Agnese Bernauer

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AGNESE BERNAUER

Due tempi e dieci quadri

Di FEDERICO HEBBEL

Riduzione di Claudio Fino dalla versione di Giovanni Necco

PERSONAGGI

ERNESTO, Duca reggente di Monaco di Baviera

ALBERTO, suo figlio

HANS DI PREISING, suo cancelliere

MARESCIALLO DI PAPPENHEIM

IGNAZIO DI SEYBOLTSTORF

VOLFRAMO DI PIENZENAU

OTTONE DI BERNA

CONTE TÒRRING

NOTHHAFFT DI WERNBERG

ROLF DI FRAUENHOVEN

cavalieri al seguito del Duca Alberto

HANS VON LAUBELFING, cavaliere Ingolstadt

EMERAN RUSPERGER DI KALMPERG, cavaliere di Straubing

GASPARE BERNAUER, bar­biere e chirurgo di Augusta

AGNESE, sua figlia

TEOBALDO, suo garzone

KNIPPELDOLLINGER, padrino di Agnese

ERMANNO NORDLINGER, borgomastro di Augusta

BARBARA e MARTA, castellane

STACHUS, servo

IL CASTELLANO DI VOHBURG E STRAUBING

UN ARALDO IMPERIALE  GNESE, sua figlia , ; zo, inca-

UN MESSO ECCLESIASTICO

Popolo - Cavalieri - Soldati.

Luoghi: Augusta - Monaco • Vohburg • Ratisbona - Straubing Tempo: dal 1420 al 1430.

PRIMO  TEMPO

QUADRO PRIMO

Augusta. Bottega da barbiere.

Teobaldo                     - (con un mazzo di fiori in mano) Non so che cosa debbo fare. Lo calpesto? E' un peccato per queste belle rose che sono innocenti. Oppure lo offro? No, mille volte no! Gliel'avrei detto senz'altro al signor infedele, il quale crede forse ch'io non abbia né occhi, né cuore, né sangue, né... Già proprio così: io volevo provarla... Ma eccola, con la colazione del padre! Oh, come dev'essere gustosa! Se l'avesse preparata per me, io. (Nasconde il mazzo di fiori dietro la schiena).

Agnese                        - (entrando)    - Buongiorno, Teobaldo!

Teubaldo                     - Grazie, grazie tante! Avete dormito bene?

Agnese                        - Questa domanda toccava a me farla! Voi siete spesso chiamato fuori di notte, quando scoppia una baruffa, e si ha bisogno di un impiastro... Ma che tenete nascosto dietro la schiena?

Teobaldo                     - (mostra il mazzo) Ah, già, me ne ero dimenticato...

Agnese                        - Oh, com'è bello! Datemelo, via! (Lo odora) Ah! Se avessimo noi pure un giardino! Di chi è l'ono­mastico oggi? (Fa l'atto di restituirglielo).

Teoialdo                      - No, per carità! E' vostro.

Agnese                        - Mio? Allora vi ringrazio! Ma dunque il vostro vecchio zio è proprio agli estremi?

Teobaldo                     - Mio zio?

 Agnese                       - Eh, già; perchè è la prima volta che re­gala dei fiori! Non è un'abitudine da giardiniere, questa, e voi non li avete certo comperati!

Teobaldo                     - Non sono io che ve lo regalo!

Agnese                        - No? E chi è dunque?

Teobaldo                     - Indovinate!

Agnese                        - Forse... no, Barbara non può essere: lei non mi guarda più, non so perchè.

Teobaldo                     - Non si tratta di nessuna « lei » !

Agnese                        - Nessuna lei? E neppur voi siete? (Pone il mazzo sulla tavola).

Teobaldo                     - Santo Dio! E non vi viene in mente nessun altro?

Agnese                        - Ma allora, io vi debbo domandare...

Teobaldo                     - Rimproveratemi pure, ma io vorrei sem­plicemente sapere...

Agnese                        - Che cosa?

Teobaldo                     - Se voi, in chiesa, non gli avete per caso strizzato l'occhio, oppure non gli avete magari, durante un ballo, stretta la mano.

Agnese                        - Ma a chi?

Teobaldo                     - E' già molto se non ve ne ricordate voi stessa di lui! (Prende il mazzo) Ah! Lo voglio ora re­galare alla nostra vecchia Geltrude, perchè se lo ap­punti sul petto spiallato, quando arranca verso la piazza e mi faccia inchini di ringraziamento, quando passa saltellando davanti alla casa. (Salta).

Agnese                        - Ridete troppo di buon mattino. E' meglio di aera tardi, che di mattino presto!

Teobaldo                     - Eppure gli uccelli cantano quando si ri­svegliano e non quando s'addormentano. (Le prende la mano).

Agnese                        - (ritirandola) Che volete?

Teobaldo                     - Una volta me l'avete lasciata.

Agnese                        - Quando dovevate aprirmi una vena.

Tesbaldo                     - Oh, certo. (Le prende di nuovo la mano) Il mio bisturi non ha lasciato segno? Ero così mal­destro.

Agnese                        - Tremate sempre come allora?

Teobaldo                     - Oh, no, soltanto mi pareva così strano di dovervi fare del male. (Qualche cosa vien gettato dalla finestra) Che cosa è mai?

Agnese                        - Chiavi. (Barbara entra dalla porta di mezzo).

Barbara                       - Le debbo riprendere?

Agnese                        - Barbara!

Barbara                       - Agnese!

Agnese                        - Da tanto tempo non vieni più!

Barbara                       - (prende da terra le chiavi) Ho da fare qualche cosa qui: non vedi?

Agnese                        - Noi andavamo così d'accordo prima! Che cosa hai contro di me?

Barbara                       - Oh, non sono la sola.

Agnese                        - Oh, Madre Santa! Che dici?

Barbara                       - Non osservi certo le tue compagne se non ti accorgi come esse ti guardano.

Agnese                        - E' vero, esse non rispondono al mio sa­luto con la mia stessa cordialità!

Barbara                       - Ah! Di questo puoi essere certa!

Agnese                        - Ma Dio mio, quando accadeva questo, pen­savo: avrà fatto un brutto sogno, o ricevuto dei rim­proveri dalla madre...

Barbara                       - E non ti curavi d'altro, è vero?

Agnese                        - Che avrei dovuto fare, dimmi?

Barbara                       - E me lo domandi?

Agnese                        - (stupita dal tono di voce di Barbara) Bar­bara !

Barbara                       - Vai al torneo oggi? Sì? Allora voglio dire a tutte che rimangano a casa, io per prima!

Agnese                        - E' una cattiveria questa: mio padre la deve sapere.

Barbara                       - Guardatene bene! Nessuno ti dice nulla di male!

Agnese                        -Sì, ma mi «fuggite e mi volete scacciare!

Barbara                       - Agnese, guardami!

Agnese                        - Ebbene!

Barbara                       - Conio staresti se... Ritiriamoci nella tua camera.

Teobaldo                     - Non voglio dar soggezione se volete con­fessarvi. (Esce).

Barbara                       - Già, che animo avresti tu, se... se tu vo­lessi bene ad uno e costui non avesse occhi che per me?

Agnese                        - Come vuoi che io sappia queste cose?

Barbara -                     - Te lo voglio dire io! Tu ti troveresti... ma no, non voglio rendermi ridicola: lo sai benissimo come staresti. E credi che un'altra possa star meglio? (Si- ac­corge del mazzo di fiori) Di dove viene?

Agnese                        - Non lo so.

Barbara                       - No? Tanti dunque ne giungono? Se ti venisse da parie del mio Volfango, io... E ciò è possi­bilissimo perchè ha proprio questi fiori in giardino! Ieri ho fatto tutto il giorno la tenera con suo cugino e mi sono sforzata di fargli gli occhi languidi, pensando di far diventare furente l'altro. Alla sera quando giun­gemmo a casa, fu proprio Volfango a esaltarmi il gio­vanotto, lui ne era contento: gli avevo fatto un piacere!

Agnese                        - Oh, poveretta!

Barbara                       - Ma sei tu la colpevole, solo tu! Quando egli non ti conosceva ancora, mi stava attaccato come ima lappola: per me sarebbe sceso nella gabbia degli orsi, a prendermi il guanto. Ed ora... ahimè...

Agnese                        - Tu mi rimproveri, ed io non so neppure di chi parli.

Barbara                       - (prende il mazzo) Voglio sapere qualcosa: me lo porto via!

Agnese                        - Per me è Io stesso.

Barbara                       - Tu porti via a tutti ciò che è degli altri! Io me ne vergognerei!

Agnese                        - Puoi affermare che io ne guardi uno solo?

Barbara                       - Già, forse è proprio così! Monaca, oppure no ! Santa, ma non ancora in cielo, di quelle che bisogna strappare a Dio! La questione sta appunto qui: Oh! sii franca con me: su gli occhi, parla, e si vedrà!

Agnese                        - Se lo faccio mi sgridi nuovamente!

Barbara                       - Allora prendi il velo che nessuno te lo toglierà! Io pregarti per il perdono? Oli, no, in eterno!

Agnese                        - Ma chi vuole questo?

Barbara                       - Il mio confessore! Credi tu che io sia venuta di mia volontà? No, no: piuttosto inginocchiarmi sopra i gusci di noci. (Solleva in alto il mazzo) Ora lo voglio regalare a lui! Se non lo riconosce te ne man­derò un altro due volte più bello! (Esce).

Teobaldo                     - Ha derubato la povera Geltrude!

Agnese                        - Sembra che le abbia dato di volta il cervello !

Teobaldo                     - Io non direi questo...

Agnese                        - Allora ha ragione lei?

Teobaldo                     - Eh! quasi... Agnese, io vi potrei tutti i giorni...

Bernauer                     - (entra con un libro ravvolto in un panno rosso, rivolto ad Agnese) Sicuro! Sicuro! Già si sen­ tono squillare le trombe in piazza! E' ora che tu vada a prepararti, Agnese.

Agnese                        - No, babbo, io rimango in casa.

Bernauer                     - Come? Perchè non vuoi andare al tor­neo? (A Teobaldo) Al lambicco! Bisognerà attizzare il fuoco. (Teobaldo esce. Ad Agnese) Ebbene?

Agnese                        - Babbo, tutti gli occhi... E' come se mi pungessero delle api... Dio sa come guardano tutte verso di me! (Rientra Teobaldo).

Bernauer                     - E tu guarda loro! (A Teobaldo) Non hai ancora rimescolato nessun unguento? Non ha ancora cantato il gallo stamane? (Teobaldo va al lavoro).

Agnese                        - E' stata qui Barbara: tutti mi odiano; io guasto loro la festa se ci vado.

Bernauer                     - E per questo vuoi rimanere? (Sorride) Allora anche il miglior cavaliere non dovrebbe andarci, perchè, sicuro, anche costui guasta la festa agli altri! E allo stesso modo anche il secondo; e giù via, via, fino all'ultimo che ci sta solo per... capitombolare. Quante sciocchezze! Su, vai a prepararti! (A Teobaldo) E tu porta giù la fiala dell'acqua vulneraria. (Agnese e Teo­baldo escono).

Knippeldollincer         - Buongiorno, compare! Oh, co­desto è un libro, nevvero?

Bernauer                     - (scrutandogli il vestito) E codesto è un farsetto nuovo nuovo, non è vero?

Knippeldollincer         - Eh, se non fossero i vecchi a farsi qualche cosa, i sarti morirebbero di fame! (Esa­mina il libro) Perbacco, che scrittura fitta! E' molto antico, nevvero? (Teobaldo entra con la fiala e si dà nuovamente da fare).

Bernauer                     - Dalla crocifissione del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, sono passati ormai ben millequat-trocentoventisei anni, eppure l'autore di questo libro era già morto più di quattrocento anni prima che il Signore s'incarnasse tra gli uomini.

Knippeldollincer         - Fanno così duemila anni! Chi mai crederebbe che c'è gente che conserva per tanto tempo tali libri? Neanche fosse oro! Pensate solo a tutti gli incendi, a tutte le inondazioni, a tutte le epide­mie! Guarda, guarda! (Scotendosi dallo stupore) Ma dov'è la mia figlioccia? La madrina l'attende da un bel pezzo, ormai!

Bernauer                     - Oh, essa aveva i grilli pel capo! (A Teo­baldo) S"ì. fa un salto e chiamala! (Teobaldo esce).

Knippelòollinger         - E voi non venite al torneo? Po­tremmo andarci insieme.

Bernauer                     - C'è poco da vedere, secondo me, in un torneo: soltanto ammaccature e ferite! E queste le ho sotto gli occhi tutti i giorni!

