Al pappagallo verde

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AL PAPPAGALLO VERDE

AL PAPPAGALLO VERDE

Commedia in un atto

di ARTURO SCHNITZLER

Tradotto da Ada Salvatore

PERSONAGGI

EMILIO, duca di Cadignan

FRANCESCO, vi­sconte di Nogeant

ALBINO, cavaliere de la Tre­molile

Il marchese de LANSAC

SEVERINA, sua moglie

ROLLIN, poeta

PROSPERO, taver­niere ed ex-capocomico

ENRICO,

BALDAS­SARRE,

GUGLIELMO,

SCEVOLA,

STEFANO,

MAURIZIO,

GIORGINA,

MICHETTE,

FLIPOTTE attori della sua compagnia

LEOCADIA, attrice, moglie d'Enrico

GRASSET, filosofo

LEBRET, sarto

GRAIN, vagabondo

Il Commissario

Nobili - commedianti - attrici – borghesi

A Parigi, la sera del 14 Luglio 1789, nella cantina di Prospero

Commedia formattata da

Sala della taverna a Al Pappagallo Verde ».

Una cantina non troppo grande, nella quale si scende mediante sette gradini a destra, piut­tosto in fondo. Al sommo di questa scaletta è la comune. Una seconda porta appena visibile è nel fondo a sinistra. Molti rozzi tavolini di le­gno, con sedie intorno. A destra, nel mezzo, il banco per lo spaccio del vino, dietro al quale sono disposte varie botti con le loro cannelle. La stanza è rischiarala da lampade ad olio che pendono dal soffitto.

SCENA PRIMA Il taverniere Prospero. Entrano i borghesi Le­bret e Grasset.

Grasset                          - (ancora sui gradini) Vieni, Lebret. Conosco il luogo. Il mio vecchio amico e di­rettore ha sempre qualche botte nascosta, anche se tutta Parigi muore di sete.

Il Taverniere                  - Buona sera, Grasset! Ti si ri­vede? L'hai smessa con la filosofia? Hai vo­glia di farti nuovamente scritturare da me?

Grasset                          - Sì, proprio! Ora porta del vino. Io sano l'avventore e tu il cantiniere.

Il Taverniere                  - Vino? E dove vuoi che ne prenda? Stanotte hanno saccheggiato tutti gli spacci di vino di Parigi; e scommetto che tra i saccheggiatori c'eri anche tu.

Grasset                          - Qua il vino! Per la marmaglia che sarà qui tra un'ora... (tendendo l'orecchio) Odi nulla, Lebret?

Lebret -                         - Sento come un tuono lontano.

Grasset                          - Bravo. Borghesi di Parigi... (a Pro­spero) Dunque, per la marmaglia ne hai cer­to in serbo. Mettilo fuori. Il mio amico ed ammiratore Lebret, sarto della via S. Ono­rato, paga tutto.

Lebret                           - Certo, certo: pago!

Il Taverniere                  - (esito).

Grasset                          - - Su, mostragli che hai del denaro, Lebret.

Lebret                           - (tira fuori la borsa).

Il Taverniere                  - Beh, voglio vedere se... (cuva lo zaffo alla cannella di una botte e riempie due bicchieri) Donde vieni, Grasset? Dal Pa­laia Royal?

Grasset                          - Precisamente. Ho tenuto un di­scorso. Sì, mio caro: adesso tocca a me. Sai dopo chi ho parlato?

Il Taverniere                  - Dopo chi?

Grasset                          - Dopo Camillo Desmoulins! Sì, ho avuto quest'ardire! E di' tu, Lebret, chi dei due ha ottenuto maggior successo: Desmou­lins o io?

Lebret                           - Tu... senza dubbio.

Grasset                          - E come mi sono comportato?

Lebret                           - Magnificamente!

Grasset                          - Lo senti, Prospero? Sono salito su una tavola... Avevo l'aria di un monumento! Sì... e tutte quelle mille, cinquemila, dieci­mila persone mi si sono affollate intorno; tal quale come avevano fatto poco prima con Camillo Desmoulins... e mi hanno acclamato!

Lebret                           - Erano acclamazioni più vivaci.

Grasset                          - Sì... Non molto, ma lo erano. E ora corrono tutti alla Bastiglia... e posso dirlo: hanno seguito il mio incitamento. Ti giuro che prima di sera l'avremo.

Il Taverniere                  - Sì, sì... Se le mura crollas­sero per i vostri discorsi!

Grasset                          - Cosa dici?... Discorsi? Sei sordo? Ora si spara! Vi sono i nostri bravi soldati. Sono anch'essi - come noi - furibondi con­tro quella maledetta prigione. Essi sanno che in quelle mura sono rinchiusi i loro fratelli e i loro padri... Ma forse non sparerebbero, se noi non avessimo parlato. Mio caro Pro­spero, la forza dello spirito è grande qui!... (a Lebret) Dove hai gli opuscoli?

Lebret                           - Tieni... (trae di tasca degli opuscoli).

Grasset                          - Questi sono gli opuscoli recentissimi che si stanno distribuendo al Palais Royal. Eccone uno del mio amico Cerutti: « Prome­moria per il popolo francese »; ed eccone un altro del Desmoulins, che certamente parla meglio di come scrive; « La Francia libera ».

Il Taverniere                  - Quando viene fuori il tuo, del quale parli sempre?

Grasset                          - Non occorre più! E' giunta oramai l'ora dell'azione. Chi se ne sta oggi fra quat­tro pareti è una canaglia: chi è uomo deve uscire in istrada!

Lebret                           - Bravo! Bravo!

Grasset                          - A Tolone hanno ammazzato il bor­gomastro; a Brignolles hanno saccheggiato una dozzina di case... Solo noi, qui a Parigi, sopportiamo ancora tutto.

Il Taverniere                  - Questo ormai non si può più dire.

Lebret                           - (che ha continuato a bere) Su, bor­ghesi, su!

Grasset                          - Su!... Chiudi anche tu la tua bot­tega evientene con noi!

Il Taverniere                  - Verrò quando .sarà tempo.

Grasset                          - Cioè quando non vi sarà più pe­ricolo!

Il Taverniere                  - Mio caro, amo la libertà come l'ami tu; ma ho la mia vocazione anzitutto.

Grasset                          - Per i borghesi di Parigi ora non c'è che una vocazione sola: liberare i fratelli.

Il Taverniere                  - Sì, per quelli che non hanno altro da fare!

Lebret                           - Cosa dice? Intende forse schernirci?

Il Taverniere                  - Neanche per sogno!... Pen­sate piuttosto ad andarvene adesso: tra poco comincia la mia rappresentazione; non ho bisogno di voi.

Lebret                           - Che rappresentazione? C'è un tea­tro qui?

Il Taverniere                  - Certo! Questo è un teatro. Il vostro amico (indicando Grasset) ne faceva parte non più tardi di due settimane fa.

Lebret                           - Hai recitato qui, Grasset?... Perché ti lasci impunemente schernire da questo furfante?

Grasset                          - Calmati... E' vero: ho recitato qui, perché non è un'osteria delle solite... E' un ritrovo di delinquenti. Vieni, ora...

Il Taverniere                  - Prima bisogna pagare.

Lebret                           - Se questo è un ritrovo di delinquenti, non pago neanche un soldo.

Il Taverniere                  - (a Grasset) Via, spiega al tuo amico dove si trova.

Grasset                          - E' un posto strano! Qui viene della gente che fa la parte di delinquente, e ven­gono poi altri che lo sono senza saperlo.

Lebret                           - Davvero?

Grasset                          - Ti faccio notare che ciò che ho det­to ora è molto spiritoso; potrebbe far la fortuna di un intero discorso.

Lebret                           - Non capisco nulla di quanto dici.

Grasset                          - T'ho già detto che Prospero era il mio capocomico. Ed egli seguita a recitare con la sua compagnia, ma in modo diverso da prima. I miei colleghi e le mie colleghe d'un tempo siedono qui intorno e si fingono delinquenti. Capisci? Raccontano delle sto­rie raccapriccianti che non sono loro mai accadute; parlano di misfatti che non hanno mai commessi... ed il pubblico che viene qui ha il piacevole solletico di stare tra la cana­glia più pericolosa di Parigi; fra truffatori, scassinatori, assassini, e...

Lebret                           - Che pubblico?

Il Taverniere                  - Il più elegante di Parigi.

Grasset                          - Nobili...

Il Taverniere                  - Gentiluomini di Corte...

Lebret                           - Tutti alla forca!

Grasset                          - E' ciò che ci vuole per loro. Questo scuote i loro sensi intorpiditi. Qui ho esor­dito, Lebret. Ho pronunciato qui il mio pri­mo discorso, come per ischerzo... e qui ho ^cominciato a odiare i cani che venivano a sedersi fra noi, coi loro bei vestiti, tutti li­sciati e profumati... E mi fa piacere, mio buon Lebret, che tu possa vedere una volta il posto da cui ha mosso i primi passi il tuo grande amico, (cambiando tono) Di', Prospero, se la cosa andasse male...

Il Taverniere                  - Quale cosa?

Grasset                          - Ma... la mia carriera politica... Mi scrittureresti nuovamente?

Il Taverniere                  - Neanche per idea!

Grasset                          - E perché? Potrebbe anche primeg­giare un altro, accanto al tuo Enrico!

Il Taverniere                  - A prescindere da ciò... Ho paura che potresti qualche volta dimenticare che reciti, e piombare sul serio su uno dei miei clienti che pagano.

Grasset                          - (lusingato) Infatti, potrebbe acca­dere.

Il Taverniere                  - Io... io so dominarmi.

Grasset                          - Veramente, Prospero, debbo dirti che ti dovrei ammirare per il tuo dominio su te stesso, se non sapessi che sei un vile.

Il Taverniere                  - Senti, caro mio, a me basta ciò che posso fare nel mio genere. Mi fa ab­bastanza piacere poter spifferare la mia opi­nione in faccia a quei mascalzoni e insultar­li a cuor leggero, mentre essi ritengono che sia una celia. E' un modo come un altro di sfogare la mia rabbia, (trae un pugnale e lo fa luccicare).

Lebret                           - Taverniere Prospero, che vuol dir questo?

Grasset                          - Non aver paura: scommetto che il pugnale non è neanche affilato!

Il Taverniere                  - Potresti anche ingannarti, amico mio; può venire il giorno in cui lo scherzo diventa serio; ed io, ad ogni buon conto, sono preparato.

Grasset                          - Il giorno è vicino. Viviamo in una epoca grande. Vieni, amico Lebret, andia­mo dai nostri. Addio, Prospero. Mi rivedrai un grand'uomo o mai più.

