Amalassunta

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AMALASSUNTA

Storia per la radio

Di LAO PAVONI

PERSONAGGI

ZIFFEL

KALLE

Commedia formattata da

I

Mattino

(Due voci maschili. La voce di un giovane, l'altra quella di un uomo maturo. Le due voci chiare, depurate dal sia pur minimo contatto con altri suoni. Nitido il suono dei passi. I passi di tanta gente che consuma la lunghezza di una strada. Il sibilo di una autoambulanza lacera una pausa per tutta la sua lunghezza)

Una salita tremenda. (È l'uomo maturo)

            - È davvero una bella tirata. (È il giovane)

            - Anch'io ogni tanto mi costringo a un po' di moto.

            - No, come affascinato.

            - Ho avuto il medesimo impulso la prima volta, affasci­nato proprio come lei ora dal luogo che dovevo raggiun­gere.

            - All'inizio non sembrava cosi lunga.

            - Il fatto è che la strada non sale a tourniquet ma gira intorno alla collina.

            - Una strana spirale.

            - In queste ore dell'alba cosi bianca da sembrare una aureola.

            - Si direbbe una linea di confine.

            - (Il sibilo dell'autoambulanza sale in orbita etissoidale at­torno al monte)

            - Cerchi, cerchi di gesso che tengono a bada un mostro.

            - A quest'ora riposa ancora. Lo sente il respiro leggero?

            - Fatica a svegliarsi questo cucciolo di dinosauro.

            - Lo chiamano il serpente. Serpentone.

            - Pitone.

            - Budello maccherone.

            - Lo chiamano il muro il forte il castello.

            - I bambini che abitano ai piedi della collina si chiedono chi abiti una cosi splendida dimora.

            - Simile a una gigantesca casa di cura.

            - Potrebbe sembrare uno Hilton.

            - È invece un falansterio. Non trovo il mio fazzoletto.

            - Alzi il bavero e ci nasconda dentro il naso.

            - Si sente ancora?

            - Si può di nuovo respirare.

            - Guardi, rigurgita giù per la collina.

            - Non è tanto grave, la terra è grassa e riassorbe.

- Il tanfo è insopportabile.

            - La quantità dei rifiuti umani in una concentrazione operaia di circa trecento famiglie non poteva che intasare far scoppiare i condotti delle fognature.

            - Un piccolo errore di calcolo.

            - Piccolo se si tiene conto dell'insieme dell'impresa. Os­servi.

            - Cosa?

            - Cammini tenendo gli occhi a terra.

            - Dei rifiuti.

            - Hanno soffocato ogni angolo di verde coi rifiuti.

            - Un altro calcolo sbagliato immagino.

            - No, è in loro, una specie di spudoratezza li spinge ad esibire ciò che anche le bestie con naturale pudore co­prono.

            - Strana forma di esibizionismo.

            - Materia in putrefazione.

            - Come a dare testimonianza della loro esistenza.

            - Qua la volevo. Io ho imparato a leggere i loro rifiuti, un'ultima possibilità di confessione questa. Ho imparato a confessarli analizzando con pazienza queste che lei chia­ma testimonianze della loro vita. Guardi qua.

            - Il pezzo strappato di una oleografia.

            - Dove guarda?

            - Vede? qualcuno ha tenuto fermi gli angoli con quattro pietre.

            - Qualche bambino.

            - Qualcuno che ha intravisto la bellezza.

            - Monelli affascinati dai colori.

            - L'ha saputa individuare e ne ha segnalato la presen­za qua.

            - E poi ci sono le scritte sui loro muri.

            - Tra questi osceni rifiuti qualcuno sul lembo strappato di una litografia...

            - Scritte pornografiche.

            - Un orto di meli di un pittore austriaco: Klimt.

            - Parole oscene, il gusto di deturpare le proprie case.

            - Sono graffi profondi, incisioni trascinate con forza, hanno segnato l'intonaco, hanno ferito della materia.

            - Non sono che dati deprimenti. Violenza ribellione van­dalismo.

            - La Elsa è una vacca e poi una freccia.

            - E questo è nulla a confronto delle scritte sui muri delle docce, nei luoghi di ricreazione.

            - Divulgazioni pornografiche.

            - Lei trova la forza di sorridere nella sua ingenuità.

            - Io penso che sia lei a esagerare. Lei giustamente cerca di leggere nella loro vita servendosi di questi elementi, ma usa un cifrario inadatto.

            - Cosa porta nella valigia?

            - Libri. Dove lei legge solamente degradazione io leggo n desiderio di ritrovare la bellezza. Questa materia putre­fatta nasconde intuizioni, verità: Wols, Pollok. Sono artisti. Kline trasporta il colore come materia lungo tutta una striscia per disegnare un angolo urbano degenerato.

            - L'acqua ha gonfiato le lettere della carta stampata che loro leggono. Lei avrà un lavoro duro qua dentro, ragaz­zo mio.

            - "Il bello è difficile disse Aubrey Beardsley una sera a Londra".

            - Il vento agita involucri di carte plastiche che rigur­gitano i resti dei loro pranzi.

            - Una gigantesca scatola di carne, un gigantesco tubetto di dentifricio. Monumenti neoclassici.

            - (Il pigolio acuto di un piccolo uccello prigioniero in una gabbia. Uno svolazzare corto fermato dall'urto delle ali contro la gabbia poi tutta una tirata di pigolìi. Da una porta che viene aperta un dolcissimo concerto di uccelli al loro risveglio nel bosco in una mattina d'estate. Una voce di gio­vane donna e una voce di uomo: Amalassunta e il marito)

            - Senti come cantano bene.

            - Da dove viene?

            - Di là, la finestra è aperta sulla campagna.

            - Non riesco a vedere.

            - Te lo dico io. Ho di là un bosco pieno di uccelli.

            - Mi sposti cosi posso guardare?

            - Mi viene da ridere.

            - Sono tornati a fare il nido?

            - Sai bene che sui nostri alberi non ci sono più uccelli. Il tuo nella gabbia è forse l'unico passero rimasto.

            - È la radio?

            - Neppure. È un disco.

            - È bello.

            - Mmmm. Lo vendono all'edicola insieme a delle di­spense colorate, una raccolta, la vuoi vedere?

            - No.

            - Si chiama "C'era una volta"

            - Perché non mi sposti?

            - Dove sei stai al riparo dalle correnti d'aria, e poi non c'è posto.

            - Forse, ma in questo angolo è tremendo.

            - Questo tuo, uccello ormai vola nella cacchetta.

            - Ogni volta ti dimentichi di pulirgli la gabbia.

            - Bah, mi fa schifo questo tuo piccolo uccello.

            - Non prende mai il sole.

            - Deve essere malato, ha le zampe piene di croste.

            - Appendilo fuori dalla tua finestra.

            - Non mi piace avere una gabbia con un piccolo uccello fuori dalla mia finestra.

            - Se fosse pulita...

            - No, nessuno ha alla finestra una cosa come questa. Lo vuoi il caffè?

            - Mi ha svegliato il profumo forte del caffè, poi ti ho sentita che facevi colazione.

Ti riesce di spiarmi anche con il naso ora.

            - No. Aspettavo che tu aprissi la porta.

            - Tieni, dovresti firmare questo documento.

