Allegorie della primavera

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ALLEGORIA DELLA PRIMAVERA

Dramma in tre atti

di ENRICO CAVACCHIOLI

PERSONAGGI

ISADORA

GIUNCHIGLIA

La marchesa CANDIDA

ERCOLE

OSVALDO

Il Padre

CARTAPECORA

MANGANELLO

Gli Operai

 Oggi - Domani

ATTO PRIMO

Una villa nobilizia di campagna, piena di oggetti antichi, di armature arrugginite, di quadri, di carillons, di orologi. Di sera. Nella sala chiusa è una penombra dolce. Quando si apre la vetrata, si domina la valle, infinita e chiara di luna.

Candida                        - (è seduta, davanti alla vetrata, su di una poltro­na massiccia. Una lampada d'ottone la rischiara appena) Cartapecora, ricordatevi di dare la corda all'orologio.

Cartapècora                   - Sì, signora Marchesa, (si accinge a dare la corda a un vecchio orologio a cucù salendo su di una sedia) Tanto il tempo passa lo stesse.

 Candida                       - E che, vecchio brontolone? Preferireste non camminasse più? Fate piano. Una di queste sere quella corda arrugginita che tirate si strappa... Non si sta molto bene, sapete?... seduti sui propri anni.

Cartapècora                   - Signora Marchesa, le mie ossa scricchiola­no talvolta' più dei mobili della casa. Se il peso è un po' forte, le armature cigolano come se si lamentassero. Io mi sono rassegnato al mio tarlo.

Candida                        - Sfido! Non avete ancora imparato a camminare in punta di piedi. Bisogna farlo, per non disturbare nes­suno. Nemmeno gli ospiti al mattino. Ricordatevi anche di questo.

Cartapecora                   - Sarà fatto, (ha finito di dare la corda. E subito s'ode per otto volte il chiurlo del cucii).

Candida                        - (come parlando a se stessa) Da quanto tempo ascoltiamo il vecchio cucù?!

Cartapecora                   - Ecco uno che non ha perduto la voce. Esce dalla sua nicchia e vi rientra immediatamente, dopo avere cantato, come se avesse paura di prendere un raf­freddore...

Candida                        - Si capisce. A certe ore di notte, l'umidità fa ve­nire i reumi.

Cartapecora                   - (c. s.) E con queste precauzioni egli vivrà eternamente. Come me (discende).

Candida                        - Come voi. Cartapecora?

Cartapecora                   - (dalla sedia, la rimette a posto, viene avan­ti) Ma si! Ho la sensazione di avere sempre vissuto. Mi muovo qui dentro come un'ombra della casa, e talo­ra mi sembra di esserne divenuto un mobile qualunque, ne cessarlo alle abitudini degli ospiti, che so? uno di quei mobili che servono da ripostiglio, per tutti gli usi.... Mi perdoni, signora Marchesa...

Candida                        - Tacete, vecchio rospo! E aprite i vetri... Poi mi aiuterete a salire in camera...

Cartapecora                   - (si inchina, eseguisce) La signorina Giun­chiglia e il signor Osvaldo vengono dal giardino....

Giunchiglia                   - (di fuori) Nonna?!..

Candida                        - Giunchiglia!

Osvaldo                        - Ha il fazzoletto pieno di lucciole!

Giunchiglia                   - (entrando) Che lucciole! Sono stelle! Stel­line... (Osvaldo la segue).

Candida                        - Accese per te, primaveretta.

Giunchiglia                   - Tutta la valle è piena. Illuminazione fanta­stica! E sai perché? Arriva Roy... Osvaldo ha ricevuto il telegramma un'ora fa...

Candida                        - (sorpresa e preoccupata) Arriva Roy? All'im­provviso?... Bisognerà far preparare la sua camera...

Giunchiglia                   - Già fatto. Ho pensato a tutto. Ho' spalan­cato le finestre, inondati gli angoli di fiori...

Candida                        - (a Osvaldo) Che cosa significa questo arrivo improvviso?

Osvaldo                        - Una sorpresa. Avrà voluto fare una sorpresa...

Candida                        - Ah, quel figliuolo mi dà pensiero... Mi fa sof­frire... C'è qualcuno che lo tormenta... lo so.

Osvaldo                        - Nonnina, che dici?

Giunchiglia                   - Nessuno può tormentare il nostro piccolo Roy!...

Candida                        - La folla è insidiosa per un uomo della sua forza!

Giunchiglia                   - (piena di un'allegrezza ammirata e infantile) È il nostro Dio! il nostro Dio!... Pensa, nonnetta: c'è un giornale di stamane che dice che la sua città potrà sorger fra due anni. Intera. Dieci mila operai che la­vorano notte e giorno: tre grattacieli, un numero ster­minato di officine, ponti che cavalcano le vie... Una fan­tasmagoria! ... Altro che la valle punteggiata di lucciole! E lui, il creatore! L'uomo che getta le fondamenta, per arrivare su, su... Più vicino al cielo possibile!....

Candida                        - Una creatura così fragile! ... Mi fa tanta paura... (pausa) E come dice il telegramma?

Osvaldo                        - Eccolo.

Candida                        - Leggi! leggi!

Osvaldo                        - « Giungerò stasera alle nove. Roy ».

Candida                        - Da Milano?

Osvaldo                        - Si.

Candida                        - (come se fosse tormentata) Non è chiaro. Non; è chiaro! ... .

Osvaldo                        - (rassicurandola) Era mezz'ora è qui. Non c'è da stare in pensiero, dunque. Anche papà non si è me­ravigliato di nulla.

Candida                        - Che ne capisce lui? È troppo semplice, troppo rozzo. Non ama che i suoi campi. Non conosce che la sua terra, come un libro spalancato. A voi creature, vi ama per una legge d'istinto. E basta. Fino al sacrificio sì, ma cieco.

Giunchiglia                   - (con un senso di rimprovero) Nonnina.... Non ti sembra che faccia troppo scuro qui dentro? La tua lucerna a tre becchi non rischiara... Ora ti mando a letto... Ho un sistema infallibile... Osvaldo, aiutami! Tu carichi il carillon, io metto in moto la pianola, e do' uno scappellotto al vecchio bonzo del Giappone!... .

Candida                        - (chiudendosi le orecchie) Misericordia!..

Giunchiglia                   - A letto! A letto, signora Marchesa! Ap­pena Roy arriva glielo conduciamo di sopra! ..

Osvaldo                        - Ecco!

Giunchiglia                   - Musica! (s'ode infatti il carillon suonare, la pianola in moto incomincia a gettare onde dì musica, il cucii chiurla all'orologio. Giunchiglia batte le mani festosamente e ha dei piccoli gridi).

Candida                        - (chiamando) Cartapecora! Cartapecora!

Cartapecora                   - (che durante tutta la scena è rimasto immo­bile come una cariatide buffa) Sono qui, signora... Sono! qui...

Candida                        - Il vostro braccio! ....

Giunchiglia                   - E luce! Luce! Luce! (accende tutte le lampade della camera) Buona notte, nonna! Poi, salgo a darti un bacio! ...

Candida                        - Buona notte, pazzerella! .. (via a braccio di cartapecora) Bisogna rispettare questi poveri vecchi...

Giunchiglia                   - Ora basta. Silenzio! (rivolgendosi ad una vecchia armatura posta in un angolo, dopo avere preso: Osvaldo per -mano) Signor guerriero, mi consente di presentarle il cugino Osvaldo, mio fidanzato? .... Mentre Lei, dormiva nella polvere dei secoli, noi correvamo per il giardino, sbaciucchiandoci in ogni angolo verde. Men­tre Lei teneva gli occhi ostinatamente chiusi, noi ci il­ludevamo di imprigionare nelle nostre mani un pugno di stelle... Ella non deve avere troppa paura di noi, se siamo così terribili... perché siamo disperatamente in­fantili...

Osvaldo                        - Finiscila, sciocchina!

Giunchiglia                   - Non è vero, forse?

Osvaldo                        - Ma che cosa vuoi che importi a questo povero signore di tutto ciò?

Giunchiglia                   - Caspita! è un personaggio di famiglia. È la tradizione...

Osvaldo                        - Allora bisogna rispettarla, la tradizione...

Giunchiglia                   - Quand'è così domando scusa.

Osvaldo                        - Ben fatto. Ed io discendo a dare un'occhiata alle scuderie. E poi ti chiamo per andare fino alla sta­zione... Ti confido, intanto, a monsignore... (le bacia la mano con galanteria e fa un inchino al guerriero).

Giunchiglia                   - Ora sei tu che gli manchi di rispetto... A suo tempo non ha mai fatto da dama di compagnia, o da bambinaia....

Osvaldo                        - È vero. Ma forse era un cavaliere galante!.... (le fa ancora un amichevole cenno di saluto ed- esce).

Giunchiglia                   - Osvaldo!

Osvaldo                        - Giunchiglia?

Giunchiglia                   - Guarda di non finire in mezzo al rosaio! Le rose pungono! Ed io sono gelosa anche di loro! ... (si volge perché è comparso Cartapecora, porgendole una carta da visita su un piatto d'argento) Chiede di me?

Cartapecora                   - Sì» signorina.

Giunchiglia                   - Fa passare, (rimane per un attimo sopra pensiero, finche Cartapecora non introduce la visitatrice, non sì inchina e scompare) Prego...

Isadora                          - (quasi temesse di entrare con una timidità sotto­messa) La signorina Giunchiglia?

(Tutta questa scena è pausata di silenzi che hanno valo­re di battute; parla il silenzio).

Giunchiglia                   - Sì. Giunchiglia. Sono io. E voi, Signora?

Isadora                          - Isadora, sono. Isadora, (pausa) Non vi ha par­lato mai di me Vostro fratello, signorina?

Giunchiglia                   - Oh, lasciatevi vedere! (pausa) Come siete venuta qui? Lasciatevi vedere! I vostri capelli biondi: una magnificenza di sole.... la vostra voce, una cascatel-la di perle... (pausa) Siete proprio voi, sì, vi riconosco. (pausa) E Roy? E Roy? Non è arrivato anche Roy?

Isadora                          - No. Lui no.

Giunchiglia                   - Ma se ha telegrafato!?

Isadora                          - (sorpresa) Ah, io non so nulla...

Giunchiglia                   - Ma allora, gli è successo qualche cosa di male? Ditemi! Ditemi! Non tenetemi in ansia, (pausa) Chiamo la nonna, volete?

