Anche questa è andata

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ANCA QUESTA L'E' ANDADA

( Anche questa è andata)

Commedia iscritta alla siae al n°849220°

di Giovanna Ganzerli

autrice iscritta alla siae al n°131284

Personaggi:

A      ARTIODE SPELLAGATTI padre   

F      DELFINA             figlia maggiore

B      BERNARDA           figlia minore

Z      BEFILDE           zia          

T      TOGNA SPELLACANI  oste      

L      DON LUIGI          parroco   

D      DESOLATA           perpetua 

C      CALLISTO           pretendente  

P      POSTINO           postino   

E      CORNELIO PALLONE  padrone      

O      DORCHEDE           morosa del padrone

N      NATALINO BERTOLUZZI  ricco pretendente. 

TRAMA: Ad Artiode le mogli non durano. La commedia si apre dopo le esequie della terza moglie che gli è morta e, tra figlie da accasare, problemi finanziari ed una cognata invadente. si arriverà mai scoprire cosa gli ha lasciato in eredità l’ultima moglie?

(Entrano Delfina (1) e Bernarda (2) in piazza, vestite a lutto)

B:  e anche questa è andata.

F:  però le abbiamo fatto un bel funerale, con tutti quei fiori.

B:  e poi hai visto quanta gente c'era?

F:  se è per questo ce n'era anche troppa. E tu sai a cosa mi ri­ferisco.

B:  parli di Dorchede?

F:  è stata una bella sfacciata a venire a seppellire l'ultima mo­glie di papà. E poi vestita com'era vestita.

B:  quella lì non guarda in faccia a nessuno. Appena sente puzza di soldi vi si infila dietro subito, a costo di rompersi le gambe, e nostro padre è sempre stato un ocarone che corre die­tro a tutte le sottane.

F:  con la scusa che nostra madre sul letto di morte gli aveva fatto giurare di prendere ancora moglie, perchè doveva tirare su noi due figlie, non si è mai lasciato scappare neanche una sottana.

(entra Callisto (3), nipote dell'oste, in bicicletta e va ad urtare le due donne cascando)

B:  ma cosa succede?

F:  oddio! Aiuto! (cade su una sedia)

C:  scusatemi ... non vi avevo visto ... ero sopra pensiero.

B:  sei proprio un insiminito. Hai sempre la testa per aria.

F:  e me! Mi lasciate qui con la bicicletta addosso?

C:  ma no! Spero di non avervi fatto del male. (alzandola tenta di pulirle le vesti)

F:  oh! Giù le mani. Chi credete che sia?

B:  Callisto! Non fare mica tanto il furbo con mia sorella, eh?

C:  ma per l'amor di Dio, Bernarda. Io non lo farei mai, con tua sorella ... Venite che vi do qualcosa da bere. Ma come mai mio zio non ha ancora aperto l'osteria? Zio ... zio ... Chis­sà perchè oggi ha ancora chiuso. Pelapidocchi com'è mio zio, per prendere tutti i clienti terrebbe aperto anche la notte. E se potesse venderebbe anche sua mamma.       Zio ... zio.

(entra Togna (4))

T:  cosa succede? Cosa è successo da fare tante urla? Chi è?

C:  sono Callisto, tuo nipote. Ma hai chiuso?

T:  no, ho aperto.

C:  non scherzare! Ci sei o non ci sei?

T:  non ci sono. Sono andato a fare un giro in bicicletta. Sei furbo come un setaccio. Aspetta, aspetta che vengo ad aprire.

C:  ha sempre ragione lui.

T:  allora sei tornato. Pensavo che ti fossi perso nella fumana.

(mentre apre l'osteria)

C:  ah, moh, zio ... Modena non è mica dietro casa. E poi, per fa­re gli interessi ci vuole del tempo.

T:  del tempo, si. Ma non due giorni per comprare una berretta eppoi anche stretta. ... Ah, buon giorno signorine...

C:  zio, porta un pò d'acqua, chè sono andato loro addosso con la bicicletta. Ma questo te lo spiego poi dopo. Dimmi piuttosto come mai avevi chiuso.

T:  sono stato al funerale.

C:  il funerale? Ma chi è morto?

T:  ma é morta Mafalda, la moglie di Artiode. L'abbiamo appena seppellita. (pianissimo)

C:  Mafalda? Condoglianze. (forte) Ma se l'ho vista ieri l'altro.

T:  ti ho detto che è morta ieri, non ieri l'altro. Ieri l'altro era ancora viva.

C:  e Artiode, come l'ha presa?

F:  come vuoi che l'abbia presa: è la terza moglie che gli muore.

T:  è proprio sfortunato come un cane in chiesa. Chissà perchè ad Artiode le mogli non durano.

F:  dopo la povera Jusfina, nostra madre, c'è stata la povera Gitta e adesso anche la povera Mafalda.

C:  allora che fine farà anche quella bella signorina con cui è sempre insieme?

T:  ma cosa dici? (dandogli uno scappellotto)

B:  ma no. Lasciatelo pur parlare. Lo sappiamo anche noi quello che combina nostro padre. E' vero Delfina?

C:  e poi non sai come dice il proverbio? Non c'è il due, senza il tre ed il quattro vien da se. Io, non c'è dubbio che avrei sposato Artiode.

T:  ma avrei proprio voluto vedere anche questa. Tu sposare Artiode? Ma dove si è mai visto due uomini sposati assieme? Ohè!? (scappellotto) Ma per chi corri, tu?

C:  ma cosa hai capito, zio? Volevo dire che se fossi stato nella povera Mafalda, non c'è dubbio che avrei sposato Artiode. Poveretta. Non ha neppure fatto in tempo a mangiare l'ultima fetta di torta da sposa, che già aveva le corna in testa.

T:  avete avuto una bella sfortuna, putinne.

B:  ma adesso è ora di finirla. E anche se il posto in casa c'è, non permetterò a nostro padre di portarci un' altra donna. Prima ci sposiamo noi due, poi farà quello che vuole.

F:  ormai; ci ha speso tutti i soldi con quella Dorchede, che non ne ha mai abbastanza.

C:  ma noi uomini, quando ci innamoriamo, possiamo fare mattate.

    (rivolto a Bernarda)

F:  io, veh, gli faccio dimenticare che è un uomo. Alla sua età deve smorzare i bruciori, se non vuole farsi ridere dietro.

B:  dai, Delfina. Andiamo in casa, adesso, perchè ormai torneran­no anche gli altri, dal funerale. E non sta bene che ci trovi­no qui all'osteria.

F:  hai ragione. Andiamo. Arrivederci e grazie per l'acqua che non ci avete dato.

(escono Delfina (1) e Bernarda (2))

C:  niente, niente. Per voi, tutto quello che volete.

T:  regala del tuo e non del mio. (scappellotto) Dai, su, inizia a pulire qui che c'è una polvere che mi si è anche seccata perfino la gola.

(entra Desolata (5) che ha sentito le ultime parole di Togna)

D:  eh, si: polvere sei e polvere ritornerai. Lo dice sempre an­che don Luigi.

T:  ma che allegria. E' arrivata anche la cornacchia. Veh, Desola­ta: devi dire a don Limosna che prima che io diventi polvere, ne ha da passare di acqua sotto i ponti di Secchia.

D:  del vino vorrai dire, eh?

T:  taci malalingua. E poi questa non è solo un'osteria, ma è an­che drogheria ...

C:  sì, droghe e salumi, sale e tabacchi, ...

D:  e vino.

(entra il postino (6))

P:  fiorellin del prato, messagger d'amore; bacia la bocca che non hai mai baciato. Fiorellin del prato, non mi dir di no. Postaaaa ...

T:  oh, c'è il postino.

P:  ecco qua. Sono qui perchè sono venuto. Sono proprio contento oggi. Porto le bollette da pagare. Dunque ... Spellacani, Spellacani ... ... Ecco: Drogheria Spellacani, Spellacani Ta­baccheria, Osteria Spellacani, ...

T:  ma basta!

P:  aspetta, l'ultima: famiglia Spellacani. Oh, come son conten­to. Fiorellin del prato, ... (esce(6))

T:  guarda qui: solo della roba da pagare. Gli venisse il bruciaculo! Non hai da affogare. Veh, Desolata, mettiti a se­dere qui, a fare due chiacchiere. Callisto, porta qui una bot­tiglia di vino di quello buono.

D:  ma ho fatto una promessa. Non tentarmi.

T:  guarda che questo è di quello buono. Non sai cosa ti perdi. E poi, oggi, pago io.

D:  quando il diavolo ti liscia è perchè vuole anche l'anima. Ti ho detto di no. Ormai sono diventata artesia. Me lo dice sem­pre anche don Luigi.

T:  si dice artemia.

C:  è una malattia nuova? Stammi lontano che non prenda anche me.

D:  ma no, ocarone; vuole solo dire che non posso più bere vino.

C:  ma da quando?

D:  da quando ... (viene interrotta)

T:  da quando don Limosna ha pagato il conto della spesa, che ...

D:  ma taci tu. Non riesci mai a tacere.

C:  no, no, dai, racconta.

D:  io vado via perchè siete due brutte lingue.

C:  dai, dai, racconta cosa è successo? Conta che mi piace.

T:  devi sapere che la Desolata tutte le mattine veniva a fare la spesa e prendeva un pistone di vino. Se lo beveva di nasco­sto. E per non farlo sapere a don Limosna, faceva annotare un chilo di riso.

C:  ma neanche di queste! E com'è finita?

T:  quando don Limosna è venuto a pagare il conto della spesa, è risultato che aveva mangiato un quintale di riso in sei mesi, senza mai averlo visto. Da allora, alla Desolata, solo acqua.

