irene sa che sei tu, questo la incoraggerà a fare il suo giuoco con me; e se non lo sa, sarà ancora più audace! Sei certa di aver fatto un'analisi ragionevole della situazione?

Costanza    (scoraggiata) — Una donna innamorata non è mai ragionevole.

Giorgio       (sorridendo) — Sei meravigliosa! E ora lascia che ti rivolga una domanda.

Costanza    — Dimmi pure.

Giorgio       — Se avessi desiderato sposarmi sul serio, credi che mi sarebbe stato difficile trovare una ra­gazza accettabile?

Costanza    — Certo no.

Giorgio       — E allora, perché pensi che io abbia accet­tato questa... combinazione? Devi ammettere che la situazione non è eccessivamente piacevole... Questa continua finzione... mostrare sentimenti che non provo... abusare della fiducia dei miei amici... tutto questo è talmente disonesto! Quando un uomo ti dà una simile prova d'amore, credi davvero che sia capace di guardare un'altra donna?

Costanza    (dopo una pausa, con dolcezza) — Hai ra­gione. Perdonami. (Si alza e va verso la porta) Vieni a Washington con me?

Giorgio       — Ho tanto da fare...

Costanza    — Tanto?

Giorgio       — Mercoledì a otto devo parlare per un'ora alla radio e il mio discorso non sarà piacevole per molte persone... Devo prepararlo con attenzione.

Costanza    — Di che cosa parlerai?

Giorgio       — Degli aiuti americani all'Europa... ciò che mi permetterà di citare alcune delle nostre pas­sate interferenze con altre nazioni, cominciando dal­la faccenda del Venezuela... Ti ricordi?

Costanza    — No, per nulla.

Giorgio       (insistendo) — Ma sì! Fu nel millenovecen-totre o novecentoquattro, quando Teodoro Roosevelt sioppose al Kaiser che minacciava di fare uno sbarco a Caracas...

Costanza    (che frattanto sì è incipriata, rimette il portacipria nella borsetta che richiude) — Dimmi il riassunto del tuo discorso...

Giorgio       (la guarda con un piccolo sorriso di delusio­ne ma risponde con molta bontà) — Non è ancora pronto! Sto ancora facendo delle ricerche. Te ne par­lerò quando sarò un po' più sicuro del fatto mio...

Costanza    — Non insisto. (Va verso la porta) Lu­nedì?

Giorgio       (seguendola) — Senz'altro. Verremo un po' presto.

Irene           (entra da sinistra lasciando la porta aperta. Ha dei fogli in mano. Ha cambiato abito mettendone uno accollatissimo) — Senatore, credo di aver trovato qualche informazione... (Vedendo Costanza si inter­rompe) Oh scusami, Costanza! Ho sentito una mac­china che andava via. Credevo che fosse la tua.

Costanza    — No, vado adesso. (Irene attraversa si­lenziosamente la scena (sudando a posare i fogli sulla scrivania. Costanza la osserva) Oh, hai cambiato abito?

Irene           — L'altro non ti piaceva... E per stare in casa, questo è...

Costanza    — Graziosissimo. Questa volta mi con­gratulo.

Irene           — Molto lusinghiero... specialmente detto da te.

(Lorenzo entra dal fondo portando un vassoio con una piccola teiera e due tazze).

Venite, Lorenzo... Qui, per favore. Grazie.

(Gli ha indicato la tavola sul davanti, Lorenzo eseguisce ed esce subito).

Giorgio       (un po' imbarazzato) .— L'avete ordinato voi?

Irene           — Sì. Sono le quattro passate; e ho pensato che avreste preso volentieri una tazza di tè mentre io vi leggevo i miei appunti. (Mostrando i fogli) C'è parecchia roba. Praticamente, è tutta la prima parte del vostro discorso!

Costanza    (ha ascoltata con crescente stupore e scon­tento. Si volge a Giorgio riuscendo a padroneggiarsi. Con un sorriso forzato) — Non sapevo che Irene vi aiutasse anche nel vostro lavoro! (A Irene) Tesoro, sei proprio perfetta! (Torna lentamente verso il cen­tro) E non avrei potuto trovare una ragazza più ideale per rappresentare questa parte... tanto per Giorgio... quanto per me!

Giorgio       (cercando invano di interromperla) — Co­stanza...

Costanza    (molto dolcemente) — Sì, Giorgio: dob­biamo dirglielo! Questa nostra mancanza di fiducia è poco simpatica... (A Irene) Mia cara, la donna che tu sostituisci temporaneamente in questa casa sono io.

Irene           (immobile) — Capisco.

(Una pausa).

Costanza    — Comprendo quello che stai pensando! No, Irene; non sono così colpevole come può sem­brare. Sei troppo intelligente per non rendertene conto. Figurati di aver vissuto, fin dalla tua giovi­nezza, con un uomo che aveva il doppio della tua età... e trovare ad un tratto un tuo coetaneo che ti ama ed è pronto a sposarti. Che cosa faresti? E come agirebbe qualunque altra donna?... In modo diver­so?... Sì, capisco che novantanove su cento divorzie­rebbero immediatamente. Rifletti e arriverai alla stes­sa conclusione. Perciò... lavora! (Indicando Giorgio) Aiutalo!... (Con un sorriso affascinante) Sono sicura che farai anche meglio, sapendo che aiuti anche me. Ma ora debbo andare... Il vostro tè si raffredda!...

(Bacia Giorgio ed esce. Una pausa. Giorgio, nervosamente, va verso il balcone, Irene a sua voltar va dalla scrivania alla tavola dove Lorenzo ha posato il vassoio).

Irene           (da lontano, a Giorgio) — Una o due?

Giorgio       (voltandosi)— Che cosa?

Irene           — Non ricordo se mettete una o due zollette di zucchero nel tè.

Giorgio       — Una e mezzo... Grazie. (Altra pausa. Irene versa il tè). Non avrebbe dovuto dirvelo... (Pausa) Almeno, così credo... (Pausa) E voi?

Irene           (posando la tazza di Giorgio sulla tavola) — Non ho opinioni, signore.

(Giorgio si avvicina alla tavola. Irene torna al vassoio a prendere la propria tazza)

Cerco sempre di evitare di formarmi un'opi­nione su quello che non mi riguarda. Ho con voi un impegno che non ha nulla a che fare con quello che Costanza ha creduto di dovermi confidare. E finché avete bisogno dei miei servigi, farò del mio meglio per assolvere il mio compito con abilità. Questo è tutto quello che posso dire. (Posa la propria tazza sulla tavola davanti al seggiolone centrale).

Giorgio       (si è seduto a destra della tavola. Prende la tazza) — Capisco.

Irene           (pensierosa) — Forse avrei preferito non sa­pere... Ma Costanza avrà avuto i suoi motivi per dir­melo... (Va alla scrivania a prendere i fogli che vi ha deposto prima) Volete che vi dia un breve riassunto di queste note?

Giorgio       — Sì, per favore.

Irene           (leggendo le proprie note) — 1903. La nota di Teodoro Roosevelt al Giappone, a proposito della di­sputa di questo Stato con la California...

Giorgio       (bevendo il tè) — L'invasione dei Coolies, Esatto.

Irene           (c. s.)— Lo stesso anno. Canale di Panama, Accordo con la Francia...

Giorgio       — Quello non fu un intervento; fu un trat­tato.

Irene           — Sì... Ma nel 1913, la controversia messica­na fu il primo passo importante di Woodrow Wilson, in materia di affari esteri.

Giorgio       (bevendo) — Non possiamo dimenticare gli altri che aveva in mente... (Posa la tazza).

Irene           — Finché Coolidge non approvò il patto Kellogg-Briand che, fra tutti gli esperimenti in Europa, fu quello che ebbe le maggiori conseguenze.

Giorgio       (colpito) — Le vostre osservazioni sono ve­ramente notevoli, miss Elliot. (Sorridendo) Non ave­te mai pensato a fondare un ufficio informazioni per ucraini politici?

Irene           (sorridendo) — Sarebbe un'idea!

Giorgio       — Il vostro sarebbe un aiuto prezioso, ve lo assicuro!

Irene           — Ci penserò.

Giorgio       — No, no; vi dò già abbastanza da fare io!

Irene           — Oh, naturalmente penso per dopo!

Giorgio       — Dopo che cosa?

Irene           — Quando mi avrete licenziata e dovrò nuo­vamente cercare lavoro.

Giorgio       — Ah già... (Pausa) Naturalmente... (Non guarda Irene ma ha lo sguardo fisso davanti a sé verso la sala, riflettendo) E dire... che cominciò credendo che l'isolazionismo fosse la chiave di volta della pace mondiale.

Irene           (senza capire) — Chi?

Giorgio       — Woodrow Wilson.

Irene           — È vero. (Pausa) Ma dopo alcuni anni, qua­le uomo di Stato non sarebbe stato costretto a rove­sciare la sua politica?

Giorgio       (c. s. pensieroso) — Magari dopo alcune set­timane...

Irene           (anche lei pensierosa) — A volte...

Giorgio       (c. s.lentamente quasi a se stesso) — E que­sto non si limita agli uomini di Stato... Tutti gli es­seri umani cambiano idea, durante la loro vita...

Irene           (c. s.) — Non ricordo chi disse: « Possiamo es­sere fedeli a noi stessi solo quando siamo inconsistenti».

Giorgio       (c. s.) — Com'è giusto questo.

Irene           — Ancora un po' di tè?

Giorgio       — Grazie.

(Irene comincia a versargli il tè. Giorgio si volge a guardarla).

QUADRO SECONDO

(Una settimana dopo. Principio di ottobre. Circa le sei pomeridiane. Persiane - o tende - chiuse. I ve­tri del balcone sono aperti. Le due lampade ai lati del sofà e quella della scrivania sono accese. Al levar del sipario Irene è sola, seduta alla scrivania e scrive su un quaderno di appunti. Dal fondo a sinistra en­tra Filippo. Ha addosso il soprabito).

Filippo         — Salve, salve!

Irene           (si alza voltando la sedia in modo che questa rimanga in faccia al pubblico. Va gaiamente incontro a Filippo) — Zio Filippo! Che bella sorpresa!

Filippo         (che si è avvicinato) — Che stai facendo?

Irene           — Scelgo dei ritagli di giornali. Ce ne sono talmente tanti... Così dò a Giorgio solo quelli che vale la pena che legga... e gli altri li metto via, in archivio.

Filippo         — Quelli che ripetono le stesse cose?

Irene           — No. Quelli che dicono delle cattiverie.

Filippo         (sorridendo) — Questa si chiama sollecitu­dine! Sai perché sono venuto?

Irene           — Per essere gentile, no?

Filippo         — Sei un tesoro! Ma anche perché voglio dirti una cosa.

Irene           — Dimmi.

Filippo         — Hai un appuntamento con Byron Winkler?

Irene           — Sì, alle sei.

Filippo         (sedendo) — Allora ho fatto bene a venire.

Irene           (sedendo) — A che proposito?

