Ah, se fossi normale

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Commedia in due atti

di Umberto Simonetta

Arnoldo Mondadori editore - Milano 1984

Personaggi

Giulio, attore

Bruno, regista

Massimo, autore

Aldo, pianista

(I primi tre personaggi vanno interpretati dallo stesso at­tore

che non indulgerà tuttavia in vistosi cambiamenti di trucco)


ATTO PRIMO

(Sono i primi giorni di prove di un nuovo spettacolo, un monologo. Sul palcoscenico vuoto c'è solo il tavolino per appoggiare il copione, una sedia, una lampadina che pen­de dall'alto. Sotto, nel settore a lui riservato, Aldo il pianista ha già cominciato a suonare la canzone dell'ini­zio: e Giulio entra cantandola. Porta pantaloni qualsiasi, maglietta o camicia, scarpe da ginnastica e la giacca del frac con lustrini)

Giulio(canta)

L'angoscia... mi ottenebra il cervello

l'angoscia... i palpiti del cuore mi frena

l'angoscia... la mente mi blocca l'angoscia...

ciuciù ciribiaba... ciuciù ciribiaba... ciù ciù...

(Smette di cantare e si rivolge a Bruno ipotetico inter­locutore in platea) Scusa Bruno ma questa mi sembra una gran puttanata. Io non me la sento di venir fuori a cantare una canzone così. Poi proprio all'inizio dello spettacolo. Cosa vuoi dire, cosa significa ciuciù ciribia­ba, ciuciù ciribiaba... cosa c'entra con l'angoscia? Uno che è angosciato non viene mica fuori a cantare ciuciù ciribiaba. Per il contrasto dici tu. Mah, sarà. Senti io questa la lascerei un momento in sospeso, parliamone. Se vuoi ti rifaccio le ultime battute, dài Aldo. (Ripren­de a cantare le ultime hai tute. Poi, sorridendo) Signore e signori questo è uno spettacolo teatrale che si svolge in forma di monologo. Voi sapete benissimo che in tutti i monologhi appare in scena un attore e racconta la sua vita. La sua vita, le sue esperienze, le sue gioie, i suoi disastri. Bene signori è giusto che lo sappiate subito: questo non è un monologo comico ma un monologo drammatico, la mia vita essendo drammatica: infatti io faccia l'attore comico. Non mi dilungherò su questo particolare. Sono un attore comico, dirò di più: di va­riété... lo si vede, no? anche da come mi muovo in scena, guardine: la camminata è tipica dell'attore co­mico e l'espressione... osservate l'espressione: caratte­ristica espressione da attore comico, brillante... e avete notato prima quando cantavo ciuciù ciribiaba ciuciù ciribiaba? lo cantavo da comico, secondo le tradizionali eterne regole del comico. Qualsiasi cosa mi succeda nella vita, qualsiasi cosa io faccia sono sempre condi­zionato da questa tragica realtà: di essere appunto un attore comico. Anche nei momenti più dolorosi, nei mo­menti più tristi: quando è morto mio fratello sono ar­rivato al funerale vestito di rosa. Pessima impressione. (Rivolgendosi di nuovo a Bruno come farà d'ora in poi spessissimo) Abbi pazienza Bruno ma togliamo il fra­tello: il pubblico non ci sta, un fratello che muore lo innervosisce, la gente si gela. Mettiamo lo zio: se muo­re uno zio non gliene frega niente a nessuno. (Ripren­de la prova del monologo) Quando è morto mio zio sono arrivato al funerale vestito di rosa. Pessima im­pressione. Ai funerali ci si deve andare vestiti di nero, è la norma... Io invece ho aperto il baule che avevo nel camerino, ero agitato, sconvolto, ho tirato fuori il pri­mo vestito che m'è capitato: un vestito che metto su quando faccio il numero dell'innamorato tonto, un numero divertentissimo... E la gente quando m'ha visto ar­rivare vestito di rosa s'è messa a ridere: e io ero sin­ceramente dispiaciuto per la morte di mio zio ma ero altrettanto sinceramente felice che la gente ridesse per­ché far ridere è il mio mestiere. Vengo da una vecchia famiglia di comici... Qui ci farei sotto una musichina da circo, cosa ne dici?... Ecco, benissimo. Da più di duecento anni i miei antenati hanno lavorato come co­mici nei teatri o nei circhi... Mio nonno era un nano, mia nonna una donna cannone. Mio padre faceva il nu­mero della danza sulla corda e mia mamma era una do­matrice di tigri. Un giorno, io ero ancora un bimbo, mio padre mise un piede nel punto in cui non avrebbe mai dovuto metterlo: cadde nel vuoto e buonanotte. Un altro giorno, io ero sempre un bimbo, mia madre si trovava nella gabbia quando una tigre s'innervosì e buon appetito. Senti ma non ti sembra un po' troppo scarognato questo personaggio? il padre che precipita, la madre che è divorata dalle tigri, eh la miseria!... Scu­sa sai Bruno, ma io non me lo sento. Sento che non è vero, che non è credibile, capisci? La gente, gli spet­tatori vogliono che io mi confessi, che mi metta nudo di fronte a loro. La confessione è l'anima del monologo. Il pubblico pretende che io gli racconti i miei males­seri, i miei disagi, le mie insofferenze, possibilmente i miei tormenti. E più tormenti ci sono e più il pubbli­co è soddisfatto. Ma debbono essere tormenti plausi­bili, mica il padre che precipita e la madre che è man­giata dalle tigri. Devo tirar fuori malesseri reali, disagi autentici, insofferenze vissute. Il guaio è che io non possiedo tutto questo campionario patologico. Tu mi conosci, Bruno: io sono un insensibile, non mi dilanio la coscienza. Sono un pacioccone, refrattario alla dispe­razione congenita. Come vorrei essere normale! essere uno di loro. Avrei anch'io qualcosa da raccontare, qual­cosa di tipicamente normale: ...da bambino spiavo mia mamma dal  buco della  serratura quando si chiudeva nel bagno per fare il bagno... era emozionante vedere la mamma che si sfilava il vestito... indossava sempre vestiti molto aderenti... e poi il reggiseno... e le mutandine... e rimaneva lì nuda in piedi per qualche attimo prima d'immergersi nella vasca bollente... Io te­nevo l'occhio incollato al buco della serratura, guarda­vo tutto quel pelo col cuore che stava per schizzarmi fuori dal petto e mi masturbavo... Che tragedia, Bruno: io non ho mai spiato mia mam­ma quando faceva il bagno. Anzi non mi ricordo nean­che che mia mamma abbia mai fatto il bagno: forse era una mamma che si lavava poco. E il papà? tutti i bam­bini di questo mondo, parlo naturalmente dei bambini normali, spiano il papà quando va a fare la pipì. È una mania dei bambini, è più forte di loro. Lo leggi anche nei romanzi: non c'è scrittore italiano che nel consueto slancio autobiografico non abbia confessato, con comprensibile compiacimento, che da bambino an­dava a spiare il papà quando faceva la pipì. Soldati, Bassani, Cassola... tutti a spiare il papà quando faceva la pipì. Io mai. Mai. E sì che mi sembra di ricordare che venivo anche incoraggiato in qualche modo ad an­darlo a spiare. La mamma, le zie, le sorelle, la vecchia domestica ogni volta che il papà andava in bagno mi av­vertivano, non so se per caso o per calcolo... Me lo gri­davano a voce alta: « Giulio.. guarda che il papà è nel bagno... Hai capito? il papà è nel bagno... tu non ci andare, eh... Non ci andare nel bagno che c'è il pa­pà... ». Non so, più chiaro di così... Io niente: « II papà è nel bagno? ah sì... ». Ma non credo, ripensandoci, che fosse semplicemente disinteresse. Credo che... sì, forse era una sorta d'insicurezza, di paura che mi tratteneva dall'andarlo a spiare. E se il papà... e se il papà non... Mio dio, mi vedo scivolare furtivamente davanti alla porta del bagno, inginocchiarmi tremante, accostare l'occhio  alla serratura e... non ce l'ha! il papa non ce l'ha!... Pensa che crollo sarebbe stato per un bimbo di cinque anni. Avrei passato il resto della mia vita cercando di rimuovere quell'esperienza. Sì, ma qui io parlo parlo parlo e non succede mai niente. Bisogna far succedere qualcosa, Bruno. Forse dovrei cambiare posizione. (Si mette a testa in giù!) Ecco, questo è teatro. Raccontare la propria infanzia in questa posizione è fare teatro. Teatro scomodo, eh, teatro fisico ma teatro. Ti va, Bruno? No? va be' sei tu il regista. Eppure io sto facendo del teatro. Bruno, altro che questo copione. Io sto rac­contando l'impossibilità di raccontarmi. Perché a me il personaggio di questo copione non mi convince. L'ho letto, l'ho riletto sai, non credere: non mi convince. Non ha spessore, non ha dentro niente, non sai come farlo. Eppoi un attore! L'hanno recitata tutti la parte dell'attore! No, io avrei preferito... non so, qualcos'al-tro, un altro mestiere. Mi sarebbe piaciuto partire da lontano: ... Era stato un inverno molto freddo quell'an­no in Maremma la mia mamma ci aveva coperti bene e quando s'usciva di casa si raccomandava sempre che tenessimo la bocca chiusa: « Perché altrimenti il gelo vi entra nei polmoni » diceva. Poi prendeva per mano me e la mia sorellina, ci faceva salire sul calesse e ci portava fino a Grosseto a vedere le giostre. Mio padre insegnava francese all'istituto tecnico l'anno in cui suc­cesse la disgrazia...