C:  poteva far annotare "generi vari": dì, moh, a don Luigi che ci trovi i piedi?!

D:  avete finito di spettegolare? E poi dicono delle donne. Togna vieni dentro a darmi un pò di formaggio e della mortadella per don Luigi. Ormai torna dal funerale.

C:  Desolata! Ma tu non sei andata al funerale?

D:  scherzi? Si capisce che ci sono andata, al funerale. Una per­petua che si rispetti, deve stare sempre vicino al suo prete.

T:  anche perchè così impara vita, morte e miracoli di tutti.

D:  io, se so qualcosa, so tenere la bocca chiusa.

T:  certo, certo, lo sappiamo. Però ...

D:  però niente. Io so stare al mio posto. Viene della gente in canonica, a confidarsi, che ... mal da guai.

T:  e tu come fai a sentire?

D:  eih, a volte sono lì, che passo per caso o che lucido la marletta della porta e ... ma parlano così forte che mi tocca di sentire. Ma senza volere, s'intende, perchè io non sono pettegola. Cosa volete che interessi a me se la Marietta va a letto con Zanett. Uh, cosa ho detto! A forza di farmi parlare mi è scappata. Ma mi raccomando: non dite niente con nessuno, per carità. Se si sapesse in giro, rovinerei due famiglie.

(Callisto va alla finestra e segnala la pettegolata ad altri)

T:  dai, stai tranquilla. Noi siamo persone per bene. Ma tò, Marietta: sembrava una brace spenta.

D:  naso alzato, lontano da casa! Lo sapevo io che andava a fini­re così. Io la mano sul fuoco non la metterei per nessuno.

T:  e Zamian, ha trovato la tocca che aveva perso? L'hanno tanto cercata. Sono andati avanti e indietro per quindici giorni, su e giù per i caradoni di campagna.

D:  c'è chi l'ha trovata.

T:  ma davvero?

D:  si, pare che sia annegata nella pignatta di Pipet, della casa rossa.

T:  ma tò! E io che lo credevo un coglione.

D:  coglione lui lì? Ha tirato su nove figli, senza mai far nien­te. Secondo te, come ha fatto?

T:  aveva messo su un banchetto davanti al cimitero, per vendere i fiori.

D:  sì: di giorno li vendeva e di notte andava a prenderli via.

T:  sano del tutto, non è mai stato. Ti ricordi quando aveva pian­tato tutte quelle zucche? Si è chiuso in casa in novembre con la Diletta, sua moglie, ed è venuto fuori quando le ha mangia­te tutte. Quindici quintali di zucche! Era diventato giallo come un pero.

D:  poveretta, Diletta. Gliene ha fatto passare, come Bertoldo in Francia.

(rientra il postino (6))

P:  fiorellin del prato, ... ... Postaa!

T:  ancora? Ma allora ce l'hai con me!

P:  no, no. Questa volta ho bisogno di Desolata, perchè c'è la po­sta di don Luigi e la canonica è chiusa.

D:  dai qui, dai qui. Don Luigi è andato al funerale.

P:  ho anche una lettera per Artiode. La posso lasciare a voi? Mi fate il piacere di dargliela?

C:  si, si. Dai qui, che ci pensiamo noi.

P:  mi devo fidare?

C:  parola d'onore.

P:  allora me la tengo io. Fiorellin del prato, ... ... (esce (6))

D:  bella fiducia.

C:  si vede che sarà una lettera così importante, se gliela vuole consegnare lui personalmente. Ma a proposito: don Luigi ed il signor Artiode, dove sono andati a finire?

D:  eih, staranno per venire a casa anche loro. Si saranno ferma­ti a parlare anche perchè il testamento della Mafalda lo ha in mano don Luigi.

T:  Desolata è vero che ad Artiode va così male, che Filigrana, il beccamorto, non gli ha fatto nemmeno pagare il funerale?

C:  ma davvero? Anche quella fortuna lì ha avuto?

D:  no, no: voi non sapete niente. Filigrana gli ha solo fatto uno sconto speciale, perchè è il miglior cliente del paese. In cinque anni, tre volte. Ha cominciato con la povera Jusfina, la prima moglie; ve la ricordate?

C:  oohh!?

D:  sembrava il ritratto della salute; una lavoratrice di prima riga. Governava le bestie e i cavalli ... una donna forte ...

T:  una strabizzona dirai ... grande e grossa come un armadio,  con uno scavezzo da paracarro.

D:  però era l'unica in grado di far filare in riga Artiode. Non aveva tanto tempo di andare in giro per i suoi comodi, come fa adesso. Lo teneva sempre chiuso in casa.

T:  mi ricordo quella qualche volta che scappava qui all'osteria: lei arrivava qui con una bicicletta da uomo e con due fischi lo mandava a casa di corsa. Poi si sentivano le urla finchè non era arrivato a casa.

D:  faceva proprio bene; lui scappava all'osteria e lei sempre a casa a lavorare. Lavorare e fare dei figli.

C:  dei figli? Eih! Delle femmine. Due femmine ha fatto.

T:  una donna asciutta per tutti i versi. Proprio Artiode che ci teneva tanto ad avere un maschio. Solo per la razza. Invece niente. Neanche quella soddisfazione lì, gli ha dato.

D:  anche troppe.

T:  oh, vi ricordate quando è nata Bernarda? L'ultima femmina? Ma vi ricordate?

D:  si, si. Eravamo tutti qui in piazza. E' arrivata fuori Befilde, la sorella di Jusfina, con delle urla che sembrava matta. "E' nata, è nata, è nata una bella bambina!" E Artiode le ha risposto: "una femmina? Un'altra femmina? Va a caga Jusfina!". Che villano! E' sempre stato grezzo come la malta. Mi domando ancora come aveva fatto quella povera Jusfina a sposarlo.

T:  un gallo non può stare senza pollaio.

D:  sì, un gallo! Tss! Perchè è proprio un bel gallo.

T:  cappone, no di sicuro.

D:  oh, stanno arrivando. E' meglio che io vada via. Non voglio che don Luigi mi veda qui a parlare, sennò dopo mi fa un in­terrogatorio che non finisce piuù e vuole sapere che cosa ho detto e cosa ho fatto. E voi, mi raccomando, non dite niente con nessuno.

T:  sì, sì, stai tranquilla, anzi veniamo dentro anche noi.

(escono Callisto (3) e Desolata (5); entrano Artiode (8) e don Lui­gi (7); Togna va a prendere un prosciutto e comincia a disossarlo)

A:  anche questa è andata, don Limosna.

L:  su, su; coraggio Artiode, coraggio.

A:  si fa presto a parlare. Ma sarò scalognato? La terza. La ter­za moglie che mi muore.

L:  morto un Papa, se ne fa un altro. Pensa che un giorno te le ritroverai tutte e tre in Paradiso.

A:  è proprio per quello che sono così disperato.

L:  su, su, dai. Sei un uomo forte, ancora giovane ... la vita continua.

A:  ma non so se avrò la forza di riprendermi, ricominciare da ca­po. Trovare un'altra donna che tenga dietro le mie bambine.

L:  certo che le tue bambine ormai il latte lo prendono da altre parti. La più piccola ormai ha già trent'anni.

A:  per un padre i figli sono sempre bambini, specialmente se so­no femmine. Se non stai attento ... c'è da tenerci dietro ... è un attimo.

L:  secondo me comunque dovresti lasciare loro più libertà. Hanno i loro anni. Sono donne fatte.

A:  ma sì! Donne fatte? Ma sai l'altro giorno Delfina, la più vec­chia, cosa si è messa in testa di fare? Alcune tagliatelle. Beh, ha cominciato ad impastare della farina con dell'acqua e delle uova e, credi acqua che non ci sia farina, credi farina che non ci sia acqua, ha vuotato il sacco della farina senza che il pastone fosse al punto giusto. Sono quindici giorni che mangiamo il pastone sbriciolato nel brodo.

L:  sono i primi esperimenti. Dai, ci vuole un pò di pazienza.

A:  se non sono scoppiato fino adesso, vuol dire che della pazien­za ne ho d'avanzo e anche da vendere.

L:  andiamo, va là, andiamo da Togna a bere un bicchiere. Togna? Porta una bottiglia con due bicchieri.

T:  arrivo, arrivo.

L:  Togna? Togna! Allora arrivi?

T:  cos' hai da svergnare? Non sono sordo. ... Callisto, porta una bottiglia. ... Buongiorno don Luigi. Salute Artiode.  ... E i bicchieri dove sono?

(entra Callisto (3)

C:  ma non me l'hai detto, zio. Farò un altro giro. Ufffff!

T:  dai, dai, tocca su!

(esce Callisto (3), poi Togna, mentre entra Desolata (5), uscendo dall'osteria)

D:  ciao Artiode.

L:  beh! E tu cosa fai qui?

D:  mi sono fermata un attimo a prendere qualcosa da preparare da mangiare.

L:  un attimo? Sè! E' un'ora che sei partita. Chissà che spesa hai fatto e ... quante chiacchiere.

D:  neanche una! Glielo posso giurare. Non sono pettegola, io.

L:  lo so, lo so. Va adesso. Vai a preparare qualcosa per cena che tra un pò arrivo anch'io.

D:  mi raccomando, non mi faccia molto tardi, perchè altrimenti il mangiare si raffredda. Arrivederci. (esce Desolata (5))

A:  ciao, ciao.

L:  Togna, cosa ha ha preso di buono Desolata da prepararmi per mangiare, che si è tanto raccomandata che vada a casa presto?

