Amleto è morto

Stampa questo copione

AMLETO E’MORTO

Commedia in un atto

diCESARE MEANO

                                   

PERSONAGGI

IL BECCHINO (quello stesso del IV atto)

IL GIUDICE (quello stesso di cui parla il becchino nel IV atto)

IL CAPITANO

ALCUNI BIFOLCHI

Commedia formattata da

Nel cimitero del quarto atto, il gior­no dopo la fine del­la tragedia. Pomeriggio inoltrato. Il cimitero è deserto di vivi. Dalla parte esterna del cancello, che è chiuso, si assiepa un gruppo di bifolchi.

Il primo Bifolco            - Sarebbe questo il cimitero?

Il secondo Bifolco        - Naturalmente. Il famoso cimi­tero dove fu seppellita quella poverina d'Ofelia.

Il terzo Bifolco             - E' forse il cimitero più famoso del mondo.

Il secondo Bifolco        - Forse, sì. Benché quell'altro... quello di Giulietta e Romeo...

Il primo Bifolco            - lo dico che è più famoso questo.

Il terzo Bifolco             - E io, invece, penso...

Il secondo Bifolco        - Silenzio. Siamo qui per lavo­rare o per cianciare?

Il primo Bifolco            - Ma il cancello è chiuso.

Il secondo Bifolco        - E noi lo facciamo aprire. Io mi attacco alla campanella. Voi chiamate. Forza, ra­gazzi! (Suona la campanella).

I Bifolchi                      - Ohe, becchino! - Beccamorti! - Buca- terra! - Svegliatalpe! - Ohe, oh!

II primo Bifolco            - Siamo noi: gli avventizi.

Il secondo Bifolco        - Eccoci qua con la marra e la vanga. Oh, becchino! E vedremo se saremo capaci di scavar fosse, con questi nostri arnesi, che finora non hanno scavato se non solchi.

I Bifolchi                      - Ohe, becchino! - Beccamorti - Buca- terra - Svegliatalpe, ohe! (Entra il becchino).

II Becchino                   - Vengo.

I Bifolchi                      - Finalmente!

II Becchino                   - Ho cercato la chiave. E ora, che ho trovato la chiave, devo cercare la toppa. Eh, questi occhi! S'invecchia, s'invecchia... To': ho trovato... ecco­ la... (S'apre il cancello: entrano i bifolchi).

Il secondo Bifolco        - Non credevamo che fosse tanto difficile entrare nel cimitero.

Il primo Bifolco            - Può essere un buon augurio.

(Risa).

Il Becchino                   - Quanti siete, ragazzi?

Il secondo Bifolco        - Sette, becchino. E certo non si sono mai visti tanti braccianti in questo tuo giardino.

Il Becchino                   - A mia memoria, no davvero.

 Il secondo Bifolco       - Ma chi avrebbe previsto che, tutta un tratto, senza il soccorso di veruna epidemia, il becchino si sarebbe dovuto rivolgere a noi, bifolchi, per rimediare all'improvviso aggravio del suo lavoro? Quanti morti, becchino!  E quali morti!  Forse è per questo che ti vediamo preoccupato.

Il primo Bifolco            - Ma che si aspetta, ora?

Il Becchino                   - Pazienza, ragazzi. Non posso ancora disporvi al lavoro. C'è un quesito da risolvere, assai grave: e perciò appunto mi vedete preoccupato. Ora aspetto che venga il giudice: quello stesso che già inter­pellai quando si trattò di seppellire la dolce Ofelia, e non si sapeva se condannarla all'onta dei suicidi o per­donarle in virtù del suo candore.

Il secondo Bifolco        - Ma quale sarebbe il quesito?

Il Becchino                   -  Grave, grave, ragazzi. Vedete: quando ieri mi giunse notizia di ciò che era accaduto alla reg­gia, e mi furono nominati i quattro morti, ovvero il Re, la Regina, il principe Amleto e l'incolpevole Laerte, quando, dico, uni fu ordinato di procedere alla loro se­poltura, io pensai che tutto il guaio consistesse nell'ec­cessivo urgente lavoro: quattro tombe di speciale impor­tanza in un sol giorno, e decisi di procurarmi il vostro aiuto.

I Bifolchi                      - E noi siamo appunto venuti...

II Becchino                   - Ma poi ho ripensato alla questione, e ho capito che il problema più grave, anzi il vero problema non consisteva nella quantità del lavoro, bensì nella sua qualità.

