Amarsi così

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AMARSI COSI’

Commedia in tre atti

di VINCENZO TIERI

PERSONAGGI

GIANFRANCO SCALA

MATTEO IROLDI

ANDREA TOLOMEI

MASSIMO BARIGNANO

ENNIO VILLA

SIMONELLA RUA

LIVIA MALIONATO IROLDI

OLIMPIA IROLDI

CESARINA IROLDI

SILVIA

GINA

Il primo e il secondo atto in casa Iroldi, a Roma ; il terzo atto in un albergo, a Milano.

Fra il primo e il secondo atto passano quindici giorni ; fra il secondo e il terzo due mesi.

Tempi moderni.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Lo studio del comm. rag. Matteo Iroldi, presidente e consigliere di varie società, banche, istituti. Una grande scrivania a sinistra, tutta lucida e ordinata, con sopra un imponente servizio da scrittoio, due telefoni, pochissime carte. Anche a sinistra, verso l'angolo del fondo, una porta che dà nella segreteria. Nel centro del fondo una porta ad arco, senza battenti, che dà in un salotto a per il salotto conduce al resto dell'appartamento. A destra, di fronte alla scrivania, un'altra porta, che conduce alla sala d'aspetto e all'ingresso. Poltrone, quadri ecc. E' un mattino d'autunno, verso mezzogiorno. Quando si alza la tela, la scena è vuota e tale rimane per qualche secondo.

Cesarina                      - (entra in fretta dal fondo, arriva alla scri­vania, forma un numero sul disco di uno dei telefoni, parla con tono irritato) (Pronto?... Sì, sono io; e voglio dirti che ti piantò com'è vero Iddio se un'altra volta... ho bisogno delle tue spiegazioni. Ne so abbastanza, per avere il diritto di fare con te patti chiari... Ecco, bravo, vieni: è meglio! (Sbatte il microfono sull’apparecchio).

Olimpia                       - (ch'è già arrivata sulla soglia del fondo) Lo immaginavo. Gli hai telefonato.

Cesarina                      - (tenendo ancora la mano sul microfono, senza voltarsi) Io faccio quello che mi pare e piace!

Olimpia                       - Fa' pure. Ma devi ammettere ch'è ridicolo quello che fai.

Cesarina                      - (voltandosi, inviperita) E quello che fai tu è schifoso!

Livia                           - (sopraggiungendo dal fondo) Ma, insomma, si può sapere che cosa è successo?

Olimpia                       - (fredda, ostile, alludendo a Cesarina) E' una pazza, mamma.

Cesarina                      - (a Olimpia) E tu sta' attenta che non com­metta qualche pazzia. Perché se la commetto, sai, la commetto proprio contro di te!

Livia                           - (disperata) E' incredibile! (Guarda le due figlie) Siamo, dunque, a questo punto?

Cesarina                      - (scoppiando in lagrime) Siamo al punto che ne ho fino alla gola, mamma! Ecco a che punto siamo! (Cade su Una poltrona, piange).

Livia                           - (c. s.) Io mi domando e dico dove si vuole arrivare così! Dove si vuole arrivare! Se invece che due sorelle foste due nemiche, vi odiereste certamente meno...

Olimpia                       - (fredda, scrollando le spalle) ; Ma è lei, mamma! Questa stupida!

Cesarina                      - (piangendo) Molto meno stupida di quello che tu credi!

Olimpia                       - (c. s.) E' una visionaria, una malata!

Livia                           - (che ha guardato ora l'una ora l'altra) Vi de­ciderete almeno a dirmi di che si tratta.

Cesarina                      - (balzando in piedi) Si tratta di questo, mamma: che Olimpia deve smetterla di fare la civetta con Massimo.

Livia                           - (sbalordita) Con Massimo?

Olimpia                       - Dice così: che io e Massimo ieri siamo andati insieme al cinematografo...

Livia                           - (a Cesarina) Be', Cesarina! ma se anche è vero, che c'è di male?

Cesarina                      - Ah, non c'è niente di male per te?

Livia                           - Non capisco dove stia il male.

Cesarina                      - Andiamo, mamma! Tu sei una donna di un'altra generazione: questo è tutto. Tu non le conosci e non le capisci le ragazze moderne, tipo donna Olimpia...

Olimpia                       - In ogni caso tu sei più moderna di me, perché hai due anni meno di me...

Cesarina                      - Ma io sono leale, sono una persona per bene.

Livia                           - (severa) lo spero che persone per bene siate tutt'e due... E' la prima volta che in casa mia io sento pronunziare accuse così gravi... (Guarda Olimpia) Non vorrei dovermi pentire della libertà che vi concedo... (Una pausa. Poi, con altro tono) D'altra parte, vi prego di considerare che di matrimoni scombinati all'ultimo momento io sono stanca...

Olimpia                       - (sempre fredda e ostile) Questo non ci ri­guarda, mamma.

Livia                           - (amarissima) Già! Perché i miei dolori riguar­dano solo me...

Olimpia                       - Riguardano anche noi; ma quando siamo noi a darteli...

Livia                           - (con doloroso sdegno) Ah, ma perbacco!...

Cesarina                      - (avvicinandosi a Livia, affettuosa) Lasciala stare, mamma. Non vedi che è una vipera?

Olimpia                       - (a Cesarina, ironica) Ah, ah; tu sei un angelo, invece... Un angelo tu, e un angelo Simonella... (Sguardo severo di Livia. Olimpia, rivolgendosi a Livia, continua) Sì, perché è stata Simonella, la tua figlia Si­monella, a far succedere quello che succede... Siccome i matrimoni scombinati riguardano tutti lei, adesso lei non vede affatto bene che noi due ci sposiamo e cerca di mettere zizzanie fra noi...

Livia                           - (staccandosi da Cesarina, a Olimpia) Ma allora è vero che sei una vipera! (Poi a Cesarina) Che c'entra Simonella?

Cesarina                      - Che co6a vuoi che c'entri!

Livia                           - Avanti! Voglio sapere tutto!

Olimpia                       - E' stata la signorina Simonella...

Livia                           - (interrompendola) Per l'ultima volta ti dico che la signorina Simonella mi è        figlia non meno di te!

Olimpia                       - Oh, direi, anzi, più di me, perché tu la prediligi...

Livia                           - (con dolore e amarezza) Iddio ti perdoni l'ostilità che hai per lei e il dolore che mi dai! Bisogne­rebbe che io non fossi tua madre e non ti volessi il bene che ti voglio, per augurarti io stesso mio destino. Ma ricordati, figlia, che l'aver perduto il padre da bambina, come l'ha perduto Simonella... (Entra improvvisamente Simonella).

Simonella                    - Si parla di me? (Un silenzio. Simonella continua) Debbo ritirarmi? (Un altro silenzio. Simonella continua) Del resto, vi dò la buona notizia che quanto prima mi ritirerò definitivamente. Stamattina, sia pure con un po' di ritardo, ho sostenuto l'esame di laurea.,.

Livia                           - (ansiosa) Ah, già! Com'è andato?

Simonella                    - (amara) Mamma, te n'eri dimenticata anche tu!

Livia                           - Ma no, figlia! Figurati! Ti ho aspettata con tanta ansia! E' che in questo momento... mi ero un po' distratta e... Com'è andato?

Simonella                    - Benissimo. Trenta con lode.

iLivia                          - (abbracciandola) Oh, figlia mia!

Cesarina                      - (avvicinandosi) Rallegramenti, Simonella!

Simonella                    - (staccandosi, amara) Grazie, grazie! (Guarda Olimpia) Grazie anche a te!

Olimpia                       - (ironica) Sono io che ti debbo dei ringra­ziamenti per il piacere che m'hai fatto...

Simonella                    - Cioè?

Livia                           - Via, finiamola con queste sciocchezze!

Simonella                    - Un momento, mamma. Lasciami sentire..

Livia                           - Ma che sentire e sentire! Adesso bisogna festeggiare la laurea, e basta! (In fretta a Olimpia) Tu invita Andrea; (a Cesarina) tu invita Massimo... Anzi aspettate: li invito io, tutt'e due... (Va al telefono, incomincia a formare un numero. Entra Gina dalla destra)

Gina                            - Il signor dottore e il signor ingegnere sono nel salotto verde. '(Esce).

Livia                           - Bene, bene! (Depone il microfono, va verso il fondo, chiama ad alta voce guardando a destra) Mas­simo! Andrea! Siamo tutte qui. Venite. (Dà uno sguardo alle tre figlie, che sono rimaste tutt'e tre immobili ap­pena sogguardandosi; e dice loro sottovoce ma con tono autoritario) Come se non fosse accaduto nulla! Capito? (Si volge nuovamente verso l'interno di destra e con altro tono invita Andrea e Massimo a entrare) Avanti, avanti! '(Stende le due mani. Andrea e Massimo, entrati nel salotto, baciano contemporaneamente le mani di Livia; poi entrano nello studio. Andrea va subito verso Olimpia e la bacia in fronte; Massimo, a sua volta, va verso Cesarina e la bacia in fronte. Poi tutt'e due s'in­chinano scherzosamente a Simonella).

Andrea e Massimo      - (contemporaneamente) Signorina I dottoressa!

Livia                           - Ah! Ma voi lo sapete già! Io volevo farvi I una sorpresa...

Massimo                     - Il privilegio di saperlo per il primo è toccato a me. 'Vero, Simonella? (Sguardo di Olimpia a E Simonella).

Simonella                    - (alla madre) L'ho incontrato che uscivo E dall'Università.

Massimo                     - Io, poi, ho incontrato Andrea; ed ecco svelato il mistero...

Andrea                        - Il quale mistero, speriamo sia gaudioso...

Livia                           - Io vi stavo telefonando proprio per invitarvi I a colazione...

Andrea                        - Era il meno che poteste fare, signora... suocera.

Massimo                     - Ma come mai quest'adunata nello studio del suocero?

Livia                           - Ma... non so nemmeno io... Ci siamo trovate tutte qua... così... (Un silenzio).

Massimo                     - (guardando Cesarina, scherzoso) Temo che questo silenzio sia come quello che precede i terremoti... (Cesarina gli volta le spalle e esce rapidamente per il fondo. Massimo continua) Ma che ha?

Livia                           - (sorridendo a stento) Che cosa vuoi che ab­bia... Un po' di nervi: i soliti nervi di Cesarina... Forse l'attesa delle nozze... (Ride).

Andrea                        - (a Olimpia) Spero che l'attesa delle nozze... non faccia lo stesso effetto anche a te...

Olimpia                       - (cinica) Oh! A me... mi lascia indifferente...

Andrea                        - (toccato, ironico) Grazie!

Livia                           - (intervenendo, ad Andrea) Non starla a sen­tire! Non fa che parlare di te, tutto il santo giorno. Ci ha perfino stancati!

Andrea                        - (amaro) Preferirei che stancasse me. Ma si vede che di fronte a me, ha il pudore dei suoi senti­menti... E' come certe malate che hanno il pudore delle loro malattie...

Massimo                     - (ad Andrea, scherzando) Olà, medico!, non ci verrai a raccontare che l'amore sia una malattia.

Andrea                        - E perché no? Uno stato normale non è. L'uomo, allo stato normale, non ama; e, per lo meno, l'uomo innamorato non è in uno stato normale. E' come se avesse la febbre. (Si ferma, guardando intorno; poi) Ma vedo che uno stato normale non è nemmeno quello di tutti noi, oggi...

Simonella                    - (che lui seguito la conversazione senza muoversi) Il mio sì.

Massimo                     - (scherzoso) Be', non sarai stata dottoressa da quando sei nata! E' la prima volta, mi pare.

Andrea                        - (a Massimo) Tu fai di tutto per tenere su la conversazione; ma non ci riesci. O noi siamo arrivati in un momento inopportuno, o qualche cosa c'è, che non va.

Massimo                     - Ci sono evidentemente i nervi di Cesarina. Ora vado io a calmarli, e così... Con permesso. (Esce per il fondo).

Andrea                        - (a Olimpia) Posso fare anch'io qualche cosa per calmare i tuoi?

Olimpia                       - (con un sorriso stentato) Puoi soltanto chie­dermi scusa delle sciocchezze che hai dette.

Andrea                        - Se non è che questo... (La prende sottobraccio e braccio e conducendola via per il fondo) Dopo tutto, fra me e te, se non ci sono grandi giornate di sole, non ci sono nemmeno giornate propriamente temporalesche... Viviamo in un «lima grigio; e non ti nascondo che non mi dispiace... (Parlando sono già usciti).

(Lrvu                           - (a Simonella) Ma che cos'è questa storia del cinematografo?

Simonella                    - Quale? Non so.

Lrvu                            - Non sei stata tu a dire a Cesarina che ieri sera Massimo era in un cinematografo solo con Olimpia?

Simonella                    - Io? (La guarda) Ah, hanno detto che io...?

Livia                           - (per evitare complicazioni) Non so. Mi pare. Posso avere sbagliato.

Simonella                    - Senti, mamma. Io poco fa ho detto una cosa che tu hai lasciato cadere come non importante. Te la ripeto adesso che siamo sole, perché tu capisca che si tratta di una cosa seria. Ho intenzione di abban­donare questa casa.

Livia                           - Non mettermi alla disperazione anche tu, Si­monella!

Simonella                    - In ogni caso intendo levarti dalla dispe­razione; levarne te e me. Non t'ho parlato di questo mai prima di oggi, perché non sono una sventata e so che a una donna sola, soprattutto a una donna come me, non è facile vivere... di avventure. Ma oggi io ho la pos­sibilità di vivere indipendente, perché mi sono laureata; e credo giunto il tempo di troncare questa mia condizione di tollerata e d'intrusa. (A un gesto di Livia) Non fare gesti, mamma; non dirmi niente. Io non t'accuso di es­serti maritata nuovamente...

Livia                           - (reprimendo la commozione) L'ho fatto per te, figlia...

Simonella                    - E io ti credo; anzi te ne ringrazio. Ma anche se tu l'avessi fatto per te, perché eri giovane, perché eri innamorata...

Livia                           - (negando) Oh!

Simonella                    - (sottintendendo: « ti credo ») ...anche se l'avessi fatto per questo, io non avrei né da meravi­gliarmene né da accusartene. Ammetterai che a ventisette anni io capisca perfettamente queste cose. Solo, tu vedi, che qua dentro io non sono stata amata da nessuno, ec­cetto che da te.

Livia                           - (imbarazzata) Da nessuno, poi...

Simonella                    - Da nessuno, da nessuno. E perfino tu stessa, quando hai avuto altre due figlie, hai dovuto dividere il tuo amore fra me e loro...