T:  un etto di mortadella ed un pezzo di gorgonzola.

L:  allora non c'è pericolo che la roba diventi fredda. E' tanto presa dagli interessi degli altri che non ha neanche il tempo di mettere su qualche tegamino. Una di queste volte ...

(entra il postino (6))

P:  fiorellin del prato, messaggero d'amore ... Posta! Postaaaa. Una lettera per Artiode.

A:  una lettera per me?

P:  Artiode Spellagatti, Via del Cimitero 13. Secondo me è tua.

A:  si, si. Sono proprio io. Ma chi è che me la manda?

P:  viene dalla città.

L:  e tu come fai a saperlo?

T:  i postini non sanno mai niente. Scommetto che sa anche chi l'ha mandata.

P:  per chi mi avete preso? Per un stregone?

T:  no, no! Però si dice in giro che la sera tu passi il tempo a leggere cartoline e lettere d'amore e fai come quando la non­na "la sprava" le uova davanti alla candela.

P:  ma siete matti? Ho altro da fare la sera, io, che "sprar" le lettere che manda Befilde ... accidenti alla mia linguaccia.

A:  beh, visto che tu sai già cosa c'è scritto, aprila e leggi quello che dice anche a noi.

P:  mal da guai! Non voglio che dopo andiate a dire in giro che metto il naso in affari che non mi riguardano. E poi ho fret­ta: devo finire il mio giro e consegnare le lettere. Arrive­derci. Fiorellin del prato ...  (esce (6))

L:  ma ti dico io, che è un bel paese questo: anche i muri hanno le orecchie. E non solo le orecchie: hanno anche la lingua.

A:  beh, beh, vediamo cosa dice Befilde. Dunque: "caro cognato ..." Eh, non ho gli occhiali. Don Limosna, leggila tu.

L:  dammi qua. Dunque: "caro cognato ... ho saputo della fine di Mafalda ... come spero di te ... a cavallo della festa ... a trovare le ragazze ... tua cognata Befilde."

A:  andiamo da un estremo all'altro. Chi deve tacere, parla e chi deve parlare, tace. Insomma mi vuoi dire, per piacere, cosa c'è scritto?

L:  c'è scritto che Befilde ha saputo di Mafalda ed ha intenzione di venire a trovare le bambine e starà qui qualche giorno.

A:  Befilde? Dalla padella nella brace. Ma non avevo abbastanza problemi, io, senza Befilde? Cosa ho poi fatto di male?

T:  Befilde è una brava donna.

L:  é un pò gonfiata, ma non è cattiva.

A:  un pò gonfiata? Non la conosci tu. Da quando è andata ad abi­tare in città, è un brutto lavoro; si dà delle arie da grande signora: "io qui, io là". E pensare che è andata via di qui con gli sgarletti sporchi di boazza.

(entra Bernarda (2), come uscendo di casa)

B:  beh, ma, papà? Vi sembra il momento di fermarvi alla osteria con un bottiglione davanti al naso? Venite subito a casa.

A:  ma cos'hai da urlare anche tu? Sono qui che cerco di mandar giù tutto il mio dispiacere e mi tocca anche di sentirmi para­re su.

B:  come se a San Giacomo non dicessero già abbastanza su di voi, adesso si metteranno a dire che non avete nemmeno rispetto per i morti.

A:  oh, veh, putinna! Non mi fare venire la mosca al naso, chè se no mi levo il cinturino dei pantaloni ...

B:  così rimmarrete in mutande. Proprio un bello spettacolo.

(entra Callisto (3), uscendo dall'osteria, tutto premuroso)

C:  signorina Bernarda.

(entra Delfina (1) e don Luigi va da Togna dove disossa)

F:  Bernarda? Bernarda, dobbiamo comprare un pò di saponina per lavare tutti i panni della Mafalda. Beh, ma, papà? Ma cosa fa­te all'osteria?

A:  ecco. Mettitici anche tu e così siamo a posto.

F:  nooo. Sono solo venuta a dire a Bernarda di comprare la saponina e poi torno a casa a metter su un pò di quelle ta­gliatelle in brodo. Ne volete anche voi?

A:  no, no. Per me, no. Non ho fame. E poi stassera non so a che ora tornerò a casa.

B:  sarà meglio che torniate presto o se no mettiamo il catenac­cio alla porta.

A:  ma guarda che grinta ha messo su quella lì. Si parla così a un padre?

B:  abbiamo portato anche troppa pazienza. E la pazienza è come la pipì: a forza di tenerla, scappa. Beh, è scappata. Adesso si cambia sistema. Dai andiamo Callisto che devo fare spesa.

(escono Bernarda (2) e Callisto (3); entra Dorchede (5))

O:  buona sera a tutta la compagnia. E' proprio una bella sera, questa qui.

T:  lei sì, che lo può proprio ben dire. Meglio di così non le po­teva capitare.

A:  sei arrivata anche tu, Dorchede, in un momento così di scon­forto? Come stai?

O:  bene. Benissimo. Il mio moroso arriva tra un pò. Se son venu­ta qui è perchè volevo farti le mie condoglianze e per darti un pò di conforto.

L:  il conforto glielo do già io.

O:  taccia bene lei, che è più all'osteria che in chiesa.

L:  il pastore deve seguire le proprie pecorelle. Poi, se devo aspettare che siate voi altri a venire a trovarmi in chiesa, fanno in tempo a venirci delle ragnatele che sembrano delle reti da pesca.

F:  parli bene con loro due che non vengono mai. Io, appena suona la campanella, sono la prima ad arrivare.

A:  ma guarda che grinta mette su anche questa qui.

F:  quando vuol detta, vuol detta. E lei, Dorchede, le sembra que­sto il modo di presentarsi ad un funerale?

O:  perchè? C'è qualcosa che non va?

F:  almeno il rossetto poteva risparmiarselo e trovare almeno un vestito più adatto. (le toglie il rossetto dalle labbra)

O:  perchè il nero non va bene ai funerali? (si ridà il rossetto)

F:  ma no. Il nero va bene. Ma è che lei è così, così ...sgalvida.

O:  è l'unico vestito nero che avevo.

F: cosa si crede, lei, che solo perchè noi siamo di campagna, non capiamo certe cose?

O:  cosa vuol dire? Vuole essere più precisina?

(entra Bernarda (2), uscendo dall'osteria)

B:  Delfina vuol dire che è ora che la pianti di fare la gatta morta con nostro padre.

A:  due brutte vipere. Adesso basta. Tacete e chiedete subito scu­sa alla signorina.

B:  neanche se mi crepa davanti.

F:  lei piuttosto deve fare le sue scuse a noi. (esce Delfina (1))

B:  e sarebbe ora che vi vergognaste anche voi, papà. Tutta San Giacomo vi ride dietro. Passate per proverbio.

O:  questo è troppo. Io sono una signorina per bene e non permet­terò mai che il mio moroso venga insultato in questo modo, fa­cendolo passare per ... ... ... (cornuto).

(entra Cornelio (3) con un elmo con le corna)

E:  buongiorno a tutti. Oh, cara, guarda che bell'elmo vichingo ho comprato al mercatino a Mirandola. Sto bene? Lo metteremo proprio nel nostro salotto. Artiode, le mie condoglianze.

A:  buongiorno, signor padrone. Grazie. La ringrazio per il cordo­glio. Anche lei resta con noi?

E:  beh, solo due minuti. Ti volevo fare le mie condoglianze, ma avevo anche bisogno di te, Artiode.

B:  noi andiamo. Vista la bella compagnia che c'è qui.

A:  sì, non statevi a preoccupare. Oh, quasi dimenticavo. Ha scritto vostra zia Befilde e ha detto che viene a stare da noi alcuni giorni, per aiutarvi dopo la disgrazia.

O:  adesso che non c'è più Mafalda, ci sarà posto anche per lei. E magari anche per qualchedun'altra.

A:  quello di sicuro. La mia casa è sempre aperta per certa gen­te. Beh, Bernarda, prendi la lettera e portala a casa, valà.

E:  e così la signorina si chiama Bernarda? Piacere. Spero di ri­vederla presto.

B:  ci rivedremo presto senz'altro e sempre in casa nostra a do­mandarci dei soldi. Oh, papà, mi raccomando: non perdete la strada di casa. Delfina, Delfina? Arrivi?

(entra Delfina (1))

F:  arrivo. Penso proprio di aver preso tutto.

B:  per fortuna dovevi comprare solo la saponina.

F:  con tutto quello che è successo, mi è venuta la depressione. E tu lo sai che quando sono depressa, devo proprio mangiare, per mandar giù il magone. Devo pur sfogarmi.

B:  fosse solo quando sei depressa. Dai, dai, muoviti, andiamo. Arrivederci. Dai, che sei svelta come una lumaca.

    Complimenti alle sue corna: sono proprio adatte. (a Cornelio)

(escono Delfina (1) e Bernarda (2))

A:  beh, signor padrone: si accomodi. Dica cosa vuole.

E:  è una partita un pò delicata. Non so se è il caso di parlarne qui in piazza, tra tutti.

A:  non si preoccupi. Siamo tra amici. Si accomodi.

E:  sarei venuto per la terra.

A:  per la terra? Perchè cos'ha la terra? La sto curando come cu­ravo le mie povere mogli.

T:  speriamo che non faccia la stessa fine.