Knippeldollinger         - Eh via! Non è cosa di tutti i giorni! Già, i cavalieri, i conti e i baroni sono piuttosto rari qui ad Augusta... e oggi, abbiamo nientemeno che un Duca di Baviera...

Bernauer                     - Non ho piacere di fare la sua conoscenza, e desidero che anche lui non abbia a cercare di fare la mia. Tanto, ci spetta solo curvare la schiena!

Knippeldollincer         - Guarda qui! (Prende la mano di Agnese che è entrata tutta adorna, seguita da Teobaldo) La posso portar via? (Rimane incantato a guardarla).

Bernauer                     - (ad Agnese) O ohe ti debbo dare una spinta, adesso?

Knippeldollinger         - (uscendo con Agnese) Sapete che il sindaco ripiglia moglie? E sì, che ha dieci anni più di me!

Bernauer                     - Ti sbagli: cinque! Buon divertimento! E attenti alle costole! (Knippeldollinger e Agnese esco­no. Guardandoli uscire, fra se) Il vecchio si difende male dagli attacchi di pazzia... Ebbene, giù l'alterigia, Ga­spare: anche tu hai il tuo ramo di pazzia. (A Teobaldo) Adesso va anche tu; ma ritorna in tempo, se ne vedi portar via qualcuno! (Teobaldo esce).

QUADRO SECONDO

Sala nel Casino della città di Augusta, ornato a festa coi gonfaloni delle Corporazioni e le armi delle famiglie nobili. E' sera. Il borgomastro, Wernberg e Frauenhoven arrivano. Fanno gli onori i capi delle Corporazioni.

Il Borgomastro           - Sicuro, signor cavaliere! Tutto alla rinfusa, ora, qui da noi, da quell'infausta sera di santa Caterina in cui dovemmo accogliere la plebaglia al Con­siglio. Perle e piselli nello «tesso sacco. Che fatica per il Duca farne la cernita; mi meraviglio che venga! '.

Wernberg                    - Oh, il Duca verrà molto volentieri! (A Frauenhoven) Senza dubbio il nuovo Adamo si incontra al ballo con la sua Eva!

Frauenhoven               - E chi è la nuova Eva?

Wernberg                    - Una certa Agnese Bernauer, la figlia di un barbiere: al torneo non ha cessato per un istante di guardarla!

Frauenhoven               - (al borgomastro) E'vero ciò che si dice nello Stato, che cioè il suolo di Augusta non tollera ratti?

Il Borgomastro           - Verissimo! La cosa sta così fin dai tempi di Druso.

Wernberg                    - Curioso! (Entrano Alberto, Tórring e il seguito).

Il Borgomastro           - Sua eccellenza il Duca! Eccellenza, la libera città di Augusta, dopo il glorioso torneo vi dà il benvenuto e vi ringrazia di aver concesso una lancia ai nostri patrizi.

Alberto                       - Ch'essa viva! Ne è ben degna! Vi ringrazio, signor borgomastro. (A Frauenhoven) Hai visto la ra­gazza?

Frauenhoven               - Ma quale?

Alberto                       - Quale!? Ti prego, cercala! Dal cavallo mi sarei buttato per seguirla, se non ci fosse stato costui (Indica il borgomastro).

Frauenhoven               - Stamani mi avete dato l'incarico di cavalcare contro Werdenberg. Egli ha rapito la vostra fidanzata, la contessa Wirtemberga; non lo sapete?

Alberto                       - Non nominatela più! Io gioisco ch'ella abbia rotto una catena che io stesso avrei dovuto rompere. (Si allontana).

Tòrring                        - Ne capite qualcosa voi?

Frauenhoven               - Fratelli, non giudichiamo, e non saremo giudicati. L'amore... chi l'ha provato e chi lo proverà! Se non lo sapevate ancora, adesso compren­derete perchè i nostri avi chiamarono la donna «sbornia dell'uomo ». Se non che, questa, la si caccia col bere, mentre per la vera sbornia occorre l'astinenza; e quanto più lungo è il sorso, tanto più presto la sbornia se ne va. Ecco perchè noi dobbiamo assisterlo!

Il Borgomastro           - (s'avvicina a Wernberg con una si­gnorina) Signor cavaliere, mia nipote, Giuliana Peu-tinger. Ella, quando era bimba di quattro anni, in nome del Consiglio, ha salutato S. M. l'Imperatore con un breve discorso latino. Io la presenterei volentieri al Duca.

Wernberg                    - Più tardi, signor borgomastro, più tardi!

Alberto                       - (prorompendo)         - Oh, eccola.

Wernberg e Frauenhoven - (insieme) (Bellissima veramente!

Alberto                       - (seguendo Agnese e suo padre) Fanciulla, voi avete illuminato con la vostra grazia il torneo, ciò che le vostre mani toccano è più nobile dell'oro e più prezioso dei diamanti, foss'anche un ramoscello verde staccato dal vicino cespuglio!

Bernauer                     - Mia figlia, gentil signore, non è avvezza a simili discorsi.

Agnese                        - (Lascia, babbo. Il Duca di Baviera è solito parlare così alla sua fidanzata; e con la popolana di Augusta fa soltanto le prove!

Bernauer                     - Ben detto, 'Agnese; ma tu non hai nes­suna autorità a rispondere. Perciò ringrazia Sua Eccel­lenza il Duca della confidenza e vieni.

Alberto                       - Perchè, vecchio? Non ho ancora udito il suono della sua voce e già ve ne andate? E allora dovete permettermi di accompagnarvi, perchè vi sarà più facile rimuovere la vostra ombra che me dai vostri passi!

Bernauer                     - Diverrebbe geloso un pari vostro!

Torring                        - (prende Bernauer sotto il braccio) Il Duca di Baviera non ha qui nessun pari! (Lo conduce via).

Alberto                       - (ad Agnese la quale pure segue gli altri e cerca di avvicinarsi a suo padre) Fanciulla, io non mi sono sbagliato : tu stamani hai guardato verso di me. Ma il tuo sguardo era davvero rivolto a me, oppure al pennacchio veneziano del mio elmo?

Agnese                        - Io tremavo per voi, gentil signore. Voi guardavate verso di ine e cavalcavate verso il nemico; io temevo che poteste correre qualche pericolo.

Alberto                       -  E ciò, non ti era indifferente? (Si per­dono con gli altri nella folla).

Barbara                       - (facendosi innanzi con Marta ed altre ragazze) Ah, ah, ah, non vi dissi che era meglio rimanere a casa? Ora divertitevi se potete!

Marta                          - E' bella davvero questa! Sarebbe capace di farsi portar via anche dal Duca!

Barbara                       - Portarla via? Dove avete la testa? No, no! Ma essa se ne avvantaggerà lo stesso! Basta dare un'oc­chiata in giro: tutti guardano e bisbigliano. (Risalgono la scena).

Alberto                       - E ora parla tu! Che dici dunque?

Agnese                        - Che musica soave, che bei sogni si fanno!

Alberto                       - Io ti domando se puoi amarmi.

Agnese                        - Ad una principessa dovete fare questa do­manda, non a me!.

Alberto                       - Oh, parla.

Agnese                        - Non insistete, oppure interrogatemi, come si interroga una povera creatura che immaginiamo debba essere colpita da una immane sciagura!...

Alberto                       - Io voglio dirti...

Agnese                        - Non parlate, vi prego: non distruggete un grande sogno con una piccola parola.

Bernauer                     - (entra con Tòrring e cerca di avvicinarsi ad Agnese) Domani, signor conte, domani.

Knippeldollinger         - (a Wernberg il quale segue i due precedenti) Mio Dio! Avete visto quanto sangue al torneo?

Alberto                       - Tu non vuoi comprendermi, ma io ti amo !

Bernauer                     - (avanzando verso i due) Vieni, figlia mia, anche tu puoi perdere il tuo onore! (Vuol condurla via).

Alberto                       - (gli impedisce il passo) Io l'amo ma non avrei mai pronunciata questa parola senza essere disposto ad aggiungere che domando la sua mano.

Wernberg                    - Eccellenza!

Frauenhoven               - Alberto, ma tu conosci tuo padre?

Tòrring                        - Pensate all'Imperatore e allo Stato. Voi siete un Wittelsbach. E' solo per ricordarvelo!

Alberto                       - (non ascoltandoli) Ebbene, vecchio, hai ancora paura per il suo onore?

Bernauer                     - Signore! Se soltanto fosse apparsa in un torneo prima di compiere quindici anni, ella sarebbe stata annoverata fra le fanciulle senza onore. E' solo per ricordarvelo.

Alberto                       - E dopo i quindici anni ogni angelo che somiglia a questo deve trovare un trono in terra; e colui che deve ancora baciarle la mano glielo procurerà.

Frauenhoven               - E' matto! (Ad Alberto) E' meglio finirla qui, per oggi! Tutti hanno gli occhi sopra di voi. Ad ogni modo la cosa deve rimanere segreta.

Alberto                       - (a Bernauer) Devo ritornare domani?

Bernauer                     - Che mi gioverebbe dire dì no?

Alberto                       - Agnese!

Agnese                        - Chi mi suggeriva dunque stamani di riti­rarmi nel chiostro? Ora mi pare di vedere il dito che me lo indica.

Alberto                       - Tu hai le vertigini? Ebbene tienti stretta a me. Dovesse girare il mondo tu rimarrai ferma.

Bernauer                     - Signore, vi domandiamo il permesso! (Esce con Agnese e Knippeldollinger).

Alberto                       - (vuol seguirli) Io debbo...

Frauenhoven               - Neanche un passo! Per amor nostro, se non per amor tuo!

Alberto                       - Tu hai forse ragione!

Frauenhoven               - Ora parla anche con gli altri, parla con tutti a lungo, ti prego, a lungo!

Alberto                       - Quanto avrei pagato pur di udire il mio nome sulle sue labbra! Ma... Chi può celebrare in una sola volta e Natale e Pasqua e Pentecoste! (Entra in mezzo agli altri ospiti e il borgomastro gli si fa incontro con la sua dama).

QUADRO TERZO

Bottega del barbiere, mattino.

Agnese                        - (entrando) Siete qui, padre mio?

Bernauer                     - Sì, figliuola; qui dobbiamo aspettarlo, in nessun altro posto. Come ti senti? Un po' diversa dal solito, newero? Se fai tanto d'occhi! Ed è naturale, certo. Le ragazze per celia o per timore amano soffer­marsi un istante, davanti alla porta, anche quando in realtà hanno in voglia di entrare, e sanno che lo sposo da un pezzo tende loro la mano. Ebbene tu, povera creatura, non hai nemmeno più il tempo di intrecciare la corona.

Agnese                        - Sicché la vostra decisione è già presa?

Bernauer                     - Non c'è più che un mezzo! Basta che tu sia pronta... In quanto a lui... Vorrei essere io al suo posto !

Agnese                        - Veramente?

Bernauer                     - Lo credo bene! Quantunque del tempo ne sia passato da quando io ebbi la stessa febbre! (Trae qualcosa di lasca) Che cos'è questo?

Agnese                        - La mia catenella! Eppure ieri sera l'ho messa via subito!

Bernauer                     - Non può essere, perchè l'ha trovata Teo­baldo per strada.

Agnese                        - Teobaldo?

Bernauer                     - Già, tu, al pari di me, non l'hai visto! Ma quel mattacchione, da quando sono venuti i soldati imperiali, ci ha seguito ogni sera, ogni volta che siamo usciti di casa, e ci ha aspettato fino al ritorno. Nessun indizio egli ha mai dato di questo e se io ora lo so lo debbo al fatto che egli ha trovato la tua catenella. (La fissa negli occhi) Strano, newero?

Agnese                        - Ho piacere che vi sia tanto affezionato!

Bernauer                     - Orbene, io penserei che la miglior ri­sposta che tu potresti dare a quella testa matta del Duca, sarebbe quella di porgere la mano a Teobaldo, al più presto, magari oggi stesso.

Agnese                        - Come è possibile?

Bernauer                     - Voi vi date la mano, e andate incontro al Duca; io vi sto dietro, nell'atto di benedirvi e gli grido: «Così è «tato decìso in Cielo, e ciò che Dio ha unito non può l'uomo dividere ».

Agnese                        - Padre mio...

Bernauer                     - Lo sposo, io credo è pronto ed anche il prete non è lontano! Parla, non è così che vuoi?

Agnese                        - No, mai, in eterno!

Bernauer                     - Che significa questo?

Teobaldo                     - (comparendo) Non rimproveratela! Io sono il colpevole: non dovevo seguirvi! Almeno per questa volta!

