Alla ventura

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ALLA VENTURA

Commedia in un atto

Di ANATOLE FRANCE

Traduzione di Giovanni Marcellini

PERSONAGGI

GERMANA

CECILIA

NALÈGE

GIACOMO

CHAMBRY

FRANCESCO

In un salotto, a Parigi.

Germana                     - (sola, scrivendo) «Acroclinium rose, 12 pacchetti; acroclinium doppio, bianco, 24 pacchetti... Le piante alpine sono tutte piccole. E occorre, Perché io scelga le varie specie, che voi mi diciate se le esporrete a nord o a mezzodì...».

Cecilia                         - (entrando) Buongiorno, Germana. Sono fortunata: non ti hanno ancora rapita!

Germana                     - Buongiorno, Cecilia. Avevi qualcosa da dirmi?

Cecilia                         - No, niente... e tutto... Non importa che... Ma finisci la tua lettera.

Germana                     - Non mi restano che due righe da scri­vere... (Scrive) « Eschscholtzia di California, mandarino, rosa ».

Cecilia                         - Che roba è, Dio mio?

Germana                     - Un fiore, cara, un grazioso fiorellino bian­co rosato. (Scrive) « Heliotropium, Browalle Czerwiak-pwskii ».

Cecilia                         - Cielo! Ma in quale lingua scrivi la tua corrispondenza?

Germana                     - Nella lingua dei botanici... Rispondo ad Adalberto che mi chiede di scegliergli dei fiori per il suo giardino. Da cinque anni, a primavera, egli mi scrive la medesima commovente lettera: «Cara Germana, quan­do il mio povero fratello era vivo, voi sceglievate i fiori per le aiuole di Seuilly. Fatelo ancora, adesso che Seuilly è passato in mia proprietà. Voi avete tanto buon gu­sto!...». Egli trova che ho buon gusto. E rifintare, non posso. Ma. checché io faccia, le aiuole di Seuilly non saranno per questo più belle.

Cecilia                         - Perché?

Germana                     - (chiude la lettera) Non so. E' un privi­legio. I Sescourt sono disgraziati in tutte le loro intra­prese. Mio marito non aveva che una passione: il caval­lo. E la sua scuderia fu sempre sfortunata. Adalberto ama ì fiori. E i fiori non vogliono germogliare per lui.

Cecilia                         - Tu credi?

Germana                     - E' certo.

Cecilia                         - Ma tuo marito era molto più intelligente di Adalberto.

Germana                     - Me lo dici per lusingarmi o Perché lo eredi?

Cecilia                         - Oh, so bene che non era perfetto. Non era un marito incomparabile. Tu, certo, meritavi di meglio. Ma, vedi, io ho le mie idee su questo punto. Una donna non ha bisogno d'essere bene maritata. Al contrario, un buon matrimonio... guasta il seguito. Ti assicuro... impe­disce tutto! Così, io ho un marito...

Germana                     - Incantevole!... E' incantevole, tuo marito.

 Cecilia                        - Incantevole? Ebbene, questo ha impedito tutto... tutto! E spesso mi dico che un cattivo matrimo­nio ha il suo lato buono. Lascia la via aperta; tutto ri­mane possibile, e tutto si può sperare. E' delizioso!

Germana                     - Tu hai oggi delle idee assai irregolari, mia cara. Perché non dici, come Paolo Chambry, che una donna si marita per entrare in circolazione? (Entra Nalège).

Nalège                        - (a Germana) Signora... (A Cecilia) Cara signora... (Saluta).

Cecilia                         - Signor Nalège!... Io vi credevo nei vostri boschi.

Nalège                        - Ne esco, signora. Sono arrivato ieri.

Cecilia                         - E la vostra prima visita è per la signora Sescourt. Esigo per me la seconda... Venite a farmi visita uscendo di qui. Troverete mio marito, il quale vi ama sempre più, tanto che ben presto non potrà più fare a meno di voi... Ciò che, per una volta almeno, non vorrà dire... Ma io vi lascio. Ho delle visite che non posso dispensarmi dal fare: sono persone che non co­nosco. Addio! Scambiatevi dei bei pensieri, e se parlate di me, dite: «Com'è amabile! » (Esce).

Germana                     - E' veramente amabile Cecilia.

Nalège                        - Amabilissima.

Germana                     - Non è vero?... E dire che gli uomini hanno l'aria di non accorgersene. Almeno due volte alla settimana, essa mi dice: «Io non sono più brutta di un'altra, né più stupida. Ebbene, è incredibile!, nes­suno mi fa la corte! ».

Nalège                        - Mentre a voi, la fanno tutto il giorno.

Germana                     - Peuh!

Nalège                        - Tutto il giorno.

Germana                     - No : dalle cinque alle sette.

Nalège                        - E vi diverte ascoltare tutte quelle frivo­lezze, tutte quelle insulsaggini? E vi lusinga ricevere i complimenti di quegli imbecilli, che non pensano una parola di tutto quel che vi dicono?

Germana                     - Signor Nalège, che avete fatto quest'in­verno?

Nalège                        - Io, signora? Ho vissuto solo, nei miei bo­schi, col mio cane, la mia pipa e il mio fucile. Ho pas­sato delle giornate intere senza vedere un volto umano. Avant'ieri ho dormito in una capanna abbandonata da un carbonaio: m'ero smarrito in una foresta in una bella notte di tempesta.

Germana                     - Ecco tutto spiegato! Celesta esistenza vi ha lasciato nell'animo un certo fare rude...

Nalège                        - Ah, mi trovate rude Perché vi dico che amate gli sciocchi...

Germana                     - Niente affatto!

Nalège                        - ... e Perché suppongo che vi lasciate im­pressionare dalle grandi frasi ch.c nascondono i piccoli sentimenti? Credete, forse, signora, che non vi si possa conquistare come un'altra, con le frasi e le smorfie? Credete che sia facile riconoscere un sentimento vero e guardare in fondo ai cuori?

Germana                     - Io credo che gli uomini non ci vedano punto, in fondo ai cuori, neanche gli intelligenti. Qual­siasi sciocca fa loro credere tutto ciò che vuole. La va­nità li acceca. Esse distinguono benissimo, sotto i com­plimenti che gli uomini loro rivolgono, i sentimenti che ispirano.

Nalège                        - Ne siete sicura?

Germana                     - Ma certamente! Noi sappiamo subito con chi abbiamo a che fare.

