Alla deriva

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ALLA DERIVA

Una scena

di JEROME K. JEROME

PERSONAGGI

LA SIGNORA TRAVERS

IL SIGNOR TRAVERS

MARION, loro figlia

DAN, uomo senza posizione

Commedia formattata da

Una stanza che dà in un giardino. Le ombre della sera cominciano a pervadere gli angoli scacciando gli ultimi chiarori del crepuscolo. La signora Travers è seduta in una poltrona di vimini e il signor Travers in un'altra poltro­na, all'altra estremità della stanza. Fuma un sigaro. Marion, ritta davanti alla finestra, guar­da fuori.

Signor Travers               - Carino questo posticino che Harry ha scovato.

Signora Travers             - Sì, davvero, e s'io fossi in te, Marion, me lo terrei ben da conto. Sul fiume si può ricevere con poca spesa e non si è obbligati a fare gran lusso. (Voltandosi verso sub marito) La tua povera cugina Emilia si sbrigava così con gran parte dei suoi ospiti, conoscenti americani, gai, in quella sua casetta di Goring. La ricordi? Un buco. Almeno sem­brava così a me: ma con tutto quel verde so­pra" la porta, era carina a vederla dall'altra parte del fiume. A colazione dava sempre carne fredda con sottaceti. Lei la chiamava un pick-nic. La gente diceva ch'era piacevole a starci e alla buona.

Signor Travers               - Già, ma non ci stava mol­to, ricordo.

Signora Travers             - E c'era poi quel famoso champagne che la cugina serbava sempre per la campagna: mi disse che l'aveva pagato sol­tanto venticinque scellini la dozzina, e per il prezzo era anche buono. Quel vecchio maggiore indiano - come si chiamava? diceva che lo preferiva a ogni altro. Ne beveva sempre un bicchiere alla mattina, a digiuno. Che buffo! Chissà dove diavolo andava a sco­varlo?

Signor Travers               - E così pure pensava la gente che lo assaggiava. Ma Marion deve dimen­ticarle, non apprenderle, queste lezioni. Sta per sposare un uomo che sarà in grado di ospitare decentemente i suoi amici.

Signora Travers             - Questo, James, non lo so di sicuro. Nessuno di noi può vivere coi mezzi che vogliamo far credere agli altri di possedere. In un modo o nell'altro si deve sempre econo­mizzare. Eh, si farebbe una bella figura at­torno s'io non sapessi far brillare cinque pences come uno scellino! V'è poi della gente con la quale si deve essere assolutamente gentili ma che non bisogna mai introdurre nella cerchia dei propri amici. Se tu dessi retta a me, Ma­rion, non frequenteresti più del necessario le sorelle di Harry. Sono brave ragazze, e puoi essere molto gentile con loro, ma non tenertele troppo attorno. Hanno modi terribilmente antiquati, non sanno vestirsi, e potrebbero scredi­tare il nome della tua casa.

Marion                          - Non ci tengo ad avere tante brave ragazze fra le mie ospiti. (Ridendo) E poi, siamo troppo differenti fra di noi per deside­rare reciprocamente la nostra compagnia.

Signora Travers             - Be', volevo solo metterti sull'avviso di andare cauta. Tutto dipende dal come s'incomincia nelle cose, e con un po' di prudenza, non vedo perché non dovresti in­cominciare benissimo. Suppongo che non vi sia­no dubbi circa la rendita di Harry. Credi che si opporrebbe se gli facessimo qualche doman­da in proposito?

Marion                          - Su questo punto puoi fidarti di me, mamma. Eh, farei un bell'affare se i soldi non fossero sicuri.

Signor Travers               - (alzandosi di scatto) Per­bacco, donne! Non trattate questo matrimonio come delle affariste. Pare che la ragazza stia vendendosi.

Signora Travers             - James, non mi far lo scemo. Si deve pur badare al lato pratico delle cose. Il matrimonio per l'uomo è una questione di sentimento ed è giusto che sia così. Ma una donna deve ricordarsi che giuoca la sua posizio-ne nella vita.