Agnese                        - Teobaldo, mi dispiace...

Teobaldo                     -  Lo so, lo so! Sono convinto anch'io, si, che io... e voi, Dio mio! Io non posso neanche parlare di sciagura. Voi non potete essere mia... Mi basta guar­darvi per esserne persuaso. Posso andarmene per un po' dì tempo? Fra un'ora sarò di ritorno: in questo frat­tempo non verrà molta gente. (Stringe la mano ad Agnese) Agnese, io vorrei cedere il mio amore, non per alleviare il mio animo, oh, Dìo, no! ma per rendervi felice, perchè voi, credetemi, lo sareste, se l'amore che mi arde qui (si batte il petto) gonfiasse un petto mi­gliore! (Esce).

Bernauer                     - Lo credo anch'io!

Agnese                        - Non adiratevi con me, padre! Se io avessi presentito...

Bernauer                     - Non se ne parli più! Chi può andar contro il cielo? Eppure che orrore provo, Agnese, quando penso al tuo avvenire, poiché cotale arnese (indica una bacinella da barbiere) ed una corona... no, non andranno mai bene!

Agnese                        - Voi mi avete dianzi interrotta, padre, giac­ché io non potrei concedere la mia mano, né a Teobaldo, né ad altro.

Bernauer                     - E perchè?

Agnese                        - Perchè io... non potrei!

Bernauer                     - Ti è già entrato tanto in cuore? Male­detto questo torneo!

Agnese                        - Ma... per la Madre di tutte le grazie! A me stessa io dovrei imprecare... Io dovrei rinchiudermi nel chiostro!

Tòrring                        - Buongiorno, maestro! Già qui anche voi, fanciulla? Qua la mano, bravo vecchio! Da ieri sera vi voglio bene! 0 bella Agnese, se il duca Alberto ha creduto per un istante di essere solo con voi al mondo, e io gli perdono, ma non gli perdono di essersi lasciato trasportare troppo oltre, senza più ritornare in se, giac­ché l'Imperatore lo avrebbe dovuto saper prima. (Volge uno sguardo penetrante ad Agnese) Povera Susanna, bella e giovane creatura, come dovevi essere pàllida il giorno che i severi Boeri ti trassero al rogo. Tu non eri certo una maga, oppure maga è anche quella che mi sta davanti!

Bernauer                     - Questo è successo nel giocondo paese dei violini?

Tòrring                        - Mi meraviglierei, se non lo avessero ancora messo in rima! Queste cose si ha piacere a cantarle, quando si è gente allegra!

Bernauer                     - Che ne dici, figlia mia?

Agnese                        - Vergogna per l'Imperatore che l'ha per­messo !

Tòrring                        - Egli se ne stava nella torre, ed i suoi nobili attendevano adirati dinanzi alla porta colle spade sguainate: egli non sapeva chi avrebbe, un istante dopo, bussato, se il boia o il liberatore.

Agnese                        - Questo era il suo destino, ed ormai ne saprà il perchè.

Torring                        - Bernauer, permettetemi una parola. (Fa per prenderlo in disparte).

Bernauer                     - Va, Agnese, aspetta che ti chiami. (Agnese esce).

Bernauer                     - Ebbene?

Torring                        - Orbene, vecchio, ditemi chiaramente il vostro pensiero.

Bernauer                     - Non so cosa vogliate dire.

Torring                        - Sentite: io credo che il Duca si sia alzato stamane, proprio come ieri sera si è coricato.

Bernauer                     - E' certo: otto ore non sono più di otto ore!

Torrinc                        - Anch'io la penso così, ma dobbiamo fin d'ora essere uniti... Quindi... (Prende in mano il rasoio come per scherzare) La vostra spada, nevvero?

Bernauer                     - Come credete.

Torrinc                        - La mia, è un po' più lunga. (Batte sulla spada) Già, cosa volevo dire? Il Duca ama vostra figlia; sì, ve lo posso giurare: egli brucia come un falò di San Giovanni, quando il vento soffia forte, ma... (Prende la bacinella) Il vostro elmo?

Bernauer                     - Così buontemponi in Baviera?

Torring                        - No, no, lasciate andare. (Fa l'atto di met­tere la bacinella in capo a Bernauer) Non avete mai provato? Orbene non andiamo tanto fuori strada. L'amore del Duca deriva dal suo cuore, la richiesta... Beh, l'avete visto voi stesso, è stato effetto di ebbrezza... forse, che so io? magari dei fumi del vino!

Bernauer                     - Ne ho piacere! Se non che questa amba­sciata non è soltanto per me. (Chiama) Agnese!

Torring                        - Piacere? Non mi sono dunque sbagliato, quando vi ho giudicato un uomo intelligente. Qua la mano!

Bernauer                     - (rilira la mano) Voi mi avete già fatto cavaliere !

Tòrring                        - Una fortuna da poco, nevvero! Ma assicu­rata per sempre... Sia detto fra noi... Il Duca ha ricevuto dalla natura delle buone qualità.

Bernauer                     - (ad Agnese che entra) Sta bene attenta figliola. (A Torring) Parlate!

Tòrring                        - Poiché l'avete chiamata, continuate voi stesso.

Bernauer                     - Bene. (Ad Agnese) Il Duca ritira la sua richiesta!

Tòrring                        - Non è precisamente così!

Bernauer                     - Ritira la sUa richiesta e ti lascia libera!

Agnese                        - (si pone a sedere).

Bernauer                     - (accenna a lei) Eccovi la sua risposta! Ed ora la mia. Anzitutto (sollevando le mani giunte) ti ringrazio, o Dio del cielo, che sia andata così. Mandami ora la sciagura che vuoi, che non mi potrà colpire più di quanto mi abbia colpito questa fortuna, col suo or­ribile duplice volto. (A Tòrring) Voi vedete come la prendo; e ciò vi spieghi la ragione per cui vi ho ascol­tato così tranquillamente. Voi foste per me un fausto messaggero, perch'io sapevo che mia figlia non avrebbe acconsentito a nessuna ignominia, e ora la vostra am­basciata me la restituisce. Voi vi informate della mia spada: ebbene, noi cittadini ne abbiamo una in realtà, sebbene essa rimanga ordinariamente appesa dietro il camino. Ed io con la mia spada, di schiene ne ho pic­chiate più d'una che rassomigliava del tutto alla vostra, credetelo pure !

Tòrring                        - Bernauer!

Agnese                        - (balza in piedi e si pone accanto a Bernauer) Avete ragione, padre mio!

Bernauer                     - Voi mi avete ostentato l'elmo dal pen­nacchio variopinto; io mi accontentai sempre di una semplice celata. Ebbene, anche questa celata è bastata talvolta a far le veci d'una buona lama!

Agnese                        - Posso difendermi da sola, padre mio! Ciò che mi accadde ieri sera, mi tolse lingua e ragione; ciò che mi accade ora, mi dona l'una e l'altra. Impossibile ritenevo la prima cosa, ma nel nome di Dio, la seconda molto di più! (A Torring) Questo dite al Duca da parte mia!

Bernauer                     - (al Duca che entra) Eccolo; non è lui stesso?

Alberto                       - Sì, è Ini! (Ad Agnese) Era aspettato?

Agnese                        - (si discosta).

Alberto                       - Agnese, se un cocchio celeste discendesse verso di te, e fossero stelle i chiodi delle ruote e mi passasse davanti, io non vi monterei sopra, e tu?

Agnese                        - Signore, ieri non avevo io il coraggio di guardarvi in viso: oggi mi parrebbe dovreste essere voi a non averlo!

Alberto                       - Ma che cosa ti ho dunque fatto?

Agnese                        - Niente? Non è dunque nulla tutto ciò? L'onore che potete farmi non sarà mai tanto da cancel­lare questo oltraggio, anche se mi ponete in capo la corona!

Alberto                       - Oltraggio?

Agnese                        - Anch'io sono una creatura di Dio; anche me può egli esaltare, se questa è la sua volontà; anche voi può abbassare, poiché tutto in terra è solo per prova, e gli umili e i superbi un giorno dovranno avvicendarsi quando staranno al suo cospetto. Signore, non fate più a nessuno il male che avete fatto a me. Da voi non me lo aspettavo, ecco perchè >è doppiamente amaro!

Alberto                       - Agnese, ieri ho chiesto la tua mano, e oggi vengo per la risposta: intanto, i miei amici cercano il prete che ci deve unire: è questo il mio oltraggio? (A TSiringi Voi qui? Che significa tutto ciò?

Torring                        - (si fa innanzi) Il Duca non sa nulla, parola da cavaliere! Io ho parlato per mia volontà... credevo... Ebbene, è umano sbagliarsi...

Alberto                       - L'hai oltraggiata? Hai oltraggiato la mia sposa? (Vuole sguainare la spada).

Torring                        - No! (Si avvicina ad Agnese e le bacia ca­vallerescamente la mano) Voi lo sapete io non sono un vile, ora la conosco e vorrò essere il suo servitore fino all'ultimo respiro! (Ad Alberto) E voi, signor mio, non abbiate più rancore con me, se sono stato un po' rude nel toglierle il velo. Anche per voi, come per lei, è un vantaggio se io l'ho guardata in volto. (Si ritira in­dietro).

Alberto                       - Essa tace! Il perdono dipende da lei, non da me! Seguitemi, se essa vede come io la vendico, saprà quanto l'amo.

Agnese                        - No, no, per l'amor di Dio! Soltanto da voi mi fu inferto un colpo mortale! Ora... ora... padre...

Bernauer                     - Le vostre dure parole le fanno male, signore; essa vorrebbe che le ritiraste. Vedete bene che ne è quasi soffocata.

Alberto                       - Per l'oro di tutto il mondo, io non voglio perderla! Due bimbe furono scambiate: la figlia del­l'Imperatore fu messa nella tua culla e l'Imperatore alleva la tua. Guarda là: la riconosci tu ancora? Agnese, questa storia te l'ha già narrata, nella tua fanciullezza, una fiaba; ma allora tu non potevi immaginare che pian­gevi sopra la tua propria storia. Soltanto in questo mo­mento ti sei di nuovo ricordata di te stessa. Ma, vivaddio! tu sai finalmente chi sei: te lo dice il nobile fuoco che ti balena negli occhi e «'irraggia dalla fronte: ormai tu non ti ricordi più di non aver fin qui vestito la porpora e bevuto nei calici d'oro. Vieni dunque con me, prima che te ne risovvenga ancora.

Bernauer                     - Agnese...

Agnese                        - Padre, non ricordatemi che qui ci vuole animo altrimenti io potrei...

Alberto                       - (stende le braccia verso di lei) Che cosa? Che cosa?

Agnese                        - (si lascia andare fra le sue braccia) Se an­che dovessi scontare con la morte... non importerebbe nulla !

Alberto                       - (l'abbraccia) Agnese!

Agnese                        - (si divincola di nuovo) Ma nessun coraggio mi autorizza a questo. Voi siete un principe...

Alberto                       - E come tale posso rifarmi da capo.

Agnese                        - Voi avete un padre...

Alberto                       - Io gli sono figlio, non schiavo!

 Agnese                       - E se il vostro popolo mormora?

Alberto                       - Mormorerà fin tanto che non riapplaudirà. Quando essi si raccoglieranno a sommossa e apertamente tumultueranno contro di me, io non manderò contro di loro un esercito, ma manderò incontro la tua immagine, ed essi ritorneranno ai campi rossi di vergogna.

Agnese                        - E se vostro padre vi maledice?

Alberto                       - Mi benedirà Iddio.

Agnese                        - E se sguainerà la spada?

Alberto                       - Allora mi darà il diritto ad afferrare la mia!

Agnese                        - E a queste condizioni dovremmo noi... Po­treste voi essere felice?

Alberto                       - Molto più felice che se dovessi rinunciare a te! Delle due cose una vuol dir lotta, e nella lotta non si può preveder l'esito, l'altra vuol dir morte, morte senza ferite e onore, vile morte di soffocazione perpe­trata colle proprie mani; e questa dovrei io scegliere? Vergogna! Prendere per la gola anziché sguainar la spada? Allora sì, che sarei il primo e l'ultimo! Fan­ciulla, adesso conosco il tuo cuore: qua stretta a me, così... (la stringe a se). Or tu hai fatto ogni cosa; il resto è affar mio. Per qual cosa avrebbe Dio creato il mondo, se non pel sentimento che attrae me. a te e te a me? Questo io sento. Perciò non tremare. (Entrano Frauen-hoven e Wernberg).

Frauenhoven               - Si è trovato un prete che osa porsi contro il vecchio Duca, in vostro favore.