Nalège                        - Sì, voi credete, voi donne, di avere il dono misterioso, credete di avere la bacchetta di nocciòlo che si curva verso le sorgenti dell'amore. Voi immagi­nate di riconoscere tra tutti colui che vi amerà di più... e meglio. Le donne non s'ingannano mai. E lo dicono e lo credono sino a che una lunga esperienza non le abbia disingannate. Ho conosciuto nella sua vecchiaia una principessa italiana ch'era stata bellissima a Milano e anche a Parigi, al tempo in cui i francesi portavano i pantaloni di nanchino e cantavano le canzoni di Bé-ranger. Essa aveva l'abitudine, ai suoi tardi giorni, di raccontare delle storie a un suo pronipote. Una volta ch'essa ne cominciò una con queste parole: «A quel tempo, io ero perfettamente bella », il giovanotto fece schioccare la lingua e guardò la sua prozia con l'aria di dire: « E ne profittaste? ». Al che la principessa rispose sospirando: «Ebbene, se vuoi che te lo dica, caro ni­pote, sono stata sempre defraudata di gioie nella vita! ». La verità è che in questa sorta di affari, la donna e l'uomo vanno... non dico a tentoni, giacché questo non sarebbe poi un cattivo metodo; non dico come al gioco della mosca cieca, giacche a mosca cieca si rischia di rompersi il collo... ma attraverso ogni sorta di fantasmagorie e di diavolerie, come don Chisciotte quando inforcò il buon corsiero Chevillard, per andare incon­tro all'Infante.

Germana                     - Siete straordinario! Voi uscite dalla ca­panna dì carbonaio per persuadermi, coll'esempio d'una principessa italiana e di don Chisciotte, che una donna non s'accorge quando un uomo ha un... sentimento... un desiderio per lei,

Nalège                        - Precisamente, signora. Una donna può pas­sare accanto a un sentimento sincero, a una passione profonda, senza vederli.

Germana                     - Oh, non parliamo di passione. Non vi sono idee su cotesto punto. Non si può riconoscere la passione: non s'è mai vista.

Nalège                        - Mai, signora?

Germana                     - Mai! La passione è come il tuono: non vi casca mai addosso. Una volta, alla Grand'Combe, sono stata sorpresa da un terribile uragano. Mi rifugiai alla fattoria. Il cielo era tutto di fuoco, il tuono non cessava di brontolare. Il fulmine fendette un pioppo dalla cima ai piedi. Io, niente: incolume. La passione è come il fulmine: è terribile e . colpisce a randa. Ma un senti­mento, un desiderio... ah, sì, una donna può ispirare benissimo tutto ciò... E allora se ne accorge.

Nalège                        - Signora, io vi proverò metodicamente il contrario. Io ho i miei metodi; ho lo spirito scientifico. Ho applicato queste facoltà all'agricoltura. I risultali sono stati disastrosi. Ma un metodo razionale deve es­sere giudicato per se stesso e non per gli effetti che non ha interamente prodotto. Vi dimostrerò dunque, signora, con estremo rigore che, nella maggior parte dei casi, se una donna s'accorge del desiderio che si ha per lei è segno che questo desiderio non è molto forte, e che più esso acquisterà forza e meno essa lo ravviserà.

Germana                     - Dimostrate.

Nalège                        - Dobbiamo prima definire il... desiderio di cui parliamo?

Germana                     - No, è inutile.

Nalège                        - No, signora, non sarebbe inutile; sarebbe forse sconveniente.

Germana                     - Come? Sconveniente?

Nalège                        - Eh, sì, la esatta definizione potrebbe ben offendere la vostra delicatezza. Quel che vi dico non deve sorprendervi, giacche, infine, quando un uomo è seduto, così, accanto a una dama, come io lo sono ac­canto a voi, e che si dice, dentro di sé, così, come io vi guardo: «La signora Tal dei Tali è deliziosa», c'è in questa riflessione... Ma ciò non vi offende, signora?

Germana                     - Affatto.

Nalège                        - C'è, dico, in questa riflessione il germe di un'idea naturale, fisica, psicologica, la cui rappresenta­zione, in tutta la sua forza e in tutta la sua semplicità, è assolutamente opposta alle convenienze. Questa sola riflessione: «La signora Tal dei Tali è deliziosa» segna nell'animo che attraversa la nascita di un seguito d'im­magini ardenti, di sentimenti curiosi e di desideri vio­lenti che si succedono, si moltiplicano, si precipitano e non si arrestano che... non si arrestano più, signora.

Germana                     - Voi vi divertite a...

Nalège                        - No, signora, io non mi diverto. Io stabili­sco le basi del mio, ragionamento. Da quel che vi ho esposto scaturisce che l'uomo ordinario, banale, me­diocre che pensa, vedendovi: «E' affascinante! » e che lo pensa senza ardore di sentimento, senza potenza di riflessione, senza forza d'anima, ne di carne, senza sa­pere nemmeno ciò che pensa, né se pensa, costui resta accanto a voi grazioso, carezzevole, amabile. Parla, eor­ride, ha cura di piacere. Piace. Mentre l'infelice che, anche lui, soprattutto lui, pensa che voi siete affasci­nante, ma che sente con tutta la forza di questa idea, la contiene, l'imprigiona, la nasconde. Ha paura che esploda suo malgrado in violenze intempestive, ed è impacciato. E' muto e cupo. Voi credete che si annoi, e vi annoia. E vi dite: «Alla lunga, stanca, questo povero signore » ! E ciò Perché egli sente troppo bene la vo­stra grazia e la vostra bellezza, Perché ne è rimasto pro­fondamente colpito, Perché ha di voi un desiderio forte e generoso, Perché, infine, come si diceva un tempo, egli è terribilmente preso di voi.

Germana                     - E' un poco assurdo il vostro signore.

Nalège                        - Certamente. Egli concepisce la sproporzione delle idee che ha e di quelle che può esprimere. Si giu­dica ridicolo. E lo diventa. E' una stravaganza assurda, una sconvenienza burlesca pensare troppo precisamente di una dama che è una... donna. E questo pensiero può andare sino al tragicomico.

Germana                     - E allora?

 Nalège                       - Allora, invece di raccontare delle cose graziose e di osare con astuzia, ci si mostra tristi, timidi. Anche se non lo si è per natura, ci si diventa. Si rinun­cia ad esprimere ciò che si potrebbe dire soltanto dimi­nuendo noi stessi. E si piomba in un tetro abbattimento, in una specie di stupidità pesante... (Pausa).

Germana                     - Oh!... Da cui non si esce più?