Isadora                          - No. no. vi assicuro. Non c'è nulla di male, si­gnorina.

Giunchiglia                   - E Roy dove è rimasto? (la invita a sedere, con un gesto).

Isadora                          - A Milano, suppongo... (siede)

Giunchiglia                   - E. perché siete voi qui, senza di lui? (le siede in faccia, fissandola).

Isadora                          - Ho bisogno di tarlo coraggio, per dirvelo, di tanto coraggio, signorina Giunchiglia! ...

Giunchiglia                   - Ma parlate, in nome di Dio!

Isadora                          - Ditemi che mi verrete incontro con un'anima di sorella, senza incutermi timore...

Giunchiglia                   - (smarrita) Vi ascolto.

Isadora                          - Come fare? Come fare? (pausa) Ecco: mi sem­bra a un tratto che tutta la forza se ne vada, che tutto il coraggio mi abbandoni. Da due giorni giro intorno al­la vostra casa senza avere la forza di entrare....

Giunchiglia                   - Mi fate tanta paura! Che accade, Isadora?

Isadora                          - Ah, mi avete chiamato per nome! Non temo più... (pausa) Ascoltatemi allora! ... Voi sapete, vero? come vostro fratello mi abbia voluto bene....

Giunchiglia                   - Infatti...

Isadora                          - È stata una passione senza nome, un urlo mo­struoso dell'anima e dei sensi... Ma come dirvi certe cose? (pausa) Eppure, soltanto voi potrete comprendermi e di­scendere nella mia torbida anima di donna con la vostra ingenuità di fanciulla! (pausa, abbassando la voce) Ci siamo amati disperatamente. Voi, non sapete il signi­ficalo di questa parola.

Giunchiglia                   - Forse no. Forse no.

Isadora                          - (c. s.) Siamo penetrati nella nostra vita con un senso di stupore e di rabbia. Sembrava che ci fossimo cercati per tanti anni, senza trovarci, e che ad un tratto la gioia dell'incontro si mutasse in una specie di rancore.

Giunchiglia                   - (incredula, dolorosamente) Possibile?

Isadora                          - Ercole era posseduto dal suo sogno di costrut­tore miracoloso...- Io, portavo la mia piccola poesia fem­minile, salvata a stento dall'esperienza brutale di tutti i giorni, attraverso il palcoscenico...

Giunchiglia                   - E allora?

Isadora                          - (c. s.) Ci siamo uniti, in una comunione magni­fica e tremenda. E la vita è diventata per noi una ira quotidiana, un'aggressione senza tregua, un ruggito di gelosia.

Giunchiglia                   - È terribile.

Isadora                          - Il suo sogno me lo sottrae, con una sofferenza che non è umana, io mi dicevo! Il suo amore mi strappa alla ambizione ed alla gloria! Egli rispondeva a sé stes­so! Andavo a toglierlo, allora, dalle tavole e dalle co­struzioni su cui la sua febbre si accaniva. Nella vita di un uomo non può esservi posto per un sogno smisurato e per l'amore di una donna come me! Il sogno porta con sé l'ammirazione degli altri e il rispetto della folla su­pina. Chi n'è dominato, è una specie di condottiero che dominerà.

Giunchiglia                   - Ma che c'entra con Roy?

Isadora                          - Allora ho indovinato un nemico, in questa crea­tura fragile e disperata che contenevo alla mia passione. E ho deciso! Prima che egli mi sfugga, e che io lo uc­cida con la mia presenza ingombrante, giacché la vita ci divide con le sue categorie definite, meglio fuggire! Ho raccolto le mie cose, approfittando della sua assenza e sono venuta a chiedere misericordia per lui! ...

Giunchiglia                   - (con un piccolo grido di rivolta, rauco, angoscioso) Egli ne morrà! Che avete fatto?

Isadora                          - (quasi a rassicurarla) Lo salvo! Lo salvo! Non vogliatemi male.

Giunchiglia                   - Che donna siete? Che avete fatto?

Isadora                          - Non giudicatemi, per carità... Non sapete nulla di me....

Giunchiglia                   - Una leggenda che vi accompagna e che non si smentisce... .

Isadora                          - No, no! Il passato che si racconta è fiaba, fan­tasia!

Giunchiglia                   - Ma la verità è nelle vostre azioni!

Isadora                          - Di vero non c'è che questo: che non mi sono appartenuta mai e che quando ho voluto dare qualche cosa a me, ho dovuto spèndermi tutta, senza riuscire a prendere nulla... capite? E mi son sentita così zero, èa. non pesarmi neppure.

Giunchiglia                   - Non arrivo a comprendervi!

Isadora                          - (dolorosamente, come se vuotasse tutta la sua anima amara) È che bisogna vivere, Giunchiglia. E te­nersi libertà, serenità, tranquillità: tutto per vegetare senza gioie ma anche senza dolore!

Giunchiglia                   - E vale la pena di stare sulla terra, così?

Isadora                          - (profonda, disillusa) Me lo sono domandato per tanto tempo anch'io. E mi sono persuasa che è l'unico modo.

Giunchiglia                   - E siete venuta per dirmi questo?

Isadora                          - (ritrovando sé stessa) Quello che non ha voluto comprendere Roy! (pausa) Il destino di un'attrice è di foggiarsi tutte le maschere che la folla le chiede. Non avere il proprio volto, mai! Essere cortigiana o regina non importa. Ma non essere nemmeno per un momento una donna che ama e che soffre il proprio amore e la propria sofferenza. Non appartenersi più!...

Giunchiglia                   - E vivrete per gli altri, allora?

Isadora                          - Per gli altri, perché non so staccarmi dal pal­coscenico. Questo disperato dramma d'anima di carne e di coscienza che m'affligge, non mi tocca che per la via. Anch'io ho il mio sogno. Bisogna perdonarmelo.

Giunchiglia                   - Bisogna farselo perdonare, (pausa) Ed Er­cole vi ama.

Isadora                          - E debbo morire di questo? Uccidere me stessa, ora per ora? Non è possibile, (pausa) A lui non ho po­tuto dirlo. È troppo ubriaco di noi. Ho dovuto fuggire, per trovare un attimo di ragione che ci salvi.

Giunchiglia                   - Ed avete riflettuto a tutto? Avete pensato che ci può essere qualche cosa d'irreparabile?

Isadora                          - Per carità, Giunchiglia! ....

Giunchiglia                   - Io conosco mio fratello. Un destino tre­mendo pesa sulla sua vita. Ricordatevi.

Isadora                          - E non mi concederete nemmeno voi di salvarmi? Lo vedete come sono?! Con questi pregiudizi che fanno parte della nostra esistenza, sento che Roy sarà la mia rovina. E che io devasterò inutilmente la sua vita! Sono venuta a dirvi di essere dolce con lui di persuaderlo, di accarezzarlo con le vostre piccole mani materne ora che non ci sarò più. Non ditemi di no!., (pausa) Perché non mi odii, e non voglia mutare l'immenso amore di ieri in un sentimento infame che so di non meritare. Cre­dete a me! Credete a quella povera donna che sono! Non altro si può fare!

Giunchiglia                   - Ma voi? Ma voi? L'avete attaccato alla vostra esistenza come un giuocattolo, allora?!

Isadora                          - No... No!... Ho avuto paura di travolgerlo!

Giunchiglia                   - E siete certa che così non lo travolgerete?

Isadora                          - É troppo in alto! Sarebbe un delitto, (pausa) Ah non potete sapere il mio terrore, voi che siete bella, voi che siete giovine, voi che vivete in questo paradiso chiuso!... La vita è così triste!... E prima di essere cattivi cogli altri, si è cattivi contro di noi! ... Bisogna perdonarci, se questa acidità che ci fa morire interior­mente, ci distrugge., (pausa) Giunchiglia, permettete che vi chiami così, vero? Che tremore d'anima varcando la soglia di questa casa!...

Giunchiglia                   - (con un filo di voce, voce di sogno) Qui è trascorsa tutta la nostra giovinezza!

Isadora                          - C'è il segno della sua esistenza di ieri infatti. Ma oggi? Che cosa potrei essere per lui? (pausa) Con­siderate! Sono troppo una povera cosà! .. Lasciatemi dire... Il mio passato mi pesa... Non sono nemmeno degna di parlare con voi... Ho cercato con inquietudine, in tutto quello che mi sfiorava, un attimo di curiosità, un brivido di passione, che fosse tradotto in purezza... Non è stato possibile! ... Oggi che potrei avvinghiarlo a me, ho paura che le mie mani possano essere terribili! .. E se egli soffrirà, io morrò più di lui... sapete? io morrò più di lui!....

Giunchiglia                   - Sentite, Isadora!

Isadora                          - Sì, piccola, sì...

Giunchiglia                   - Mi avete spalancato un abisso che non immaginavo, ne sono tutta atterrita. Sono una povera creatura che non sa nulla...

Isadora                          - (dolorosa, supplichevole, umana) E vi domando perdono di avervi aperto gli occhi con tanta brutalità. Ma gli uomini come Roy debbono essere soli, non avrai contatto con la terra. E noi, povere creature che soffriamo, dobbiamo metterci in disparte: per lasciarli passare

Giunchiglia                   - (ha, per un attimo, un guizzo di ribellione) lo so che se egli soffrirà vi odierò come lui!

Isadora                          - (trema, e si erge, implacabile) No, no,

Giunchi                         - E glia. Perché non voglio fargli male vengo a pregarvi. Sono egoista perché lo amo, e perché il suo amore chi mi passa vicino, si fa struggere dal soffio della mia disperata tenerezza, capite? Prendetelo voi! non lasciatemi più!..

Giunchiglia                   - (smarrita) Io non so capirvi... io non so. (pausa) Bisognerà andare a cercarlo.

Isadora                          - Dopo avermi chiamato inutilmente, correrà qui sconsolato... Dategli tanta fede di sorella... ditegli che il mondo fuori di qui è una menzogna che brucia....

Giunchiglia                   - E non mi crederà..

Isadora                          - (come se parlasse fuori della propria ragione) E gli direte allora che sono una donna cattiva, che non vuole prendere la sua vita! E gli direte, che debbo scomparire come un'ombra discreta... E gli direte anche, che l'ho amato d'amore... Roy mio!... Roy mio!., (scoppia in lacrime) Ora lasciatemi partire, (pausa) È assai tardi. Non posso rimanere qui. (pausa) C'è un treno che passa alle nove, mi sembra.

Giunchiglia                   - Verrò con voi fino al cancello.