I Bifolchi                      - E che vorresti dire? - Quel tal quesito... - lo non capisco.

II Becchino                   - Ah, figli miei! Il principe Amleto, che Dio ne salvi l'anima, ha voluto farmi erede di tutti i cavicchi che gli stavano piantati nel cervello, e dei quali io ben vidi gli effetti, quel giorno ch'egli qui venne, in gran segreto, mentre si scavava la fossa d'O­felia. (Un sospiro). Mi pare ancor di vederlo, con quel teschio fra le mani... A ogni colpo di vanga, quel giorno, scoprivo un teschio... E mi par di sentirlo ancora... (Imitando Amleto) «Povero Jorick!... Io lo conobbi, lo conobbi... un così caro compagno, allegro, fantasioso, bizzarro... Quante volte egli mi portò sulle sue spalle, quand'ero bambino... ed ora... Povero Jorick! »... (Pas­saggio) Be', ragazzi miei, forse i principi sanno sop­portare le trafitture dei cavicchi assai meglio dei bec­chini; ed io mi son rivolto... (Ravvicina il rumore d'una carrozza: cavalli, sonagli) Eccolo... arriva!

Il secondo Bifolco        - Chi arriva?

Il Becchino                   - Il giudice, ve l'ho detto.

Il primo Bifolco            - S'è fatto portare in carrozza.

Il secondo Bifolco        - I giudici vanno sempre in car­rozza.

Il primo Bifolco            - E perché ?

Il secondo Bifolco        - Per rifarsi cammin facendo del tempo che usano perdere con le chiacchiere. (Entra il giudice).

Il Becchino                   - (salutando) Esimio giudice...

I Bifolchi                      - Eccellentissimo...

II Giudice                     - Oh, buongiorno, figlioli; buongiorno, egregio becchino della capitale. Come vedi sono venuto senza indugio. E prego Dio che mi consenta di lavorare ancora molti anni per il nostro caro becchino, sicché giunga tardi il tempo che tocchi a lui lavorare per me. Dunque: che ti occorre?

Il Becchino                   - Si tratta di disporre tutti i morti di ieri.

Il Giudice                      - Facile cosa, becchino, disporre i morti. Mille di essi hanno meno pretese di quante non ne abbia un solo vivo.

Il Becchino                   - Ma tre di questi morti portano corona, esimio giudice, e le corone non servono soltanto ad au­mentare la statura dei vivi, ma pure ad accrescere il peso dei morti.

Il Giudice                      - Per intanto io mi siedo in quest'ombra, che sarebbe assai gradita se non si trovasse entro i con­fini del tuo regno, e ti prego di espormi il caso.

Il Becchino                   - Or dunque...

Il Giudice                      - Or dunque?

I Bifolchi                      - Or dunque?

II Becchino                   - Abbiamo un Re, una Regina, un Prin­cipe e un nobile signore, Laerte. Quest'ultimo, natural­mente, lo collocheremo tra i suoi familiari, i quali da tempo lo aspettano, povero Polonio, poverissima Ofelia: né posto più caro egli potrebbe desiderare.

Il Giudice                      - Fra quelli di cui tu disponi, becchino.

Il Becchino                   - Ben detto, esimio giudice: fra quelli di cui io dispongo. Ma procediamo, se a voi non di­spiace, e occupiamoci del Re e della Regina. Per costoro la questione non è intricata: sovrani furono, benché... lasciamo andare..., e noi non possiamo che ospitarli ac­canto agli altri sovrani.

Il Giudice                      - E così non ci resterebbe che Amleto...

Il Becchino                   - Amleto, appunto: il quale Amleto... Ecco, ecco il problema! come diceva lui stesso, se ricor­date, a proposito del suo celebre « essere o non essere ». Egli seguita in morte, povero Amleto, a essere e non essere, fastidiando non poco il becchino che deve occu­parsi di lui. Egli fu sangue di Re, anzi fu Re in potenza, che, se fosse sopravvissuto alla morte del Re suo zio, porterebbe oggi là corona. Ma come può essere egli col­locato fra gli altri Re? A ciò si oppongono, in primo luogo, il fatto ch'egli Re non fu, e, in secondo luogo, l'inumana situazione che alla sua spoglia deriverebbe dal ritrovarsi fra le spoglie di quelli che tanto martoriarono la sua vita, e furono assassini di suo padre, e anche as­sassini suoi, dato che la catastrofe idi ieri ebbe origine dal primitivo delitto dello zio. Voi, forse, pensate che anche la spoglia del Re padre, del vecchio Amleto, si troverà fra quelle dei suoi carnefici, ma il buon vecchio Re sarà certo di ciò consolato dalla compiuta vendetta, che tanto gli stava a cuore.