Voce di Bruno  Che disgrazia?

Giulio             Ma non lo so Bruno, sto inventando... C'è sempre una disgrazia in questi racconti. Ecco sì, potrei fare il personaggio che ha subito un grave shock nell'infanzia, non quello della pipì del papà... no: gli è morta la mamma in un incidente, sul calesse, e si trascina questo trauma per tutto lo spettacolo... forse nell'incidente è rimasto danneggiato anche lui: può zoppicare un po', appena appena... Sì, però non fa ridere... Eppoi gli spet­tatori se gli fai subito morire una mamma si seccano: ci tiene la gente alla mamma, le sono affezionati... l'ita­liano è un popolo di mammisti... se vieni fuori a dire che da piccolo ti è morta la mamma in un incidente toc­cano subito ferro, dicono che meni gramo, fanno le corna... Ma no, teniamo il personaggio dell'attore co­mico, solo cerchiamo di irrobustirlo un po' di più: ... Avevo 14 anni e una gran voglia di bruciare le tappe della vita... Ero alto, forte e robusto: dimostravo più della mia età. Tutti mi davano quattordici anni e mez­zo. Quando presi il coraggio a due mani e dissi a mio padre: « Papà, io voglio fare l'attore! » lui mi guardò con quei suoi occhi buoni e tristi e mi diede uno schiaffo...

Ecco, questo va bene, qui c'è l'autorità paterna che s'impone e la gente è contenta: perché s'identificano tutti in questo padre, no? perché diciamo la verità: l'attore non è di quelle professioni che nelle famiglie normali sono viste bene... Lo spettatore medio si schie­ra subito dalla parte del padre: « Ha fatto benissimo a dargli uno schiaffo. Io con mio figlio farei altrettanto. Quando ci vuole ci vuole. Meglio uno schiaffo quando ha quattordici anni che pentirsi di non averglielo dato quando ne ha venti. L'attore, tse! vuol fare l'attore lui! morti di fame...». (S'illumina ) Morti di fame!... ecco Bruno, ecco, trovata la chiave! L'attore sì ma morto di fame. Il morto di fame ha sempre fatto ridere, guar­da Charlot. Tutto il suo universo comico è basato sulla fame. Potrei camminare come fa lui. No, forse è troppo. Però la fame, la fame funziona: ... A casa nostra non avevamo l'abitudine di mangiare tutti i giorni. Man­giavamo tre volte alla settimana: il martedì, il venerdì e la domenica. Sempre a mezzogiorno perché, diceva la mamma, la sera è meglio star leggeri Eravamo in ven­ticinque in famiglia: il babbo, la mamma, il nonno pa­pà del babbo, la nonna mamma della mamma, lo zio Ernesto fratello del babbo che veniva affettuosamente chiamato lo zio scemo e noi, venti fratelli tutti picco­lissimi e bisognosi di cure. II babbo non era riuscito a trovare nessun  lavoro, il nonno nemmeno, lo zio scemo figuriamoci. La mamma un lavoro ce l'aveva ma su di esso tutti preferivano sorvolare. La nonna, mam­ma della mamma, soffriva di gotta e si lamentava con­tinuamente a voce alta, specie di notte. Il nonno, babbo del babbo, soffriva anche lui: ma d'inappetenza, per questo tutti lo rispettavano. Il babbo da piccolo aveva contratto una malattia infettiva, l'aveva trascu­rata e ora ne pagava le conseguenze. Qualche volta ve­niva a trovarci il parroco, don Serafino, un simpatico prete piccolo e grassottello, sempre rosso in viso. Il no­stro primo impulso era quello di saltargli addosso e di mangiarlo, poi ci accontentavamo di baciargli la mano e di rosicchiargli qualche unghia...

Eh, cosa ti sembra? Un bel quadro di miseria, sapo­roso, forte. C'è anche un piccolo accenno di canniba­lismo, appena appena... Il cannibalismo ha i suoi esti­matori... Anzi, forse si può sviluppare questo tema, po­trei approfondirlo: anziché: Qualche volta veniva a trovarci il parroco, don Serafino...: Una volta venne a trovarci il parroco, don Serafino, un simpatico prete piccolo e grassottello, sempre rosso in viso. Noi bambini gli saltammo addosso gioiosamente e ce lo man­giammo vivo, così, alla tartara. Squisito. Non va, eh? troppo crudo. Il racconto dicevo. La famiglia comunque ci vuole. È importante che il protagonista di un mo­nologo dichiari lealmente chi è suo padre e chi è sua madre, se sono borghesi, intellettuali, proletari... se so­no agiati o in miseria, cattolici o ebrei, atei, valdesi... Perché la gente pretende di essere tranquillizzata sul monologante: vuol essere sicura che l'individuo che li sta intrattenendo, chiunque esso sia, ha dietro di sé una famiglia. Allora il monologante viene ascoltato e ac­cettato, perché: « È uno dei nostri ». La famiglia es­sendo, come tutti sanno, il pilastro della società. Se io entro in scena per esempio e dico: « Non so chi sia mio padre. Non so chi sia mia madre. Sono figlio di un sacco a pelo »  guai.   Lo spettatore dà di gomito al vicino: « Ahi ahi ahi. Non ha un papà come noi. Non ha una mamma come noi. Eeeeeh. Bisogna stare at­tenti ». Capisci Bruno com'è la faccenda? Ora sì, que­sto personaggio ha un padre nano e una madre donna cannone ma di loro non si sa niente, non vengono sfrut­tati. Scusa sarà banale ma la prima notte d'amore tra un nano e una donna cannone alla gente normale fa ridere. Alla gente normale fanno sempre ridere quelli che non sono la loro copia conforme: è una questione di sensibilità. Un'idea, m'è venuta un'idea stupenda. Bruno, sta' a sentire... E se invece di avere un padre nano e una madre donna cannone questo tizio avesse una madre nana e un padre... No, cambia poco. Eppoi gli uomini cannone non so se esistano. No, l'am­biente del circo mi piace, funziona... Poi è nuovo, non è mai stato fatto. Ci potrebbe star bene anche l'episodio del padre che sta facendo il suo numero in pista mentre la madre è nella roulotte che sta per par­torire, per partorire me... In questo caso però sarebbe meglio che invece di un nano mio padre fosse un clown... Ecco... il clown, papà, sta facendo il suo nu­mero di buffone, il pubblico ride, ride... e lui in mez­zo a queste risate sente arrivare un pianto: « Uè uè uè!.. ». Tronca il suo numero, si precipita nella roulotte: io sono nato... la levatrice, che è la donna serpente mi solleva in alto e mi mostra al papà... Il papa ba­cia la mamma, è pazzo di gioia... poi di corsa ritorna in pista... Il pubblico che quando lui era scappato via era rimasto perplesso e ammutolito adesso capisce e scatta in un lungo applauso... Due grossi lacrimoni scen­dono sulle guance del clown... Lacrime di gioia... In quel momento potrebbe sentire un altro « Uè uè uè! » più forte del primo: scappa via di nuovo... entra nella roulotte giusto in tempo per vedere la donna ser­pente che, impacciata intrega, si sa come sono queste donne serpenti, mi ha lasciato cadere per terra e io, pic­cola creatura appena nata, mi sono rotto la testa. Morto. Fine. Il clown piange di nuovo... No, così è troppo tragico. Scusa Bruno, a me dispiace far la par­te del rompicoglioni che ai primi giorni di prove si mette a discutere il copione... avrei preferito trovarlo bellissimo e recitarlo senza cambiare una virgola... però capisci, qua ci vado di mezzo io, la faccia è la mia... Se non sono convinto della parte poi io mi conosco: la faccio male... Le canzoni non si discutono, le canzo­ni sono bellissime... Questa per esempio è quasi un racconto:  è una storia così nostra...