Wernberg                    - A questa condizione soltanto però, che se ne mantenga il segreto più a lungo possibile.

Alberto                       - Che cosa ne dici tu, Agnese?

Agnese                        - Fin tanto che lo sa solo Iddio, nessuno dei miei presentimenti si compirà.

Alberto                       - Dunque, dove e quando?

Frauenhoven               - Stasera, alle dieci in punto, nella cap­pella di Santa Maria Maddalena. Ma dobbiamo andarci tutti incappucciati come ai funerali.

Alberto                       - Bene! E domani a Vohburg, Agnese! E' un castello sulle rive verdi del Danubio, che mi aveva donato mia madre. Te lo regalo. E' un nido che ti piacerà: sempre azzurro il cielo si china a guardarlo e ogni cespuglio nasconde il suo usignolo. E se vuoi di­mostrarmi la tua gratitudine per un dono che non conosci ancora, chiamami per la prima volta col tu!

Agnese                        - (piangendo) Alberto mio!

Alberto                       - (stringendola fra le braccia) Per questo tu piangi?

Agnese                        - E non dovevo io sfogarmi? A voi... a te... io potevo... ma io soffrivo più per te che per me; mi pareva che la stella più scintillante d'un tratto si fosse stornata dalla sua orbita sul mio capo, ed io l'avessi raccolta ai miei piedi ancor tutta tremante. Perciò in questo momento ho tanto coraggio, quasi che fin d'ora la vita mi desse più di quanto mi spetta... Padre...

Bernauer                     - (si fa avanti) Figlia mia, io devo darti la mia benedizione. Tu hai fatto secondo la volontà di Dio, e Dio sia con te! (Le pone la mano sul capo).

QUADRO QUARTO

Monaco. Il gabinetto ducale. Ad una parete sono visi­bili due carte geografiche; alle altre sono appesi ritratti di principi bavaresi.

Preising                       - Mai si è parlato tanto del vincitore d« Alling, quanto del ballerino di Augusta.

Ernesto                       - Lo so, lo so; e mi dispiace abbastanza! Preising, se vogliamo scontare i nostri peccati giovanili, dobbiamo essere indulgenti verso i nostri figli. Ma si è già pensato a porre un fine. Erich di Brunsvico, or sono due anni, mi diceva: «Peccato, Ernesto^ che tu abbia un solo figlio e questi sia fidanzato! » Queste pa­role mi sono rimaste in capo, e lo stesso giorno in cui appresi la fuga della Virtemberghese, ho fatto chiedere la mano della figlia di Erich: proprio ieri sera è giunta la risposta affermativa.

Pbeisinc                      - E Alberto? Acconsentirà?

Ernesto                       - Acconsentire? Veramente io non l'ho an­cora interrogato, ma credo che non ci sia dubbio.

Preising                       - Gli avete inviato un messo?

Ernesto                       - Uno? Tre, anzi quattro, gliene ho spe­diti, con tutte le disposizioni e gli ammonimenti: al­l'ultimo ho persino consegnato una lettera.

Preising                       - Ebbene, costui è già di ritorno; smonta appunto ora da cavallo.

Ernesto                       - L'ha fatta lunga abbastanza!

Preising                       - Eppure non è andato piano, perchè egli non viene da Augusta, ma da Vohburg. Il Duca aveva lasciato Augusta prima che egli vi entrasse.

Ernesto                       - Così la faccenda della ragazza è finita, potevo fare a meno della stupida lettera.

Preising                       - Tutt'altro! Egli ha portato con sé la ra­gazza !

Ernesto                       - E' grave! Una cosa simile io non l'avrei osata durante la vita di mio padre. Questo riferisce il messo?

Preising                       - Si... e...

Ernesto                       - E che c'è ancora? Perchè v'interrompete?

Preising                       - Si bisbiglia di un matrimonio clandestino.

Ernesto                       - E potete dirmi questo? Il parentado della ragazza fa circolare questa voce per giustificare la sua condotta vergognosa. E mi rallegro ora doppiamente che Erich abbia acconsentito. Ordunque montate subito a cavallo, e riferite questo a mio figlio.

Preising                       - E se egli non accogliesse la notizia come pensate voi?

Ernesto                       - Non fermatevi sopra l'impossibile! Egli dovrà dire di si!

Preising                       - E va bene!

Ernesto                       - Inoltre ordinategli di andare al torneo di Ratisbona; anche i cavalieri debbono tosto sapere che i Welf e i Wittelsbach si vogliono finalmente riabbrac­ciare. Io l'annuncierò solennemente al torneo. Ciò deve essere eseguito al più presto possibile. Mio fratello faccia pubblicare sull'istante l'editto. Io mi reco subito da lui. Sapete come sta suo figlio Adolfo?

Preising                       - Un po' meglio, a quanto ho sentito.

Ernesto                       - Ho piacere, quantunque ciò non significhi gran che. Questo ragazzo ha tutti i malanni addosso. Io non avrei mai immaginato che al mondo ci fossero tanti mali, quanti egli ne ha già sopportati.

Preising                       - Se non che talvolta i fanciulli deboli pos­sono ancora diventare degli uomini forti.

Ernesto                       - Lo voglia Iddio; io me lo auguro di tutto cuore. Ma ricordatevi il mio Alberto all'età di quattro anni!... A cavallo, Preising, a cavallo.

Preising                       - E se... se egli non mi dicesse di « sì » prima della partenza, debbo invitarlo ugualmente al torneo?

 Ernesto                      - Naturalmente! Allora lo voglio io... da­vanti a tutti i cavalieri uniti... Pazzie! A eavallo, Prei­sing, a cavallo. {Va via in fretta).

QUADRO QUINTO

Vohburg. Stanza della Torricella.

Alberto                       - (entra con Agnese e al castellano che li segue) Dunque, è questa la stanza?

Il Castellano               - Questa.

Alberto                       - Una vera torre di guardia.

Il Castellano               - Sicuro, di qui i nemici si vedono prima, ma anche gli amici. Così disse la santa vostra madre, quando vi mise piede la prima volta, e si ap­pressò alla finestra, proprio come ha fatto ora Vòstra Eccellenza.

Alberto                       - Noi dovevamo venir prima, nevvero, vec­chio? Subito dopo l'arrivo.

Il Castellano               - Oh, io non voglio sapere, perchè ciò sia accaduto cinque giorni dopo ch'ella era arrivata al castello. Io so soltanto che Vostra Eccellenza è qui ormai e quindi anche la gentil mia signora Elisabetta di Wirtemberga, ormai di Baviera.

Alberto                       - Tua signora sì, anche se non Elisabetta di Wirtemberga!

Il Castellano               - Ah, no? Eppure l'avevo pensato. Quando, una volta, le principesse del sacro romano impero facevano il loro viaggio di nozze, le annunciava il suono giulivo delle campane di torre in torre, e sven­tolavano le bandiere, squillavano le trombe, e galoppa­vano qua e là i variopinti araldi. Nulla dì tutto questo si è oggi notato: ebbene, che Iddio benedica la Duchessa di questo paese, la legittima sposa del mio signore. (Esce).

Alberto                       - Che vecchio bizzarro! Proprio come una foglia appassita lasciata dal vento in mezze alle fronde ancora verdi.

Agnese                        - Egli mi ricorda mio padre. Così sarà egli un giorno.

Alberto                       - Oh, eccoci qui finalmente! Ma che modo di condurci... Per quanto grato gli sia, mi aveva quasi dato noia quell'eterno tintinnare il mazzo di chiavi...

Agnese                        - Ed io mi vergognavo! Eppure mi ha com­mosso! Egli non può tollerare nessuna macchia nel suo Duca: pensava che io fossi la tua macchia.

Alberto                       - (guarda in giro) Ed ora voi, pareti, se avete lingua parlate, affinchè possa finalmente sapere perchè dovevamo venire qui. Io speravo in una sorpresa, ma non vedo proprio nulla.

Agnese                        - Come è bello qui! Questo tavolato scuro e così liscio che ci potremmo specchiarci E' certo opera di Ratisbona! E queste variopinte vetrate con queste miriadi di figure!

Alberto                       - Sicuro, ora le fanno sulle rive del Reno, da quando hanno incominciato a erigere il Duomo di Colonia. Famose leggende! C'è da diventare saggi a guardare attraverso tali vetri.

Agnese                        - Oh, che vista! (Guarda attraverso i vetri).

Alberto                       - Tutto questo ora è tuo! Ma non ralle­grarti troppo, tu devi prendere qualcos'altro nella com­pera. Per esempio quel vecchio albero ricurvo e quella catapecchia senza tetto!

Agnese                        - Alberto mio! Tu sei tanto allegro e questa è la mia grande felicità. 

Alberto                       - Oh! Oggi io sono imbronciato con me stesso di domani, e domani e domati l'altro lo stesso. Sicuro. Agnese, è proprio così. Un'estasi è per me sempre apportatrice di un'altra estasi più grande; ed ora comprendo perchè gli uomini sono immortali!

Agnese                        - Basta! Io non ne posso più! Mi si schianta il petto. (Guarda l'inginocchiatoio) Là! Là! (Vi si getta sopra e prega).

Alberto                       - (volgendo lo sguardo in alto) Ora tu ci benedici, ed io so pure per mano di chi.

Agnese                        - (si rialza dallo sgabello dove era inginoc­chiata, si apre una cassettina segreta senza che Agnese se ne avveda).

Alberto                       - Ora mia madre non è più in cielo: è ridi­scesa in terra qui presso di noi, ma non per questo la sua beatitudine è meno grande.

Agnese                        - Ah, ma essa non mi attendeva!

Alberto                       - (si accorge dèlia cassettina) Ma che è questo?

Agnese                        - Gioielli e perle! Oh che splendore!

Alberto                       - Le sue gioie! Almeno credo, perchè essa le portò soltanto prima ch'io nascessi. Oh, una lettera... (Prende la lettera) « A quello dei miei figli che per primo pregherà qui per me » (La porge ad Agnese) Dunque a te! Aveva dunque uno scopo la nostra ve­nuta qui! Che magnificenza sarebbero state n»l tuo sposalizio! Certo ella ci osservava prima che fossimo ancora giunti. (Agnese gli restituisce la lettera. Alberto la legge poi le porge le perle) Ecco, sono tue!

Agnese                        - Oh, Alberto, io...

Alberto                       - Certo, tu non le devi nessun atto di obbe­dienza, ma io non posso rifiutarle questo desiderio. Ecco, qui si può dire neve su neve. (Le mette le perle al collo) Ora possono contendersi chi è più bianco...

Agnese                        - Adulatore!

Alberto                       - (prende il diadema d'oro) Ho ancora una coppia da unire! (Fa l'atto di metterglielo sul capo).

Agnese                        - Mi opprimerebbe.

Alberto                       - Tu hai ragione ad essere più reticente di prima, poiché qui l'equivalenza è ancor più dubbia! Questo oro e quest'altro... (le sfiora con una mano i capelli). La differenza è troppo grande... (le pone il diadema sul capo) ma cerca di accoglierlo con benevo­lenza: non troviamo niente di meglio.

Agnese                        - Solo per vedere come le stava.

Alberto                       - I tuoi occhi sono così belli che non, pos­sono essere adornati... Ancóra questo anello al dito, ancora questo braccialetto... (le passa davanti cavalle­rescamente) e l'imperatrice è pronta, perchè, sicuro, tu non l'immaginavi. Ma io volevo fare un'imperatrice, ed essa è qui!

Alberto                       - (al castellano che entra) Neanche una pa­rola, anche se dovesse sfasciarsi il mondo! Agnese, se io debbo finire in Dio, dovrò continuare ad amarti; per me non c'è altra via per arrivare a lui! Non è così anche per te?

Agnese                        - Dovesse pur venire la morte, io non potrei più dire: «Sei venuta troppo presto! ».

Alberto                       - (al castellano) Che c'è?

Il Castellano               - Una ambasciata da parte di vostro padre! Il cavaliere Preising.

Alberto                       - Venga avanti! (Il castellano esce ed Agnese vuole ritirarsi) Rimani! Come ti guarderà co­stui, così ti guarderà mio padre!

 Agnese                       - Lasciami, Alberto. E' meglio che io esca: questo diadema sarebbe una provocazione!

Alberto                       - Entra dunque là dentro. Ci dev'essere una stanza ancora, non è vero? Così in tre passi puoi essere di nuovo da me! (Agnese esce) Venite pure. (Entra Preising) Quali nuove, cancelliere?

Preising                       - Una lieta ambasciata!

Alberto                       - Veramente? Allora una gioia dopo l'altra.