Lebret                           - (barcollando) Un grand'uomo... o... mai più... (escono).

Il Taverniere                  - (rimasto solo, siede su una ta­vola, apre un opuscolo e legge a mezza voce) « Ora che la bestia è presa al laccio, stran­golatela! » Non scrive male, il piccolo Desmoulins. « Mai si offrì più cospicuo bottino ai vincitori. Quarantamila palazzi e castelli, due quinti di tutti i beni di Francia, saranno il compento del loro valore. Quelli che ai credono i conquistatori saranno soggiogati: la nazione sarà purificata ».

SCENA SECONDA Il Taverniere - Il Commissario

{Entra il Commissario).

Il Taverniere                  - (squadrandolo) Beh! La ca­naglia comincia per tempo oggi a venire?

Il Commissario              - Mio caro Prospero, non fate lo spiritoso con me. Sono il Commissa­rio della vostra circoscrizione.

Il Taverniere                  - E in che posso servirvi?

Il Commissario              - Ho avuto l'ordine di tra­scorrere la serata nel vostro locale.

Il Taverniere                  - Sarà un onore speciale per me.

Il Commissario              - Non è per questo, mio ot­timo Prospero. Le Autorità vogliono venire in chiaro di quanto succede da voi. Da al­cune settimane...

Il Taverniere                  - E' un locale di divertimento signor Commissario, nient'altro.

Il Commissario              - Lasciatemi finire. Pare che da qualche settimana questo locale sia il tea­tro di orge sfrenate.

Il Taverniere                  - Siete male informato, signor Commissario. Qui non si fanno che delle beffe.

Il Commissario              - Si comincia con questo, lo so. Ma va a finire diversamente, secondo il mio rapporto. Siete stato commediante, voi?

Il Taverniere                  - Capocomico, signor commis­sario; direttore di un'ottima compagnia che ha recitato ultimamente a Denis.

Il Commissario              - Questo non m'interessa. Poi avete avuto una piccola eredità?

Il Taverniere                  - Non vale la pena di parlarne, signor Commissario.

Il Commissario              - La vostra compagnia si è sciolta?

Il Taverniere                  - La mia eredità si è dileguata.

Il Commissario              - (sorridendo) Benissimo. (sorridono entrambi. Poi, subito serio) Ave­te messo su un commercio di vino?

Il Taverniere                  - Che è andato miseramente.

Il Commissario              - Dopo di che avete concepito un'idea alla quale non si può negare una certa originalità.

Il Taverniere                  - Mi rendete orgoglioso, signor Commissario.

Il Commissario              - Avete radunato nuovamen­te la vostra compagnia e le fate recitare qui una commedia singolare, non priva di so­spetto.

Il Taverniere                  - Se non fosse così, signor Com­missario, non avrei il mio pubblico... posso ben dire il pubblico più aristocratico di Parigi. Il Visconte di Nogeant è qui ogni sera; il Marchese di Lansac viene spesso; e il Duca di Cadignan, signor commissario, è il più fervido ammiratore del mio primo at­tore, il celebre Enrico Baston.

Il Commissario              - E anche dell'arte o delle arti delle vostre attrici.

Il Taverniere                  - Se conosceste le mie piccole attrici, signor Commissario, non dareste torto ai loro ammiratori.

Il Commissario              - Basta. E' stato riferito all'autorità che i trattenimenti che i vostri... come debbo dire?

Il Taverniere                  - La parola « artisti » sarebbe giusta.

Il Commissario              - Mi deciderò per la parola oc figuri ». Dunque, che i trattenimenti offer­ti dai vostri figuri oltrepassano in ogni senso i limiti del lecito e dell'onesto. Pare che qui siano stati tenuti dei discorsi, dai vostri - come dire? dai vostri falsi delinquenti, che - come dice il mio rapporto? (legge in un taccuino) non solo sono immorali, cosa che poco c'importa; ma sono anche tali da agire in maniera superlativamente sediziosa; cosa che, nell'epoca agitata nella quale vi­viamo, non può lasciare indifferente l'au­torità.

Il Taverniere                  - Signor Commissario, non posso rispondere a quest'accusa che invi­tandovi cortesemente ad assistere voi stesso allo spettacolo. Vi renderete conto, così, che qui non succede nulla di sovversivo: anche per il motivo che il mio pubblico non si la­scerebbe sobillare. Qui si recita: ecco tutto.

Il Commissario              - Naturalmente non accetto il vostro invito, poiché resterò qui in forza del mio mandato.

Il Taverniere                  - Credo di potervi promettere il miglior trattenimento possibile. Ma mi per­metto di consigliarvi di togliervi la divisa e di venire in abito borghese. Se si vedesse qui un commissario in uniforme ne soffrirebbe sia la spontaneità dei miei artisti, sia la cordialità del pubblico.

Il Commissario              - Avete ragione, signor Pro­spero. Me ne vado e tornerò vestito dia gio­vanotto elegante.

Il, Taverniere                 - Vi sarà cosa facile, signor Commissario. Anche vestito da furfante sa­reste il benvenuto e non dareste nell'occhio. Purché non siate in divisa di commissario.

Il Commissario              - Arrivederci, dunque, (s'av­via per la scaletta).

Il Taverniere                  - (inchinandosi, borbotta) Quando verrà il giorno benedetto in cui con te e con i tuoi simili...

Il Commissario              - (s'incontra sulla soglia con Grain, il quale è molto cencioso e che si spaventa nello scorgerlo. Lo squadra prima, poi sorride e si volge cortese a Prospero) Già uno dei vostri artisti? (esce).

SCENA TERZA Il Taverniere - Grain

Grain                             - (parla piagnucolando e con tono pateti­co) Buona sera.

Il Taverniere                  - (dopo averlo guardato lunga­mente) Se appartieni alla mia compagnia, devo esprimerti tutta la mia ammirazione, poiché non ti riconosco.

Grain                             - Che intendete dire con questo?

Il Taverniere                  - Beh, lasciamo gli scherzi. To­gliti la parrucca: voglio sapere chi sei. (lo tira per i capelli).

Grain                             - Ahi! Ahi!

Il Taverniere                  - Questi sono capelli veri! Cor­po del diavolo!... Chi siete? Mi sembrate un vagabondo autentico.

Grain                             - Precisamente.

Il Taverniere                  - E cosa volete da me?

Grain                             - Ho l'onore di parlare col signor Pro­spero? Il taverniere del «Pappagallo verde»?

Il Taverniere                  - Per l'appunto.

Grain                             - Mi chiamo Grain... Alle volte Carniche... In molti casi « Pomice stridente »... Ma insomma, signor Prospero, fui messo in prigione sotto il nome di Grain.

Il Taverniere                  - Ah, capisco. Volete una scrit­tura da me e perciò mi recitate una parte. Benissimo. Continuate.

Grain                             - Signor Prospero, non mi prendete per un impostore. Sono un uomo d'onore. Se ho detto che sono stato in prigione, è perché questa è la pura verità.

Il Taverniere                  - (lo guarda sospettoso).

Grain                             - (traendo un foglio di tasca) Ecco, si­gnor Prospero. Da questo foglio vedrete che sono stato messo in libertà ieri die guattì pomeridiane.

Il Taverniere                  - (leggendo) Dopo la detenzione di due anni. Per Bacco, ma questo foglio è autentico!

Grain                             - Ne dubitavate ancora?

Il Taverniere                  - E cosa avete commesso per avere due anni?...

Grain                             - Mi avrebbero impiccato, se per mia fortuna non fossi stato quasi \m ragazzo quando uccisi la mia povera zia.

Il Taverniere                  - Ma cosa dite! Come diavolo si può ammazzare la propria zia!

Grain                             - Signor Prospero, non l'avrei fatto, se ella non mi avesse tradito col mio migliore amico.

Il Taverniere                  - Vostra zia?

Grain                             - Sì... Ella mi... interessava un po' più di quanto di solito le zie interessino i loro nipoti. Erano delle relazioni famigliari un po' speciali... Vi assicuro che ero amareg­giato, molto amareggiato... Volete che vi racconti?

Il Taverniere                  - Raccontate pure: forse potre­mo combinare qualcosa.

Grain                             - Mia sorella era ancora quasi una bam­bina quando scappò di casa... indovinate con chi?

Il Taverniere                  - E' difficile indovinare.

Grain                             - Con suo zio, il quale poi la piantò in asso, con un bambino per giunta.

Il Taverniere                  - Sentite, « Pomice Stridente », voglio dirvi una cosa. I vostri affari di fa­miglia mi annoiano. Credete che io stia qui per farmi raccontare da qualunque straccio­ne che passa chi ha ammazzato? Cosa m'im­porta tutto questo? Suppongo che vogliate qualche cosa da me...

Grain                             - Sì, signor Prospero, sono venuto a chiedervi del lavoro.

Il Taverniere                  - (sarcastico) Vi faccio osser­vare che da me non vi sono zie da ammazza­re: questo è un locale di divertimento.

Grain                             - Oh! Quello mi è bastato farlo una volta. Ora voglio diventare un uomo dab­bene. Mi hanno diretto da voi...

Il Taverniere                  - Chi, se è lecito?

Grain                             - Un simpatico giovanotto che fu rin­chiuso nella mia cella tre giorni fa. Ora è ri­masto solo. Si chiama Gastone... Voi lo co­noscete.

Il Taverniere                  - Gastone? Ora capisco perché manca da tre sere! Uno dei miei migliori ar­tisti per rappresentare I borsaiuoli. Raccontava debile storie... Ah, c'era da rimanerne impressionati!

Grain                             - Già... Ed ora l'hanno acchiappato.

Il Taverniere                  - Acchiappato? Ma non ru­bava mica sul serio!

Grain                             - - Vi dico di sì. Ma dev'essere stata la prima volta, perché mi pare che abbia agito con una incredibile inesperienza. Figuratevi: (confidenziale) sul Boulevard des Capueines ba messo semplicemente la mano in tasca ad una signora, per trarne fuori la borsetta. Un vero dilettante! Voi m'ispirate fiducia, signor Prospero: ebbene, voglio confessarvi che c'è stato un tempo in cui facevo dei gio­chetti di questo genere; mai senza il mio caro papà, però! Ero ancora un bambino, allora; vivevamo tutti uniti... la mia povera zia vi­veva ancora...

Il Taverniere                  - Cosa vi lamentate adesso? Trovo questo di pessimo gusto! Non dovevate rimpiazzarla!

Grain                             - Troppo tardi! Ma ecco cosa volevo dirvi. Accoglietemi presso di voi... Voglio percorrere il cammino inverso di quello di Gastone. Egli ha cominciato col recitare la parte del delinquente e lo è divenuto; io in­vece...