Osvaldo                        - (di fuori) Giunchiglia! Giunchiglia!

Giunchiglia                   - (va verso la porta che domina il giardino) Che c'è, Osvaldo? Che c'è?

Isadora                          - (con un filo di voce, come se temesse di essere scoperta) Discendo per il giardino... Rimanete... Non vogliatemi male.

Osvaldo                        - C'è che i cani hanno sorpreso la talpa e l'hanno fatta prigioniera. Vieni a vedere! La talpa scava la sulla galleria, ed i carabinieri del canile l'arrestano. E poi I bisognerà andare incontro ad Ercole! Il treno deve essere già in stazione...

Giunchiglia                   - Di già? Aspetta che scendo!...

Isadora                          - (piena di una commozione timida, prendendole le mani) Lasciate che vi baci le mani...

Giunchiglia                   - (schermendosi) Isadora...

Isadora                          - (le bacia le mani) Giunchiglia, sono così disgraziata! ... (si asciuga le lacrime e fugge).

Giunchiglia                   - (come se si destasse da un sonno improvviso, stordita) Oh, come s'è fatto scuro! (chiama).

Cartapecora                   - (si presenta).

Giunchiglia                   - Accendi le lampade per le scale. E dam­mi un mantello. Vo incontro a Roy.

Cartapecora                   - Subito, signorina (fa per avviarsi).

Giunchiglia                   - La nonna dorme?

Cartapecora                   - Fino a cinque minuti fa' sentivo il suo passo, strascicarsi di sopra. Dormirà.

Giunchiglia                   - Va' dunque.

Cartapecora                   - (esce).

Giunchiglia                   - (davanti a uno specchio) Ho paura, Giun­chiglia... La voce di

Osvaldo                        - Giunchiglia!

Giunchiglia                   - Eccomi! La voce di

Osvaldo                        - Ma Roy è già qui.

Giunchiglia                   - È già qui! (si fa alla balaustra).

Osvaldo                        - Ti sei impigrita!... Ha fatto più presto di noi!

Giunchiglia                   - Mio Dio! Che cosa gli dirò, dunque? (parlando di fuori) Buona sera, Roy!! Giungi in tem­po! I gelsomini sono tutti fioriti... Non senti che scam­panellio di profumi?...

Cartapecora                   - (ricompare tenendo il mantello).

Giunchiglia                   - Non importa! Ercole è giunto.

Cartapecora                   - (rimane col mantello sul braccio).

Giunchiglia                   - (esce).

Cartapecora                   - Bene arrivato, signorino! La voce di

Giunchiglia                   - Oh, il mio fratellone! Il mio fratellone!

La voce di Osvaldo      - Ma come mai questo arrivo così im­provviso? La nonna stava in pensiero.

Ercole                            - Bisognerà avvertirla subito. Non c'è nulla di grave.... (entrando) Buona sera, vecchio...

Giunchiglia                   - (lo tiene per il braccio) Sei stanco?

Ercole                            - No. Sono triste...

Cartapecora                   - (lo sbarazza del cappello) Ha bisogno di qualche cosa, signorino?

Ercole                            - Grazie. Avvertite la nonna che salirò a salutarla.

Cartapecora                   - Vado.

Ercole                            - Anzi, avvertila tu, Giunchiglia.

Giunchiglia                   - Era tanto agitata...

Ercole                            - Dille che salirò subito... Cartapecora,

Giunchiglia                   - (via). (Come sono rimasti soli Osvaldo ed Ercole, Ercole esplode).

Ercole                            - Osvaldo, sono un uomo finito.

Osvaldo                        - Misericordia, che ti è successo?! Il lavoro?

Ercole                            - No.

Osvaldo                        - Ed allora? Dimmi.

Ercole                            - Ho perduto Isadora!

Osvaldo                        - Se non è che quello! Respiro...

Ercole                            - Mi ha portato via la vita, capisci? Senza di lei non posso vivere più. Sono come un fanciullo rimasto solo per via...

Osvaldo                        - Ma che cos'è avvenuto?

Ercole                            - Se dovessi dirtelo, non lo saprei nemmeno io. L'avevo lasciata tre giorni fa, tranquilla, contenta. Do­vevo andare a Torino. È rimasta in albergo ad aspet­tarmi. Serena mi sembrava che fosse! Non una discussione, non un dibattito. Nulla. Le ho telegrafato ieri. Tornerò stasera. Vienmi incontro. Ho sistemato gli af­fari del mio cantiere, in una giornata di stanchezza e dì movimento...

Osvaldo                        - E allora?

Ercole                            - Mi dicevo: poi per una settimana rimarrò fer­mo, con lei. Mi ha preso l'anima! Io non vivo che dove la sento, che dove la respiro. L'ho qui, vedi? L'ho qui. Nel volto, negli occhi, nel cavo delle mani... È una sen­sazione che mi fa scolorare al solo pensarci. Nello sfon­do della mia città che sorge, io vedo i suoi occhi lumi­nosi comparire, fra le torri e le case, fra le ciminiere e le officine. Rischiarano tutto! È un prodigio di sole. Vi­cino a lei, la mia anima canta come un usignolo... Come farò ora? Come farò?

Osvaldo                        - Ma devi calmarti. Raccontami! Forse c'è un rimedio possibile... Ed io son0 qui per aiutarti con tutte le mie forze....

Ercole                            - Ah, ti ringrazio... ti ringrazio-. È come se mi avessero vuotato il cervello. Sono due giorni che la cerco... E senza una traccia, attanagliato dal dubbio e dalla paura...

Osvaldo                        - Ma come! Ma come?

Ercole                            - Che dirti? Tornavo con l'anima piena di gio­condità. Stazione per stazione. Quanti chilometri di meno? Orologio alla mano... Ella mi attende!... E che dolcezza l'incontro nuovo! ... Non faccio in tempo a scendere dal treno che sono già in automobile... Eccomi dinanzi alla porta dell'albergo. Mi viene incontro un groom con una lettera... Ben tornato! Penso: anche lei, forse, mi saluta prima di salire...

Osvaldo                        - E invece?

Ercole                            - Invece, è l'addio. Secco, tragico, lapidario. È fuggita...

Osvaldo                        - Come?

Ercole                            - Da un'ora! Chiedo di lei. Ha lasciato l'albergo senza dare nessun indirizzo. La sua lettera mi trema nelle mani, e la notte mi pesa sul cuore. Un senso di smarrimento fanciullesco mi frantuma, in una immobi­lità piena di ansia, (pausa) È mai possibile? Allora, mi decido a salire, a passare dinanzi alla sua porta chiusa. Forse, non è partita! Forse giuoca ancora con la mia ansietà, per farmi morire di gioia, all'improvviso, appa­rendo?! Ma poi debbo persuadermi, a poco per volta, ed attendere il mattino: per cercarla. Che notte di pas­sione, Osvaldo! La morte morta ti dà lo sgomento dell'irreparabile, vero? Ma la morte viva? È un orrendo incubo che ti artiglia.

Osvaldo                        - Calmati, Roy, calmati.

Ercole                            - Allora ho compreso, che cosa significasse quella donna nella mia vita. Mi ha portato via anche le lacrime, perché non ho potuto piangere, capisci? Buttato attra­verso al letto, con gli occhi sbarrati, ho inteso trasci­narsi le ore implacabili. Vicino alla mia camera qual­cuno russava, tranquillo. Ho gridato. Ho tirato le scarpe contro il muro. Son dovuto uscire nel corridoio, cac­ciato da quel ringhio di cattiva digestione. E mi sono trovato, come prima, dinanzi alla sua camera... Ho schiu­so la porta. Accesa la luce.. Non puoi immaginare, Osvaldo!... È una impressione letteraria che supera la vita!... Sembrava vi fosse passato un uragano. Le pareti nude, senza i suoi broccati coi quali ella ama adornare le pareti delle stanze in cui vive. Senza fiori. Un pa­ravento a terra. Asciugamani abbandonati e sedie scom­poste... Il letto è ancora tiepido... Conserva la traccia molle del suo corpo... il profumo della sua carne... C'è da perdere la ragione! Ed io sono lì... E in piedi! come prima! vicino al capezzale! con una inquietudine così estatica! ed aspetto! e voglio: come se vegliassi qual­che cosa inafferrabile di me, che è uscito dalla mia ani­ma... Poi me ne vado barcollando come un pazzo...

Osvaldo                        - Ed ora che cosa vuoi fare?

Ercole                            - Mi sembra di essere diviso in due, di non poter vivere più.

Giunchiglia                   - (entrando, gli tende le braccia) Povero fra­tello mio! La nonna t'aspetta. Va da lei...

Ercole                            - Che serve?

Osvaldo                        - Povero Roy!

Ercole                            - Che serve?

Giunchiglia                   - Bisogna essere forti... Dimenticare...

Ercole                            - Lo sai anche tu? Lo sai anche tu?...

Giunchiglia                   - Vicino a me, caro. Sei un uomo. Vicino alla tua sorellina... (Egli appoggia il volto sulla sua spalla. S'ode l'orologio acucù suonare malinconicamente.)

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Fra le palizzate di un grattacielo in corso di fabbrica, in una specie di piattaforma cintata, dalla quale si domina tutta la costruzione. L'armatura della casa enorme si suppone che con­tinui in altezza ed in profondità. Vi si accede da due scale la­terali. Non è che una panca rustica ed un tavolo con dei piani.

Ercole                            - Ecco il segnale d'uscita, (s'ode un campanello trillare a distesa) Un'altra giornata che si compie, (sa­lutando, ma come se parlasse a se stesso) Addio, figliuoli.

Osvaldo                        - (osservando dalla balaustra) Il tuo gregge si disperde.

Ercole                            - Non è la parola esatta, gregge. Uomini liberi sono! Lavorano con la gioia di creare, e basta.

Osvaldo                        - Credi che abbiano la fede? Sono come ieri. Né più, né meno. Pecore.

Ercole                            - Ti sbagli. Ieri hanno avuto bisogno di un bagno di sangue e d'eroismo per convincersi che la libertà con­siste nel ritornare in noi stessi. Erano terribilmente af­famati di verità. Ma seguivano la verità degli altri. Falsi pastori erano i loro capi! Oggi, hanno sentito il bisogno di adottare il programma della vita eroica: vi­vere ogni momento della esistenza con tutta la nostra anima! ...

Osvaldo                        - Sciocchezze!

Ercole                            - Per chi vuole ostentare la tua mancanza di sen­sibilità, si. Ma noi, per fortuna, siamo i « nuovi roman­tici ». E basta ancora una canzone, a darci una ebrietà spensierata di sogno...