Preising                       - Una ambasciata, che il mio signore avrebbe dovuto affidare piuttosto al cavaliere Haydek che a me!

Alberto                       - Ah, ho già capito!

Preising                       - Egli vi aveva annunziato la fuga della vostra prima fidanzata...

Alberto                       - Mi sono dimenticato di ricompensarlo: sarà per la prima volta che lo rivedrò!

Preising                       - Ma doveva anche riferirvi il sì della seconda...

Alberto                       - Preising, parlate chiaro. Poco m'intendo io di rebus; voglio dichiarazioni precise: che cosa volete dire?

Preising                       - Vostro padre ha chiesto per voi la mano della più bella principessa della Germania.

Alberto                       - Mi spiace molto!

Preising                       - Erich di Brunsvico ha acconsentilo.

Alberto                       - Me ne spiace ancor di più.

Preising                       - Ed io...

Alberto                       - Voi mi dovete forzare al sì, come si fa coi burattini di Norimberga! Ma non ci riuscirete, e mi dispiace moltissimo, perchè la vostra autorità ne scapita.

Preising                       - Vostro padre rimarrebbe sorpreso, ve lo posso assicurare, se voi doveste opporvi ad un matri­monio, che non si potè più attuare dalla morte di En­rico il Leone. Pensate: è l'unica inimicizia, antichis­sima, che si spegnerà per sempre!

Alberto                       - Lo so, oh lo so! Mi meraviglierei se fosse il contrario! Non si può intralciare i piani di mio padre, senza dare in pari tempo uno schiaffo a mezzo mondo! Ma per quanto sia abile la sua arte di ordire la trama, non è infallibile; e questa volta il filo si rompe.

Preising                       - Quale ragione avete per agire così?

Alberto                       - Lo sapete!

Preising                       - Voglio sperare di no...

Alberto                       - No? Ebbene non avete bisogno di cercar lontano. Io sono un uomo, e debbo perciò come tutti gli uomini, giurar fede alla donna con la quale mi presento all'altare. Per questo debbo anch'io, come tutti gli altri, fare la scelta da me.

Preising                       - Voi siete un principe e dovete dominare milioni di uomini, che per voi oggi versano il loro sudore e domani verseranno il loro sangue: volete che tutto ciò sia invano? Una volta tanto anche voi dovete fare un sacrificio per essi!

Alberto                       - Una volta tanto? Una volta ad ogni respiro volete dire! Ma avete presente ciò che mi domandate? Oh! no di certo! Perchè, in questo caso, terreste almeno gli occhi dimessi, e non assumereste quest'aria, come se portaste in fronte, impressi a caratteri infuocati, tutti i dieci comandamenti di Dio! Quale sarebbe la mia sorte? Non solo dovrei rinunziare alla mia felicità, ma dovrei accarezzare, abbracciare e baciare la mia infelicità, j Oh, no, no, in eterno!

Preising                       - Signore, io ho fatto la mia ambasciata, ed annunzierò a vostro padre che voi non mi avete detto di sì.

Alberto                       - Se volete aggiungere qualcosa, fatelo quando sarete in sua presenza. Potete andare, cancel­liere !

Preising                       - Non ho ancora finito! Io debbo invitarvi al torneo, che vostro padre vuol fare a Ratisbona. Credo che non vorrete accrescere il suo sdegno col rimanere lontano.

Alberto                       - Oh no, di certo. Io non ho disimparato a tirar di spada neanche ad Augusta, e ne darò volen­tieri una prova.

Preising                       - Dunque voi comparirete: ho la vostra parola. (Preising esce).

QUADRO SESTO

Ratisbona. Piazza del torneo: bandiere, trofei, trombe. Gli spettatori sono radunati sulle tribune. Il maresciallo sta davanti allo steccato con un libro sotto il braccio. Entra il duca Ernesto con Hans di Laubelfing, Volframo di Pienzenau, Ottone di Berna, Ignazio di Seyboltstorf, Hans di Preising.

Preising (va a fianco di Ernesto) Signore, non abbiatevene a male, se io insisto ancora una volta; ma l'ora è grave: e d'altronde voi non dovete disprezzare il mio modesto consiglio.

Ernesto                       - Contro tutti io posso proteggervi, meno che contro il mio successore; ecco perchè questa volta voglio prendere la decisione da solo!

Il Maresciallo              - (chiama) -     - Volframo di Pienzenau! Ottone di Berna!

Pienzenau e Berna      - Presenti!

Il Maresciallo              - (lascia passare).

Preising                       - Io ho paura dì indovinare le vostre inten­zioni: senza dubbio non per niente il maresciallo ha portato il libro sotto il braccio. Riflettete ancora, di grazia, e considerate l'affrettata risposta che egli vi ha dato dianzi, non già come la protervia di un figlio, ma come la caparbietà di un innamorato che non può- vol­gere, d'un tratto, ad una Anna, il suo amore per una Agnese...

Ernesto                       - (interrompendolo) Voi sarete chiamato sull'istante.

Preising                       - (va verso i cavalieri; Alberto compare con Nothhafft di Wernberg e Torring).

Ernesto                       - (avanzandosi verso Alberto)Ancora una volta! Debbo fare annunciare alla nobiltà il vostro fidanzamento con Anna di Brunsvico?

Alberto                       - Troppo sangue di voi ho nelle vene, per dare ad una sola domanda e in un solo mattino, due risposte.

Ernesto                       - Va bene! (Va oltre) Maresciallo, io non ho nulla da dirvi! (Sale sulla tribuna) Ed ora, avanti!

Il Maresciallo              - (chiama) Hans di Preising, Ignazio di Seyboltstorf!

Preising e Seyboltstorf           - Presenti! (Si avanzano oltrepassando Alberto).

Alberto                       - Preising! Seyboltstorf! Indietro! C'è un Wittelsbach! (Avanza verso lo steccato).

Il Maresciallo              - Alt!

Alberto                       - Maresciallo Pappenheim, alzate gli occhi e guardate chi avete davanti!

Ernesto                       - Maresciallo! L'articolo dieci!

 Il Maresciallo             - (apre il libro e legge) Ad Heilbrom fu deciso e ordinato per sempre: chiunque sia nato o provenuto dalla nobiltà, ed abbia violato donne o fan­ciulle...

Alberto                       - (gli strappa il libro di mano) ...non può partecipare al torneo! Son qui ammessi dei parassiti di cavalieri che non lo sappiano?

Il Maresciallo              - Voi siete accusato di convivere il­legalmente nel vostro castello di Vohburg con una ra­gazza sveva...

Alberto                       - Il mio accusatore?

Ernesto                       - (si alza in piedi),

Alberto                       - Duca di Monaco di Baviera, fa staffilare le tue spie: esse hanno oltraggiato la tua nuora, la vir­tuosa ed onesta castellana di Augusta, la donzella Agnese Bernauer, è la mia sposa: ecco i miei testimoni! Ed ora, signori, buona fortuna!

Ernesto                       - (afferra la spada e vuol precipitarsi sul campo) Eccomi!

Preising                       - (si lancia contro di lui) Signore, dovete prima trafiggere me!

Ernesto                       - Oh, io non la voglio adoperare che come un randello! Vi ringrazio però per la vostra premura! Nobili di Baviera, conti, baroni e cavalieri: anche Gu­glielmo, mio fratello, ha un figlio...

Alberto                       - Che significa ciò?

Ernesto                       - Chi vuol giungere al talamo della propria onesta e virtuosa sposa, mediante la Chiesa, riceve la benedizione e la grazia di tutti i santi: ma sull'altare lascia la corona ed il manto ducale. Questo figlio si chiama Adolfo ed io lo dichiaro...

Alberto                       - Ah, no! Nel nome di mia madre!

Laubelfinc                  - (si avanza tra la folla dei cavalieri) Al­berto di Wittelsbach! Dietro di voi avete Ingolstadt! Non temete per i vostri diritti: Luduvico il barbuto sfodera la spada!

Ernesto                       - Ludovico di Ingolstadt, o chi per lui qui parla... sappiate che tutto lo Stato, con i suoi bandi ed i suoi editti è con me. Guai a chi turba il suo ordine!

Il Maresciallo              - (facendo risuonare la spada insieme con gli altri cavalieri) Sì, guai a lui!

Ernesto                       - Cittadino di Augusta, genero del barbiere, ricevete insieme la benedizione e i doni nuziali! (Con­tinua) Viva il mio successore! (Scende dalla tribuna) Ogni buon bavarese è con me: Viva Adolfo il bimbo!

Alberto                       - (trae la spada e irrompe contro il maresciallo, con lui si schierano alcuni cavalieri) O Avi miei, datemi forza!

Ernesto                       - (batte col pugno sulla sua spada) Il torneo è finito.

Alberto                       - No, comincia! I cavalieri mi abbandonano! Ebbene, avanti, o castellani e contadini! (Vibra la spada). FINE DEL PRIMO TEMPO

SECONDO TEMPO

QUADRO SETTIMO

Monaco. Il gabinetto ducale.

Preising                       - (siede ad un tavolo con un documento sigil­lato in mano) Proprio oggi, proprio in questo giorno sciagurato debbo aprirlo ed esaminarlo. (Esamina il documento) Nessuna soprascritta: neanche una croce, ma sette sigilli, di suo proprio pugno. Non è poi neppure recente: lo prova la polvere che mi si è appiccicata alle dita. {Incomincia a rompere i sigilli) Di certo si tratta di un segreto ch'egli mi tiene nascosto da tanto tempo! (Entra Stachus).

Stachus                       - Ce un contadino con una spiga straordi­nariamente grande, ch'egli vorrebbe mostrare al Duca.

Preising                       - Non « possibile oggi!

Stachus                       - Gliel'ho già detto, ma «gli non se ne mostra persuaso, e voi sapete che con le persone co­muni non dobbiamo essere scortesi.

Pkeisinc;                     - Be', lasciatelo stare finché non si sarà stancato. Non si sente dir niente del povero principe? Non sta fórse un po' meglio?

Stachus                       - Meglio? Una mezz'ora fa ha ricevuto i sacramenti! Signor cancelliere, le streghe di Augusta stanno già in agguato, e il diavolo le aiuterà: come po­trebbe star meglio?

Pkeisinc                      - Ma che state blaterando, Stachus?

Stachus                       - Quello che dicono tutti: nella cittadina, per la strada, al monastero: dovunque! Un reverendo Padre francescano ha già maledetto dal pulpito la figlia di Bernauer. Ha detto che essa merita d'essere bruciata viva, e così dovrebbe essere! Prima muore il padre, il buono, l'ottimo duca Guglielmo! Poi muore la sua sposa! Noi dovemmo piangere lei, prima ancora che lei po­tesse piangere lui! Ora il principe, il caro piccolo Adol­fo... (La campana suona a morto) Sentite? La campana da morto... è andato! Andato! (Serra il pugno in atto di maledizione) Ed io non dovrei... (Si inginocchia e prega e così pure Preising; poi rialzandosi) Io stesso vorrei appiccare il fuoco al rogo. Che essa trovi tanti boia quanti sono i bavaresi fedeli! Ora tocca al Duca, al Duca reggente, fate attenzione! (Esce).

Preising                       - (in piedi) Il duca Ernesto non ha più nessun erede poiché ha ripudiato il figlio! E' un'ora brutta per la Nazione! Che Iddio ci guardi propizio dall'alto (Riprende in mano il documento, lo estrae e legge) « Prova legale, tratta dalle ordinanze del regno ed altre legittime fonti: Agnese Bernauer, di Augusta, dovrà essere giustiziata, per avere delittuosamente in­dotto il giovane duca Alberto ad un matrimonio irre­golare ». (Lo depone) Adesso capisco tutto! Questo morto ne vuole altri! Questo bimbo che non può più scuotere nemmeno le sue scatole di sonagli di Norim­berga, vuol portare con se la ragazza! E' spaventoso! (Lo scorre di nuovo e volta il foglio). Chi l'ha firmato? Atlzeier! Kraftmayr! Emeran Rusperger di Kalmperg! Grandi giuristi, degni di sedere ai piedi di Giustiniano e di giudicare il mondo! Essa è perduta! (Riprende ad osservare il documento) E' stato redatto subito dopo il torneo di Ratisbona. Sono ormai due anni e mezzo! Quanto poco tempo ha ancora da vivere..; (Volta il foglio) Sotto, la formale sentenza di morte : non ci manca che il nome del Duca. Di fogli di questo genere ne ho tenuti parecchi in mano: ma davanti alla severa sentenza c'era sempre una serie di abbietti fatti di vio­lenza. Qui al massimo, potrebbe leggersi : « Ella non portava veli e non si tagliava i capelli »... Eppure (Ri­prende a leggere) Decapitata, affogata, colpita alla mac­chia... (Depone il foglio) Non ci sono dunque altri mezzi? (Entra il duca Ernesto).