A:  taci tu. Cosa vuoi sapere tu che non te ne intendi. Non sai d' aglio nemmeno se ne mangi una biolca. Senta me: quest'anno ho portato cento quintali di frumentone al Consorzio, con un grano grosso come la fava. Ho fatto 10 quintali di frumento per biolca e tanta uva, tanta uva, che sono rimasto senza manastre. Ma io ci voglio un bene alla mia terra. Adesso ho già sparso una spanna di letame e aspetto solo che vengano ad arare, poi torno a seminare. Cosa ci devo fare di più?

E:  si, lo so, che vuoi bene alla mia terra, che la tratti bene e le dai molto da mangiare. Però a me, così, rende troppo poco.

A:  solo che non mi voglia ancora aumentare l'affitto. Per pagare quello dell'anno scorso, mi son dovuto levare le mutande.

E:  è poco, è poco. Con il mio fattore abbiamo pensato un sistema per farla rendere di più. Guarda. (tutti intorno alla mappa) Guarda. Questo è il progetto di cosa voglio fare sulla mia terra. Nella punta vicino al "maron salvadagh", tiriamo giù tutte le piantate e facciamo un bell'apertura, un bel parcheg­gio, per macchine, birocci, barussine e biciclette. Venendo più in qua, dopo la siepe dei "cagapui", in direzione della Rangona, ci costruiamo un bel capannone. Pensa: "'na ciappa" di capannone. Due mila metri quadrati di capannone.

A:  un capannone? Ma per far cosa?

E:  si, una sala da ballo. Ormai è deciso.

A:  cosa? E lei mette all' acqua tutta la mia famiglia? Prende tutta la terra per fare una grossa balera?

L:  cosa? Un luogo di peccato? Una casa di perdizione? Un lupana­re? Qui sulla terra della mia parrocchia? Non sia mai detto. Vado subito a parlarne col vescovo.

A:  sarà meglio far intervenire anche qualcun'altro, andare più in alto, perchè mi sa che il Vescovo sia poco questa volta.

L:  andrò anche più su, se necessario.

E:  andate dove volete. Ormai ho deciso. Ho già il beneplacito. Comunque ne parleremo con più calma domani, mentre vengo a ri­scuotere l'affitto. Perchè è domani, vero? Arrivederci.

(esce Cornelio (3)

A:  arrivederci. Don Limosna? Qui bisogna fare qualcosa.

L:  si; adesso beviamo.

O:  si, facciamo una bella festa.

A:  macchè festa. Non intendevo questo. Dicevo per la balera. La mia casa diventerà come il Vallechiara di Medolla.

L:  beviamoci sopra e poi vedremo. Non hanno sempre detto che la notte porta consiglio? Allora staremo a vedere cosa succede.

(Cornelio (3) mette dentro la testa)

E:  ma cara, non vieni via con me?

O:  si, caro. Vengo, vengo. (rivolta ad Artiode) Parlerò io a Cornelio per la tua terra.

(escono Cornelio (3) e Dorchede (5) ed entra il postino (6))

P:  fiorellin del prato, ...

T:  sei ancora qui, tu?

P:  stai tranquillo. Non sono qui per te, ma per il nostro plurivedovo, sc-iancamudandi: il qui presente Artiode Spellagatti.

A:  oh, beh, ma, come ti permetti? Cosa c'è ancora? Ti avviso: se hai brutte notizie, torna indietro per dove sei venuto, per­chè per oggi ne ho già abbastanza.

P:  ambasciator non porta pena. Ciappa, mò! E' del tuo amico Gasparino Bertoluzzi. (consegna la lettera ed esce (6))

A:  Gasparen? Gasparino Bertoluzzi, il commerciante di cavalli, che mi scrive? Sarà senz'altro successo qualcosa di grosso. Non mi attento neanche a leggerla.

L:  dalla a me; te la leggo io, analfabetico.

A:  solo mettiti a posto prima la dentiera, che non mi biascichi le parole come con l'altra lettera. Non ho capito nulla.

L:  o taci o te la leggi da solo. Dunque: "caro Artiode". (sbiascicata)

A:  oh, cominciamo.

L:  ti ho detto di tacere. "... mentre che sero in sella alla mia motocicletta Gilera 250 Falcone, per raggiungerti, ho pistato ... una cresta di giara!"

A:  ah, credevo avesse pestato qualcos'altro.

L:  "e ci ho sbagliato una curva. Ho fatto uno scumassino e sono finito nel saldino di Secchia, rompendomi una gamba, che ades­so è instecchettata. Sono a letto con la gamba dura."

A:  ad una certa età, se non si usa il gesso, non diventa duro niente, neanche in città.

L:  taci, somaro. Dì pure delle asinate.

A:  perchè non è vero?

L:  ognuno sa di casa sua, comunque lasciamo perdere e andiamo avanti. "Ma dato che avevo impromesso a mio figlio di venire da te per parlarti della tua Bernarda ..."

A:  come della mia Bernarda?

L:  "che aveva visto attaccata al carretto, si è innamorato e la vuole a tutti i costi".

A:  veh! Si è innamorata della Bernarda? Della mula?

L:  taci, che non è ancora finita.

A:  mi avrà scritto un romanzo. Taglia e tira avanti.

L:  "non ne posso più di vederlo girare a chiedere informazioni a tutti i nostri clienti. Tutti ne parlano bene, per dunque, mi sono convinciuto a mandarglielo da te, domani l'altro, per trattare liberamente la questione. Fidandomi a occhi serrati di te, penso che farete un accordo giusto per entrambi tutti e tre. Per quindi ti saluto, ingurandoti tanti di questi gior­ni felici. Arrivedercelo. Gaspare Bertoluzzi." Finita.

A:  ma se scrive bene, Gasparen. Si vede che lui ha studiato. E' sempre stato furbo "smaladii". Fin da piccolo, per piantare i chiodi, lui teneva il martello e io la capocchia del chiodo. Eh sì, era furbo. Vuole comprare la mia mula? Viene proprio a proposito: vendo la mula, vuoto un posto nella stalla e, con i soldi, metto a posto il padrone. Vale più un "trist" amico che un buon parente.

L:  la data è quella di ieri, dunque arriverà domani.

(esce Togna (4) ed entra Callisto (3) con dei fiori; si pettina e si pulisce, mentre don Luigi ed Artiode lo guardano allibiti)

C:  signor Artiode. (perentorio)

A:  beh, cosa fai tu, con quei fiori? Vuoi andare al cimitero?

C:  no, no.

L:  per me aspetta qualcuna. Guarda com'è tutto tirato a lucido.

A:  ma chi vuoi che lo voglia? Non trova una neanche, se mangia un secchio di sviluppina. Solo che lo guardi.

L:  dai siediti, Callisto.

C:  signor Artiode, posso sedermi?

A:  si, si. Fa pure come se fossi a casa tua. Togna, porta un al­tro bicchiere e un'altro pistone.

C:  questi sono per lei.

A:  per me? Ma sei matto?

C:  no, non proprio per lei, ma per la sua Bernarda.

A:  oggi ce l'hanno tutti con la mia Bernarda. Ma andate a cerca­re la Bernarda di qualcun altro, adesso.

C:  ma a me piace la sua.

A:  io la Bernarda a te non la do, perchè l' ho già promessa via. Ma sei duro, eh. Vuoi capire?

L:  aspetta, aspetta. Ma di che Bernarda parli?

C:  della signorina Bernarda, la figlia del signor Artiode.

L:  allora è risolto tutto il mistero. Te l'avevo detto io, di non chiamare la mula come tua figlia, ma sei un testone che non vuole mai badare.

A:  adesso la mula Bernarda la vendo a Gasparen, così è finita. Per quello che riguarda mia figlia Bernarda: veh, Callisto, penso proprio che non ci sia niente da fare, per te.

C:  ma perchè signor Artiode? Mi conosce. Sono un bravo ragazzo: ho sempre lavorato, ho una certa età ed ho messo da parte qualche soldo, guadagnato col sudore.

A:  no, no. Tu sei molto più vecchio di lei. Lei è giovane, è un fiore. E poi ha una sorella più vecchia. Dimmi: dove si è mai visto che si sposa prima la più giovane, della più vecchia? Prima si deve sposare Delfina.

C:  chi? Delfina? Quel tamone lì?

A:  tamone a chi?

C:  quella non la dovevate chiamare Delfina, ma Moby Dick, la ba­lena bianca.

A:  come fisico, non sarà proprio perfetta perfetta. E' un pò in carne, ma è meglio. Bada a me che ho dell'esperienza. Se fos­se magra, magra, quando l'abbracci, ti sembrerebbe di abbrac­ciare un fascio di "vidon". E' vero don Limosna? Ho ragione?

L:  io, io non so. Non ho questa esperienza. Però, pensandoci, mi sembra che Artiode abbia ragione: è meglio una donna un pò in carne che una di quelle assi da "bugada" che si vedono in gi­ro al giorno d'oggi.

C:  vabbeh essere un pò in carne, ma Delfina si fa prima a saltar­la che a girarci intorno.

A:  ma sai che sei un bello sfacciato. Senti solo quante critiche e quanti difetti trova fuori alla mia bambina.

L:  beh, proprio bambina, non direi.

A:  ma tu per chi tieni? La mia Delfina, poverina, è buona come il pane. Le puoi dire quello che vuoi che non c'è dubbio che si squassi. E' una donna di casa, sa fare le tagliatelle, e soprattutto non ha mai avuto il moroso. Le sono stato tanto attento: è ancora come mamma l'ha fatta. Te lo garantisco io.

C:  ah, chi volete che l'abbia beccata, brutta com'è? E poi diciamola tutta: ha i baffi ed è anche senza dote.

A:  quello poi no. Intanto donna baffuta, donna piaciuta; poi ne ha di doti e a guardarla bene è anche bella.