Osvaldo                        - Sentiamo che cosa dice Manganello, (chiama) Manganello?

Manganello                   - Comandala, paron?

Osvaldo                        - Quanto durerà la cuccagna?

Manganello                   - Finché vorremo noi, se Dio voi! E chi è contro di noi, in galera!

Osvaldo                        - (sorridendo) Credevo che bastasse l'olio di ri­cino!

Manganello                   - La galera l'è una specie de purga. Dieta, esercizio, e mudar aria de quando in quando come i or­dina i medeghi ai maladi cronici, quando no i sa cosa dirghe.

Ercole                            - Capito? (gli tira dolcemente la cravatta nera, svolazzante) Cambia cravatta, va là. Questo straccio a lutto va bene per altri morti. Non per la nostra giovi­nezza...

Osvaldo                        - E ti dà tanto noia il mio pessimismo fatto di osservazione?...

£rcolE                           - (quasi allegro) Ma non farmi ridere! Domande­rò a Giunchiglia che cosa ne pensa?...

Osvaldo                        - Che cosa c'entra Giunchiglia?

Ercole                            - Giuro che, se le domando, non ti vuole più.

Osvaldo                        - Ho le mie idee. Non danno noia a nessuno, me le tengo per me!

Ercole                            - Manganello, puoi andare. Se sono usciti tutti, torni ad avvertirmi, (a Osvaldo) In fondo sei più idealista di me. Sei ammalato di iconoclastia in buona fede. Ma distruggere non basta, mio caro. Fra chi costruisce anche a costo dell'ingiustizia, e chi distrugge in nome della giustizia, non ci deve essere imbarazzo di sorta!

Osvaldo                        - E chi ci salverà nell'ora della decadenza?

Ercole                            - L'aggressione brutale del genio.

Osvaldo                        - Fate soltanto di non mettere il piede sopra co­loro che cedono per modestia, e non spezzate coloro che si piegano

Ercole                            - Per ogni fiore che si piega ne germogliano cento! ...

Osvaldo                        - Fanciulli! Fanciulli! Ubriachi di novità. Tutto vi par grande: le corti, i giardini, gli edifici, i mobili, gli uomini! A noi le cose del mondo sembrano così per la stessa ragione: perché siamo piccoli.

Ercole                            - Eppure, guarda di qui. (lo prende per la mano, lo costringe a guardare la città stellata di lumi) La città enorme che si stende a perdita d'occhio ed ha il suo ritmo di mare agitato. E noi la dominiamo! E tutto procede con ordine.... Mentre prima...

Osvaldo                        - Prima della vostra rivoluzione?

Ercole                            - L'arroganza teneva le veci della grandezza, la furberia dello spirito...

Osvaldo                        - Avete abolito ogni senso critico. Credete d'es­sere infallibili...

Ercole                            - Bisogna sapere obbedire, Osvaldo. Non annoiarci delle stesse cose che da principio ci hanno affascinato... E noi sappiamo obbedire...

Osvaldo                        - Chi si è coricato plebeo, s'è destato nobile al mattino! ...

Ercole                            - Era nel suo diritto. La guerra ed il sacrificio lo hanno innalzato! ... È una legge.

Osvaldo                        - E questa primavera improvvisa, ora vi fa ron­zare il sangue nelle orecchie?...

Ercole                            - La primavera nasce da una dissoluzione. Quando tutto è morto, nella paralisi ancora vitrea dell'inverno. S'avverte a un tratto un faticoso fermento universale di succhi e di gemme. Le sorgenti assiderate gemono fili d'acqua stanchi che si mutano in torrenti e si scatenano le valanghe. Poi sulla neve che si fonde, un mattino, appare un filo d'erba. Ed a poco per volta la terra si copre di speranza, ed ogni ruga d'albero s'ingioiella di fiori. La terra ha assorbito la neve e l'acqua. Ha can­cellato se stessa e si è rimessa a nuovo...

Osvaldo                        - Ha distrutto prima...

Ercole                            - Ma per rigenerarsi! Sulla vegetazione falsa del mondo, sulla organizzazione stessa del mondo, la stessa terra sazia di sangue annulla, infatti, se stessa. Ma è fertile. Arma il suo ventre materno della nuova rivo­luzione. Anima il braccio dei suoi figli. E dice loro: per la mia tenerezza, non voglio che amore! Ristabilite la mia gerarchia, e l'ordine e il ritmo! Io vi darò il germoglio, e voi datemi la nuova aratura! Co­struite! Allargate il mondo! Allargate il desiderio! Date all'uomo una coscienza di creatore nel lavoro più umile ed in quello più sublime! Ed il senso della sua necessità inesorabile e divina! E del suo dovere! E del suo sa­crificio! (s'ode uno scampanare lontano fievole e festoso) Noi non siamo che i diversi grani di un immenso ro­sario, da recitare alla sera, nella letizia di Dio!

Osvaldo                        - Eppure, è bastata l'ombra di una donna a inchiodare il tuo cervello, una sera.

Ercole                            - E perché me lo ricordi? Ho scrollato da me la fungaia con mani pietose. Queste debolezze non contano. Ed è proprio perché siamo impastati di materia viva che bisogna edificare: creare. Una materia che sia più indistruttibile dello spirito, (pausa) Non rispondermi. Ora che il lavoro è finito, mi piace respirare questo si­lenzio. Ascoltalo con me. Indugiamoci qui, perduti nelle prime ombre. Poi usciremo insieme... (pausa) Hai toc­cato un tasto assai doloroso! È il cancro che addormento con un po' di volontà, Osvaldo. Ma di cui non sono riuscito a liberarmi... Purtroppo...

Osvaldo                        - Scusami, Ercole.

Ercole                            - Vieni qua... Gira l'interruttore, (si accende un grande lampada rossa) Somigliamo a due farfalloni cre­puscolari, impigliati in questa rete di travi, di antenne, di armature. Sembra d'essere in un porto notturno, dal quale non salperemo mai... Perché taci, figliuolo?

Osvaldo                        - Guardo come tutto è oscuro, intorno a noi.

Ercole                            - È la notte... E qui sembra l'incendio artificiale... Ma si respira! ... Certe sere, mi manca il fiato. Allora, 3 salgo fino in cima, a quello che sarà il trentesimo piano! Come si è più vicini alle stelle, lassù! Mi arrampico a poco a poco, con un immenso sforzo... E quando sono giunto all'ultima impalcatura, e vedo il cielo libero così j azzurro, così puro, ah, mi assale un desiderio pazzo di ] sprofondarmi a capo fitto, come una rondine fulminata, dalla grondaia.

Osvaldo                        - Ed il compito della tua vita?

Ercole                            - Esaurito. I miei progetti, i miei piani, i miei disegni sono là. L'opera mi sopravvive, dunque. Non muore con me. Bisogna scomparire a tempo, senza insudi­ciare l'aureola della gloria. Sai? Non l'ho detto a nessuno. Dominici mi ha visitato ieri. Sono molto amma­lato...

Osvaldo                        - Che dici, Roy? Non è possibile!...

Ercole                            - È un logorio lento che si compie, un travaglio intimo e sottile che mi corre, qui... (si indica il petto) E non farò nulla per impedirlo...

Osvaldo                        - Ah, per fortuna hai parlato con me!

Ercole                            - Vedi che sono un neo-romantico in tutto!?

La voce di Manganello - Signor Ercole!

Ercole                            - (affacciandosi) Che vuoi? Hai chiuso tutto? Vieni di sopra.

Manganello                   - Subito.

Osvaldo                        - Se vuoi che andiamo...

Ercole                            - Aspetta!

Osvaldo                        - Che hai? Che hai? Devi curarti... Lo dico su­bito a Giunchiglia, a tuo padre!...

Ercole                            - Non lo farai. Perché tormentarti, quando il to­mento è inutile?.. .

Manganello                   - Signor ingegnere, la signora Marchesa è giù che vuol salutarla...

Ercole                            - La nonna? È giù? Dove? Parla...

Manganello                   - S'el dise che parla mi zigo come una cicala. In automobile....

Ercole                            - Le vo' incontro, allora!... (fa per discendere) E voglio essere solo a far gli onori di casa. Aspettami (via).

Osvaldo                        - Come vuoi, (a Manganello) Che gabbia!

Manganello                   - El ponte de comando, l'è sior.

Osvaldo                        - Ti trovi bene, qui?

Manganello                             - Benissimo.

Osvaldo                        - Di dove sei?

Manganello                   - De Varona...

Osvaldo                        - Sei venuto con la prima ondata?

Manganello                   - Si! Si! Si! E ho magnado tanta terra vi­vendo, che, dopo morto, magnare anca la terra ghe gavarò addosso!....

La voce di Ercole          - Osvaldo! Sai che la nonna vuol sa­lire?... È un miracolo!...

Osvaldo                        - Ma che pazzia!... (si fa alla balaustrata a ve­dere).

Ercole                            - Piano, piano... Attenta al gradino... Appoggiati forte... Ancora uno... Ecco. Ci siamo. (Compaiono Candida ed Ercole. Candida, sostenuta da Ercole, si avanza a piccoli passi appoggiandosi al ba­stone).

Candida                        - È proprio un miracolo alla mia età, figliuolo!

Ercole                            - (a Osvaldo) E c'è anche Giunchiglia!

Osvaldo                        - Dove?

La voce di Giunchiglia - Son qui, Osvaldo! Ma non ven­go. Se no facciamo troppo tardi. Poi il papà s'inquieta.. Se sapesse che la nonna fa i capricci come una bambina!

Candida                        - Avevo tanto desiderio, di salire almeno una volta, qui.

Osvaldo                        - Scendo io a salutarti..

Ercole                            - Ora sei contenta?

Candida                        - Mi sembra di avere quindici anni... Che tu sia benedetto nel tuo lavoro!..

Ercole                            - Grazie. Grazie...

Candida                        - Aiutami a ridiscendere, ora... Eh?! la via è faticosa.... (sì avviano dalla parte opposta).

Ercole                            - E andiamo di qua... Vedi? questo signore, si chiama Manganello... Dicono che il suo nome sia un simbolo...

Manganello                   - Servo suo! Servo suo!... (s'inchina). .

Ercole                            - Hai osservato che luna rossa?... Usa solamente qui, nel mio paese... (a Manganello) Di' allo chauffeur di girare dalla piazza... La nonna durerà meno fatica a andar giù... (via).