 Il Giudice                     - Dunque, si tratterebbe di trovare per la spoglia di Amleto un posto degno...

Il Becchino                   - E a lui gradito, esimio giudice, per tutto il bene che gli volemmo.

Il Giudice                      - S'intende: a lui gradito.

Il Becchino                   - (Ecco: e a questo proposito io possa dirvi, con serena coscienza, che il povero principe Amleto fu portato a questi eventi da un destino apposto agli intimi moti dell'animo suo e, quindi, contrario a ciò ch'egli avrebbe  (desiderato e che anche adesso, se di là vive ancora il nostro inquieto desiderio, certamente egli desidera. Esimio giudice, io fui presente alla sua lite con Laerte, nella grande scena del funerale, quando ancora la tomba d'Ofelia era aperta, e solo il legno della bara separava dal sole e dall'aria il suo bel volto: ricordo ciò ch'egli disse, anzi gridò, con una voce che tuttora mi risuona nel profondo e mi fa tremare... (come prima: imitando Amleto) «Amavo Ofelia, amavo Ofelia: la te­nerezza di cento e cento fratelli uniti non potrebbe egua­gliarsi al mio amore... » e, rivolto al buon Laerte, gri­dava ancora: «Su, dunque, parla! Che faresti per lei? Piangere? Combattere? Rifiutare ogni cibo? E anch'io sono pronto a far questo! Dilaniarti le carni? Anch'io? Bere l'aceto? Anch'io! »... Oh signor mio, e pareva che tutto il mondo piangesse con lui, tutti gli innamorati del mondo, tutti quelli che per amore avesser pianto da quando la terra esiste e si voltola per i cieli, gridassero con lui e ripetessero, ciascuno per la sua Ofelia: l'amavo, l'amavo!... Esimio giudice, basterebbero prove anche assai meno valide di queste per giungere a vedere la verità. La quale verità ci scopre come il principe Amleto non avesse in cuore altra passione oltre quella che proprio Ofelia si chiamava; e io oso presumere che, s'egli tanto esitò prima di compiere la sua vendetta, fu giust'appunto perché presagiva che il suo amore, per primo, ne sarebbe stato sacrificato. Ora proprio questo accadde: e non fu piccolo male anche per il mando e la famiglia degli umani. Pensate: quale incantevole coppia di sposi avrem­mo veduto sorridere! E i figlioli... pensate! Lui biondo e bello, lei biondissima e bellissima... e così pieni di grazia entrambi... Ma non giova insistere in questi di­scorsi, né offrire queste mie vecchie lacrime alla tomba che non ha bisogno di essere scavata da me, e che è la tomba di quell'impareggiabile amore. Piuttosto, do­vremmo concludere che l'unica tomba gradita ad Amleto sarebbe quella ove già Ofelia riposa. Ma ecco, ahimè, rivelarsi impossibile anche questa sistemazione, perché Ofelia, naturalmente, riposa accanto al padre suo Po­lonio, e fra poche ore avrà a compagno, com'è giusto e inevitabile, anche il fratel suo Laerte, e tanto Polonio come Laerte furono uccisi da Amleto, e senza loro colpa, di modo che nulla menomerebbe il disagio che a rutti ne verrebbe se Amleto prendesse posto in loro com­pagnia. E allora? O esimio giudice, vogliate illumi­narmi voi!

Il Giudice                      - Io?... Eh già... Intanto penso che, nell'esporre l'intricatissimo caso, tu fosti più giudice 'di me.

Il Becchino                   - E nel risolverlo?

Il Giudice                      - Nel risolverlo, confesso, io mi sento più becchino di te.

Il Becchino                   -  Ma che pensate di tutto ciò?

Il Giudice                      - Che penso?            (Un rintocco di campana, profondo e lugubre: e, d'ora innanzi, a intervalli eguali, altri rintocchi seguiranno) Toh... la campana!

Il Becchino                   - Fra poco lasceranno la reggia. Si fa tardi. Che pensate?