Il Taverniere                  - Voglio mettervi alla prova. Reciterete staserà vestito così, come vi tro­vate. E a un dato momento, racconterete senz'altro la storia della zia. Direte come si svolse. Ci sarà ben qualcuno che vorrà inter­rogarvi.

Grain                             - Vi ringrazio, signor Prospero. E in quanto al mio stipendio...

Il Taverniere                  - Oggi recitate per farvi scrit­turare; quindi non posso ancora darvi stipendio. Avrete da mangiare e da bere... e non baderò a un paio di franchi per trovarvi un giaciglio.

Grain                             - Grazie. Ed agli altri vostri attori, pre­sentatemi semplicemente come un avventore della provincia.

Il Taverniere                  - Ah, no!... A quelli diremo subito che siete un assassino autentico. Farà loro più piacere.

Grain                             - Scusate... Io non voglio certo andare contro i miei interessi, ma questo, in verità, non lo capisco.

Il Taverniere                  - Quando sarete stato un po' di tempo nel teatro, lo capirete facilmente. (Entrano Scevola e Giulio).

 SCENA QUARTA Detti - Scevola - Giulio

Scevola                         - Buona sera, direttore!

Il Taverniere                  - Taverniere!... Quante volte devo ripeterti che va a monte tutta la beffa se mi chiami « direttore »?

Scevola                         - Comunque ti chiami, io credo che oggi non si reciterà.

Il Taverniere                  - Perché mai?

Scevola                         - Ma perché la gente non avrà vo­glia. C'è un baccano d'inferno nelle strade; e specialmente davanti alla Bastiglia: gri­dano come ossessi.

Il Taverniere                  - Cosa ce ne importa? E' da tanti mesi che strepitano, e il nostro pubblico non ha mai mancato. Si diverte come prima.

Scevola                         - Sicuro: ha l'allegria della gente che sta per essere impiccata.

Il Taverniere                  - Potessi vivere tanto da ve­derlo!

Scevola                         - Per ora dacci da bere. Ho bisogno di montarmi. Non sono proprio in vena, oggi.

Il Taverniere                  - Ti succede spesso, mio caro. Devo anzi dirti che ieri fui proprio scon­tento di te.

Scevola                         - Come mai, se è lecito?

Il Taverniere                  - Il fattaccio che hai imba­stito, di quello scasso, era semplicemente stucchevole.

Scevola                         - Stucchevole?

Il Taverniere                  - Sì; assolutamente inverosi­mile. Non basta, sai, ruggire!

Scevola                         - Non ho ruggito.

Il Taverniere                  - Ruggisci sempre. Bisognerà proprio che io ripassi le parti con voialtri. Non ci si può fidare delle vostre improvvisazioni. Enrico è l'unico.

Scevola                         - Enrico, sempre Enrico! Pare che non ci sia che lui, di attori. Lo scasso di ieri sera era un capolavoro. Un caso simile, En­rico non è capace di metterlo assieme in tutta la sua vita. Del resto, caro mio, se non ti contento, passo senz'altro ad un teatro rego­lare. Tanto, qui è un sudiciume... Ah! (si accorse di Grain) Chi è costui? Non è dei nostri? Hai scritturato uno nuovo? E cosa deve rappresentare quel furfante?

Il Taverniere                  - Calmati. Non è un artista di professione. E' un assassino autentico.

Scevola                         - Davvero!... (va verso Grain) Lietis­simo di conoscervi. Mi chiamo Scevola.

Grain                             - Ed io Grain.

                                      - (Giulio, in tutto questo tempo, ha girato per la cantina, fermandosi qualche volta, come in preda a un turbamento interiore).

Il Taverniere                  - Cos'hai, tu, Giulio?

Giulio                            - Ho dei rimorsi di coscienza. Si; oggi rappresento uno che è dilaniato dai rimorsi. Guardami. Che ne dici della ruga qui sulla fronte? Non sembra come se tutte le furie dell'inferno... (va su e già).

Scevola                         - (ruggendo)             - - Del vino! Vino qua!

Il Taverniere                  - Calmati... Non c'è ancora nessuno. (Entrano Enrico e Leocadia).

SCENA QUINTA Detti - Enrico - Leocadia

Enrico                           - Buona sera! (saluta quelli che sono seduti in fondo con un lieve cenno della ma­no) Buona sera, signori miei!

Il Taverniere                  - Buona sera, Enrico. Cosa vedo! Con Leocadia!

Grain                             - (che ha osservato attentamente Leocadia, a Scevola) Quella lì la conosco... (seguita a parlare con lui sommessamente).

Leocadia                       - Sì, caro Prospero, sono io!

Il Taverniere                  - E' un anno che non ti vedo. Lascia che ti saluti, (vuol baciarla).

Enrico                           - Smettila! (il suo sguardo si posa spesso su Leocadia con orgoglio e con pas­sione, ma anche con una certa angoscia).

Il Taverniere                  - Via, Enrico! Fra antichi col­leghi... Il tuo direttore di una volta, Leocadia!

Leocadia                       - Dove son più quei tempi, Prospero

Il Taverniere                  - Perché sospiri? Se c'è una che ha fatto la propria strada, sei proprio tu! Certo, per una bella giovine, la cosa è più facile che per noi!

Enrico                           - (rabbioso) Smettila, t'ho detto!

Il Taverniere                  - Perché gridi sempre così con me? Forse perché ti sei nuovamente unito con lei?

Enrico                           - Taci una volta! Da ieri è mia moglie.

Il Taverniere                  - Tua...? (a Leocadia) Vuole scherzare?

Leocadia                       - Mi ha sposata davvero. Sì.

Il Taverniere                  - Allora mi congratulo. Scevo­la, Giulio! Sapete? Enrico s'è ammogliato.

Scevola                         - (avanzandosi) I miei auguri, (striz­za l'occhio a Leocadia).

Giulio                            - (stringe la mano ad entrambi).

 Grain                            - (al taverniere) Che cosa strana, però! Ho visto questa donna... L'ho vista pochi mi­nuti dopo che. ero stato messo in libertà.

Il Taverniere                  - E come mai?

Grain                             - E' stata la prima bella donna che ho visto dopo due anni. La cosa mi ha fatto im­pressione. Ma era con un altro signore che... (continua a parlare col taverniere).

Enrico                           - (ad alta voce, come esaltato, ma non declamando) Leocadia! Amante mia! Mo­glie mia!... Ora tutto il passato è abolito. In un momento simile molte cose si cancellano. (Scevola e Giulio sono andati verso il fondo. Il taverniere viene avanti).

Il Taverniere                  - Di quale momento parli?

Enrico                           - Ora siamo uniti con un vincolo sa­cro. Questo vale più di tutti i giuramenti umani. Ora c'è Dio sopra di noi; e tutto quel­lo che è accaduto prima deve essere dimen­ticato. Leocadia, è una nuova èra che s'inizia per noi. Ora tutto diventa sacro; anche i no­stri baci, pei- quanto siano brutali, da ora in poi sono santi. Leocadia, amante, moglie mia!... (la contempla con uno sguardo ar­dente) Non ha ella una sguardo diverso, Pro­spero, da quando la conoscevi prima? Non è pura, ora, la sua fronte? Ciò che fu è can­cellato! Non è vero, Leocadia?

Leocadia                       - Certamente, Enrico.

Enrico                           - Tutto va bene adesso. Domani lasce­remo Parigi. Leocadia recita stasera per l'ul­tima volta alla Porte St. Martin, ed io recito per l'ultima volta qui.

Il Taverniere                  - (colpito) Dici sul serio, En­rico? Vuoi abbandonarmi? E il direttore del­la Porte St. Martin è tanto pazzo da lasciar partire Leocadia? E' la fortuna della sua casa! La gioventù vi affluisce, a quanto si dice.

Enrico                           - Taci. Leocadia verrà con me. Non mi lascerà mai. Dimmi che non mi lascierai mai, Leocadia... (brutalmente) Dimmelo!

Leocadia                       - Non ti lascerò mai!

Enrico                           - Se lo facessi, io ti... (pausa) Sono stanco di questa vita. Voglio la tranquillità; voglio vivere in pace.

Il Taverniere                  - Ma che vuoi fare, Enrico? E' ridicolo! Senti, ti faccio una proposta. Togli, se credi, Leocadia dalla Porte St. Mar­tin; ma falla rimanere qui, con noi. La scrit­turo. Tanto, mi mancano delle attrici intel­ligenti.

Enrico                           - La mia decisione è presa, Prospero. Lasciamo la città: ce ne andiamo in cam­pagna.

Il Taverniere                  - In campagna? Dove?

Enrico                           - Dal mio vecchio babbo, che vive solo nel nostro povero villaggio. E' da sette anni che sono lontano. Egli non sperava quasi più di rivedere il figliuol prodigo: mi acco­glierà con gioia.

Il Taverniere                  - Ma cosa diavolo farai in cam­pagna? Ci si muore di fame, sai! Si sta mille volte peggio che in città. E tu non sei dav­vero fatto per zappare la terra. Non ti illu­dere.

Enrico                           - Proverò di essere un uomo capace di fare anche quello.

Il Taverniere                  - Tra poco non crescerà più grano in tutta la Francia. Vai verso la mise­ria sicura.

Enrico                           - Verso la fortuna, Prospero. Non è vero, Leocadia? Lo abbiamo sognato tante volte! Ho la nostalgia della pace delle gran­di pianure. Sì, Prospero: nei miei sogni mi vedo errante con lei per i campi, in un silen­zio infinito; e su di noi, il magnifico cielo consolatore. Noi fuggiamo questa città terri­bile e pericolosa, e la pace immensa sarà su noi. Non è vero, Leocadia, che l'abbiamo so­gnato spesso?

Leocadia                       - Sì, lo abbiamo sognato spesso.

Il Taverniere                  - Non so davvero chi potrebbe sostituirti qui. Nessuno fra i miei attori ha delle ispirazioni così felici come le tue; nes­suno è come te prediletto dal pubblico... Non te ne andare!

Enrico                           - Oh, sono ben convinto che nessuno può sostituirmi!

Il Taverniere                  - Resta dunque con me, Enri­co! (guarda Leocadia: essa gli fa cenno che riuscirà a convincerlo).

Enrico                           - E ti assicuro che la separazione sarà penosa, per loro - per loro, non per me. Per oggi, per la mia ultima recita, ho ideato una trama che li farà rabbrividire tutti... Essi avranno come in un soffio una specie di in­tuizione della fine del loro mondo. Poiché la fine del loro mondo è prossima, sai. Io però la vedrò da lontano... Ce la racconteranno laggiù, Leocadia, molti giorni dopo che sarà avvenuta... Ma essi rabbrividiranno, stasera; te lo dico io! E tu stesso dirai: Enrico non ha mai recitato così bene.