Ernesto                       - Vi ho fatto aspettare, Preising! Ma an­ ch'io ho dovuto aspettare! io

Preising                       - Signor mio!

Ernesto                       - Lasciate, so cosa volete dirmi! La terra potrebbe ormai essere lastricata con gli occhi dei morti. (Guardando il documento nelle mani di Preising) Avete letto?

Preising                       - Lo volevo fare proprio quando... udii la campana!

Ernesto                       - Leggete dunque ora! (Suona la campana grande) La campana grande! Adesso lo saprà tutta la città! Adesso la notizia correrà di paese in paese, di casa in casa, di bocca in bocca! Oh, sì... Pregate, pregate! Forse ne abbiamo bisogno! (A Preising) Ebbene?

Preising                       - (pone il documento sopra il tavolo) Che debbo dire?

Ernesto                       - Ciò che potete! Esaminate punto per punto, avete qualche cosa da dire contro gli uomini che hanno dato il parere e pronunciato la sentenza?

Preising                       - Contro di essi! Se il codice svevo npn fosse ancora redatto, io, al posto dell'Imperatore, darei a questi tre l'incarico di redimerlo!

Ernesto                       - E' gente che si lascia corrompere? Se ne può sospettare uno pronto ad allungare la mano?

Preising                       - No, di certo! E se anche fosse, il duea Ernesto non avrebbe dato niente a nessuno.

Ernesto                       - Voi mi rendete soltanto giustizia! Ma nemmeno il loro onorario pago, e questo è l'unico debito che non pagherò mai.

Preising                       - Io posso giurare sulla scrupolosità di tali giudici.

Ernesto                       - Ebbene, uomini di tal fatta, due anni e mezzo fa, mi hanno rilasciato, dopo un severo esame questo foglio, ed io lo tiro fuori soltanto ora. Mi si può rimproverare di aver precipitato?

Preising                       - No, neanche il vostro nemico!

Ernesto                       - E se io ne comando l'esecuzione, ditemi, si potrà asserire che è il Duca che compie il suo dovere, e non il cavaliere che vuol lavare una macchia, o il padre che si vuol vendicare?

Preising                       - Sì, nessuno potrà accusarvi... 

Ernesto                       - (afferra la penna) E allora va bene, Preising...

Preising                       - Signore... aspettate ancora! Ancora? Ebbene sia! (Depone la penna) Io non sono un tiranno e non voglio diventarlo, ma nep­pure voglio che si dica di me che ho portato invano la spada. Ora se uno la sguaina senza motivo, gli viene strappata di mano, ma se non l'adopera quando è tempo, allora attira sopra il suo popolo le dieci piaghe d'Egitto e queste colpiscono senza restrizione il giusto e il cat­tivo. Pensate a questo e poi parlate. (Si siede).

Preising                       - Io non posso confutare questo documento. E' vero: se l'ordine di successione viene turbato, presto o tardi scoppia la guerra civile con lutti i suoi orrori.

Ernesto                       - Scoppia se ella avrà figli, e scoppia se non ne avrà. Nel primo caso essi vorranno rimanere al loro posto, nel secondo Ingolstadt e Landshut non potranno unirsi, perchè ognuno pretenderà la parte del leone.

Preising                       - Ma è pur sempre terribile il fatto che ella debba morire, soltanto perchè è bella ed onesta.

Ernesto                       - E' vero anche questo. Ed è per questo ch'io ho rimesso la cosa a Dio, ed Egli ha parlato: io avevo gettato fuori del nido il mio piccolo e ne avevo posto un altro: ora, quest'altro è morto.

Preising                       - E non c'era veramente nessuna altra via d'uscita?

Ernesto                       - Voi mi attaccate duramente! E credete che io potessi ancora fare qualcosa? Eppure sì, è vero! Nelle vene di Ludovico di Ingolstadt ed Enrico di Landshut il sangue della mia stirpe scorre altrettanto puro come nelle mie.

Preising ;                     - A questo io non avevo ancora pensato!

Ernesto                       - Ma io sì. In realtà la cosa sarebbe così grave che anche un santo si domanderebbe : « Perchè fate questo, Signore? ». Molte cose si fanno per il volere di Dio, cose che l'uomo non comprende, ma questo non può essere il volere di Dio perchè non gioverebbe: e ciò mi consola. Se io dicessi ad Enrico: «Tu mi hai in tutta la vita tesi agguati e scavato fosse: prenditi dun­que il mìo Ducato in compenso! »..Farei un torto a Lu­dovico! Se dicessi a Ludovico: «Io ti debbo ancora un pegno dì gratitudine per più dì una botta che m'hai dato alle spalle». Ecco! Provocherei Enrico! Forse non è così?

Preising                       - E' così, di sicuro!

Ernesto                       - E allora le cose rimarrebbero immutate! Tutto andrebbe sottosopra e gli infiniti sudditi, di cui mi son guadagnato la fiducia, maledirebbero me e la mia memoria.

Preising                       - Io non pensavo a ciò. Fatela rapire e indi sparire.

Ernesto                       - Con quale utilità? Egli la ricercherebbe fino alla sua morte. Voi sapete ciò che debbo fare. L'esito è nelle mani di Dio. Se egli soccombe nei primo momento di disperazione, ed è probabilissimo che lo faccia, io lo faccio seppellire accanto a lei. Se egli scende in campo contro di me, io so che cosa lo abbat­terà, senza che 6Ìa necessario spargere una goccia di sangue che non sia mio, ed egli, del mio sangue non ne verserà una goccia, ve lo garantisco! E' una sciagura per lei, ma in nome delle vedove e degli orfani che causerebbe la guerra, in nome delle "città che ridurrebbe in polvere e dei villaggi che distruggerebbe, io grido: Agnese Bernauer, muori! (Firma e getta la penna) Sarà l'ultima mia firma!

Preising                       - Signore...

Ernesto                       - Seguitemi, cancelliere; ho da comunicarvi qualcos'altro per via. (Esce seguito da Preising).

QUADRO OTTAVO

Straubing. Giardino della cittadella. Nel mezzo un tavolo di pietra sid quale sta del vino. Torring-, Frauen-hoven e Nothhafft di Wernberg, sono in armi.

Frauenhoven               - Dove si è fermato il Duca? I cavalli diventano smaniosi.

Torring                        - Egli andrà a visitare la tomba che si è fatta costruire. Dev'essere stata ultimata ieri od oggi. Li ho visti tutti e due, mentre si recavano dai Carmelitani.

Wernberg                    - Che pensiero strano, per una giovane donna: una tomba.

Torring                        - Veramente, in principio non era così strano: allora deve aver passato un brutto quarto d'ora. Senza dubbio adesso la cosa sembra cambiata, ma non si può ancora sapere come andrà a finire! Il gracile bimbo di Monaco, per quanto il vecchio Duca gli abbia imposto sul capo la corona, non per questo diventò ro­busto! Ma forse il duca Ernesto l'ha fatto soltanto perchè sperava ardentemente che la corona si sarebbe abbattuta di per se stessa.

Frauenhoven               - Vi sbagliate! Quante volte egli tentò di strappare ad Alberto, mediante suo fratello, la for­male rinuncia!

Tòrrinc                        - Ma quelle erano solo delle puntate, delle domande velate per vedere se egli non fosse ormai sazio di Agnese. Se egli non avesse avuto un secondo fine, perchè s'interpose tra Alberto e l'Imperatore, quan­do questi voleva una soddisfazione delle mene dei rati-sbonesi durante quel torneo? Il vecchio Sigismondo aveva un valente prefetto imperiale, e i suoi commis­sari non avrebbero avuto bisogno di mettersi gli oc­chiali per scoprire un'aperta rivolta! Perchè sono ritor­nati così all'improvviso a Monaco? Sicuramente il duca Ernesto fece mettere tutto a tacere.

Frauenhoven               - Voi vedete sempre nero!

Wernberg                    - Vengono ! Montiamo a cavallo, per abbre­viare gli addii! (Giungono il duca Alberto ed Agnese. Una grossa campana risuona).

Agnese                        - Dunque, la lampada che ora manca, me la porterai tu, nevvero? Una che sia di bronzo ed abbia una catena lunga, in modo che possa oscillare nell'alto della volta.

Alberto                       - Preferirei portarti qualcosa di più lieto. Ma, poiché te l'ho promesso, lo farò.

Agnese                        - E' per me una gioia conoscere fin d'ora il posto, dove dormirò il mio sonno più lungo; perciò vorrei subito appendere anche la lampada, perchè al­l'ultima ora non ci fosse per me qualcosa di estraneo.

Alberto                       - Se è soltanto questo!

Agnese -                     - E che altro? Noti in me ancora un'ombra dell'angoscia e della tristezza che mi prese quando tor­nasti furibondo da Ratisbona e mi portasti qua? Allora io tremai per te e per me! Ma questo è ormai passato da un pezzo io stessa ora chiamo piccolo Vohburg, e non mi meraviglio affatto, se al mattino si accalcano intorno a me i pezzenti e i supplicanti: io posso inter­rogarli come una regina di sangue, son capace di scuo­tere il capo e quasi dir di no; eppure me ne dovrei vergognare!

Alberto                       - Così ti voglio! (Entra Torring).

Tòrrinc                        - Perdonate!

Alberto                       - Vi ho fatto aspettar troppo!

Torring                        - Specialmente se volete ancora partire!

Alberto                       - Specialmente se voglio ancora partire? Naturalmente! Non vorrò certo fare un torto ai cava­lieri e ai signori, che il duca Ludovico si è dato pena di radunare.

Tòrrinc                        - Non sentite la campana del Duomo?

Alberto                       - Da un pezzo: ma che m'importa?

Tòrrinc                        - Più di quanto non pensate! Vostro cugino Adolfo è morto!

Alberto                       - Morto?

Tòrrinc                        - Proprio adesso è giunta da Monaco la tri­ste notizia.

Alberto                       - Pace a lui! Egli è stato di peso a se stesso e a nessuno di gioia.

Agnese                        - Questo è il terzo in sei mesi. Dio sa se io me ne rallegro! E come dovrei farlo? Per me egli non esisteva: ma io posso piangerlo lo stesso.

Tòrrinc                        - Debbo far dissellare?

Alberto                       - Cosa vi viene in mente? In realtà non vorrei che, adesso, da questo torneo, saltasse fuori qual­cos'altro... in ogni modo io dovrò essere l'ultimo a man­care. Ora debbo partire e subito. Arrivederci, vita mia! (L'abbraccia e bacia) Ecco! Ora io sarò ad Ingolstadt e.-tu a Straubing! Mi vedi ancora? Sì? Io non ti vedo più! (Esce e Tòrring lo segue).

Agnese                        - (corre in giardino) Di là posso vederlo ancora. Orsù, cavalli, prendete la rincorsa! Così sarete più presto di ritorno con lui. (Strappa un fiore) Che si­gnificato può avere questo? (Lascia cadere il fiore) Non è questo il tempo di mettersi dei fiori al petto! (Appare Tòrring) Ancora qua, voi?

Tòrhinc                       - Rimango qui, signora! C'è di là uno di Augusta. Lo debbo far venire avanti?

Agnese                        - Di Augusta? (Tòrring esce e appare sulla soglia Teobaldo) Teobaldo?!

Teobaldo                     - Agnese... cioè, signora Duchessa!

Agnese                        - Lasciate andare! E' venuto anche mio padre? Ma che domande faccio? Come potevate allon­tanarvi tutti e due in una volta?

Teobaldo                     - Voi sapete com'è! Egli pensa che voi dovreste ringraziare Iddio, se alla fine lo dimenticherete, e non vorrete mandargli più messi. Vero è che si ral­legra proprio di cuore che lo ricordiate ancora e che pure il vostro signore non si vergogni di lui: ma egli capisce il meglio e voi dovete cessare di importunarlo.

Agnese                        - E questo è tutto quello che mi riferite da parte sua?

Teobaldo                     - No, a dire il vero. Io avevo ancora un'altra ragione.

Agnese                        - Ebbene?

Teobaldo                     - Da anni noi ne sentiamo di tutti i colorì, ed ecco perchè io volevo e dovevo un po' vedere...

Agnese                        - Se io sia realmente felice? Oh, se foste giunto mezz'ora prima! Allora avreste visto con i vostri occhi... Ma no, no, è meglio così! E voi di Augusta?