(Canta)

Regalo per i suoi dieci anni

una catenina

con la medaglietta

della Madonna

sul retro al caro Giovanni

il babbo e la mamma...

A Rimini a quindicianni

oltre alla Madonna

appende un gobbetto

portafortuna

e brilla tra i primi peli

la sua catenina...

Era una catenina tutta d'oro ed italiana

era l'orgoglio del suo papà...

Sul petto nudo o sopra la maglia di lana

gli dava un senso di superiorità...

Viareggio sul petto ventenne

oltre al gobbetto

e alla Madonna

pende un corno

la piastra col gruppo sanguigno

regalo di Lalla...

O come piaceva alle donne il caro Giovanni

e lui dava tutto

tutto alle donne

e qualche cosa anche agli uomini

però per quattrini...

(Parlato) Per potersi comperare degli altri ciondoli da ap­pendere alla sua catenina...

Era una catenina tutta d'oro ed italiana (ecc.)

Al Forte ci aveva trent'anni

la sua catenina

pochi quattrini

molte ambizioni

riflette il caro Giovanni

su questo problema.

E c'eran due belle vetrine

con le catenine

e con un padrone

con  rivoltella:

e addio buonanotte Giovanni

che chiude a trent'anni...

Era una catenina tutta d'oro ed italiana (ecc.)

Che dici, ci fermiamo qui Bruno, vero, per oggi? Ciao amore, a domani. Ah senti, scusa: venerdì pomeriggio io avrei un impegno. Una puttanata pubblicitaria che però mi pagano bene, capisci? io sono abbastanza contrario all'attore che si prostituisce, però sai... per attaccare qual­che ciondolo alla catenina... bellina questa no, m'è ve­nuta adesso. Un'altra cosa, scusa Bruno. Se parli con Massimo pregalo di mettere un po' a posto questo copio­ne, di trovare qualcosa di un po' più... Siamo nell'ottantadue!... fermo restando il personaggio del comico bisognerebbe trovare qualcosa di un po' più attuale... non so qualche feroce frecciata al papa... qualche insi­nuazione sulla vita sessuale di... non so, di Dario Fo, di Montanelli... dico le prime troiate che mi vengono in mente... Qualche battuta, anche pesante, su Agnelli, su Lama... si potrebbe dire che i due sono... « Ma come, Agnelli e Lama? ».

« Sì, innamorati pazzi. »

Ecco, non so, una cosa di questo genere, gustosa, graf­fiante. La gente ci sta. Io il papà nano e la mamma can­none... guarda, se me li togliete mi fate uno di quei re­gali... Ciao Bruno, ciao Aldo, a domani... (Esce e rientra subito cantando L'angoscia è passato un giorno. Al termine della canzone) Ciao Bruno, ciao Aldo.. Come va?... Bruno, senti, ho avuto un'idea strepitosa... Que­sto personaggio invece dell'attore che non mi convince io ne faccio un avvocato... Scusa, scusa, ti prego Bruno: non dirmi niente, ho provato tutto a casa... a proposito, quand'è che venite a mangiare una sera a casa mia, tu e Marisa? adesso che Cristina è tornata, facciamo la fondue... Bene ti faccio questo avvocato e poi ne par­liamo, ma prima lasciamelo fare... Caso mai ne parlia­mo anche con Massimo ma non credo che possa prote­stare perché ho cambiato il suo personaggio: qualsiasi autore di teatro sa benissimo che quando si scrive per un attore, di un certo nome, scusami tu sai che io non mi do arie però certe cose vanno chiarite... quando si scrive per un attore che non è proprio l'ultimo in Italia beh qualche piccola modifica al copione è normale che avvenga... Eppoi tra il personaggio dell'attore e quello dell'avvocato non c'è questa enorme differenza: sono due uomini tutti e due... Ma poi tesoro io e te lo sappiamo, no? una cosa è quello che uno scrive, alla sua scrivania, nella sua cameretta, e un'altra è quella che uno recita qui, su queste tavole di legno, polverose, impregnate di ricordi, di ricordi e di fatica... perché recitare è fatica... (Conclude sempre più retorico) Eeeh, il palcoscenico è una brutta bestia... No, non credo che Massimo prote­sterà ma poi, tesoro, l'importante è che questa parte io me la senta addosso, che la senta mia... ti pare?... Ecco, scusa, comincio eh. (Ad Aldo) Fammi un piccolissimo stacchettino al piano...

Eravamo appena usciti da scuola... molti di noi, come sempre, si erano fermati a chiacchierare, a scherzare e ad aspettare che uscissero anche le femmine quando il Sormani arrivò di corsa gridando: « Laggiù nel prato mer­doso il Bellodi e il Pedretti si stanno scazzottando di brutto! ». « Cristo! »disse il Pontiggia « dove? »« Lag­giù nel prato merdoso » ripeté il Sormani eccitato. Ci av­viammo tutti quanti di corsa al prato merdoso: il nostro caro prato merdoso che era sempre stato affet­tuoso testimone delle nostre piccole bravate di ginna­siali. Il Bellodi e il Pedretti si stavano davvero menan­do come aveva detto il Sormani. « Piantatela! » urlò il Montini ai due che si stavano rotolando per terra tutti avvinghiati e incuranti del fango e della mota...

Voce di BrunoÈ la stessa cosa.

Giulio             Come, scusa?

Voce di BrunoFango e mota sono la stessa cosa.

Giulio             Va be' togliamone uno, togliamo fango. Ti prego però non m'interrompere per queste stronzate se no poi perdo il filo... Dunque... dov'ero rimasto?

Voce di BrunoPiantatela urlò il Montini...

Giulio             Ah sì. « Piantatela! » urlò il Montini ai due che si stavano rotolando per terra tutti avvinghiati e incu­ranti della mota. « Piantatela teste di c tre puntini! » aggiunse il Felicetti, urlando a sua volta. « Se non la piantate subito ve la facciamo piantar lì noi! » minacciò il Montini, duro come un sasso. Ma quei barabba sem­bravano sordi. Sordi sembravano a ogni richiamo e con­tinuavano a pestarsi di brutto e io m'accorsi che stavano perdendo sangue, tutti e due, dal naso e dalle labbra. Noialtri ci guardammo in faccia, in silenzio, uno per uno. « Beh ragazzi, cosa aspettiamo? » chiese il Montini con un mezzo ghigno. « Forzaaaa! » gridò il Felicetti con tut­ti i polmoni e non si era ancora spenta l'eco dell'ultima a che noi tutti balzammo addosso al Bellodi e al Perdetti e li dividemmo. Oh, a forza di gomitate e di sberle li di­videmmo quei due malnati!