Il Taverniere                  - Ma cosa reciterai? Che cosa? Lo sai tu, Leocadia?

Leocadia                       - Io non so mai niente.

Enrico                           - Nessuno di voi intuisce, dunque, che artista vi sia in me?

Il Taverniere                  - E' certo che lo si intuisce; ed è perciò che dico che con un simile talento non ci si va a seppellire in campagna. E' un torto che fai a te stesso e all'arte!

Enrico                           - Me ne infischio dell'arte! Voglio la pace. Tu non lo capisci, Prospero. Tu non hai mai amato.

Il Taverniere                  - Oh!

Enrico                           - Non hai mai amato come amo io. Voglio star solo con lei, ecco tutto... Soltan­to così, Leocadia, potremo dimenticare il passato. Ma allora saremo tanto felici come nessuno al mondo lo fu mai! Avremo dei bambini: tu diventerai una buona mamma, Leocadia, e una brava moglie. Tutto, tutto sarà cancellato! (una lunga pausa).

Leocadia                       - Si fa tardi, Enrico; bisogna che io vada al teatro. Addio, "Prospero. Sono con­tenta di aver visto finalmente la tua celebre taverna, dove Enrico raccoglie tanti allori.

Il Taverniere                  - Perché non sei mai venuta qui?

Leocadia                       - Enrico non ha mai voluto. Sai, a causa dei giovinotti fra i quali dovrei sedere.

Enrico                           - (è andato verso il fondo) Dammi un sorso, Scevola. (beve).

Il Taverniere                  - (a Leocadia, mentre Enrico non sente) E' un vero pazzo quell'Enrico. Ma­gari tu fossi stata sempre a sedere fra questi!

Leocadia                       - Senti, non ti permetto simili insi­nuazioni.

Il Taverniere                  - Ti consiglio di stare attenta, stupida. Una volta o l'altra ti farà la pelle!

Leocadia                       - Perché? Cosa vuoi dire?

Il Taverniere                  - Non più tardi di ieri ti han­no vista con uno dei soliti mascalzoni.

Leocadia                       - Non era un mascalzone, imbecille! Era...

Enrico                           - (volgendosi rapidamente) Cosa c'è? Non facciamo scherzi, sapete? E basta col sussurrare. Non ci sono più segreti ora. E' mia moglie.

Il Taverniere                  - Che regalo di nozze le hai fatto?

Leocadia                       - Oh, Dio! Egli non pensa a queste cose!

Enrico                           - Ebbene, lo avrai oggi stesso.

Leocadia                       - Che cosa?

Scevola e Giulio            - Che le darai?

Enrico                           - (con serietà) Quando avrai finito la tua scena, ti permetto di venire qui a veder­mi recitare.

Tutti                              - (ridono).

Enrico                           - Nessuna moglie ha mai ricevuto un più splendido dono di nozze. Vieni, Leocadia. A rivederci, Prospero. Torno tra poco. (Enrico e Leocadia escono. Immediatamente dopo entrano Francesco, visconte di Nogeant, ed Albino, cavaliere de la Tremouillè).

SCENA SESTA Il Taverniere, Scevola, Giulio, Grain, Fran­cesco, Albino.

Scevola                         - Che gran presuntuoso, però!

Il Taverniere                  - (ai sopravvenuti) Buona sera, porci.

Albino                           - (indietreggia sgomentato).

Francesco                      - (senza badarvi) Non era la pic­cola Leocadia della Porte St. Martin quella che se ne andava con Enrico?

Il Taverniere                  - Era proprio lei. Quella, vedi, è una donnina che, se volesse, potrebbe per­fino farti ricordare che puoi ancora essere un uomo.

Francesco                      - (ridendo) Non sarebbe impossi­bile. Oggi arriviamo un po' presto, mi pare?

Il Taverniere                  - Intanto, puoi ammazzare il tempo col tuo cinedo.

Albino                           - (fa per avventarsi).

Francesco                      - (trattenendolo) Lascia stare. Te l'ho detto come vanno le cose qui. (al taver­niere) Portaci del vino.

Il Taverniere                  - Subito. Verrà bene il tempo in cui vi accontenterete dell'acqua della Senna!

Francesco                      - Sicuro, sicuro! Ma per oggi vor­rei avere del vino, e del migliore.

Il Taverniere                  - (va al banco).

Albino                           - E' un individuo tremendo.

Francesco                      - Pensa che è tutto uno scherzo. Eppure vi sono dei posti dove si possono ascoltare cose simili dette sul serio.

Albino                           - Ma non è proibito?

Francesco                      - (ridendo) Come si vede che vieni dalla provincia!

Albino                           - Oh! Anche da noi se ne sono viste delle belle in questi ultimi tempi. I contadini diventano insolenti in un modo. Non si sa più come comportarsi.

Francesco                      - Cosa vuoi? La povera gente ha fame: ecco tutto.

Albino                           - E che colpa ne ho io? Cosa può farci il mio prozio?

Francesco                      - Cosa c'entra il tuo prozio?

Albino                           - C'entra, perché proprio nel nostro villaggio hanno tentato un comizio - un co­mizio pubblico, sai? ed hanno chiamato il mio prozio, il conte de la Tremouillè, ne più ne meno che usuraio del grano.

Francesco                      - Questo è tutto?

Albino                           - E ti pare poco?

Francesco                      - Domani andremo un po' al Pa­laia Royal e sentirai che discorsi immorali tengono quei tipi! Ma noi li lasciamo dire; è il meglio che si possa fare. In fondo son brava gente: bisogna lasciarli sfogare in questo modo.

Albino                           - (indicando Scevola) Chi sono quei tipi sospetti? Guarda come ci osservano, (por­ta la mano alla spada).

Francesco                      - (trattenendogli la mano) Non es­sere ridicolo! (agli attori) Non cominciate an­cora: aspettate che vi sia più pubblico, (ad Albino) Sono le persone più rispettabili del mondo; commedianti. Ti garantisco che ti sarà capitato di sedere alla stessa tavola con delinquenti assai peggiori. (Il taverniere porta il vino. Entrano Michette e Flipotte).

SCENA SETTIMA Gli stessi - Michette - Flipotte

Francesco                      - Salute, bambine! Venite qui, se­dete accanto a noi.

Michette                        - Eccoci subito. Vieni, Flipotte. (a Francesco) E' ancora un po' timida.

Flipotte                         - Buona sera, giovinotto!

Albino                           - Buona sera, signore mie!

Michette                        - E' carino il ragazzo! (siede sulle ginocchia di Albino).

Albino                           - Dunque, ti prego, Francesco; spie­gami un po': queste sono donne oneste?

Michette                        - Che sta dicendo?

Francesco                      - No; questo no. Le signore che vengono qui... Dio, quanto sei stupido, Al­bino!

Il Taverniere                  - Cosa desiderano le duchesse?

Michette                        - Portami del vino molto dolce.

Francesco                      - (a Michette, accennando Flipotte) Un'amica?

Michette                        - Abitiamo insieme. Abbiamo un solo letto per due!

Flipotte                         - (arrossendo) Ti dispiacerà molto quando verrai a trovarla? (siede sulle ginoc­chia di Francesco).

Albino                           - Non mi pare molto timida, in ve­rità!

Scevola                         - (si alza. Cupo, rivolto a Michette)             Ti ritrovo finalmente! (ad Albino) E tu, mi­serabile seduttore, bada di... Essa è mia! (Il taverniere guarda).

Francesco                      - (ad Albino) Scherzano, scher­zano...

Albino                           - Non è sua?...

Michette                        - (a Scevola) Finiscila! Lasciami se­dere dove mi fa comodo.

Scevola                         - (rimane lì coi denti stretti).

Il Taverniere                  - (dietro a lui) Via! Via!

Scevola                         - Ah, ah!

Il Taverniere                  - (afferrandolo per il bavero) Ah! Ah! (a parte) Ma non ti viene niente altro in mente? Non hai un centesimo di ta­lento! Ruggire!... Ecco l'unica cosa che sai fare.

Michette                        - (a Francesco) L'ha fatto meglio pochi giorni fa.

Scevola                         - (al taverniere) Non sono ancora ab­bastanza montato... Lo rifarò più tardi, quan­do ci sarà più gente. Vedrai, Prospero: io ho bisogno del pubblico!

SCENA OTTAVA Gli Stessi - Il duca di Cadignan

Il Duca                          - C'è già molto movimento!

                                      - (Michette e Flipotte gli vanno incontro).

Michette                        - Mio caro duca!

Francesco                      - Buona sera, Emilio... (presen­tando) Il mio giovine amico Albino, cava­liere de la Tremouille; il duca di Cadignan.

Il Duca                          - Sono lieto di conoscervi, (alle ra­gazze che gli si sono appese al braccio) La­sciatemi, bambine! (ad Albino) Venite an­che voi a vedere questa strana taverna?

Albino                           - Assai strana, veramente!

Francesco                      - Il cavaliere non è a Parigi che da pochi giorni.

Il Duca                          - (ridendo) Avete scelto un bel mo­mento!

Albino                           - Perché?

Michette                        - Che profuma ha anche oggi! In tutta Parigi non c'è un altro uomo che sap­pia così di buono, (ad Albino) Anzi, così non si sente...

Il Duca                          - Ella parla solo dei sette od ottocen­to che conosce bene come me.

Flipotte                         - Mi permetti di giocare con la tua spada? (trae la spada dal fodero e la fa scintillare).

Grain                             - (al taverniere) Con quello!... Proprio con quello lì l'ho vista, (seguita sottovoce; il taverniere lo ascolta e pare meravigliato).

Il Duca                          - Enrico non c'è ancora? (ad Albino) Quando vedrete quello, non rimpiangerete d'essere venuto qui.

Il Taverniere                  - (al duca) Ah, ci sei anche tu? Mi fa piacere. Ma non durerà più molto, sai, il divertimento.

Il Duca                          - Perché? A me piace venire qui.

Il Taverniere                  - Lo credo. Ma poiché sarai senza dubbio uno dei primi...

Albino                           - Che significa ciò?

Il Taverniere                  - (sempre al duca) Tu mi ca­pisci bene. I più felici saranno i primi... (va verso il fondo).

Il Duca                          - (dopo riflessione) Se fossi re, ne farei il mio buffone di corte; o meglio, ter­rei molti buffoni, e questo farebbe parte del­la masnada.

Albino                           - Che cosa ha inteso dire, affermando che siete troppo felice?

Il Duca                          - Ha inteso dire, caro cavaliere...