Livia                           - Che cosa dovevo fare?

Simonella                    - (assentendo e continuando) Com'è na­turale. Ora io di tutto questo non faccio un dramma, che sarebbe sciocco e contrario al mio temperamento. Io chiedo a te la mia libertà...

LrviA                          - Proprio adesso che Cesarina e Olimpia stanno per maritarsi e quindi per lasciarti libero il campo in questa casa?

Simonella                    - Soprattutto adesso, mamma. Quello che tu chiami un campo libero sarebbe per me un campo-minato... Tuo marito, che sta facendo di tutto per sba­razzarsi delle sue figlie, fino a combinare due matrimoni che più male assortiti di questi non potrebbero essere, figurati come sopporterebbe di averne fra i piedi una terza, che poi non è neanche sua...

Livia                           - Tu hai sempre vissuto con me, non con lui; tanto più che lui (con rammarico e deplorazione) preso dai suoi affari, dalla sua smania di centuplicare le sue ricchezze...

Simonella                    - ...ti ha trascurata, trascurando con te la sua famiglia: lo so, lo so. Ma appunto per questo, mamma, bisogna che il terreno ridiventi sgombro. An­che nell'interesse tuo. I primi due anni, quando io ero in collegio e voi due non avevate ancora figlie, sono stati i migliori per te... Livia :           - Forse perché eravamo giovani tutt'e due...

Simonella                    - Ebbene, potrà incominciare, ora, la vo­stra seconda giovinezza. Dopo tutto, non siete vecchi né l'uno né l'altra. La vita... comincia a quarant'anni. (Sor­ride).

Livia                           - (la guarda) No, no. Tu mi nascondi qualche cosa, Simonella.

Simonella                    - Niente, mamma.

Livia                           - Se non qualche fatto, tu mi nascondi qualcuno dei tuoi sentimenti.

Simonella                    - Nessun sentimento. Nessun rammarico, nessun rancore, nessuna speranza. Niente, te lo assicuro. E per dimostrartelo, parteciperò alla festa di stamattina (sorride), anche perché è fatta in mio onore, con la mas­sima allegria e cordialità. Vedi, incomincio con l'andare a cambiarmi, a farmi bella... Va bene così? (Ha detto le ultime parole quasi ridendo; esce rapida per il fondo).

Lrvu                            - (scrollando il capo; fra se) Non va bene. (Ri­mane sola, fra rammaricata e assorta, qualche secondo: fino a quando dalla destra, come un bolide, entra Matteo Iroldi; il quale, senza neanche salutarla, va al suo tavolo, prende il ricevitore del telefono, forma un numero).

Matteo                        - (al telefono) Pronto?... (Poi fra sé, toccan­dosi le tasche) Ma dove avrò messo il mio portafogli? (E poi al telefono) Sono Iroldi... Compra subito tutte quelle azioni... Sì, subito, non perdere tempo... (Riat­tacca il microfono, forma un altro numero) ...Parla Iroldi... Quella convocazione, per il 28... Io arriverò il 28 mattina; fatti trovare alla stazione... (Riattacca il microfono; forma un altro numero) Pronto?... Bisogna disdire quell'appun­tamento del 27 e rimandarlo al 29... Una scusa qualun­que; pensaci tu... (Riattacca il microfono, suona un cam­panello) Dove avrò messo il mio portafogli? (Poi, ve­dendo la moglie) Ah, sei qua?

Livia                           - Sì ho da dirti qualche cosa. (E' entrato, intanto, dalla sinistra, Ennio Villa).

Ennio                          - Prego.

Matteo                        - (a Ennio guardando nei cassetti della scrivania, in cerca del portafogli) Sono pronti quei documenti?

Ennio                          - Sì. (Esce).

Matteo                        - (fra sé, sempre cercando) Ma dove avrò messo il mio portafogli?

Livia                           - Ho da dirti prima di tutto che Simonella s'è laureata... (Rientra Ennio con alcuni fogli di carta bollata in una cartella e li pone sul tavolo di Matteo, porgendogli anche una penna stilografica).

Matteo                        - (distratto, a Livia) Ah bene! E in che cosa? (Firma intanto la carta bollata, dicendo come fra sé) E' curioso che non ritrovo il mio portafogli. (Poi a Ennio) La posta.

Ennio                          - Quella in partenza?

Matteo                        - Sì. (Ennio esce nuovamente).

Livia                           - S'è laureata in lettere. In che cosa vuoi che si laureasse?

 Matteo                       - (distratto, formando un altro numero al tele­fono) Ah, in lettere! (Poi al telefono) Pronto?... Iroldi... Puoi aprire quel conto corrente al nome di Ennio Villa... (Dà le iniziali) Sì: Empoli, Napoli, Na­poli, Imola, Otranto... Villa, come Villa Borghese... Si, è il mio segretario. E mandami a casa un libretto d'as­segni... (Cerca ancora il portafogli).

Ennio                          - (che è rientrato con un'altra cartella) Ecco la posta. Mancano le due lettere per Milano...

Matteo                        - (firmando la posta, aiutato da Ennio) Quelle dell'Immobiliare ?

Ennio                          - Sì, quelle due che avete ordinato di spedire domani...

Matteo                        - Ho capito. Va bene. (Ha finito di firmare; dice a Ennio) Ho fatto aprire al vostro nome quel conto corrente. Mandatemi la signorina. (Ennio esce).

Livia                           - Scusa, sai; ma bisogna che ti parli adesso perché...

Matteo                        - Non hai visto per caso il mio portafogli?

Livia                           - No. Ma ti stavo dicendo che ho da parlarti adesso perché...

Matteo                        - Sbrigati, debbo partire.

Livia                           - Partire? E dove vai? (E' entrata Silvia).

Matteo                        - (a Silvia) Signorina, per domani sera bi­sogna che siano pronte le copie della sentenza Marulla. Manderà a ritirarle l'avvocato. Una delle copie tenetela per me.

Silvia                           - Sissignore. (Esce).

Livia                           - Fai almeno colazione a casa?

Matteo                        - (guardando l'orologio) Sì. (Si alza) Allora possiamo parlare a tavola...

Livia                           - (energica) A tavola non è possibile. Ecco perché t'ho aspettato qui.

Matteo                        - (colpito dal tono di lei) Ch'è successo?

Livia                           - (c. s.) Bisogna che tu mi presti attenzione per pochi minuti! E' possibile che con te non si possa par­lare mai di niente, se non fra una telefonata e l'altra, una partenza e l'altra, o a tavola davanti a tutti?

Matteo                        - (mite, conciliante) Ma dimmi, cara, dimmi. Eccomi, sono qui. Dimmi.

Livia                           - Simonella vuole andare via.

Matteo                        - E dove?

Livia                           - Vuole andare via da questa casa, vuole ab­bandonare questa casa!

Matteo                        - Perché? Ne ha trovata una migliore?

Livia                           - (sbalordita ed esasperata) E" incredibile come alcuni cervelli, al di fuori degli affari, possano essere così ottusi come il tuo! Ma come? Non ti sei accorto di niente, non hai notato niente? Non ti ricordi, almeno, che anche l'ultimo matrimonio di Simonella è andato a monte, e che ora Simonella, pur essendo la maggiore delle figlie, si vede scavalcata dalle altre due, forse con la prospettiva di non maritarsi più?

Matteo                        - (candido) Ma che colpa ne ho io?

Livia                           - La tua colpa consiste in questo: che tu per Simonella non hai fatto quello che hai fatto per le tue figlie. Ai fidanzati delle tue figlie tu hai offerto posti, stipendi, possibilità di carriera; mentre al fidanzato di Simonella, per lo meno all'ultimo, non hai mai neanche rivolto la parola...

Matteo                        - Se non si tratta che di questo... Dimmi che cosa debbo fare per quest'altro fidanzato...

Livia                           - Già! Lo dici ora ch'è mille miglia lontano da qui. Ma quando io te ne parlavo...

Matteo                        - Non mi ricordo, cara.

Livia                           - Non te ne ricordi, perché non mi dai mai retta, ecco! E retta non me ne dai soprattutto quando si tratta di Simonella, perché Simonella non è tua figlia e tu te ne infischi...

Matteo                        - Ma andiamo, via! non è vero affatto. Io a Simonella ho assegnato una dote quasi, eguale a quella delle mie figlie; e se lei non s'è sposata... (Scrolla le spalle).

Livia                           - Che cosa vuoi dire?

Matteo                        - Non piacerà agli uomini, non avrà incon­trato l'uomo fatto per lei... Che ne so io?

Livia                           - Tu sai benissimo che tutto questo non sarebbe accaduto, se tu Simonella l'avessi adottata, se le avessi dato il tuo cognome...

Matteo                        - Senti, Livia, non facciamo un discorso che abbiamo evitato così bene tanti anni... Tu sai che per Simonella io ho fatto tutto quello che ho potuto, che sono disposto a fare ancora tutto quello che posso...

Livia                           - E' lei che non chiede più niente; che vuole andarsene.

Matteo                        - E allora?

Livia                           - Tu devi impedirglielo, perché tu sei il pa­drone di casa.

Matteo                        - (rassegnato; ma alla maniera di chi non sappia come fare) Eva bene. Glielo impedirò.

Livia                           - (continuando) Bisogna che lei esca da questa casa solo quando sarà maritata come le altre...

Matte                          - (c. s.) Le cercherò un marito...

Livia                           - E puoi dirlo anche senza ironia; perché, volendo...

Matteo                        - (c. s.) Metterò un annunzio sul giornale...

Livia                           - Tu non hai bisogno di ricorrere ai giornali...

Matteo                        - (c. s.) Interrogherò, uno per uno, tutti i miei amici scapoli...

Livia                           - E non credere che con la sua dignità e la sua fierezza lei possa mai venire a mendicare da te la giusta ' riparazione! Tu non hai il diritto né di umiliare il suo orgoglio, né di disinteressarti della sua vita... Perché quando t'ho sposato, ho fatto con te patti chiari, e tu hai accettato i mei patti...

Matteo                        - (seccato) Sta bene, sta bene. (Ritorna al suo tavolo, siede cerca ancora il portafogli) Vuoi, intanto, farmi il piacere di dare gli ordini per la mia partenza?

Livia                           - (raddolcita, quasi piangendo) Scusa, sai; ma tu forse non ti rendi conto dei miei sentimenti di ma­dre... Siccome stamattina, per festeggiare la sua laurea, abbiamo a colazione anche Massimo e Andrea, sarebbe bene che tu, entrando in discorso...

Matteo                        - Ho capito, ho capito.

Livia                           - Tu sei buono, ma non sempre riesci a mo­strare la tua bontà...

Matteo                        - La mostrerò. (Cerca sempre il portafogli e suona un campanello).

Livia                           - (sorridendo fra le lagrime) E sappi fare, sii bravo, come sei bravo sempre nei tuoi affari... Ci conto, I Grazie. (Esce piangendo).

Gina                            - (dalla sinistra, portando un biglietto da visita in I un vassoio) Avete suonato, signor commendatore?

 Matteo                       - Non ritrovo il mio portafogli. Eppure ho lo stesso vestito di ieri sera...

Gina                            - Ma... quando io ho rifatto la camera... (Vuol dire: « Non ho trovato niente »).

Matteo                        - E' curioso che stamattina, uscendo, mi pareva di averlo...

Gina                            - Volete che cerchi io, signor commendatore?

Matteo                        - L'avrò lasciato in banca... (Forma un numero al telefono: e formandolo domanda a Gina) Chi c'è?

Gina                            - (ponendo il vassoio sulla scrivania, davanti a lui) Questo signore.

Matteo                        - (leggendo il biglietto, gradevolmente sorpreso) Oh! (E poi a Gina) Fallo entrare. (Gina esce per la sinistra. Intanto Matteo ha formato il numero e parla al telefono) Pronto?... Sono Iroldi; datemi il direttore... Pronto... Scusa, sai... (Entra dalla sinistra Gianfranco Scala, bell'uomo, di una quarantina d'anni, molto pal­lido, vestito senza ricercatezza, ma con proprietà, capelli rossi, colletto aperto senza cravatta, temperamento ner­voso, umore variabile. Egli si ferma in attesa che Matteo abbia finito di telefonare. E infatti Matteo continua al telefono) Ho l'impressione di aver dimenticato sul tuo tavolo il mio portafogli... Ah no? Allora, scusa, sai: l'avrò lasciato...

Gianfranco                  - (cava di tasca un portafogli e agitandolo lo mostra da lontano a Matteo) Eccolo!

Matteo                        - (guardando il portafogli nelle mani di Gian­franco; con meraviglia) E come? (Poi, al telefono) No, non parlavo con te. L'ho trovato, sai, scusa. (Riappende il microfono, si alza) E dove l'hai trovato, Gianfranco?

Gianfranco                  - (senza muoversi) Capisco che il tuo portafogli è più importante di me; ma potresti anche salutarmi...

Matteo                        - (andandogli incontro) Ma figurati! Non mi pare neanche vero di rivederti! (Gli dà la mano) Come stai?

Gianfranco                  - Bene! Si dice «bene», no?

Matteo                        - (senza capire, affettuosissimo, espansivo) Caro il mio Gianfranco! Non puoi immaginare il piacere che provo nel rivederti dopo tanti anni. Sempre gio­vane, tu!

Gianfranco                  - Ho qualche anno meno di te, mi pare.

Matteo                        - Oh, per questo, molti. Ma sai, il vivere con te mi dava l'illusione di avere l'età tua... E se tu non fossi sparito... Vieni, siedi.

Gianfranco                  - (seguendolo) Grazie. (Siede) Eccoti il tuo portafogli.

Matteo                        - (prende il portafogli e sedendo) Ma già! Dove l'hai trovato?

Gianfranco                  - (dopo un attimo di riflessione) L'ho trovato.

Matteo                        - Figurati che io, ricordandomi di averlo in tasca quando sono uscito di casa stamattina...

Gianfranco                  - Bada che stamattina in tasca non l'avevi...

Matteo                        - (come cercando di ricordare) Possibile?

Gianfranco                  - Certo.

Matteo                        - (ridendo, incredulo) E quando l'avrei per­duto?

Gianfranco                  - Stanotte.

Matteo                        - (c. s.) Stanotte? E dove?

Gianfranco                  - (lo guarda) Tu eri ammogliato, mi pare.

Matteo                        - Lo sono tuttora.

 Gianfranco                 - (guardandolo) Capisco. Non ami tua moglie?

Matteo                        - (cominciando a capire) Perché?

Gianfranco                  - L'ami o non l'ami?

