AMANDA
(Monologo)
Buio.Un fascio di luce improvviso illumina una ragazza giovanissima, voltata di spalle, al centro del palcoscenico.
Di chi sono queste braccine ? E questo sederino ? Di chi sono queste coscette ? E queste manine ? Le mangio io, le mangi tu ? Guarda che nasino ! E che boccuccia ! Mangiamola adesso, Mangiamola tutta ! (si volta, viene avanti sul proscenio)
Ero il loro pasto quotidiano. Ero l’alba e il tramonto. Quando a otto anni un bambino mi disse “ti amo”, esplosi ridendogli in faccia. In casa, dappertutto, c’erano foto che mi ritraevano. Poster, gigantografie, insieme ad analisi, esami clinici, radiografie…no, non ero malata. Ero la bambina più sana del pianeta. Il fatto era che loro, i miei genitori, si sentivano dei prescelti. Ed io, senza il minimo impegno, li rendevo felici.
Passavo il tempo a guardare il cielo con il binocolo di mio padre. Restavo delle ore sul terrazzo a guardarci dentro, delle giornate intere. Le nuvole, le stelle, la luna, parevano starsene lassù senza una ragione, senza un motivo. Ma per me era tutto chiaro. Ed io, me ne sentivo parte. Giravo per la casa puntando il binocolo capovolto su mia madre, che mi faceva le smorfie, e mio padre, che mi fissava stupefatto senza aprire bocca. Era la cosa che più mi divertiva: vedere mamma e papà, come due formichine, schiacciati sul fondo di quelle lenti.
Crescendo mi resi conto che quella lunga pratica aveva in qualche maniera trasformato il mio modo di vedere. Il mondo, da vedere.
C’è qualcuno là fuori (indica davanti a sé) che realizza il nostro destino senza che noi dobbiamo far nulla. E questo non è soltanto fantastico…..è DIVINO !( posa, come una modella davanti a un obiettivo)
OH, SI’…COSI’, VA BENE .CONTINUA, NON FERMARTI…DAI, UUHH !!… ( si ferma )
Ho cominciato a odiare i miei genitori fin da allora. Non riuscivano a capire perché la loro bellissima creatura li detestava così tanto. Non riuscivano a comprendere perché l’amore con cui mi avevano cresciuta, ora, mi soffocava…mi toglieva il respiro. (pausa)
Avevo la maggiore età quando il Signore li chiamò a sé.
Non dissero nulla. Non fecero nessuna resistenza.
“COPPIA DI ANZIANI SUICIDA DALL’ULTIMO PIANO “, titolò un giornale. “INSEPARABILI VOLANO DI SOTTO”, scrisse un settimanale. E per l’amore fu un trionfo.
Amore. Quanti delitti in suo nome. Quanto sangue.
Poco tempo dopo, due miei amici mi dichiararono i loro sentimenti. Incidente, scrissero di Andrea, mentre stava montando un’antenna sul mio terrazzo. Suicidio, per Marco, gettatosi nel vuoto durante un mio ricevimento. Fu imbarazzante: due giorni prima mi confidò di fare uso di antidepressivi. A parte questo, io vivevo quella vita che tanti miei coetanei avrebbero voluto almeno per un giorno.
Con l’università terminò un ciclo indimenticabile. Ma ero consapevole che ben altro doveva accadere.
L’eredità era più che cospicua. Lasciai l’attico dei miei genitori e ne comprai uno più lussuoso da un’altra parte. Adoravo le altitudini, le vette, le cime di ogni genere, l’apice di ogni cosa….il culmine di qualsiasi circostanza.
Non era una mia volontà, non avevo deciso io quello che ero. Era così perché non poteva essere in un altro modo. In un altro mondo. Qualcuno lo aveva voluto ed io…..non potevo far altro che rendergli grazie. (ancora pose)
Andai in Brasile, Messico, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Asia, Giappone. Fui processata nove volte, ma in tutti e nove i casi fui riconosciuta estranea ai fatti. Ricordo, tra questi, una ragazza, una minuta bambolina di Las Vegas che diceva di stare impazzendo per me. Mi scriveva ogni giorno, mi telefonava di continuo. Una volta mi fece persino pedinare. (pausa) Perse l’equilibrio. Eravamo molto in alto….cercai…di afferrarla…
Tornai a Milano, a fare la modella per qualche amico. Girai, due, tre film di scarso successo, poi, ripresi a viaggiare.