            - Ho avuto incubi tutta la notte.

            - Mmmmmm.

            - Volevo chiamarti.

            - Ti accendo la luce?

            - Un incubo tremendo, la sensazione per un breve mo­mento di vivere in un corpo perfettamente sano.

            - Firma il sussidio per la tua infermità.

            - La mia infermità non era che un cattivo sogno e io mi ero finalmente svegliato e mi sentivo bene.

            - Vuoi un cuscino dietro la schiena per firmare?

            - (Marta e Giuseppe Tintirone. Vestizione di Giuseppe Tiri-tirone. Intervento di Elisabetta la maggiore dei sei bam­bini e della levatrice)

            - Mamma.

            - La mia spazzola.

            - La spazzola, porta la spazzola a tuo padre.

            - I polsini per favore.

            - Aspetta che faccio io. Mio Dio come sei bello.

            - Lozione, dove è la mia lozione.

            - Era qua.

            - Non la vedo.

            - È rimasto un po' di caffè mamma?

            - Cerca la lozione Elisabetta.

            - Mi sono caduti venticinque capelli.

            - Chi ha preso il flaconcino verde del papà?

            - Posso entrare nel salotto buono?

            - A fare cosa?

            - Forse è là.

            - Ma metti le pattine.

            - Posso? Una tazzina del suo caffè, poi la visito.

            - Deve essere ancora caldo. Entri.

            - Non si disturbi faccio da me.

            - Sto vestendo mio marito.

            - Perdo i capelli sul davanti.

            - Meglio che perderli dietro, a chierica.

            - Ma lui non deve perdere i suoi bei riccioli.

            - Questa lozione?

            - Non la trovo.

            - Vieni qua e dà la colazione ai tuoi fratelli.

            - Paolino sta seduto sul divano.

            - Tiralo giù dal divano.

            - Non vuole scendere.

            - Per l'amor di Dio tiralo via.

            - Che sintomi ha signora mia?

            - I soliti. È a posto la cravatta tesoro?

            - Altri sintomi?

            - È bello, guardi come è bello mio marito.

            - Con cosa posso frizionarmi i capelli.

            - Tieni, acqua di colonia.

            - Mamma è questa la bottiglietta di papa?

            - Finalmente.

            - Dove era?

            - Nel letto dei bambini.

            - Chi l'ha bevuta tutta?

            - Staranno male.

            - È solo alcoolica.

            - Non si svegliano i bambini mamma.

            - Si sono ubriacati.

            - Staranno male, vado a dare un'occhiata.

            - No, non si scomodi.

            - Era dolce di sapore.

            - Mangiano anche il dentifricio.

            - Costava duemila lire.

            - Te ne compero un altro di flacone.

            - Saluto tutti.

            - Mi dai un bacio?

            - Torno per cena.

            - Vengo alla finestra a vederti partire. Venga anche lei signora. Venga a vedere mio marito.

            - Sono stanca signora mia.

            - Come è bello.

            - Allora è sicura o le sembra soltanto.

            - Guardi, sta girando attorno alla panchina.

            - Quanto baccano.

            - Sta facendo manovra.

            - Di quanti giorni è il ritardo?

            - Non lo so.

            - Lo deve sapere.

            - Ho un figlio all'anno...

            - Nessuna prudenza.

            - Stavo ancora allattando l'ultimo.

            - Come pensa di crescerli tutti questi bambini?

            - Crescono da soli.

            - Suo marito non dovrebbe essere cosi incosciente.

- Ma la si perde la coscienza in certi momenti.

            - La dottoressa lo sa?

            - Questa è cosa tra me e mio marito.

            - Tentiamo un po' con le punture.

            - Elisabetta i tuoi fratelli vorranno mangiare. C'è il latte?

            - Dove lo cerco?

            - Lo vede, l'assistenza non ci passa più né il pane né il latte.

            - Cosa è successo.

            - Hanno deciso che non siamo bisognosi.

            - Mandi a prendere le iniezioni, incominciamo con la prima, sono tre.

            - Sono rimasta senza spiccioli.

            - Non sono che mille lire.

            - Ne ho centocinquanta per il pane e il latte. Elisabetta fattelo prestare per favore dal signor Andrea, e sii gentile.

            - Devono essere fatte ora queste punture.

            - Pazienza.

            - Se le mancano mille lire come pensa di mantenerlo un altro figlio?

            - Se adesso non ho le mille lire per le iniezioni vuol dire che il destino vuole che io faccia un altro figlio.

            - Contenta lei.

            - Mio marito adora i bambini, è cosi sensibile.

            - (Amalassunta e il marito)

            - Amalassunta.

            - Piantala di pigolare come quel tuo caccoso di uccello.

            - Spostami in modo che io possa guardare dalla tua fi­nestra.

            - No, saresti in mezzo alla corrente.

            - Prima che tu esca, per piacere.

            - Cosi mentre io sono fuori tu chiami su gente.

            - Cercherò di non chiamare nessuno.

            - A te piace di farti commiserare ma io non lo voglio.

            - Ricordati il giornale per piacere.

            - Toh, tieni le mie riviste.

            - Voglio il mio giornale.

            - Tieni.

            - Questo è vecchio.

            - Che differenza fa, da sempre il tuo giornale non ripete che le stesse cose. Allora lo vuoi ó non lo vuoi!

            - Va bene, dammelo. (Entra una vicina)

            - Brava signora che mi viene a dare una mano.

            - Come sta?

            - Ti chiede come stai.

            - Grazie.

            - Sempre di mattina è cattivo come una bestia.

            - Bisogna avere pazienza.

            - Cosa state facendo?

            - Mi aiuta a smontare il letto matrimoniale.

            - Come?

            - Per farlo lucidare.

            - Ma è lucidissimo! Lei, lo trova sporco?

            - Non è mai lucido abbastanza per noi donne.

            - Cosa ci manca?

            - Ci manca che io lo voglio più lucido!

            - Io non capisco.

            - Non c'è bisogno.

            - Io...

            - Stia calmo da bravo, stia calmo, non litigate sempre.

            - Tu devi stare su quella poltrona di giorno e di notte, lo ha ordinato il dottore.

            - Non è vero.

            - Lo ha consigliato il dottore.

            - Consigliato ecco, solo consigliato.

            - E io sono costretta a dormire di là perché respiri trop­po forte.

            - Sono ammalato.

            - Cerchi di portare pazienza, guarirà.

            - No, non guarirò.

            - Fatto, adesso potranno venire a portarlo via. Venga signora che ho fretta.

            - Torni a colazione?

            - Batti tre volte qua sul muro e la Marta ti porta da mangiare.

            - Buon lavoro.

            - Buona giornata.

            - Se viene qualcuno a portar via il frigidèr... lo devono riparare.

            - Si è rotto anche quello?

            - Si è rotto anche quello, mica lo faccio apposta.

            - Amalassunta.

            - Mi chiamo Mala.

            - Amalassunta vieni a darmi un saluto.

            - Ho fretta, e chiamami Mala che Amalassunta non mi piace.

            - Famiglia del ragionier Bertolotti - Giancarlo Bertolotti il padre, Letizia la madre e la figlia Unticcia.

            - Visita del dottore.