Albino                           - Vi prego, non mi chiamate cavalie­re. Tutti mi chiamano Albino, semplicemente Albino, perché ho l'aria così giovane.

Il Duca                          - (sorridendo) Bene... ma allora voi dovete chiamarmi Emilio, vero?

Albino                           - Volentieri, Emilio, se lo permet­tete.

Il Duca                          - Questa gente diventa spiritosa in una maniera inquietante.

Francesco                      - Perché mai? Invece, ciò mi tran­quillizza molto. Finché la marmaglia è di­sposta a celiare, vuol dire che non vi è nulla di serio.

Il Duca                          - Sì; ma vi sono dei motti di spirito un po' troppo spinti. Oggi poi ho saputo un'altra cosa che dà da pensare.

Francesco                      - Raccontate.

Flipotte e Michette       - Sì, racconta, caro duca!

Il Duca                          - Conoscete Lalange?

Francesco                      - Sicuro: il villaggio dove il mar­chese di Monferrato possiede una delle sue più belle riserve di caccia.

Il Duca                          - Precisamente. Mio fratello è in questi giorni con lui nel suo castello, e mi scrive appunto ciò che voglio raccontarvi. A Lelange vi è un borgomastro che non è troppo ben visto!

Francesco                      - Se riuscite a nominarmene uno che sia ben visto!

Il Duca                          - State a sentire. Allora le donne del paese sono andate davanti alla sua casa con una cassa da morto...

Flipotte                         - Come? L'hanno portata loro stes­se? Hanno portato una cassa da morto? Ah! Non trasporterei una cassa dà morto nem­meno se mi coprissero d'oro!.

Francesco                      - Sta zitta. Nessuno ti chiede di trasportarne una (Al Duca) Dunque?

Il Duca                          - Alcune delle donne sono salite nella casa del borgomastro e gli hanno di­chiarato che doveva morire; ma che gli avrebbero fatto l'onore di seppellirlo.

Francesco                      - Ebbene? L'hanno ammazzato?

Il Duca                          - No; per lo meno, mio fratello non me ne dice nulla.

Francesco                      - Lo vedete!... Chiacchieroni, buffoni: ecco che cosa sono. Oggi, tanto per cambiare, gridano contro la Bastiglia, come hanno già fatto una mezza dozzina di volte...

Il Duca                          - Ebbene: se fossi io il re, avrei fat­to terminare questo chiasso da un pezzo...

Albino                           - E' vero che è tanto buono il re?

Il Duca                          - Non siete ancora stato presentato a Sua Maestà?

Francesco                      - Il cavaliere viene a Parigi per la prima volta.

Il Duca                          - Infatti, siete incredibilmente gio­vine. Che età, se è lecito domandarlo?

Albino                           - Ho l'aria anche più giovine di quel che sono; ma ho già diciassette anni.

Il Duca                          - Diciassette! Quanta vita avete di­nanzi! Io ne ho ventiquattro... Comincio a rimpiangere quanta parte della mia giovi­nezza ho già perduta.

Francesco                      - Questa è buona! (ride) Per voi, duca... per voi è perduta ogni giornata nella quale non avete conquistato una donna o pugnalato un uomo.

Il Duca                          - Il male è che non si conquista mai la migliore e non si ammazza sempre il peg­giore. E così si sciupa la gioventù. E' proprio come dice Rollili...

Francesco                      - Che dice Rollin?

Il Duca                          - Nel suo nuovo dramma che danno alla Comédie, c'è una graziosa similitudine. Non la ricordate?

Francesco                      - Non ho memoria per i versi.

Il Duca                          - - Purtroppo neanch'io.. Ricordo solo il concetto... Dice: la gioventù che non si gode è come un volano che si lascia sulla terra invece di lanciarlo in aria.

Albino                           - (saputello) Lo trovo molto ben detto.

Il Duca                          - Non è vero? Le piume gradata­mente si scolorano e cadono; o, meglio an­cora, il volano cade in un cespuglio dove non si ritrova più.

Albino                           - Come bisogna intendere ciò, Emi­lio?

 Il Duca                         - Bisogna sentirlo... Del resto, se sapessi ripetervi i versi, lo capireste subito.

Albino                           - Mi pare, Emilio, che sapreste an­che scrivere dei versi, voi, se voleste.

Il Duca                          - Perché?

Albino                           - Da quando siete qui mi sembra... è come se la vita divampasse.

Il Duca                          - (sorridendo) Davvero? Divampa?

Francesco                      - Non volete decidervi a sedere con noi?

                                      - (Intanto entrano due aristocratici e siedono discosto, ad un'altra tavola. Pare che il ta­verniere dica loro delle insolenze).

Il Duca                          - Non posso restare. Ma tornerò cer­tamente più tardi.

Michette                        - Restami ancora accanto, duellino!

Flipotte                         - Conducimi via con te! (Vogliono trattenerlo).

Il taverniere                   - (rivolto a loro) Ma lascia­telo andare, quel porco! Non siete abbastan­za corrotte per lui, voialtre. Deve correre da una femmina da trivio: solo là si sente a suo agio.

Il Duca                          - Tornerò certamente. Già, non vo­glio perdere la scena di Enrico.

Francesco                      - Figuratevi che quando siamo ve­nuti, Enrico se ne stava andando con Leocadia.

Il Duca                          - Ah, sì? Lo sapete che l'ha spo­sata?

Francesco                      - Davvero? E cosa ne diranno gli altri? .

Albino                           - Quali altri?

Francesco                      - Leocadia è una donna che è... molto amata!

Il Duca                          - Pare che egli voglia partire con lei... che so io... me lo hanno raccontato.

Il taverniere                   - Ah, sì? Te lo hanno raccon­tato? (guarda il duca).

Il Duca                          - (guarda il taverniere. Poi) E' una cosa idiota. Leocadia è nata per essere la più grande, la più magnifica baldracca del mondo.

Francesco                      - Chi non lo sa!

Il Duca                          - C'è nulla di più incomprensibile che voler sottrarre qualcuno alla sua vera vocazione? (a Francesco che ride) Lo dico sul serio. Anche per fare la sgualdrina bi­sogna esserci nata, come per fare il conqui­statore o il poeta.

Francesco                      - Siete paradossale.

Il Duca                          - Mi dispiace per lei e per Enrico. Egli dovrebbe restare a Parigi; non qui, però... Vorrei portarlo alla Comédie; sebbene anche lì... Mi pare che nessuno lo capisca come me. Può essere, del resto, che io m'inganni, perché ho quest'impressione con la maggior parte degli artisti. Ma devo dichiarare che se non fossi il duca di Cadignan, sarei ben contento di essere un com­mediante come lui; come...

Albino                           - Come Alessandro il Grande...

Il Duca                          - (sorridendo) Sì; come Alessandro il Grande, (a Flipotte) Dammi la mia spada. (la ripone nel fodero. Lentamente) E' il più bel modo di ridersi di tutto il mondo. Uno che può recitare davanti a noi ciò che vuole, vale più di tutti noi.

Albino                           - (lo guarda sorpreso).

Il Duca                          - Non badate a quello che dico. Lo penso solo nel momento in cui parlo. Arrivederci!

Michette                        - Dammi un bacio prima d'an­dartene!

Flipotte                         - Anche a me! Anche a me!

                                      - (si attaccano a lui. Il duca le bacia entrambe).

Albino                           - (mentre il duca esce) Che uomo straordinario!

Francesco                      - E' vero... Ma l'esistenza di tali uomini è una ragione di più per non pren­dere moglie.

Albino                           - Spiegami, adesso, che donne sono queste.

Francesco                      - Commedianti. Fanno parte della compagnia di Prospero, che ora fa il ta­verniere in questa spelonca. Certo, prima non facevano nulla di diverso da ciò che fanno adesso,

                                      - (Guglielmo entra a precipizio, conte senza fiato).

SCENA NONA Detti - Guglielmo

Guglielmo                     - (accanto alla tavola dove sono i commedianti, la mano sul cuore, stentatamente, reggendosi) Salvo! Sono salvo!

Scevola                         - Che c'è? Cos'hai?

Albino                           - Cos'è accaduto a quell'uomo?

Francesco                      - Questo è lo spettacolo! Sta at­tento!

Albino                           - Ah?

Michette e Flipotte       - (presto, a Guglielmo) Che c'è? Che hai?

Scevola                         - Siediti! Bevi un sorso.

Guglielmo                     - Non mi basta... Prospero, porta altro vino! Ho corso... La lingua mi si at­tacca al palato... Erano alle mie calcagna...

 Il Taverniere                 - Ma raccontaci, dunque, cosa: è successo! (sottovoce, ai commedianti) Commozione!... Più commozione!

Guglielmo                     - Qua, ragazze! Qua! (abbraccian­do Flipotte) Ah! Questo ci fa rivivere! (ad Albino che è assai impressionato) Il dia­volo mi porti, ragazzo mio, se avrei mai im­maginato di rivederti vivo! (come tendendo l'orecchio) Vengono! Vengono! (verso lai porta) No... Non è nulla... Voi...

Albino                           - Com'è strano! Si sente veramente un; rumore come se per istrada della gente si rincorresse... Anche questo è organizzatoqui?

Scevola                         - (a Giulio) Ha ogni volta l'identico tono... E' troppo stupido!

Il Taverniere                  - Dicci dunque perché ti stavano inseguendo.

Guglielmo                     - Niente di straordinario. " Ma se mi acchiappassero, ci rimetterei la testa. Ho semplicemente incendiato una casa. (durante questa scena entrano altri giovani aristocratici che prendono posto ai diversi tavolini).

Il Taverniere                  - (piano a Guglielmo) Avanti! Avanti!

Guglielmo                     - (anche lui sottovoce) Cosa avan­ti? Non basta che ho incendiato una casa?

Francesco                      - Dimmi dunque, caro: perché hai incendiato questa casa?

Guglielmo                     - Perché vi abita il Presidente della Corte superiore di Giustizia. Comin­ciamo da quello lì... Vogliamo togliere ai buoni proprietari parigini la voglia di affit­tare le loro case a della gente che manda in galera noi poveri diavoli.

Grain                             - Ben fatto! Ben fatto!

Guglielmo                     - (guarda Grain con meraviglia; poi seguita) Tutte le case devono avere questo trattamento. Altri tre tipi risoluti come me, e non ci sono più giudici a Parigi!

Grain                             - Morte ai giudici!

Giulio                            - Sì... Ce n'è però sempre uno che non possiamo distruggere!

Guglielmo                     - Vorrei conoscerlo.

Giulio                            - Il giudice che è dentro di noi.