Viaggiare non aveva paragoni con niente. E non era per noia. Avevo molti interessi e le mie giornate si riempivano fino allo sfinimento. Era che avevo bisogno di spazi, di orizzonti, di mete impossibili. Non sono mai stata per troppo tempo nello stesso posto. Viaggiare, credo, è stata tutta la mia vita.
Avevo 36 anni quando mi ritrovai lassù, tra le nuvole, senza paracadute, con un vecchio pazzo che mi teneva per le mani mentre insieme precipitavamo da un’altezza folle. Lui era Stanley Ross: mio futuro marito. Il maggiore Ross pilotava cacciabombardieri della Nato. Era stato un eroe di guerra.
Con lui provai sensazioni indimenticabili. Stanley era molto più grande di me, ma questo non faceva la differenza. A noi bastava un cenno, uno sguardo, per intenderci. Stanley era un uomo d’azione: capiva e sapeva farsi capire. Ma, soprattutto, non mi disse mai “ti amo”. Questo, certo, finchè la salute lo sostenne. Poi, un giorno, quello che era stato taciuto, tenuto sommerso, venne fuori: tremolante come gelatina. Ed io me ne accorsi subito.
Il maggiore Ross, per quel suo caratteraccio, si era fatto un bel po’ di nemici nell’ambiente. Agli investigatori, nel vedere tagliato il suo paracadute, sembrò niente di più che un regolamento di conti, una giustizia sommaria con decine di potenziali assassini.
Ho sempre avuto una grande stima di mio marito, un profondo rispetto. E questo mi veniva confermato ogni volta che guardavo negli occhi Stefano: il nostro unico figlio.(ancora pose) BRAVO TESORO….STO ANDANDO BENE ?…COSI’…CONTINUA…QUESTA TI PIACE ? ….UUHH ! SEI STUPENDO ! ….LA MAMMA TI ADORA…..
(si ferma)
Mi riprendeva in ogni momento della giornata. In ogni angolo della casa. Anche quando non lo vedevo, sentivo un clic provenire da qualche parte. Aveva una passione infinita per la fotografia. Forse, chissà, ereditata dai miei genitori. Di certo, aveva una grande passione per me. Ma non mi stava appiccicato. Non mi stava addosso come fanno di solito i bambini. No, lui se ne stava in disparte. Mi spiava, come dire….amorevolmente. Mio figlio, mi conosceva più di chiunque altro.
Quel giorno avrebbe compiuto dieci anni. Mi ero vestita elegante per lui. Ci teneva molto. Eravamo sul terrazzo facendo foto ed io, come sempre, stavo posando per lui. “ Sei a fuoco, mamma. Ferma, non ti muovere.” Restai immobile. Ma non sentii il clic. (si volta) STEFANO ? Corsi alla ringhiera, guardai giù.
Le foto di quella sera le appesi nella sua stanza, insieme alle altre mie che Stefano attaccava alle pareti. (pausa) Stefano, era il mio vero amore.
Ci sono stati altri uomini, ma mi hanno sempre lasciato.
Oggi, tutto quello che mi resta è il ricordo di una bella bambina che ha vissuto nell’amore. (pausa) Non parlo di quello che ti toglie il respiro per l’emozione. Né, di quello che la gente vuole ad ogni costo, cacciandolo, braccandolo come fosse un animale. O quello per cui ci si sveglia nel cuore della notte, cercandolo come se fosse una medicina. No. Quelli, durerebbero un po’, ma, poi, si sciuperebbe tutto, si rovinerebbe ogni cosa.
L’amore di cui parlo è quello che si ha dentro. Quello con cui si viene al mondo. E’ una naturale appartenenza, una spirituale gioia dell’animo (apre le braccia) E’ essere parte della vita….
voce maschile (da fuori, in lontananza) Amanda ?
Amanda! ……un’irrefrenabile amore di sé (si abbraccia)…
voce (più vicina) Amanda ?
Amanda… ……per l’universo….
voce (si sente bussare, l’aprirsi di una porta) Amanda…
Buio improvviso
Amanda (con la voce di una donna anziana, esitante, fragile)
Ecco…soltanto il tempo di mettermi il rossetto.
Alla mia età…
voce Non ne hai bisogno, Amanda. Sei bellissima.
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