Nalèce                         - (vivacemente) Da cui si esce ai primi deli­ziosi accenti della voce amata. Poi ci si rimette in senno e si riparte... e se si è un campagnolo meditativo, un solitario che ha molto fantasticato nei boschi col suo schioppo, il suo libro e il suo cane, si fanno delle teorie generali, si espongono dei sistemi, si disserta sull'amore. Si riprende il filo delle lunghe dimostrazioni; si argo­menta. Si è cocciuti, si segue il proprio ragionamento, con ostinazione e contenzione... Oppure...

Germana                     - Oppure?

Nalège                        - Oppure si cangia bruscamente di umore. Si diventa gai, frivoli, leggeri, o faceti. Ci si alza, ci si siede di nuovo, si guarda, ci s'interessa di bagatelle. Si dice: Ecco una graziosa miniatura su questa scatola. (Prende una scatola che è sul tavolo) Sapete chi è que­sta dama incipriata?

Germana                     - La signorina Fel.

Nalèce                         - (freddo) Ah, è la signorina Fel!...

Germana                     - Lo credo, almeno. Potete fare il para­gone col pastello di Latour, che è a San Quintino.

Nalèce                         - (bruscamente) Non mancherò di farlo, si­gnora. Vi ringrazio di avermi offerto un'occupazione interessante. Vi consacrerò i miei ozi.

Germana                     - Come dite tutto ciò! Che avete?

Nalège                        - Niente. Continuo la mia dimostrazione. Dico: si guarda, si scherza... Si scherza grossolanamente; si ha un brio da elefante. Oppure... Ma voi mi seguite, vero?

Germana                     - Vi seguo; continuate.

Nalège                        - Oppure ci si vendica interiormente. Si sprezza con sincerità... dico proprio con sincerità, la cosa preziosa. La si guarda da conoscitore disdegnoso. Ci si dice: Sì, vedo... il colorito puro e limpido, i ca­pelli d'oro tenue, un bell'incarnato, un collo e delle spalle d'una linea armoniosa, una vita rotonda e flessi­bile. Ebbene, è una donna unica, dopo tutto? Tanto rara? Si sa quel che è. Che sciocchezza sognare di lei, e che follia soffrire per lei!

Germana                     - Ah, proprio si dice...

Nalège                        - Lo si dice, e si tenta di crederlo. E poi si ha pietà di se stessi: ci si vuol bene, ci si augura il ri­poso e la tranquillità. Ci si dice: «Vecchio mio, non ti rendere infelice, non soffrire. Vattene! Vattene a fumare la pipa nel tuo bosco, va a ritrovare il tuo cavallo e il tuo cane, vai a passeggiare all'aria aperta, imbecille! ». E si prende il cappello. (Prende il cappello) Buongior­no, signora. (Esce).

Germana                     - Se ne è andato... Buon viaggio, signor Nalège, arrivederci, addio... Addio, arrivederci... Chi sa? Un po' brusco, un po' bizzarro, questo signor Nalège. Che volete?... Un uomo che dorme in fondo ai boschi, con la tempesta, in una capanna da carbonaio! Le cin­que... Un selvaggio, che tuttavia... Ah!... La lettera per quel povero Adalberto!... (Suona) Forse è vero quel che diceva Cecilia, che Adalberto è più sciocco di quanto lo era mio... suo fratello. Ma ciò non ha importanza; oh, no... (Entra Francesco) Per la posta... Se vengono visite, non ci sono per nessuno.

Francesco                    - (le consegna una carta da visita). .

Germana                     - Giacomo Chambry... Fate entrare. (Entra Giacomo Chambry) E' per puro caso che mi trovate. Di solito non ci sono mai così di buon'ora.

Chambry                     - Un caso?... Una fortuna, piuttosto... un, piacere...

Germana                     - E anche un piacere raro, giacche, voi non ve lo concedete spesso. Ieri, a teatro, non siete venuto a i trovarmi nel mio palco. Vi siete rifiutato questo piacere.

Chambry                     - Non ho osato... Veramente, non ho osato. Ho scorto nel vostro palco draghi, orchi, orchesse, nani... una cosa terribile...

Germana                     - Come? Draghi... orchi...

Chambry                     - Attorno a una fata, per difenderla, era ben naturale. Ma io ho rabbrividito. C'era, dietro di voi, il consigliere Billaine che r " ava certi occhiacci, il co­ lonnello Ilcrpin che piangeva sulle vostre spalle, e il barone Michiels che dormiva. Era il nano. Ed era spa­ventoso.

Germana                     - Deliziosa, la commedia... non trovate?

Chambry                     - Sì, d'accordo. Noiosa, noiossissima.

Germana                     - Ma niente affatto. Deliziosa, vi dico, ca­ rina...

Chambry                     - Carina? E' possibile. Ho veduto un solo atto... .

Germana                     - Andiamo! Voi siete rimasto tutto il tempo nel palco della bella signora Dusenne... E non- c'erano nani, né orchi, ne draghi, in quel palco? Non c'era che Dusenne che è sordo e il piccolo Malcy che è muto... Vi trovavate bene là?

Chambry                     - Benissimo, signora. Vi ho osservato per tutto il tempo...

Germana                     - Da lontano?

Chambry                     - Da.lontano, ma vedendo doppio. Cioè vi vedevo nello stesso tempo di faccia e di profilo. Voi eravate di profilo nello specchio del proscenio, con una nuca... Una rara nuca bellissima, rarissima. Finora non ne ho trovate che cinque come la vostra.

Germana                     - Fate collezione di nuche?

Chambry                     - Vale a dire che io ho l'occhio giusto e che so vedere. Non ridete. Non tutti posseggono questa facoltà. Io so di persone che hanno amato una donna per mesi, anni, tre anni, quattr'anni...

Germana                     - Quattr'anni?

Chambry                     - Se questo vi spaventa, facciamo diciotto mesi, due anni... Uomini che hanno adorato una donna per anni, che l'hanno amata... in tutte le maniere, e che non sanno neppure come essa è fatta, ciò che ha di buono e ciò che ha di meno buono. E nemmeno lo sup­pongono; non lo supporranno mai. Essi non l'hanno vista, non hanno saputo vederla. Manca loro l'educa­zione dell'occhio... Un difetto irreparabile... Con cotesta igente, le cose squisite son come perdute. Gente il cui occhio non sa leggere una donna: ma è la maggioranza. Posso darvene un esempio. Voi conoscete Thouvenin, il vecchio Thouvenin, Thouvenin delle ferrovie del Congo? Sapete pure che da molti anni egli se l'intende con Mer­cedes, la ballerina.

Germana                     - Ma no, io non so niente di tutto questo.