Filippo         — Stamattina Winkler è venuto a trovarmi per sapere se tu avresti accettato di far parte di non so quale comitato letterario o artistico... Te ne parlerà. La cosa mi è parsa un po' strana: che bisogno aveva della mia opinione? Comunque, abbiamo continuato a parlare di te... E così, in discorso, mi ha chiesto se Giorgio parla mai di politica con te. Gli ho risposto: « Sempre ». Poi ha voluto sapere se hai influenza su tuo marito. Gli ho detto: « È la sola persona a cui dà retta »...

Irene           (sorpresa) — Perché gli hai detto questo? Giorgio non mi consulta mai...

Filippo         — Perché se Winkler mi ha fatto tutte que­ste domande, vuol dire che il Comitato era un pretesto...

Irene           (senza capire) — Come?

Filippo         — Giorgio èun brillante oratore... Il Mini­stero può aver bisogno di rendersi conto preciso del­le sue idee su certi dati argomenti; se fosse ostile, capire fino a  che punto le sue convinzioni sono decise.

Irene           — In questo caso, cercherò di fare in modo che Winkler pensi ad altro.

Filippo         — Sarebbe un errore.

Irene           — Perché?

Filippo         — Se il Segretario di Stato si prende la briga di venire fin qui per chiederti qualcosa, vuol dire che per lui è importante... Byron Winkler non si lascia incantare facilmente. E un uomo furbo come lui non chiederebbe mai nulla senza essere disposto a garantire qualche altra cosa in cambio.

Irene           — Non riesco a figurarmi di poter partecipare a un contratto di questo genere. E Giorgio non lo approverebbe. Una volta presa posizione, in una qualsiasi questione, nessun vantaggio personale po­trebbe fargliela mutare.

Filippo         (filosofo) — Sai benissimo che un uomo po­litico cambia idea senza disonorarsi. Dipende dal mo­do, esclusivamente. Comunque è molto bene che By­ron abbia pensato di venire da te; ed io sono contento di averlo incoraggiato.

Irene           (sorridendo) — Per darmi maggior valore ai suoi occhi?

Filippo         (alzandosi) — No; agli occhi di Giorgio. (Camminando) Qualunque cosa Winkler abbia in mente, la spiegherà a te... e tu la spiegherai a tuo marito... Ciò che farà sì che Giorgio ti apprezzi più che mai.

Irene           — Sei un uomo impagabile, zio Filippo.

Filippo         (siede vicino alla scrivania) — Desidero ve­derti felice: ecco tutto. E sono arrivato alla conclu­sione che tu devi riuscire a fare innamorare di te Giorgio.

Irene           (sorpresa) — Innamorare?

Filippo         (dolcemente) — Sì; vorrei veder finire que­sta finzione, Irene... e vederti diventare realmente la moglie di tuo marito.

Irene           (si alza, colpita) — Zio Filippo...

Filippo         — Non puoi immaginare quanto sia im­portante per me... (Sorride) Potrei quasi dire che il mio è un interesse personale...

Irene           — Allora sai... hai indovinato?

Filippo         — Ti stupisce? Non so perché son dovuto sempre sembrare così stupido alla mia famiglia. Fino alla sua morte, il mio povero babbo è stato preoccu­pato per la mia scarsa intelligenza; era convinto che non sarei mai riuscito a nulla... È vero che in quell'epoca ero soltanto ministro in Egitto.

Irene           (è andata lentamente a sinistra, si ferma ac­canto alla panca e si volge verso Filippo) — Ma che cosa ti ha dato sospetto? Che ho fatto?

Filippo         — Assolutamente nulla. Reciti la tua parte alla perfezione.

Irene           — E allora come hai fatto?

Filippo         — Semplice logica, bimba mia! Alla fine di luglio Giorgio era ancora l'emozionante proprietà di una donna misteriosa... Tre settimane dopo ti spo­sava... Il semplice fatto che il matrimonio giungesse in così breve tempo, dimostrava che non vi era alcuna rinuncia... perciò la signora doveva essere favorevole al matrimonio... e non aveva ragione di esserne ge­losa. (Con aria indifferente) A proposito: ti è stato detto chi è?

Irene           (innocentemente) — Chi?

Filippo         — La signora in questione.

Irene           (sedendo) — Certo no.

Filippo         (incredulo) — Ha dato la sua approvazione senza averti vista?

Irene           — Può darsi che mi conosca senza che io lo sappia...

Filippo         — Può darsi. Certo non avrebbe mai accon­sentito a questo accordo senza averti prima esaminata attentamente.

Irene           (sorridendo) — Decidendo che ero innocua?

Filippo         — Ciò che non depone in favore del suo senno.

Irene           — Questa volta ti sbagli, zio Filippo. La signo­ra non ha nulla da temere da me.

Filippo         — Eppure... Giorgio non deve esserti com­pletamente indifferente, credo?

Irene           (subito) — Perché dici così?

Filippo         — C'è mancato poco che me lo dicessi tu stessa, parecchio tempo prima di tutto questo.

Irene           — Non ricordo. E in tutti i casi, non farei mai un brutto scherzo a una donna che ha avuto fiducia in me.

Filippo         — Hai detto or ora che non sai neanche chi è...

Irene           — Però so che esiste.

Filippo         — E se Giorgio si innamorasse di te?

Irene           — È impossibile.

Filippo         — Perché?

Irene           — Perché è innamorato di un'altra.

Filippo         (facendo qualche passo verso destra) — La gente cambia.

Irene           — Zio Filippo! Mi approveresti se io incorag­giassi un uomo che non è libero?

Filippo         (si alza, un po' infastidito) — Ma per carità! Parli come se fosse sposato. E a quell'altro non ci pensi?

Irene           — Quale altro?

Filippo         — Il marito di quella signora. Nessuno pen­sa mai a lui... Eppure potrebbe meritare la tua sim­patia molto più di lei.

Irene           (con riserbo) — Può darsi. Non possiamo saperlo...

Filippo         (andando verso di lei, siede a destra della tavola) — Giustissimo. Potrebbe essere un individuo impossibile... ma potrebbe anche essere una persona molto per bene! Sai che Giorgio è innamorato di un'altra donna; perciò eviti di proposito di dargli nell'occhio. Bene. A prima vista, il tuo comportamento è pieno di generosità. Ma supponiamo che, riuscen­do a staccare Giorgio da quella donna, tu riuscissi, nello stesso tempo, a riavvicinare questa a suo ma­rito? È cosa di cui potresti essere orgogliosa. E non so se il tuo dovere non sia piuttosto quello... (Guar­dando col viso volto verso la sala Irene che è assai pensierosa) Capisco ciò che stai pensando... Che lei potrebbe essere non interamente colpevole. Forse suo marito era troppo occupato per dimostrarle tutta la bontà e tutto l'amore che essa desiderava... Sono cose che succedono, lo sai... Potrebbe anche avere altre scuse... ed essere troppo confusa per comprendere il proprio cuore. (Sorriso di bontà) La vita è così ve­loce, al giorno d'oggi, che la coscienza non può sem­pre rimanere... al passo. Dobbiamo quindi essere un po' più indulgenti... Può essere una donna piena di qualità che ha bisogno soltanto di essere disillusa sul conto di Giorgio per tornare ad essere una moglie perfetta. (Pausa) Non ci hai pensato a questo?

Irene           (è molto commossa ma riesce a nasconderlo) — No...

Filippo         — Allora ho fatto molto bene a farti riflet­tere. (Guarda l'orologio e si alza) Oh, me ne debbo andare. Non voglio che Winkler mi trovi qui... (Va verso il fondo, Irene si alza e lo segue) Oh, è un brav'uomo. Farse in questi giorni è un po' stanco per il troppo lavoro... Si affatica tanto, da quando si dice che Robert Schuyler può dimettersi da un mo­mento all'altro...

Irene           — Il Sottosegretario di Stato? (Filippo accenna di sì) Non sapevo che potessero andarsene di loro ini­ziativa; credevo che potessero soltanto essere licen­ziati...

Filippo         — Non ha molta salute... e probabilmente avrebbe dovuto andarsi a riposare prima di me. (Cam­biando tono) Esci stasera?

Irene           — No.

Filippo         — Allora tornerò più tardi. Voglio sapere come te la sei cavata con Byron... Tanto più che sono solo soletto. Costanza è andata a New York a vedere per la decima volta quell'operetta che si sta dando a Broadvvay!

Lorenzo      (appare da sinistra in fondo) — Il signor Winkler, signora.

Filippo         (a Irene) — Non farlo aspettare! (A Lorenzo) Fatelo entrare fra un minuto.

(Lorenzo esce. Filippo va verso il balcone)

Ho lasciato la mia macchina dietro al garage, Chi sa per quale intuito! A volte ho delle ispirazioni...

(Irene apre le tende del balcone per farlo uscire. Per un secondo rimane a guardarlo mentre egli scompare. Poi va in fretta a girare l'in­terruttore per accendere il lampadario centrale. Quindi rimane in attesa. Lorenzo introduce Winkler ed esce).

Winkler      (avvicinandosi ad Irene) — Cara signora Henderson. Come siete gentile a ricevermi così subito.

Irene           (stringendogli la mano) — Ma sono molto lieta...

Winkler      — Come sta vostro marito?

Irene           — Benone... Guance rosee e occhi limpidi!

Winkler      — La felicità è la chiave della buona sa­lute! Ma dovete rendere infelici una quantità di persone.

Irene           — Perché?

Winkler      — Molti non sono affatto contenti della felicità altrui... È come il fumo del sigaro: ad alcuni non dà noia, ma vi sono parecchie persone insof­ferenti.

Irene           (ridendo) — Siete molto ottimista...

Winkler      — È meglio che vi spieghi il motivo della mia visita. (Viene al seggiolone a destra della tavola).

Irene           (va a prendere la scatola delle sigarette sulla scrivania e va ad offrire a Winkler) — Sigaretta?

Winkler      — Grazie. (Prende la sigaretta e la accende durante la battuta seguente, mentre siede a destra della tavola. Irene siede a sinistra) Probabilmente sapete che alcuni membri della società di Washing­ton hanno l'intenzione di aprire un nuovo teatro di prosa, per ringiovanire il vecchio repertorio efarne una sala degna della nostra capitale.

Irene           — È vero, non ce n'è nessuna! Eccettuato, naturalmente, il «Gaiety»!

Winkler      — Ed è un vero peccato. Quando il Presidente ha qualche visitatore importante... non so, un capo di Governo straniero o un sovrano...

Irene           (sorridendo) — Non ce ne sono più molti...

Winkler      — No; ma ogni tanto ne capita uno... e non sappiamo mai dove condurlo la sera.

Irene           (ridendo) — Capisco.

Winkler      — Abbiamo bisogno di un bell'edificio e di rappresentazioni di prim'ordine. Perciò le nostre si­gnore stanno formando un comitato per vedere che cosa si può fare. Mia moglie sarà presidente; e finché lei non torna da Santa Barbara - cosa che probabil­mente accadrà fra breve - io faccio un po' di recluta­mento per lei... Che ne direste della nomina a pre­sidente del sottocomitato per i programmi?