Voce di BrunoScusami Giulio ma non ho capito... che cosa cazzo c'entra con l'avvocato? non dovevi farmi un avvocato?

Giulio             Aspetta, Bruno, abbi pazienza. Oh, a forza di go­mitate e di sberle li dividemmo quei due malnati! Su­bito dopo decidemmo di costituire un tribunale per giu­dicare chi aveva avuto ragione e chi torto. A me toccò difendere il Pedretti. Ancora oggi che sono passati tanti tanti anni... quanti?... ancora oggi quando ripenso a quell'episodio della mia adolescenza mi vien da sorri­dere... Perché fu proprio quella volta che scattò qual­cosa dentro di me... Era come una vocina misteriosa che mi annunziava: Tu diventerai avvocato!... Tu diventerai avvocato... Avvocato!... Avevo quattordici anni e una gran voglia di bruciare le tappe della vita. Ero alto, forte e robusto: dimostravo meno della mia età. Quando presi il coraggio a due mani e dissi a mio padre: « Papà, io voglio fare l'avvocato! » lui mi guardò con quei suoi occhi buoni e tristi e mi diede uno schiaffo. Aspetta Bruno, c'è un motivo... È un colpo di scena. Dopo aver reagito così duramente papa mi batté una mano sulla spalla e mi disse: « Avrei desiderato, figliolo, che anche tu diventassi un attore. Come me, come tua mamma, come tutti noi. Ma il destino ha voluto diversamente. Ebbene: sarai avvocato ». Poi mi guardò con i suoi oc­chi buoni e tristi e io mi scansai. Sorrise di un sorriso rassegnato: « Cerca almeno di essere un buon avvocato » mi disse.

« Lo prometto papà » risposi.

Mia madre che aveva assistito alla scena in piedi da­vanti all'uscio della cucina si mise a piangere. Sia lei che papa erano attori e attori erano i miei nonni, ma­terni e paterni... (A Bruno) altro che nano e donna can­none! (Riprende) ...e attori erano stati i nonni dei miei nonni e i nonni dei nonni dei miei nonni... Un mio lontano discendente aveva recitato a Londra, accanto al gran­de Garrick, facendo un iradiddio di controscene mentre il famoso interprete scespiriano declamava il monologo dell'Amleto. « Essere o non essere? » recitava il grande Garrick dal proscenio, davanti a una platea attentissima a ogni sua parola a ogni suo gesto. E il mio discendente dietro di lui: « Eh, questo è il problema... essere o non essere? e chi lo sa! è un problema tosto, tosto assai... ». Quando il grande Garrick se ne accorse voleva ammaz­zarlo poi, di animo generoso, si limitò a strappargli la lingua con le sue mani. Mio padre quando mi raccon­tava questo episodio si commuoveva sempre. Era stato un magnifico attore d'operetta mio padre: il suo Sigismondo nel Cavallino bianco era un capolavoro d'intel­ligenza e misura. Il pubblico però gli preferiva un altro attore, un suo rivale molto meno bravo. Papà che aveva un grande rispetto per il pubblico diceva: « Sono una massa di deficienti. Ma è il destino dei grandi quello di essere incompresi. Tolstoi si stupiva che i tedeschi tra­scurassero il genio di Georg Christoph Lichtenberg per quello scribacchino vanesio di Nietzsche... ». Papà era uomo d'immensa cultura. E nell'estremo affettuoso e pa­tetico tentativo di farmi cambiare idea, di farmi rinun­ciare agli studi di giurisprudenza, papà quel giorno, m'interpretò il suo Sigismondo. (Esegue) Papà era stato bravissimo: tuttavia alla fine del suo numero io mi con­vinsi che sarei diventato avvocato. La mia prima arringa... oh come sembra lontana nel tempo!... Difendevo un bravo ragazzo accusato di furto dal padrone del ne­gozio di abbigliamento dove egli aveva lavorato come commesso. Un ragazzo timido e scontroso, dai linea­menti nobilissimi... Si era fatto ingenuamente sorpren­dere dal padrone, un tipaccio gretto e meschino, men­tre cercava di allontanarsi con un baule pieno di ve­stiti. Rubati. In fondo all'aula, simili ad anime in pena! erano mio papà e mia mamma e Samanta. la mia fi­danzata venuta apposta da Alessandria d'Egitto per assistere al mio debutto. L'aula profumava di magnolie... Io m'ero preparato la mia orazione da diversi giorni, l'avevo preparata con puntiglio la notte a casa, nel mio piccolo  studiolo,   rischiarato da un lume a petrolio... Non un discorso lungo, che avrebbe potuto annoiare il giudice, ma stringato ed efficace: « Mi affido alla clemen­za della  corte ».   Eravamo tutti emozionatissimi...  Io guardavo di  tanto in tanto verso il fondo dell'aula e scorgevo mia madre che apriva continuamente  la  borsetta e ne estraeva un fazzoletto - candido! - col quale si detergeva il sudore delle tempie. Oh cara mamma quanto devi aver sofferto in quegli istanti! Il Pubblico Ministero, di origine abruzzese, aveva chiesto tre anni di reclusione. Quando il giudice disse:   « La parola alla difesa! » io m'alzai, m'aggiustai la toga e feci per cominciare, ma... d'improvviso come una nube nera m'avvolse il cervello facendomi scordare tutto... Tremavo, tremavo d'ira e di vergogna ma quelle parole che così numerose volte avevo ripetuto nel mio studiolo davanti allo specchio ora non mi uscivano di bocca... Cercai allora di rimediare come potevo, cercai altre parole... Dissi:   « Invoco la collera di Dio! »... « Mi appello alla pietà degli uomini... » no... « Imploro il perdono delle vittime! »... « il rispetto de­gli astanti... » « il parere dei convenuti... » « l'alterigia dei potenti... »   Tutti mi guardavano incuriositi... la mia buona mamma svenne, il mio giovane cliente aveva perso i suoi lineamenti nobilissimi, tentò di assalirmi... Samanta, la mia fidanzata che era venuta apposta da Alessandria d'Egitto, fuggì dall'aula, nitrendo. La rividi solo molti anni più  tardi, precocemente invecchiata.  Lavorava alla UIL. Solo mio padre mi si avvicinò raggiante: « Bravo! » mi disse con quei suoi occhi buoni e tristi « un pessimo avvocato, un'autentica frana del foro ma un grande at­tore comico... ». Che te ne pare, Bruno? non è male no? Va be'. pensaci un momento. Ci vediamo domani, solita ora. Ciao, ciao Aldo, grazie. (Esce.  Rientra subito cantando la solita canzonano ma dopo poche battute si ferma)  Scusa Bruno, ma muoio dalla voglia di dirtelo subito: ho avuto un'idea grandiosa... Ne ho parlato an­che con Massimo.. Gli ho telefonato a mezzogiorno, gli ho spiegato che il suo testo va benissimo: solo che, ca­pisci, me lo sto adattando un po' alla mia personalità, me lo sto cucendo addosso. Era un po' preoccupato. Vo­leva venire alle prove, l'ho sconsigliato: « No, lascia perdere Massimo, cosa vieni a fare, l'autore è molto me­glio che non venga mai a vedere le prove di un suo lavoro, se no si spaventa. Tu hai scritto un copione, l'hai affidato a un regista, a un interprete: basta. Il tuo lavoro è finito. Adesso te ne devi disinteressare com­pletamente. Lo vedrai alla prima ». Era perplesso: « Ma come faccio a disinteressarmi di una cosa che ho scritto io, Giulio? è una mia creatura... ».