            - Voci del prologo, lo studente e il sacerdote, per recupero dialogo Brecht)

            - Non ti alzi oggi Bertolotti?

            - Mmmmm.

            - Cosa fai sotto le coperte.

            - Mi annusa. Che odori nauseanti manda fuori il mio corpo la notte.

            - Allora?

            - Sono malato.

            - Tira su la testa dalle coperte.

            - Mio Dio come puzzo.

            - Non fare l'isterico.

            - Se mi alzo mi incominciano gli attacchi di pancia.

 (Pausa. Nella pausa la corsa di un uomo inseguito da uo­mini che cercano di aggirarlo e bloccarlo. L'ansimare del­l'uomo preso in trappola. Stop. Le due voci del prologo, lo studente e il sacerdote, prestano la voce a Ziffel e Kalle per recupero dialogo Brecht. La caccia all'uomo e l'accer­chiamento, l'ansimare dell'uomo in trappola si ripeteranno alternativamente prima dei dialoghi dei profughi di Brecht o nel contesto di essi)

ZIFFEL          - Ci tengono che sia una cosa seria.

KALLE          - Atrocemente seria. Se non è atroce non è seria.

ZIFFEL          - In un paese dove impera un ordine speciale io non ci starei volentieri, perché quello è il regno della penuria. Naturalmente si può chiamare ordine anche una amministrazione che scialacqui a piene mani come da noi si ha soltanto, come dicevo, in guerra. Ma qui ancora non siamo a questo punto.

KALLE          - La metta cosi: dove niente sta al posto giu­sto, c'è disordine. Dove al posto giusto non c'è niente, li c'è ordine.

ZIFFEL          - L'ordine oggigiorno si ha soprattutto là do­ve non c'è niente. È un fenomeno di carenza.

- Di sabato non ti vengono.

            - È vero, ha la settimana corta.

            - Ti svegli sempre con la faccia da spiritato.

            - Piantala di girarmi intorno che mi fai aria.

            - Ti ho portato la colazione.

            - Abbottonati la vestaglia mi dà ai nervi quello sbandolamento.

            - Prendila calma Bertolotti.

            - Che lingua ho Letizia.

            - Pulita.

            - Guarda che faccia e dillo tu se è la faccia di uno che crepa di salute.

            - È la faccia di un nevrastenico.

            - Sono malato.

            - Tu non hai niente.

            - è qua dentro e mi mangia vivo. Cosa stai facendo?

            - Torno a letto.

            - No, tu a letto non torni.

            - Zitto. È il dottore, l'ho fatto venire per me.

            - Mamma è il dottore.

            - Avanti, venga avanti.

            - Quale dei due è l'ammalato?

            - è una gara a chi dei due sta peggio.

            - La mamma s'è lasciata cadere il ferro da stiro sul piede poi il gonfiore e il blu s'è propagato dal ditone a tutto il piede e poi alla gamba fino al ginocchio.

            - Si può vedere questa gamba?

            - Una volta che prende in mano il ferro da stiro è per lasciarselo cadere sul piede.

            - Cose che capitano.

            - No, per dispetto. Lei lo sa che io detesto vederla ma­lata; ogni volta che prende una pillola che apre una fiala che entra l'infermiera per l'iniezione, per me è un colpo al sistema nervoso.

            - Lo vede dottore come è nervoso, lo vede.

            - Qua chi ha il diritto di essere malato sono io, io e basta!

            - Adesso visitiamo anche lei. Come va il cuore?

            - Come va la testa piuttosto.

            - La pancia, il mio male è tutto qua. Qua dentro lavora. Attacchi di diarree tremende fino all'indolenzimento di tutto l'addome.

KALLE          - Sono sempre stato contrario per cosi dire istintivamente a questa parola "missione". Suona lusin­ghiera, ma dei lusingatori io diffido sempre; e lei no? Sarei curioso di sapere cosa vuol dire la parola missione, letteralmente.

ZIFFEL          - Viene dal latino mittere, mandare.

KALLE          - Me lo immaginavo. Il proletario dovrebbe fare di nuovo da tirapiedi. Voi immaginate uno Stato ideale, e noi dovremmo fabbricarvelo. Noi sempre gli esecutori e voi

 ZIFFEL         - Se ho ben capito, lei rifiuta di liberare l'uma­nità.

KALLE          - In ogni caso non le pago il caffè. Qualche vol­ta, non se l'abbia a male, do sui nervi a me stesso, per­ché in tempi come questi me ne sto seduto qui a fare dello spirito.

-          Come un prurito bruciante che si propaga a tutto il corpo e trasuda in vapori maleodoranti che si congelano in sudori freddi alla fronte nelle mani e nei piedi.

                       - Un esaltato.

                       - Io me lo sento vivere dentro.

                       - A sentire come ne parla del suo male, lo si direbbe molto affezionato.

                       - È lui che si è affezionato a me, di un amore morboso. Se io facessi giù anche l'anima una mattina, lui rimarrebbe a finirmi e finirsi dentro la mia stessa tomba.

                       - Ma non lo tranquillizzano gli esiti di tutte le analisi e consulti che abbiamo fatto? Lei non ha il verme solitario.

                       - Io lo so; io e lui. La mattina è spietato, mi aggredi­sce vigliaccamente.

ZIFFEL          - Ho letto che in America, dove l'evoluzione è più progredita, i pensieri sono ormai equiparati a una qua­lunque merce. Uno dei giornali più influenti scrisse una vol­ta "Il compito principale del presidente consiste nel ven­dere la guerra al Congresso e al paese". Voleva dire affer­mare l'idea di entrare in guerra. In discussioni su pro­blemi scientifici o artistici si dice spesso per esprimere ap­provazione "Senta questa la compero". La parola persua­dere è semplicemente rimpiazzata da quella più calzante: vendere.

KALLE          - In simili circostanze è chiaro che ti viene l'avversione per il pensare. Non è un piacere.

ZIFFEL          - In ogni caso siamo d'accordo che la ricerca del piacere è una delle massime virtù. Dove diventa una cosa difficile, o è addirittura considerata un vizio, c'è qualco­sa di marcio.

KALLE          - Il piacere di pensare è, abbiamo detto, completamente rovinato. Lo sono anzi i piaceri in generale. Prima di tutto costano troppo. Devi pagare per un'occhiata al pae­saggio, un bel panorama è una miniera d'oro.

Prenda dei calmanti. Ecco una ricetta anche per lei. poi un astringente per la colite cronica un buon ricosti­tuente e la solita dieta.

                       - Poi si acquieta si ritira alto trascinandosi su per iì colon solleticandomi le pareti dell'intestino quasi morbo­samente.

                       - Io ho finito, mi raccomando signora la sua gamba va tenuta assolutamente a riposo.

                       - La terrà a riposo.

                       - E faccia le cure che ho scritto.

                       - Le farà le farà.

                       - Dottore, un momento, mia figlia ha gonfio qua, non è normale.

                       - Sarebbe strano che nostra figlia fosse normale.

                       - Una ghiandola.

                       - È grave?

                       - Linfatismo.

                       - Va e viene, sono preoccupata.

ZIFFEL          - Non credo che si possa parlare dell'esser de­mocratici come di una qualità.