Irene           — È un'offerta molto lusinghiera.

Winkler      — Il nostro comitato deve inevitabilmente avere fra i suoi membri parecchi che sono stretta­mente collegati col Governo; quindi tenderà necessa­riamente verso il partito di destra. Ora, se non è pos­sibile essere compatti in altro, vorrei almeno che questo paese fosse unito nella politica teatrale. Perciò sarei ben felice di includervi la moglie di un emi­nente repubblicano... (Sorridendo) Uno dei nostri più attivi oppositori.

Irene           (poco convinta) — Attivi?

Winkler      — Forse non molto, fino ad ora. È stato, anzi, abbastanza tranquillo. Ma si dice che stia sol­tanto guadagnando tempo...

Irene           (senza scomporsi) — Ah?

Winkler      — Pare che mentre eravate all'estero, egli abbia constatato che il nostro programma di aiuti al­l'Europa era piuttosto male applicato...

Irene           — Credo che sia proprio così...

Winkler      — Giorgio intende sviscerare questo argo­mento in una trasmissione radiofonica... Pare che voglia proporre il problema ai contribuenti americani.

Irene           — E vi sembra molto irragionevole, signor Winkler?

Winkler      (pensieroso) — A prima vista, no... Certo possono esservi stati dei casi di cattiva applicazione;  ma è questa una ragione sufficiente per ritirare il  nostro aiuto? Se noi usciamo di scena, sapete benissimo chi entrerà. L'Europa può aver bisogno di noi, signora Henderson, ma - perbacco! - anche noi ab­biamo bisogno dell'Europa!

Irene           (sulla difensiva) — Mi dimostrate molta fidu­cia, signor Winkler...

Winkler      — Oh, non vi è nulla di confidenziale in quello che sto dicendo. I giornali ne parlano ogni giorno... tanto per riempire lo spazio che hanno di­sponibile! (Si alza) Quello che sarebbe davvero im­portante, sarebbe il poter dimostrare le vere ragioni di questa politica. Se Giorgio le conoscesse, sono sicuro che smetterebbe immediatamente di... Ma all'infuori del Dipartimento di Stato e dei pezzi grossi del Go­verno, nessuno le conosce. Perciò il programma di vostro marito mi sembra tanto inopportuno. Vorrei potergliene parlare.

Irene           (gentilmente) — Non mi pare affatto dif­ficile...

Winkler      (che sta camminando per la scena, si ferma e si volge a lei) — Ne siete certa?

Irene           (sorridendo) — Credete che non voglia ve­dervi?

Winkler      — Ma vorrà ascoltarmi?

Irene           (si alza e va lentamente verso il centro) — Dipende, immagino, da ciò che intendete dirgli... Il punto di vista ufficiale, quello che tutti conoscono, potrebbe non essere sufficiente per persuaderlo... Dovrebbero esservi degli argomenti conclusivi... Per esempio, le ragioni precise a cui avete accennato... (Dopo riflessione) Ma avete anche detto, e molto giustamente, che nessuno, all'infuori del Diparti­mento di Stato... (Si interrompe. Poi molto dolce­mente) A meno che...

Winkler      — A meno... che cosa?

Irene           (come correggendosi) — No, veramente non dovrei...

Winkler      — Avanti, coraggio. Dite pure.

Irene           (in piedi dietro alla tavola) — Ho sentito dire vagamente che Roberto Schuyler non sta troppo bene in salute e che potrebbe esser costretto a di­mettersi...

Winkler      — Non è impossibile...

Irene           (dolce) — Avrete bisogno di qualcuno per sostituirlo...

Winkler      — Già, già, sicuro!... (Pausa. Le lancia una rapida occhiata. Poi riflettendo) Sicuro, Giorgio potrebbe essere indicatissimo... Ha compiuto ottima­mente alcune missioni, ai tempi di vostro zio...

Irene           — Se ritenete che possa esser qualificato...  allora facendo parte del Dipartimento di Stato... sarebbe al corrente dei motivi segreti... e, come avete detto anche voi, le sue convinzioni potreb­bero probabilmente mutare!

Winkler      (dopo una pausa) — Sì... sì... può es­sere che la vostra sia una buona idea. (Va a sinistra della scrivania).

Irene           — Vi ringrazio.

Winkler      — Ma sapete che il nostro Governo deve agire democraticamente; e Giorgio è uscito un po' fuori dal seminato.

Irene           — Roosevelt assunse Stimson e Knox che erano grandi esponenti del partito repubblicano...

Winkler      (pensieroso) — Sì... e la situazione era più disperata di oggi... spero!... (Riflette) E... a Giorgio interesserebbe rientrare nel Dipartimento?

Irene           (facendo l'ingenua) — Non ne ho idea... Potrebbe darsi... Ad ogni modo, se una cosa può deciderlo, sarebbe l'opportunità di lavorare diretta­mente sotto di voi. Vi ammira tanto!

Winkler      — Via, via...

Irene           (avvicinandosi a lui) — Pensavo proprio l'altro giorno: «Se il signor Winkler andasse alla Casa Bianca...».

Winkler      (ridendo) — Mai, mia cara!... Seguirò l'esempio di vostro zio: a sessantacinque anni me ne vado a riposo.

Irene           — Allora avete tutto il tempo di cambiare idea!

Winkler      — Non sarà facile.

Irene           — Oh, sapete bene come può essere per­suasivo Giorgio. (Con un piccolo sorriso) Altri­menti, non sareste qui.

Winkler      (guardandola con ammirazione) — So che è ben fortunato di avere una moglie come voi.

Irene           (sorridendo) — Ne siete proprio sicuro?

Winkler      — Ed è fortunato anche in altro modo...

Irene            — Cioè?

Winkler      — Mia cara, se avessi vent'anni di me­no... e vi avessi conosciuta prima di lui... oggi non mi rivolgerei a voi chiamandovi signora Henderson.

Irene           (ridendo) — Mi fate arrossire.

Winkler      (ridendo anche lui) — Come sono con­tento. Non credevo di esserne ancora capace...

Irene           —  Questa è mancanza  di fiducia in se stessi.

Winkler      (sempre guardandola) — Mi piacerebbe proprio avere Giorgio con noi.

Irene           — Certo non avreste da lamentarvi di un tale acquisto...

Winkler      — Ed avrei un ottimo pretesto per ve­dervi sovente.

Irene           (ridendo) — Questo è un punto di vista del tutto diverso.

Winkler      — Ma molto importante.

Irene           —  Signor  Winkler,  non  siete  serio...  ma siete simpaticissimo.

Winkler      — Grazie. Preferisco essere amato per i miei difetti più che per le mie virtù. Almeno, sono sicuro di essere amato di più.

(Giorgio appare da sinistra in fondo, portando la sua cartella).

Giorgio       (stupito nel riconoscere Winkler) — Salve, Byron. (Entra).

Winkler      (andandogli incontro) — Sono venuto ad offrire alla signora Henderson un posto in un comitato che mia moglie sta formando... Ha accet­tato. Quindi me ne vado molto soddisfatto.

Giorgio       (posando la cartella) — Sono io che vi faccio fuggire? Rimanete ancora un poco...

Winkler      (guardando  l'orologio) — Mi  spiace... sono quasi le sette... Ma può darsi che mi rivediate fra breve... (Occhiata a Irene).

Giorgio       (sorpreso) — Oh?

Winkler      — Vostra moglie vi dirà... E se la cosa vi interessa, ne parleremo domattina. (Posa la siga­retta su un posacenere),

Giorgio       — Devo partire per Denver alle undici.

Winkler      — Benissimo. Io sono sempre in ufficio alle nove.

Giorgio       — Allora...

Winkler      (lo interrompe indicandogli Irene) — Ascoltate prima quello che vi dirà lei. E fatemi sapere se credete sia il caso di parlarne. (A Irene prendendole la mano) Grazie, signora Henderson. Se il posto cheoccupo mi procurasse molti colloqui come questo, nulla potrebbe indurmi ad abbando­narlo.

(Le bacia la mano. Guarda Giorgio, poi nuovamente Irene e va verso la porta) Sicuro!

(Winkler e Giorgio escono dal fondo a sinistra. Irene prende la cartella dalla tavola dove Giorgio l'ha posata e va a metterla sulla scrivania. Poi torna sul davanti tirandosi giù la spallina dell'abito e rimane in attesa).

Giorgio       (rientrando) — Che cos'è questo comitato?

Irene           — Vogliono fare un nuovo teatro a Wash­ington e darvi degli spettacoli di prim'ordine.

Giorgio       (stupito) — E Winkler è venuto fin qui per dirvi questo?

Irene           (sorridendo) — No. E venuto fin qui per dirmi qualcos'altro.

Giorgio       — Per esempio?

Irene           (con sollecitudine) — Sedete, senatore. (Lo fa sedere sul seggiolone a sinistra della tavola, di fronte alla sala) Stamattina siete andato via prima delle nove e avete avuto da fare tutto il giorno... Posso prepararvi qualcosa da bere?

Giorgio       — Ottima idea.

(Irene va verso il bar) Intanto potete parlare ugualmente... Vengo a casa e vi trovo col Segretario di Stato. Che diamine è venuto a fare?

Irene           (è al bar e prepara la bevanda) — Ecco... Il signor Winkler sa che voi state preparando un attacco alla politica estera del Ministero... ed è molto turbato di questo. È sicuro che il vostro di­scorso sarà pieno di fatti positivi. Il Piano Marshall ha sempre avuto molti oppositori... e Winkler teme che voi possiate pericolosamente consolidare la po­sizione di costoro... (Va a portargli il bicchiere).

Giorgio       (sorridendo) — Ed è venuto a vedere se poteva farmi tacere?

Irene           (sorridendo e porgendogli il bicchiere) — Precisamente.

Giorgio       — Spero che gli avrete fatto capire che perde il suo tempo!

Irene           — Questa è stata la mia prima reazione...

Giorgio       (sorpreso) — E poi?

Irene           — Ecco... la nostra conversazione ha preso un tono più serio... Il signor Winkler mi ha par­lato della gravità della situazione... dei veri motivi che giustificano l'attuale politica del nostro paese... e mi ha detto: «Se vostro marito li conoscesse, sono certo che rinuncerebbe a questo discorso».   

Giorgio       — Davvero? Ditemi quali sono...

Irene           (pulendo sulla tavola qualche goccia inesistente) — Questa è stata la mia risposta. Alla quale egli ha replicato che solo pochi pezzi grossi del Governo possono esserne informati. In tal caso, ho ribattuto  allora,  la soluzione è semplicissima:   of­frite a mio marito una di quelle alte posizioni!

Giorgio       (ridendo) — Gli avete detto questo?

Irene           (va a mettere in ordine alcune schede) — Gli ho detto di più. Roberto Schuyler sta per andare a riposo per ragioni di salute. Occorre un nuovo Sottosegretario di Stato. E il signor Winkler vuole vedervi domattina per offrirvi questo sottosegretariato.

Giorgio       (sbalordito) — Non può essere.