Manganello                   - Subito, (via dalla parte opposta).

Osvaldo                        - (entra dall'altra parte tirando per la mano Giun­chiglia) Zitta! Zitta! Vieni qui... Mi vuoi bene?...

Giunchiglia                   - Ssss!...

Osvaldo                        - Bisogna volermene tanto!

Giunchiglia                   - Che peccato non ci siano i nostri carillons!  Sembra un regno di mostri...

Osvaldo                        - Ti pare?

Giunchiglia                   - La musica in questo abbandono!

Osvaldo                        - Ma non è sempre così!... Ora è il riposo... È suonato il silenzio! ...

Giunchiglia                   - Zitto, allora!...

Osvaldo                        - (le prende la testa e la bacia).

Giunchiglia                   - Basta! Basta! Viene qualcuno!...

Osvaldo                        - È il servo che torna.

Giunchiglia                   - Addio! Addio!... So la strada... Porta su­bito Roy!... (via).

Manganello                   - (dall'altra parte) Non è risalito il signor ingegnere?

Osvaldo                                   - No.

Manganello                   - (misteriosamente) C'è un'altra visita...

Osvaldo                        - A quest'ora?

Manganello                   - Se sapeste, signor Osvaldo, chi è?!

Osvaldo                        - Chi?

Manganello                   - In pie el demonio, e in terra la tentazion! ...

Ercole                            - (comparisce) Povera vecchia!... Ora andiamo anche noi... Osvaldo...

Manganello                   - (inchinandosi) Signor ingegnère, la signora chiede di parlarle. Vuole riceverla?

Ercole                            - Ah, sei tu? Che signora? Non ricevo signore in questo salotto!

Manganello                   - Non ha capito?

Ercole                            - No.

Manganello                   - C'è la signora Isadora.

Ercole                            - Come hai detto? (pausa, sorpreso).

Manganello                   - La faccio salire?

Ercole                            - (con un'ansia febbrile) Che venga! Che venga!

Osvaldo                        - Sei impallidito. Non farai mica il ragazzo, non è vero? Vuoi che rimanga?...

Ercole                            - No. No. Debbo vederla da me!

Osvaldo                        - Ma che cosa vuole ancora?

Ercole                            - Lasciami. Lasciami, Osvaldo.

Osvaldo                        - È qui che sale.

Ercole                            - (fa per andarle incontro. Deve fermarsi. Appog­giarsi alla parapettata).

Isadora                          - (si presenta, tenendo in mano un fascio di rose rosse) Roy...

Ercole                            - Isadora...

Isadora                          - (lascia cadere le r0se ai suoi piedi. Rimane a guardarlo un attimo senza parlare) È stato più forte di me. (pausa) Devi perdonarmi, (pausa) Sono a Milano da stamane. Passavo di qui. Non ho potuto fare a meno di salire. E il cuore mi tremava. Chi sa se vorrà ve­dermi? (pausa) È passato tanto tempo! Forse mi ha di­menticata...

Ercole                            - Come ti avessi dimenticata! (pausa) Osvaldo!? .

Osvaldo                        - Figliuoli, promettetemi di essere saggi. E ri­cordatevi che nella gioia c'è un piacere, che può essere anche un piacere cattivo! Addio, Ercole... Signora!... (s'inchina e se ne va).

Ercole                            - Perché sei venuta?

Isadora                          - Non so.

Ercole                            - È scivolato tanto silenzio sulla nostra vita. Non ti ho più nemmeno cercata.

Isadora                          - Io ti ho seguito sempre, invece. Non passa gior­no che non legga il tuo nome sui giornali. Ed allora, l'anima mi trema di malinconia.

Ercole                            - Siediti, se vuoi. Si sta scomodi, qui...

Isadora                          - (con timidità) Vicino a te?

Ercole                            - Vicino a me. Sì. (eccoli, per un momento, vicini, seduti sulla stessa panca).

Isadora                          - Mi gira la testa, Roy. Mi sembra di essere un po' ebbra... Scusa...

Ercole                            - (c. s.) Perché sei venuta?

Isadora                          - Te l'ho detto: non so. Come se mi avesse trasci­nato una forza ignota. Sono passata dinanzi al tuo can­tiere. L'abitudine mi ha ripresa, (pausa) Riparto alle nove.

Ercole                            - E perché hai questo sorriso immobile sulle labbra?

Isadora                          - Mi sento smarrita. È un po' di vertigine... Ora mi passa...

Ercole                            - (la prende per le mani) E le tue mani perché tre­mano?

Isadora                          - (nervosa) Tremano?

Ercole                            - Ma sì. (pausa) Sembra che tu abbia la febbre...

Isadora                          - (a fior di labbra) Roy...

Ercole                            - (reciso) Non mi chiamo Roy. Ercole!

Isadora                          - (supplichevole) Abbi pietà. Sono una povera donna.

Ercole                            - (disperato, ma freddo) E tu hai avuto pietà di me, allora?

Isadora                          - Ah, tanta, sai!?

Ercole                            - (c. s.) Te ne sei andata, senza una parola. Mi hai messo alla porta come un servo.

Isadora                          - Sono fuggita come una prigioniera...

Ercole                            - Prigioniera di chi?

Isadora                          - Della tua nostalgia!

Ercole                            - Non dire parole che non significano nulla... Ti ho cercata per due giorni. Se ti avessi avuta fra le ma­ni ti avrei strangolata.

Isadora                          - (un silenzio) Ora sei calmo?

Ercole                            - Mi sono abituato... Lavoro fino a scoppiare... Bi­sogna ricominciare da capo... Avevano distrutto ogni cosa. Come te... sono solo... Tranquillo perché solo...

Isadora                          - Sono contenta, allora. Tristemente contenta.

Ercole                            - Di avermi distrutto?

Isadora                          - Di aver semplificato la tua vita!...

Ercole                            - Altro che semplificata! M'hai vuotato l'anima!...

Isadora                          - (cercando di essere tranquilla, il più possibile) Ma che ragazzo! Vedi che le parole grosse le dici tu, ora!... Passato il primo momento di stupore, siamo come due vecchi amici che si ritrovano... Ho tanto desiderio di sapere... di sapere di te...

Ercole                            - (sarcastico) E pensare che io non mi sono cu­rato nemmeno della tua vita d'attrice! Non vado più a teatro, sai? Mi disgusta... Hai molte toilettes?... Ho sen­tito dire che hai milioni di gioielli... I tuoi adoratori t'ingrassano bene... Tu vali loro... loro valgono te, va là... E l'arte?... Ah, già: l'arte è la maschera..

Isadora                          - (addolorata) Ma perché sei così cattivo?

Ercole                            - Ti sembra?

Isadora                          - Parli con un'amarezza!...

Ercole                            - Ah, beh! Vuoi anche che ti ringrazi di quanto mi hai fatto!...

Isadora                          - Non sei cambiato in nulla... Come prima! ... Mi sembra di averti lasciato ieri sera...

Ercole                            - Un'anima sola, ho! Quella che m'hai conosciuto! Una vita sola, vivo, la mia vita! Vedi? Sono ancora tra queste palizzate vittoriose, tra queste fondamenta se­polcrali, da cui deve balzare la città nuova! Con uno spirito immenso aperto al cielo più ampio, ed il cuore stretto come un pugno, così, chiuso così... Parla dunque.. Che cosa vuoi da me? Perché sei tornata sulla mia stra­da? Vuoi darmi quella spiegazione che mi hai negato, allora? Eh?...

Isadora                          - Ma perché serbarmi rancore, se sono stata tan­to carina con te?!... Dopo tutto, non ti ho chiesto nulla, Ti ho dato tutto, senza pretendere nulla... Soltanto me ne sono andata, quando ho veduto che il nostro connu­bio diventava impossibile. C'è un destino che grava sull'esistenza di ognuno di noi. Non ci si può sottrarsi. Vi sono delle incompatibilità morali che non si possono dire e che tu non hai compreso perché mi amavi. Io debbo peregrinare per il mondo, sempre in cerca di nuove de­bolezze e di miserie nuove. Il desiderio degli uomini deve alitarmi in volto, come se fossi una preda di tutti. Io non mi appartengo...

Ercole                            - E che morale è questa? E non hai imparato proprio niente? So che un uomo si è ucciso per te. Avrebbe avuto più coraggio a vivere ed un castigo mag­giore a vederti vivere!

Isadora                          - Non ti riguarda questo!

Ercole                            - Ah, non mi riguarda?... E dove sei andata, la notte in cui sei fuggita dall'albergo?

Isadora                          - Che t'importa?

Ercole                            - Ah, no, voglio sapere! ... È un anno che me lo chiedo!... Non sono venuto a cercarti perché ho giura­to a Giunchiglia!.. Ma ora che sei qui, parlerai: su dun­que: dove sei andata?...

Isadora                          - Roy... non abusare!...

Ercole                            - Non vuoi dirlo? E con chi sei stata, allora?

Isadora                          - Che importa?

Ercole                            - Col principe?

Isadora                          - Che importa?

Ercole                            - (esaltandosi) Con chi?

Isadora                          - (a fior di labbra) Era un uomo!

Ercole                            - Non credo! Un bruto era, se si sentiva degno di -. te, che eri appena uscita dalle mie braccia! ...

Isadora                          - Che dici? Sei pazzo!...

Ercole                            - Sono pazzo, eh? E convieni con me che è una] pazzia tranquilla, se finora non ho esploso.

Isadora                          - Uno o l'altro, che importanza aveva! Purché mi staccasse da te, purché mi strappasse dalla tua vita!

Ercole                            - Se il primo venuto poteva farlo, eravamo due cose ben miserabili! ...

Isadora                          - Era il vuoto creato! L'abisso aperto a forza fra noi. E dentro potevo gettarvi tutto quello che voglio.

Ercole                            - Se il primo venuto poteva farlo, eravamo due tenerezza! (raccoglie le rose da terra, e continua a get­tarle nel vuoto, con moto nervoso, una dopo l'altra) Certi vuoti non si colmano mai!

Ercole                            - Ridicola tenerezza!

Isadora                          - Se ti ho liberata dall'incubo della sofferenza, dell'umiliazione, della gelosia?!

Ercole                            - (ironico) Grazie. Sei una benefattrice.

Isadora                          - Può darsi.

Ercole                            - Ed hai potuto riprendere la tua corsa per il mondo, senza sentire il peso angoscioso del mio dolore? Ah! Ah! Basta cambiare la maschera! Un segno di lapis sulle labbra, un cerchio azzurro intorno agli occhi... il volto non è che il belletto! Già... E chi è il tuo amante, ora?