Chambry                     - Dal momento che ve lo dico io... Ebbene un giorno della settimana scorsa mi sono incontrato con Thouvenin in una casa molto ben frequentata... No, non era presso una signora della buona società... Thouvenin sfogliava, sul tavolo del salone, un album di fotografie pieno di signorine di null'altro vestite che di orecchini e anelli. Io guardavo lo stesso album al disopra della sua spalla. A un tratto scorgo una donnina bruna, fine, la quale, non avendo altro velo che il suo ventaglio, con esso si celava gli occhi, con un sentimento ben rispetta­bile. Dico a Thouvenin: «Ecco Mercedes! ». Egli si spa­venta e grida: «Dov'è»? «Qui, signor Thouvenin, nel­l'album dei... campioni». «Non è possibile? Che cosa ve lo fa credere?». «Tutto». «E a me, niente! Come volete che la si riconosca? ». E notate che Thouvenin spendeva quindicimila franchi al mese per possedere delle attrattive che non riconosceva più quando mancava loro la punta del naso. La morale di questa storia...

Germana                     - Ah, c'è una morale?...

Chambry                     - Sì, e la trarrete voi stessa.

Germana                     - Io? Ma se io non so neppure che cosa avete detto. Non ho- ascoltato.

Chambry                     - Ascoltate almeno la morale. E' triste a dirsi quando si è una bella donna, ma vi sono pochi, pochissimi conoscitori.

Germana                     - Allora, voi non avete che un'idea vaga della commedia che abbiamo visto... insieme? Peccato. Era interessante.

Chambry                     - Ma ve l'ho detto: io non ho guardato che voi. Voi non saprete mai quanto eravate affascinante ieri sera.

Germana                     - Descrivete... Su, "descrivete... Sono certa che non ricordate neanche il colore dell'abito che in­dossavo.

Chambry                     - Il vostro abito?... Il colore?... (Pausa) Blu!

Germana                     - Che peccato che non vi siate visto, rispon­dendomi... blu! Voi eravate così (lo imita)... occhi in­quieti, fronte corrugata, braccio teso, dita allungate e tentennanti, come "un ragazzino che estragga un numero da un'urna...

Chambry                     - Ebbene?

Germana                     - Ebbene, avete indovinato.

Chambry                     - E quell'abito vi stava a meraviglia.

Germana                     - Ah, voi trovate che...? Per l'appunto uno dei vecchi amici ch'erano nel mio palco, mi ha detto: « Quest'abito non vi va affatto. Voi siete cento volte me­no incantevole in blu che in rosa ». E vi confesso, signor Chambry, che sono stata commossa e lusingata da que­sta osservazione, Perché la credo vera, Perché vi ho sen­tito della sincerità e un vero desiderio di vedermi mi­gliore.

Chambry                     - E' il nano che vi ha detto ciò?

Germana                     - Il nano?

Chambry                     - Sì, il barone Michiels! Egli ostenta con voi una rude franchezza. Vi soggioga con la sua sicu­rezza nel giudicare i vostri abili. Ebbene, egli è affetto da daltonismo; sì. daltonismo. Non distingue il rosso dal verde. Un giorno, all'Hotel des Vcntes, l'ho trovato in estasi davanti alle ciliegie di Maddalena Lemaire. Credeva che fossero prugne. Giudicate un po' voi come questo gnomo possa gustare il roseo delle vostre gote, che così delicatamente si fonde col bianco del vostro collo...

Germana                     - Povero signor Michiels! E' un amico così buono, così devoto!

Chambry                     - Non lo credete. E' stizzoso, malevolo, ecco lutto. Che vantaggio avete a circondarvi di amici raci­molati nella magistratura, nella finanza e nell'esercito, che vi sorvegliano con una vigilanza grottesca e feroce? Non vi si trova mai sola. Germana         - Mi pare che in questo momento... Chambry         - Oh, per una volta, nel vostro salotto... con tanti usci!... Ce ne sono di usci, in questo salotto! Germana        - Quattro, come in tutti i salotti. Voi non immaginate... Chambry             - Ma diamine, sì, immagino... Germana         - Non conosco le vostre idee in fatto di arredamenti. Io amo le stanze chiare, semplici di linea, non ingombre.

Chambry                     - (si alza ed esamina alcuni oggetti su una mensola, poi in una vetrina, poi su un tavolo) Voi avete gusto, sentimento artistico... Vero, vero... Potete credermi. Io me ne intendo. Germana             - Vi credo, vi credo.

Chambry                     - Possedete delle eccellenti cose... Bellissi­mi questi brucia-profumi in montatura antica... Vecchia China, vecchio Sèvres... Celadone... Pasta tenera... (Pren­de una scatola sid tavolo) Questa scatola, con una minia­tura su un fondo di vernice Martin, screziata come un abito di trisavola, è gradevole alla vista e al tatto. Io amo i ninnoli che si toccano con piacere, che si lasciano accarezzare. Questa miniatura è il ritratto di ima donna molto nota. E'... aspettate che trovo. Germana          - Si dice che sia la signorina Fel.

Chambry                     - E' vero. Assomiglia al pastello di Latour.

Germana                     - Ah, voi conoscete il pastello di Latour? Alla buon'ora!

Chambry                     - Ciò vi stupisce Perché voi non vedete che dei selvaggi... Amate le miniature?... Perché, se le amaste, io potrei mostrarvene di bellissime, in casa mia.

Germana                     - Sì, amo le miniature, ma non a tal punto...

Chambry                     - E invece bisognerebbe amarle « a tal punto » da venire a vederne qualcuna, domani, tra le cinque e le sei, in piazza Venderne 18, al mezzanino, a sinistra.>. niente scale, tre soli gradini... (Prenda un libro sulla tavola).

Germana                     - Guardate bene ciò che avete in mano.

Chambry                     - Vedo... Una rilegatura in marrocchino. Superba !

Germana                     - Non mi rimprovererete di avervelo imposto, siete andato voi stesso a cercarlo. Chi è che ha detto che non si evita il proprio destino? Voi siete andato incontro al vostro. Ciò che voi tenete nella vostra mano, è l'al­bum!... Sissignore, questa rilegatura in marrocchino ri­copre l'album. Io sono come le altre: ne ho uno. (Gli tende una penna).

Chambry                     - (sfogliando) Vedo, è un album... E, dal momento che si ammette il genere, mica male, questo vostro... Falguière, Paul Hervieu, Massenet... Henri La-vedan, Paul Bourget, Desehanel, Ludovic Halévy... Una « élite » ! I nomi celebri abbondano... Ma, ecco, qua e là, qualche nome meno illustre. Se non sbaglio, ma mi sembra che i nomi di Janvier-Dupont, del colonnello Herpin... e di Paul Fioche non siano bagnati da una luce accecante. Voi mescolate gli illustri e gli oscuri nell'album...