C:  ma a guardarla bene, bene, ma bene. Eppoi non hanno sempre detto che è meglio una torta in compagnia, che un cipollotto da soli?

L:  cominciate a stufarmi, voi due, con i vostri discorsi. Sembra che la cosa sia da fare domani mattina subito. Sentite tutti e due: tu, Callisto, porti i fiori a Delfina e te la guardi bene. Tu Artiode aspetti qui un attimo che vado in canonica a prendere una cosa che ti riguarda. Ci vediamo fra un pò.

C:  vabbeh. Stanotte ci penso e domani si vedrà. Arrivederci.

(escono Callisto (3) e don Luigi (7); entra Befilde (6) con tre o quattro valigie, tutta accaldata)

Z:  oh, sono arrivata. Cercavo proprio te.

A:  oddio, chi c'è. Befilde. Ma sei già qui?

Z:  vacca, che accoglienza. Certo che non mi aspettavo che tu mi buttassi le braccia al collo, però ...

A:  te le butterei, te le butterei anche adesso. Ma per affogarti.

Z:  non sei cambiato neanche un pò. Però almeno alla fermata del­la corriera potevi venire. Due chilometri a piedi mi hanno fatto fare. Che viaggio. Che viaggio! Tutta un'avventura. Al­le quattro e mezza, questa mattina, ero già in piazza a Puianello, con le mie valigie. C'era uno scuro che non si ve­deva un'orba "gossa" e per la verità avevo anche un pò paura. Allora sono andata sotto un lampione. Non è vero che si ferma uno che andava al caseificio in bicicletta; ha piantato un piede per terra e mi ha detto: "eih, bella ricciolona, monti su?" e mi guardava con due occhioni da fame, che non ti dico. Mi sono girata e gli ho lasciato andare una borsettata sul fi­lone della schiena che è ruzzolato per terra con il bidone del latte e la bicicletta in testa. Pensa solo: me, sulla can­na della bicicletta al posto del bidone del latte, alle quat­tro di mattina.

A:  per forza. Se ti avesse visto alla luce del sole, non avrebbe fatto un errore del genere. Di sicuro.

Z:  brutto villano. Tirata su, faccio ancora la mia figura. Comun­que, per fortuna, è arrivata la corriera e sono salita su di "burida", che se non mi fermava l'autista, sarei saltata giù davanti.

A:  se ti avesse lasciato andare, arrivavi a Modena prima tu del­la corriera. Ci scommetto.

Z:  comunque fino a Modena ci sono arrivata. In stazione sono an­data a fare il biglietto per venire a San Giacomo e quell'im- bambito del bigliettaio ha cominciato a fare mille domande: se volevo andare per San Martino Secchia, se cambiavo a Medolla, se andavo per Cavezzo. Insomma tante domande che non mi lasciava più andare via. Allora gli ho detto: oh, amico, io vado dove mi pare. A farla corta ho perso la corriera.

A:  ma non è tua la corriera; e poi tira fiato che a forza di pa­role e gesti, mi fai ubriacare.

Z:  di chi è questo bicchiere?

A:  è mio, perchè?

Z:  ah. Posso continuare. Insomma quando Dio ha voluto siamo par­titi. Ma tante curve, tante curve, lungo il Canaletto, che mi hanno fatto venire il mal di mare. Io che sono una signora ce l'ho fatta a trattenermi, ma appena sono smontata davanti a Saùl, è stato un attimo. I parpadellini che avevo mangiato ie­ri sera mi sono venuti fuori tutti, anche dal naso. A proposi­to dei parpadellini, vi ho portato il "bassulan".

A:  e per fortuna che sei una gran signora.

Z:  quella belva della Lidia mi è saltata alla gola e voleva li tirassi su; è ancora là che mi urla dietro.

A:  li voleva riciclare.

(entra Togna (4))

T:  toh, Befilde. Come mai da queste parti? Con chi sei venuta?

Z:  ciao, Togna. Son venuta con la corriera, da sola. Se sapessi quello che è successo ...

A:  ah, no, eh? Fermati un attimo. Non tornare da capo, ancora.

T:  dai, racconta che dopo beviamo qualcosa insieme.

Z:  (velocissima) ... ho rimesso tutto, ecco. Dammi da bere.

A:  meno male che son riuscito a schivarmela di nuovo.

Z:  oh! Adesso sto proprio meglio Artiode. Dove sono le bambine?

A:  si, sono passate prima; saranno andate a casa.

Z:  beh, io vado a trovarle. Mi porti tu le valigie?

A:  beh, appoggiale lì, vicino alla porta, che ci penso io.

(esce Befilde (6) ed entra Don Luigi (7))

L:  quasi quasi non lo trovavo più. Lo avevo intanato dentro un cassetto, in mezzo ai santini di San Luigi.

T:  oh, voi due, ormai è ora di cena.

A:  ostrega, è proprio vero. Bravo Togna. Porta due fette di sala­me e qualche ritaglio del prosciutto che stai disossando e un'altra bottiglia. Dico bene, don Limosna?

L:  sacrosante parole. E non dimenticarti una coppia di pane. Al­lora Artiode, sai cos'è questa?

A:  una busta.

L:  non è una semplice busta; una busta basta che sia. Qui dentro c'è il testamento della povera Mafalda.

A:  ecco dov'era finito. Mi aveva detto che aveva fatto testamen­to e io a scaravoltare tutta la casa, per cercarlo. Non pote­vi dirmi che l'avevi tu?

L:  le ultime volontà di Mafalda. Quello che mi ha dettato in pun­to di morte è chiuso qui dentro. Non potevo dartela prima.

(rientra Togna con pane salame e vino, sedendosi con loro)

L:  bravo Togna. Allora prima mangiamo e poi leggiamo.

A:  no, no; prima leggiamo e poi dopo mangiamo, per piacere.

T:  facciamo una cosa: voi leggete ed io mangio.

L:  (aprendo il testamento sbuffando, in piedi) "Io Mafalda Sprocatti in Spellagatti, detto le mie ultime volontà al qui presente Don Luigi. Che il mio patrimonio sia diviso così: la­scio a Delfina, che mi ha sempre aiutato nei lavori di casa, i dieci milioni che sono nascosti nel primo bottiglione in al­to a destra, sull'asse sopra le botti in cantina. Sul botti­glione c'è scritto "veleno per topi". Lascio a Bernarda i die­ci milioni che sono nascosti dentro al portacandele sull'alta­rino di San Luigi".

A:  ecco perchè era sempre davanti all'altarino, a pregare. Face­va la guardia al mucchio dei soldi.

L:  "Lascio a tutte e due le bambine i dieci milioni che sono in­chiodati nel trave di colmegna, in granaio".

A:  s't'an cat cuell, guarda in dal tassèll; certo che, poverina, aveva una bella fantasia. Secondo me era ubriaca. Si sarà ubriacata con tutto l'olio santo che gli hai dato.

L:  no, no, era in pieno possesso delle sue facoltà ... e dei suoi soldi.

T:  ascolta Artiode: ma che mestiere faceva Mafalda?

A:  taci tu! Non permetterti di offendere quella santa donna. Cer­to che vengono dei dubbi anche a me. Trenta milioni? Trenta milioni non sono noccioline, si compra tutto il bosco di San Felice e ce ne avanza. E a me, cosa ha lasciato? (piedi/sed.)

L:  se mi lasci finire lo impari. "Ad Artiode lascio ciò che di più caro ho al mondo, il mio vero tesoro, che è custodito nel­la cassetta sotto il letto".

A:  ah, la cassetta di ferro che è sotto il letto, chiusa con un lucchetto di ferro, grosso così. Per aprire quel lucchetto ci vuole una cannonata.

L:  pssssssss

T:  beh, deve pisciare?

L:  ma no, testone. C'è scritto psss; "P S = post scriptum, due punti: la chiave del lucchetto è sotto le mutande nell'ultimo cassetto del comò, punto".

A:  ah, lo sapevo io. Mafalda ha sempre avuto un cuore grande co­sì. Buona come il pane. Quello che aveva, non era suo. L'ho sposata solo per quello. (in piedi)

T:  valà, che l'hai sposata perchè sapevi che aveva tutti quei soldi e a noi hai fatto credere di essere sempre in bolletta. Sei sempre venuto alla scrocca. (in piedi)

A:  ti giuro che non ho mai saputo che avesse un centesimo; anzi quando andavo a casa sua, a morosa, se volevo sedermi, dovevo portarmi dietro il seggiolino per mungere. Faccio ancora fati­ca a crederci. Secondo me, state facendo uno scherzo.

L:  non te l'ha mai detto per paura che te li bevessi tutti.

A:  ma per voi, come avrà fatto a mettere insieme una cifra così?

T:  forse li avrà vinti al lotto.

A:  forse.

T:  o forse andava davvero a lavorare, la sera, quando tu eri qui all'osteria.

A:  si, faceva i turni di notte. Smettila, malalingua.

L:  non mi sembra il caso di stare a preoccuparci di come li ha fatti o come li ha presi. I soldi ci sono, le divisioni sono fatte ed ha accontentato tutti.

T:  e vissero felici e contenti.

A:  ma sì! Avete ragione. Non pensiamoci più. Festeggiamo adesso: Togna porta un'altra bottiglia.

T:  io vi porto la bottiglia, segno tutto sul conto, vi do le chiavi e quando avete finito, mi raccomando, chiudete la por­ta. Io vi saluto: io, vado a letto. (esce (4) Togna)

A:  vieni qui, don Limosna. Facciamo un brindisi alla buonanima di Mafalda.