Il Giudice                      - Penso che questa campana dovrebbe farmi pensare all'inutilità di pensare.

Il Becchino                   - Ma il problema deve pur essere risolto.

Il Giudice                      - Certo... (Un colpo di cannone: e, d'ora innanzi, come la campana, anche il cannone romberà a intervalli eguali) Avete udito?... Anche il cannone.

Il Becchino                   - E intanto non mi dite...

Il Giudice                      - ... quello che penso. Ecco... parlando da uomo a uomo... e ciò mi sia concesso, benché la mia funzione di giudice generalmente mi costringa, data la conformazione dell'umana giustizia, a dimenticarmi d'es­sere uomo... (Lontani squilli di trombe) Anche le trombe!

Il Becchino                   - (impaziente) S'intende. Anche le trom­be. E fra poco...

Il Giudice                      - ... lasceranno la reggia.

Il Becchino                   - E voi non mi dite...

Il Giudice                      - ... quello che penso.

Il Becchino                   - Ma allora?...

Il Giudice                      - Allora io penso che, se il povero Amleto non avesse nulla saputo della morte di suo padre, né del delitto di sua madre e di suo zio, sarebbe veramente stato il più felice uomo della terra. Avrebbe sposato, come dianzi tu dicevi, la sua candida Ofelia. Avrebbe aspettato la morte dello zio per succedergli al trono. E, quando fosse venuto a morte, non avrebbe preoccu­pato ne il becchino ne il giudice.

Il Becchino                   - E come avrebbe potuto ignorare quelle nefandezze? Io credo poco, s'intende, alla storiella dello spettro paterno, ma so che la verità sbuca sempre fuori, per quanto sia ben celata, e chi ha da vederla la vede.

Il Giudice                      - (ambiguo) Quando non gli convenga fin­gere di non vederla.

Il Becchino                   - (esitante) E ciò significherebbe...

Il Giudice                      - Hai da sapere, caro vecchio becchino, che le opere di giustizia sono terribilmente pericolose. E te lo afferma un giudice. Il principe Amleto ha vissuto secondo giustizia; secondo giustizia ha operato; e... vedi? per un morto da vendicare, mandò alla tomba tre inno­centi: Ofelia, (Polonio e Laerte. Ora, a rigor di lo­gica, s'egli non fosse già in pace tra i morti, altri ven­dicatori dovrebbero sorgere per vendicare il torto fatto a quelli. Sarebbero dunque tre vendicatori: uno per ogni vittima. E se ciascuno 'di quei tre vendicatori facesse a sua volta tre vittime innocenti, i vendicatori a venire finirebbero con l'essere nove; e questi, alla lor volta, agendo in quella stessa maniera, genererebbero ventisette vittime, le quali darebbero vita a ventisette vendicatori, i quali ventisette... Fammi il conto di ventisette per tre e, se ti aggrada, seguita pure. Poi mi dirai ciò che avrebbe da essere il mondo fra un paio di secoli.

Il Becchino                   - Esimio giudice, invece di illuminarmi tu mi ottenebri sempre di più. La situazione di Amleto, ti prego, la situazione di Amleto!

Il Giudice                      - Troppo imbrogliata, becchino, perché noi si possa disciorla. Quel buon figliolo si è rovinata l'esi­stenza, si è procurata una morte crudele e immatura, ha causato lutti, danni e smarrimenti, per poi giungere a non trovare neppure una tomba ove dormirsene in gra­dita compagnia. Evidentemente, il vecchio re Amleto, se fu veramente lui che lo spinse a tanto, riapparendogli sotto la specie del fantasma, non voleva molto bene a suo figlio.

Il Becchino                   - E dove scaveremo la sua fossa?

Il Giudice                      - In disparte, in disparte da tutti, ed in luogo molto elevato. Bisogna che la gente lo ricordi. Approfittiamo almeno di lui, per dare una lezione ai vivi, sull'argomento dell'umana giustizia, la quale è nemica acerrima dell'umana felicità.

Il Becchino                   - Su quel poggio?

Il Giudice                      - Sì: su quel poggio... (Solenne} Tutto il paese vedrà la tomba d'Amleto, tutto il paese ricorderà... (Entra il capitano).

Il Capitano                    - Benissimo, benissimo!

Un Bifolco                    - (piano) O chi è questo cavaliere?