KALLE          - Perché no? Se trovo che persino i cani, per fare un esempio, quando hanno pappato bene bene hanno l'aria più democratica di quando sono digiuni? L'aspetto esteriore deve avere un significato, penso anzi che sia la cosa principale.

- Bisognerebbe consultare uno specialista.

            - Nessuno specialista.

            - Abbiamo la mutua Giancarlo.

            - No, c'è un limite a tutto.

            - Io me ne vado signora, mi dirà qualcosa, e calma, mi raccomando calma.

            - Ci scusi dottore e grazie ancora, Lina, accompagna il dottore.

            - Dove sono le ricette?

            - Le avrà messe sul comodino.

            - '         - Una due tre, sono le tue, una due tre sono le mie, e quattro, che è?

            - Per la Limaccia.

            - Cosa ha la Linuccia?

            - Ma sta male.

            - Sette ricette, dico sette. In famiglia siamo tre e ogni volta la media delle ricette è sette, sette.

            - Se siamo malati.

            - Ma ti rendi conto se tutti tenessero questo ritmo...

            - Tu paghi per avere la tua mutua.

            - Non c'è proporzione.

            - È stato il dottore a ordinarle, mica lo abbiamo ob­bligato.

ZIFFEL          - Io non mangio più di lei.

KALLE          - Non sia cosi suscettibile! Non ho mica niente in contrario che lei mangi a sazietà. Per la gente per bene sarà magari una vergogna patir la fame, da noi non è una vergogna mangiare a sazietà.

            - Sono sempre i nostri soldi.

            - Il mio contributo alla cassa malattie non è che lo zero virgola zero per mille di quello che la mutua paga per curare noi, delle nullità come noi.

            - Mica tutti i mutuati si ammalano, cosi i conti a loro tornano.

            - Ci sono delle schede che parlano chiaro, e noi su quelle schede abbiamo il nostro nome e ci sta anche scritto que­sto sperpero che noi facciamo quando c'è gente più malata di noi. Dico di noi e poi no. Io voglio avere la coscienza tranquilla voglio dormire tranquillo e andare in ufficio a testa alta.

            - Di cosa hai paura?

            - Ho paura.

KALLE          - . E cosa è la faccenda della subumanità dei la­voratori? È un insulto.

ZIFFEL          - Negare al proletario l'umanità, cioè il suo essere uomo, vuol dire che lo si vuole costretto a fare qualcosa, disumanizzato com'è, in un mondo dove per lui l'essere umano è particolarmente importante. L'homo sa­piens fa qualcosa soltanto quando si trova faccia a faccia davanti alla rovina totale. Gli impulsi più elevati glieli puoi soltanto estorcere. Le cose giuste le fa solo in caso di emergenza, quando proprio non si può fare altrimenti.

- Mia di cosa?

            - Che cambi, hai capito? Ho paura che cambi perché adesso ci va troppo bene.

            - Stai calmo ora che sto male, Dio che vita mi fai fare.

            - E tu adesso ti alzi.

            - Mi devo riposare.

            - Ti sei riposata abbastanza.

            - Non farlo, aiuto!

            - Alzati, via le lenzuola...

            - Coprimi, aiuto, cosa mi fai...

            - Alzati!

            - Papà cosa ci fai?

            - Vai via perché se ti metto le mani addosso ti disfo.

            - Aiuto, dov'è mia madre?

            - È rimasta sotto il materasso, e sia chiaro oggi vi vo­glio vedere in azione tutte e due, pedalareee!

- II

Pomeriggio

(Amalassunta e il suo amico)

            - Mala ci sei?

            - Sono qua.

            - Vieni fuori.

            - Vieni dentro.

            - Cosa è questo posto.

            - Bah, ci sono delle casse di libri.

            - Siamo soli?

            - Soli, vieni siedi qua.

            - Perché dei libri.

            - Aprono una libreria.

            - Tu ne hai dei libri?

            - Quando vedo un film poi compero anche il libro op­pure faccio la raccolta di quelle dispense che hanno la copertina grossa e fanno bella figura sul mobile.

            - Li ha ancora il vecchio i tuoi libri?

            - Li ho già portati via meno quelli di lui.

            - Perché?

            - Tanto.

            - Anche a me piacciono i libri, ne compreremo tanti.

            - Allora.

            - Adesso vengono col camioncino.

            - Accidenti!

            - Non ha ancora capito?

            - Non capisce mai.

            - È proprio diventato stupido.

            - Non è stupido, solo certe cose lui non le capisce. È diverso.

            - Da chi?

            - Da noi.

            - Io avrei già mangiato la foglia.

            - Tu sei un dritto.

            - Altrimenti soccombi.

            - A volte ho un po' di rimorso.

            - Oggi come oggi è il più forte che ha la meglio.

            - E cosi divento anche più cattiva.

            - Come una lotta di pugilato.

            - Poveraccio.

            - Cosa gli racconterai.

            - Non ci ho ancora pensato.

            - Digli che... Che.

            - Posso fargli credere tutto quello che voglio

            - Ma dopo?

            - Dopo niente, ci penserò li sul momento.

            - Ti porto sul fiume a pescare.

            - Hanno rimesso i pesci nei fiumi? che bello.

            - Mala, Mala, che bel nome.

            - Stai buono.

            - Come sei soda.

            - Ho voglia di dormire tutte le sere nel tuo letto.

            - Ti farò felice.

            - Tu sai quello che vuoi.

            - A me non mi si. fa su.

            - Che mani grandi.

            - E tu sgualdrina se non filerai dritta, vedi queste mani...

            - Aih!

            - Ti disfo.

            - Di baci.

            - Di botte.

            - Di carezze.

            - Di baci. Capisci come si fa a stare al mondo.

            - Certo.

            - Quello che ha il mio datore di lavoro lo posso avere anche io tale e quale come ce l'ha lui. Anche lui pesca pe­sci finti come li pesco io.

            - Dai che lui può andare a pescare dove i pesci ci sono ancora.

            - Va là che sono in pochi quelli che possono andare sul Pacifico.

            - Amore mio.

            - Cosi si sta al mondo.

            - Certo.

            - Senti che muscoli.

            - Ah.

                        - Te lo farò sentire io che tipo sono. (La voce di Marta Tintirone)

            - Mala?

            - Sssss.

            - £ in casa Mala?

            - Mi chiamano.

            - Lascia perdere.

            - Non muoverti che io torno subito.

            - (L'amico di Mala rimasto solo nella edicola ha un con­tatto con lo studente).

            - Voleva un libro?

            - Io, no... non so. Si.

            - Ha visto un libro che le interessa?

            - Io di libri ne ho.

            - Cosa legge di preferenza.

            - È mia moglie che li sceglie.

            - Guardi pure con calma.

            - Cosa è questo con la copertina verde.

            - "Lettere a Milena" di Kafka.

            - Non è un romanzo.

            - £ anche un romanzo.

            - D'amore?

            - (Incontro sul pianerottolo Ira la dottoressa dell'Istituto di Beneficenza e la piccola Elisabetta Tintirone. Marta Tintirone e Amalassunta e il marito di Amalassunta, le due dentro e fuori dal pianerottolo. Poi Amalassunta e il ma­rito. Voce dello studente per recupero citazioni Kafka)

            - Dove sta tua madre bambina?

            - Sta lavando le camicie di mio papà.

            - I tuoi fratelli?