Germana                     - E' quel che si deve fare. Vi dirò... qualche volta... oh, non spesso, ma qualche volta le persone di mondo scrivono delle cose carine in un album. Gli uo­mini celebri, mai! Oh, potete accertarvene. Vedete quel che hanno scritto Jules Lemaitre... Pailleron... Sardou... Vandérem...

Chambry                     - (dopo aver sfogliato e letto sottovoce) Oh, sì, avete ragione... Molto insignificante... debole... di nessun valore...

. Germana                   - E Dumas! Leggete ciò che ha scritto Du­mas.- Al principio.,, a capo di pagina... qui...

Chambry                     - «C'est à l'entrée de l'hiver qu'on ramono les cheminccs. Alexandre Dumas Fils ».

Germana                     - E sotto?... Leggete ora quel che c'è sotto...

Chambry                     - (leggendo forte) « L'amour fleurit dans les lamica. Paul Fioche ».

Germana                     - E' grazioso.

Chambry                     - Sì, grazioso. E ricorda un'impressione che si è provata qualche volta, una cosa già sentita... CI»'.:, cosa fa, questo signor Paul Fioche?

Germana                     - Non lo so bene, ma credo che si occupi di pavimenti di legno... (ledendo che Chambry richiude l'album) Oh, è venuto il vostro turno. Non sfuggirete. Su, scrivete qualcosa...

Chambry                     - Quel che rattrista, non è tanto quel che vi è scritto, è questo bianco, tutto questo bianco. Si pensa, vedendolo, a tutte le sciocchezze future, a tutti i pensieri fiacchi, zoppicanti, contraffatti, che l'avvenire reca nel suo seno (scrive) e che verranno a fissarsi qui. C'è da piangere!

Germana                     - Scrivete!

Chambry                     - Fatto, signora, fatto!

Germana                     - Che cosa avete scritto? (Chambry lo. porge l'album. Germana legge forte) « L'amour est un ruisseau qui reflète le ciel ». Bellissimo.

Chambry                     - E io Io penso. Sì. Penso che se l'amore non ci colorisse la vita, ci sarebbe da morire di dispe­razione e di noia. Io sono, in fondo, un sognatore, un sentimentale.

Germana                     - «L'amour est un ruisseau qui reflète le ciel ». Delizioso. Ma l'acqua scorre, se il cielo è fermo. Non v'impegnate in nulla.

Chambry                     - Il ruscello azzurro rinasce continuamente per scorrere contìnuamente cantando. Le stelle del cielo palpitano nelle sue onde...

Germana                     - Ma, ditemi, questo ruscello scorre fin dalla sorgente?...

Chambry                     - Ma...

Germana                     - 0 non scaturisce piuttosto da un serbatoio, da un piccolo serbatoio di lamiera, di cui voi avete la chiave, e che potete chiudere di colpo, una bella sera, prima di andare a fare la passeggiata?

Chambry                     - Voi siete imprudente, siete quasi colpe­vole di beffarvi dell'amore.

 Germana                    - lo non mi faccio beffe dell'amore. Tntt'al più mi faccio beffe del vostro ruscelletto.

Chambry                     - E fate male. Siete più ingiusta di quanto non crediate. Se sapeste...

Germana                     - Sì, ecco, io non so.

Chambry                     - Mi credete incapace di sentimento, di tenerezza?

Germana                     - Vi confesso che non ho idee su questo argomento.

Chambry                     - Sì, si! Perché io non ostento una rude franchezza, come il barone Michiels, Perché non roteo degli occhi terribili come il vecchio consigliere Billaine, Perché non piango sulle vostre spalle, in silenzio, per tutta una serata, come il prode colonnello Herpin, voi immaginate che io sia indifferente, che non sappia ap­prezzarvi, che non m'accorga che siete deliziosa, squi­sita, adorabile.

Germana                     - Io non m'immagino nulla, credetelo, ve ne prego.

Chambry                     - Voi non mi conoscete, non credete in me. E volete che vi dica Perché? Gli è che voi siete in amore per la tradizione classica, per le forme consacrate, per il protocollo. Volete che vi si faccia la corte metodica­mente, tra gli innamorati voi pendete per il genere grave e corretto... Ma è un'aberrazione. Se sapeste come gua­stano una donna, quando l'hanno, cotesta gente!... Non cadete sotto i loro artigli: sarebbe uri delitto.

Germana                     - Siete già stato a visitare l'Esposizione de­gli acquarellisli? E' buonissima, quest'anno.

Chambry                     - Perché non credete che io vi amo? Perché non ve l'ho detto? Ebbene, qualche volta è proprio quando lo si pensa di più, che meno lo si dice.

Germana                     - Sarò franca, signor Chambry: anche se voi me l'aveste detto, io non lo crederei... di più.

Chambry                     - Perché?

Germana                     - Ma Perché non appena voi siete alla pre­senza di una donna, dite ciò come si dice piove o fa bel tempo. Per voi, ciò non ha importanza... Non ci pensa­vate: lo dite e poi non ci pensate più. E' una cortesia,

Chambry                     - No... oh, no.

Germana                     - Una scortesia, allora, se volete.

Chambry                     - Eppure, è vero che io vi amo. E se ve lo dico nelle disposizioni che mi attribuite, non è certa­mente per esser cortese, e nemmeno per essere scortese, malgrado la voglia che ne ho... E' semplicemente Perché sono sincero e Perché vi amo.

Germana                     - E' buffo... Eppure bisogna credere che vi siano donne che si lasciano convincere da ciò che voi dite... Perché se il gioco non riuscisse di quando in quando, voi avreste forse rinunciato... E* vero, è proprio vero che qualche volta le donne sono sciocche.

Chambky                    - Io, io sono sciocco. Noi siamo sciocchi. Non c'è altro di buono, credetemi. Voi non siete stata inai felice, non siete stata mai amata. Non sapete che cosa sia esserlo, amata. Non sprecate la vostra giovinez­za, la vostra bellezza. (Cade in ginocchio, le bacia le mani) Lasciatevi vincere, lasciatevi intenerire. Non siate la nemica del vostro cuore. Germana, ve ne prego... per me, per voi.

Germana                     - Alzatevi. Suonano. Vien gente.

Chambry                     - No, non mi alzo. Non viene nessuno. Non deve venire nessuno. Sarebbe ridicolo. Sarebbe come a teatro. Resterò ai vostri piedi. Terrò la vostra mano sulle mia. labbra, finché non mi avrete creduto.

Germana                     - Oh, si, credo... credo che non vi faccio orrore... Via, alzatevi! (Entra Cecilia).