Il Taverniere                  - (piano) Questo è di cattivo gusto... Lascia stare... (o Scevola) Scevola! Ruggisci: questo è il momento!

Scevola                         - Qua del vino, Prospero! Beviamo alla morte di tutti i giudici di Francia! (alle ultime parole entrano il marchese di Lansac con la moglie Severino e Rollin il poeta).

 SCENA DECIMA Detti - Lansac - Severina - Rollin

Sorvola                          - Morte a tutti coloro che oggi hanno in mano il potere! Morte!

IL Marchese                  - Vedete, Severina, come sia­mo ricevuti!

Rollin                            - Marchesa, vi ho prevenuta.

Severina                        - Perché?

Francesco                      - (alzandosi) Che vedo! La mar­chesa! Permettete che vi baci la mano. Buo­ne sera, marchese. Salute, Rollin! Ma come, marchesa, vi arrischiate in questo locale?

Severina                        - Me ne hanno tanto parlato! E del resto, oggi siamo già in piena avventura: non è vero, Rollin?

Il Marchese                   - Sicuro! Pensate un po', vi­sconte: sapete da dove veniamo? Dalla Bastiglia!

Francesco                      - Fanno ancora tanto strepito, laggiù?

Severina                        - Altro che! Pare come se volessero irrompere!

Rollin                            - (declamando) Simile a flutto, che violentemente si frange sulla sponda e si corruccia che sua figlia la terra, impunemente osi resistergli...

Severina                        - No, Rollin! (agli altri) Abbiamo fatto fermare la nostra vettura nelle vici­nanze. E' uno spettacolo magnifico; le mas­se hanno sempre qualcosa di grandioso.

Francesco                      - Sì, sì; però non dovrebbero puz­zare tanto.

Il Marchese                   - E poi, mia moglie non mi ha dato requie finché non è stata condotta qui.

Severina                        - Dunque, cosa c'è di speciale?

Il Taverniere                  - (a Lansac) Beh! Sei qui an­che tu, canaglia risecchita? Hai condotto la tua donna, perché a casa tua non è abba­stanza sicura?

Il Marchese                   - (ridendo forzatamente) E' un originale!

Il Taverniere                  - Bada soltanto che non te la portino via proprio qui. Queste nobili signore hanno a volte una voglia matta di assaggiare un vero vagabondo.

Rollin                            - Soffro indicibilmente, Severina.

Il Marchese                   - Bambina mia, vi ho prevenuta. Siamo ancora in tempo d'andarcene.

Severina                        - Cosa volete? Io lo trovo delizioso! Sediamoci dunque,

Francesco                      - Permettete, marchesa, che vi presenti il cavaliere de la Tremouille. Anch'egli viene qui per la prima volta. Il mar­chese di Lansac; Rollin, il nostro famoso poeta.

Albino                           - Felicissimo.

                                      - (complimenti; siedono insieme).

Albino                           - (a Francesco) E' una di quelle che recitano, o...? Non mi ci raccapezzo affatto.

Francesco                      - Ma non essere così stupido! Questa è l'autentica marchesa di Lansac... una signora distintissima.

Rollin                            - (a Severino) Dimmi che mi ami.

Severina                        - Sì; sì; ma non me lo chiedete ogni momento.

Il Marchese                   - Abbiamo forse perduto qual­che scena?

Francesco                      - Non molto. Quello laggiù fa la parte di incendiario, a quanto pare.

Severina                        - Cavaliere, voi siete certo il cugino della piccola Lidia de la Tremouille che si è sposata oggi?

Albino                           - Sì, marchesa. E' stata una delle ra­gioni per cui sono venuto a Parigi.

Severina                        - Ricordo di avervi veduto oggi in chiesa.

Albino                           - (imbarazzato) Sono assai lusingato, marchesa.

Severina                        - (o Rollin) Che grazioso ragazzo!

Rollin                            - Ah, Severina! Non avete ancora co­nosciuto un uomo che vi sia dispiaciuto.

Severina                        - Ma sì! E l'ho subito sposato.

Rollin                            - Severina, io temo sempre... Vi sono dei momenti in cui mi sembra che diventi pericoloso perfino vostro marito.

Il Taverniere                  - (porta del vino) Ecco per voi! Vorrei fosse veleno! Ma per ora non è ancora permesso di propinarvene, canaglie!

Francesco                      - Verrà il tempo, Prospero!

Severina                        - (a Rollin) Chi sono quelle due belle ragazze? Perché non si avvicinano? Dal momento che siamo qui, voglio prende­re parte a tutto. Ma, in linea generale, mi sembra che qui ogni cosa si svolga in modo straordinariamente corretto.

Il Marchese                   - Abbiate pazienza, Severina: vedrete più tardi.

Severina                        - Trovo che in questi ultimi tempi ci si diverte meglio nelle strade. Sapete cosa ci è capitato ieri, quando siamo andati alla passeggiata di Longchamps?

Il Marchese                   - Ma vi prego, cara Severina... Perché?...

Severina                        - Un individuo è saltato sul predel­lino della nostra carrozza e ha gridato: «L'anno venturo voi starete in piedi dietro al nostro cocchiere e noi staremo seduti nella carrozza! ».

Francesco                      - Ah! Questa è un po' forte!

Il Marchese                   - Oh, Dio! Io penso che non si dovrebbe affatto parlare di queste cose. Parigi è ora come presa da una specie di febbre che passerà.

Guglielmo                     - (subitamente) Vedo fiamme, fiamme, ovunque io volga lo sguardo: grandi fiamme rosse...

Il Taverniere                  - (a Guglielmo) Tu stai rap­presentando un pazzo, non un delinquente.

Severina                        - Vede delle fiamme?

Francesco                      - Oh! Non è ancora il più bello, marchesa.

Albino                           - (a Rollin) Non so dirvi come io sia già stordito da tutto questo.

Michette                        - (avvicinandosi al marchese) Non ti ho ancora salutato, caro il mio vecchio porco!

Il Marchese                   - (imbarazzato) Scherza, sapete, Severina!

Severina                        - Non mi pare... Di' un po', piccina: quanti amanti hai avuto sinora?

Il Marchese                   - (o Francesco) E' .ammirevole come la marchesa mia moglie s'immedesimi subito delle situazioni.

Rollin                            - Davvero, è ammirevole.

Michette                        - I tuoi li hai contati, tu?

Severina                        - Quando ero giovane come te... certo.

Albino                           - (a Rollin) Ditemi, signor Rollin: la marchesa recita o è così veramente? Non mi ci raccapezzo affatto.

Rollin                            - Essere... Recitare... Sapete bene, voi, cavaliere, quale sia la differenza?

Albino                           - Tuttavia...

Rollin                            - Io no. E quello che trovo qui di sin­golare è che tutte le differenze sono, per così dire, abolite. La realtà si muta in commedia, la commedia in realtà. Guardate un po' la marchesa. Osservate come chiacchiera con queste creature, quasi fossero sue pari. Ep­pure essa è...

Albino                           - Tutt'altra cosa.

Rollin                            - Vi ringrazio, cavaliere.

Il Taverniere                  - (a Grain) Beh. E come fu al­lora?

Grain                             - Che cosa?

Il Taverniere                  - La faccenda della zia, per la quale sei stato in carcere due anni.

Grain                             - Ve l'ho detto, che l'ho strangolata.

 Francesco                     - Quello lì vai poco. E' un dilet­tante. Non l'ho mai veduto sinora.

SCENA UNDICESIMA Detti - Giorgina; poi, Baldassarre

Giorgina                        - (entra in fretta. E' vestita come una sgualdrina di basso rango) Buona sera, ragazzi! Il mio Baldassarre non è ancora ve­nuto?

Scevola                         - Siedi accanto a me, Giorgina. Il tuo Baldassarre verrà sempre in tempo.

Giorgina                        - Se fra dieci minuti non è qui, non arriva più in tempo. Allora è meglio che non venga addirittura.

Francesco                      - Marchesa, osservate quella lì.; Essa è realmente la moglie di questo Baldas­sarre di cui parla e che verrà a momenti. Rappresenta una volgare ragazza di strada, e Baldassarre il suo protettore. Intanto è la moglie più fedele che si possa trovare a Parigi. (entra Baldassarre).

Giorgina                        - Baldassarre mio! (gli corre incontro abbracciandolo) Eccoti, finalmente!

Baldassarre                   - E' tutto sbrigato (silenzio intorno) Non valeva la pena, però. Mi è quasi I dispiaciuto per lui. Dovresti guardare meglio i tipi coi quali vai, Giorgina. Sono stufo di ammazzare dei giovinotti di belle speranze per un paio di franchi.

Francesco                      - Bravissimo!

Albino                           - Come?

Francesca                      - Egli fa bene assai la sua parte! (entra il Commissario in borghese e siede ad un tavolino).

SCENA DODICESIMA Detti - Il Commissario

Il Taverniere                  - (avvicinandoglisi) Venite a buon punto, signor commissario. Questo è uno dei miei migliori artisti.

Baldassarre                   - Bisognerebbe trovare un altro modo di guadagnarsi il pane. Per l'inferno! Non sono un vigliacco, ma guadagnarselo così è assai duro!

Scevola                         - Lo credo.

Giorgina                        - Cos'hai, oggi?

Baldassarre                   - Voglio proprio dirtelo, Gior­gina. Trovo che sei un po' troppo tenera coi giovinotti.

Giorgina                        - Ma che ragazzo! Sii ragionevole, via, Baldassarre! Devo ben dimostrarmi te­nera per ispirar loro fiducia!

Rollin                            - Questa è una battuta veramente pro­fonda!

Baldassarre                   - Se solo immaginassi, un giorno, che tu senti qualche cosa per un altro... che quest'altro...

Giorgina                        - Ma cosa ne dite voialtri? Questa stupida gelosia lo condurrà alla tomba!

Baldassarre                   - Oggi ho sentito un sospiro, Giorgina; ed era in un momento nel quale avevi già abbastanza conquistato la sua fi­ducia.

Giorgina                        - Non si può smettere d'un tratto di recitare la parte d'innamorata!

Baldassarre                   - Bada, Giorgina: la Senna è profonda, (selvaggiamente) Se mi tradisci!

Giorgina                        - Mai! Mai!

Albino                           - Questo non lo capisco. Adesso, poi, non mi raccapezzo del tutto.

Severina                        - Rollin, questa è una bella inter­pretazione!

Rollin                            - Trovate?

Il Marchese                   - (a Severino) Potremmo andar­cene, ora, Severina.

Severina                        - Perché? Comincio a trovarmici così bene!

Giorgina                        - Baldassarre mio, ti adoro! (lo ab­braccia).

Francesco                      - Bravo! Benissimo!

Baldassarre                   - Chi è quel cretino?