L:  ormai è tardi, andiamo a casa anche noi.

A:  no, un altro. Un altro brindisi al suo buon cuore.

L:  ma adesso basta. Ne abbiamo già bevuto abbastanza.

A:  fermati! Un altro al tesoro nascosto nella cassetta.

L:  l'ultimo. (va a sedere)

(si vedono Delfina (1) e Bernarda (2))

F:  papà, papà.

A:  oddio. C'è il fantasma di Mafalda. Perdonami Mafalda! (in gi­nocchio)

F:  papà, sono Delfina. Venite a casa che è già tardi, è già mez­zanotte.

A:  oh, Delfina, sei tu? Vieni a dare un bacino al tuo papà. Fini­sco la bottiglia e poi vengo subito a casa.

B:  papà, vi fate compatire anche questa sera? E alla vostra età? E proprio in una sera come questa?

A:  perchè che sera è questa? E' la sera più bella della mia vi­ta; sono libero e pieno di soldi.

B:  e pieno di vino. Ubriaco come una chioccia. Venite subito a casa.

L:  veh, Artiode? Quando avrai il tuo tesoro, ricordati della tua chiesa e soprattutto del tuo prevosto. Mi raccomando.

A:  capirai, se non metteva le mani avanti. Appena hai due soldi da una parte, subito ti piombano addosso le poiane.

F:  papà, vieni a casa. C'è freddo e c'è già la guazza.

(spariscono Delfina (1) e Bernarda (2))

A:  ma perchè due femmine? Perchè un castigo del genere a me? Ah, se avessi avuto un maschio, un bel maschietto. Potrebbe esse­re qui a festeggiare con me, vero don Limosna?

L:  allora ci sarebbe voluto una damigiana, altro che bottiglia.

(si sente Befilde (6))

Z:  allora o vieni a casa subito o ti chiudo fuori.

A.  arrivo. Aspetta un attimo.

Z:  ho detto subito. (entra in scena e trascina fuori Artiode (6))

A:  ciao, don Limosna. Ci vediamo domani. (esce Artiode (8))

L:  domani? Se le tue donne te lo permetteranno. Tre donne e un och fanno mercato. Ah, che fortuna non avere moglie. Nessuno ti chiama, nessuno ti dice niente.

(si sente Desolata (5) fuori campo)

D:  don Luigi, volete tornare a casa o no. Chiudo il portone del­la canonica?

L:  mi ero dimenticato la perpetua. Non c'è pace nè di giorno, nè di notte.

(esce don Luigi (7); si spengono le luci e solo un faro illumina Befilde (6) che entra urlando e spingendo Artiode (8))

Z:  e le valigie? Che testone, le mie valigie! (Befilde (6) pren­de le sue valigie ed esce con Artiode (8) che brontola)

(luci spente)

                          FINE PRIMA PARTE


                            SECONDA PARTE

(E' notte in casa di Artiode; luci spente. Entra Artiode (8) con una candela accesa)

A:  è il momento giusto: sono tutti a letto. Capirai se io lascio tanti soldi in mano alle mie figlie. Me li tengo io da spende­re con la mia Dorchede. ... Accidenti! Ma cosa hanno lasciato in giro? Ma chi c'è? ... Aspetta che mi nascondo.

(S'illumina l'ingresso e Artiode si nasconde nel cantone della legna; spegne la candela. Entra Delfina (1))

F:  che fame! Ho lo stomaco che ciocca come un lattone vuoto. Bi­sogna proprio che trovi qualcosa da mettergli dentro. Il dot­tore ha solo delle balle: mi ha messo a dieta, perchè ha det­to che ho il tirolo alto, la pressione alta e sono grassa, che sono abbondante dappertutto e devo mangiare solo aglio e cipolla cotta. Se devo badare a lui va a finire che muoio sec­ca come un uscio. (cerca nella credenza) Ma dove hanno messo il bassulàn che ha portato oggi zia Befilde? Se lo trovo, lo mangio con la sporta e tutto. Dopo prendo un bel bicchierone di sale inglese e nessuno se ne accorge. Forse lo hanno porta­to in cantina sopra l'asse. Adesso vado proprio a vedere.

(esce Delfina (1) da una porta laterale; luce spenta)

A:  ufff! E' andata in cantina. Meno male. Ho tutte le gambe in- grillate. Aspetta che comincio ad accendere una candela. Ades­so ci penso io. (prende una candela dall'altare di S.Luigi)

(Si sente Bernarda (2), che poi entra)

B:  adesso la trovo, viva o morta. Dove hanno messo la candela? (rumori)

A:  ancora? Ma che traffico. Sembra di essere in piazza, il gior­no di mercato. Sono proprio curioso di vedere chi arriva ades­so. (torna a saltare nel cantone della legna)

B:  dice che va in sonnambula? Macchè sonnambula. So io cosa cer­ca quella lì. Aspetta, aspetta che accendo la luce, sennò, an­che se c'è, non la vedo. (accende la luce) Oh! Non c'è. Vuoi vedere che è già scappata a letto? Me l'ha fatta anche questa volta. E' andata a rumare anche nel cantone della le­gna. Guarda qui. C'è della legna fin nel mezzo della casa. Sento dei rumori che vengono dalla cantina. C'è! E' lei! E' arrampicata sopra un asse, come un gatto. Sta tornando Delfina. Aspetta che spengo la luce e le faccio patire uno squaglio da farsela addosso. (spegne la luce)

(rientra Delfina (1) con il bassulàn in mano)

F:  l'ho trovato! Mmmmm! Adesso prendo una scodella di latte e mi faccio una bella zuppa. E lascia che dica quella civetta di Bernarda. Ma che confusione.

(si riaccende la luce)

B:  ti ho trovato! Questa volta non puoi negare.

F:  (sorpresa ed impaurita, butta all'aria il bassulàn)

Oddio, che paura! A momenti me la facevo addosso. Ma è questa la maniera? Lo sai che ho la pressione alta e che non devo prendere degli squagli. Brutta schifosa! Guarda, guarda che paura mi hai fatto.

B:  più che vederla, della tua paura sento l'odore. Delfina è ora che ci dai un taglio di andare in giro la notte come un lupo affamato.

F:  io, un lupo affamato?

B:  vuoi dire che sei giro, ma non per cercare da mangiare? Il dottore che ti ha detto che per i tuoi disturbi dovresti fare più movimento e mangiar meno.

F:  ha solo delle balle, il dottore. Io sto benissimo così. Non si è mai sentito dire: veh, com'è bella magra! E poi se bado al dottore, mi fa morire di fame. Dunque mi ha detto: niente pane, niente minestra, niente zuccheri, niente grassi e bere solo un bicchiere di acqua lontano dai pasti.

B:  per il resto puoi mangiare quello che vuoi.

F:  cos'è il resto? Verdura cotta e cruda, non condita; una qual­che mela e qualche pezzettino di carne cotta sulle braci. E questo tu lo chiami mangiare? Ho tenuto botta per due settima­ne, con dei sacrifici da suora di clausura e sai il risulta­to? Quando sono andata sulla bilancia mi ha detto che ero cre­sciuta di tre chili.

B:  per forza che sei cresciuta. Ingorda. Quello che perdi di giorno, lo raddoppi la notte.

F:  il dottore mi ha detto di mangiare poco e spesso.

B:  per te spesso è sempre. Hai sempre la bocca in movimento. Non hai un attimo di requie.

F:  cosa sarà mai una fetta di bassulàn?

B:  adesso basta. Metti giù tutto e torniamo a letto. E stai at­tenta che ti tengo d'occhio dalla mattina alla sera. Da domat­tina si cambia vita. Marsc, a letto.

(escono Delfina (1) e Bernarda (2) e spengono la luce)

A:  meno male che se ne sono andate via. Che male alla schiena. Credevo di dover passare la notte lì dentro. Delfina e Bernarda non sanno niente del testamento. Meno male. Adesso prendo i soldi e poi torno a letto anch'io.

(prende i soldi dall'altarino di San Luigi; in quel momento entra Befilde (6) a luce spenta e segue Artiode)

A:  oohh! Il fantasma della Mafalda! Perdono, perdono! Giuro che non lo faccio più e che rispetto il testamento. E ti prometto che torno a mettere giù i soldi. (si riaccendono le luci)

Z:  aahh! Sei tu Artiode. Cosa fai in giro a quest'ora? E all'or­ba come una quaglia. Mi sembri un ladro.

A:  oddio, Befilde. Ti avevo scambiato per il fantasma della pove­ra Mafalda. Mi hai fatto prendere una paura che per poco non mi fa venire un "tarabaciòn".

Z:  te lo do io il "tarabaciòn". E ti faccio anche sentire se so­no un fantasma o no.

A:  ma ti sei guardata allo specchio? Sembri uno spuncione. Sei proprio come la povera Mafalda. Poverina. Lei era poco bella, ma tu esageri. Sembri la befana.

Z:  perchè sei un bel genere tu! E poi non cambiare discorso: cos'è la storia del testamento e dei soldi?

A:  soldi? Testamento? Ma tu vaneggi.

Z:  e questi cosa sono? E così io vaneggio, è vero? (prende soldi)

A:  beh, ecco ... sembra che Mafalda prima di morire abbia messo via alcuni soldi ... (riprende soldi)

Z:  allora volevi fregare i soldi di Mafalda? La povera Mafalda!   Ma che buon' anima. Che Dio l'abbia in gloria. (strappa soldi)

A:  ma no! Cos'hai capito? Volevo solo vedere se i soldi c'erano veramente. (riprende i soldi)

Z:  va là, va là, che ti conosco. Mafalda, la povera Mafalda, ha visto bene quando mi aveva scritto di venire qui, in caso che fosse morta prima lei di te. (riprende i soldi e li tiene)

A:  bella fiducia che aveva in suo marito. Mi ha fatto fare una vita piena di sacrifici, ma neanche contenta di quello ...