Cecilia.                        - Sono ancora io, mia cara. Buongiorno, si­gnor Chambry. . Chambry         - Signora, sono veramente felice...

Cecilia                         - Davvero?... (A Germana) Nalège non è qui?

Germana                     - E' più di un'ora che se ne andato... E anche con una certa fretta.

Cecilia                         - Era per venire da me. Ma tornerà. Gli ho dato appuntamento in casa tua. E' uscito con mio ma­rito, che doveva mostrargli un cavallo strada facendo, e poi deporlo alla tua porta. Come mai non è già qui?

Chambry                     - Oh, avrete un bell'attendere. Per gli ama­tori di cavalli, quando hanno il piede sul fieno e il naso su uria groppa, le ore trascorrono come secondi.

Cecilia                         - Voi non conoscete il signor Nalège: il suo più grande piacere è di passeggiare a piedi col suo fu­cile e un libro... E potete crederlo: quantunque serissi-. mo, piace molto.

Chambry                     - Ed ha molto spirito. Disgraziatamente è come il mobile di mia zia Clemenza. Si dice che sia un Beauvais mirabile, ma nessuno ha visto altro all'infuori della copertura, della gualdrappa. Oh, se Nalège si to­gliesse la gualdrappa, che splendore! Ma non se la to­glierà.

Cecilia                         - Vale a dire che non se la toglie per tutti. Non è banale, il signor Nalège.

Chambry                     - Egli ha almeno un vantaggio, ch'io gl'in-vidio: quello di piacervi... (A Germana) Cara signora...

Germana                     - Ve ne andate?

Chambry                     - (piano)  Sì, ma ritorno. Bisogna che vi parli. (Esce).

Cecilia                         - Ti faceva la corte?

Germana                     - Un poco... Perché, ciò si vede?

Cecilia                         - Una dichiarazione si vede quando attacca, come l'unguento vescicatorio. Mette sulla pelle una luce rosea... oh, leggerissima!

Germana                     - Ti piace tanto dire delle sciocchezze?

Cecilia                         - Ma, cara, è facile indovinare. Egli fa la corte a tutte le donne. La fa anche a me. A me, che gli uomini non degnano neanche d'uno sguardo. E' vero: io non ho successo. E non ne so il Perché. Pure non sono né più brutta, né più sciocca di un'altra.

Germana                     - Tu sei perfetta.

Cecilia                         - No, non sono perfetta. Sono confortevole. E normale... oh, normale... Ti ricordi quando s'andava insieme ai corsi del signor Blanchard? C'erano nel no­stro atlante di geografia delle teste che rappresentavano i tipi delle razze umane: razza nera, razza gialla, razza bianca. Ebbène, la razza bianca era il mio ritratto spic­cato. Tu ci avevi scritto il mio nome sotto.

Germana                     - Lamentati! Era Venere.

Cecilia                         - Credi?

Germana                     - Ne sono certa. La Venere dei Medici. Apollo era alla sua sinistra. E, sotto, un pellerossa. Li vedo ancora.

 Cecilia                        - Ebbene, dobbiamo credere che la Venere dei Medici non sia più richiesta che da Chambry. E il peggio si è che io sono normale al morale come al fisico, normale nell'anima... Ma sì... c'era scritto, sai, nel nostro atlante, sotto la razza bianca : « Le donne di questa raz­za sono attive, intelligenti, coraggiose e fedeli ». E', per l'appunto, quel che io sono. Rispondo al tipo, né più né meno. Sono normale sino alla banalità.

Germana                     - Ma non crederai che io sia un'eccezione, una mostruosità?

Cecilia                         - Tu hai del fascino. E ti credo onesta.

Germana                     - Ti ringrazio, Cecilia.

Cecilia                         - Sì, ti credo onesta. Lo credo anzitutto Perché è più comodo tra amiche. Bisogna che lo dica: allora, vai meglio che lo pensi anche. Eppoi, è forse vero, lo non ho la prova del contrario.

Germana                     - Davvero?

Cecilia                         - Eppoi tu sei vedova, sei libera. Ma forse la libertà trattiene... So bene che tu non sei eccessiva­mente seria. Ma sono proprio le donne serie che com­mettono i più gravi spropositi. Guarda, per esempio, la signora Saint-Vincent: era seria, era austera, aveva una bellezza grave e dei sentimenti elevati. Ebbene, la prima I volta che Chambry si è degnato di mancarle di rispetto è caduta in deliquio tra le sue braccia. Da quel momen­to, essa gli corre dietro come una pazzarella. I suoi figli, la sua reputazione, la carriera diplomatica di suo ma­rito, tutto ha sacrificato a quel ragazzaccio, il quale s'in­fischia bellamente di lei, come tu bene immaginerai.

Germana                     - E' temibile, questo Chambry.

Cecilia                         - Oh, non è molto comodo per una donna, Chambry. E' bugiardo e vanitoso. Io non do consigli, neanche quando non me ne chiedono, il che non sareb­be tuttavia così eciocco come il darne quando vengono richiesti; ma se ne dessi, sarebbero buoni, i miei con­sigli!... Io, mia cara, non tengo le carte, ma vedo assai bene i giochi, mentre le più astute giocatrici...

Germana                     - Non ne dare, Cecilia, non ne dare. Io farei il contrario, com'è d'uso, « tu avresti una respon­sabilità terribile... Non aver paura, io non farò scioc­chezze. Una cosa è certa: ed è che io mi annoio nella vita. Ebbene, giacché ci riesco perfettamente da sola, è inutile che mi faccia aiutare. Val molto più annoiarsi che farsi annoiare, come è meno urtante pettinarsi male da sé, che farsi mal pettinare da una cameriera. Io non ho più illusioni, mia cara. Il matrimonio mi aveva di­sgustato con l'amore; e gli uomini che vedo non mi hanno ancora riconciliato con esso. I sinceri sono seccanti, e gli altri, quelli che forse ci piacciono un poco, si bur­lano di noi. In queste condizioni non vale proprio la pena di complicare la nostra esistenza. Io non sono né tenera, né generosa. Stimami, Cecilia: io non ho abba­stanza cuore per comportarmi male.

Cecilia                         - Sta bene... Tu non hai abbastanza cuore; ma non ti fidare. Non è assolutamente necessario essere una santa per avere una cattiva condotta. Ed ora, par­liamo seriamente. Tu pranzi da me, e poi ti porto a teatro. Nalège e mio marito vengono con noi. Vai a metterti il cappello. (Francesco porta una carta da vi­sita).

Germana                     - (leggendo) Il signor Nalège.