Irene           (semplicemente) — Invece, è.

Giorgio       — Gli  avete detto che potrebbe nominarmi?

Irene           — Sì... Ma non mi sono compromessa... Siete sempre voi ad essere padrone della situazione.

Giorgio       — In che modo?

Irene           — Gli ho fatto capire che voi non rinuncereste mai alle vostre convinzioni in cambio di un titolo. Così vi presenterà i suoi argomenti e voi li considererete... e solo se vi sembreranno decisivi, accetterete o meno la sua proposta.

Giorgio       (prendendo il bicchiere) — Ha acconsentito a questo?

Irene           — Naturalmente. Insomma: voi rimarrete ligio al vostro dovere... Soltanto, il dovere può cambiare.

Giorgio       (sempre più sbalordito, andando verso di lei) — Miss Elliot...

Irene           — Vi sembra soddisfacente? (Con un piccolo sorriso) Questa volta ho detto la cosa giusta?

Giorgio       — Non ho parole per esprimere la mia ammirazione, la mia gratitudine...

Irene           (con aria indifferente) — Non esagerate.

Giorgio       — Non esagero... Siete straordinaria. In un'ora siete riuscita a...

Irene            (con  bontà)  —  Signor  Henderson,  sono i vostri meriti che hanno ottenuto questo. Se il signor Winkler vi considerasse un personaggio mediocre, qualunque cosa io avessi detto non gli avrebbe fatto nessuna impressione.

Giorgio       (commosso) — Credete?

Irene           — Ne sono certa! Perciò mi piacerebbe che accettaste la sua proposta. Inoltre, mi pare che il signor Winkler abbia ragione. Questo non è momento per differenze di  partiti! Perdonatemi se parlo con tanta franchezza... ma non mi sembrava che il vostro discorso fosse molto tempestivo...

Giorgio       — Avreste dovuto dirmelo.

Irene           — La cosa non miriguardava... Ma ora che lasituazione va prendendo un'altra piega, devo ammettere che ne sono assai felice.

Giorgio       (facendo un passo verso dì lei) — Felice?... Ma questo vuol dire...

Irene           — Che cosa?

Giorgio       (dolcemente) — Che avete dell'ambizione per me?

Irene           — Una persona coscienziosa ha sempre am­bizioni, per il proprio datore di lavoro.

Giorgio       (più freddo) — Ah, è come datore di la­voro che...

Irene           (molto naturalmente) — Si capisce. Mi piace molto stare qui... (Va verso la scrivania e mette in un cassetto le schede) E mi piace il mio lavoro. Mi pagate bene... Quindi è naturale che io abbia a cuore i vostri interessi. E, visto il compenso che ricevo, cerco di fare del mio meglio... (Giorgio beve volgendole le spalle) Perciò, ho anche il mio interesse personale...

(Chiude il quaderno dove aveva messo i ritagli di giornali e lo rimette in un cassetto. Tira giù la spallina dell'abito. Giorgio si volta e la guarda. Irene continua come sognando)  

Più tardi... quando il mio ufficio di informazioni per uomini politici mi darà molto da fare... o quando sarò sposata... ricorderò questo periodo della mia vita... Voi sarete allora diventato un personaggio importantissimo... Ed io potrò pensare che ero ac­canto a voi nel momento del vostro primo grande successo... Sarà un gran bel ricordo. (Pausa. Irene si volge verso Giorgio. Stupita)  Perché mi guar­date a quel modo?

Giorgio       — Perché questo è assurdo!  Non posso credere che... (Posa il bicchiere sulla tavola).

Irene           — Che cosa?

Giorgio       — Che questo sia soltanto per meritare il vostro stipendio. Una donna che fa per il proprio datore di lavoro quello che avete fatto voi...

Irene           — Ebbene?

Giorgio       — Deve avere per lui qualche cosa di più del semplice interesse professionale.

Irene           — Credete, senatore?

Giorgio       — Lo credo.

Irene           (dopo una pausa) — Può darsi che abbiate ragione. (Altra pausa) Sì... sono stata spinta da un altro sentimento.  Devo  ammetterlo.

Giorgio       (contento fa un passo verso di lei)   — Davvero? Un sentimento personale?

Irene           — Sì.

Giorgio       (altro passo) — Che non ha nulla a che fare col vostro lavoro?

Irene           — Nulla.

Giorgio       (altro passa) — Di cui vi siete resa conto solo recentemente?

Irene           — Verissimo.

Giorgio       (felice) — Ne ero sicuro. (Altro passo) Da quanto tempo ve ne siete accorta?

Irene           — Posso dirlo esattamente.

Giorgio       (felice. Altro passo) — Davvero?

Irene           — Da una settimana.

Giorgio       (altro passo) — Dopo il nostro ritorno dall'Europa, dunque?

Irene           — Quattro giorni dopo.

Giorgio       (sorpreso, si ferma. Ora è vicino a lei) — Quattro giorni?

Irene           — Il giorno in cui il signor Winkler venne a colazione.

Giorgio       — E come ve ne siete accorta? Ditemelo, vi prego...

Irene           (con naturalezza) — Fu la confessione di Costanza.

Giorgio       (stupefatto) — Come?

Irene           — Fino allora, non sapevo chi sostituivo qui. Ora che so che siete innamorato di mia zia... e che un giorno sarete... eh già, un giorno sarete mio zio! (Giorgio si volge nascondendo a stento la sua delu­sione e va verso il centro) Mi sento quasi già vo­stra parente. E questo mi rende anche più devota e interessata al vostro avvenire. Non è naturale?

Giorgio       (va a sedere sulla panca) —— Vorrei bere ancora.

Irene           — Quanti whisky avete bevuti  prima di venire a casa?

Giorgio       — Nessuno.

Irene           (con indulgenza) — Questo è solo il se­condo? Bene... (Va al bar, prendendo il bicchiere che è sulla tavola e prepara un altro whisky e soda) Non dobbiamo dimenticare di telefonare al signor Winkler.

Giorgio       — Per che cosa?

Irene           — Per prendere un appuntamento preciso. Immagino che andrete da lui, no?

Giorgio       (guardando  l'orologio)  —  Probabilmente non sarà ancora a casa.

Irene           — E poi, non volete sembrare troppo sol­lecito. Secondo me, l'ora giusta per chiamarlo, sa­rebbe le nove. Più tardi non sarebbe cortese; pri­ma, sarebbe troppo presto. (Va a porgergli il bic­chiere).

Giorgio       (lo prende. Poi la guarda mentre Irene va alla scrivania) — Avete ragione, come sempre. Avete delle intuizioni così sicure. E siete talmente carina...

Irene           — Grazie.

Giorgio       — Non avevo ancora visto quest'abito. Molto grazioso.

Irene           (sorridendo, va allo scaffale dei libri facendo nuovamente scivolare una spallina) — Nessuna osservazione?

Giorgio       — Nessuna. E mi piace anche la vostra pettinatura.

Irene           (prende un libro. Poi lo posa) — Cerco di essere alla vostra altezza...

Giorgio       (a un tratto si alza e va vicino al tavolino del caffè) — Perché non andiamo a pranzo fuori?

Irene           (si volta) — Dove?

Giorgio       — Dovunque...

Irene           — Dovete vedere qualcuno?

Giorgio       — No... Mi piacerebbe uscire con voi; nient'altro.

Irene           (con riserbo) — Ma, senatore...

Giorgio       — Mi avete dato delle ottime notizie. È una gran giornata nella mia vita. Ho voglia di festeggiarla. Andiamo al Gotham!

Irene            (imbarazzata venendo sul davanti) — Pre­ferirei di no.

Giorgio       — Perché?

Irene           — Ho già ordinato il pranzo qui...

Giorgio       (la segue) — E con questo? Del resto, non è male che la gente ci veda insieme. Siamo stati assenti tutta l'estate...

Irene           — Ah... se la cosa ha un'importanza pro­fessionale..

Giorgio       (un po' impaziente) — Possibile che dob­biate essere così professionale a proposito di tutto? Sapete bene che questo doveva accadere... A poco a poco mi sto abituando ad avervi volentieri vicina a me... la vostra compagnia mi piace... E non posso fare ameno di desiderare che voi proviate lo stesso sentimento.

Irene           (con bontà) — Ma lo piovo...

Giorgio       — Davvero?

Irene           — Mi piace parlare con voi... ed essere vista in vostra compagnia... È molto rassicurante.

Giorgio       (con ardore) — E allora...

Irene            (venendo  fin sul davanti, all'estrema sini­stra) — Ma non mi ci voglio abituare! Non posso permettermi di lasciarmi andare a questa gioia...

Giorgio       — Perché?

Irene           (con rimprovero) — Ma signor Henderson... perché non siete... libero.

Giorgio       (seccato) — Ah!

Irene           — Appartenete a un'altra persona... che amo e rispetto.

Giorgio       (freddo, a mezza voce) — È vero.

Irene           — Una persona non comune.

Giorgio       — Vero anche questo.

Irene           — La settimana scorsa, quando mi disse che era... la mia prima reazione fu piuttosto strana. Io adoro mio zio... E poi, ho cominciato a consi­derare la cosa dal lato vostro...  Non si possono sempre controllare i propri sentimenti, vero? E Co­stanza è così bella. Dev'essere assolutamente affa­scinante, per un uomo.

Giorgio       — Sì... (Beve).

Irene           (pensierosa, siede sulla panca di faccia alla sala) — Quando sposò mio zio... io avevo dodici anni; lo ricordo bene. Si adattò con tanta buona grazia. Ha avuto sempre il giusto atteggiamento, le parole opportune... Pensate al modo come ha sistemato questa posizione per me. Ah, è proprio una donna sorprendente.

(Giorgio va dritto al bar per prepararsi un altro whisky. Irene si alza)

Vi sembra ragionevole, senatore, un terzo whisky? (Va alla scrivania).

Giorgio       — Non ho nessuna voglia di essere ragionevole. Sono troppo nervoso.

Irene           — Nervoso?

Giorgio       (voltandosi verso di lei) — Vi burlate di ­me, miss Elliot?

Irene           (ingenua) — Io?

Giorgio       (facendo qualche passo verso la tavola) — Oh Dio!... Ma non capite? (Posa il bicchiere).

Irene           (guardandolo) — Capire che cosa?

Giorgio       (si volta e prorompe) — Non capite che mi fate impazzire?

Irene           — Impazzire? Perché?

Giorgio       (andando lentamente verso di lei) — Per­ché siete così attraente, miss Elliot... e lo diventate ogni giorno di più! Perché siamo qui, abitiamo nella stessa casa... ed io non posso più...

Irene           (glaciale) — Che cosa non potete più, sena­tore?

Giorgio       (non bada alla sua domanda e continua ad andare verso di lei) — E se vi bastasse essere attraente... ma siete anche così intelligente e così... è una parola antipatica ma non ne trovo altra per definire... così utile!

(Irene è un po' sgomenta)

Sono sopraffatto dalla gratitudine. Ma questo non è il sentimento dominante!