Matteo                        - (con pudore) Le voglio bene.

Gianfranco                  - . Ah, già! L'amore e il bene sono due cose diverse. (Una pausa) Be', insomma, ieri seta sono tornato a Roma dopo molti anni... (S'interrompe; guarda nel vuoto) Non so «e conosci l'impressione che si prova ritornando dopo molti anni nella propria città. Ci si sente estranei, dimenticati. Ci pare addirittura un'offesa che la vita sia continuata senza di noi... (Si ferma ancora; poi con altro tono) Ma forse cominciavo da molto lontano. Meglio abbreviare. Dunque... (Si ferma ancora).

Matteo                        - Come ti trovo cambiato, Gianfranco! D'a­spetto no; ma d'umore sì.

Gianfranco                  - (con una smorfia che vorrebbe essere un sorriso, guardando nel vuoto) Già! (Improvvisamente si alza) Me ne vado. Ti saluto.

Matteo                        - Te ne vai? Ma se sei appena entrato! Mi auguro che tu voglia fare colazione con me...

Gianfranco                  - (perplesso) Non ti farei buona compa­gnia, forse... (Poi con improvvisa decisione) Comunque, accetto. Grazie. (Siede nuovamente).

Matteo                        - (dopo un breve silenzio) Mi stavi dicendo?...

Gianfranco                  - (senza rispondere) Del denaro che era nel tuo portafogli manca qualche cosa, sai. L'ho preso io. Una sciocchezza.

Matteo                        - (meravigliato) Ma figurati! Se te ne serve dell'altro... (Porge il portafogli).

Gianfranco                  - No. (Una pausa) Tu hai capito dove l'ho trovato...

Matteo                        - (alzando le spalle) Veramente... non so.

Gianfranco                  - In casa di Marcella Zente...

Matteo                        - (confuso) Ah, capisco! C'ero andato per...

Gianfranco                  - In casa di Marcella Zente ci si va per una sola ragione. (Una pausa) Il tuo portafogli era ai piedi del letto. Non l'aveva visto nessuno prima di me. L'avevo preso di nascosto, con la tentazione di... Ma, anche se non si fosse trattato del portafogli tuo, l'avrei restituito lo stesso. Ho imparato a fare tante cose; ma ad appropriarmi della roba altrui, a rubare, no.

Matteo                        - (con pudore) Tu forse ti meraviglierà! che stanotte io mi trovassi in quella casa....

Gianfranco                  - La vita m'ha abituato a non meravi­gliarmi di niente. E' così illogico tutto quello che suc­cede... (Sogghigna) Solo, scusa, sai, mi veniva da ridere al pensiero che tu... (Lo guarda) Devi essere buffo, quando...

Matteo                        - (comicamente imbarazzato, guardandosi intor­no) Chi lo sa! Forse siamo tutti buffi, quando...

Gianfranco                  - Anche questo è vero. (Una pausa).

Matteo                        - E che fai? Che cosa conti di fare?

Gianfranco                  - Mah! Ti posso dire soltanto quello che ho fatto. Ho speso tutto il mio patrimonio in viaggi; ho fatto diciannove mestieri senza potermi abituare a uno solo; ho imparato che l'uomo nasce egoista, rapace, cru­dele, e tale si mantiene in tutta la sua vita; ho dormito nei grandi alberghi e sotto la luna; ho conosciuto lo splendore della ricchezza e le umiliazioni della povertà; non ho ucciso e non ho rubato... forse per non avere delle seccature... ed eccomi qua... senza un soldo in tasca.

Matteo                        - Mi dispiace...

Gianfranco                  - Non credo che ti dispiaccia. Queste sono cose che non dispiacciono a nessuno. (Lo guarda) Perché tu dovresti essere diverso dagli altri? Siamo tutti eguali, nel modo di sentire... Ma stanotte, quando ho trovato il tuo portafogli presso il letto di quella... donna, non solo mi sono messo a ridere, come t'ho detto e per la ragione che t'ho detto, ma ho anche pensato, forse spe­rato, che tu potessi aiutarmi. (Amaro) Come vedi, la mia onestà non era poi tanto... disinteressata... Siamo fatti tutti allo stesso modo. (A un gesto di Matteo che vuole offrire aiuto) Un momento. Lasciami finire. Io ho visto quello che il tuo portafogli contiene. Sai, la curiosità... Sono nato con la curiosità di conoscere tutto e tutti; e forse morirò con la curiosità di quello scrittore che spera di poter dire anche al momento del trapasso estremo: (Andiamo a vedere»... Ora nel tuo portafogli, oltre il denaro, c'è una lettera... un po' pericolosa per un uomo della tua importanza...

Matteo                        - (prima sorpreso, poi a capo basso) Hai ra­gione. L'avevo ricevuta proprio ieri sera, prima di... Contavo di levarla stamattina; ma stamattina sono uscito in fretta...

Gianfranco                  - Capisco.

Matteo                        - Tu ti renderai conto che un uomo... quando vive negli affari...

Gianfranco                  - Già. Gli affari, diceva il signore di Mondrond, prima ancora del figlio di Dumas, gli affari sono il denaro degli altri. Forse ho fatto bene io a dilapidare il mio, prima che gli altri se ne impadronis­sero... Ma non vorrei, capisci, che la mia richiesta d'aiuto ti sembrasse un ricatto. Non sono nemmeno un ricatta­tore! (A uno sguardo tra interrogativo e perplesso di Matteo, sogghigna) Quante virtù posseggo! Anche se tu mi neghi il tuo aiuto, fa' conto che io non sappia né di quella lettera né delle tue... distrazioni notturne. Io conservo i segreti come una tomba.

Matteo                        - Ti ringrazio. Ma dimmi piuttosto che cosa posso fare per te.

Gianfranco                  - Ah, non lo so. Dei diciannove mestieri che ho fatti, non uno certamente somiglia a quello che tu potrai offrirmi. (Si alza) Mi alzo, scusa, perché non sono abituato a stare troppo tempo seduto. Figurati che ho fatto l'uomo-sandwich, l'ammaestratore di scimmie, il direttore della «morgue delle lettere»...

Matteo                        - Cioè?

Gianfranco                  - C'è un paese dove si conservano per anni le lettere non recapitate. Pensa a migliaia e migliaia di lettere che attendono l'identificazione come i cadaveri della «morgue». (Sorride, triste) Ce n'è qualcuna che poteva evitare un dramma e non l'ha evitato; qualcuna che poteva dare una gioia e non c'è riuscita... qualcuna, come quella del tuo portafogli, che... (Poi, mentre Mat­teo intasca il portafogli, con altro tono) Insomma, tutti mestieri sballati, un po' astratti, non borghesi, almeno per l'umore che ci può mettere chi li fa... Tutti mestieri diversi da quello che puoi offrirmi tu. Perché tu sei un borghese... (Lo guarda) ...hai l'anima del borghese... (Sogghigna) Come vedi, io, a mia volta, ho già l'anima del servo, perché sono pronto a disprezzare il mio padrone...

Matteo                        - (alzandosi, deciso) In poche parole, vuoi che io ti metta a posto. Sono pronto a farlo nel migliore dei modi. O in una banca, dal momento che sei onesto, o in una delle società e degli istituti che dipendono da me, avrai la possibilità di rifare completamente la tua vita. Sei nato bene, e bisogna che tu continui a vivere bene. Il lavoro, del resto, nobilita l'uomo. (Un attimo di riflessione) E poiché io sono un uomo d'affari... senza che gli affari siano assolutamente il denaro degli altri.., ti propongo subito un affare che per avventura è costi­tuito dal danaro mio. Hai già detto che sei abituato a non meravigliarti di niente. Ebbene, io ho una figliastra, tu lo sai...

Gianfranco                  - (lo guarda) Vuoi darmela in moglie.,,

Matteo                        - Perché no? Se ti piace, se riesci a inna­morarla...

Gianfranco                  - (ride amaro fra i denti) Io ho impie­gato un tempo infinito a chiederti aiuto; e tu invece, là, là!, ih due parole mi dai un posto importante, una moglie con dote... Non c'è che dire: sei un ottimo uomo d'affari! (Una pausa) Ma dal momento che sono curioso di tutto, perché dovrei dirti di no? Proviamo.

Matteo                        - Proviamo.

Gianfranco                  - Non ti garantisco né le mie nozze, né una mia lunga carriera bancaria o industriale, bada, perché sono volubile, il matrimonio mi fa paura, la vita sedentaria non mi piace...

Matteo                        - Abbiamo detto: proviamo...

Gianfranco                  - Vada per la prova. (Una pausa) E questa tua figliastra sarebbe quella che...?

Matteo                        - (assecondando) Simonella.

Gianfranco                  - Simonella Rua, mi pare.

Matteo                        - Rua era il cognome del padre.

Gianfranco                  - Molto giovane?

Matteo                        - Ventisette anni. S'è anche laureata... in let­tere, se non sbaglio.

Gianfranco                  - (lo guarda) Ah, ecco! Non ne sei sicuro. Non t'interessi molto di lei...

Matteo                        - Non è che non m'interessi di lei. Io ho poco tempo, per interessarmi della mia famiglia. Ho due figlie, come sai, che adesso si sposano con due giovani ai quali io stesso ho creato una grande posizione. E la stessa Si­monella si sarebbe sposata anche lei, se... (Lo guarda), Niente di male, bada. E' onestissima. Ma... che t'ho da dire?... Forse non ha trovato il suo tipo. Certo, è stata fidanzata tre volte, pochi giorni alla volta, e... niente!

Gianfranco                  - Ho capito. Cioè, non ho capito; ma è lo stesso. (Una pausa) Non ti nascondo che ho un po' d'appetito, Matteo.

Matteo                        - (sorridendo) Ah, sì? E adesso andiamo a colazione. Sono invitati anche i fidanzati delle mie figlie... (Passano, nel salotto, da sinistra a destra, ridendo e scher­zando, Cesarina, Olimpia, Andrea e Massimo. Matteo, indicandoli, continua) Eccoli qua. (Li chiama con un cenno della mano) Venite. Ho un ospite da presentarvi. (I quattro si affacciano sulla soglia del salotto, in attesa. Matteo presenta) Le mie figlie che tu hai viste bambine: Cesarina e Olimpia. I miei futuri generi: ingegner Mas­simo Barignano e dottor Andrea Tolomei. (Poi, ai quattro) E questo è Gianfranco Scala, mio vecchio e caro amico: amico fraterno. (Inchini da ambo le parti. I quattro entrano nello studio. Matteo, rivolto a Cesarina, continua) E la mamma?

Cesarina                      - Era qui. (Chiamando nell'interno del sa­lotto, verso destra) Mamma! (Entra Livia, accompagnando Simonella, che ha un altro vestito).

Livia                           - (mostrando Simonella) Ecco la festeggiata. (Vede Gianfranco, lo guarda) Oh! Gianfranco?

Gianfranco                  - Sì, signora. (Le si avvicina) Come state?

Livia                           - (gli dà la mano) Grazie! (E poi) Dopo tanti anni! Vedo che state bene. (Poi, presentando) Vi ricor­derete di mia figlia Simonella? (Inchino di Gianfranco, al quale Simonella risponde con cenno del capo. Poi lAvia, rivolta a Gianfranco, continua) E come mai, final­mente, da queste parti?

Gianfranco                  - Forse sono di passaggio, e forse mi fermo: non so ancora.

Matteo                        - E' venuto per lavorare con me.

Livia                           - (incredula) Lavorare? Gianfranco? E' impos­sibile!

Gianfranco                  - (stringendosi nelle «palle) Non sono arrivato a tal grado d'imbecillità da considerare il lavoro piuttosto onorevole che necessario; ne CTedo ai bricconi che parlano della santità del lavoro quando si tratta del lavoro altrui. Ma l'uomo, purtroppo, è uno dei pochi animali che siano condannati, qualche volta, a lavorare; e quindi...

Matteo                        - (ridendo falso) Sempre con le sue idee, il nostro Gianfranco...

Gianfranco                  - Sempre con le stesse, no. Ma non posso cambiare le idee più di quanto non cambii i vestiti; cioè quando posso andare dal sarto. E ogni tanto bisogna che mi contenti di un'idea smessa così come mi contento di un vecchio vestito. (Tutti ridono falso, meno Simo­nella che non ride affatto. Gianfranco, dopo avere osser­vato, si rivolge a Simonella) Voi, signorina Simonella, non ridete?

Simonella                    - Perché dovrei ridere? Avete detto una cosa seria.

Olimpia                       - (rapida) Ma idi che cosa si riderebbe, se non si ridesse delle cose serie?

Gianfranco                  - (guarda Olimpia, notando l'ostilità che ella ha messo nelle sue parole rivolte a Simonella) Anche questo è giusto. (Una pausa piena d'imbarazzo).

Andrea                        - Be'! Eravamo diretti alla sala da pranzo, mi pare...

Gianfranco                  - Lo spero.

Massimo                     - Avete appetito, signor Scala!

Gianfranco                  - (a Massimo) E voi no?

Matteo                        - Appetito o non appetito, bisogna affrettarsi perché io debbo partire.

Gianfranco                  - Ah, parti?

Matteo                        - Sì, ma per tornare domani. (A Livia) M'hai fatto preparare tutto?

Livia                           - Tutto.

Matteo                        - Allora andiamo. (Poi, guardando Simonella) Prima la festeggiata? O prima noi?

Livia                           - (contenta che Matteo abbia rivolto la parola a Simonella) Naturalmente, prima la festeggiata! E tu (a Matteo) che sei il padrone di casa, l'accompagni.

Matteo                        - (scherzoso) Molto onorato. (Dà il braccio a Simonella, che sì avvia con lui verso la sinistra del sa­lotto).

Livia                           - (continuando) Poi le due coppie di fidanzati... (Con fare scherzoso, Massimo dà il braccio a Cesarina, Andrea a Olimpia, e le due coppie, in fila, si avviano, mentre Gianfranco le segue attentamente con lo sguardo. Infine Livia si rivolge a Gianfranco) E per ultimi noi due, Gianfranco. Vi dispiace?

Gianfranco                  - (distratto) Come?

Livia                           - Vi pregavo di darmi il braccio.

Gianfranco                  - Ah, sì! Scusate. (Le si avvicina) M'ero distratto a seguire con lo sguardo quelle due coppie felici. (Le dà il braccio),

Livia                           - E voi non pensate al matrimonio?