Il Commissario              - Questa è proprio troppo forte; e...

                                      - (entrano Maurizio e Stefano. Sono vestiti da giovani aristocratici, ma si vede che hanno dei costumi teatrali un po' logori).

SCENA TREDICESIMA Detti - Maurizio - Stefano

Dalla tavola dei commedianti            - Chi sono quei due?

Scevola                         - Il diavolo mi porti se non sono Mau­rizio e Stefano.

Giorgina                        - Son proprio loro!

Baldassarre                   - Giorgina!

Severina                        - Dio! Che bei giovinotti!

Rollin                            - E' doloroso, Severina, che ogni bel ragazzo vi ecciti così fortemente.

Severina                        - Allora, perché sono venuta?

Rollin                            - Ditemi almeno che mi amate...

Severina                        - (con uno sguardo) Avete una me­moria labile.

Stefano                         - Dunque, cosa credete? Che da dove si venga?

Francesco                      - Ascoltate, marchesa: questi sono due giovinotti di spirito.

Maurizio                        - Da un matrimonio.

Stefano                         - Perciò dobbiamo ripulirci in fretta. Quei maledetti poliziotti sono capaci di es­serci subito alle costole.

Scevola                         - Avete fatto, almeno, un buon bot­tino?

Il Taverniere                  - Fate vedere.

Maurizio                        - (traendo degli orologi dal suo far­setto) Cosa dai per questi?

Il Taverniere                  - Per quelli? Un luigi!

Maurizio                        - Davvero!

Scevola                         - Non valgono di più!

Michette                        - Questo è un orologio da signora. Dallo a me, Maurizio.

Maurizio                        - Cosa mi dai in cambio?

Michette                        - Guardami!... Ti basta?

Flipotte                         - No; dallo a me: guardami!

Maurizio                        - Care piccine, è una cosa, questa, che posso avere senza arrischiare la testa.

Michette                        - - Sei uno scimmiotto presuntuoso.

Severina                        - Giuro che questa non è una com­media!

Rollin                            - Certamente no; c'è del vero che si vede balenare in tutto ciò. Questo è deli­zioso.

Scevola                         - Che matrimonio era?

Maurizio                        - Il matrimonio della signorina de la Tremouille. Ha sposato il conte di Banville.

Albino                           - Senti, Francesco? T'assicuro che so­no veri mariuoli.

Francesco                      - Calmati, Albino. Conosco quei due. Li ho già visti recitare una dozzina di volte. E' la loro specialità rappresentare dei borsaiuoli.

Maurizio                        - (trae dal farsetto delle borse di de­naro).

Scevola                         - Bene; oggi potrete fare gli splen­didi!

Stefano                         - E' stato un bel matrimonio. C'era tutta l'aristocrazia di Francia; perfino il re s'è fatto rappresentare.

Albino                           - (eccitato) Tutto questo è vero!

Maurizio                        - (facendo rotolare del denaro sulla tavola) Questo è per voi, amici miei, af­finché vediate che ci aiutiamo scambievol­mente.

Francesco                      - Caro Albino! (alzandosi e an­dando a prendere alcune monete) Ci sarà qualcosa anche per noi!

Il Taverniere                  - Prendi pure... Non hai mai guadagnato nulla così onestamente in vita tua!

Maurizio                        - (sollevando in aria una giarrettiera ornata di brillanti) E questa a chi debbo regalarla?

                                      - (Giorgina, Michette e Flipotte allungano le mani).

Maurizio                        - Pazienza, topolini belli: ora ne riparleremo. La darò a quella che saprà in­ventare una nuova moina!

Severina                        - (a Rollin) Non vorreste permetter­mi di concorrere?

Rollin                            - Mi fate impazzire, Severina!

Il Marchese                   - Severina, non vogliamo andar­cene? Mi pare...

Severina                        - Oh, no! Mi diverto moltissimo! (a Rollin) Tutto questo mi mette in uno stato d'animo...

Michette                        - Come ti è capitata quella giarret­tiera?

Maurizio                        - C'era tale una ressa in chiesa... E quando una signora crede che le si faccia la corte...

                                      - (tutti ridono. Grain, intanto, ha tolto a Fran­cesco la sua borsa col denaro).

Francesco                      - (ad Albino, mostrandogli le mo­nete che ha preso sulla tavola) Semplici marche da gioco. Sei tranquillo ora? (Grain fa per allontanarsi).

Il Taverniere                  - (lo segue. Sottovoce) Datemi immediatamente la borsa che avete tolto a quel signore.

Grain                             - Io...

Il Taverniere                  - Subito... o finirete male.

Grain                             - Non c'è bisogno che diventiate sgar­bato, (gliela dà).

Il Taverniere                  - E rimanete qui. Non ho tem­po ora di perquisirvi. Chi sa che altro avete intascato. Tornate al vostro posto.

Flipotte                         - La giarrettiera la vincerò io!

Il Taverniere                  - (a Francesco, buttandogli la borsa) Eccoti la tua borsa. Ti è caduta dalla tasca.

Francesco                      - Grazie, Prospero, (ad Albino) Vedi? Siamo realmente fra la gente più one­sta del mondo.

                                      - (Enrico è entrato già da qualche tempo, ri­manendo veduto nel fondo. Si alza d'un tratto).

SCENA QUATTORDICESIMA Detti - Enrico

Rollin                            - Enrico, ecco Enrico.

Severina                        - E' quello di cui mi avete tanto par­lato?

Il Marchese                   - Precisamente. Quello per il quale si viene qui.

Enrico                           - (si avanza silenzioso e in atteggiamento teatrale).

I Commedianti              - Enrico, che hai?

Rollin                            - Osservate il suo sguardo. C'è in esso un mondo di passione. Egli incarna, infatti, il tipo del delinquente passionale.

Severina                        - Mi piace molto!

Albino                           - Perché non parla?

Rollin                            - E' come trasognato. Osservatelo be­ne... Deve aver commesso qualche orribile delitto.

Francesco                      - E' un po' teatrale. Pare come se si preparasse per un monologo.

II Taverniere                 - Enrico! Da dove vieni?

Enrico                           - Dall’aver ucciso un uomo!

Rollin                            - Che vi avevo detto?

Scevola                         - E chi?

Enrico                           - L'amante di mia moglie.

Il Taverniere                  - (lo guarda; ed ha in questo momento visibilmente l'impressione che pos­sa esser vero).

Enrico                           - (alza gli occhi) Ebbene, sì. Ho uc­ciso. Perché mi guardate così? Ormai è fat­to! C'è forse da meravigliarsi? Lo sapete tutti che creatura è mia moglie! Doveva finire così!

Il Taverniere                  - E lei... Dov'è lei?

Francesco                      - Vedete: il taverniere prende par­te anche lui. Notate come ciò rende naturale l'azione. (si odono dei rumori, ma non molto forti).

Giulio                            - Cosa sono questi rumori in istrada?

Il Marchese                   - Udite, Severina?

Rollin                            - Pare come se passassero delle truppe.

Francesco                      - Oh, no! E' il nostro caro popolo di Parigi... Sentite come urlano! (nella cantina c'è un po' d'inquietudine. Fuori si fa silenzio).

Francesco                      - Avanti, Enrico, avanti.

Il Taverniere                  - Raccontaci dunque, Enrico! Dov'è tua moglie? Dove l'hai lasciata?

Enrico                           - Oh, non sono preoccupato per lei. Non ne morrà. Che sia questo o quello, che importa alle donne? Mille altri begli uomini girano per Parigi... Che sia l'uno o l'altro...

Baldassarre                   - Possa accadere lo stesso a tutti quelli che ci rubano le nostre donne!

Scevola                         - E anche a tutti coloro che ci rubano ciò che ci appartiene! .

Il Commissario              - (a Prospero) Questi son di­scorsi sovversivi!

Albino                           - E' spaventoso... Pare che questa gen­te dica sul serio,

Scevola                         - Abbasso gli usurai di Francia! Vo­gliamo scommettere che il furfante che egli ha sorpreso con sua moglie era uno di quei cani maledetti che ci rubano il nostro pane?

Albino                           - Io propongo di andarcene.

Severina                        - Enrico! Enrico!

Il Marchese                   - Ma, marchesa!

Severina                        - Vi prego, caro marchese, doman­date a quell'uomo come ha sorpreso sua mo­glie... altrimenti glielo chiedo io stessa.

Il Marchese                   - (dopo essersi schermito) Dite, Enrico, come siete riuscito a sorprendere quei due?

Enrico                           - (che è stato lungamente pensoso) Co­noscete dunque mia moglie? E' la più bella e la più vile creatura sotto il sole. Ed io l'ho amata... Da sette anni ci conosciamo... Ma solo da ieri è mia moglie. In questi sette an­ni non vi è stato un giorno, non uno solo, in cui non mi abbia mentito. Perché tutto in lei è menzogna, i suoi occhi come le sue lab­bra, i suoi baci come il suo sorriso.

Francesco                      - Egli declama un poco.

Enrico                           - Ella ha avuto qualunque giovane e qualunque vecchio le è piaciuto d'eccitare; e poi tutti quelli che l'hanno pagata; e poi tutti quelli che essa ha voluti: ed io ne sono stato consapevole!

Severina                        - Non tutti possono dire altrettanto.

Enrico                           - E malgrado questo, mi ha amato. Amici miei, chi di voi può capirlo? E' sem­pre ritornata a me: sempre a me; dai belli e dai brutti; dagl'intelligenti e dagli sciocchi; dagli straccioni e dai cavalieri, sempre è tornata a me.

Severina                        - (a Rollin) Se almeno riusciste a comprendere che appunto in questi ritorni è l'amore!

Enrico                           - Cosa non ho sofferto... Che strazio!

RolliN                           - E' commovente!

Enrico                           - E ieri l'ho sposata. Abbiamo fatto un sogno. No... io ho fatto un sogno. Volevo condurla via da Parigi, nella solitudine del­la campagna, nella grande pace. Volevamo vivere come tante altre coppie di sposi felici. Anche un bambina abbiamo sognato...

Rollin                            - (sottovoce) Severina!

Severina                        - Ma sì, va molto bene!

Albino                           - Francesco, quest'uomo dice la verità.

Francesco                      - Certo, questa storia d'amore è vera; ma dell'assassinio non sappiamo ancora!

 Enrico                          - Ho dovuto ritardare un giorno... Ma ella aveva ancora un ultimo amante da go­dere... tutti gli altri, ormai, li ha già avuti! Ma li ho sorpresi insieme... ed è finita per lui.

I Commedianti              - Chi? Chi? Com'è suc­cesso? Dov'è? Sei inseguito? Com'è stato? Dov'è lei?