Cecilia                         - Presto, vai a metterti il cappello. Lo ricevo io. (Entra Nalège) La signora Sescourt vi prega d'attendere un momento. Viene subito. Ebbene, il cavallo che mio marito vi ha fatto vedere, l'avete acquistato?

Nalège                        - Sì... La signora Sescourt è forse andata a Earsi ammirare... fuori? Perché in tal caso l'attesa sarà - senza dubbio lunga.

Cecilia                         - No, è in camera sua. A mettersi il cappèllo.

Nalège                        - L'attesa sarà lunga lo stesso... Ma siccome li tratta d'urto dei più importanti atti ch'essa possa compiere...

Cecilia                         - Io non ne vedo l'importanza;

Nalège                        - La vedo io. Quel che mette una donna in valore, quel che le dà un pregio, quel che ne fa nel mondo una potenza che non ha l'eguale che in quella a dell'oro, è l'abito e il cappello.

Cecilia                         - E la biancheria, signor Naiège.

Nalège                        - E la biancheria, avete ragione.

Cecilia                         - Signor Naiège, voi trovate che le donne sono degli esseri inferiori. Forse non avete torto; ma avete certamente torto a lasciarlo scorgere. Non è abile.

Nalège                        - Anche voi, signora, volete che si ammirino? i vostri sentimenti altrettanto come i vostri cappelli?

Cecilia                         - Non si tratta di me. Eppoì, signor Naiège, non siate sgradevole con me, poiché sareste senza scusa: vai non siete innamorato dì me. Di più, non sarebbe giusto: poco fa ho fatto il vostro elogio e vi ho difeso contro il signor Chambry, il quale pretendeva che voi non volete togliervi la vostra gualdrappa.

Nalège                        - La mia gualdrappa?

Cecilia                         - Non cercate di comprendere. Ho detto che  e voi avevate lo spirito elevatissimo, seduccntissimo, nien­te affatto banale, e che portate sempre un libro in tasca. I E' vero?

Nalège                        - Il libro, è vero! (Trae un libriccino dalla tasca).

Cecilia                         - Un autore serio, un filosofo.

Nalège                        - O un poeta... Questo è Ronsard...

Cecilia                         - (prendendo il libro) Fate vedere... Oh, che aspetto vecchio ha!

Nalège                        - Ed io, invece, gli trovo una freschezza ado­rabile. (Entra Germana).

Cecilia                         - Ecco il signor Naiège, con Ronsard, genti­luomo vandornese.

Germana                     - Ah, siete tornato, signor Naiège?

Nalège                        - Era necessario che tornassi.

Germana                     - Siete cortese. . Nalège         - No, signora; non abbastanza. Ho torto. Scusatemi.

Cecilia                         - (sfogliando il Ronsard) Signor Naiège, voi fate appassire i fiori nei vostri libri.

Nalège                        - Sì, signora. Un bibliofilo mi biasimerebbe. Ma siccome io leggo nei boschi, vi metto qualche fiore per segno nelle pagine che preferisco.

Germana                     - E il vostro cane e il vostro fucile, allora?

Nalège                        - Dormono.

Cecilia                         - To', c'è una pervinca a questo punto: «Quand vous serez bien vieille, au soir, à la chan-delle...». Son proprio belli questi versi?

Nalège                        - La forma è rozza e lo stile antiquato; ma io trovo che sono i più belli del mondo. (A Germana) Non li conoscete?

Germana                     - No.

Nalège                        - Peccato!

Cecilia                         - E io neppure li conosco. Altro peccato! Anzi, peggio che un peccato, giacché io amo molto i versi. E li comprendo. Ma questo non si vede. Mentre Germana, per il fatto che ispira della poesia, tutti cre­dono subito ch'essa l'ami... Oh, certamente, essa ispira poesia. Il suo album è pieno di poesie che le sono state dedicate. (Prende l'album e lo sfoglia) Ecco, sentite: «Alla signora Sescourt: Pourquoi l'azur de vos pru-nelles - Est'-il  soudain plein d"etincelles »? Versi che si cantano. C'è la musica sulle parole. (Volta parecchi fogli dell'album) « Alla signora Sescourt : « Quand l'aubépine fleurie de tes bras - Etend ses rameaux las de blancheurs et de parfums... ».

Nalège                        - Questi sono dei versi liberi.

Cecilia                         - Ed ecco un pensiero sbocciato di fresco: «L'amour est un ruisseau qui reflète le ciel». E questo fiore è di oggi, Germana?

Nalège                        - E' un pensiero di Renan.

Cecilia                         - No, è di Paolo Chambry.

Nalège                        - E' di Ernesto Renan. Egli scriveva cotesti versi su lutti gli album, indifferentemente.

Cecilia                         - Ebbene, Paolo Chambry l'ha firmato col suo nome.

Nalège                        - E' un impudente plagio, ecco tutto!

Germana                     - Nossignore: se lo pensava, aveva il di­ritto di firmarlo.

Cecilia                         - Venite, Nalège?... Prima non voleva venire, ora non vuole più andarsene. Io non ho tempo d'aspet­tarvi. Bisogna che vada a vestirmi. Germana cara non ci far pranzare troppo tardi. La commedia comincia alle otto. Cerchiamo di non arrivare dopo le nove.

Germana                     - Io non ricordo di aver mai ascoltato il principio d'una commedia.

Cecilia                         - Io neppure. (Esce).

Germana                     - Come, signor Nalège, voi la lasciate par­tire sola?

Nalège                        - Una parola soltanto, signora. Voi mi avete trovato talora brusco, bizzarro, insopportabile...

Germana                     - No, io non vi ho scoperto un così gran numero di qualità. Ho trovato soltanto che siete un po' nervoso. Ciò dipendeva, senza dubbio, dal soggetto della conversazione. Voi l'avete male scelto. La prossima volta prendetene un altro, ecco tutto. Ce ne sono tanti!

Nalège                        - Di soggetti di conversazione tra una fran­cese e un francese? No, signora; non ce n'è che uno, ma si può variarlo sino all'infinito. In avvenire lo trat­terò in tutt'altra maniera di quella di poc'anzi, se lo permettete; sarò grazioso, amabile, quasi seducente.

Germana                     - Stavo appunto per chiedervelo.

Nalège-                       - Volete che cominci subito?

Germana                     - Fate presto. Vi concedo tre minuti. La mia cameriera m'aspetta.