Gianfranco                  - Sì, ci penso. Ci penso continuamente. Difatti... non mi sono ancora sposato       - (Escono).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Gli stessi due ambienti del primo atto, ma veduti dalla parte opposta: il salotto è di qua, lo studio è di là. Nel salotto, divani, poltrone, quadri, ecc. Una porta a sinistra che conduce all'anticamera; una porta a destra che dà nel resto dell'appartamento; il solito arco tra il salotto e lo studio.

Fra il primo e il secondo atto sono passati quindici giorni.

(Quando si alza la tela, sono le nove di sera. Nello stu­dio, al di là dell'arco, seduti alla scrivania, che si vede lontana, sono Matteo e Ennio, intenti alle loro pratiche d'ufficio. Nel salotto, in un angolo di sinistra, seduti a un gruppo di poltrone, sono Massimo e Olimpia, ciascuno dei quali leggi una rivista).

Gianfranco                  - (entrando dalla porta di sinistra, ch'è aperta, s'avvia verso lo studio: ma, vedendo Matteo e Ennio occupati, si ferma sulla soglia e dice a Matteo) Oh! Scusa.

Matteo                        - (dolio studio) Vieni, vieni pure.

Gianfranco                  - Grazie. Non ho fretta. Credevo tu fossi solo. Continuerò ad aggirarmi nelle tue stanze come Teseo nel labirinto. Ma, perbacco, tu non la smetti mai di lavorare. Non vorrei essere il tuo segretario...

Ennio                          - (anch'egli dallo studio, abbozzando un sorriso)

                                    - Oh, per me... (Matteo e Ennio continuano a lavorare. Gianfranco dà appena uno sguardo a Massimo e a Olim­pia che continuano a leggere; poi accende una sigaretta e ritorna sui suoi passi, uscendo per la sinistra).

Massimo                     - (sottovoce, nervoso, senza alzare gli occhi dalla rivista) Insomma, imprudenze di quel genere, non bisogna commetterne mai più.

Olimpia                       - (fingendo anche lei di leggere, a bassa voce)

                                    - Se ti sei stancato, dimmelo.

Massimo                     - Ma che c'entra la stanchezza!

Olimpia                       - E' certo che prima non mi parlavi così.

Massimo                     - Non me ne davi il tempo. Ci siamo visti sempre in fretta e di nascosto come due ladri...

Olimpia                       - Provi qualche rimorso?

Massimo                     - Io non so che provo. So che malgrado i miei sentimenti verso di te debbo invitarti a essere più cauta. Avrai capito che in questi giorni, poi...

Olimpia                       - Tu credi che Gianfranco ci spii?

Massimo                     - Non ho capito se ci spia. Ma è certo che per caso o per volontà sua è continuamente dove siamo noi.

Olimpia                       - E Simonella?

Massimo                     - Ma Simonella pensa ai fatti suoi. E' una fissazione tua questa di una Simonella attenta ai fatti nostri!

Olimpia                       - A me pare che si sia accorta di tutto.

Massimo                     - Se se n'è accorta è colpa tua. Troppe im­prudenze commetti tu!

Olimpia                       - Lascia stare le imprudenze, che non me ne importa niente.

Massimo                     - A me sì.

Olimpia                       - (con disprezzo) Non so che uomo sei...

Massimo                     - Sono un uomo che non vuole seccature, ecco! (Poi, attenuando) Se tutto questo portasse a un capovolgimento della situazione, lo capirei. Ma oramai non ci sono illusioni da farsi. Io sposerò Cesarina; tu sposerai Andrea...

Olimpia                       - Io non sposerò nessuno. O te, o nessuno.

Massimo                     - Ecco, brava! Così va tutto per aria e...

Olimpia                       - (con disprezzo) E... che cosa?

Massimo                     - (seccato, si alza, va verso la porta di sinistra, dice ad alta voce parlando verso l'interno) Ma, in­somma, dov'è Cesarina? (Dalla sinistra rientra Gian­franco).

Gianfranco                  - Avete perduto la fidanzata? (Guarda Olimpia, che gli volta le spalle e fa finta di leggere. Dice, indicandola) Eccola là. (E poi, subito, mentendo) Cioè, no. Scusate. Mi pareva Cesarina. (Si avvicina a Olimpia, le dice) Come mai questa sera Andrea non s'è visto?

Olimpia                       - Mah! Avrà avuto da fare alla clinica. (Massimo, nel frattempo, è uscito dalla sinistra per an­dare in cerca di Cesarina).

Gianfranco                  - Io, se fossi una donna, non avrei il coraggio di sposare un medico.

Olimpia                       - (come indifferente) Perché?

Gianfranco                  - Mi sentirei, di fronte a un medico, troppo scoperta, come su un tavolo operatorio. (Una pausa) Capisco, che voi, fisicamente, siete perfetta e... Ma pensate: lui conosce i termini scientifici di tutte le parti del corpo, e il loro funzionamento, e la loro fun­zione... (Finge un brivido) C'è da rabbrividire...

Olimpia                       - Vi assicuro che io non rabbrividerò.

Gianfranco                  - Ah, lo credo! Tuttavia ammetterete che il mistero dell'amore, perché l'amore è mistero, non sempre regge al lume della scienza. E' un po' come la fede. Non escludo che la scienza può condurre anche alla fede; ma il cammino è più lungo, più faticoso... (Siede di fronte a Olimpia, ride) Scherzo, sapete. Voi mi permettete di scherzare, è vero?

Olimpia                       - (fredda) Ve ne prego.

Gianfranco                  - (dopo un breve silenzio) Non ho ca­pito perché voi mi trattiate con tanta freddezza. O me­glio, l'ho capito; e mi dispiace.

 Olimpia                      - (interessandosi) Cioè?

Gianfranco                  - Ecco: adesso non siete più fredda. Se fossi maligno, direi che vi siete tradita.

Olimpia                       - (riprendendosi) Spero che continuiate a scherzare...

Gianfranco                  - Chi lo sa! (Una pausa) Io non avevo mai frequentato una casa ordinata come la vostra; anzi non avevo mai frequentato nessuna casa; e vi assicuro che ne provo impressioni... molto singolari. (Una pausa) La vita di famiglia! E' una vita bellissima, non c'è che dire, ma si regge sulle più strane contraddizioni; nasce, addirittura, su una contraddizione fondamentale, che è quella per cui gli sposi si preparano un focolare, un nido, e incominciano a disertarlo fin dal primo giorno, con il pretesto del viaggio di nozze... (Ride: poi, con altro tono) Tutto questo non v'interessa: ho capito. (Si alza) Vi debbo confessare che non so quello che possa interessare, nella conversazione, le ragazze da marito. Io ho fatto anche vita di società, ma una vita « sui generis », in alberghi grandi e piccoli, con donne sole o con donne decise a isolarsi. Può darsi che con voi io sia stonato e commetta perfino delle «gaffes». (Una pausa) Voi siete la sola donna nella quale le mie parole abbiano il potere di generare il silenzio. « Fa silenzio intorno a te, se vuoi udir cantare l'anima tua ». (Sogghigna) Vi sono antipa­tico, dite la verità. (Dopo una breve attesa, alza le spalle, esce per il fondo, fa il giro dello studio, senza avvicinarsi a Matteo ed Ennio che continuano a lavorare).

Olimpia                       - (che l'ha ascoltato attentamente pur dissimulando il suo interesse, butta rabbiosamente per terra la rivista che aveva in mano. Entra dalla destra, in questo momento, Andrea, che vede il gesto rabbioso di Olimpia e se ne meraviglia).

Andrea                        - Che hai?

Olimpia                       - Ho che sono stanca d'aspettarti, che intendo restituirti la tua libertà e che questa è l'ultima volta che ti rivolgo la parola! (Gli volta le spalle ed esce rapidamente per la sinistra).

Andrea                        - (meravigliato, correndole dietro per placarla) Ma senti; ma scusa... (Dinanzi alla porta si ferma; dice fra sé) Io non capisco che cosa abbia in questi giorni!

Gianfranco                  - (dalla soglia del fondo) Che cosa volete che abbia? E' innamorata. (A uno sguardo di Andrea) Di voi, naturalmente. Ci siamo messi a tavola con un quarto d'ora di ritardo per aspettarvi; lei si è alzata almeno dieci volte per telefonarvi alla clinica... dove voi non eravate...

Andrea                        - Ma se non mi sono mosso dalla clinica! Non potevo muovermi...

Gianfranco                  - Appunto per questo, io penso che i medici non dovrebbero ammogliarsi. (A un gesto di Andrea, avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla) Scherzo, caro Andrea. (Poi, riprendendo il tono di prima) Certo, se fossi d'umor tetro, per quel tanto d'esperienza che ho della vita, giudicherei il matrimonio inconciliabile con le professioni cosiddette liberali o li­bere. Nessuno è meno libero del libero professionista. Mentre la donna sogna il matrimonio come un prolun­gamento e perfezionamento della luna di miele, tu e io, io e tu, dall'alba al tramonto e dal tramonto all'alba, che cosa può darle del suo tempo un libero professionista? Niente, o quasi. Sotto questo aspetto il marito più sop­portabile è l'impiegato; e, meglio ancora, l'uomo che non ha niente da fare. L'uomo che non ha niente da fare è il compagno ideale per la donna innamorata... (Una pausa) Vero è che per non aver niente da fare, bisogne­rebbe aver denaro; e molto anche. Io, quando avevo molto denaro, ero ricercatissimo dalle donne, non tanto per il denaro che avevo, quanto per il tempo che potevo mettere a loro disposizione. Tutto sommato, l'amore è un lusso da disoccupati. (Un'altra pausa) Come vanno i preparativi delle nozze?

Andrea                        - (amaro, alludendo all'incidente di poco fa) Come vedete...

Gianfranco                  - Meglio litigare da fidanzati che da sposi. Le liti servono a conoscere non soltanto i caratteri ma anche i segreti reciproci.

Andrea                        - (confidenzialmente) Ditemi la verità, Gian­franco: anche voi credete che Olimpia abbia un segreto?

Gianfranco                  - Ah, non lo so affatto. (E poi) Che se­greto pensate che abbia?

Andrea                        - Io ho ricevuto una lettera anonima.

Gianfranco                  - Bruciatela.

Andrea                        - Infatti l'ho bruciata. Ma dopo averla letta.

Gianfranco                  - Dimenticatela.

Andrea                        - Credete che sia possibile? Del resto, anche se riuscissi io a dimenticarla, ci penserebbe lei a non farmela dimenticare. Voi avete visto, poco fa, che sce­nata ingiusta e... (vorrebbe dire « volgare »). Se le sce­nate, come giustamente dite voi, servono a rivelare i segreti reciproci...

Gianfranco                  - Ah! Ma voi non dovete credere a quello che dico io. Io ho detto così, come potevo dire il con­trario. D'altra parte, perché vi avrebbe fatto una scenata, se non vi amasse?

Andrea                        - (lo guarda) Ecco: anche voi credete che ella potrebbe non amarmi; e... questo sarebbe il suo se­greto. (Udendo un rumore di passi dalla sinistra) Addio, Gianfranco, vi saluto. (Esce per la destra. Mentre Gian­franco lo segue con lo sguardo, entrano dalla sinistra Cesarina e Massimo, che si tengono per la vita).

Gianfranco                  - (volgendosi ai sopravvenuti e pensando al gesto di Andrea) Dopo tutto, c'è da consolarsi che qualcuno sia sensibile e onesto, nella vita.

Cesarina                      - (sorridendo) Che c'entra? Che vuol dire?

Gianfranco                  - Oh, niente. Era una considerazione che facevo così, fra me e me. Posso aggiungere, a completare la mia consolazione, ch'è un bello spettacolo quello di due fidanzati che si amano come voi...

Cesarina                      - Per quello che mi riguarda, avete ragione. Non so se abbiate ragione per quello che riguarda lui... (Guarda con intenzione Massimo).

Massimo                     - (con un sorriso falso) Se non ti amassi, perché ti sposerei? (Poi a Gianfranco) Sposereste voi una donna senz'amarla?

Gianfranco                  - La più grande prova d'amore che io possa dare a una donna è quella di non sposarla.

Massimo                     - (ridendo falso) Sempre paradossale, il no­stro amico! (Ride ancora. Gianfranco rifa il suo riso. Al che, Massimo, un poco imbarazzato, dice a Cesarina) Bè, andiamo. E' tardi.

 Cesarina                     - (a Gianfranco, spiegando) Andiamo al cinema. (E poi, come a scusarsi di lasciarlo solo) Perché voi non andate dalla mamma? Vi cercava. E' sola.

Gianfranco                  - (allargando le braccia) Parlerò con la mamma, prima che col papà. (Esce rapido per la sinistra).

Cesarina                      - (avviandosi verso la destra con Massimo) Sai, credo che si sia innamorato di Simonella.

Massimo                     - (meravigliato) Ah, sì?

Cesarina                      - Non hai sentito l'allusione? «Parlerò con la mamma, prima che col papà ». Io lo so per una confi­denza che ho avuta stasera... (Parlando sono già Usciti per la destra. Nel frattempo, lentamente, Matteo e Ennio si sono levati dalla scrivania e vengono nel salotto dal fondo).

Matteo                        - (a Ennio) Un'altra cosa ho da dirvi... (Si guarda intorno per assicurarsi di non essere udito da altri) ...e poi vi lascio libero.

Ennio                          - Prego, commendatore.

Matteo                        - Credo superfluo raccomandarvi la solita discrezione.

Ennio                          - La mia discrezione è un dovere.

Matteo                        - Come avete visto, già da quindici giorni io ho assunto Gianfranco Scala...

Ennio                          - Ho visto.

Matteo                        - Siccome è un tipo estroso, e poi è anche ridotto alla povertà dopo aver dilapidato un patrimonio considerevole, non ho voluto affidargli la nuova succur­sale della Banca, come in un primo momento contavo di fare...

Ennio                          - Vi siete regolato benissimo.

Matteo                        - (sospettoso lo guarda) Perché?

Ennio                          - (reticente) Per le considerazioni che voi stesso avete dette...

Matteo                        - Si parla forse di lui... nei nostri ambienti?

Ennio                          - (c. s.) Sì... se ne parla... così... a titolo di cu­riosità...

Matteo                        - E che cosa si dice?

Ennio                          - Ma... niente di preciso...

Matteo                        - Ditemi tutto, Villa.

Ennio                          - Si dice, appunto come dite voi, ch'è un po' estroso... che ha le mani bucate...

Matteo                        - Non so, poi, come faccia ad avere le mani bucate l'amministratore di una rivista quasi letteraria, con un bilancio definito in tutti i suoi particolari e senza la possibilità di emettere un solo mandato di pagamento che non sia visto da me...