Isadora                          - Sei un gentiluomo...

Ercole                            - Io? Ne sei proprio sicura? Per questo sei fug­gita...

Isadora                          - Non sono venuta qui, perché tu mi insultassi...

Ercole                            - (incalzandola) E sai che cosa ti dico? Che vo­glio sapere tutto!Che ora non esci di qui, se non hai parlato. Se non mi hai detto di quale spasimo mi hai fatto rabbrividire per tanto tempo!...

Isadora                          - (sorpresa, impaurita) Roy!...

Ercole                            - Siamo soli. Puoi parlare. Fra queste palizzate mute, non c'è nessuno. Dì...

Isadora                          - Ah, mio Dio! .. Mi fai paura!

Ercole                            - (arido, freddo, tremante) Mi sembra di essere cosi calmo, invece, così definitivamente calmo!... Non hai che a rispondermi...

Isadora                          - (eccitandosi) Dove sono andata? Da tua sorel­la, prima! A scongiurarla di interporsi fra di noi... Ho girato due giorni, intorno alla tua casa di campagna, come una belva in caccia. Ti ho veduto giungere e ho dovuto aggrapparmi al cancello, per non gridare. E poi... ho ripreso la mia vita: la vita che non mi ap­partiene. Zingara ed ebbra. Ad occhi chiusi, a cuore chiuso! Senza più gioia! Senza più dolore! Un automa che cammina e si muove, senza sapere! Sazia di fatica e affamata di gloria: come te! Stanca di rinunzie e u-briaca di libertà: come te! Ti basta!? ...

Ercole                            - Ora non mi farai la vittima!

Isadora                          - Che vittima! Di me stessa, se mai! Perché l'ho voluto io! Il bagaglio vile della carne mi pesava! Me ne sono liberata.

Ercole                            - A quale condizione? Carne della mia carne, eri! Mi hai avvelenato il sangue! l'anima! mi hai pervaso ogni vena! Ti ho sentito nella mia voce, nel mio sguar­do, nel mio tormento: te, sempre te! Disperatamente te! In una malattia, in una infezione che non ho sa­puto sanare!

Isadora                          - Ed avevi un sogno da inseguire! La tua città che si moltiplica! Le officine che respirano come im­mensi polmoni! I palazzi enormi che costruisci in un volo di audacia meravigliosa...

Ercole                            - E che cosa è questa pietra massiccia, che ho co­lato a blocchi sulla mia anima moribonda? Che cos'è? Mi ci frantumo sotto e dalle mie ferite non esce più nulla: nemmeno il sangue. In me non c'è che un urlo che diventa più acuto quando mi accorgo che giri il tuo ragionamento per non dirmi. Ed io, a qualunque costo, voglio permettermi il lusso di alimentare la mia dispe­razione stasera: voglio sapere per soffrire...

Isadora                          - Ragazzo mio, ragazzo mio!

Ercole                            - Se non parli, non ti lascio uscire di qui! ...

Isadora                          - Non farai questo.

Ercole                            - Non ti abbandono. Ti seguo. Vengo al tuo al­bergo. Voglio vedere con chi sei.

Isadora                          - Non farai questo! Pensa a quanto ci siamo det­to altre volte, ed a quanto ci siamo promesso senza man­tenere...

Ercole                            - Che cosa?

Isadora                          - Abbiamo aperto e chiuso le nostre parentesi... Ma quando ci dividevamo come si poteva vivere così?... Ti ricordi? Ci siamo giurati i sacrifici più grandi. E ap­pena divisi, ne abbiamo sentito il peso e l'orrore...

Ercole                            - E che vuol dire?

Isadora                          - È inutile riaprire delle ferite.

Ercole                            - Specialmente quando si è aridi come te, e si può ragionare...

Isadora                          - Me lo sono imposto!

Ercole                            - Ma guardami, finalmente, guardami! Lascia che ti prenda il viso nelle mani... Che mi sprofondi nei tuoi occhi! Che respiri ancora l'alito profumato della tua gola!

Isadora                          - E poi? A che serve?

Ercole                            - Come sei ancora bella, Isadora!...

Isadora                          - (difendendosi) La mia bellezza sfiorisce. È già passata... Sii buono...

Ercole                            - Ti ritrovo con la tua menzogna... Sento il te­pore e la carezza dei tuoi capelli che si disciolgono...

Isadora                          - Ho fatto male a tornare! Sono stata una pazza! Dovevo prevedere la nostra miseria...

Ercole                            - Ora non ti lascio più...

Isadora                          - Impossibile! Ognuno deve riprendere la pro­pria strada.

Ercole                            - Sono ancora avvelenato di te. Come faremo?

Isadora                          - Come hai fatto fino ad oggi.

Ercole                            - No!

Isadora                          - Continuerai ad ignorarmi.

Ercole                            - No.

Isadora                          - Sii buono... Sei così caro!... Se vuoi... Lascia­mi... Le tue mani mi fanno male...

Ercole                            - E tutto di te mi ha fatto dolorare, perché non debba prendere la mia rivincita... Poi ti lascerò come vuoi... Ma prima... ma prima...

Isadora                          - Che vuoi da me?

Ercole                            - (a fior di labbra) Che voglio? Isadora? Me lo chiedi? (pausa) Non capisci?... (pausa) Te! Un'ultima notte d'amore... voglio! ...

Isadora                          - Ah, questo mai!

Ercole                            - No?! Voglio baciare ancora questa tua bocca perversa! Sentire ancora l'urlo straziato che mi chiama pieno di spasimo. Ti ho qui!...

Isadora                          - Abbi pietà di me, Ercole... Sono così affranta... (pausa) Io debbo partire stasera stessa.

Ercole                            - Partiremo insieme!... Poi sarà la fine.

Isadora                          - (con un grido che le sale dall'anima) Ma non senti che la maschera non si adatta più sul mio volto? Che ho mentito! Che nella mia vita non c'è nulla! Che tutto è una simulazione per non morire!... Che tremo, come la prima volta, fra le tue braccia... Roy... che sono tanto smarrita...

Ercole                            - E come ti crederò? E come ti crederò?

Isadora                          - Roy!...

Ercole                                       - Isadora!

Isadora                                     - Roy!...

Ercole                            - Biancospino!

Isadora                          - Roy!

Ercole                            - Cieloazzurro!...

(Sono stretti uno fra le braccia dell'altro, in lacrime).

Isadora                          - (come in sogno, con una voce che sembra venga da un al di là misterioso) Un'altra volta, mi hai ripreso così. Un crepuscolo: come questo. Il cantiere abbando­nato. E in torno la città viva, mostruosa, col suo ran­tolo soffocante, si stellava di lumi. Eravamo su di' un ponte sospeso.

Ercole                            - Sì...

Isadora                          - Ed un senso di vertigine ci faceva tenere più stretti, aderenti uno all'altro per non cadere, per non essere travolti....

Ercole                            - Come ti ricordi...

Isadora                          - Poi...

Ercole                            - Taci.

Isadora                          - Che c'è?

(Sta un momento in ascolto, dopo essersi sciolto dalla stretta di lei).

Ercole                            - È tornato Osvaldo, (pausa) Vuoi che scendiamo?

Isadora                          - (si appoggia al suo braccio. Si avviano).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

In casa di Ercole, in città. Un salotto, quasi intimo, raffi­natissimo. Cuscini, quadri,. bibelots, fiori. A sinistra, la camera di Roy. A destra e in fondo, porte e finestre.

Il padre                         - Giunchiglia, devi perdonarmi, vero? Ho chia­mato in casa nostra Isadora perché ho sentito che Er­cole si strugge senza di lei... Ma non ho voluto man­carti di rispetto...

Giunchiglia                   - Hai fatto bene, papà. Hai fatto bene. Non te lo rimprovero mica. Sai che per Roy, darei la mia piccola vita, senza pensarci...

Il padre                         - È la nostra malinconia... Tutte le cure sono state inutili... (pausa) E che fa lei? Che fa?...

Giunchiglia                   - Povera creatura! È smarrita! Bisogna compatirla. Mi guarda con due occhi dolci, di povero cane frustato, come se mi chiedesse scusa, di aver con­dotto qui anche la sua Sofferenza. E non parla quasi mai. O  se parla lo fa con un dolore... Passiamo i giorni cosi, da una settimana... Aspettando qualche cosa...

Il padre                         - Che la nonna non sappia mai nulla, per carità!

Giunchiglia                   - S'è impietrita anche lei!

Il padre                         - Se quel figliuolo mi muore!?...

Giunchiglia                   - Papà...

Il padre                         - È un dramma che travolge tutta la nostra fa­miglia!

Isadora                          - (si presenta, umile, dolorosa) È permesso?...

Giunchiglia                   - Vieni pure, Isadora. Vieni avanti...

Isadora                          - Non vi disturbo?

Giunchiglia                   - Sei in casa tua. Perché vuoi disturbarci?..

Isadora                          - Oh, sono una intrusa, lo capisco bene...

Il padre                         - (la guarda con occhi d'odio).

Isadora                          - (è supplichevole) E quello che non posso sop­portare, sono i vostri occhi, signore. Vostro figlio l'ho amato... Si vuol fare tutta la felicità, e se questo è im­possibile, tutta la infelicità di colui che si ama.. Ho creduto di non doverlo far soffrire, ed ho accresciuto inconsapevolmente la sua sofferenza...

Il padre                         - (con un senso di contenuto rancore) Ma come l'hai amato?

Isadora                          - Con tutto il mio tormento! Prendendolo, lascian. dolo, come l'ondata fa con lo scoglio. Non ne ho colpa, io! ... Mi ha cacciata e sono tornata... Quando eravamo, lontani non potevamo vivere... Quando eravamo vicini, nemmeno... Poi mi avete chiamato voi... È un anno che ci si dibatte in questo tormento, senza riuscire a defi­nirlo...

Il padre                         - (accoratamente) E così potesse prolungarsi!

Isadora                          - Se il mio atto di devozione potesse bastare! Ecco, vedete: sono qui senza rimpianti e senza malinconie. Ormai mi sembra che la rinuncia di tutto non debba pesarmi più, e che l'esistenza si sia chiusa in una zona intermedia: fra la vita e la morte. Non ho più de­sideri, perché non ho più nostalgie. Tutto quello che può parlarmi del passato, non mi riguarda più. Tutto quello che può parlarmi dell'avvenire, nemmeno. Respiro solamente quest'aria d'incomprensione, di sgomento, di indecisione che sembra sia scivolata giù dal palcoscenico a inondare i miei giorni di realtà... E basta...