            - Qua in giro.

            - Raduna i tuoi fratelli e portali a casa, tra un quarto d'ora sono da voi per il controllo.

            - Va bene dottoressa.

            - E di' a tua madre che ho bisogno di parlarle.

            - Si.

            - Elisabetta.

            - Vengo mamma.

            - Con chi parlavi?

            - La dottoressa.

            - Signora Mala?

            - Mala è uscita. Sono solo.

            - Sono qua.

            - Mala.

            - Mi dica signora.

            - Sono qua, la porta è aperta...

            - Si è fatto ancora aprire la porta.

            - Praga Domenica 2 "Oggi, Milena, Milena, Milena... non so scrivere altro..."

            - Amalassunta, Amalassunta, Amalassunta.

            - Entriamo da lei signora Marta..

            - Perché non venite in casa.

            - Aah!

            - Chiuda la porta signora Mala.

            - Non m'importa che senta.

            - Importa a me. Le vorrei chiedere un favore.

            - Se posso.

            - Il mio salotto.

            - Il suo salotto buono?

            - Potrei metterlo da lei? per non farlo vedere alla dotto­ressa dei bambini altrimenti non mi fa avere i buoni del latte e del pane.

            - Che carognata.

            - E la televisione e la lavatrice.

            - Che ricatti ignobili.

            - Mi dica lei.

            - La aiuto volentieri.

            - E per trasportarli? io sono sola.

            - Ci penso io.

            - Mala lei mi salva.

            - A mio marito non diciamo nulla, lei sa quanto è fic­canaso, gli diciamo che sono mobili in prova.

            - Già ma io poi li rivoglio.

            - Quando?

            - Appena sto tranquilla che non vengono più.

            - Va bene, ma per adesso lasci fare a me. Tanto più che a me stanno venendo a portar via il tinello per river­niciarlo.

            - Ho avuto fortuna.

            - Facciamo subito, che ho quelli del camioncino.

            - Cartolina, timbro postale 29-VI-20 Vienna martedì ore 10 "Ti aspetto mercoledì dalle 10 del mattino in poi: allo Hotel. Ti prego, Milena, non sorprendermi arrivando di fianco o da dietro".

            - Amalassunta finalmente.

            - Hai mangiato tesoro.

            - Quello che mi hanno portato.

            - Ti senti meglio?

            - Avevo voglia di vederti.

            - Povero il mio maritino adesso ti tengo compagnia.

            - Tieni la porta aperta.

            - Lo devi chiedere ogni volta.

            - Mi vergogno.

            - Dunque lo sai.

            - La solitudine mi ammala la testa più dell'infermità.

            - Povero il mio bamboccione, adesso le porte le apriamo tutte.

            - Lo portiamo qua dentro signora Mala?

            - Cosa è?

            - Il salotto nuovo.

            - Salotto?

            - Invece della camera da letto.

            - E dove dormiremo noi?

            - Io sul divano, tu per ora stai meglio dove sei.

            - Ma... non sempre.

            - Quando starai bene il divano può diventare un gran­dissimo letto matrimoniale.

            - Davvero?

            - Certo, cosi farai venire i tuoi amici.

            - Hai fatto bene i conti?

            - Sono brava.

            - Ero affezionato alla nostra camera.

            - Io no.

            - Quelle sono le poltrone.

            - Ti piacciono?

            - Devono essere soffici.

            - Dove le mettiamo?

            - Qua dove sono io.

            - Mettetele qua, le vedi, dico a te?

            - Perché tutto in quella stanza?

            - È l'unica che abbia una finestra.

            - Mala dove la metto la televisione.

            - Quella in camera di mio marito.

            - Come sta signor Andrea?

            - Oggi bene.

            - Quando ha gente per casa lui sta sempre bene.

            - Leggo sempre lo stesso giornale Amalassunta.

            - Adesso ti metto il televisore.

            - E il tavolino Mala dove?

            - Sotto il televisore.

            - Sei contento? si vede a colori.

            - La preferisco in bianco e nero.

            - Sei proprio un vecchio balordo.

            - E poi io la televisione non la voglio.

            - Cosa è che vuoi.

            - Il mio giornale.

            - Adesso la tieni e te la guardi.

            - Adesso no.

            - Allora stai zitto. Lo vede come è noioso.

            - Un bel peso.

            - Non si faccia sentire, è permaloso.

            - Abbiamo finito.

            - La lavatrice?

            - Nel bagno.

            - Grazie ancora Mala.

            - Di niente. E con mio marito acqua in bocca.

            - Mmmm. Buon giorno signor Andrea.

            - Mercoledì "Ciò che temo, che temo con gli occhi spa­lancati e follemente sprofondato nell'angoscia (se potessi dormire come sprofondo nell'angoscia, non vivrei più)..."

            - Amalassunta.

            - Sono qua.

            - "...Io, pedina della pedina, dunque pezzo che non esi­ste neanche, che non prende neanche parte al gioco..."

            - Se tu mi firmassi la richiesta di un anticipo più grosso.

            - Cosa ti ho firmato questa mattina?

            - Se io pago in contanti tutta questa roba ho lo sconto del 40 %, è molto, conviene.

            - Se tu sei sicura.

            - Io so fare gli affari.

            - Amalassunta.

            - Hai bisogno di qualche cosa?

            - Sei cara quando vuoi Amalassunta. Cara. Tesoro.

            - Giovedì "...Come tale ti dico che di Milena è ceco soltanto il diminutivo: Milenka. Ti piaccia o no, cosi dice la filologia."

            - Amalassunta.

            - Chiamami...

            - A me piace il tuo nome cosi come è, Amalassunta.

            - È un nome vecchio.

            - È il nome della luna.

            - Che idee.

            - L'ho letto non so dove.

            - Su quel tuo giornale immagino.

            - Forse, ne ho lette tante di cose sul mio giornale.

            - La luna si chiama luna e basta.

            - Gli antichi credevano che la luna fosse una dea.

            - Sciocchezze.

            - Erano dei poeti gli antichi e poi di notte la luna è di più.

            - Di notte?

            - Piena tonda nel cielo blu, è più di una luna, è una Amalassunta.

            - Mmmmm.

            - Ridi.

            - Non ricordo più quando ho visto la luna l'ultima volta, forse non l'ho mai vista.

            - Questa sera la guardiamo insieme la luna e poi ti rac­conto altre storie.

            - Lette sul tuo giornale.

            - Anche.

            - Ti ha ridotto sciocco.

            - Amalassunta.

            - E chiamami Mala.

            - Mercoledì "Oggi ho visto una pianta di Vienna, per un istante mi è parso incomprensibile che si sia costruita una città cosi grande, mentre tu hai bisogno di una sola camera".

            - Parole, sciocchezze balle solo balle e tu hai sempre bevuto tutto.

            - Abbiamo lottato duro.

            - Le avete beccate.

            - Non ho rinunciato ancora.

            - Ti credi un eroe.

            - Un uomo.

            - Suonato come un pugile.

            - Ho lavorato.

            - Ti hanno picchiato in testa con le parole.

            - Non puoi capire.

            - Cosa?

            - Quando viene il momento per un uomo di fare i conti cedere che i conti tornano.

            - Me ne vado.

            - Amalassunta.