Ennio                          - Sta tutto bene; ma...

Matteo                        - E avanti, dite!

Ennio                          - Insomma, commendatore, il signor Gianfranco Scala si lascia commuovere troppo dai collaboratori della rivista e dà loro «brevi manu» del denaro che, debbo supporre, non si sa di dove provenga...

Matteo                        - (dopo una breve riflessione, alzando le spalle) Vedremo di che si tratta. Comunque, non mi pare cosa preoccupante. L'essenziale, ed è questo che vi vo­levo dire, l'essenziale è tenerlo, entro i limiti del pos­sibile, contento e tranquillo. Se commette qualche pic­cola disonestà o scorrettezza, chiudere un occhio. Se vuol mettere becco negli affari miei, dato che frequenta la casa ed è considerato come uno di casa, diffidarne; na­turalmente senza che lui se ne accorga.

Ennio                          - Dopo quello che mi avete detto, mi permetto di non capire perché lo abbiate assunto...

Matteo                        - (con un sospiro) Anche questo vi volevo dire. In primo luogo l'ho assunto perché è mio intimo amico da vecchia data; poi perché... ho in progetto di... sì, insomma, vorrei che... sposasse Simonella... Capirete ch'è giunto il momento di... accontentare in qualche modo la madre della signorina...; e credo, anzi, che appunto stasera...

Ennio                          - Capisco.

Matteo                        - Infine... io temo che egli abbia un'arma contro di me...

Ennio                          - Di che genere?

Matteo                        - Vi dirò in un secondo momento, se sarà il caso. Sono di quelle tegole che una volta ricevute sul capo, bisogna tenerle... in conto di cappello e portarle... fino ai limiti del possibile. Ora, se si potesse credere alla sua lealtà, alla sua onestà, sarebbe poco male sa­perlo in possesso di un segreto. Il guaio è che egli mi ha parlato di questo segreto con aria ricattatoria: « Non vorrei tu mi credessi capace di rivolgermi a te per que­sto...; tengo i segreti come una tomba...» ecc. ecc.: tutte parole che mostrano chiaramente l'animo dell'uomo e le sue intenzioni. Nulla mi vieta di pensare che egli si sia fatto delle copie fotografiche della lettera...

Ennio                          - Quale lettera?

Matteo                        - Una malaugurata lettera che... (Vede venir gente dalla sinistra) ...ci siamo intesi, caro Villa. (Conge­dandolo) Stasera vi ho fatto fare molto più tardi del solito. Scusate.

Villa                            - Buona sera, commendatore.

Matteo                        - Buona sera. (Ennio esce per il fondo. Dalla sinistra entrano Gianfranco e Livia. Matteo, rivolgendosi a Gianfranco, continua) Abbi pazienza, caro Gianfranco; ma avevo alcune cose urgenti da méttere a posto.

Livia                           - (a scusarsi di non aver fatto compagnia a Gian­franco) Io credevo che parlasse con te...

Gianfranco                  - Il miglior modo di considerarsi di casa è quello di non accorgersi che io ci sono. Del resto, io mi sono aggirato per le stanze come Teseo nel labirinto. (E poi, subito, correggendosi) Ah, no: questa l'ho già detta. Chiedo scusa. (Matteo e Livia sorridono. Gian­franco continua) Voi sapete che ciascuno di noi ha il suo repertorio di massime, barzellette, modi di dire... Sono sicuro che se mi capitasse di ripetermi, mi compatireste.

Matteo                        - (sempre sorridendo) Siedi, siedi. (Tutte tre siedono. Una pausa).

Livia                           - E allora?

Gianfranco                  - (distratto) Che cosa, signora?

Livia                           - Avete detto di volerci parlare...

Gianfranco                  - Già, è vero. (Un'altra pausa).

Livia                           - (prendendo l'iniziativa) Avete notato voi stesso che vi consideriamo come di casa...

Gianfranco                  - Grazie.

Livia                           - ... il che, del resto, non è nemmeno una novità, perché, prima della vostra... sparizione, eravate già il nostro più intimo amico...

Matteo                        - (con tono di affettuoso rimprovero) Magari un amico che si faceva troppo desiderare, frequentava poco la nostra casa, telefonava sì e no una volta alla settimana, non accettava un nostro invito a pranzo ti non in trattoria...

Livia                           - Ma vedo che adesso si è... addomesticato., Dopo i pochi giorni che è stato nostro ospite, viene di noi mattina e sera, ci fa l'onore di sedere spesso alla nostra mensa... A proposito, Matteo: sai che ha lodato: molte volte la nostra cuoca?

Matteo                        - (distratto) Certo, è una bella donna...

Livia                           - (seccata) Ma no! L'ha lodata come cuciniera, (Poi, con altro tono) Tanto che se lui avesse intenzione,,, di metter su casa per conto suo... (lo guarda) io volentieri gliela cederei...

Matteo                        - (guardandolo anche lui) Perché?... Hai in­tenzione di metter su casa per conto tuo? (Matteo e Livia aspettano, ora, con ansia, che lui parli).

Gianfranco                  - (che ha seguito ora l'uno ora l'altra con lo sguardo) Non mi sono ancora reso conto se sono io che debbo parlare a voi o voi a me... (Matteo e Livia ridono).

Matteo                        - Prego, prego. Parla!

Livia                           - Ma diamine! Parlate pure...

Gianfranco                  - Prima di tutto debbo dire che il posto assegnatomi dal mio amico Matteo non mi piace...

Matteo                        - Ah, non ti piace? Credevo che...

Livia                           - (a Matteo) Puoi dargliene un altro, no?

Gianfranco                  - (subito) Non si tratta di questo o di un altro, signora. Matteo è stato già troppo buono nell'accogliermi come m'ha accolto in un momento disa­giato della mia vita; e, più che disagiato, vorrei dirlo un momento di malinconia. Ma io non sono fatto per le sedie, per le poltrone... (Si alza) Fra me e la poltrona c'è una curiosa incompatibilità. Me ne accorsi alcuni mesi fa, mentre leggevo il « Viaggio intorno alla mia I camera» di Saverio de Maistre. Mobile perfetto, la poltrona », dice De Maistre. Alla larga! Se appoggio la testa alla capiera, mi addormento; se metto i gomiti sui bracciuoli, mi viene il formicolìo; se siedo sull'orlo . del sedile, non so dove tenere le mani; se occupo tutto t il sedile, sprofondo... No, no, la poltrona non è fatta ' per me.

Matteo                        - (a Livia, che ascolta sbalordita, con un sorriso falso) Lui, poi, sai, lo dice anche in senso... figurato,,, I Non è sedentario spiritualmente, capisci?

Gianfranco                  - Esatto.

Livia                           - (a Gianfranco) Ma, scusate! Meno sedentario? dell'aviatore? Eppure, anche l'aviatore, per volare, deve star seduto...

Gianfranco                  - Appunto per questo, forse, io non sarei nemmeno un buon aviatore.

Matteo                        - Allora, che cosa vorresti fare? Dimmi.

Gianfranco                  - Sono arrivato a un'età in cui la vita non si può ricominciare. Ammetto che il mio fisico soltanto ora è perfetto, che il mio spirito soltanto ora è in 1 grado di comprendere e assaporare la vita, ma tutto il mio essere obbedisce alla legge del moto, vive di curiosità e d'inquietudini. Bisognava che la mia ricchezza durasse quanto me o forse che io durassi quanto la mia I ricchezza; sebbene neanche alla ricchezza io sia legato, I perché quando ho il denaro lo spendo, quando non l'ho mi contento delle briciole che posso raccogliere alla fine dei banchetti altrui, e andare, camminare, evitare le soste, non legarmi a nulla e a nessuno.

Livia                           - (quasi con pudore, per saggiare il terreno) Non legarvi nemmeno a una donna... se vi innamorate?

Gianfranco                  - Proprio di questo volevo parlarvi. Io credo che fra di noi, su questo argomento, si possa essere chiari, espliciti. Voi avete concepito il disegno di darmi moglie e avete perfino scelto la moglie per me...

Matteo                        - (come scusandosi) Sì, il disegno è mio; ma...

Livia                           - (riprendendo il tono di Matteo) ...ma abbiamo creduto in questi giorni che voi... di vostra iniziativa...

Gianfranco                  - Non dico di aver fatto di tutto per innamorarmi; ma insomma sono stato a guardare le rea­zioni del mio spirito a quella che io e Matteo abbiamo chiamalo una prova. Sarebbe puerile nascondere che fra me e la signorina Simonella è nata una certa simpatia; che questa simpatia non è sfuggita all'attenzione di voi due; che oggi poteva essere il giorno delle decisioni. Ma ecco che stasera mi sono ricordato improvvisamente di un particolare della mia vita. Non vi sembri strano che io me ne sia ricordato soltanto stasera: io ho la me­moria, come dire?, intermittente, forse perché troppe cose mi sono capitate, e non di tutte, sempre, mi posso ricordare. Il particolare è questo: che io fui, molti anni fa, legato a una donna in modo quasi maritale: vive­vamo insieme, ci eravamo fatti una ca, avevamo addi­rittura deciso di sposarci... Senonchè, più i nostri legami diventavano forti, e più ella poneva limiti alla mia sete di libertà. Ella era venuta a me per il mio spirito avven­turoso e romantico, avventurosa e romantica lei stessa, e giorno per giorno correggeva i miei progetti, discuteva le mie azioni, esprimeva sospetti e paure intorno alle mie iniziative, sorvegliava i miei passi, faceva calcoli in pre­visione della vecchiaia: insomma si comportava come si comporta normalmente una moglie per quel ch'io ne sappia. E allora io m'accorsi che la donna, con tutto il suo spirito romantico e avventuroso, è sempre l'anti­romanzo e l'anti-avventura della nostra vita. Ella sembra spronare la nostra attività e non fa che assottigliarla e distruggerla fino all'inerzia; è proprio vero che ella ci inspira magari dei capolavori, ma non c'è caso che ci permetta una sola volta di portarli a compimento. (Mat­teo, pur senza parlare, ha l'aria di assentire).

Livia                           - Mah! Non credo che tutte le donne si compor­tino come voi dite. Io, per esempio, non ho mai impe­dito a mio marito... (Lo guarda).

Matteo                        - (comicamente confuso, correggendo i suoi gesti di assenso) Ah, certo...

Gianfranco                  - Non gli avrete impedito, che so!, delle scappatelle... (Imbarazzo e colpo di tosse di Matteo. Gianfranco continua) ...non gli avrete impedito magari di arricchire; ma quanta libertà materiale e spirituale, scusate, non gli avete tolta?

Lrvu                            - Sarà; ma voi, scusate anche voi, che cosa ve ne siete fatto di tutta la vostra «libertà materiale e spi­rituale»? Scusate tanto, ma a giudicare dalle condizioni in cui vi siete venuto a trovare... (Una pausa).

Gianfranco                  - (dopo un attimo dì riflessione) Certo, mi accade in qualche momento di essere nauseato e un poco spaventato della mia vita. Quando venni da Matteo, per esempio, a chiedergli aiuto... Ma sono momenti. At­timi. In definitiva, non sono scontento del mio stato, delle incertezze e dei pericoli che fanno parte del mio stato. E non so dirvi che impressione di onestà, di pu­lizia personale io provi tutte le volte che mi avvicino a quelle che si chiamano case, famiglie, attività e profes­sioni borghesi... (Si ferma, notando il disagio dì Matteo. Cambia tono) Ma vedo che il discorso ci ha portati troppo lontano, ci ha sviati dal punto di partenza. Chiedo scusa. (Una pausa).

Matteo                        - E... che cosa conti di fare?

Gianfranco                  - Vedrò. Ho trovato un mio vecchio amico, che s'era fatto prestare da me una somma molti anni fa, e l'altro giorno me l'ha restituita. Accadono anche di queste cose, dopo tutto... Con questa somma ho soccorso alcuni redattori della tua rivista, che tu lasci morir di fame...

Matteo                        - (seccato) Per quello che fanno...

Gianfranco                  - L'opera dell'ingegno non è misurabile col metro del mercante; e io non capisco perché uno scrittore, per esempio, debba guadagnare infinitamente meno di un banchiere...

Matteo                        - (imbarazzato) Io... seguo le consuetudini...

Gianfranco                  - (riprendendo il tono di prima) Ho poi provveduto a restituirti, con un assegno bancario, che riceverai, quello che tu hai avuto la cortesia di prestarmi…

Matteo                        - Oh! Non c'era bisogno...

Gianfranco                  - ...e domani partirò.

Matteo                        - (alzandosi) Mi dispiace che... Ti assicuro che io per te avrei voluto fare... chi sa che cosa... pur di vederti al mio fianco o comunque in condizioni di...

Lrvu                            - (si alza anche lei, quasi piangendo) Quello che mi dispiace è che Simonella, povera figlia, soffrirà di tutto questo; e per lei, veramente non ci voleva quest'altra delusione...

Gianfranco                  - Non credo che si tratti di una delu­sione, perché io... non le ho mai detto una sola parola che l'autorizzasse a...

Matteo                        - Già! Ma forse la madre... Come tu puoi ben capire... E io stesso... non che le abbia parlato specifica­mente dì... ma... sai...

Gianfranco                  - (dopo una breve riflessione) Questo mi addolora. Dov'è la signorina Simonella?

Livia                           - E' nella sua camera. Credo che studii.

Gianfranco                  - Permettete che le parli?

Livia                           - (perplessa) Ma... date le vostre idee... non so a che cosa possa servire...

Gianfranco                  - Non abbiate nessuna preoccupazione, signora.

Livia                           - (guarda Matteo; poi guarda Gianfranco) Ve la mando giù. (Esce per la sinistra. Una pausa. Gian­franco si muove per la sala, lento e pensieroso).

Matteo                        - (che lo ha seguito con la coda dell'occhio, si­mulando disinvoltura) Quanto a quella lettera poi... Ti ricordi? Quella lettera che era nel mio portafogli...

Gianfranco                  - (distratto) Quale?

Matteo                        - Insomma, quella lettera che ti era parsa... compromettente pericolosa per me...

Gianfranco                  - (sembra distratto) Ah, ho capito.

Matteo                        - (inventando) Non è niente, sai. Tutto un equivoco. La firma su quelle cambiali... non è mica falsa, sai; è vera... E' stata trovata la persona che le firmò di suo pugno; quindi... io sono fuori... d'ogni pericolo e d'ogni sospetto...

Gianfranco                  - (c. s.) Mi fa piacere.