« Ma quale creatura, per carità, non facciamo della re­torica, Massimo.. Un testo teatrale è un lavoro d'equipe... »

« Ma come d'equipe, se l'ho scritto io! »

« Sì, l'hai scritto tu ma te lo sta mettendo su Bruno e te lo sto recitando io. Eh, non puoi essere così egocen­trico. Eppoi scusami, ma siamo amici:  di noi credo che tu possa fidarti. »

« Ma lo riconoscerò? sarà ancora il mio copione? »

« Ma certo, Massimo... hai dei dubbi? È il tuo copione, quello che hai scritto tu. Oddio, rivisitato, no? Si rivi­sitano i testi degli autori morti: Pirandello, Strindberg, Cechov... perché non si possono rivisitare quelli vivi? ri­visitiamo anche Massimo Tettamanti. »

Va be' Bruno, sta' a sentire, l'idea che mi è venuta è stra­ordinaria... Ho riflettuto sull'avvocato. Non mi convince. Ci vuole un personaggio più corrosivo, più polemico, più battagliero. L'avvocato è un coglione, diciamo la verità. Poi è troppo sfruttato, pensa a quanti avvocati si sono visti in scena! Stanotte non riuscivo a dormire, pen­savo a quanti giorni mancano alla prima. A un certo punto mi alzo per andare al cesso: tac! l'idea folgorante.

Prendo subito una matita, un pezzo di carta:   igienica, pensa, sono sicuro che porta buono... la butto giù, di getto... Dunque... la scena  rimane sempre questa, no? questo contenitore... che può contenere tutto... Io canto le canzonane, l'angoscia, la catenina eccetera poi a un certo punto tu mi dai una luce e...:   Avevo quattordici anni e una gran voglia di bruciare le tappe della vita... aspetta, aspetta Bruno, non essere impaziente... Ero alto, forte e robusto: dimostravo esattamente la mia età. Quando presi il coraggio a due mani e dissi a mio padre: « Papà io voglio diventare un qualunquista! » lui mi guardò con quei suoi occhi buoni e tristi e mi porse la mano: « Oh, bravo figliolo, sei l'unico che ha il coraggio di dichiararlo! complimenti ». Io afferrai la sua mano grossa e callosa e la strinsi fra le mie, pic­cole e lisce. « Ma bada figliolo » proseguì mio padre « che fare il qualunquista in questo paese non è mica fa­cile. C'è una concorrenza spietata. »

« Lo so, papà. Cercherò di farlo meglio degli altri. »

Eh, cosa ne dici, Bruno? questa è satira, satira di quella buona, pepata, sferzante, pungente, piena di ginger... Dobbiamo ripescare quel tipo di satira politica che si fa­ceva una volta in rivista, ti ricordi? secondo me oggi è il momento giusto per questi revival. Sta' a sentire, ho pensato a una scena di questo genere: un enorme salone del Quirinale... No, stai tranquillo, qui rimane il con­tenitore... facciamo finta che sia un enorme salone del Quirinale... C'è un telecronista, di quelli assunti da poco ma già zelanti, con la sua bella pronuncia chiara e la sua brava tessera qua all'occhiello, come fosse un garofano... (Sbaglia tutti gli accenti come fanno di nor­ma i cronisti dei telegiornali) Buongiorno, qui Salvatore Scamicchia, siete collegati con il Quirinale. Vi  trasmettiamo in diretta la cerimonia del presidente della Repubblica che infrange il protocollo. Voi tutti sapete che è una simpatica consuetudine del nostro presidente quella di infrangere il protocollo. Alle volte con queste sue trovate improvvise lascia di stucco tutti noi giornalisti, le persone del seguito e i servizi di sicurezza che ap­paiono sempre molto preoccupati. Ma il nostro presi­dente è fatto così: lui se ne infischia del cerimoniale... È un uomo semplice e alla mano e per questo è tanto amato dagli italiani. Eccolo che arriva... c'è molta curio­sità di sapere che cosa farà questa volta il presidente per infrangere il protocollo... Andrà a stringere la mano a qualcuno del pubblico di là dalle transenne? ... o si fermerà a parlare con un gruppetto di giovani rispon­dendo senza esitazioni alle loro domande? ... o si aggre­gherà a un gruppo di alpini che prego la camera d'in­quadrare e si unirà ai loro cori? ricordiamoci che il presidente è stato anche alpino... È difficile pronosticare cosa farà perché il presidente è talmente imprevedibile!... Ecco che sta per incontrarsi con l'ambasciatrice di Fran­cia... ma cosa succede, cosa fa il presidente? ha messo una mano sotto la gonna dell'ambasciatrice francese!... straordinario! ancora una volta tra l'entusiasmo del pub­blico che lo acclama e gli grida: « Sandro... Sandro! » ancora una volta dicevo il presidente ha rotto ogni forma di protocollo. Dal Quirinale ho finito.

Eh, Bruno? questa è satira, satira di quella buona, pe­pata, pungente. Sì, il personaggio del qualunquista ti offre un sacco di spunti. Ho anche pensato a uno di quei tizi che parlano in piazza del Duomo, nei capannelli... sai quelli che ti sputano addosso mentre parlano: Guardi, il problema sta nello scollo: è tutto lì. Tra classe politica e paese sa cosa s'è creato? uno scollo tremendo. E il cittadino cosa fa? cosa vuol che faccia, non ha più fi­ducia nelle istituzioni! Tra paese legale e paese reale lo scollo ha raggiunto il diapason. Non c'è più un settore che funzioni. Lei mi prenda il settore dei trasporti pub­blici. Guardi caro lei: la gente ne ha piene le tasche, mi scusi l'espressione. Tra vertice e base c'è uno di quelli scolli... Lei mi prenda il settore dell'edilizia... Ma lo sa lei che in Norvegia... e le parlo della Norvegia... dove non c'è scollo... Lei vada in Norvegia e domandi: « C'è lo scollo qui? ». « Mai visto. » Lei mi prenda il settore ospedaliero. O preferisce prendermi il settore delle pensioni? Che settore vuole, scelga lei, io le do anche il settore della carne bovina. Ma poi è inutile che stiamo qua a menarcelo, mi perdoni la volgarità, ma lei lo sa che cosa c'è oggi tra esecutivo e cittadini?... Bravo. Uno scollo pauroso. Guardi, il problema è tutto lì:  nello scollo...

Ma lo sai Bruno qual è il vero grande imbarazzo oggi? che qualche volta non sai bene se stai facendo del qua­lunquismo o se stai semplicemente dicendo delle verità... (Canta)

Ho un lavoro che non mi realizza

e nel privato poi ne risento

così la sera al ritorno in famiglia

passo momenti di abbrutimento...

Guadagnare guadagno quel poco

per arrivare alla fine del mese

e se non fosse che ciò trentott'anni

avrei lasciato già questo paese...

Di amici non ne ho mai avuti

e con le donne son troppo imbranato

posso tentare per ore per ore

ma non son mai totalmente eccitato:

per non  sentirmi del  tutto fallito

forse a sto punto m'iscrivo a un partito...

(Uscendo)

Eh, Bruno? che ne dici?


ATTO SECONDO

(Siamo sempre durante le prove.  Il palcoscenico è un po' meno vuoto: non c'è più il tavolino né la sedia né la lampadina che pendeva dall'alto. Hanno cominciato a montare la scena dello spettacolo, c'è qualche elemen­to scenico, non molti e che non servono a far capire che razza di spettacolo sarà: un'altalena per esempio, un lampadario, un fondale qualsiasi. È in scena Bruno, il regista. Ha in mano il copione e lo agita rivolgendosi a Giulio, suo ipotetico interlocutore in platea)