Marion                          - Vedi dunque, papà, che è la sua unica chance. Se essa non si vende vantaggiosa­mente, dopo non le capita tanto facilmente un'altra occasione.

Signor Travers               - Quand'ero giovane io, le donne parlavano un po' meno di soldi e un po' più di amore.

Marion                          - Ma forse non avevano i vantaggi della nostra educazione.

                                      - (Dan entra dal giardino. Ha un po' più di quarant'anni. La sua camicia è un po' logora agli orli).

Signor Travers               - Oh, dove v'eravate cacciati voialtri?

Dan                               - Eravamo là a veleggiare. Mi hanno mandato a prendervi. E' delizioso stare sul fiume. La luna si leva proprio adesso.

Signora Travers             - Ma fa così freddo!

Signor Travers               - Ebbene, che importa il freddo? Sono tanti anni che non abbiamo guar­data la luna insieme. Ci farà bene.

Signora Travers             - Ah, gioventù, gioventù! Su, dammi il mio scialle.

                                      - (Dan l'avviluppa nello scialle, poi essi si accostano alla finestra dove si soffermano a chiacchierare. Marion è rientrata un momento e ritorna col mantello di suo padre. Egli le pren­de il viso fra le mani e la guarda).

Signor Travers               - E sei contenta di sposarlo?

Marion                          - Molto contenta.

                                      - (Egli scrolla la testa pensosamente).

Signora Travers             - Marion, non vieni?

Marion                          - No, sono stanca.

                                      - (Il signore e la signora Travers escono).

Dan                               - Come, lei lascia Harry solo con due coppie d'innamorati?

Marion                          - (ridendo) Sì, così al­meno si accorgerà come hanno l'aria stupida. Io odio la notte. La notte vi segue, vi interroga. Venga, ven­ga qui. Mi parli. Mi diverta.

Dan                               - E che cosa vuol che le dica?

Marion                          - Mi racconti tutte le no­vità. Che cosa fa il mondo? Chi è scappato con la moglie di un altro? Chi ha truffato il prossimo? Quale filantropo ha rubato al povero? Qual'è l'ultimo scandalo? Chi è stato pescato? e che cosa stavano facendo? e che ne dice la gente?

Dan                               - Ebbene, ciò la diverti­rebbe?

Marion                          - (siede al piano e lascia scorrere svogliatamente le dita sulla tastiera)  E che vuole che faccia? Che mi met­ta a piangere? Non si deve essere contenti di co­noscere meglio i propri amici?

Dan                               - Vorrei che lei non fosse così intelli­gente. Tutta la gente che s'incontra oggi per strada è intelligente. Ciò è accaduto quando è passato di moda il girasole. Io preferivo il gira­sole. Era più divellente.

Marion                          - Ma immagino che gli stupidi ritor-neranno quando la gente intelligente non ci sarà più. Io, però, preferisco gl'intelligenti, ecco. Hanno modi più gentili. Lei è molto spiacevole stasera. (Lascia il piano e sdraiandosi sopra un canapè prende un libro).

Dan                               - Sì, so che lo sono. La notte è stata con me. Essa ci segue, e ci interroga.

Marion                          - E che cosa le ha chiesto lei?

Dan                               - Oh, tante cose: ma cose che non hanno risposta. Perché io sono un disutilaccio tra­scinato alla deriva dalla marea del mondo? Per-che tutti gli uomini più giovani di me mi han­no sorpassato? Perché a trentanove anni e ricco d'intelligenza, di forza e di potenza (me lo la­sci dire) tutti credono ch'io non valga nulla, mentre so ch'è il contrario? Ecco, avrei potuto essere un abile direttore occupato ogni mattina a regolare gli affari dell'universo, o un uomo politico popolare che cerca di capire le opinioni che emette, e crederci. E invece che cosa sono? Un misero reporter a tre penny la riga e che spesso, (chiedo scusa a quei signori), spesso non son che due!