(Con agitazione cre­scente è giunto vicino a Irene. La prende fra le braccia e la bacia).

Irene           (rimane fra le sue braccia forse un momento di più di quanto Giorgio poteva aspettarsi. Final­mente si svincola e indietreggia fino ai gradini del balcone. Con voce bassa, più triste che indignata) — Non è bello, questo.

Giorgio       — Ma in fin dei conti, sono vostro marito.

Irene           (alteramente) — Oh, fatemi il piacere!

Giorgio       — Legalmente siamo sposati;  ed  io ho tutto il diritto di...

Irene           — Una parola di più e lascio questa casa. Chiederò il divorzio e racconterò tutto.

Giorgio       — Non farete mai questo!

Irene           — Chi può impedirmelo? 

Giorgio       — Abbiamo fatto un patto.

Irene           — Al quale voi siete già venuto meno.

Giorgio       (a mezza voce) — Perdonatemi, miss Elliot... Ho avuto torto...

Irene           — Molto torto.

Giorgio       (dopo una pausa prorompe di nuovo) — Ma che specie di donna siete mai, che avete tanto dominio su voi stessa?

Irene           (gridando più forte di lui) — E che specie di uomo siete voi che ne avete così poco?

(Una pausa)

State rendendo terribilmente difficile il mio compito, signor Henderson. Dopo quanto è acca­duto, mi domando se sarà possibile, per me, conti­nuare... Certo tenterò di dimenticare; ma non sarà facile.

Lorenzo      (entra da sinistra lasciando la porta aperta) — Il pranzo è servito.

Irene           — Grazie, Lorenzo.

(Lorenzo esce)

Scusatemi se non pranzo con voi, signore. Credo che sarà meglio non rivederci fino a domani. Vi auguro una serata piacevole. Buonanotte. (Va verso la porta di sinistra in fondo).

Giorgio       (sbarrandole il passo) — Irene... 

Irene           (fermandosi) — Desiderate?

Giorgio       — Poco fa avete ammesso che state volen­tieri con me... ma che avete paura di abituarvi...

Irene           — Ebbene?

Giorgio       — Ebbene, non è solo l'affetto per vostra zia che vi trattiene. Deve esserci qualche altra cosa...

Irene           (dopo una pausa) — Forse.

Giorgio       — Siete innamorata di qualcuno?

Irene           — Sì.

Giorgio       — Qualcuno che conoscete da poco?

Irene           (dopo una pausa) — Sì.

Giorgio       — Che avete conosciuto in questa casa?

Irene           (altra pausa) — Sì.

Giorgio       — Perché lo amate? È tanto diverso da me?

Irene           (altra pausa) — Molto.

Giorgio       — Chi è?... Insisto per saperlo.

Irene            (pausa più  lunga. Poi con  fermezza) — Signor Henderson, sono una vostra impiegata e intendo esser trattata come tale.

Giorgio       — È la vostra ultima parola?

Irene           — No. La mia ultima parola è che dovete lasciarmi uscire da questa stanza. Subito.

Giorgio       (cedendo) — Scusatemi.   (Fa un passo indietro).

Irene           — Grazie.

(Sale i gradini. Prima di uscire si volta e riprende il solito tono rispettoso)

Non dimenticate di telefonare al signor Winkler. Telefonerei io stessa; ma mi sembra più opportuno che lo facciate voi. (Esce).

Giorgio       —  (rimasto solo va al bar, prende la bottiglia del whisky e, voltando le spalle alla sala, si versa due volte da bere).

(Lorenzo appare a sinistra mentre Giorgio beve).

Giorgio       — Più tardi... suonerò. (Seccato) Che c'è? Ah, il pranzo?...

Lorenzo      — Non ero venuto per questo... C'è il signor Russel.

Giorgio       (sorpreso) — Il signor Russel?

Lorenzo      — Ha chiesto della signora.

Giorgio       —  Bene...   accompagnatelo da lei. (Va verso il centro).

Lorenzo      — Pare che la signora sia uscita...

Giorgio       (sobbalza) — Uscita? Quando?

Lorenzo      — Or ora, signore.

Giorgio       — In macchina?

Lorenzo      — Nossignore. Mi pare che sia andata a piedi. Perciò il signor Russel ha chiesto di parlare col signore...

Giorgio       — Va bene. Fatelo entrare.

Filippo         (entra e va dritto da Giorgio) — Buona sera, ragazzo mio. Indovini che cosa mi conduce da te?

Giorgio       — Affatto.

Filippo         — Credo che Winkler sia venuto oggi da tua moglie... Volevo sapere che cosa è successo.

Giorgio       — Molto gentile... Ma Irene è dovuta uscire.

Filippo         — Me l'ha detto Lorenzo.

Giorgio       (andando al bar) — Una commissione importante...

Filippo         — Ah sì?... Beh, era interessante la pro­posta di Byron?

Giorgio       — Non lo so ancora. Devo andare da lui domani.

Filippo         — Sembri preoccupato, Giorgio.

Giorgio       — Io?  No, no, per nulla!  Bevi qualche cosa?

Filippo         — No, grazie. Mi trattengo solo un mo­mento.

(Si sente sbattere una porta).

Giorgio       (tendendo l'orecchio) — Un momento... Mi è parsa la porta d'ingresso. (Va in fretta alla porta in fondo a sinistra ed esce gridando) Lorenzo! È tornata la signora?

Lorenzo      — Nossignore. Era un telegramma.

Giorgio       — Date qua!  (Rientra. Apre il telegram­ma, lo legge in fretta, lo sgualcisce fra le mani ma senza gettarlo).

Filippo         (che si è seduto sulla panca) — Niente di spiacevole, spero?

Giorgio       (alzando le spalle) — No, no. Devo an­dare a Denver domenica. Il governatore miinvita ad andare a pescare con lui.

Filippo         —  Non ti  ho mai visto così sconvolto, Giorgio! Sei sempre tanto padrone di te.

Giorgio       — Scusami. (Siede a sinistra della panca accanto a Filippo. Breve pausa) Come stai, Filippo?

Filippo         (sorridendo) — Benissimo, grazie. Tu piut­tosto... Si direbbe che sei preoccupato per l'assenza di Irene... Avete litigato?

Giorgio       — No... sì...

Filippo         — Il primo litigio, senza dubbio. È tal­mente innamorata di te...

Giorgio       (ironico) — Credi?

Filippo         — È evidentissimo!

Giorgio       — Beh, Filippo, sei in errore. Tua nipote ama un altro.

Filippo         (sobbalza) — Impossibile. Come lo sai?

Giorgio       — Me lo ha detto lei.

Filippo         — Non posso crederlo... Ti ha detto chi?

Giorgio       — No.

Filippo         — Chi potrebbe essere?

Giorgio       — Tu non ne hai idea?

Filippo         — Neanche la più lontana... Ma allora, perché ti ha sposato?

Giorgio       — Non lo so. (Si alza e va alla scrivania).

Filippo         (rimane seduto) — Non devi prendertela tanto, Giorgio... Vi siete bisticciati... perciò lei, essendo irritata, nervosa... Difatti, mi era sembrata un po' palliduccia, oggi... (Ha un'idea. Sorride) A meno che...

Giorgio       — Che cosa?

Filippo         — Ma sicuro: è ovvio! È cosa che spesso modifica il carattere di una donna... Forse fra qualche mese dovremo congratularci con te per un lieto evento, no?

Giorgio       (suomalgrado) — Non c'è pericolo!

Filippo         — Come puoi saperlo?

Giorgio       (mette il telegramma gualcito in un posa­cenere sulla scrivania) — Mah!

Filippo         — Suvvia, Giorgio: con me puoi parlare. Sai che so conservare un segreto.

Giorgio       — Filippo... Irene ed io siamo sposati, ma non è effettivamente mia moglie.

Filippo         (sbalordito) — Dopo due mesi di matri­monio? Ora capisco perché sei preoccupato... (Affettuosamente)  L'ami, vero?

(Giorgio,  pensieroso, fissa la sala senza rispondere. Filippo senza che Giorgio lo veda, emette un sospiro di sollievo)

Non mi stupisce... È adorabile.

Giorgio       — È vero.

Filippo         (anche più affettuoso, quasi grato) — Caro, carissimo Giorgio! (Riflettendo) Ma in questo caso... sicuro, se ama un altro... certamente non può...

Giorgio       — Sarebbe la giusta spiegazione.

Filippo         — Dobbiamo cercar di scoprire...

Giorgio       (agitato) — Domandaglielo  tu.

Filippo         (voltandosi) — Non sarebbe meglio che lo chiedessi tu a mia moglie?

Giorgio       (sobbalzando) — Come?

Filippo         — È sua zia: è proprio la persona più indicata! E poi questi discorsi sono più facili fra donne!

Giorgio       — Preferisco non parlarne con Costanza.

Filippo         — Perché? Credo che sarebbe un'ottima idea...

Giorgio       — Non mi pare. E ti prego di non parlargliene neanche tu. Mi hai promesso di conservare il segreto.

Filippo         — Sta' tranquillo: non le dirò nulla.

Giorgio       — Grazie! (Pausa) Tu sei il solo che può parlare con Irene... Sei suo zio. Io sarò assente per due giorni. Cerca di sapere, prima del mio ritorno...

Filippo         — Forse non sarà tanto facile.

Giorgio       — Ti vuole molto bene. Certo con te parlerà.

Filippo         (sorridendo) — Non dir mai di una donna:  «È certo che farà la tale cosa ». Di' piuttosto è cer­to che « forse » la farà. Comunque, tenterò.

Giorgio       — Ti ringrazio.

Filippo         — Sarà un piacere per me. Ti capisco così bene! (Va verso la porta di sinistra in fondo).

Giorgio       (prorompe di nuovo) — E perché diavolo è uscita? Dov'è andata?

Filippo         (tornando indietro) — Cercherò di sapere anche questo... Te lo prometto.

Giorgio       — Grazie.

Filippo         — Farei qualunque cosa per vedere te e Irene felici insieme.

Giorgio       (stringendogli la mano) — Grazie.

Filippo         (largo sorriso) — Ma perché continui a ringraziarmi?  Ti dico che è veramente un gran piacere per me.

(Va verso la porta in fondo a sinistra mentre cala il sipario).


ATTO TERZO

(Due giorni dopo. Circa le tre pomeridiane. Le tende del balcone e della finestra sono drappeggiate. Fuori, il tempo è piuttosto grigio. Al levar del sipario Costanza è sola in scena, indecisa; sul davanti. Improvvisamente si volta e va in fondo. Getta sul sofà il soprabito e va verso il balcone).

Lorenzo      (d. d.)- — La signora Russel è nella stanza di soggiorno, signore

Filippo         (d. d.) — Grazie. (Entra. Vedendo Costanza) Oh, speravo di essere il primo a congratularmi con Giorgio; ma mi hai preceduto.

Costanza    — Di poco... sono appena arrivata.

Filippo         — Lo hai già visto?

Costanza    — Non è ancora tornato. Lorenzo mi ha detto che il suo aereo doveva arrivare alle due e mezzo.