Bruno            Ho capito Giulio, ho capito: non ti convince, non ti piace. È un testo che non t'è mai andato giù fin dall'inizio. E allora? cosa credi, che piaccia a me? Non sottovalutarmi per favore. Io ho delle grosse ambizioni come regista, caro Giulio, figurati se mi accontento di mettere in scena questa boiata. Ma ho pazienza, so aspet­tare. Un giorno o l'altro il teatro italiano dovrà fare i conti con Bruno Ambrosetti. Avevo due regie da fare quest'anno, due regie e tutte e due abbastanza interes­santi. Sono sfumate. Tutte e due. Una era Il calapranzi di Harold Pinter, che in un primo momento dovevano es­serci Laurence Olivier e Alec Guiness ma non se n'è fatto niente perché non hanno voluto entrare nella coperativa: volevano la paga, figurati! Allora s'è pen­sato: li sostituiamo con Tognazzi e Mastroianni però capisci che m'interessava già meno... Sì, Ugo e Marcello sono due ottimi attori per carità, volonterosi, discipli-nati ma a me stimolava l'esperienza con gli inglesi... L'altra regia doveva essere un Arlecchino servitore di due padroni ma lì ho preferito rinunciare io perché ho detto no, l'hanno già fatta altri, è ovvio che io ne farei un'altra cosa, non so se meglio o peggio ma un'altra cosa, una cosa diversa ma non mi attirano le minestrine riscaldate... Scherzo Giulio purtroppo, lo sai. No, neanche a me questo copione piace ma siccome non posso fare né Strindberg né Ibsen perché nessuno me li fa fare per­ché non ho tessere giuste o amicizie con assessori alla cultura o segretari dei segretari di partito così faccio Massimo Tettamanti. Certo non è un nome di grossissimo prestigio Massimo Tettamanti. Però cerco di metterci passione lo stesso, mi comporto da professio­nista. Lo so, lo so: comportarsi da professionisti in Italia è pura follia e se lo fai devi farlo clandestina­mente perché se ti scoprono i dilettanti sei fregato... Ma Io ci provo lo stesso. Per esempio Giulio, la canzoncina dell'angoscia me la devi fare in un altro modo... Non so mica bene anch'io in che modo, se lo sapessi te l'avrei detto... però io tenterei di farla più... dovresti far arri­vare il contrasto tra la sofferenza di questo personaggio che afferma di essere angosciato e la garrula gaiezza del­la musichina, la petulanza di quel ciuciù ciribiaba...  Io per esempio non la canterei tutto sorridente come fai tu ma starei sull'impassibile... alla Buster Keaton...

Voce di GiulioBuster Keaton non cantava...

Bruno            Grazie, lo so anch'io. Dico alla Buster Keaton per dire il tipo di atteggiamento. Se preferisci alla Mischa Auer, ti ricordi? Provo a fartela... (Esegue la canzon­cina)

Ecco, io l'ho fatta male però l'idea è questa. I per­sonaggi... non ha nessuna importanza Giulio se tu fai il personaggio dell'attore o quello dell'avvocato o il qualunquista...  e non ha nessuna importanza come li fai, se li fai bene o se li fai male:  tanto sono pochis­simi a capire la differenza...  l'importante è che tu  li faccia, uno via l'altro:  serve al curriculum... E le can­zoni... Non devi interpretare una canzone come se fosse una canzone: troppo logico, troppo lineare.  La logica annoia,  specie chi  non  ce  l'ha.  Devi  essere  polemico nel pronunciare una canzone, devi essere cattivo, per­fido: se sei una carogna ti apprezzano, se sei buono ti fottono. Prendi  esempio dalle  nullità! viviamo in un paese dove se dio vuole le nullità  non mancano! al­meno al giorno d'oggi. Certo nei secoli  scorsi era di­verso: c'erano delle menti illuminate, dei veggenti, dei geni... ma adesso per fortuna è tutto finito...

(Canta)

La sua opinione faceva opinione

era seguito da milioni di persone

scriveva su un giornale

di grande diffusione

partecipava sempre

ad ogni discussione

e dibatteva tutto

con grande cognizione

sia al chiuso che all'aperto

per radio oppure per televisione...

Tutti dicevano:  che mente!

che cranio importante

che uomo intelligente...

era un completo deficiente

che non capiva niente

però sapeva farsi buona pubblicità...

E quando un giorno finalmente

quest'uomo influente

morì di un accidente

qualcuno andò in mezzo alla gente

che piangeva l'assente

e un poco brutalmente lo ricordò così:

Era un completo deficiente

che non capiva niente

però sapeva farsi buona pubblicità...

(Parlato mentre la musica prosegue in sottofondo) «Sì, ma lei perché lo dice adesso che lui è morto? perché non lo ha detto quand'era ancora vivo? »

« Come perché? ma perché bisogna essere vigliacchi nel­la vita, no? non l'ha ancora capito lei alla sua età? im­becille!... ma tu guarda che imbecilli s'incontrano oggi! » (Riprende a cantare)

Era un completo deficiente

che non capiva niente

però sapeva farsi buona pubblicità...

Certo a questo copione manca anche un adeguato spes­sore culturale... ci vorrebbe per esempio un aneddoto di classe... non so. l'incontro fra Marcel Proust e James Joyce... Era stato preparato con grande cura... un ma­gnifico banchetto al Ritz, a Parigi, per far incontrare i due massimi rappresentanti della letteratura contempo­ranea... Tutti erano ansiosi di ascoltare le battute raffi­nate che si sarebbero scambiati... Non parlarono molto, anzi parlarono pochissimo, quasi mai... solo verso la fine del pranzo Marcel Proust chiese a James Joyce: « Le piacciono i tartufi? »... Pensa se s'incontrassero due scrit­tori italiani... Eppoi caro Giulio, dammi retta: devi raccontare le tue esperienze personali, non si scappa: in un monologo ci devi mettere per forza le tue espe­rienza personali, il monologo è una confessione, no? Dio mio ne avrai avuta qualcuna di esperienza! non so, il primo amore, il primo furto, il primo capello tinto... Io per esempio, dovessi raccontare qualcosa di mio, di personale, racconterei le mie ansie, i miei timori la pri­ma volta che ho fatto il provino...:

Mio dio, domani ho il provino. Saremo in molti, ci sarà la platea piena. Eccoli lì, eccoli lì che aspettano, li vedo già tutti: Mara, attrice professionista, 24 anni: « Ho fatto una Mirandolina con la Stabile dell'Aquila, ho la­vorato un anno con Memé Perlini poi sono uscita dal giro perché ero incinta... Per il provino ho portato un brano da La cantatrice calva di Ionesco... ».

Giuliana è diciottenne, sorriderà decisa dietro agli occhialini: « Dunque sì, io faccio l'ultimo anno al Parini, no? No, in teatro praticamente se vogliamo non ho mai fatto moltissimo nel senso che su un palcoscenico non ci sono mai salita. Però vorrei tentare perché mi piace, m'interessa abbastanza, penso di esserci portata... ».

Pino, 21 anni, semiprofessionista, sarà chiarissimo: « Guarda, il provino come provino non m'interessa. So­no venuto qua perché m'incuriosiva conoscerti, vedere che tipo sei, come lavori, verificare se sei uno col quale mi andrebbe eventualmente di lavorare assieme in un secondo tempo... ».

Daniele... sarà veneto Daniele, lo prevedo: c'è sempre un veneto nei provini che si fanno a Milano: « Portato non ho portato niente: io improvviso, come Benigni, come la Cerini... ».

Cecilia: è appena uscita d'accademia, grassottella, brian­zola: dirà bane al posto di bene e basco invece di bosco... Poi ci sarà Sergio. O Maurizio. O Paolo. Di Corno. O di Novara. Di non so. Dirà: « Beh, io guarda, io ho avuto più che altro esperienze di animazione in un villaggio tu­ristico. Avevamo messo su un gruppo e facevamo delle canzoni tipo Battiato. ».