Matteo                        - Anzi, contavo di spiegarti un po' l'ingra­naggio... per cui l'equivoco fu possibile... Vero è che a te non importa niente; e certo... non parlerai con nes­suno di un particolare così... insignificante...

Gianfranco                  - Mi fai il piacere di lasciarmi solo, Matteo?

Matteo                        - Figurati! Stavo per andar via... (Si avvia verso il fondo) Era soltanto per informarti... immagi­nando che tu, da mio buon amico, ti preoccupassi delle eventuali conseguenze... (Fa ancora qualche passo) Natu­ralmente è meglio non parlarne con nessuno... (Ancora qualche passo) Ti rivedrò prima che tu vada via? (An­cora qualche passo) Ci tengo, sai. Anche per confermarti che... in qualunque momento... qualunque cosa ti possa occorrere...

Gianfranco                  - Grazie, Matteo. Addio.

Matteo                        - Chiamami, prima di uscire.

Gianfranco                  - Sì, va bene. Ti chiamerò.

Matteo                        - (dopo un attimo di perplessità, guardando in alto e sospirando con preoccupazione) Arrivederci. (Esce per il fondo e poi per l'interno di sinistra. Una pausa. Entra, per la sinistra, Simonella.

Simonella                    - Buona sera, Gianfranco.

Gianfranco                  - Buona sera, Simonella.

Simonella                    - (sedendo) La mamma m'ha detto...

Gianfranco                  - Che cosa v'ha detto?

Simonella                    - Niente. Che volete parlarmi.

Gianfranco                  - (con un sorriso) Infatti. Sarei venuto io da voi; ma mi hanno detto che voi eravate in camera vostra.

Simonella                    - No. Ero in terrazza. Le serate sono an­cora così belle... Io poi, sto tanto volentieri sola...

Gianfranco                  - (sempre sorridendo) L'aquila vive sola; i corvi vanno a schiere.

Simonella                    - Oh! Dio, io sono un'aquila... senza rostro e senza unghie; un'aquila addomesticata, un'aquila... da cortile. (Ride. Una pausa).

Gianfranco                  - (guarda una poltrona; poi, dopo un attimo di perplessità, siede come rassegnato).

Simonella                    - (che ha notato, senza capire, guarda anche lei la poltrona) Che c'è?

Gianfranco                  - Niente. Mi sono seduto. Dopo tutto, la vita è piena... di queste contraddizioni. (Allude al fatto di essersi seduto, dopo il suo discorso sulla poltrona).

Simonella                    - Quali contraddizioni?

Gianfranco                  - Ma niente... niente... (Sorride) Voi sa­pete che ogni tanto mi capita di distrarmi, di pensare ad altro... Anzi, se il mio discorso sarà un po' ineguale, disordinato, abbiate pazienza. Non sono quello che si dice conversatore da salotto...

Simonella                    - Non si direbbe. Vi ho sentito parlare tante volte così bene... perfino con un certo gusto let­terario...

Gianfranco                  - (si alza) Ma è meglio che vi parli stando in piedi. Mi riesce meglio. Parlando in piedi mi sembra di essere più eloquente; mi ricorda la storia di sant'Andrea. Voi sapete che sant'Andrea, messo in croce, predicava da due giorni a ventimila persone, e tutti l'ascoltavano estasiati senza che nessuno pensasse a li­berarlo.

Simonella                    - Perché? Vi sentite messo in croce, par­lando con me?

Gianfranco                  - Un poco sì.

Simonella                    - Volete che vi liberi dalla croce?

Gianfranco                  - Secondo come...

Simonella                    - Parlando io per voi.

Gianfranco                  - E' un'idea. Parlate pure.

Simonella                    - (dopo un breve silenzio) Io non so se abbiate simpatia per me...

Gianfranco                  - Molta.

Simonella                    - Allora debbo credere alle voci che cor­rono in questi giorni sul conto vostro, anzi sul conto nostro?

Gianfranco                  - (meravigliato della piega del discorso) Che voci?

Simonella                    - Badate che io non mi faccio illusioni sulle mie qualità esteriori. Non mi credo una donna così interessante, e tanto meno così affascinante da provocare quello che si chiama il colpo di fulmine. Ma insomma ho destato, anch'io qualche attenzione, e forse un po' d'amore in qualcuno degli uomini che mi hanno cono­sciuta; e ora l'aver destato la vostra simpatia... non vi nascondo che mi lusinga un poco, perché voi siete un uomo vissuto, avete girato il mondo, avete un'intelligenza che mi piace. Vero è che le mie sorellastre, particolar­mente una delle mie sorellastre, non trovano molto di­sinteressata la vostra simpatia per me, forse per giustifi­care i loro fidanzamenti nati come un contratto d'affari, e forse per non ammettere che anche una donna come me possa avere... come si dice?... delle avventure. Ma io vi ho capito più di quanto voi non immaginiate, Gian­franco, e credo alla vostra onestà non meno che alla vostra simpatia...

Gianfranco                  - (sempre più meravigliato) Un momento. Vorrei chiarire che...

Simonella                    - Lasciatemi finire, vi prego. Immagino benissimo quello che volete dirmi. Vi ho già detto che credo alla vostra onestà e alla vostra simpatia. Vi ag­giungo che altrettanto onesta sono io e che vi ricambio la simpatia, se permettete, centuplicata. Solo, c'è un fatto, che io non intendo maritarmi. (Ora Gianfranco la guarda non più con meraviglia ma con interesse. Ella continua) Sono stata fidanzata tre volte, cedendo alla tentazione e alla speranza di uscire da questa casa; e tutt'e tre le volte, assoggettandomi perfino a passare per una donna respinta, ho congedato io stessa i miei fidanzati. Con voi non avrei né il diritto né l'animo di sottopormi a un periodo di prova inutile; sia perché voi siete diverso dagli altri e se un uomo io dovessi sposare non potrei che augurarmi un uomo come voi; sia perché oramai ho il modo di uscire da questa casa senza il pretesto del matrimonio, e non vi so dire la gioia con cui sto per realizzare il mio sogno di libertà. (Una pausa; poi con un sorriso) Vedete che la vostra eloquenza è stata risparmiata e che non siete più inchiodato alla croce come sant'Andrea.

Gianfranco                  - Meglio così. (La guarda, ora, con curio­sità) E perché siete contraria al matrimonio?

Simonella                    - (si alza, sorride) Avete accolto la mia dichiarazione con eleganza; ma adesso... siete indiscreto...

Gianfranco                  - Chiedo scusa. (Una pausa) Eppure io credo che me lo direte, quando avrete sentite la dichia­razione mia...

Simonella                    - (con interesse e curiosità) Speravo di avervela evitata...

Gianfranco                  - No. Voi mi avete evitato un disagio, un grave disagio... Ma la dichiarazione che dovevo farvi io era diversa da quella che voi immaginate.

Simonella                    - Cioè?

Gianfranco                  - Io dovevo dirvi, su per giù, le stesse cose che voi avete detto a me.

Simonella                    - (meravigliata) Non capisco.

Gianfranco                  - A parte i fidanzamenti sfumati, io non sono stato mai fidanzato nel vero senso della parola, do­vevo e volevo dirvi che se dovessi sposarmi sposerei una donna come voi, anzi voi senz'altro, tanto mi siete sim­patica, specialmente dopo quello che mi avete detto; ma c'è il fatto che anch'io, come voi, non ho nessuna inten­zione di prender moglie.

Simonella                    - (lo guarda) Ah! Di modo che io dinanzi a voi, adesso, ho l'aria di essermi buttata avanti per non cadere...

Gianfranco                  - No, no. Non avete altra aria che quella d'aver detto la verità. Vi credo. E appunto perché vi credo, sono curioso di sapere da voi qualche cosa di più. Capisco che l'uomo possa detestare o temere il matri­monio. Ma la donna! Il matrimonio è stato inventato per lei.

Simonella                    - Per lei?

Gianfranco                  - Per assicurarle dei diritti, per garan­tirla contro la caducità dell'amore, per darle la certezza che il decadere e sfiorire del suo fascino non le prepari una vecchiaia triste...

Simonella                    - Ah, ecco! E in cambio di questo, la donna rinunzia alla sua libertà giovanile, sopporta la tirannia del maschio, diventa uno strumento di piacere anche quando l'amore è finito, come voi dite, per la sua caducità... Ammetterete che nel cambio ci rimette la donna.

Gianfranco                  - Voi, dunque, non vi maritate per questo?

Simonella                    - Per questo e per altro.

Gianfranco                  - Sentiamo.

Simonella                    - (lo guarda) Vedo che la vostra curiosità non ha limiti... E se ho la tentazione di appagarla, ho anche la paura... (abbassa gli occhi) di confessarmi inu­tilmente.

Gianfranco                  - Inutilmente, perché?

Simonella                    - Non perché voi non possiate compren­dermi. Siete un uomo, e credo che i miei princìpi pos­sano assomigliare a quelli dell'uomo. Ma io sono sicura che quando avrò parlato mi disprezzerete. Gli uomini disprezzano sempre la donna che professa le stesse loro idee.

Gianfranco                  - (dopo averla guardata) Vi siete già confessata. Per lo meno credo di aver capito. (Una pausa) Di modo che se io fossi l'uomo che vi piace, alla stessa maniera che una donna può piacere a me, voi... non mi chiedereste nessuna promessa, nessun pegno, nessuna ga­ranzia... L'amore libero, insomma. Amarsi così... (Una pausa. Simonella ha ascoltato a capo basso. Gianfranco le chiede sottovoce) Avete avuto mai un amante?

Simonella                    - (senza alzare gli occhi) No.

Gianfranco                  - Obbedite non alla vostra esperienza, ma al vostro intuito; anzi al vostro istinto...

Simonella                    - (muovendo verso la sinistra) Vi saluto.

Gianfranco                  - Aspettate ancora un poco, vi prego. (Le si avvicina, le solleva il mento per guardarla negli occhi).

Simonella                    - (debolmente) Lasciatemi.

Gianfranco                  - Vi vedo bella; più bella di quanto non mi siate apparsa finora. E vorrei vedere chiaramente dentro di me, per sapere se a guidarmi sia il demone della curiosità o il sentimento che in questo istante provo per voi. (Si ferma, si allontana) Io sto per partire, Si­monella.

Simonella                    - Perché?

Gianfranco                  - Perché questa vita non mi piace; o forse perché nessuna vita mi piace e non potrà fermarmi che la morte. Vi dispiace che io parta?

Simonella                    - Sì.

Gianfranco                  - Se vi proponessi di partire con me...?

Simonella                    - Partirei.

Gianfranco                  - Voi avete coscienza dei vostri proponi­menti? Dei pericoli a cui andate incontro?

Simonella                    - L'amore non si pone queste domande.

Gianfranco                  - Debbo credere che voi già mi amate?

Simonella                    - Sì.

Gianfranco                  - Mi amate, e non mi sposereste.

Simonella                    - No.

Gianfranco                  - Anche se io volessi sposarvi, non mi sposereste.

Simonella                    - No.

Gianfranco                  - Badate che la mia vita è difficile, è dura; e io non sono in grado di assicurarvi una piccola tran­quillità materiale nemmeno per un mese...

Simonella                    - Non importa.

Gianfranco                  - Potrei stancarmi di voi per capriccio...

Simonella                    - Anche io di voi...

Gianfranco                  - ...o abbandonarvi per necessità...

Simonella                    - Anche io voi.

Gianfranco                  - Poco fa in questa sala ho assistito a qualche scena istruttiva. Olimpia non ama Andrea, ma Andrea ama Olimpia; così come Cesarina ama Massimo e Massimo non ama Cesarina.

Simonella                    - Lo so.

Gianfranco                  - Vuol dire che l'amore può non essere reciproco; e così il disamore. Se io non ti volessi più, quando tu mi volessi ancora.

Simonella                    - Sono abituata a soffrire.

Gianfranco                  - (dopo un breve silenzio) Partirò alle dieci, col treno di Milano, domani mattina. Hai tutta la notte per pensarci. Io non ti telefonerò, non ti cercherò. So già che se tu non venissi, io proverei un po' di do­lore; ma non tornerei indietro.

Simonella                    - Puoi essere sicuro che partirò con te. (Una pausa).

Gianfranco                  - Adesso bisogna chiamare tua madre e Matteo.. Essi ci hanno lasciati soli; ma vorranno sapere che cosa ci siamo detti...

Simonella                    - Vattene. Parlo io con loro.

Gianfbanco                 - (arriva alla porta di destra; si ferma) Simonella... (Si guardano. Si sorridono) Ti amo.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Una camera d'albergo, decente ima non lussuosa. A destra, la comune; in fondo, il bagno; a sinistra, una porta che dà nella camera contigua. Pomeriggio. Fra il secondo e il terzo atto sono passati due mesi. Quando si alza la tela, Simonella è distesa sul lettino, ch'è appog­gialo alla parete sinistra e arriva fino allo stipite della porta; Gianfranco è seduto su una sedia verso la destra e sfoglia le paginette di un taccuino.

Gianfranco                  - (seguendo le pagine del taccuino) Sono passati esattamente due mesi da quando siamo qui.

Simonella                    - Ti sembrano troppi?

Gianfranco                  - No.

Simonella                    - Era autunno ed è ancora autunno. (Una pausa).

Gianfranco                  - Io, qualche volta, ho l'impressione di aver perduto il senso delle stagioni. Soprattutto quando mi ricordo dei tempi che passavo da un continente all'altro. Partivo da un luogo ch'era la fine dell'estate e mi ritrovavo in qualche luogo dove invece dell'autunno incominciava la primavera.

Simonella                    - Era bello?

Gianfranco                  - Non so se era bello. Certo era curioso. Ho visto cadere la neve a Ferragosto; mi son vestito leggero a Natale per il troppo caldo... E questo mi faceva perdere non solo il senso delle stagioni ma anche il senso del tempo, qualche volta...

Simonella                    - Del resto, il cuore non ha un calendario. Il cuore misura il tempo con il metro della sua gioia o della sua tristezza.

Gianfranco                  - E' vero. Solo i grandi momenti hanno importanza nella vita dell'uomo. Il momento dell'amore, per esempio; soprattutto quello in cui non si pensa né al passato né al futuro; né a quello che è stato né a quello che sarà.

Simonella                    - Noi, in questi due mesi, ci siamo amati così; non è vero?

Gianfranco                  - Certo.

Simonella                    - Ti era mai capitato di amare una donna così?

Gianfranco                  - No.

Simonella                    - Sono contenta che attraverso me l'amore ti sia apparso nuovo...