Nalège                        - Sono pochi, tre minuti. Vuol dire che sarà un sunto, una epitome. Ma vi sarà l'essenziale, e credo che voi resterete soddisfatta. (Con un ardore fittizio e un'affettazione di grazia) Dunque, signora, io non amo che voi; voi sola occupate la mia mente e mi turbate. Quando io ho l'aria di trattenermi presso un'altra donna, è una maniera tutta mia speciale di guardarvi da lon­tano, discretamente, senza importunarvi. Io aspetto che lo sciame che bisbiglia attorno a voi si disperda. Io vi voglio per me, soltanto per me. Dovervi disputare a tanti altri è per me una vera disperazione. E pertanto, sappiatelo, io sono il solo ad ammirarvi e a comprender­vi. Voi siete la più bella, siete la sola bella, voi realiz­zate l'ideale concepito nei miei sogni. Voi mi credete frivolo, leggero, innamorato di tutte le donne; ma io non amo che voi. Vi amo, vi adoro... (Finge di afferrarla per la vita).

Germana                     - Signor Nalège, i tre minuti sono passati.

Nalège                        - Sì, ma io ho avuto il tempo di piacervi.

Germana                     - Piacermi, è pretendere un po' troppo; ma vi confesso che vi trovo un po' più piacevole di po­c'anzi.

Nalège                        - E' ben questo! Voi mi trovate amabile Perché io vi ho parlato come coloro che non vi amano e che si divertono attorno alla vostra bellezza. Vi sono piaciuto Perché le mie parole avevano l'odore della menzogna. Checché diciate, signora, le donne non si conquistano che con le smorfie.

Germana                     - (all'uscio) Giulia, preparatemi l'abito bianco. (A Nalège) Signor Nalège, voi non mi affasci­nate affatto. Rimpiango la vostra maniera di poco fa, la maniera chiara, come si dice dei pittori. Andate, la­sciate che mi vesta. Questa sera ceneremo insieme, passe­remo la serata insieme, dovreste essere contento.

Nalège                        - No, signora. (Esce).

Germana                     - Ha dimenticato il suo libro... « Gli amori di Pietro Ronsard »... Certamente Chambry non mi di­ceva delle cose assolutamente nuove, che nessuno ha detto ancora e che nessuno dirà mai; ma egli ci metteva delia piacevolezza e un certo accento tutto suo speciale. Neanche le selvatichezze di Nalège debbono essere nuove di zecca; ma sono urtanti... «Gli amori di Pietro Ron­sard »... E' vero ch'egli mette ad appassire dei fiori nelle pagine del suo poeta. Quest'uso mi commuove... Un bra-v'uomo, in fondo, questo Nalège... Ecco la pervinca che segna i versi più soavi. (Legge) « Vivez, si m'en croyez, n'attendez à demain.    - Cueillez dès aujourd'hui les roses de la vie ». Forse ha ragione, il poeta del signor Nalège. «Cueillez dès aujourd'hui les roses de la vie »... (Entra Chambry) Voi!

Chambry                     - Stavo in guardia. E sono risalito. Doveva bene annoiarvi, il vostro campagnolo... Finalmente, siamo soli. Ho tante cose da dirvi.

Germana                     - Stavate in guardia?... E siete ris...? Signor Chambry, fatemi il piacere di andarvene. Voi entrate co­me un ladro. Avete l'aria di uscire da un armadio. E' ridicolo.

Chambry                     - No, non è ridicolo. Volete dire che non è convenevole. E avete ragione: non è convenevole. Lo sento benissimo.

Germana                     - E' semplicemente ridicolo.

Chambry                     - Mettiamo inammissibile. E' l'inconvenien­te della nostra situazione.

Germana                     - Ma che cosa dite?

Chambry                     - E' l'inconveniente della nostra situazio­ ne... che è piena d'inconvenienti. Motivo per cui, signora, non bisogna farla durare. Ciò costituirebbe un'estrema imprudenza. E' « prima » che si rischia di compromettere una donna; è «prima» che si commettono tutte le ba­lordaggini, le dappocaggini. Ma sì... Dopo ci s'intende, ci si accorda, si agisce con prudenza e si evitano i peri­coli. Per compromettere una donna « dopo » bisogna essere un furfante o l'ultimo degli imbecilli... oppure un selvaggio come Nalège... Ecco un uomo il quale, se una donna (disgraziata!) avesse delle bontà per lui, lo porterebbe scritto negli occhi, a caratteri grossi, come i numeri delle palle di una tombola.

Germana                     - Signor Chambry, la mia cameriera mi aspetta. Andatevene.

Chambry                     - Commettere un'imprudenza « dopo » è imperdonabile. Questo non deve mai accadere. Ma « pri­ma » il gentiluomo più perfetto del mondo non può rispondere di niente. Io non vi garantisco che già non si parli di noi.

Germana                     - E' strano che io non mi irriti di più. Confessate che voi stesso trovate strana questa mia con­dotta.

Chambry                     - Al contrario, è naturalissima, poiché voi sapete che io vi amo...

Germana                     - Vi auguro la buona sera, signor Cham­bry...

Chambry                     - Dove andiamo?

Germana                     - Io?... A pranzo dalla signora Laverne.

Chambry                     - No, voi non andrete a pranzo dalla «ignora Laverne.

Germana                     - Che? Io non vado a pranzo...? Ma voi siete matto!... Dio mio, le otto!... E Cecilia, e il signor Nalège che mi aspettano!

Chambry                     - Ah, questo no... voi non pranzerete con Nalège. Pranzerete con me, in qualche posto, sotto un pergolato, in campagna.

Germana                     - State diventando ultra-ridicolo, signor Chambry.

Chambry                     - Scrivete : « Mia cara Cecilia, una terribile emicrania... ».

Germana                     - Signor Chambry, ora vi parlo seriamen­te... andatevene...

Chambry                     - No, non me ne andrò... Non vi lascierò Perché vi rechiate a rivedere Nalège. Germana, restate,, io vi amo.

Germana                     - Andatevene, ve ne prego.

Chambry                     - Non posso lasciarvi; vi giuro die non posso. E' più forte di me. Germana, mi fareste soffrire... molto. Parlo sinceramente. Mi fareste soffrire... proprio.

Germana                     - Soffrire, Perché?... A causa di Nalège?

Chambry                     - Ma sì!

Germana                     - Oh, se è a causa di Nalège, risparmiatevi pure questa pena. Non è il caso, vi assicuro.

Chambry                     - Davvero? Voi preferite me?

Germana                     - Vi preferisco. Siete contento?

Chambry                     - Contentissimo.

Germana                     - Ebbene, ora andatevene.

Chambry                     - A domani, alle cinque. Verrete, vero? Tre gradini soltanto. Cambierò tappeto per voi. (Esce).

Germana                     - (sola) Ed ora, accada pure quel che deve accadere!...

FINE