Tipo Battiato, mio dio. Non mi sento preparato. Domani mattina alle undici ho i provini e non mi sento prepa­rato. Dovrò mostrare smagliante sicurezza, non lasciarmi intimorire, non farmi prendere dal nervoso. Loro ven­gono per sostenere un provino. Con me. (Passa dal tono sicuro a quello tremebondo) Saranno cattivissimi. Esi­genti. D'altra parte come dargli torto? dipende da me se avranno una parte nel prossimo lavoro che sto met­tendo su. Una commedia con tre soli ruoli. Due maschi, una donna. Loro sono in trecento. Forse ho fatto male a scegliere quella commedia lì: era meglio il Quo vadis. Saliranno sul palcoscenico, cominceranno a esibire spie-tatamente tutte le loro incapacità, mi sbatteranno in fac­cia tutto il loro repertorio. Mi sentirò gridare addosso Brecht, 50 ragazze diranno la visita alla contessa di Palazzeschi, ci saranno un centinaio di monologhi molieriani, 70 brani dalla commedia dell'arte, poi uomini col fiore in bocca, ignudi da vestire, Giacomini pensanti, si­gnore Morli una due tre quattro dieci venti... una trentina di Cechov, qualcosa dalla Mandragola e le poesie... Le poesie! Le poesie sono il lato peggiore dei provini: « Ove le belle membra pose colei che solo a me par donna... ». E per fortuna che ti pare solo a te, per fortuna, cagnac­cio! Calma. Debbo stare calmo. Sono io che faccio i provini. Loro li subiscono. Calma. Entrare sorridente e mo­strare subito padronanza di sé: « Bene ragazzi, comin­ciamo subito. Chi è il primo? ». Che disastro. Quel « chi è il primo? » sembra l'anticamera del dentista. E quel « ragazzi »... diranno che sono paternalistico, autoritario. Meglio battere le strade dell'ipocrisia, ammiccare: « Lo so che un provino è sempre un po' come una vincita al lotto, fratelli. Bene, allora, coraggio: chi di voi vuol giocare? ».

            Vedo già qualcuno che si alza: « Questo non è un gioco. Almeno per noi. E non ci chiami fratelli ». Meglio rinunciare a essere spiritosi. Entrerò sorridendo sì, ma con fermezza: « Quello che sto cercando amici è qualcuno che sappia interpretare decentemente il ruolo di... » sembra la battuta di un film americano, soggetto di Neil Simon. Lascerò che parlino loro per primi. En­trerò silenzioso, un po' tetro. La barba non rasata. Gli occhi arrossati. Mi siederò sul bordo del palcoscenico, tossirò un po' per qualche istante. Poi biascicherò a voce bassissima: « Okei. E allora? ». Guarderò Sergio con bonomia: « Tu che hai la faccia sveglia, tu sentiamo co­s'hai portato... ». Dovrebbe rimanere favorevolmente col­pito da questo mio atteggiamento. Invece si alzerà e dirà: « Avevamo messo su un gruppo e facevamo delle canzoni tipo Battiato. Lui ha fatto Cuccurucuccù noi ab­biamo fatto Coccorococcò. Per differenziarci ». Dovrò mo­strarmi molto interessato: « Ah, simpatico. Coccorococcò. Cuccurucuccù-coccorococcò... originale ». E come mi ve­stirò? senza cravatta, è il minimo. Un regista con cra­vatta perde credibilità. A meno che non sia un regista sovietico. Ma qui da noi, a Milano, abituati ai registi con maglioni, non posso mettermi la cravatta. Camicia casual, aperta. E se alla mia domanda: « Chi vuol salire per primo? » rispondessero in venti, in cento, in mille? chi sceglierò? a chi dirò « Vieni tu! »... dovrò essere ful­mineo nella scelta. E se... e se invece non rispondesse nessuno? se alla mia domanda mi fissassero tutti muti? mi converrà ripeterla? e come interpretare quel loro at­teggiamento? muti perché timidi, scontrosi, sopraffatti dalla mia forte personalità o per calcolato disprezzo? speriamo sopraffatti dalla mia forte personalità. E se uno di loro salito sul palcoscenico annunciasse con fierezza: « Reciterò un brano dal Borghese gentiluomo di Raci­ne... »potrò dirgli che non è di Racine ma di Molière? non vorrei che pensassero che sono un pignolo. O uno scassaballe autoritario. In fondo Racine e Molière erano francesi tutti e due...

Ecco, vedi, il testo dovrebbe essere pieno di esperienze di questo tipo, ricordi personali, brani di vita vissuta. Ah, a proposito: ho tagliato quella canzone che non ci pia­ceva. Massimo sarà incazzatissimo quando glielo diremo ma chi se ne frega. Al suo posto io farei, se ti va, que­sta cosina che ho buttato giù ieri, l'ha musicato Aldo in mezz'ora. È una sciocchezza, un giochino demenziale che ricorda un po' i nonsense di Edward Lear... hai presente, no?

There was an Old Person of Grange

Whose manners were scroobious and strange...

He sailed to St Blubb

In a Waterproof Tub

That aquatic Old  Person of Grange...

divertente, no? ecco, dovresti farla buttandola un po' via, senza calcarla.

(Canta)

Questa è una favola dei nostri tempi

che sono tempi stupidi

quindi è una favola stupida.

In verità avrebbe potuto anche essere

una favola intelligente:

ma non mi pare il caso.

Aveva una faccia che non gli piaceva

andò da un chirurgo specializzato in facce

gli disse mi faccia la plastica facciale

faccia in maniera che mi piaccia la mia faccia...

(Parlato) Non si preoccupi, qui la tiriamo tutta su... gli occhi li spostiamo, le orecchie le stringiamo, il naso va via... le guance le gonfiamo, le borse le togliamo, il mento lo allarghiamo... (Riprende a cantare)

Adesso ha un'altra faccia che non gli piace

non ha il coraggio di specchiarsi in uno specchio

ma deve fingere con tutti che gli piaccia:

è l'unica maniera per salvare la faccia.

Che ne dici, non è malvagia, no? ad ogni modo Giulio non devi preoccuparti eccessivamente per il testo: detto fra noi la gente non viene a teatro per ascoltare un testo di Massimo Tettamanti, viene per vedere la regia di Bruno Ambrosetti e per ascoltare te Giulio.. no?... Io avrei voluto scrivere anche altre cose da inserire nel co­pione ma Massimo è talmente permaloso, talmente geloso della sua roba, lo conosci... Avevo in mente per esem­pio di farti fare una serie di suicidi, io li trovo buffi i suicidi, a me fanno ridere. Pensavo che avresti potuto interpretare tutta una fila di suicidi stereotipi, classici: il vecchio che s'ammazza per miseria in una cameretta di periferia o il pensionato che s'ammazza per solitudine, oppure il suicidio di un giovane eroinomane in fase di astinenza, o l'omosessuale o l'handicappato o l'amante tradito: la gente ci sta a ste cose, si diverte, specie in estate, tutto sommato le trova distensive. Sono così lon­tane da noi. Eppoi in teatro la morte è una cosa viva, rende, funziona. Va Beh ti faccio vedere come dovresti fare secondo me questa canzoncina che mi pare abba­stanza graziosa. Io annuncerei anche il titolo: La disputa o se vuoi in francese che è più raffinato: La querelle. Vai pure Aldo.

(Canta)

Vorrei avere anch'io

la mia piccola disputa su Dio...

Capisco sono temi importanti

che van trattati solo dai cantanti

ma vi prego di fare un'eccezione:

lasciate che partecipi anch'io alla discussione...

Vorrei avere anch'io

la mia piccola disputa su Dio:

e poi parlare di Hegel

di Marx di Jung di Freud

di Mann di Fromm

e confesso che mi tenta

intrattenermi anche un po' sullo Spaventa

un filosofo italiano di cui non si parla molto

e che io potrei affrontare con piglio disinvolto...

Vorrei avere anch'io

la mia piccola disputa su Dio:                                    

capisco che sto tema va trattato                                 

da chi è completamente impreparato                           

ma vi assicuro che parola mia                                    

non ho mai aperto un libro di teologia...

Vorrei avere anch'io

la mia piccola disputa con Dio...

Ecco, qui c'è una lieve variazione: la disputa non la vo­glio più su Dio ma con Dio: alla pari, lui da su io da giù... anzi no: su e giù suggerisce già una gerarchia... Lui da là io da qua... Dev'essere un incontro per cono­scerci, per confrontarci, per prendere iniziative comuni, per discutere, per fare musica... Una disputa con Dio sui temi più qualsiasi: l'amore, la morte, i giovani, la terza età, i problemi del mezzogiorno, la fame nel mondo, i dissidenti nell'Urss, la crisi energetica, il terziario avan­zato... (La musica che era rimasta in sottofondo smette di colpo)  Va Beh, facciamoci una pausa, Giulio, andia­moci a prendere un caffè. Vieni anche tu Aldo.