Filippo         (guardando l'orologio) — Sono le tre passate. A momenti sarà qui. Come hai avuto la notizia?

Costanza    — Dalla radio.  E sono venuta subito.

Filippo         — A me ha telefonato Winkler, al Club. (Felice) Caro vecchio Giorgio! È una nomina alla quale nessuno troverà da ridire.

Costanza    — E che deve esclusivamente alla propria abilità.

Filippo         (con convinzione) — Oh, sicuro!  (Siede vicino alla tavola) Neanche Irene è in casa?

Costanza    — No.  È uscita  stamattina presto... Forse non sa ancora...

Filippo         (bonario) — Che suo marito è Sottosegre­tario di Stato? Oh sì; immagino che lo sappia...

Costanza    — Ma se non era neanche nella prima edizione dei giornali. (Viene verso Filippo, verso il davanti).

Filippo         — Lo hanno annunciato a mezzogiorno; ma era già deciso fin da ieri sera. Devono essere stati però sempre in contatto con Giorgio; perciò è probabile che lui abbia telefonato a Irene da Denver.

Costanza    — Può  darsi... (Pensierosa, va dietro alla tavola) Incidentalmente, c'è una cosa che mi piacerebbe sapere...

Filippo         — Che cosa?

Costanza    — Come è avvenuto tutto questo.

Filippo         (senza guardarla) — Che vuoi dire?

Costanza    — Tre giorni fa, Giorgio stava prepa­rando un discorso controil Ministero. Oggi, accetta una posizione per la quale dovrà seguire la politica del Governo. Questo non può essere avvenuto senza parecchi negoziati...

Filippo         — Forse no...

Costanza    — Mi stupisce che Giorgio non ne abbia parlato. Non ha mai preso una decisione di una certa importanza senza consultare... noi.

Filippo         — Oggi la cosa è diversa.

Costanza    — In che modo?

Filippo         — Diamine, è sposato! E probabilmente discuterà di queste cose con sua moglie.

Costanza    (scrollando le spalle) — Irene non ha esperienza... Certo Giorgio non può avere da lei quei consigli che... che tu potresti dargli.

Filippo         (calmo) — Oh, con me ne ha parlato.

Costanza    (sorpresa, si volge) — Quando?

Filippo         (pensando per ricordarsi) — L'altro ieri sera... Venni un momentoqui...

Costanza    — Non me lo hai detto.

Filippo         — Scusami... non ne ho avuto l'occasione.

Costanza    — Veramente ti vedo assai poco, da un po' di tempo in qua. Esci sempre solo.

Filippo         — È naturale, no?

Costanza    — Come?

Filippo         (dopo una piccola pausa) — Mia cara, tre mesi fa, proprio in questa stanza, mi dicesti che avresti voluto riavere la tua liberà. Questo voleva dire, in sostanza, che trovavi la mia compagnia né desiderabile né necessaria. Ne presi nota... e da allora ho cercato di importi sempre meno questa compagnia.

Costanza    — Intenzionalmente?

Filippo         (riflette,  poi)  — Piuttosto come esperi­mento. Volevo vedere che effetto avrebbe avuto sopra di me... e se, in caso di necessità... mi sarei potuto abituare a vivere lontano da te.

Costanza    (sedendo)  — Veramente,  Filippo,  mi procuri non poche sorprese.

Filippo         (con bontà) — Ma mettiti nei miei panni, cara... Quando dopo sedici anni di matrimonio, un uomo sente improvvisamente sua moglie dirgli che ne ha abbastanza di lui, non può fare a meno di provare una certa impressione. Confesso che nel primo momento rimasi sconcertato... Poi ci ho ripensato... e mi son reso conto che, dopo tutto, l'idea non poteva essere così inaccettabile come sembrava a prima vista.

Costanza    (sulla difensiva) — Davvero?

Filippo         — Aggiungerò che non è mai saggio tenere una donna contro la sua volontà. Si corre il rischio difarla diventare impaziente... (Mutando tono) Quindi, mia cara, sto per partire per un lungo viaggio.

Costanza    (sorpresa) — Parti? Quando?

Filippo         — Fra qualche giorno.

Costanza    — E dove vai?

Filippo         — Ho deciso di fare un giro intorno al mondo, finché molte frontiere sono ancora aperte. Conto di attraversare l'Africa, parte dell'Asia, l'Europa, oltrepassando anche la Cortina di ferro... se me la lasciano oltrepassare. Vorrei visitare tutti quei paesi del cui destino mi sono interessato per anni senza averli mai visti. Trovo che è stato scor­tese da parte mia, ed intendo riparare a questa mancanza.

Costanza    — E quanto  tempo rimarrai assente?

Filippo         — Un anno... forse più... Questo facili­terà la separazione che desideri...  e a cui, tutto ponderato, ho deciso di acconsentire.

Costanza    — Dici sul serio?

Filippo         — Non si scherza su queste cose. D'altra parte... (Si interrompe).

Costanza    — D'altra parte?

Filippo         — Benché tu dica di no, dev'esserci qual­cuno che ti aspetta.

(Costanza si alza e va verso il fondo)

Sì,mia cara. Ma anche la pazienza di lui avrà un limite! Se vado... fuori di scena, meglio che lo faccia in tempo! E non so perché... ho la sensa­zione che sia venuto il momento... perché ora tu vada a dirgli che fra te e lui non vi sono più ostacoli.

Costanza    — Perché ora? Che vuoi dire?

Filippo         — Eh? Soltanto che ho tardato abbastanza.

Costanza    — Questo è assai generoso da parte tua...

Filippo         — Cerco sempre di agire per ilmeglio...

Costanza    — Ti  sono  profondamente  grata.

Filippo         (sorridendo) — Suvvia, non mostrarti così felice di lasciarmi.

Costanza    (un po' imbarazzata) — Ma no, non volevo dire...

Filippo         (alzandosi) — Diciamo piuttosto che la realizzazione dei desideri del tuo cuore ti procura una soddisfazione dolce-amara per il dispiacere di perdermi. Le donne si trovano perfettamente a loro agio in questo genere di contraddizioni...

Costanza    (facendo qualche passo verso la scrivania) — E... posso chiederti come intendi procedere?

Filippo         — Per che cosa?

Costanza    — Ma... per i particolari del divorzio.

Filippo         — Naturalmente prenderò tutta la colpa sopra di me. (Sorridendo) La cosa più semplice sa­rebbe che tu andassi a passare sei settimane nello Stato del Nevada. Tornerai qui perfettamente li­bera... Quanto alla parte finanziaria, il mio legale proporrà al tuo un accordo che certo sarà approvato.

Costanza    — Non ne dubito... Sei sempre un uomo straordinario. Ed ho sempre provato per te tanto rispetto... tanta ammirazione...

Filippo         — Che continuerai anche da lontano. Io sono come certi capolavori della pittura... bisogna guardarli da lontano per apprezzarli.

Costanza    — Non volevo affatto dir questo...

Filippo         — Scusami. Ho il vizio di voler sempre indovinare i pensieri altrui. A forza di trattare coi diplomatici stranieri... Bisogna che mi disabitui.

(Va a sinistra della tavola. Entra Irene da sinistra).

Irene           (entrando) — Zio Filippo! Costanza! Mi dispiace avervi fatto aspettare...

Filippo         — Siamo venuti per congratularci con tuo marito.

Irene           —  Che bella cosa, vero? Sono talmente felice...  Non vedo l'ora di congratularmi anch'io con lui! (Va a posare la borsetta sulla tavola).

Costanza    (vicino alla scrivania) — Dovrebbe es­sere qui a momenti...

Irene           (accanto al sofà) — No. Quando ha lasciato l'aeroporto, credo che sia andato direttamente alla Casa Bianca.

Filippo         — Davvero? Allora è meglio che ti lasci per un po'... Ho tanto da fare in questi giorni...

Irene           — Ma come? Non sei disoccupato?

Filippo         (avviandosi) — Per l'appunto. La mia di­soccupazione mi prende tanto di quel tempo...  E poi, quando si sta per partire...

Irene           (sorpresa) — Parti?

Filippo         — Sì. Costanza ti dirà... Forse... (Esce).

Irene           (viene sul davanti, a destra del seggiolone e si volge sorpresa a Costanza) — Zio Filippo parte?

Costanza    — Dice che vuol fare il giro del mondo.

Irene           — E tu vai con lui?

Costanza    — Non credo. (Avvicinandosi alla ta­vola) Ho delle novità importanti per te, Irene; e sono contenta che siamo sole per qualche minuto.

Irene           — Dimmi.

Costanza    — Tuo zio ed io ci separiamo.

Irene           (dopo breve pausa, immobile) — Divorziate?

Costanza    — Sì.

Irene           — Così, all'improvviso?

Costanza    — Oh no! Glielo avevo chiesto qualche mese fa... Puoi immaginare perché...  Rifiutò. Ma poi ha riflettuto, ed ha finito col consentire. Confesso che non ci contavo più.

Irene           — Allora è una sorpresa piacevole!

Costanza    — Non lo nego.

Irene           (dopo una pausa, sorridendo) — Allora, anche per me, siamo agli sgoccioli?

Costanza    — Sì... Il tempo necessario per il tuo divorzio.   (Siede a sinistra della scrivania. Sorridendo) Potremmo quasi quasi andare a Reno insieme, no?

Irene           (in centro della scena) — Forse...

Costanza    — Ne parlerò con Giorgio.

Irene           — Il senatore lo sa?

Costanza    — Che cosa?

Irene           — Di questa inattesa felicità... che fra breve sarai libera?

Costanza    — Non ancora.

Irene           — Sarà molto contento.

Costanza    — Lo spero.

Irene           — Una gran giornata per lui. Dovrò fargli i rallegramenti per una quantità di cose. E mi congratulo anche con te.

Costanza    — Grazie. (Dopo una pausa) Mi spiace che il tuo incarico finisca così presto... Ma credo che il tuo accordo con Giorgio avrà previsto la soluzione in modo soddisfacente,

Irene           — Molto generosamente. E sono veramente lieta dì una soluzione così rapida.

Costanza    — Ah sì?

Irene           (sorridendo) — Da tante settimane mi sento un po' come una controfigura. Non credo che sia un'occupazione molto comune, la mia. Le attrici vi si adattano per cominciare la carriera o per necessità di guadagno... ma appena trovano qualche cosa di meglio, vi rinunciano con gran piacere.   

Costanza    — Ti capisco benissimo.

Irene           — E in generale, la diva ha un certo disprezzo per la sua controfigura. 

(Costanza ha un gesto di protesta. Irene continua in fretta)

Tu no, si capisce.  (Cambiando tono e  sedendo a destra della tavola) A proposito: perché ti sei decisa così improvvisamente a dirmi che eri tu la persona?

Costanza    (con un sorriso) — Ora te lo posso dire.

Irene           — Ora?

Costanza    — Ora che stai per lasciare questa casa. Mi preoccupavi.

Irene           — Io? In che modo?