Il padre                         - Ed Ercole si piega su se stesso!

Isadora                          - Che posso fare di più di quello che faccio? La mia volontà gli è sottomessa, se sono qui a rappresen­tare il sacrificio amoroso più degno...

Il, padre                        - (accanito) Ce l'hai portato via, ce l'hai strap­pato, come una pianta dalla terra!

Giunchiglia                   - Papà... Non vedi che soffre anche lei? ...

Il padre                         - (intenerito, improvvisamente) Anche tu soffri? (pausa).

Isadora                          - Sono una creatura di carne!...

Il padre                         - Ma vivi? Ma ti sei presa mio figlio! intero! Egli non vede che te! Noi, ormai, siamo fuori dal cer­chio della sua esistenza!

Isadora                          - Di chi la colpa?

Giunchiglia                   - (dolcissima) Di nessuno, papà...

Il padre                         - Che cosa ne sai tu, di questo mistero tremendo che ci sfiora? Cantavi come un'allodola a maggio. E ti sfiorisci di malinconia...

Isadora                          - (malinconica) La casa è triste, povera Giunchi­glia! L'avola si è ammutolita. Quando Roy rientra, l'om­bra di lui giunge prima della sua persona a farci tre­mare. Egli, ormai, non appartiene che al genio... Noi siamo così piccole e così sbigottite!...

Giunchiglia                   - Ora, passa la nonna! ... Cartapecora la con­duce a fare la sua passeggiata in giardino. Nasconditi, Isadora...

Isadora                          - (si nasconde in silenzio dietro a una tenda)

Cartapecora                   - (entra spingendo una carrozzella con su la marchesa Candida, che sorride e saluta con un gesto della mano. Si allontana dalla parte opposta).

Il padre                         - Addio, mamma! Buon sole!

Giunchiglia                   - Buona passeggiata, nonnetta... Isadora, puoi venire...

Isadora                          - (riappare, sgomenta) E Roy che tarda?!...

Il padre                         - Ha voluto, per forza, tornare al suo cantiere. Stamane avrebbero gettate le altre fondamenta. Non ha voluto mancare...

Giunchiglia                   - È mezzogiorno. Il sole avvampa.

Isadora                          - Bisognerà andargli incontro.

Il padre                         - L'automobile è già uscita per ricondurlo.

Giunchiglia                   - È qui! È qui!... (S'odono delle voci, a un tratto).

Isadora                          - Che cos'è successo?

Il padre                         - (chiamando) Roy!...

Giunchiglia                   - (dalla porta) Oh, Dio! Lo riconducono in braccio! ...

Il padre                         - Ma dove! Ma dove? (corre incontro).

Isadora                          - Roy mio...

(Ecco entrare da sinistra Roy, sorretto da due operai).

Isadora                          - Ti senti male?

Il padre                         - Ercole, Ercole!

Ercole                            - (calmo) Non è nulla. Non vi spaventate. Un at­timo di debolezza. Ora passa, (ai due operai) Grazie, a-mici miei. Lasciatemi qui. Mi riposo, un po', su questa poltrona... (lo adagiano)         (a Giunchiglia) Non voglio niente, sai, Giunchiglia? Non ho bisogno di nulla!... (o Isadora) Come ti sei fatta pallida, tu!... Cara... Cara!... (le accarezza i capelli).

I due operai                   - Possiamo andare, signor ingegnere?

Ercole                            - Andate pure. Grazie, figliuoli.

Il padre                         - Che hai? Che hai?

Ercole                            - Ma niente! Ve l'ho detto! Un po' di smarrimen­to... M'è sembrato che mi mancassero le forze. Mi suc­cede spesso ormai!., vero, Isadora?... Non bisogna spa­ventarsi per così poco. Ora, mi lasciate un po' calmo, qui. Socchiudete la finestra. E io mi riposo. E Isadora mi veglia vicino, perché debbo dirle qualche cosa... Vo­lete?

Giunchiglia                   - (timida a malincuore) Se vuoi tu?...

Ercole                            - Ma non vi rincresce mica?!...

Il padre                         - Se può farti piacere!? Figurati, figlio mio! (prende Giunchiglia per mano e se ne va con lei).

Isadora                          - (socchiude la finestra) Va bene così, Ercole?

Ercole                            - Sì, cara.

Isadora                          - Perché non andare in camera tua? Staresti più comodo...

Ercole                            - Ho un pregiudizio, un piccolo pregiudizio... Non voglio vedermi disteso sul mio letto. Ho avuto troppa paura, dianzi...

Isadora                          - Come?

Ercole                            - Ti dirò... Ti dirò...

Isadora                          - Vuoi dei cuscini?

Ercole                            - Eh, sì. Dammi dei cuscini.

Isadora                          - Ecco.

Ercole                            - Ti vedo passare, avanti, indietro come se tu fossi un'apparizione. Hai conservato il tuo passo di scena... Che strano! Questa camera sembra il nostro teatro, in cui ci ascoltiamo recitare... Ne ho avuta la percezione oggi! ... In cui ci diciamo le parole inutili che debbono nascondere il nostro pensiero...

Isadora                          - Vedi, Ercole, non vuoi proprio essere calmo!? Vuoi dare corso al tuo tormento fino in fondo indovi­nargli uno spasimo nuovo per soffrire di più... Perché questo?... Se sono così disperatamente umana, vicino a te, tanto umana da essermi perfino dimenticata di me stessa! ... Non mi ascolto più nemmeno vivere. Sono la tua creatura che non reagisce! ... Sono la tua cosa... Tutto il dissidio che ci ha fatto soffrire è finito, ti giuro che è finito. La terribile incomprensione che ci ha fatto odiare quando eravamo vicini e ci ha fatto gridare di amore e di lontananza quando non lo eravamo, non esi­ste più... Sono la tua creatura... Come mi vuoi...

Ercole                            - Parla. Parla! La musica delle tue parole mi pia­ce, mi accarezza...

Isadora                          - E che cosa posso dirti di diverso?... Ti ripeterò finché vivo che Isadora ti ama... Che Isadora ti è ade­rente come una veste preziosa... che Isadora non po­trebbe più staccarsi da te, anche se tu non la volessi! ...

Ercole                            - (con la voce gonfia di pianto) Ed invece... ella è qui... e Roy... se ne va... lontano, lontano...

Isadora                          - (atterrita) Che voce hai fatto, piccolo mio caro...

Ercole                            - Perché? Ho un'ossessione rossa che vola davanti ai miei occhi... Sai che cosa mi ricordo? Quella sera, a Roma! Ero pazzo di gelosia... Ti avevano mandate tan­te rose! E tu le sfogliasti sul mio letto! E ci assopim­mo sulle lenzuola, che sembravano macchiate di sangue!

Isadora                          - Sì, sì... Ma che bambino a ricordartene ora!...

Ercole                            - Vedevo ancora quella pioggia dì fiori sacrificati al mio egoismo! ... Ma forse era teatro, anche quello! Il dramma vero della vita, noi lo viviamo dentro di noi, in solitudine. E siamo noi i soli spettatori di noi stessi!..

Isadora                          - Ed è quello che si perpetua... Era cento anni, il mondo sussisterà ancora nella sua integrità.

Ercole                            - (con un senso di accorata tristezza) Lo stesso teatro, le identiche decorazioni! Non gli stessi attori!

Isadora                          - Tutti coloro che oggi si rallegrano per una gra­zia ricevuta o si disperano per un rifiuto saranno scom­parsi...

Ercole                            - Perché soffrire, allora? Si avanzano già, gli al­tri uomini che reciteranno la stessa parte nello stesso personaggio... Svaniranno anche loro! E quelli che non esistono ancora, un giorno non saranno più: nuovi at­tori prenderanno il loro posto. Quale sfondo da farsi sopra un personaggio da commedia!...

Isadora                          - Ma che dici ora?

Ercole                            - (convulso) E chi amerai dopo di me? A chi di­rai le parole dolci e feroci che mi hai detto?

Isadora                          - Sono chiuse, qui, sulla mia bocca. Il cuore è sigillato sulla mia sofferenza!.. .

Ercole                            - Come ti illudi, Isadora!...

Isadora                          - (persuasiva, avvincente) Come vuoi che possa parlare ancora d'amore, Roy?... Sono diventata così ari­da... Sono così vecchia ormai... che, forse, non ti piaccio nemmeno più... altro che per un'abitudine triste...

Ercole                            - Non capisco. Ho delle così curiose lacune nel cervello, oggi! ... Anzi mi sono dimenticato che al can­tiere mi aspettavano gli americani... Bisogna avver­tire...

Isadora                          - Va bene, non muoverti più. Socchiudi gli occhi. Hai la febbre, povero Roy! Penserò a tutto, io. Nulla deve più preoccuparti.

Ercole                            - E ti ricorderai?

Isadora                          - Non temere.

Ercole                            - Sono così stanco....

Isadora                          - Che bambino!

Ercole                            - Stamane ho creduto di morire. Come se le vene si fossero vuotate ad un tratto. Ma non si muore così!.. Poi il cuore si è ridestato insensibilmente, ed ha ripreso il suo ritmo faticoso. Ho sentita la vita rigerminare a poco per volta, la linfa rinvadere di nuovo il vecchio tronco riarso, le tempie martellare, come i magli dell'officina, con un frastuono mostruoso. Ero disteso co­me un vecchio ceppo, davanti alla mia città, a braccia aperte, a testa nuda, sotto il sole urlante: fulminato. I marmi e gli asfalti, palpitavano sotto la mia fine. Sem­brava che fossero imbevuti di sangue, e che là, crocifisso sul limitare sacro, contro le fondamenta vittoriose, io trasformassi nella pietra il mio miracolo vivo. Ecco la allegoria della primavera! Nella distesa solare della cit­tà fiammeggiante! L'umanità nuova la popola! La ge­rarchia nuova si costruisce. Le torri si elevano al cielo come in una disperata ricerca di Dio! L'alveare brulica e fermenta. Il tetto è nuovo. Le pareti sono lisce. Le vie rinverdite, lì flusso della vita vi ansima torrenziale. Le campane squillano. Le sirene urlano come gole uma­ne... E sono stato io!... Isadora... E sono stato io!..

Isadora                          - Sì, sì, mio povero Roy..