            -

            - Ancora sabato "So il rapporto fra te e me (tu appar­tieni a me, anche se non dovessi vederti mai più), lo co­nosco in quanto non sta nel territorio confuso dell'ango­scia, ma non conosco affatto il rapporto tuo verso di me, "questo appartiene tutto all'angoscia. E neanche tu mi co­nosci, Milena lo ripeto. Ciò che accade è per me qualcosa di mostruoso, il mio mondo risorge, vedi come tu (questo tu sono io) ne possa dare buona prova. Non mi lagno del crollo, il mondo stava crollando, mi lagno del suo rico­struirsi, mi lagno delle mie deboli forze, mi lagno del ve­nire al mondo, mi lagno della luce del sole".

            - Sei proprio fottuto nella testa.

            - Amalassunta cosa stai facendo?

            - Mi cambio.

- È un abito nuovo?

            - Si.

            - Sei bella. Ti profumi.

            - Non certo perché tu ne possa godere.

            - Non uscire per piacere.

            - Lunedi "Il significato della risposta era che non sa­resti venuta affatto e che l'unica concessione per me era il permesso di stare ad aspettare".

            - Lo vedi, lo vedi che piangi come un bambino?

            - Io ti amo.

            - Io no.

            - Non essere crudele. No, la tua crudeltà è pietà, allora forse sei ancora buona.

            - Non capisco, non-ca-pi-sco.

            - Domenica "Parola estranea nel ceco e più che mai nella tua lingua, parola severa, indifferente, dallo sguardo gelido, taccagna e soprattutto crocchiante, tre volte si sen­tono crocchiare le mascelle in questa parola, o diciamo me­glio, la prima sillaba fa il tentativo di stringere la noce, non ci si riesce, la seconda spalanca la bocca e ora la no­ce vi si adatta finché la terza sillaba la schiaccia".

            - Sei bella, lascia che ti guardi. Sei profumata, lasciati annusare.

            - Capisci adesso che la vita è anche questa.

            - Ti chiedo solo un po' di tenerezza.

            - Vuoi la carità.

            - Un gesto.

            - La mia tenerezza non è un tuo diritto? A te lo dico che hai vissuto per i tuoi diritti.

            - Non è questo Amalassunta.

            - Mi chiamo Mala.

            - Non lasciarmi in questo stalo.

            - Ti tornano sempre i tuoi conti!

            - Non andartene.

            - Guarda dove vivi e con chi, eccotele aperte le porte tutte ma aprili gli occhi. E somma somma somma se ti riesce!

            - (Famiglia Bertolotti al completo. Dietro il dialogo ru­more fisso di registratore di cassa da supermercato. Nelle pause presenza del rumore come voce. Compiutezza onoma­topeica del rumore della macchina che accumula e tira le somme)

            - Che ore sono? • - La una.

            - La una papà.

            - Non si mangia?

            - È pronto?

            - Andiamo a tavola.

            - Non sei stato da Piro Martino?

            - Sssss!

            - Cosa ho detto?

            - Taci.

            - Ti chiedevo.

            - Nessuno lo deve sapere.

            - Sei padrone d'impiegarlo come vuoi il tuo tempo li­bero.

            - No. Chi mi dà lavoro ha diritto alla mia efficienza.

            - Cosa possono rimproverarti?

            - Il mio tempo libero appartiene a loro.

            - Lo dici tu.

            - Di diritto.

            - Non ti arrabbiare.

            - Io devo riposarmi divertirmi rilassarmi.

            - Il vino.

            - Cosi un impiegato ricupera.

            - Suo figlio è stato qua.

            - Qua?

            - Chiedeva del ragionier Bertolotti.

            - A chi?

            - Alla signora del pian terreno.

            - Mi possono rovinare.

            - Spiegati.

            - Mi sta venendo un attacco tremendo.

            - Finisci la pasta prima.

            - Mmmmm.

            - Lo vedi come è tuo padre.

            - Non dovevi dirglielo.

            - Cosa voleva il figlio di Piro Martino?

            - Suo padre ti cercava.

            - Ero da suo padre.

            - Non vi siete incontrati?

            - Prima o poi lo verranno a sapere.

            - Non cascherà il mondo.

            - A piazza Cuneo cambio e prendo il 23.

            - Il 23?

            - Sissignora.

            - E dove vai?

            - Da Piro Martino.

            - Sta in piazza Cuneo.

                        - Accanto al mio ufficio.

            - Di fronte.

            - E col 23 faccio il giro largo esco in via Orso e entro da dietro dove stanno i boss e prendo l'ascensore di ser­vizio.

            - Non devi avere questi scrupoli.

            - Potrei andare in galera.

            - Ci vuol altro.

            - Ci vuole pochissimo.

            - La gente non guarda te.

            - Mi guarda.

            - Per forza, cammini come uno che ha paura.

            - Denunce multe e vergogna.

            - Per un lavoretto extra.

            - Precisamente.

            - Altro che stracciare le ricette.

            - Lavoro di straforo niente libretto niente contributi niente marchette niente tasse potrei andare in galera io e il Martino Piro.

            - Piuttosto che vivere cosi.

            - Regola la tua situazione papà.

            - Risulterei avere due impieghi.

            - Due.

            - E ci sono i disoccupati. Una fila cosi di ragionieri nuovi nuovi. Me li sento dietro le spalle mentre sto seduto al mio tavolino. Aspettano solo di pescarmi in fallo.

            - Anche tua madre aveva di queste manie, sei malato.

            - Tu.

            - Come quando ti spogli nudo.

            - Mai successo.

            - Come quando mi volti giù dal letto.

            - Dalla finestra!

            - Lo volevi fare.

            - Tu e tua figlia.

            - Ho paura a vivere con te.

            - Mi viene un attacco.

            - Lo vedi Linuccia.

            - Che male di pancia.

            - Che uomo.

            - Sempre a tavola succedono queste scene mamma.

            - Prendi gli spinaci al burro.

            - Sono lassativi.

            - No, contengono ferro.

            - Sono lassativi!

            - I piselli.

            - Non mi piacciono da masticare.

            - Ti vanne bene le carote crude?

            - Spinaci piselli carote.

            - Cosi puoi scegliere.

            - Tre qualità.

            - Si.

            - Tre piatti di verdura.

            - Tre.

            - Questo è sperpero.

            - Che fai?

            - Guarda cosa ne faccio delle tue verdure.

            - No!

            - Vi insegno io a stare al mondo.

            - Nella pattumiera?

            - Sissignora nella pattumiera.

            - Ci guardano.

            - Che guardino.

            - Ho vergogna.

            - E io che rischio per voi luride vacche.

            - Ma guarda.

            - Ho fatto bene.

            - Li vedi i balconi degli altri.

            - Allora?

            - Guarda cosa c'è dentro e fuori dalle loro pattumiere.

            - Finiranno male.

            - Non hai capito niente.

            - Lo so io.

            - Bucce di patate guarda piselli banane aranci limoni mele pere scatole di olio pomodori cornettini frutta sci­roppata scatole di cera guarda quanta cera consuma quella vuoti vuoti di acqua minerale di bevande cespi di lattuga cartoni di biscotti involti di cellofan e la nostra pattumiera tu la vuoi vedere sempre vuota.