Costanza    —  Il tuomutamento  esteriore... Sei diventata così carina! La tua intimità con Giorgio... Ti diceva tante cose del suo lavoro che io non sapevo... Insomma,  temevo che tu cercassi di farlo innamorare di te.

Irene           (guardandola) — Capisco. Non mi si sarebbe potuta biasimare se avessi cercato di strapparlo ad un'estranea... Sapendo che si trattava di te, la cosa era diversa.

Costanza    — Proprio così. Ho fatto assegnamento sulla tua lealtà.

Irene           — Sei stata furba.

Costanza    — Era tributo alle tue qualità.

Irene           — Eppure, correvi un rischio...

Costanza    — Quale?

Irene           — Dicendomi che eri la donna di cui si trattava, mi dicevi anche che cercavi di liberarti di zio Filippo... Avrei potuto decidere che il suo inte­resse mi stava più a cuore del tuo.

Costanza    — Vedi che ha ceduto ed è d'accordo per divorziare.

Irene           (pensierosa) — Sì... Questo mi stupisce mol­to... (Cammina su e giù).

Costanza    — Perché?

Irene            —   Sapendo come ti ha sempre voluto bene, è difficile concepire che rinunci a te... E conoscendo zio Filippo, mi vien fatto di chiedermi se non ha qualche idea...

Costanza    — Che idea?

Irene           — Con zio Filippo non si può mai sapere.

Costanza    — Per questo, hai ragione.

Irene           — Oh Dio, potrei anche sbagliarmi... Tutta questa storia è così piena di imprevisti.

Costanza    (pensierosa) — Anche per te, spero.

Irene           — Che vuoi dire?

Costanza    (alzandosi) — Quando ti abbiamo of­ferto questa posizione, ti dissi che l'ex signora Henderson avrebbe avuto poca difficoltà a trovare un buon marito... Spero di non essermi ingannata. (Irene non risponde. Costanza va al sofà a prendere il suo soprabito e poi va verso il balcone).

Irene           — Non aspetti Giorgio?

Costanza    — Dal momento che so che verrà tardi, vado a fare una commissione e tornerò dopo. (Sale i gradini) Se torna prima di me digli che sono ve­nuta... Se no, lo aspetteremo insieme... (Sorridendo) E prenderemo il tè.

(Esce. Irene rimane pensierosa. Va lentamente in centro e si trova di fronte allo specchio che è a destra sul davanti. Si guarda e si ravvia i capelli. Costanza le ha detto or ora che è diventata molto carina. È vero? La porta a sini­stra si apre. Entra Lorenzo portando due giornali su un vassoio).

Irene           (voltandosi) — Che c'è, Lorenzo?

Lorenzo      — I giornali della sera, signora. Portano tutti la notizia della nomina del senatore, con grossi  titoli in prima pagina.

Irene           — Fatemi vedere.  (Prende i giornali dal vassoio. Ne mette uno sulla scrivania ed apro l'al­tro, guardando rapidamente il punto indicato).

Lorenzo      — Vorrei offrire le mie congratulazioni, signora... Mia moglie ed io siamo veramente felici ed anche orgogliosi.

Irene           — Grazie, Lorenzo.

Lorenzo      — La signora ha portato fortuna al sena­tore... Dopo il suo matrimonio, tutto è andato bene per lui.

(Durante la battuta precedente Giorgio è entrato da sinistra in fondo e ha chiuso la porta. Lorenzo imbarazzato)

Buona sera, signore. Mille scu­se... Stavo dicendo alla signora...

Giorgio       — Ho sentito... e avete ragione. Grazie, Lorenzo.

Lorenzo      — Non c'è di che, signore. (Va verso la porta di sinistra, esita. Si volge a Giorgio) E natu­ralmente, mi congratulo anche col signor senatore. (Esce).

Giorgio       (sorridendo) — «Anche». Si direbbe qua­si che sa!  (Va verso Irene).

Irene           — Sa che cosa?

Giorgio       — Che avete fatto tutto voi.

Irene           — Non ho fatto nulla. Ho tentato di essere utile unicamente perché eravate l'uomo più adatto.

Giorgio       (cambiando tono) — Mi hanno detto che sono venuti i Russel.

Irene           — Sì. Se ne sono andati.

Giorgio       — Senza aspettare?

Irene           — Ho detto che avreste tardato.

Giorgio       (sorpreso) — Perché avete detto questo?

Irene           (andando verso il banco) — Perché deside­ravo essere prima sola con voi.

Giorgio       — Oh?

Irene           — Sì. Volevo dirvi quanto son felice per voi... e farvi le mie congratulazioni... (Sorridendo) Dopo Lorenzo, ma prima di tutti gli altri.

Giorgio       — Grazie,  Irene...  Anche io sono felice di vedervi sola... per potervi fare le mie scuse.

Irene           — Le vostre scuse?

Giorgio       — Per l'altra sera... Mi sono comportato assai male. Volete perdonarmi?

Irene           — Certamente.

Giorgio       — Grazie.

(Si guardano per un momento. Poi distolgono lo sguardo simultaneamente. Giorgio va a sinistra della scrivania e prende un giornale. Comincia a leggerlo distrattamente).

Irene            (quasi alla porta di sinistra) — Sono con­tenta che abbiate pensato a dirmi questo... Almeno posso andare via con un buon ricordo.

Giorgio       (voltandosi col giornale in mano) — Andar via? Avete detto «andar via»?

Irene           — Sì. Ah già, voi non sapete ancora... Grandi notizie, senatore. (Viene verso il centro) Ho par­lato ora con Costanza. Mio zio ha acconsentito al divorzio.

Giorgio       (posa il giornale. Dopo una pausa). — Quando è accaduto questo?  

Irene           — Oggi.

Giorgio       (dopo una pausa) — È una notizia importante.

Irene           — Quindi, non ho più nulla da fare qui. Me ne andrò al più presto.

Giorgio       — No. Assolutamente, no!

Irene           — Come?!

Giorgio       (avvicinandosi a lei) — Ve lo ha detto Filippo?

Irene           — No.

Giorgio       (un po' sollevato) — Allora non è proprio sicuro! (Camminando) Può darsi che Filippo abbia soltanto preso in considerazione la faccenda... senza avere ancora deciso. (Volgendosi a Irene) E anche se avesse preso una decisione, certo non può met­terla in pratica tanto presto. Ci vuol tempo per un divorzio, soprattutto perché diventi definitivo. E anche quando lo sarà, Costanza non avrà la possi­bilità di sposarmi subito. Produrrebbe una pessima impressione. Bisognerà lasciar passare un certo tem­po... parecchio tempo... forse anche moltissimo tem­po. E fino allora... (Nel suo andirivieni è ora arri­vato vicino a Irene la quale è voltata di spalle).

Irene           (freddamente) — Fino allora?

Giorgio       — Beh, non vedo perché dovrei privarmi di voi.

Irene           — Davvero, senatore?

Giorgio       — Siete diventata un tale aiuto per me, Irene... Ho bisogno del vostro consiglio... e non ho la menoma intenzione ed anche il più piccolo desiderio... di metter fine... alla nostra... unione. Almeno... non per ora!

Irene           — Scusate... ma i miei desideri? Le mie intenzioni? Non potremmo considerare anche queste?

Giorgio       (sconcertato) — Credevo che fosse inteso che sareste rimasta al vostro posto finché io non vi avessi lasciata libera...

Irene           — Cosa che avreste fatta non appena la signora fosse stata disponibile. Ebbene, ora lo è...

Giorgio       — Sì, ma...

Irene           (continuando) — Quindi ho fatto anch'io i miei piani. Perciò mi dispiace ma non posso pro­lungare il mio impegno qui. (Va a prendere guanti e borsetta, ma rimane).

Giorgio       — Avreste potuto aspettare almeno un poco...

Irene           — A che scopo?

Giorgio       — Perché io vi facessi sapere che pote­vate andare.

Irene           — Signor Henderson, io non sono soltanto la vostra impiegata, ma ho anche una vita mia. La mia esistenza non si svolge tutta intorno alle vostre meschine comodità e ai vostri piccoli intrighi romantici.

Giorgio       (pensieroso e andando a destra della sedia della scrivania) — Lo so. Mi avete già detto...

Irene           — Che cosa? (Comincia a infilarsi i guanti)

Giorgio       — Che amate qualche altro.

Irene           — Sì.

Giorgio       — Allora è vero.

Irene           — Non lo avrei detto se non lo fosse.

Giorgio       — Speravo che lo aveste detto soltanto per turbarmi!

Irene           — No, senatore. Vi ho detto la verità.

Giorgio       (passa dietro alla scrivania) — Irene, per due giorni non ho pensato ad altro. Non voglio commettere l'errore di ordinarvi di dirmelo, ma vi prego di farmi sapere chi è quest'uomo!

Irene           (piccolo sorriso malinconico) — Non lo sospettate neppure?

Giorgio       — Come potrei? (Siede).

Irene           — Ebbene... se quello che vi ho detto vi ha turbato... questa è stata per me una grande de­lusione. (Pausa) Sono innamorata di un uomo inesistente.

Giorgio       — Come?

Irene            —  Ho sognato l'uomo ideale, come forse tutti facciamo sempre. Non amiamo un essere come è ma come desideriamo che sia. Io sapevo che lui era innamorato di un'altra... e per non so quale illo­gico motivo femminile. Questo aumentava la mia ammirazione per lui. (Pausa)

Ad un tratto ho avuto la possibilità di vivergli  accanto...   Ne fui felicis­sima, avendo così anche la possibilità di lavorare quotidianamente con lui... naturalmente non aspet­tandomi affatto che lui si interessasse di me! (Pausa)

Poi... una sera scopersi che non era l'uomo che credevo... Mi avete baciata, eppure eravate innamorato di Costanza... (Pausa)

Capite ora che cosa ho provato? Se un uomo di cui non vi curate si comporta  male, la cosa non ha importanza, ma quando è uno che amate...  da  tanto tempo... fin da quando tornaste da Lisbona: quattro anni fa... (Lentamente) Anche se ho vissuto qui due mesi, non mi è sfuggita una parola che ve lo abbia fatto menomamente capire, non è vero? Ed ora vi dico questo perché è finita. Costanza ha fatto bene a licenziarmi. Ma me ne sarei andata lo stesso. (Va verso la porta di sinistra sul davanti).

Giorgio       (si alza e fa qualche passo) — Non potete essere così profondamente ferita...

Irene           — Si è sempre feriti quando ci si inganna sul conto di qualcuno.

Giorgio       (supplichevole) —Irene...

Irene            (è tornata vicino alla tavola)  — Lavorare per voi... e rimanere nell'oscurità... sì, ero pronta a farlo; oppure, essere tutto per voi... se fosse stato possibile. Ma non una via di mezzo. Perché non lo avete capito?

Giorgio       (in centro) — Perché non l'ho capito? Proprio perché avete detto or ora che mai una pa­rola mi ha potuto fare indovinare... e d'altra parte mi avevate detto e ripetuto che amavate un altro. Siamo vissuti soli in questa casa, mentre io mi innamoravo di voi ogni giorno di più; e voi mi accusate di essermi comportato male perché una volta vi ho baciata. Ebbene, voglio proprio dirvi che il mio dominio su me stesso è stato straordi­nario e che ritengo di essermi comportato in modo ammirevole.