Il Capitano                    - Lasciatemi passare, buona gente, ch'io possa apertamente far seguire il mio plauso a così alte parole. In alto la tomba d'Amleto, esempio al mondo, monito ai figli!

Il Giudice                      - (diffidente) Sì, cavaliere: vi siamo grati del vostro plauso, ma... io sono il giudice... questi è il becchino... costoro sono buoni bifolchi... e voi... voi...

Il Capitano                    - Io sono un tale che dovendo, a comin­ciar da domani, occuparsi dei vivi di questo paese, ha pensato di dare oggi un po' d'attenzione ai suoi morti.

Il Giudice                      - (sempre diffidente)             - Ma, fra i morti, come vedete, ci sono anche dei vivi, i quali vivi non sanno precisamente chi siate.

Il Capitano                    - Sono uno dei capitani di Fortebraccio.

Tutti                              - (colpiti) Eh?

Il Capitano                    - Sono giunto ieri con lui dalla guerra di Polonia, in tempo per vederlo assumere la corona.

Il Giudice                      - (umile) Il sire Fortebraccio...

Il Becchino                   - Il Re...

Il Capitano                    - Il nuovo Re, del quale io sarò uno dei nuovi ministri...

Tutti                              - Oh, eccellentissimo... - Signoria... - Monsi­gnore...

Il Capitano                    - ... senza però cessare d'essere capitano, uomo di guerra, incapace di dormire senza sentire sotto il guanciale la coccia della spada.

Il Giudice                      - (lusingato) Ma, dunque, monsignore... voi approvate le idee che modestamente io esposi, a propo­sito della tomba d'Amleto...

Il Capitano                    - Naturalmente.

Il Giudice                      - Quale onore per me!

Il Capitano                    - E come potrei, d'altronde, non appro­vare? In alto la tomba d'Amleto...

Il Giudice                      - (entusiasta) ...perché tutti vedano...

Il Capitano                    - ... tutti vedano...

Il Giudice                      - ...tutti ricordino.

Il Capitano                    - ...tutti ricordino che si può buttare ogni bene, ogni felicità, e anche la vita stessa, quando si abbia cuore d'eroi, pur di fiaccare l'ingiustizia, la pre­potenza, la frode e far trionfare il diritto. (Una breve pausa, poi) Ma cominciate il lavoro... E' tardi.

Il Becchino                   - Al lavoro, ragazzi!

I Bifolchi                      - Al lavoro, al lavoro! (Il capitano esce).

IIGiudice, il Becchino, i Bifolchi      - (salutando) Monsignore... - Eccellentissimo... - Reverenza...

 (Più frequenti i rintocchi della campana, i colpi di cannone, gli squilli di tromba. E i bifolchi lavo­rano).

Il Becchino                   - (dopo una pausa) Esimio giudice...

Il Giudice                      - (turbato) Che?

Il Becchino                   - Siete soddisfatto?

Il Giudice                      - (con finto compiaci­mento) Certo... moltissimo... un ministro ha approvato i miei ragio­namenti... e con un tal fervore...

Il Becchino                   - Ma, veramente, mi pare che il ministro abbia detto pro­prio il contrario di ciò che diceste voi.

Il Giudice                      - (ampolloso) E con questo?... Quando le conclusioni col­limano, che importano i ragionamenti fatti per raggiungerle?... L'impor­tante è arrivare tutti nello stesso posto.

Il Becchino                   - Giusto. E tutti vi arrivano sempre, esimio giudice: sempre nello stesso posto. Ve lo dice il becchino. (Breve pausa, poi) For­za, ragazzi, forza: bisogna affrettarsi. Date una vanga anche a me. Questa -è una buona occasione perché io mi rimetta a lavorare cantando, come quando il principe Amleto mi sor­prese, e io non lo riconobbi... Come era quella canzone?... (Forzandosi per ricordare) ... una canzone abba­stanza allegra... che parlava di... ah, ecco, ecco... (Il becchino comincia a cantare; i bifolchi, sempre lavoran­do, uniscono le loro voci alla sua).

Il Becchino                   - (cantando): Quand' ero giovane e bello m'innamorai, e con l'amore ogni guaio dimenticai; ma in quanto allo sposar... ahi, ahi! perché amare... sposare... non è la stessa cosa.

I Bifolchi                      - (sempre lavorando) Non è la stessa cosa.

FINE