Enrico                           - (sempre più eccitato) L'ho accompa­gnata al teatro... Doveva recitare oggi per l'ultima volta... L'ho baciata dinanzi alla porta; essa è salita nel suo camerino ed io me ne sono andato come uno che non ha nulla da temere. Ma dopo appena cento passi è cominciata in me... mi capite?... quasi una grande inquietudine... era come se qualche cosa mi spingesse a rifare il cammino per­corso... Ho voltato strada e sono tornato ver­so il teatro. Ma poi ha avuto vergogna e sono andato via nuovamente... A cento passi dal teatro sono stato ripreso dalla mia inquietu­dine... e sono ancora tornato indietro. La sua scena era finita: ella non ha molto da fare; deve solo stare per un certo tempo mezza nuda sul palcoscenico, e poi ha finito... So­no davanti al suo camerino e metto l'orecchio all'uscio. Sento allora mormorare. Non di­stinguo le parole... Il bisbiglio cessa ad un tratto... Spingo la porta... (egli ruggisce come una bestia feroce)... Era il duca di Cadignan e l'ho ucciso!

II Taverniere                 - (che è finalmente convinto che egli dica la verità) Pazzo!

Enrico                           - (guarda fisso il taverniere).

Severina                        - Bravo! Bravo!

Rollin                            - Che fate, marchesa? Col vostro gri­do fate ricordare che tutto ciò è una scena teatrale; e il brivido piacevole è passato!

Il Marchese                   - Io non trovo affatto piacevoli questi brividi di raccapriccio. Applaudiamo, amici miei; solo così possiamo liberarci dall'incubo.

                                      - (si odono dei « Bravo! » sommessi, che di­ventano sempre più forti. Tutti applaudiscono rumorosa mente).

Il Taverniere                  - (a Enrico, durante lo strepito) Salvati, Enrico, fuggi!

Enrico                           - Che? Cosa dici?

Il Taverniere                  - Finiscila, ora, e pensa a met­terti in salvo!

Francesco                      - Silenzio!... Sentiamo cosa dice il taverniere!

Il Taverniere                  - (dopo breve riflessione) Gli sto dicendo che deve fuggire, prima che le sentinelle alle porte della città siano avvisate. (ad Enrico) Il bel duca era un beniamino del Re: sarai posto alla ruota! Era meglio se pugnalavi quella canaglia di tua moglie!

Francesco                      - Che magnifico insieme! Stupendo!

Enrico                           - Prospero, chi di noi due è pazzo: tu o io? (lo guarda fisso, cercando di leg­gergli negli occhi).

Rollin                            - E' meraviglioso! Tutti sappiamo che è una finzione, eppure se ora entrasse il duca di Cadignan, ci sembrerebbe un fan­tasma.

                                      - (giungono dall'esterno altri rumori, sempre più forti. Entra della gente; Grasset è avanti a lutti; Lebret è tra la folla che fa ressa sui gradini. Si ode gridare: Libertà! Libertà!).

SCENA QUINDICESIMA Detti - Grasset - Lebret

Grasset                          - Eccoci qui, ragazzi: venite dentro!

Albino                           - Cos'è questo? Fa parte della rappre­sentazione?

Francesco                      - No.

Il Marchese                   - Che vuol dir ciò?

Sevekina                       - Chi è questa gente?

Grasset                          - (alla folla) Entrate, entrate! Vi di­co che il mio amico Prospero ha sempre una botte di vino d'avanzo; e noi ce la siamo ben meritata! (rumori dalla strada).

Grasset                          - Amico! Fratello! E' nostra! L'ab­biamo!

Grida ri fuori                 - Libertà! Libertà!

Severina                        - Ma cosa succede?

Il Marchese                   - Allontaniamoci, allontaniamo­ci; il popolo si avanza.

Rollin                            - Come volete allontanarvi?

Grasset                          - E' caduta! La Bastiglia è caduta!

Il Taverniere                  - Che dici? (alla folla) Dice la verità?

Grasset                          - - Non senti?

Albino                           - (vuol trarre la spada).

Francesco                      - Lascia stare, ora; altrimenti sia­mo tutti perduti.

Grasset                          - E se vi sbrigate, potrete ancora vedere qui fuori una cosa allegra:... infilzata a una lunga pertica la testa del nostro caro DeJaunay.

Il Marchese                   - E' impazzito quell’individuo? Grida: Libertà! Libertà!

Grasset                          - Ne abbiamo decapitato una doz­zina. La Bastiglia ci appartiene. I prigionieri sono in libertà. Parigi è in mano al popolo!

Il Taverniere                  - Sentitelo! Sentite! Parigi è nostra!

Ghasset                         - Vedete come diventa coraggioso! Sì, Prospero, grida pure! Ora non ti possono più far nulla!

Il Taverniere                  - (agli aristocratici) Che ne dite? Canaglie! La farsa è finita!

Albino                           - Non l'ho detto io?

Il Taverniere                  - Il popolo di Parigi ha vinto!

Il Commissario              - Silenzio! (si ride) Silen­zio!... Proibisco la continuazione dello spettacolo!

Grasset                          - Chi è quell'imbecille?

Il Commissario              - Prospero, vi faccio respon­sabile di tutti i discorsi sovversivi.

Grasset                          - E' pazzo quell'individuo?

Il Taverniere                  - Lo scherzo è finito: non la capite? Enrico, diglielo dunque: ora puoi dire tutto! Noi ti proteggiamo... Il popolo di Parigi ti protegge!

Grasset                          - Sì; il popolo di Parigi!

Enrico                           - (rimane collo sguardo fisso).

Il Taverniere                  - Enrico ha veramente ucciso il duca di Cadignan!

Francesco e il Marchese         - Che sta dicendo?

Albino ed Altri             - Che significa tutto ciò, En­rico?

Francesco                      - Via, Enrico, parlate!

Il Taverniere -               - Lo ha sorpreso con sua mo­glie... e lo ha ammazzato!

Enrico                           - Non è vero!

Il Taverniere                  - Ora non hai più nulla da te­mere, Enrico: ora puoi gridarlo forte. Avrei già potuto dirtelo io, un'ora fa, che ella era l'amante del duca. Per Dio! Sono proprio stato sul punto di dirtelo... Dite voi, « po­mice stridente », non è vero che lo sapevamo?

Enrico                           - Chi ha detto questo? Chi è che l'ha vista?

Il Taverniere                  - Cosa te ne importa adesso? E' da stupido... Lo hai ammazzato; cos'altro vuoi fare di più?

Francesco                      - Per l'amor di Dio, ma è dunque vero o no?

Il Taverniere                  - Ma sì! E' vero!

Grasset                          - Enrico! Da ora in poi saremo ami­ci! Viva la libertà! Viva la libertà!

Enrico                           - Era la sua amante?... Era l'amante del duca?... Non lo sapevo... ed egli è ancora vivo... (commozione vivissima).

Severina                        - (agli altri) Insomma, quel'è la ve­rità adesso?

Albino                           - Per l'amor di Dio!

                                      - (il Duca si fa largo tra la folla sui gradini).

SCENA ULTIMA Detti - Il Duca

Severina                        - (che lo vede per la prima) Il duca!

Alcuni                           - Il duca!

Il Duca                          - Ebbene, che c'è?

Il Taverniere                  - E' un fantasma?

Il Duca                          - No, che io sappia! Lasciatemi en­trare!

Rollin                            - Cosa vogliamo scommettere che tutto è preparato e che quegli individui appar­tengono alla compagnia di Prospero? Bravo, Prospero: è riuscito magnificamente!

Il Duca                          - Cosa succede? Qui si seguita a re­citare, mentre fuori... Non sapete voi che cosa sta succedendo? Ho visto portare in giro la testa di Delaunay su una pertica... Ma cosa avete da guardarmi così? (scendendo) En­rico...

Francesco                      - (rapidamente) Guardatevi da En­rico!

Enrico                           - (si lancia come un forsennato sul duca e gli conficca il pugnale in gola).

Il Commissario              - (alzandosi) Questo va trop­po oltre!

Albino                           - Oh, Dio, è ferito!

Rollin                            - E' un vero assassinio questo!

Severina                        - Ma sì, il duca muore!

Il Marchese                   - Sono fuori di me, cara Seve­rina: proprio oggi dovevo condurvi in questo locale!

Severina                        - Perché? (parlando a stento) Anzi, è una magnifica coincidenza: non tutti i giorni capita di vedere assassinare un vero duca.

Rollin                            - lo non posso crederlo ancora.

Il Commissario              - Silenzio! Nessuno esca da

qui! Grasset                   - Ma ©osa vuole costui?

 Il Commissario             - Arresto quest'uomo in no­me, della legge.

Grasset                          - (ridendo) La legge la facciamo noi, imbecille! Fuori questa marmaglia di nobili! Chi ammazza un duca è un amico del popolo! Viva la libertà!

Albino                           - (traendo la spada) Largo! Seguitemi, amici! (Leocadia si precipita dentro dalla scala).

Voci                              - Leocadia!

Altre voci                      - Sua moglie!

Leocadia                       - Lasciatemi entrare! Voglio andare da mio marito! (si avanza e vede il corpo del duca. Gridando) Ah! Chi è stato? Enrico!

Enrico                           - (la guarda).

Leocadia                       - Perché lo hai fatto?

Enrico                           - Perché?

Leocadia                       - Sì, lo so perché. Per causa mia... No, non dire che è per causa mia! Non ero degna di tanto!

Grasset                          - (perorando) Popolo di Parigi! Dob­biamo festeggiare la nostra vittoria. Il caso ci ha condotto da questo simpatico taver­niere. Non potevamo capitar meglio. In nes­sun luogo il grido di « Viva la libertà!» suona meglio che presso la salma di un duca.

Grida                             - Viva la libertà! Viva la libertà!

Francesco                      - Credo che sia meglio andarcene. Il popolo è impazzito. Andiamo.

Albino                           - Dobbiamo lasciare qui, in mano loro, il cadavere?

Severina                        - Viva la libertà! Viva la libertà!

Il Marchese                   - Siete pazza?

I borghesi e i commedianti     - Viva la libertà! Viva la libertà!

Severina                        - (avviandosi verso l'uscita, alla testa degli aristocratici) Rollin, aspettate sta­notte sotto alla mia finestra. Vi getterò la chiave come ultimamente. Godremo un'ora meravigliosa: mi sento deliziosamente ecci­tata. (Grida di: ce Viva la libertà! Viva Enrico! »)

Lebret                           - Guardate quelle canaglie: ci sfug­gono!

Grasset                          - Lasciatele andare per oggi; non ci sfuggiranno!

 

FINE