Gianfranco                  - (sorridendo) Dici « attraverso me », come se tu fossi stata per me uno strumento, un mezzo dell'amore; e invece tu ne sei stata parte attiva...

 Simonella                   - (ride) Troppo attiva forse?

Gianfranco                  - (sempre sorridendo) Ma no! Tu, anzi, come dire?, mi hai completato, bai dato unità e com­piutezza ai miei sentimenti e al mio modo di pensare. Non è facile trovare una donna che accetti l'amore per l'amore e lo 'giudichi senza gli egoismi e senza i pregiudizi che lo rendono tormentoso.

Simonella                    - Però è la prima volta, dopo due mesi, che noi parliamo dei nostri sentimenti; e parlarne è un. po' sciuparli; non ti pare?

Gianfranco                  - Già, è vero. Non ne parliamo più. (Una! pausa. Poi, guardando il taccuino che ha nelle mani, Gianfranco riprende) Non avevo mai posseduto un tac­cuino. E imi accorgo che non t'ho mai chiesto perché tu me l'abbia regalato.

Simonella                    - Te l'ho regalato appunto perché tu non l'avevi.

Gianfranco                  - E' proprio necessario possedere un tac­cuino?

Simonella                    - Può servire.

Gianfranco                  - A che cosa?

Simonella                    - Un indirizzo, un appunto, un ricordo... non so.

Gianfranco                  - Sarebbe... una forma di previdenza. (Ride) La mia previdenza incomincerebbe con questo taccuino? (Lo mette in tasca) Allora non lo guardo più.

Simonella                    - Intanto, se non l'avessi avuto, non avresti ricordato, probabilmente, che da due mesi...

Gianfranco                  - Può essere. Infatti l'ho ricordato perché tutte le paginette che precedono la data della nostra partenza sono intatte.

Simonella                    - Perché hai detto partenza? Dicevi sem­pre fuga.

Gianfranco                  - Ti piace di più fuga?

Simonella                    - A te no?

Gianfranco                  - Forse hai ragione. Fuga dà più il senso del modo come noi ci siamo separati dalla nostra vita anteriore. Venivamo da due mondi diversi. Ci siamo incontrati in un mondo che non era fatto per noi. Ab­biamo lasciato dietro di noi anche il mondo del nostro incontro. Forse non era possibile sperimentare i nostri sentimenti se non in questa solitudine.

Simonella                    - E che c'è scritto, nel taccuino, alla data della nostra fuga?

Gianfranco                  - Indovina.

Simonella                    - Non so. Dimmelo.

Gianfranco                  - Un nome.

Simonella-                   - Quale?

Gianfranco                  - Il tuo.

Simonella                    - Il mio nome, e basta?

Gianfranco                  - Basta.

Simonella                    - E poi?

Gianfranco                  - Il giorno appresso?

Simonella                    - Sì.

Gianfranco                  - Ancóra il tuo nome.

Simonella                    - E poi?

Gianfranco                  - Sempre il tuo nome.

Simonella                    - Sempre Simonella, Simonella, Simonella?

Gianfranco                  - Simonella, Simonella, Simonella... Sem­pre. Non ne sei contenta?

Simonella                    - Sì... e no.

Gianfranco                  - Perché?

Simonella                    - Sì, perché... Non c'è bisogno che te lo dica.

Gianfranco                  - E no, perché?

Simonella                    - Perché mi fa pensare alla pagina... dove.., il mio nome non ci sarà più...

Gianfranco                  - (la guarda) Tu credi che già prossima, questa pagina. (Simonella non risponde. Una lunga pausa).

Simonella                    - Dove sei stato stamattina?

Gianfranco                  - Se non ti metti a ridere, te lo dico.

Simonella                    - Dimmelo. Non rido.

Gianfranco                  - Sono andato al Circo, all'ora della prova. Sai che conosco il direttore.

Simonella                    - Non lo so. Non me l'avevi mai detto. Gianfranco - L'ho conosciuto ad Amburgo, molti anni fa. Ad Amburgo i direttori dei Circhi vanno per comprare tutto: i lucernari traforati, il velluto che 6Ì stende sulla balaustra, i trapezi, i vestiti colorati dei pagliacci, le parrucche rosse... (Una volta, per una sera sola, io ho fatto il finto spettatore: quello che si mette un paio di baffi finti e presta il cappello al clown... Mi ricordo che malgrado ì baffi finti mi vergognavo un poco... (Una pausa) Sai perché la domatrice riesce a mettere la testa nella bocca del leone?

Simonella                    - No, perché?

Gianfranco                  - Perché il leone ha già piegato le labbra sui propri! denti e si farebbe male lui se mordesse... (Un'altra pausa).

Simonella                    - E sei stato al Circo tutta la mattina? Gianfranco ;  - Mi diverte. Non credere che sia quella la vita che mi piace. Ma sai: girano il mondo. Girare il mondo è bello. Certo, se dovessi girarlo sempre con un Circo mi annoierei. Ho sempre avuto questa manìa di cambiare. Cambiare evita le abitudini, dà il senso della libertà...

Simonella                    - Cambiare sempre? Tutto?

Gianfranco                  - Quasi. (Un silenzio) Tu forse me lo domandavi anche per l'amore? Ma la libertà dell'amore è un'altra cosa. La nostra, per esempio. Io e te non ab­biamo bisogno d'ingannarci, di mentire. Ci siamo amati con l'intelligenza prima che col cuore; ci siamo amati attraverso le nostre idee. (Un'altra pausa).

Simonella                    - Che ore sono?

Gianfranco                  - Saranno le cinque.

Simonella                    - Le cinque? Non è possibile.

Gianfranco                  - Forse le quattro e mezza.

Simonella                    - Guarda l'orologio.

Gianfranco                  - (confuso, mentendo) L'ho lasciato al­l'orologiaio.

Simonella                    - Già guasto? L'avevi comprato il giorno della nostra partenza.

Gianfranco                  - (c. s.) M'era caduto, stamattina, mentre mi alzavo...

Simonella                    - (balzando a sedere sul letto) Gianfranco!

Gianfranco                  - Che c'è?

Simonella                    - Tu non mi dici la verità...

Gianfranco                  - Perché non dovrei dirtela?

Simonella                    - Anche due giorni fa, quella spilla che avevi... (Si alza, gli si avvicina, siede per terra ai suoi piedi) Gianfranco!

Gianfranco                  - Dimmi.

Simonella                    - Non hai più denaro?

Gianfranco                  - (alzando le spalle) Be', che importa? Non è la prima volta.

Simonella                    - Ce n'ho io, sai... (Fa l'atto di alzarsi).

Gianfranco                  - (rapido, trattenendola, con un gesto di ri­bellione) Ah, no! (E poi attenuando). Tienilo. Ti potrà servire.

Simonella                    - (allontanandosi senza alzarsi) Mi potrà servire... Quando? (Una pausa) Io non ho bisogni che tu non conosca o comunque che siano irresistibili. (Una altra pausa) Del resto, quello ch'è mio è tuo... (Un'altra pausa) O premediti., di lasciarmi? di partire?

Gianfranco                  - (si alza, mentre ella rimane per terra; parla alle sue spalle, muovendosi un po' nervosamente) Non premedito affatto di lasciarti... (Ella l'ascolta senza muoversi. Egli continua) Ti voglio più bene oggi che due mesi fa... Non avevo mai provato quello che provo per te... Ma bisogna che la condizione del nostro amore non cambii, capisci? Io debbo amarti così, ed essere amato da te così.

Simonella                    - (senza muoversi) Così, come?

Gianfranco                  - (nervoso) Non mi pare che debba spie­gartelo nuovamente... Come puoi ammettere che fra me e te ci siano legami diversi da quelli dell'amore? Tu mi offri il tuo denaro come se io potessi accettarlo. E che uomo sarei se l'accettassi? No, no! (Una pausa) Anzi, adesso mi fai pensare quello che non avevo ancora pensato... Io potrò avere del denaro o non averne: questo non importa; sono oramai in grado di sopportare certe rinunzie... Tu, invece, no. Puoi aver avuto sofferenze spirituali, ma materiali mai. Ora io non ho il diritto di... Non ammetto che un uomo, per il solo pretesto dell'amore, costringa la propria donna a... (Una pausa).

Simonella                    - (sempre senza muoversi) E allora?

Gianfranco                  - E allora... non so...

Simonella                    - (c. s.) Che cosa non sai?

Gianfranco                  - Cercherò del lavoro, se mi riesce... Credo, anzi, che mi riuscirà certamente: non mi sono mai perduto, perché sono pronto a tutto... Ma qualche volta, anzi sempre, si guadagna molto poco lavorando... E il pensiero di farti fare una vita disagiata m'addolora, mi umilia; non so se tu puoi capire questo mio senti­mento... (Una pausa).

Simonella                    - (c. s.) Continua.

Gianfranco                  - Forse la soluzione migliore sarebbe questa: che noi ci mettessimo a vivere separati: ognuno per conto suo... L'amore, alla fine, non presuppone la convivenza; voglio dire che la convivenza non è la condizione indispensabile dell'amore...

Simonella                    - (c. s.) Forse pregiudica l'amore...

Gianfranco                  - (con un lieve scatto) Ma no! Renditi bene conto di quello che dico io! Io e te ci siamo uniti per libera elezione; abbiamo perfino stabilito che alla prima stanchezza ci divideremo, anche se la prima stan­chezza non è di tutt'e due...

Simonella                    - (c. s., interrompendolo) Non sei per caso tu a esserti stancato per il primo?

Gianfranco                  - (con dolorosa energia) Vorrei, essermi stancato! E invece... Ma non so perché oggi io e te non riusciamo a intenderci. Tu pensi a una cosa e io penso dove si va, quanto si guadagna, che cosa si desidera, che! cosa si aspetta... Se no, incominciano i consigli, gli ammonimenti: «Non fare questo, non fare quest'altro, regolati così, muoviti in questo modo», e insomma, cornei dire?, tutte le innumerevoli, fastidiose limitazioni della libertà che avvelenano e compromettono la vita a due. (Una pausa) Si capisce che questo potrebbe non convenire a te, se conviene a me. E allora... Tanto mi conviene, e tanto lo trovo giusto che io ho già pensato al me stessa.

Gianfranco                  - (la guarda; vorrebbe chiedere: «e come?»; ma si ferma; dice soltanto) Già, perché tu... (Si ferma ancora) Non vorrei rivolgerti domande I di questo genere ma... sai, io mi distraggo facilmente I da certe cose... Non avevo mai pensato...

Simonella                    - Dimmi, dimmi. Io, con te, non ho paura I delle « limitazioni » che ti spaventano. Le trovo fastidiose per te; ma per me... Ti autorizzo a rivolgermi I qualunque domanda.

Gianfranco                  - Scusa. Tu hai detto di aver pensato a te stessa; era naturale che tu ci pensassi... Ma... come: (Simonella non risponde) Se non vuoi dirmelo, fa pure. L'essenziale è che io ti sappia tranquilla.

Simonella                    - Spero di poterlo essere... con l'aiuto di mia madre... almeno fino a quando non sia in grado di assumere un posto d'insegnante...

Gianfranco                  - E... tua madre sa che...?

Simonella                    - Fra poco mia madre sarà qui.

Gianfranco                  - (meravigliatissimo) Ah, sì?

Simonella                    - Ti dispiace?

Gianfranco                  - E' come rompere la nostra solitudine, no? E' come richiamare il mondo che abbiamo abban­donato...

Simonella                    - Hai ragione; ma...

Gianfranco                  - E... l'hai chiamata tu?

Simonella                    - Sì.

Gianfranco                  - E quando?

Simonella                    - Ieri. Siccome è da più d'un mese sul Iago, con tutta la famiglia..

Gianfranco                  - Non me ne avevi parlato.

Simonella                    - Tutti gli anni, in autunno, va con la fa­miglia su lago. Quando io dovetti giustificare la mia par­tenza improvvisa, le chiesi soltanto il permesso di fare un viaggio, approfittando appunto delle sue vacanze...

Gianfranco                  - Neanche di questo, mi avevi parlato.

Simonella                    - Si può dire che non ne ho avuto il tempo. Certo, non ne ho avuto l'occasione. Tu hai accettato la mia fuga così... senza chiedermi spiegazioni; io non avevo nessuna ragione per dartene; oltre tutto era più bello... (Una pausa).

Gianfranco                  - E allora? (La guarda).

Simonella                    - Perché mi guardi così?

Gianfranco                  - Dimmi. Continua.

Simonella                    - Non mi sembri convinto. Eppure è una cosa tanto semplice. Mia madre e la sua famiglia non si meravigliarono affatto che anche quest'altro progettato matrimonio fosse andato in fumo. Io dissi che tu partivi la sera stessa; mi mostrai rassegnata, anzi contenta; chiesi di viaggiare sola, di riposarmi sola, perché ero un come:a un'altra... Io ti stavo dicendo che non è la convivenza a pregiudicare l'amore, almeno nel caso nostro. Soltanto c'è questo; che io con la donna che amo posso dividere la mia ricchezza e non la mia povertà. E' chiaro?

Simonella                    - (si alza lo guarda) E' chiara soltanto una cosa, Gianfranco: che tu non mi vuoi più bene. Anzi, per essere precisi, non mi ami più. Un po' di bene ancora me lo vuoi. Ma non mi ami più.

Gianfranco                  - (quasi gridando) Non è vero!

Simonella                    - Non t'arrabbiare. Chi vuoi che ti capisca se non ti capisco io? Io e te abbiamo lo stesso tempe­ramento, siamo eguali. Tu conosci le vicende dell'amore per esperienza e io le conosco appena per intuito; ma ci siamo capiti fin dal primo momento. Del resto, perché abbiamo evitato il matrimonio, che, come dici tu, è il trionfo dei compromessi? Appunto per non cadere nei compromessi. Io ho il dovere di restituirti tutta la tua libertà... (reprimendo la commozione) e te la restituisco perché sono tanto forte da sopportare il dolore terribile che mi dà il pensiero di dovermi separare così presto da te. (Si volta, per nascondere le lagrime).

Gianfranco                  - (irritato) Non posso vederti piangere! Non so perché ; ma non posso vederti piangere!

Simonella                    - (con uno sforzo) Ecco, non piango.

Gianfranco                  - (attenuando) Tu confondi i miei senti­menti con quella che è la mia dignità di uomo, la mia onestà. Io ti prego soltanto di lasciarmi libero per la mia vita materiale. Non parto, non mi allontano, non ti abbandono. Mi fermo qui a cercar lavoro, a lavorare. E ti assicuro che io starò con te tutte le sere, tutte le ore libere della mia giornata. Ma lascia che io non mi ver­gogni davanti a te di quello che farò, di come farò per vivere. Tu devi capire che una lunga vita di agi e di in­dipendenza ha lasciato qualche traccia d'orgoglio dentro di me. Rispetta questo mio orgoglio, se mi ami.