            - (Marta Fanta in Tintirone e la dottoressa dell'Istituto di Beneficenza)

            - Qual è il nome di suo marito?

            - Tintirone Peppe.

            - Dica forte.

            - Tintirone Peppe.

            - Tintirone Giuseppe?

            - Giuseppe.

            - Lei.

            - Marto

            - - Da ragazza come si chiamava?

            - Marta Fanta.

            - Firmi Qua.

            - Dove?

            - Qua

            - Non ho la penna.

            - Tenga.

            - Col nome da ragazza?

            - Da maritata.

            - Tintirone Marta.

            - Famiglia bisognosa?

            - È la mia.

            - Non risulta.

            - Mio marito è ambulante.

            - I risultati delle nostre informazioni sono questi.

            - Stia comoda dottoressa.

            - Avete firmato cambiali per questa somma.

            - Sono stata io.

            - Un salotto, mobile bar, questi gli elettrodomestici.

            - Quello che hanno tutti.

            - Infatti.

            - Allora.

            - Sei figli li ha solo lei. è. un lusso superfluo.

            - Ho ridato indietro ogni cosa.

            - Parlo dei figli.

            - Basta cosi poco.

            - A cosa le serve la televisione

            - Un divertimento.

            - Evidentemente non l'unico.

            - Ah!!!

            - Abbiamo pensato di levarglieli.

            - Tutto?

            - Parlo dei bambini.

            - Mi basterebbe riavere i buoni.

            - Il direttore del nostro ufficio assistenziale ha deciso cosi.

            - Questi sono i miei bambini.

            - Queste le loro cartelle cliniche. Linfatismo e denutri zione.

            - Hanno i capelli come gli angioli.

            - Si troveranno bene.

            - Mio marito non sa niente.

            - Nell'interesse dei bambini.

            - Si dia un'occhiata in giro.

            - La mia assistente li accompagnerà all'Istituto ora.

            - Lo vede che ho dato via tutto.

            - Al giovedì dalle tre alle quattro li potrete vedere.

            - Ahhhh.

            - Starà meglio anche lei.

III

- Sera

            - (Telegiornale a imitazione della voce di Ruggero Or­lando)

            - Pechino - Le guardie rosse che stanno a guardia del pa­lazzo dove è stato custodito per cinquant'anni il corpo iber-nizzato del presidente Mao attendono pazienti il grande mo­mento. Il momento in cui i più grandi scienziati della Re­pubblica Popolare Cinese, che ora stanno mettendo a punto i delicatissimi apparecchi nella sala dove avverrà il più at­teso avvenimento del secolo, avvenimento che diciamo cosi dovrà sghiacciare il corpo del Presidente Mao dopo cin­quant'anni di letargo. È questo un avvenimento che tiene in ansia le più grandi potenze Russia e America e altre minori. Ricordiamo che alcuni anni fa tutti vivemmo que­sta stessa ansia per lo sgelamento del Generale De Gaulle che come tutti sappiamo non è riuscito. Se l'esperimento ci­nese, come tutto lascia a credere, sarà un trionfo della me­dicina e diciamo pure della strategia politica, anche il presidente L. B. Johnson verrà appunto sgelato come s'è detto. Pertanto Russia e America, Russia e America hanno deciso di ricorrere a una nuova legge che proibisca a tutti i cittadini degli stati, Russia e America, l'uso delle auto­mobili per porre fine alla decimazione delle popolazioni causa i sempre maggiori incidenti stradali, fenomeno che preoccupa sempre più seriamente lo stato maggiore mili­tare dei due paesi. Nel Viet Nam la situazione non ha su­bito variazioni di rilievo.

            - (Famiglia del ragionier Bertolotti)

            - La mia gamba.

            - Ti fa male mamma.

            - Mi batte tutta.

            - Ti faccio un impacco.

            - C'è anche un bagno.

            - Dove mi siedo.

            - Sul cesso

            - Mi date fastidio.

            - Lascia perdere Linuccia.

            - Tieni.

            - Che giornale è?

            - Nuovo.

            - Continua la puntata?

            - Continua la puntata.

            - Il telefono.

            - Rispondi tu Linuccia.

            - Io non voglio nessuno per i piedi.

            - Se non sai ancora chi è.

            - Per essere chiaro.

            - Sono le zie.

            - Vale anche per loro.

            - Che noia ti danno.

            - Me ne danno.

            - Cosa dico?

            - Di' che sono uscita. Sei soddisfatto?

            - No.

            - Tanto pei fare un dispetto.

            - Devo sentire la partita.

            - Saremmo state in camera da letto.

            - Fuori i risultati li sanno già.

            - Allora.

            - Io non voglio saperli.

            - E chi te li dice.

            - Non chiedo molto, chiedo solo che non mi si dicano i risultati.

            - Apri la finestra Linuccia.

            - Senti che stanno tornando dalla partita.

            - No! Chiudete!

            - Chiudi.

            - Se intravedo la bandierina sono bello e rovinato.

            - Senti come urlano.

            - Che ti fai.

            - Mi tappo le orecchie.

            - Ma?

            - Sentirli allegri o incavolati sarebbe come dedurne il risultato.

            - Mi sembrano...

            - Non dirmi niente bestia!

            - Se ne sono andati.

            - Ero tutto agitato, io l'emozione la voglio intera. Ades­so, tra un'ora.

            - Quanto manca?

            - Un'ora e dieci minuti.

            - Tra un'ora esatta apro la televisione.

            - (Telecronaca sportiva)

            - Trapattoni passa la palla a Sivori - Sivori prende la pal­la - rilancio della palla di Sivori a Trapattoni - Trapattoni ha preso la palla - urlo della folla - gioco di Trapattoni che passa la palla a Sivori - colpo di testa di Sivori questa volta - Trapattoni accusa il colpo - astuto gioco di Trapat­toni che sta all'erta - palla a Trapattoni - urlo della folla.

            - (Marta e Giuseppe Tintirone. Il ritorno del guerriero)        - • Ti ho aspettato!

            - Lasciami entrare.

            - Sono stata alla finestra.

            - Cosa stai facendo?

            - Da lontano tutte le macchine avevano il colore del­la tua.

            - Daai, piantala cosa è che vuoi.

            - Un bacio non me lo dai?

            - Ma lasciami respirare.

            - Adesso.

            - Ho fame.

            - Prima un bacio.

            - Dai che Io so cosa vuoi tu.

            - Eh, sono tua moglie.

            - Ma lasciami almeno prendere fiato.

            - Che uomo sei? Adesso sei tu. Dove vai?

            - Non scappo mica.

            - Mi vieni dietro?

            - Lo so dove vuoi arrivare.

            - Cucino la bistecca. Ti piace alla griglia?

            - E io meno la polenta.

            - Perché, ti fa schifo?

            - Ma porca miseria lasciami prima mangiare.

            - E io cosa sto facendo.

            - Tiri a tirarmi dentro.

            - Mmmmm.

            - Va a finire che se non mangiamo adesso non si man­gia più.

            - TI tuo piatto.

            - Cosa è. festa?

            - Non bevi?

            - Non farmi fretta. Lo sai che è proprio matta la gente?

            - Perché?

            - C'era li uno che credeva di fare il prepotente. Dove tutti sanno che quello è il mio posto.

            - E tu.