(Esce. Aldo sale sul palcoscenico e esce anche lui. La scena cambia: siamo in casa di Massimo Dopo un istante Massimo entra, telefono in mano, sta parlando)

Massimo... no, no, non ci sarò alla prima. Anche se tutto considerato è uno spettacolo che vedrei volentieri: m'in­teressa sempre vedere le cose che non conosco, adoro le novità. Ciao Silvana. (Depone la cornetta e fa subito un altro numero) Ciao Francesca, sono Massimo Boh, così, come vuoi che vada? no, non sono di ottimo umore, te­soro... Perché? Beh, sai... Ho riflettuto a lungo, ci ho pen­sato su parecchio ma non riesco a decidere chi sia più stronzo di loro due, se Giulio o Bruno.. Mi hanno mas­sacrato tutto il testo, di quello che ho scritto io ci de­v'essere rimasto pochino. La mia era la storia di un attore brillante che aveva un nonno nano e una nonna donna cannone... via l'attore, via il nano, via anche il can­none... Ma cosa vuoi che protesti cara, fanno quello che gli pare. Se protesti diventi anche patetico, rompicoglioni: « Lo vedi che è meglio mettere in scena gli autori morti che almeno quelli non vengono qui a controllare se gli to­gli una virgola? ». ... L'avrò sentita mille volte questa fra­se. Sono un autore italiano, Francesca, è come essere un negro in Sud Africa. In questo paese di zelanti garan­tisti gli unici a non essere mai garantiti siamo noi. Ma quale sindacato, non scherziamo!... No, non vado a veder le prove, per carità: mi hanno pregato di andarci, insi­stono, continuano a telefonarmi: vieni Massimo, vieni, perché non vieni... No, non ci vado: voglio risparmiarmi delle incazzature... Eh? ...conoscendoli non dovevo dargli il mio testo? ... tesoro, oggi se vuoi lavorare non puoi permetterti di avere delle pregiudiziali verso i cretini... Hanno vinto loro. Macché vinto, stravinto. Oggi abbia­mo lo Stupid Power. Ma poi, cosa vuoi, è un testo che avevo nel cassetto da quindici anni, lo avevo offerto a tutti gli stabili, a tutte le compagnie primarie, a tutte le cooperative, ai gruppi amatoriali... Non so se sia un gros­so testo, forse no... ma neanche Giulio è un grosso at­tore e nemmeno Bruno è un grosso regista... Certo, pia­cerebbe anche a me scrivere qualcosa di definitivo, di importante... Mi piacerebbe sai cosa? mi piacerebbe scri­vere di quest'epoca, di questi giorni che facciamo finta di vivere, dell'idiozia che monta... ma poi mi domando: scrivere per chi? ha un senso oggi mettersi lì a inventare, a scrivere... per chi?... i posteri sono lontani, non hanno una faccia... i contemporanei invece le facce ce l'hanno e che facce! hai mai girato in macchina per Milano il sa­bato sera? hai visto le facce? Mah... l'unica cosa che non mi manca in questo momento è la sfiducia. Ho una sfi­ducia incrollabile. Ah, ieri è venuta a trovarmi una specie di giornalaia per farmi un'intervista. Sai una di quelle bambocce slavate che possiedono una sola espressione: gli occhi sempre spalancati, fissi sull'ovvio, la bocca soc­chiusa, credo per far passare l'aria, i capelli alla Joan Baez... camminano un po' rigide, la pancia in fuori, tra­scinando le gambe stanche: sembra sempre che siano ap­pena arrivate fin qui da San Francisco, a piedi... e invece hanno preso il tram in via Torino anche loro, come tutti... Di quelle che vogliono farti credere che sanno tutto e non sanno nemmeno che trenta giorni ha novembre con aprii giugno e settembre... Mi ha chiesto, l'oca: « Cosa ha voluto dire lei con questo suo nuovo lavoro? ».

« Cosa avrei voluto dire, cara... »

Mi ha guardato imbambolata: « Come avrei? perché? » « Perché la gamba l'è atacada al pè... » Eh sì, non ho resistito. Forse avrei dovuto darle una spiegazione meno razionale ma non ce l'ho fatta. Ah, un'altra cosa: m'han­no tagliato anche una canzoncina a cui tenevo abbastan­za... Bruno sostiene che non funziona perché oggi l'im­pegno ideologico è sputtanato, dice che non gliene frega più niente a nessuno sapere da che parte stai, che tutti pensano solo alla carriera, al modo di farla il più in fretta possibile e con minor fatica, ai soldi, a scopare... Mi dispiace perché in fondo a suo modo era una can­zone d'amore... Se vuoi, se hai la pazienza di star lì te la canto io... sono un esibizionista, lo sai...

(Canta)

Hanno detto che ormai non vai più bene

che non ti si deve più usare

come un abito di Missoni o di Versace

buono solo per un paio di stagioni,

ti hanno scacciato dai salotti in voga

non vieni più invitato ai party chic:

povero Lenin

povero Lenin

e pensare che tu l'hai fatta sul serio

la rivoluzione.

Povero Lenin

che malinconia

nel vederti trattato come un capo...

capo d'alta moda.

È bastato che un indossatore

dicesse a tutti che non sei più in

come fare la dieta macrobiotica

o andare per Natale alle Seychelles

e anche chi ti custodiva in casa

ti ha ripudiato e messo su in solaio…

povero Lenin

povero Lenin

e loro credono di farla sul serio

la rivoluzione

poveri coglioni

poveri coglioni

no non sei tu quello da sbatter via

ma questi anni coglioni.

Ciao Francesca... no, no, non ci sarò alla prima. Anche se tutto considerato è uno spettacolo che vedrei volen­tieri: m'interessa sempre vedere le cose che non co­nosco, adoro le novità... ma rinuncerò a questo piace­re... ciao Francesca... (Esce)

(La scena cambia: è la sera della prima. Nel camerino di Giulio, vicino al palcoscenico, Aldo vestito di blu si sta guardando allo specchio. Si liscia i capelli, si ag­giusta il cravattino. Passa un macchinista. Entra fret­tolosamente Giulio: va a prepararsi dietro a un para­vento)

Giulio             Tu sei già pronto, Aldo? ma quanto manca?

Aldo   Hanno dato il quarto d'ora cinque minuti fa...

Giulio             Io non ho sentito... (Aldo esce) Forse abbiamo sbagliato tutto, Bruno... (Si sta cambiando dietro al pa­ravento: si scorge solo il busto, si sta annodando una cravatta) Ma adesso ormai è troppo tardi per rime­diare... Tra l'altro proprio ieri, pensa, alla generale, m'è venuta un'idea stupenda: un personaggio che in teatro non è stato fatto quasi mai, che mi è congeniale, sem­bra che sia stato scritto per me, è nelle mie corde: Dio... Ah, se ci avessi pensato prima... Avevo quattordici anni, ero alto, forte e robusto... quando presi il coraggio a due mani e dissi a mio padre... Già, ma il papà di Dio chi è?... dunque il figlio va bene, la moglie... è un po' incasinata come famiglia... Non è una famiglia di gente normale... Va be' tanto ormai non c'è più tempo... M'han detto che Massimo è venuto, l'hanno visto giù al bar... Poco carino però, poteva fare un salto su a salutare... santo cielo per quelle quattro modifiche che abbiamo fatto!... No, ma credi: non si possono mettere in scena gli autori viventi... è molto meglio metter su i morti almeno non vengono a controllare se gli hai cambiato una virgola... Senti, cosa dici tu, piacerà al pubblico sta  roba?... Mi è sembrato che Aldo fosse un po' teso, no?... e tu?... sei emozionato, Bruno?... Io... io non so...

Voce del direttore di scenaChi è di scena... chi è di scena...

Giulio             (esce da dietro al paravento: ha un gonnellino scoz­zese con spilla, giacca, camicia, cravatta)

Ci siamo... ciao Bruno.. tanta merda...

(Accavalla le dita per scaraman­zia, poi si segna e mentre la musica attacca la canzone dell'inizio esce: esce di scena nella realtà ed entra in scena nella finzione)