Teobaldo                     - Per vostro padre non dovete preoccuparvi. Subito dopo la vostra partenza, egli si costruì il nuovo fornello nel quale, prima, non aveva mai osato arri­schiare i quattrini; e ne ha avuto dei vantaggi...

Agnese                        - Che Iddio ne sia ringraziato!

Teobaldo                     - Egli ha fatto invenzioni di ogni sorta, ed è costretto a tenerne nascosta qualcuna, se non vuole avere la fama di stregone. Cose, se vi dico io... ch'è peccato voi non possiate vedere. Una parte di queste scoperte, è vero, dovrà morire con lui. Ma ce n'è più d'una che egli non è costretto a nascondere e con queste tira avanti bene. Ora vorrebbe comprarsi un giardinetto, come lo avete sempre desiderato voi.

Agnese                        - E voi personalmente, Teobaldo?

Teobaldo                     - Ebbene, talvolta io rido di me stesso, e proprio di cuore. Potete credermi: anche un momento fa, quando vidi venire a cavallo il Duca, vostro marito! Certo è un bell'uomo! E quanto vi ami lo si può vedere dal fatto che fa aspettare la sua gente nel modo meno cavalleresco. E' mezz'ora ch'io sono passato davanti ad essi; e dovevano esser là da tanto tempo, perchè erano quanto mai impazienti. Agnese         - Questo è impossibile: i suoi li ha con sé.

Teobaldo                     - Dieci o dodici, sì; ma io voglio dire gli altri !

Agnese                        - Gli altri? Quali altri? Egli non va che al torneo, e non prende con sé un uomo di più!

Teobaldo                     - Eppure, ad un'ora di qui, dietro la pineta ch'è sul pendio del colle, ho visto centocinquanta o duecento soldati armati, i quali, piedi in staffa e lancia in resta, erano volti verso Straubing, come se di la aspettassero il loro comandante o qualcos'altro...

Agnese                        - Io sono sgomenta. Dove?

Teobaldo                     - Sulla strada di Monaco!

Agnese                        - Sulla strada di Monaco? Egli va verso Ingol­stadt!

Teobaldo                     - Ce ne fu uno anzi, tutto corazzato, die veniva verso il castello e mi passò davanti in tutta fretta. Io pensai che andasse ad avvisarlo. Mi ricordo adesso che era tutto incappucciato.

Agnese                        - Torring lo deve sapere. (Si ode un clamore lontano) Oh, Dio mio, sentite! Il castellano ha dato fiato al corno da farlo scoppiare! Squilli di trombe da tutte le parti, proprio nelle vicinanze... sempre più nelle vicinanze... Questo non dà punto a sperar bene... E’ il duca Ernesto!

Teobaldo                     - Niente di bello! Grida, rumor d'armi! E' dunque per voi? Nessun dubbio, è un assalto!

Agnese                        - Non è possibile! Il castello ha mura e fosse! (// castellano si precipita dentro).

Il Castellano               - Signora, seguitemi nel sotterraneo: mi manda Torring.

Agnese                        - Spero che vorrà difendermi.

Il Castellano               - I ponti levatoi... un traditore li ha lasciati andar giù! I nemici ci sono addosso, come si può trattenerli?

Agnese                        - Ebbene, non saranno assassini! Ed io, chi sono dunque, io? (Il rumore si avvicina sempre più).

Il Castellano               - Venite, venite, vi scongiuro! Chi sa se essi vi cercheranno laggiù!

Agnese                        - Teobaldo, andate con lui!

Teobaldo                     - Per prendere un'arma volete dire! Ce n'è una anche su gli alberi! (Rompe un ramo. Tòrring e Pappenheim entrano combattendo. Nel fondo com­battono cavalieri e castellani. E' visibile anche Preising, ma egli non trae la spada).

Pappenheim                - Arrendetevi, Torring!

Tòrring                        - No!

Pappenheim                - Allora prendete! Vi ho risparmiato abbastanza. (Lo ferisce).

Tòrrinc                        - Ah! (Prende la rincorsa ma cade sulle ginocchia) Signora, voi vedete... che cosa vi giova!

Pappenheim                - (chinandosi sopra di lui) Siete voi che lo avete voluto!

Tòrring                        - (cade a terrò) Fatemi la croce di sopra, amico... o... (Muore).

Teobaldo                     - (getta via il ramo e si lancia sopra Tòrring) Ecco che eredito qualcosa.

Agnese                        - Teobaldo!

Teobaldo                     - So bene che è boria la mia... ma... (Prende la spada di Tòrring).

Pappenheim                -  (voltandosi) —  Dov'è la strega, che mi ha fatto spargere questo nobile sangue?! 

Agnese                        - (gli muove incontro) Chi cercate voi?

Pappenheim                -  (ai suoi) Afferratela, è lei!

Teobaldo                     - (ponendosi davanti ad Agnese) Finché avrò vita non sarà possibile!

Pappenheim                - Che cosa vuoi tu?

Teobaldo                     - E' la figlia del mio padrone!

Pappenheim                - Barbiere! Che vuoi osare? (Ai suoi uomini) A terra lui, se non vuol cedere, e portate via lei! (I cavalieri si accalcano attorno ad Agnese ma senza toccarla) Ohe! Io credevo che aveste sentito parlare abbastanza delle sue arti. Debbo io stesso fare il birro? (Si getta sopra Agnese e far per arrestarla).

Teobaldo                     - (fa mulinello con la spada attorno al capo in modo che Pappenheim non possa avvicinarsi).

Pappenheim                - Ti debbo... (Fa per trafiggere Teo­baldo).

Agnese                        - (si getta fra i due) Risparmiatelo! E' lui che pensa al mio vecchio padre!

Pappenheim                - (vuol di nuovo gettarsi su Teobaldo) Questo ragazzo mi ha...

Preising                       - (comparendo all'improvviso) In nome del Duca mio signore, tutte le spade nel fodero!

Pappenheim                - (ringuainando la spada) Io debbo solo arrestarla.

Agnese                        - Teobaldo, non ritornate per ora ad Augusta, questa non può esser ancora la fine! (Va avanti).

Pappenheim                - (la segue con i cavalieri).

Teobaldo                     - (vuole egualmente seguirla ma poi si batte la fronte) No, ad Ingolstadt! Da lui! Il primo ca­vallo che incontro per strada è mio! (Esce a precipizio),

Preising                       - Voglia ora Iddio che essa mi dia ascolto! Io posso ancora salvarla dalla morte! E lo voglio! (Esce).

QUADRO NONO

Straubing. Le carceri.

Agnese                        - Oh signore Iddio, tu non puoi abbando­narmi così! Non avrò, dunque, più di ventiquattr'orè di vita?

Preising                       - (entra con la sentenza di morte).

Agnese                        - Che volete da me?

Preising                       - Io sono qui per il Duca di Baviera.

Agnese                        - (fa un movimento indietro).

Preising                       - Eppure io sono leale con voi, ed anche il mio illustre signore non è vostro nemico!

Agnese                        - Non è mio nemico? E perchè dunque sono qua dentro?

Preising                       - Voi sapete, il duca Ernesto è vecchio, e se Dio lo chiama a se, il suo trono rimane vuoto, a meno che non vi salga il suo unico figlio. Ebbene, Alberto non potrà mai innalzarvi al trono con se; e poiché egli non vuole separarsi da voi, tocca a voi separarvi da lui!

Agnese                        - Io da lui? Piuttosto da me stessa!

Preising                       - Lo dovete, credetemi! Credete ad un uomo che già conosce il vostro destino come Dio, e che pur volentieri vorrebbe ancora deluderlo!

Agnese                        - Voi avete salvato il pover'uomo che dianzi ha messo a repentaglio la sua vita per me; e perciò debbo credere che siete sincero. Ma voi siete un uomo e non sapete quello che volete da me!

Preising                       - Non precipitate, vi scongiuro! Certo deve essere un grave sacrificio per voi; ma se rifiutate dovrete sacrificare la vostra stessa vita!

Agnese                        - Voi volete farmi paura, ma non vi riuscirete. Che cosa potrebbe succedermi? Perfino il delinquente, finché il giudice non lo ha condannato, nel suo carcere è sicuro, come se gli angeli di Dio lo custodissero! Ed io, il mio giudice non l'ho ancora neppure veduto! No, no, mio marito non ha mai parlato di suo padre in modo che io dovessi credere ciò. Ma se anche fosse, se la morte stesse realmente già davanti alla porta e con­tasse le mie parole, io non potrei mai fare altrimenti.

Preising                       - La morte sta alla porta; essa arriva se io esco: anzi picchierà, se io mi dilungo. Guardate at­traverso la grata, verso il ponte, che cosa vedete?

Agnese                        - La folla d'accalca; alcuni alzano le mani al cielo; altri guardano fissi le acque del Danubio. Ep­pure non c'è nessuno dentro, vero?

Preising                       - (volgendo lo sguardo a lei) Non ancora!

Agnese                        - Dio onnipotente! Volete dire...

Preising                       - (fa cenno di sì col capo).

Agnese                        - E che delitto ho commesso?

Preising                       - (solleva in alto la sentenza di morte) « Turbato l'ordine dello Stato, separato il padre dal figlio, allontanato il suo popolo, provocato uno stato di cose in cui non è più questione di colpa o di innocenza, ma solo di causa ed effetto ». Così parlano i vostri giu­ dici. Non illudetevi più oltre: è così! Ditemi: se ci fosse una pietra preziosa, più rara di quelle che scin­ tillano nelle corone dei re, che per la sua bellezza ac­ cendesse le passioni più selvagge, da spingere i buoni e i cattivi alla rapina, all'assassinio all'eccidio; e se vi fosse uno non ancora accecato che con mano ferma la scagliasse in mare, pur di evitare la rovina, farebbe bene? Questo è il caso vostro! Rifletteteci! Io ve lo domando per l'ultima volta! 1

Agnese                        - Anche voi dovete riflettere se_ non state domandando una cosa più grave della morte! Io non ripudio mio marito, non lo posso, non lo debbo! Ma mi rendo garante per lui, per la rinuncia al trono. Egli stesso mi disse che avrebbe comunicato a suo padre questa decisione.

Preising                       - Ciò non vi può salvare! Il duca Alberto non può spogliarsi della sua regalità, allo stesso modo che voi non potete vestirvene: essa è legata a lui in­dissolubilmente! Se egli non la vuol chiamare la sua benedizione, la chiami la sua maledizione, ma egli appartiene al suo popolo e deve salire al trono ! Vi potete ancora salvare, solo se dichiarate peccaminoso il vostro matrimonio e prendete sull'istante i veli!

Agnese                        - Quanto è più mite il duca Ernesto di voi: egli non vuole che la mia vita! Ma voi volete di più, senza dubbio! Basterebbe che io facessi ciò che mi dite per dissipare velocemente dalla sua anima il mio ricordo, ed egli dovrebbe arrossire di avermi amata un giorno! Alberto mio, la tua Agnese ripudiarti! O Dio, come d'un tratto mi pare di essere diventata ricca nella mia miseria e forte nella mia impotenza!

Preising                       - Oh, se vicino a me ci fosse il vostro vecchio padre e vi dicesse: «Figlia mia, perchè non vuoi rinunziare spontaneamente ad un posto che sol­tanto per forza hai occupato? ».

Agnese                        - Per forza? Così dunque interpretate la mia angoscia? Se voi avete sentito pietà di me solo perchè avete creduto a questo, oh, allora riprendetevela codesta pietà e non tormentatemi più. Non sono stata forzata: lo guardai, e lo amai. E se un angelo con dolce violenza sospinge uno sulle scale del paradiso, forse lo forza, secondo voi?

Preising                       - Dunque, questa è la vostra ultima parola? (La porta si apre. Sbirri e soldati rimangono fuori. En­tra il giudice Emeran Rusperger di Kalmperg e si ferma sulla porta).

Agnese                        - Signor Emeran, se mio marito avesse saputo di voi quel che ho saputo io, voi non sareste più qui per uccidermi. Egli, pur non avendo un motivo vi odiava come nessun altro al mondo; eppure un motivo io avrei potuto darglielo: ma non Io feci. (Emeran tace) Signor Emeran, sono caduta nelle vostre mani in modo onorevole? Pensate dove volete mandarmi, senza pre­parazione; datemi un po' di tempo ancora, e Dio vi perdonerà di essere stato un nuovo Giuda: io stessa pregherò per voi. (Emeran tace) Signor Emeran, nello stesso modo ch'io vi imploro, in questo momento un breve termine di tempo, lo implorerete voi un giorno da Dio! Guardatemi come sono ancora giovane... e di ogni anno che mi rubate, rendetemi soltanto un minuto. Potete voi rifiutarmelo? Voglio soltanto prendere com­miato da me stessa...