Z:  si vede come sei patito. L' ha fatto solo perchè sapeva che avevi le mani bucate e appena hai due soldi per le mani, vai subito all'osteria da Togna a festeggiare.

A:  io festeggiare? Chissà che feste. Al massimo si apre una bot­tiglia, in compagnia, con don Limosna e Gusten.

Z:  Gusten? Gusten Manassa? Bel soggetto quello lì. Un approfit- tatore di prima categoria. Ha sempre acceso il fuoco con la legna degli altri.

A:  anche lui, poveretto, cerca di sbarcare il lunario come può.

Z:  bada che adesso ti tengo d'occhio e se vuoi che andiamo d'ac­cordo, devi cambiare pelle: devi cambiare pelle come una bi­scia.

A:  se si deve vedere che devo sempre rendere conto a tutti. Tut­ti hanno delle pretese, tutti devono avere qualcosa, tutti pretendono di dare consigli, però il peso della baracca è sem­pre stato mio, su questi due ossicini (spalle). C'ero io, quando Delfina diceva: "papà ho fame! Papà muoio, dammi del pane!" e io, a fare i salti mortali, per accontentarla, poverina.

Z:  e hai fatto male. Era meglio se le facevi patire un pò la fa­me.

A:  capirai se ci prendo una volta. E' meglio morire che continua­re a vivere in questa maniera.

Z:  finiscila di farti compatire.

A:  oh! Hai voglia di litigare? Ma vai fuori dai piedi e lasciami qui, con i miei magoni. Dal tanto che mi va male, mi verrebbe voglia di annegarmi.

Z:  si, nella botte del vino. E' meglio che taci, valà. E poi, in­tanto, i soldi li tengo io, che è meglio, ed è un pensiero in meno che hai tu. E poi così sono sicura che non li vai a be­re. Con questi soldi qui, facciamo la dote per le tue bambine.

A:  si, si! Valà e vatti a cambiare che non siamo per carnevale.

(esce Befilde (6), poi entra Delfina (1))

F:  papà, con tutta questa confusione mi avete svegliata e questa notte non ho ancora dormito.

A:  te lo credo. Sempre in giro a cercare da mangiare. Comunque non è niente. Facevo due chiacchiere con tua zia Befilde. A proposito Delfina: ho parlato di te con un ragazzo.

F:  di me ad un ragazzo? Chi è?

A:  questo non ti deve interessare, per adesso; ma preparati subi­to; tirati su e pulisciti bene; fai il bagno nella mastella, anzi, meglio nel "soi da bugada", stai attenta, mi raccoman­do. Magari prima di sera affettiamo anche il salame.

F:  ma papà, volete dire che mi ha chiesto in moglie?

A:  non proprio, ma sto convincendolo. Sei in "brusia"; sei vici­na come la cotica al grasso.

F:  oh Signore, ti ringrazio.

A:  ringrazia piuttosto tuo padre che pensa sempre al tuo futuro. E poi guarda che non è detta l'ultima parola. Speriamo solo che non voglia niente in aggiunta. Comincia a prepararti, men­tre io vado nella stalla dalla mula, che prima ragliava. Le devo dare una bella strigliata, chè oggi la vendo.

F:  Bernarda? Ma chi volete che la prenda, con tutti i difetti che ha? Quella lì va bene solo per fare della mortadella.

A:  c'è uno interessato a comprarla. Solo che vada fuori di qui. E poi mi servono i soldi per pagare l'affitto.

(esce Artiode (8))

F:  oohhh! Non sto più nella pelle. Mi hanno chiesto in sposa. Chissà come scoppierà d'invidia quella capra di mia sorella, lei che si crede di essere la più bella. Adesso glielo faccio vedere io. Alè! Adesso iniziamo a fare un pò di ginnastica per snellire i fianchi. Così mi viene il vitino da vespa. (inizia a fare ginnastica) Uno, due; tre, quattro; ......

(entra Bernarda (2))

B:  ma sei diventata matta? Ma cosa fai?

F:  faccio ginnastica!

B:  guarda cosa mi tocca vedere. Non hai mai mosso un dito per al­zare uno spillo e tutt' un tratto ti metti a fare ginnastica?

F:  si! Mi metto a fare ginnastica per stare dentro al vestito bianco.

B:  ma se l'unico vestito bianco che hai è quello della cresima. Lì, non ci stai dentro di sicuro.

F:  le spose si mettono tutte il vestito bianco con il velo lungo.

B:  spose? E chi si sposa? Tu? Ma con chi?

F:  si, io mi sposo. Il papà ha già combinato tutto.

B:  schifosa! Fuori il rospo! Cos'è questa storia? A te ha pensa­to il papà e a me non permette neanche di parlare con Pacifi­co il campanaro?

F:  cosa vuoi: non è questione di parlare; è questione di piace­re. Se sei piaciuta (accavalla le gambe) sono gli uomini che ti chiedono in moglie. Io sono piaciuta, perchè, vedi, dieta o non dieta, preferiscono quelle in carne come me e non gli stecchi come te.

B:  brutta budellona. Mi prendi anche in giro? Dispettosa. Chi ha smarrito Benito?

F:  ma Benito chi?

B:  c'era un bel ragazzo che mi teneva dietro da due mesi, quando andavo a Messa e poi, ogni tanto, passava anche qui, davanti a casa. Dì che non ne sai niente. Spuzzul che non sei altro!

F:  ma era quello che passava in bicicletta?

B:  sì, proprio lui. Beh, adesso non passa più. Com'è?

F:  avrà perso la bicicletta. Passava venti volte al giorno e quando arrivava sul passo gli toccava sempre di fermarsi per­chè saltava giù la catena.

B:  era tutta una scusa per potermi vedere.

(entra Befilde (6))

Z:  ma senti quanti piagnistei ci sono qui dentro. Cos'è tutta questa confusione?

F:  zia, lascia pure che si sfoghi.

Z:  che si sfoghi pure. Ma almeno ditemi cos'è successo.

F:  Bernarda piange perchè ha paura di rimanere putta. Aveva un moscone che passava qui e adesso non passa più.

B:  proprio così. Ed è tutta colpa sua.

F:  te lo dico anch'io che non passa più: gli ho dato una smarri­ta.

Z:  cosa hai fatto?

F:  eih, dai una volta, dai due, dai tre, mi sono stufata. Un bel giorno gli ho detto:"Oh, capo! Se tornate a fermarvi qui, uso lo schioppo". Da allora non l'ho più visto.

B:  te lo dico che sta alla larga. Gli ha promesso delle schiop­pettate.

Z:  ma è vero?

F:  ma non gliel'ho tirata.

B:  ci sarebbe mancata solo quella. Lo hai fatto apposta, solo perchè eri invidiosa. Io avevo i corteggiatori e per te non c'era neanche un cane che ti pisciasse nelle vesti.

F:  e tu allora, adesso sei gelosa perchè io mi sposo e tu no.

Z:  cos'è questa storia? Chi è che si sposa?

B:  lei. Delfina. Il papà le ha detto che ha già combinato tutto. Solo io rimango putta.

Z:  macchè putta e putta. Qui, l'unico che non si deve più sposa­re è vostro padre. Adesso smettetela di gnolare e di litigare che andiamo a Mirandola a fare spesa. Se davvero Delfina si sposa, bisognerà pensare a comprare dei vestiti nuovi per tut­te.

F:  ma noi non abbiamo neanche un soldo.

Z:  ci penso io, poi me li faccio dare da vostro padre. Andiamo.

(escono Delfina (1), Bernarda (2) e Befilde (6); entrano Artiode (8) e don Luigi (7))

A:  dai, don Limosna. Vieni dentro. Hai fatto colazione? Non c'è tanto; ti devi accontentare: un culo di salame, due uova, ma è tutta roba genuina che ho fatto io.

L:  anche le uova?

A:  sicuro! Beh, no; le uova sono fatte dalle mie galline, che è lo stesso.

L:  ah, credevo.

(Desolata (5) da fuori, poi entra)

D:  don Luigi? Don Luigi?

L:  sono appena arrivato e Desolata mi chiama già. Cos'è successo?

D:  con permesso?

A:  vieni dentro. Vieni dentro, Desolata.

L:  cosa c'è?

D:  c'è il sig. Cornelio che dice di aver bisogno di lei.

A:  il padrone? Vuoi vedere che si è pentito e non vuol più fare la sala da ballo?

L:  digli pure di venire qui, chè tanto questa è casa sua.

A:  forse ancora per poco, però è ancora casa mia.

D:  no, aspetta là in canonica. Mi ha detto che è una cosa riser­vata e che Artiode non ne deve sapere niente.

L:  certo che tu hai un gran pregio: sei segreta come il tuono.

D:  oh! Mi è scappata.

L:  è più facile ti scappino, che tu riesca a trattenerle. Dai, andiamo a sentire cosa vuole il sig. Cornelio.

(esce don Luigi (7))

D:  hai sentito? Hai sentito, Artiode, come mi tratta don Luigi? E io che mi faccio in quattro, per lui. Ma uno di questi gior­ni mi trovo un vedovo anch'io e mi faccio la mia famiglia. Chi vuole capire, capisca.

(esce Desolata (5))

A:  mah, dicono tutti che non capisco nulla. Perciò ... Si fa in quattro? Poverina. Non capisce che ne basterebbe una mezza.