Ercole                            - Il logorio della carne si è trasfuso alla materia inerte. Ora, la pietra vive.

Isadora                          - Non affaticarti. Sii calmo.

Ercole                            - Uscivo dalle tue braccia. E avevo rancore di te, sai? Ora, te lo confesso. Di te che mi struggevi....

Isadora                          - Di me, Ercole? Di me?

Ercole                            - Una di queste mattine, rimarrò suggellato sulla tua bocca. Senza che la mia opera,sia compiuta. Morrò di tenerezza, e niente altro. E sentire la vita che ti sfugge anche in un bacio, e rimane sterile e non sa creare nulla.

Isadora                          - E la gelosia feroce che ci faceva gridare? Due disperazioni eravamo! Tu posseduto dall'idea che non ti lascia; io tutta presa dal mio amore, e dalla mia vita! È vero! Avrei voluto annientarti, chiuderti nel cerchio delle mie braccia, per agonizzare con te...

Ercole                            - Ma poi, appena libero dal tuo legame dolcissimo, la vita mi riprendeva. Ed eccola qui, a perdita di vista! Diventata eterna. Che siamo noi, piccole creature uma­ne? Un destino senza foce, un miscuglio di miserie sen­za nome. La carne è fragile. Solo la materia vive... '

Isadora                          - Ah, non dirla! Non dirla questa ingiustizia che vale per te, solo per te, che lasci una traccia e sei una creatura privilegiata!... Ma noi? Noi che fummo impa­state di desideri comuni, ed amammo le cose di tutti i giorni, le tradizioni di tutte le ore?!... Fiori in un giorno di primavera, un ramo di glicine sul nostro davanzale e ci parve quello un avvenimento degno di una poesia sconosciuta. Cantò un usignuolo in una notte di luna e stemperammo la nostra anima su quel canto che sem­brava universale. Apparve un volto d'inquietudine, ad una finestra dell'anima nostra, e ci punse curiosità e martirio di quegli occhi pensosi, di quelle fronti di avo­rio, di quella bocca stirata sugli angoli, in una smorfia che non si dimentica più... È perché mi guardasti al­lora in quel modo? Ero una povera donna, attaccata alla vita per miracolo, da quattro fili d'ironia e di rassegna­zione!! .. Non altro!

Ercole                            - L'avevi frantumata la vita!

Isadora                          - L'avevo semplicemente vissuta. Vivere, vuol dire annullare se stessi in un'agonia di tutti i giorni!

Ercole                            - Lasciare le proprie illusioni ad ogni angolo di via...

Isadora                          - Contaminare la propria anima ad ogni richiamo di realtà. Ti piacqui. Ci prendemmo.

Ercole                            - Passasti nella mia vita come un uragano! Stor­dito, scompigliato mi lasciasti!

Isadora                          - Ma, mio piccolo Roy, che cosa abbiamo fatto? Eravamo, credo, ubriacati, impazziti! Non si può spie­gare diversamente la furia colla quale ci eravamo avvi­ticchiati come due serpi!

Ercole                            - (tristemente) Ma tutto questo a che serve? (pau­sa) Non parlare più, Isadora, (pausa) Leggi! (toglie una carta dalla sua tasca).

 Isadora                         - (l'afferra, legge) «C"e una cosa che non s'è mai vista sotto il cielo! E che, secondo tutte le apparenze, non si vedrà mai! È una città che non è divisa in partiti di sorta: ove le famiglie sono unite; ove i cugini si ve­dono senza paura; ove un matrimonio non genera una guerra civile; ove la questione delle classi non si risve­glia ad ogni momento per l'offerta, per l'incenso e per il pane benedetto; dalla quale sono banditi i pettegolezzi, la menzogna e la maldicenza; in cui si vedono parlare in­sieme lo spazzino e il Presidente, gli eletti e gli elettori; in cui il cardinale vive coi suoi canonici e i canonici non disdegnano i cappellani che - sembra impossibile - tollerano i cantori... »

Ercole                            - (estasiato, vaneggianti) È la città del sogno! In cui la primavera non è ingiusta anche contro sé stessa! (pausa) Isadora!

Isadora                          - Roy! Roy!

Ercole                            - (con voce grossa, rauca) Isadora, mi sento tanto male! Chiama qualcuno! ...

Isadora                          - Papà! Papà! (suona il campanello disperata­mente) Papà!...

Il padre                         - (entrando) Che c'è?

Isadora                          - (gli mostra Ercole che è diventato pallidissimo).

Il padre                         - (se lo prende in braccio, come un ragazzo. Se lo porta via. Chiude la porta).

Isadora                          - (si lascia cadere, sfasciata, su di una sedia. Una pausa lunghissima).

Isadora                          - (si alza, poi, come se facesse forza a sé stessa, va verso la porta, tenta di aprire. È chiusa, La scuote. Inutile. Un pianto dolce, immobile, la prende, si rassegna. Aspetta. Allora la porta si riapre e il padre appare, come un'ombra. Rinchiude come se volesse, frapponi fra Isa­dora e il figlio che è rimasto di là...)

Isadora                          - Ah, nessuno può portarmelo via così! (sembra che i due si avventino come belve).

Il padre                         - Io lo difendo contro di te. Finché era vivo era la tua preda. Ma ora! Ma ora!

Isadora                          - E come? Come volete strapparmelo? Che cosa potete rimproverarmi?

Il padre                         - Tutto dal giorno che l'hai conosciuto!...

Isadora                          - L'ho amato da quel giorno!

Il padre                         - E che cosa hai fatto di lui?

Isadora                          - Gli ho dato la felicità, come ho potuto, anche di un'ora!

Il padre                         - Sciagurato l'hai reso! Gli hai tolto la pace, tutto!

Isadora                          - Con che diritto me lo rinfacciate?

Il padre                         - È la mia creatura...

Isadora                          - E come a una creatura, gii ho dato la mia tenerezza!

Il padre                         - Gli hai tolto la vita!

Isadora                          - E tutte le mie lacrime gli ho dato! Non un’ora ho sottratto alla sua gioia.

Il padre                         - (ironico, velenoso) Che rinuncia spietata!

Isadora                          - Perché non potete supporre che cosa voglia dir rimanere accanto a una persona che non si ama più....

Il padre                         - Ah, non lo amavi allora? Non lo amavi?

Isadora                          - Il mio bene era diventato un rancore! un od' senza nome!

Il padre                         - E lui che ti chiamava come in un delirio!

Isadora                          - Ed io che lo tenevo fra le braccia, come un grande fanciullo, perché per lui non esisteva più ne amore di padre, né amore di sorella!...

Il padre                         - Colpa tua se aveva tutto dimenticato!

Isadora                          - (come fuori di se) Devastata, sono io! La vigna follie, su cui è passato il ciclone! Arida, convulsa, bru­ciata, sono rimasta! La carne mi duole! L'abitudine tri­ste di soffrire mi da un'agonia che non riesce a com­piersi mai! Ed egli è là, ora...

Il padre                         - Ed io t'impedisco finalmente di vederlo! E me lo riprendo intero! Non passerai questa soglia...

Isadora                          - Come potete impedirmelo? Sfiorate le sue mani... Sono ancora piene delle carezze che mi ha dato!... Ne conservano il tepore!....

Il padre                         - Si sono irrigidite in quelle carezze! ...

Isadora                          - E la sua bocca mi chiama ancora!

Il padre                         - Ti maledice!

Isadora                          - Voi l'avete fatto cosi! Voi l'avete creato per maledirmi! Ah, lo prenderò in braccio ancora! Lo porto via! Lo porto via come una bandiera!...

Il padre                         - (implacabile) E saranno gli altri a portarcelo via, sciagurata! Sotto terra ce lo chiuderanno! Ogni colpo di piccone che scaverà la sua fossa mi rintronerà nell'anima come se vi scavassero, per seppellircelo! .... Povero figlio mio!... Povero figlio mio! (piange. Poi rialza il volto rigato di lacrime) Ora, il vostro posto non è più qui... Ritornate per il mondo... Non dobbiamo dirci più nulla...

Isadora                          - Forse avete ragione, (pausa) Che cosa faccio nel­la vostra casa?....

Il padre                         - (con la voce vitrea) Andate via... andate via...

Isadora                          - (fa per muoversi, rassegnata).

Il padre                         - (animandosi) E tutto parla di lui! Tutto è vivo di lui! Le mura! I mobili! L'aria! Egli passa tra noi come in una traccia invisibile, e ci divide...

Isadora......................... - (con un filo di voce) No. Ci ha voluto bene

Il padre                         - A te, ha voluto bene! Sì. Ti chiamava Bianco­spino...

Isadora                          - Sì, sì...

Il padre                         - Ti chiamava Agugliadoro!

Isadora                          - Sì, sì...

Il padre                         - (esaltandosi) Ti chiamava perfino Cielo azzurro.

Isadora                          - Cielo senza stelle! Stella senza cielo!

Il padre                         - Nel suo lavoro! nella sua inquietudine! Nella sua febbre! Ti chiamava sempre!

Isadora                          - E come, faccio, ora, senza la sua voce?! Come faccio senza di lui?... (come parlando a se stessa) Ah sì, sì: meglio andarmene via!

Il padre                         - E come vivrò io, come vivrà Giunchiglia, se porti con te, per il mondo, anche il ricordo di lui?

Isadora                          - (con un grido di liberazione) No! No! Me ne vado sola, disperata! Non sono più prigioniera!

Il padre                         - Come farò a sopportare da me il peso di questo silenzio!? (ha la voce calda, come quella di suo figlio). Non me lo portare via, sai!? Malgrado tutto, ti voglio bene per amore di lui!...

Isadora                          - (con un grido) Ah, parlate con la sua voce!...

Il padre                         - Resta qui, Cieloazzurro.

Isadora                          - (c. s.) Hai la sua voce!

Il padre                         - Ogni tuo gesto mi parla di lui!

Isadora                          - Roy.

Il padre                         - Ogni tuo sguardo è pieno di lui!

Isadora                          - (c. s.) Roy!

Il padre                         - Resta qui, Agugliadoro! Se te ne vai anche tu'...

Isadora                          - (come se volesse snebbiarsi dal senso torbido che l'opprime) Chi sei? Chi sei? Roy! Roy! Roy!... (Gli cade dinanzi in ginocchio. Il padre, allora, apre la porta della camera nella quale Roy giace. Aiuta Isa­dora a sollevarsi).

Il padre                         - Vieni (la spinge dolcemente. La segue).

FINE