            - E io gli ho detto che se voleva fare il prepotente con me si sbagliava.

            - Bravo.

            - Perché uno lavora come gli capita, quello li perché ha il palazzo e fa... il coso il superbo... non attacca.

            - Hai fatto bene.

            - ... che uno poi che ha i soldi... diventa che ha ra­gione solo lui...

            - Hai fatto bene a rimanere li.

            - Io non sono mica rimasto.

            - Ce l'hai data vinta, stupido.

            - Se non c'era il vigile io gli davo una lezione di buona educazione... che gli disturbavo la testa mica il palazzo.

            - Allora cosa hai fatto?

            - Ho fatto che non sapevo più dove stare, vicino ai su­permercati non si può stare per tanto cosi a distanza, vi­cino alle abitazioni non si può, dove poi è permesso ci passano tante di quelle macchine che ho preso anche la multa perché ho ingombrato il traffico, io.

            - Ho capito io che eri di cattivo umore.

            - Non vedo i bambini.

            - Me li hanno portati via.

            - Chi?

            - Quelli dell'Istituto.

            - Si credono in diritto di fare e disfare coi figli che ab­biamo fatto noi.

            - Se ci fossi stato tu.

            - Magari si trovano anche bene.

            - Al giovedì li possiamo andare a trovare.

            - Ci vedremo la televisione in pace.

            - Ho portato tutto di sopra.

            - E noi?

            - In casa di Mala.

            - E lei non ce l'ha?

            - Avevo paura che la dottoressa ci portasse via la no­stra roba.

            - Vorrei vedere.

            - Ha portato via solo i bambini.

            - È il loro dovere occuparsi dei bambini della zona.

            - Un bambino non è una televisione.

            - Un televisore non s'indebolisce in una casa dove il pane oggi c'è domani non c'è.

            - Andiamo a riprenderci la nostra roba.

            - Ti do una mano anch'io e portiamo giù tutto.

            - (Telecronaca sportiva)

            - Mancano cinque minuti allo scadere del tempo - tensione tra i tifosi di Trapattoni - ecco Trapattoni in bicicletta -scatto di Trapattoni su Sivori in salita - palla a Trapattoni - finta di Trapattoni. - Trapattoni passa la palla a Sivori -la palla passa Trapattoni a Sivori - Sivori prende Trapat­toni - urlo della folla.

            - (Incontro del sacerdote e dello studente alla fine della giornata. Esterno, luna piena)

            - Si è mostrato docile il pitone, mio giovane amico?

            - Si è lasciato mettere una mano dove gli batte il cuore.

            - Era agitato il mostro.

            - Regolare, un macinare metallico di schede, ronfava come un cucciolo che si accarezza dietro la nuca.

            - Non ha riconosciuto l'odore del nemico.

            - Manca d'intuito, come tutte le macchine del resto.

            - È quasi notte.

            - Un vento caldo porta da lontano l'odore del fieno e i mucchi scomposti aprono fuori umori di erbe marce di fiori disseccati.

            - Rimane?

            - Aspetto.

            - Il mostro è insensibile agli odori.

            - Un segnale, uno solo.

            - Rimarrà deluso.

            - I rifiuti che lei confessa, guardi nell'angolo, accanto a quella porta buia, non vede in quella macchia l'indizio di un amore colpevole impuro frettoloso?

            - Almeno tre volte nella sua vita l'uomo ha bisogno di me.

            - Per contratto.

            - Vale anche per lei.

            - Ma io mi rifiuto di venderla la poesia.

            - Vorrebbe che io sabotassi Dio?

            - Sono pile di libri quelle che vede ammucchiate nella mia edicola.

            - Vedo.

            - Aspiri forte, sente?

            - Cosa devo sentire.

            - Sono inodori.,

            - Sono protetti da un involucro.

            - Sono decaffeinizzati.

            - Vale a dire?

            - Non turbano non agitano non fanno male non fanno bene.

            - E se glieli chiedono?

            - Per questo aspetto un segnale, uno solo varrebbe a dire liberare dall'incantesimo migliaia di pensieri prigio­nieri di una grafica la più aggiornata. Finalmente dirom­penti deflagranti dentro alle coscienze.

            - Fa caldo.

            - C'è anche la luna piena.

            - Appare di rado ormai. Anche il tempo ha bruschi cam­biamenti di umore.

            - Delle nuvole leggere.

            - Passano a velare la luna.

            - È una civetta tremenda la luna, Amalassunta si fa­ceva chiamare.

            - Nella bellezza la presenza suprema. La lascio solo ad aspettare il suo miracolo. Dietro una di queste finestre un u-.'mo sta morendo e il mio posto è accanto a lui, questo è il miracolo che si ripete.

            - Una retata di anime già morte, che vittoria è?

            - Le braccia di Dio si sono aperte anche per le anime morte come lei le chiama.

            - Dio non sa più stare solo, da allargare cosi indiscrimi­natamente la sua manica?

            - (Amalassunta e l'amico di notte all'aperto. C'è la luna piena)

            - Qua ci vedono.

            - Fai presto.

            - Proprio oggi doveva venir fuori.

            - Fa un chiaro che sembra un faro.

            - Vuoi proprio farti vedere.

            - Si direbbe che mi vien dietro.

            - Hai caricato tutto.

            - Tieni è la mia pelliccia sintetica.

            - Ti tengo su il cofano.

            - Dai mettimela li con riguardo.

            - Non sei neanche un po' romantica.

            - Hai voglia di romanticismi adesso?

            - Sei contenta?

            - Ho diritto di sopravvivere io.

            - Eh già. Anche lui.

            - L'infelicità a me mi uccide.

            - E al vecchio farà bene.

            - Sicuro che a lui ci fa bene,

            - Non dargli neanche una spiegazione...

            - Vai tu a spiegarglielo.

            - E non arrabbiarti.

            - Dico a te, io ho chiuso sai.

            - Hai preso tutto?

            - Se vuoi vai su e levagli anche la sedia da sotto.

            - Allora sali.

            - Un momento.

            - Dove scappi

            - Prendimi.

            - Amalassunta.

            - Ah! Ah ti viene naturale chiamarmi Amalassunta.

            - Dove sei?

            - Ah Ah Ah Hai paura che scappo.

            - Non ti vedo!

            - Non lo vedi che la luna mi segnala guarda come mi segue.

            - Amalassunta!

            - Allora ti ha accecato Amalassunta. (Invocazione del vecchio marito rimasto solo)

            - ... Amalassunta!

            - Vieni via.

            - (7/ sacerdote e lo studente hanno avvertito l'invocazione)

            - Un grido.

            - È partito dritto verso la luna,

            - Si è spento nel silenzio.

            - (Epilogo. La voce dello studente)

            - Una rana dentro un pozzo diceva che "il cielo non è più grande della bocca di un pozzo". Ciò è inesatto, per­ ché il cielo non si limita alle dimensioni della bocca di un pozzo. Se la rana avesse detto: "Una parte del cielo ha le dimensioni della bocca del pozzo" avrebbe detto il vero, poiché ciò è conforme alla realtà.

N.B. - II "Serpentone" veramente esiste - porta scritto all'ingresso "Concentrazione operaia" e anche "L'ignoranza è grave danno a se stessi e alla società".

FINE