Simonella                    - Sta bene. (Una pausa).

Gianfranco                  - (rasserenato, leva dalla tasca il taccuino, le si avvicina sorridendo) Be' adesso ti restituisco il tuo taccuino perché...

Simonella                    - (triste, prendendo il taccuino) Perché?

Gianfranco                  - (sempre sorridendo) In fondo, anche questo taccuino è un'insidia. Meglio che non ci sia. Voglio dire ch'è un'insidia al nostro amore. Abitua, appunto, a pensare al passato e al futuro. E noi abbiamo stabilito di non pensarci, amandoci. E' vero?

Simonella                    - (ponendo il taccuino su un mobile, come rassegnata) Non credere che io dica delle cose futili, sai. Bisogna evitare anche i piccoli fatti che ci tendono agguati, che irretiscono la libertà dei nostri sentimenti. Lo dico per te, come per me. So benissimo che un taccuino è la cosa più insignificante di questo mondo; ma si può incominciare dall'insignificantissimo taccuino per arrivare a... non so a che cosa e non so dove. Non mi è facile, ora, fare degli esempi; ma vorrei che tu comprendessi esattamente quello che io dico. Noi vi­viamo benissimo, come viviamo. E meglio ancora vivremo quando ciascuno di noi, al di fuori dell'amore, penserà alla propria vita senza doverne rendere conto all'altro. Non chiedersi nemmeno quando si esce, perché si esce, po' affaticata nello studio; insomma lasciai tutti calmi, tranquilli... (Una pausa).

Gianfranco                  - E perché, ora, hai chiamato tua madre?

Simonella                    - Ero decisa a non darle più notizie di me. Ma l'altro giorno sono andata a cambiare un assegno in banca; e ho incontrato Ennio Villa, il segretario del mio padrigno. Mi disse che erano tutti in pensiero per la mancanza di mie notizie... volle sapere dove abitassi... insomma, capisci, non ho potuto, forse non ho saputo, mentire. (Una pausa) Poi...

Gianfranco                  - (impaziente) E avanti! Sbrigati!

Simonella                    - (con uno sforzo) Poi.. Forse è un po' difficile che mi spieghi bene. Non fraintendermi.

Gianfranco                  - Hai chiesto del denaro a tua madre.

Simonella                    - No, no... No. Ho ancora tutto quello che mi diede all'atto della partenza... Soltanto ho cominciato a preoccuparmi un poco dell'avvenire e...

Gianfranco                  - (rassegnatamente amaro) Già, tu sei donna. Le donne hanno l'abitudine, anzi la necessità di pensare all'avvenire...

Simonella                    - Ma non per me, sai...

Gianfranco                  - Per me, allora?

Simonella                    - Nemmeno per te...

Gianfranco                  - E per chi?

Simonella                    - (quasi tremando) Non credere che io ti voglia legare a me, con questo... Tu sei libero come prima, più di prima... Io non ho nemmeno fatto il tuo nome... Nessuno sa che in questi due mesi io abbia vis­suto con te... Ti ho avvertito appunto dell'arrivo di mia madre, perché tu possa non farti vedere. Io la riceverò nella mia camera... Ma... ho avuto, della vita, una paura che non avevo mai avuto prima... Siccome intendo stare ai nostri patti, e siccome tu, se non ti sei ancora stancato, puoi stancarti... o comunque incominciare a vivere per conto tuo come hai detto... io verrei... o verrò., a trovarmi con un dovere nuovo... inatteso, imprevisto... non più sola, capisci...

Gianfranco                  - (che ha capito) Sei...? (Vuol dire: «sei incinta? »).

Simonella                    - (lo guarda, tremando) Non pensare che ti voglia porre di fronte a qualche dovere, sai... Ti ripeto che tu sei libero, come se non fosse accaduto nulla...

Gianfranco                  - (afferrando una sedia e sbattendola sul pavimento) Perbacco!

Simonella                    - Non ti agitare così. Ti capisco, sai. Le responsabilità e gli obblighi sono tutti miei. Ti avevo lasciato libero ancora prima di dirti questo. Ero perfino decisa a non dirti niente... (Una lunga pausa. Egli pas­seggia per la stanza, disperato e nervoso. Poi, con im­provvisa decisione, parla).

Gianfranco                  - Bisogna avere il coraggio di parlarsi chiaramente, Simonella. II fatto grave che tu mi hai rivelato non è di quelli che si prestino alle mezze misure. Io e te abbiamo superato i limiti del pudore anche nel confessarci i nostri sentimenti più gelosi e tu non mi giudicherai un mostro se io ti dico che... (Si ferma un attimo come per ribrezzo di quello che stava per dire: poi scrolla le spalle facendosi forza e continua) Certo sarebbe semplice e facile che io mi buttassi ai tuoi piedi, che recitassi la scena dell'amor paterno. Ma, alla fine, i figli bisognerebbe averli aspettati e voluti per amarli prima della loro nascita. Io forse amerò più tardi, non so quando, questa creatura... preterintenzionale... che un giorno avrà il diritto di chiamarmi suo padre; ma per ora..., disprezzami, condannami, fa' quello che vuoi, per ora... (Scrolla le spalle e la testa per dire: « Non me ne importa niente». Simonella si copre gli occhi con le mani, forse più per sofferenza che per ribrezzo. Gian­franco la guarda, continua) Invece, sento una grande pietà per te. Non credere che da questo mio sentimento sia escluso o soverchiato l'amore, no. Potrei dire che ti amo più di prima. Sento pietà per te, perché il tuo sogno d'indipendenza spirituale, di libero amore, vale a dire il sogno che tu hai avuto in comune con me, è caduto. A nascere, a crescere, a ingigantirsi, a esplodere nell'azione ha impiegato tutto il tempo della tua giovi­nezza; e a cadere non ha impiegato che il tempo del primo esperimento, della primissima prova. Un attimo. E tu sei vinta, Simonella; sei vinta fino al punto che tu stessa dici d'aver paura della vita. La verità è che paura della vita io solo non ne ho. Io posso giocare con la vita, perché non soltanto sono padrone delle mie forze ma sono padrone anche dei miei sentimenti. Ora io dovrei legarmi a te, difenderti, per questo amore, per questa pietà che provo per te; e già avverto la sentenza del giudice mediocre: «Naturale, questo devi fare, que­sto è da uomo: dividere la sorte della donna amata, della madre del tuo bambino ». In altri termini, per difenderti, dovrei cadere pure io: incominciare la serie delle pic­cole miserie divise in due, anzi in tre, la serie dei ri­pieghi, delle rinuncio, delle umiliazioni, delle viltà... perché i mezzi di farti fare la vita che vorrei non li ho e non sono in grado di procurarmeli... E' questo che tu vuoi?

Simonella                    - (reggendo a stento il suo dolore) Non è questo che io voglio. Ti ringrazio della sincerità con cui mi hai parlato. Capisco le tue ragioni. Tu sei libero fin da questo momento. Addio. (Fa l'atto di uscire per la sinistra).

Gianfranco                  - (soffrendo) Aspetta. (Ella si ferma) Quando hai saputo che...?

Simonella                    - Sono andata dal medico due volte. L'ul­tima volta ieri.

Gianfranco                  - E... che cosa dirai a tua madre?

Simonella                    - Non ho più niente da dirle. Le ho già scritto tutto. Non di te, naturalmente. Tu non c'entri. Del resto non è difficile immaginare quello che lei pensa: «Questa povera figlia non è riuscita a maritarsi in tanti; ora s'è trovata sola in balia delle tentazioni; ha incontrato qualcuno che... ». Dopo tutto, avendo già fatto la parte della fidanzata respinta, posso ben fare la parte della sedotta abbandonata. Certo, non posso chie­dere un posto d'insegnante così, subito, in queste con­dizioni... E questo ti spieghi anche la necessità, che avevo, di rivolgermi a mia madre...

Gianfraìnco                 - E... se il nostro discorso, oggi, non avesse preso la piega che ha preso, tu mi avresti taciuto tutto?

Simonella                    - Non so.

Gianfranco                  - (dopo un breve silenzio) Forse è meglio che parli io con tua madre.

Simonella                    - Bada, Gianfranco, che io non intendo comprometterti in nessun modo.

Gianfranco                  - Non si tratta di compromettere me. Io non mi lascio compromettere da nessuno. Ma... è più forte di me il desiderio, e anche il dovere, di non la­sciarti sola in una circostanza così penosa...

Simonella                    - Io non ti attribuisco nessun dovere.

Gianfranco                  - (con sorda irritazione) Bisognava pen­sarci prima!

Simonella                    - (dolorosamente) Tu credi che fosse facile, con tutto l'amore che c'è stato fra me e te?

Gianfranco                  - (torturandosi le mani) Ed ecco che l'amore si vendica! Ma forse non è neanche l'amore che si vendica! E' qualche altra cosa, che si vendica per mezzo dell'amore. Tu sogni libertà, chiedi libertà, credi di raggiungere la libertà; e ad ogni passo c'è un tra­bocchetto contro la tua libertà. 0 ti pieghi, o ti spezzi.

Simonella                    - Tu non hai bisogno né di piegarti né di spezzarti per me.

Gianfranco                  - Dovrei strapparmi il cuore. E forse me lo strapperò. Ma intanto bisogna che parli con tua madre.

Simonella                    - Debbo avvertiti di una cosa. Mia madre non verrà sola; verrà con suo marito.

Gianfranco                  - Meglio!

Simonella                    - Non so se sia meglio. Suo marito è contro di me. Deciso a diseredarmi.

Gianfranco                  - (con stupore e rancore) Ah, è deciso a diseredarti. E perché?

Simonella                    - Forse perché non aspettava un'occasione migliore per... Del resto, è un suo diritto negarmi ogni aiuto; e tu sai che non mi ha mai voluto bene.

Gianfranco                  - (fremendo) Avanti, dimmi tutto, Simo­nella. C'è qualche cosa che tu mi nascondi ancora...

Simonella                    - Che cosa vuoi che ti nascondi? Ho rive­duto stamattina Ennio Villa. Il mio padrigno è esaspe­rato. Dice così: che la mia scomparsa «misteriosa» (adesso la considera una scomparsa misteriosa), ha mandato a monte i matrimoni delle sue due figlie...

Gianfranco                  - (sempre più fremendo) Ah, la tua scom­parsa ha mandato a monte....? Non il fatto che una delle sue figlie se l'intendeva col fidanzato dell'altra? Lui si era « creati » i generi, se li era messi a posto, e preten­deva di creare anche l'amore fra le sue figlie e i suoi generi, come se l'amore si potesse creare. Avanti, dimmi tutto!

Simonella                    - Dice così: che io, ora, ho coperto di disonore la sua famiglia...

Gianfranco                  - Ah, ecco: sei tu che l'hai coperta di disonore? Lui no! Lui è onesto. Lui è puro. Sai che cosa ha fatto questo gentiluomo per arricchirsi? Quando era piccolo direttore di una piccola succursale di banca, con uno stipendio di poche migliaia di lire, incominciò a scontare cambiali a personaggi inesistenti. Lui incassava le somme, e nel portafogli della banca metteva le cam­biali false. Quando veniva il momento di pagare, ritirava le prime cambiali false, e le sostituiva con altre cam­biali false, di altri personaggi inesistenti per somme maggiori. E così, per un tempo indefinito, potè disporre di somme importanti, investendole in compere, in ven­dite, insomma in affari tanto fruttuosi quanto poco puliti... Venga, venga: venga a parlare con me della sua « onestà »... Non t'ha mandato a dire altro?

Simonella                    - M'ha mandato a dire che verrà a darmi i mezzi soltanto perché io sparisca dall'Italia e finisca di compromettere il suo decoro...

Gianfranco                  - (sempre più fremendo, violentissimo) Quale decoro? Quello che dimentica nel suo portafogli sotto i letti dei lupanari? Ti assicuro che con me no avrà il coraggio di porre condizioni, sai. Sarò io che porrò a lui. Lui conosce solo il linguaggio degli affari! Parlerò il suo linguaggio per farmi intendere. Lui temevi che io lo ricattassi? Lo ricatterò. E lo ricatterò così bene che la nostra vita non sarà più né incerta né triste, materialmente, Simonella. Perché io non ti abbandonerò, Mi farò dare il miglior posto di cui lui disponga; mi farò pagare a peso d'oro... (Squilla il telefono sul comodino).

Simonella                    - (avviandosi in fretta al telefono) Ecco: dev'essere arrivato.

Gianfranco                  - (fermandola, eccitatissimo) Aspetta, rispondo io. Tu va di là, nella tua stanza...

Simonella                    - (preoccupata) Ma Gianfranco...

Gianfranco                  - (imperioso) Va di là, ti dico! (E mentre Simonella esce per la sinistra, alza il microfono, risponde, sempre con lo stesso tono) Pronto?... Sì, la signorina Ru è qui da me... sì, sì, dite al comm. Iroldi che salga pure Qui, al 28, in camera mia, l'aspetto... (Butta il microfono sull'apparecchio; cade sul letto stremato; poi guarda nel vuoto e domanda improvvisamente a se stesso) « Be', che fai, Gianfranco? Ti prepari a un ricatto per conquistare una poltrona? Per dare un addio alla tua libertà? L'amore di una donna ti ha dunque irretito fino a questo punto? »(Si scuote, sì ribella) No! Tu lo sai bene che la donna tenta d'inchiodarti a una poltrona, di legarti al suo destino. Non l'hai detto tu stesso che la donna è l'antiromanzo e l'antiavventura della tua vita? (E poi, ripensandoci) Già ; ma la donna non è più sola. C'è anche un bambino: un piccolo essere che tu non conosci ancora ma che ha già bisogno del tuo aiuto. Forse era lui che ti parlava attraverso la voce di sua madre, che piangeva nel pianto di sua madre. (E poi, combattuto fra i suoi opposti sentimenti, con disperazione) Ma perché tutto questo? Perché? (La sua voce nella domanda disperata si scioglie in lagrime, il suo petto è scosso dai singhiozzi A un tratto si ode bussare alla porta di destra; egli tende l'orecchio, guarda nel vuoto; dice a se stesso) Ecco: ci] siamo. (E a un nuovo colpo alla porta, egli si alza, atteggia il viso a una dura decisione combattiva, dice al alta voce:) Avanti!

FINE