Preising                       - Voi pretendete da lui quello che non può concedervi. Egli ha saputo dal vostro servitore che non più tardi di ieri notte vi siete confessata, e il tempo stringe. Del resto tutte le ore sono ugualmente buie, credetemi pure.

Agnese                        - (Emeran fa cenno ad uno sbirro il quale si avvicina ad Agnese) Via di qua, uomo ! Vuoi tu porre la mano su quella che non ha toccato che il tuo Duca? Alberto, Alberto, quanto dovrai soffrire! (Si avvia).

Preising                       - E voi volete trafiggergli l'anima con que­ste spine? Siete ancora in tempo!

Agnese                        - Domandategli quando non ci sarò più, se egli preferisce maledire un'indegna o piangere un'amante. Fate di me quello che volete e potete: io non mi ribel­lerò. Presto saprò se sarete stato giusto. (Esce seguita da Preising ed Emeran).

QUADRO DECIMO

Straubing. La campagna nei dintorni della città. Poche case di contadini, sparse lontane; una è più vicina. Il duca Ernesto con i suoi cavalieri e soldati si vedono passare e distendersi. Giungono Preising e Pappenheim.

Ernesto                       - Siete voi, Preising? Ebbene?

Preising                       - Morta!

Ernesto                       - Che Dio le sia propizio! Pappenheim, voi dovete montare subito in sella per unirvi a Pienzenau e rinforzare Haydek. Egli dovrà sostenere il primo urto, se ci sarà qualcosa, (Pappenheim esce). Come è morta?

Preising                       - Non si è annunziata a voi alle undici?

Ernesto                       - Non vi comprendo.

Preising                       - Il boia rifiutò il suo servizio, e allora il signor Emeran fu costretto a mandare uno dei suoi, perchè la buttasse giù dal ponte. Da principio parve che ella per paura di essere contaminata dalle sue mani, volesse gettarsi giù da se; ma in seguito fu assalita dalla paura di morire, le vennero le vertigini e l'altro dovette afferrarla. Il popolo voleva lapidarlo, sebbene sapessero tutti che il poveraccio lo faceva solo per la sua libertà. Per nulla al mondo vorrei assistere una seconda volta ad un simile spettacolo!

Ernesto                       - Basta, Preising! Vi sono delle cose che bisogna fare come in sogno. La ruota grande le è passata di sopra... Ora ella è presso colui che la gira. Dun­que non abbiamo da fare che con lui!

Preising                       - A quest'ora Alberto lo saprà già. Nel castello quando irruppe Pappenheim, c'era appunto uno di Augusta, un bravo ragazzo che si comportò valoro­samente, e quando fu condotta in carcere, fuggì via verso Ingolstadt: era un messo del padre di lei!

Ernesto                       - Povero vecchio! Ora anch'io del mio san­gue e della mia carne, farò la stessa cosa. Chissà se la nostra sorte non è già uguale!

Preising                       - E allora?

Ernesto                       - E allora avvenga quel che può! Il mio dovere l'ho fatto.

Preising                       - C'è un incendio laggiù, o no? Sì, sì, è uh incendio!

Ernesto                       - E' lui! Ecco: il furore ha vinto il dolore. Ora tutto andrà bene! Quanto peggio, tanto meglio!

Preising                       - Ma se dianzi volevate impedirlo, questo!

Ernesto                       - Evvia, non è che un giorno! E quanto in esso vien distrutto, io lo riedificherò! Venite, venite: a cavallo, Preising! (Esce con Preising: gli tiene dietro il seguito, contadini uomini e donne e fanciulli entrano gridando e tumultuando).

Voci diverse               - I Boemi! I Boemi! - L'Imperatore!  Ingolstadt e Landshut!

Tutti                            - Tutti insieme! Tutti insieme! Poveri noi! Dove fuggire? (// duca Alberto appare con molti com­battenti).

Alberto                       - (dà un colpo ad ogni grido) Agnese Ber-nauer! Agnese Bernauer! Sappiatelo prima di cadere: oggi la morte si chiama Agnese Bernauer e non conosce pietà! Nessuna schiatta in Baviera, alta od umile, che non debba pianger domani! Ecco a terra un Haydek, un Pienzenau, un Seiboltstorff ! Ma è ancor in vita Pappe­nheim! Pappenheim, dove sei? Assassino, traditore, fur­fante, dove ti nascondi? (Appare Pappenheim, poi Wern-berg indi Frauenhoven).

Pappenheim                - Chi mi cerca?

Alberto                       - Io e il diavolo; tutti e due insieme; ma prima vengo io!. Qua: fammi vedere se hai ancora del sangue nelle vene! (Lo trafigge) Fatto! Ah se ancora mi fosse reso vivo, ed io potessi ad ogni respiro riat­terrarlo !

Wernberg                    - (appare) Vittoria! Vittoria! Dov'è il duca Alberto? Essi fuggono davanti a noi come se fos­simo dèi!

Alberto                       - Ma essi debbono morire! Il Danubio che l'ha affogata, io voglio vedere cosparso di cadaveri, fino a non distinguere più l'acqua!

Wernberg                    - Ludovico di Ingolstadt ha attaccato Straubing! Potete contare sulla sua vittoria!

Alberto                       - Catturatemi il giudice Emeran, ma che nessuno lo tocchi; nel suo sangue voglio ubriacarmi io solo!

Frauenhoven               - (appare) E' fatto! Lo abbiamo! (Ad Alberto vedendolo) Abbiamo vostro padre; potete dar­gli il buongiorno. E' stato catturato proprio ora.

Alberto                       - Chi l'ha ordinato?

Frauenhoven               - Ecco, lo portano insieme col cancel­liere, guardate!

Alberto                       - (si volta dalla parte opposta) Lasciatelo libero subito!

Wernberg                    - Prima che egli abbia giurato di non ven­dicarsi?

Alberto                       - (con uno scatto) Subito! Subito! Subito!

Wernberc                    - Allora diteglielo voi stesso! (Appare il duca Ernesto con Preising accompagnalo da Hans di Laubelfing e dalla schiera).

Ernesto                       - Ecco mio figlio. Se egli vuole la spada di suo padre, essa è qui!

Alberto                       - Voi mi avete salvata la vita ad Alling (Fa un cenno con la mano) Via! Via!

Ernesto                       - Ad Alling ho fatto il mio dovere, e non chiedo grazie per questo.

Alberto                       - Il duca Ernesto è libero; nessuno gli torca un capello; ma noi non ci fermeremo se non quando la sua Monaco sarà in fiamme. ( Vuol correr via).

Ernesto                       - Bene ! Ma allora la Baviera che forse avrebbe compianto Agnese Bernauer, la maledirà! Quelli che tu vuoi strozzare sono fratelli suoi, non miei; e quando tu abbia trucidato tutta l'umanità, nelle loro vene non ci sarà più una goccia di sangue che s'infiammi per lei! (Squilli di trombe che si avvicinano).

Voci                            - Largo! Largo al gonfalone dell'impero!

Altre voci                    - Un araldo! (L'araldo imperiale avanza con il seguito: la bandiera è retta avanti a lui).

L'Araldo                     - (vibra in giro da ogni parte la spada) Per bando e scomunica, nessuna spada sguainata, all'infuori di questa! (Tutti rinfoderano la spada) Alberto di Wittel-sbach, duca di Baviera, comparite al cospetto dell'Impe­ratore e dell'Impero! (Squilli di trombe).

Preising                       - (ad Ernesto) Che c'è ancora?

Ernesto                       - Più di quanto volevo, temo!

Voci                            - Un legato! Un legato della Santa Sede!

L'Araldo                     - E con lui la scomunica della Chiesa!

Cavalieri e soldati       - Bando e scomunica insieme! Ormai è tempo! (Buttati via le armi).

Un Lecato                   -  (compare con il seguito. Avanti a lui por­tano un cero acceso. Egli si pone alla destra dell'araldo).

L'Araldo                     - (spiega la carta del bando) Noi, Sigi­smondo, eletto, per grazia di Dio, Imperatore Romano, supremo arbitro in terra, con questo bando rendiamo noto: «Dopo che tu, Alberto di Wittelsbach, or sono due anni e mezzo, in aperta rivolta, hai turbato la pace dell'impero, attirandoti sul capo un grave editto che noi allora, sebbene già in corso, per intercessione del signor Principe tuo padre, abbiamo ancora revocato; dopo che tu inoltre, indegno di tale intercessione e della nostra grazia, ti sei ostinato nella tua ribellione contro la legge divina e umana, invece di invocare, pentito e sottomesso, la conciliazione e il perdono; dopo che tu infine, per colmare l'ultima misura della tua protervia, per la seconda volta, in arma bianca ti sei avanzato ribelle in campo; noi con questa nostra lettera aperta, ti ordiniamo che dalla lettura di essa, tu deponga immediatamente la spada ai piedi del tuo si­gnore e padre, e quale volontario prigioniero di lui, aspetti con umiltà il nostro ultimo verdetto ». (Alberto pianta la spada in terra e vi si appoggia sopra. L'Araldo, continua) In caso contrario, noi, in virtù dei pieni poteri imperiali, ti teniamo ormai fuori da ogni conciliazione, e indicandoti le quattro vie del mondo, ti dichiariamo proscritto ».

Ernesto                       - Vuoi ancora ascoltare altro, figlio mio?

 Wernberc                   - Guardati attorno! Tutti ti hanno voltato le spalle!

Alberto                       - Ma si muoveranno le montagne a difen­dermi!

Ernesto                       - Deve parlare ancora la Chiesa? Deve es­sere dannata la tua anima? Cancellato il tuo nome dal libro della vita? Figlio mio, ritorna in te! Prendi una decisione che non ti faccia arrossire dinanzi ai tuoi antenati: piegati!

Alberto                       - Dunque quell'innocente imputridirà ed io?! Che furfante sarei se vi ascoltassi!

Ernesto                       - Tu non sei colui che per conciliarsi con la giustizia deve offrire, pentito, il capo alla sua spada: guarda questa bandiera: essa dovrà un giorno cadere a brandelli e disperdersi in polvere al vento. Ma il popolo tedesco, in mille battaglie, sotto questo vessillo ha trion­fato e in mille altre ancora trionferà. Perciò soltanto un ragazzo lo può lacerare, soltanto un pazzo volerlo rat­toppare, invece di spargere per esso il suo sangue e conservarne come reliquia ogni pezza. La stessa cosa si deve dire del principe che la porta. Percuotiti finalmente anche tu il petto ed esclama: « Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: ma voglio far penitenza: voglio vivere! ».

Alberto                       - Dipende da me questo?

Ernesto                       - Mi basta questa parola: Iddio ti renderà forte, e la tua vedova stessa pregherà per te.

Alberto                       - La mia vedova?

Ernesto                       - Quel che le ho negato in vita, posso con­cederglielo in morte. Io stesso voglio seppellirla ed istituire in perpetuo sulla sua tomba un solenne ufficio funebre, affinchè nella memoria degli uomini non si spenga il ricordo della più pura vittima del destino, caduta nel corso dei secoli.

Alberto                       - Voglio... voglio quel che è ancora possi­bile... (All'araldo) A voi, mio signore e padre... (Vuol porgergli la spada).

Ernesto                       - (gli apre le braccia e gli va incontro).

Alberto                       - (si lira indietro e fugge)  No, no! L'inferno sopra di me, ma sangue per sangue!

Ernesto                       - Prendi prima questo (gli porge lo scettro ducale ed Alberto lo prende senza accorgersene} Questo ti innalza a giudice di tuo padre. Vuoi essere il suo uccisore? . Preising     - Duca!

Ernesto                       - Così è stato deciso! E non per la pace soltanto! Io ho bisogno del suo «sì! Se egli nella sua coscienza è capace di dirmi di no, male è per me!

Alberto                       - Mi vengono le vertigini, riprendilo! Esso mi brucia in mano!

Ernesto                       - Portalo per un anno nel timore di Dio, come ho fatto io! E se in capo ad un anno, tu non mi potrai assolvere, chiamani, ed io stesso mi punirò come comanderai! Mi troverai nel chiostro di Andechs.

Alberto                       - (vuol buttarsi in ginocchio) Padre, non dinanzi all'Imperatore e all'Impero, ma dinanzi a te!

Ernesto                       - Aspetta, aspetta! Questa giornata è stata grave, ma forse vivrò ancora, più di un anno... (Si avvia. Preising vuol seguirlo) Restate! Un monaco basta!

FINE