Irene           (andando verso la porta)  — Io  non credo che le persone cambino così rapidamente.

Giorgio       (con fermezza) — Avete torto e siete molto caparbia.

(In questo momento Costanza appare sul­la porta di sinistra in fondo e si ferma sulla soglia senza scendere i due gradini. Guarda Giorgio  e Irene e nota immediatamente il loro imbarazzo. Giorgio va al tavolino del caffè padroneggiandosi).

Costanza    (avanzandosi) — Giorgio! Appena avuta la notizia mi sono precipitata qui per congratularmi. Sono tanto felice per voi; (lo bacia) e so che nella vostra nuova posizione farete molte cose importanti.

Giorgio       — Grazie, mia cara...

Costanza    — Siete tornato da un pezzo?

Giorgio       — Pochi minuti...

Costanza    (osservando Irene da lontano) — Al­lora... immagino che Irene vi abbia detto?

Giorgio       — Mi ha detto.

Costanza    (sorridendo) — Grandi avvenimenti, mentre non c'eravate.

Irene           (imbarazzata, a mezza voce) — Sarà meglio che vi lasci... (Va verso la porta di sinistra sul da­vanti).

Costanza    (approvando) — Credo...

Giorgio       — Niente affatto. Perché?

(Irene si ferma e torna vicino alla tavola. Costanza guarda Giorgio sorpresa. Egli si volge a lei. Semplicemente)  

Ci rendiamo tutti conto... Non è meglio che parliamo apertamente... e schiettamente?

Costanza    — Probabilmente avete ragione... (Pau­sa) Dunque sapete che Filippo mi ha promesso di rendermi la mia libertà?

Giorgio       — Sì. (Pausa) Vedete, Costanza... vi ho sempre detto che Filippo sapeva... che aveva capito tutto.

Costanza    (stupita) — Capito che cosa?

Giorgio       — Che volevate divorziare per sposare me.

Costanza    — Che cosa vi fa credere questo?

Giorgio       (dolcemente) — Diamine! Dopo avere ri­fiutato per dei mesi... credete che sia per caso che acconsente proprio oggi? Due ore dopo che io sono diventato Sottosegretario di Stato?

Costanza    — Non vedo il rapporto...

Giorgio       — Eppure siete così intelligente! Dovete rendervi conto che Filippo intende costringermi alle dimissioni. (Va dietro alla sedia della scrivania e vi si appoggia).

Costanza    — Dimissioni?

Giorgio       — Finché ero al Senato... portar via la moglie ad un uomo al quale dovevo già tanto... sì, sarei stato criticato... ma da un senatore ci si aspetta di tutto! Ma ora ho una posizione assai più alta... tutto quello che faccio assume impor­tanza. Specialmente la mia vita privata. E vi sarà una tale indignazione quando i fatti saranno noti... che la mia coscienza non mi permette di suscitare uno scandalo nazionale. Debbo scegliere: rinun-ziare o a voi o alla mia nuova posizione. Inutile dirvi che-non esito... Vedrò Byron Winkler stasera stessa e gli dirò che non mi sento di accettare la nomina.

Costanza    (riflettendo) — Insisterà per sapere perché.

Giorgio       — Un'improvvisa malattia...

(I loro sguardi si incontrano. Lunga pausa).

Costanza    — No, Giorgio. Non dev'essere così. (Va verso di lui) Se la vostra nomina non fosse ancora ufficiale, forse potreste... Ma lo è... e con commenti così favorevoli. Se doveste dimettervi dopo poche ore... il pubblico scoprirebbe ben pre­sto le vere ragioni; ed ecco lo scandalo che temete tanto. No, Giorgio: un uomo nella vostra posizione non può, non deve rinunciare alla propria carriera per una donna.

Giorgio       — Ma voi, Costanza...

Costanza   (va a prendere guanti e borsetta)   — Il gioco è finito; so perdere dignitosamente una partita.

Irene           (guardandola) — Quale partita?

Costanza    (sorridendo) — Fra me... e gli Stati Uniti, mia cara. Giorgio non avrebbe potuto sce­gliere me. Ma il suo senso dell'onore gli impediva di accorgersene... Ho dovuto ritirarmi io.

Giorgio       — Magnifico da parte vostra, Costanza.

Costanza    (andando verso il centro) — Andrò an­che più in là... Al vostro posto, non divorzierei affatto... Irene mi sembra felice qui e voi siete contento di lei... Perché non lasciate le cose come stanno?... (Una pausa) Anche... se questo potesse diventare un matrimonio «vero»... Voglio dire che potreste cercare di innamorarvi di lei... (Sorriso leggermente ironico) So che sarà difficile poiché mi siete talmente affezionato... Ma potrebbe valer la pena di tentare... (A Irene) E tu, Irene... dal mo­mento che mi traggo in disparte spontaneamente... la coscienza non può più rimorderti. Hai campo libero.

Irene           — Sei molto generosa, Costanza...

Costanza    — No... Ma date le circostanze... cerco di salvare la mia dignità... sorridendo! A volte non è facile... ma si può riuscire.

(Entra Filippo e si avanza fra Costanza e Giorgio).

Filippo         (gaiamente) — Giorgio, ragazzo mio, final­mente ti posso dire come sono felice. I miei ral­legramenti più. fervidi.

Giorgio       — Devo tutto questo a te, Filippo; e an­che molto di più.

Filippo         (sorridendo) — Non è completamente ve­ro; ma è gentile che tu lo dica. (A Irene, da lon­tano) È un gran bravo figliolo. (A Giorgio) Ah, come sentirò la tua mancanza.

Giorgio       — Come?

Filippo         — Sto per partire.

Giorgio       — Quando?

Filippo         — Prestissimo...  e per andare molto lon­tano... tutto solo.

Costanza    — No, Filippo.

Filippo         (stupito) — No?

Costanza    (andandogli vicino) — Vengo con te.

Filippo         — Sono molto commosso, Costanza; ma mi domando...

Costanza    (gli è ora vicina. Quasi offesa) — Non vorrai respingermi, dopo sedici anni!

Filippo         (dolcemente) — Mi domandavo soltanto, Costanza, se questa volta la tua decisione era defi­nitiva... Quanto a me, non ho mai pensato che qualche cosa avrebbe potuto sciogliere la nostra unione.

Costanza    — E nulla la scioglierà mai: te lo pro­metto. E sarò ben felice di accompagnarti nel tuo viaggio. Hai già fissato il posto per te?

Filippo         — Sì.

Costanza    — Credi che se ne potrà avere un altro?

Filippo         (pretendo dalla tasca due biglietti e mo­strandoglieli) — Eccoli.

Costanza    — Filippo!

Filippo         — Ho sempre sperato che, all'ultimo mo­mento, avresti cambiato idea e avresti pensato di venire con me. Sai che in amore non ci sono mai delle... dimissioni. Soltanto quando non si ama più si rinuncia! (Le prende la mano).

Costanza    (pensierosa) — È vero.

Filippo         — D'altronde, avevi così poco da rimpro­verarmi, che la nostra separazione non poteva sod­disfarti.  Si lascia  un uomo dopo che vi  ha fatto soffrire! È strano, ma è più facile liberarsi da un amore ferito che da un lieto ricordo. Ma ora dob­biamo lasciare questo povero ragazzo che è appena tornato da un viaggio e deve essere stanco ed ha mille cose da fare. (Va verso Giorgio).

Giorgio       (sorridendo) — Oh, non tante.

Filippo         (ridendo gli stringe la mano) — Vedrai! vedrai! (Va verso la porta in fondo. Si ferma sui gradini volgendosi a Irene) Arrivederci, carissima. Partiamo la  settimana prossima. Ti farai vedere prima di allora?

Irene           — Certo. Ho ancora tante cose da dirti... (Baciandolo) Ti voglio bene, zio Filippo.

Filippo         (con intenzione) — Anch'io ne voglio a te, Irene. (Con emozione) E ti auguro buona fortuna.

(Esce. Durante la battuta di Filippo a Irene, Costanza che è andata vicino alla tavola, alza capo e guarda Giorgio che la sta osservando. Quindi egli va verso di lei con le mani tese. Costanza le stringe ed essi scambiano un ultimo bacio).

Costanza    — Addio, Giorgio. (Si avvia. A Irene) Addio, cara. Come vedi... non sempre è tanto triste essere una controfigura.

(Esce. Lunga pausa. Irene, silenziosa, va alla scrivania. Poi verso la porta di sinistra sul davanti).

Giorgio       — No, vi prego; non ve ne andate. Credo che dobbiamo parlare del vostro avvenire. Quali sono i vostri progetti, miss Elliot?

Irene           — Veramente, non ho avuto il tempo di farne. (Torna in centro mettendosi i guanti).

Giorgio       — Secondo la nostra intesa, ora siete li­bera. Immagino che partirete quanto prima per il Nevada per avere il divorzio.

Irene           — Non vado nel Nevada.

Giorgio       — Non credete che sia meglio sbrigarsi il più possibile? Dopo tutto, non potete sapere quando potete aver desiderio di rimaritarvi.

Irene           — Non intendo rimaritarmi, senatore.

Giorgio       — Spero che non sia perché il vostro primo matrimonio è stato un fallimento, miss Elliot!

Irene           — È stato insolito, senatore; non un fallimento.

Giorgio       — Già; dimenticavo i vostri 54.000 dollari.

Irene           — Non intendevo alludere a questo.

Giorgio       — Che volevate dire, allora?

Irene           — Che è inutile andare nel Nevada quando non si ha alcuna intenzione di divorziare; non ho alcuna intenzione di lasciare mio marito.

Giorgio       — Vi burlate nuovamente di me, miss Elliot!

Irene           — Non ti burlo: ti amo.

F I N E

Alla prima rappresentazione italiana da parte della Compagnia Calindri-Zoppelli-Volpi-Valeri al Teatro Excelsior diMilano, il 19 dicembre 1953, le parti furono così distribuite: Filippo Russel (Ernesto Calindri); Costanza Russel (Lia Zoppelli); Giorgio Henderson (Franco Volpi); Irene Elliot (Valeria Valeri); Lorenzo (Nino  Milia);  Byron Winkler (Aldo Pierantoni).  Regia di Ernesto Calindri.

* Rappresentata la prima volta a New Vork (il testo originale è in inglese) al Royal Theatre, il 25 settembre 1950, interpreti: Reginald Owen; Barbara O' Neill; Celeste Holm; Elmer Brown; Sheppard  Strudwick; Harry Bannister.

* Rappresentata la prima volta a Londra, il 21 agosto 1952, al Cambridge Theatre, interpreti principali Wilfred Hyde-White; Coral Browne;  Hugh Williams; Joyce Redman.

* Tutti i diritti riservati. Proprietà Silvano D'Arborio - via Alessandria  208,  Roma.