Marion                          - Ebbene, cosa importa?

Dan                               - Cosa importa? Eh già, cosa importa infatti se sulle toni di Bajadoz sventola un tri­colore piuttosto che un Union Jack? Eppure noi versiamo tutto il nostro sangue nelle sue pozzanghere per decidere la cosa. Cosa im­porta se sulle nostre carte sia segnata una stella in più o in meno? Eppure perdiamo la vista a furia di guardare nelle profondità del firma­mento. E che importa se la prua di una nave riesca o no a guizzare fra i ghiacci polari? Ep­pure sempre più vicino al Polo biancheggiano a mucchi le nostra ossa. E vai la pena di giocarlo questo gioco della vita. C'è pure un significato in questo. Val la pena di giocarlo... non fosse altro che per rafforzare i muscoli delle nostre anime. Soltanto vorrei averci preso parte, ecco.

Marion                          - E perché non lo ha fatto?

Dan                               - Non avevo una compagna. E' stupido giocare da soli. Non c'è scopo.

Marion                          - (dopo un silenzio) Com'era, lei?

Dan                               - Somigliava tanto a lei che a volte vor­rei non averla mai conosciuta. Lei, vede, mi co­stringe a pensare a me stesso: ed è questo fran­camente un soggetto che preferisco dimenticare.

Marion                          - E questa donna che somigliava tan­to a me, avrebbe potuto fare la vita di un uomo?

Dan                               - Ahimè!

 Marion                         - E non vorrebbe parlarmi di lei? Aveva molti difetti?

Dan                               - Abbastanza per farsi amare.

Marion                          - Doveva essere buona, no?

Dan                               - Abbastanza per essere donna.

Marion                          - Intende dire molto... o poco?

Dan                               - A me pare che ciò voglia dire talmen­te assai! Vi sono così poche donne!

Marion                          - Poche! Ma gli economisti dicono che siamo in troppe!

Dan                               - Non abbastanza, non abbastanza in giro. Ed ecco perché una vera donna ha sem­pre tanti corteggiatori.

                                      - (Si frammette un silenzio. Poi Marion si alza, ma i loro occhi non osano incontrarsi),

Marion                          - Come siamo diventati seri!

Dan                               - Si dice sempre così quando un uomo e una donna rimangono soli a discorrere in­sieme.

Marion                          - (s'allontana un poco, poi ritorna esi­tante) Posso farle una domanda?

Dan                               - E' un facile favore da accordarsi.

Marion                          - Se... se lei sentisse ancora qualco­sa per una donna, forse... potrebbe, ancora adesso, tentare per lei di guadagnare quella po­sizione nel mondo a cui avrebbe diritto, e che renderebbe quella donna orgogliosa di possedere la sua amicizia e che le farebbe sentire anche la sua vita non esser rimasta senza uno scopo?

Dan                               - E' troppo tardi. Il vecchio ronzino non può far altro che star a guardare al di so­pra della siepe i puledri che scorrazzano nel campo vicino. Le vecchie ambizioni talvolta si risvegliano ancora in me, specialmente dopo un buon bicchiere di vino: e il vino di Harry, Dio lo benedica, è proprio eccellente. Ma do­mattina... (Tronca il discorso con una spalluc­ciata).

Marion                          - E allora quella donna non potreb­be far nulla?

Dan                               - No, nulla per il suo destino: molto per lui stesso. Mia cara signorina, non sciupi la sua pietà per un uomo innamorato, e nean­che per un bambino che piange perché vuole la luna. Oh, la luna è una cosa che vai bene la pena di piangere per averla!

Marion                          - Sono contenta di assomigliare a quella donna. Contenta di avervi incontrato.

                                      - (Essa gli tende la mano e per un istante egli la trattiene fra le sue. Poi ella esce. Un fiore è caduto dal suo seno, egli non capisce se per caso o per sua volontà. Lo prende e lo bacia: lo cincischia un poco con le dita, indeciso; poi lo lascia ricadere sul pavimento).

FINE