(esce Artiode (8); rientrano Befilde (6), Delfina (1), Bernarda (2) e si provano i vestiti acquistati)

F:  ma oddio! Chissà cosa dirà il papà quando vedrà tutta questa roba.

Z:  lascia che dica. Quando è poi stufo, tace.

B:  meno male, zia Befilde, che sei venuta tu, a darci una mano. Noi non ci saremmo mai azzardate a spendere tutti quei soldi.

F:  anche perchè non ne ho mai avuto uno in tasca. Adesso chi glielo dirà, a papà?

Z:  eh! Quante balle! Con quel vecchio ci penso io. Adesso andate di là a provarvi i vestiti eppoi vedrete che sarà contento an­che lui della nostra spesa.

B:  io non lo credo proprio. Non ci ha mai lasciato mettere il na­so fuori dall'uscio, per paura che gli spendessimo i soldi.

F:  io mi sono sempre messa i vestiti della povera mamma. Prima perchè ero piccola, me li accorciavano eppoi quando sono cre­sciuta ...

B:  te li allargavano.

F:  no, veh, cocca bella. I panni della mamma mi sono sempre anda­ti bene così e la tua è solo invidia, perchè io ho tutte le curve al loro posto e sono piaciuta, non come te che sembri un asse da bugada.

B:  sì, curve: come quelle di una botte! E' tutta ciccia e basta. E guarda come parli, accorcia la lingua, sennò..

Z:  dai, smettetela adesso.

B:  non la sopporto più. Mi ha cotto, lei e la sua aria da Maria pentita. Fa sempre quello che le pare e non prende mai nessu­na colpa. Per forza! Non fa mai niente. Come fa a prendere delle colpe?

F:  ah, sì? Eh! Io non faccio mai niente? Hai un bel coraggio a parlare. Intanto io devo farmi la mia bella dote, perchè quan­do sarà ora, voglio avere tutta la mia robina pronta.

B:  sì, con la scusa della dote, sta sempre lì a spigossare in poltrona con l'uncinetto in mano; va a finire che una qualche volta stramazza a terra o s'insfruccia l'uncinetto in un oc­chio e s'accoppa. Senza contare che con l'età che ha, ormai la sua dote ce la possiamo dividere noi due e ce ne rimane an­cora. Ha riempito tutto il "tasselmort" di lenzuola, federe e camicie da notte, mutande, mutandine e mutandoni. (rivolta a Befilde)

F:  proprio tu parli? Tu, Bernarda, sei andata a scuola per impa­rare a fare la sarta e non sai neanche attaccare un bottone.

B:  chissà che lavoro fare la sarta, "ciossa" che non sei altro! E' solo questione di fare un pò di pratica. Eppoi per fare la sarta ci vuola la stoffa. E la stoffa, costa!

F:  e la voglia di lavorare! Bella sarta che sei.

B:  aspetta che ti faccio vedere.

F:  beh? Adesso dove va?

Z:  mi ha detto che ti ha preparato una bella sorpresa.

B:  ecco qua. Guarda: è per te.

F:  per me?

Z:  sì, provatela subito.

B:  sì, cavati giù. E' quel sottanino che mi avevi detto di strin­gerti in cintura. Visto che l'ho fatto?

(mentre Delfina si mette il sottanino che le sta malissimo)

B:  stai attenta che se ci cade addosso, ci accoppa.

Z:  certo che qualche modifica bisogna farla ancora.

B:  ma se è quasi perfetta.

Z:  ecco. Hai detto bene: quasi.

F:  ma cos'è questo "pipul"?

B:  è l'ultima moda francese, patalùc.

F:  ma sì, valà! Me l'hai rovinata.

B:  oh, come sei difficile. Era un sottanino che mettevi solo per casa e faceva schifo.

F:  era l'unico che m'insottiliva.

Z:  dai, smettetela di litigare e pensiamo a trovare dei preten­denti.

B:  quel qualche povero disgraziato che ha avuto il coraggio di venire davanti alla porta di casa è stato smarrito.

Z:  non vi preoccupate e vedrete che qualcuno, prima o poi, si fa­rà vivo.

B:  prima o poi.

F:  sarebbe meglio prima, perchè alla tua età, Bernarda, ogni mi­nuto è sprecato.

Z:  se mettiamo lo zucchero sulla finestra, i mosconi arrivano. Eehh, se arrivano ... Dai, dai, andiamo di là a farci belle.

(escono Befilde (6), Bernarda (2) e Delfina (1); entra Artiode (8))

A:  è una impresa impossibile! (mentre escono figlie e zia)

E cosa sono quelle scatole lì? "Premiato cappellificio Fusta­gni Ildebrando e figli in Bologna". Ma Befilde è diventata matta? E' anche capace di andare in giro con questa specie di ombrellone qui. Ma sì, valà, sto proprio bene. (si guarda al­lo specchio) Ci vuole proprio una bel grugno, per andare in giro bardati così.

(entra Befilde (6))

Z:  cosa fai con quel cappello? Mettilo giù subito. Me lo rovini.

A:  oh, il suo cappello, glielo rovino. Ma dimmi dove devi andare con questa barchessa qui. Stai attenta che, se tira un buffo di vento, voli via.

Z:  se gli asini volassero, a te bisognerebbe dare da mangiare con la fionda, tanto voli alto.

A:  non cominciare ad offendere. Dimmi piuttosto da dove viene fuori tutta questa roba.

Z:  l'abbiamo comprata. Siamo andate a Mirandola e abbiamo fatto spesa; rinnovato il guardaroba, che ne aveva proprio bisogno.

A:  rinnovato il guardaroba? Ma il tuo cervello è da rinnovare. E' andato in "pappuia". Ti ho visto prima che avevi due vali­gie da emigrante e, a dir la verità, mi sono detto: "è fatta, torna a casa". E invece, niente. Torno a casa e non solo ti ritrovo qui, ma hai speso tutti quei soldi. Non mi verrai a dire che non hai più niente da metterti.

Z:  guarda che io il mio bisogno ce l'ho. Questa roba è per le tue figlie.

A:  hai fatto loro proprio un bel regalo. Chissà come saranno con­tente.

Z:  macchè regalo. Questa è tutta roba che ho pagato con i tuoi soldi.

A:  cosa hai fatto? Disgraziata che non sei altro. Prendi tutta quella roba e portala indietro subito. Se si deve vedere: han­no tutto il guardaroba pieno e lei va a comperare ...

Z:  sì, un guardaroba pieno di stracci, caro mio. Bisogna modernarsi. Se si deve vedere delle giovani pronte da marita­re che vanno ancora vestite con i panni che andavano sotto il duca Passerino.

A:  adesso capisco. Per te è solo questione di moda. Cara la mia Befilde, qui siamo in campagna e una ragazza non ha bisogno di andare in giro vestita all'ultima moda, squassando il cu­lo, come un' anatra, per trovare marito.

Z:  vacca. Sei grezzo come un fascio di malgari. Bisogna aggior­narsi, tenere il passo del progresso. Cosa vuoi sapere tu che hai girato il mondo, come la coda del porco. Antiquario. Ades­so t'insegno io, come si fa ...

A:  a spendere i soldi.

Z:  hai proprio un chiodo fisso in testa, con questi soldi.

(esce Befilde (6))

A:  due volte coglione, sono stato. La prima quando ho sposato sua sorella e la seconda quando le ho permesso di rimettere i piedi in casa mia.

(esce Artiode (8); entrano Desolata (5) e Natalino (4))

D:  Artiode? Artiode?

N:  permesso?

D:  sembra che in casa non ci sia nessuno.

N:  spero almeno che la signorina Bernarda si faccia vedere. Ho fatto tutta questa strada per lei.

D:  ma dove vuole sia andata; è sempre qui in giro. Al massimo va nel pollaio a dar da mangiare alle galline.

N:  signorina Desolina? Sono vestito bene? Sono ben pettinato?

D:  ma sì, non si preoccupi. ... Al sembra un "parigen", proprio come Bino Gavioli. Con quelle due labbra baciatrici sembra proprio quell'attore americano Tirone Power.

N:  ma oltre che alla signorina, io voglio far buona impressione soprattutto al sig. Artiode. Lei dice che mi concederà la ma­no di sua figlia?

D:  se non la dà a lei, a chi vuole che la dia. Artiode? Artiode?

(entra Artiode (8))

A:  cosa c'è ancora?

D:  è arrivato. E' arrivato.

A:  è arrivato? Che il fulmine ti prenda. Ecco cos'è arrivato.

D:  è arrivato il signorino. (fa delle facce)

A:  ma che signorino? (prendendola in giro)

D:  il signorino Natalino Bertoluzzi.

A:  quello che è venuto a comprare la mula.

D:  ma no, ma no ...

A:  taci tu; vai fuori. Vai subito fuori, pettegola. Cosa vuoi sa­pere tu?

(esce Desolata (5))

N:  buon giorno, signor Spellagatti.

A:  oh, bongiorno, signorino Natalino. S'accomodi.

N:  grazie.

A:  sono proprio contento di fare la sua riconoscenza, del figlio del mio amico Gasparen. E il papà, come sta? Vuol bere qualco­sa?

N:  no grazie. Non s'incomodi.

A:  mai stato più comodo in vita mia. Beh, almeno ha il criterio di non bere niente. E' pieno di soldi come un cane pieno di pulci, ci mancherebbe solo che si mettesse anche a bermi ad­dosso.

N:  sa, a papà, ci hanno instecchettato la gamba. E' immobilizza­to a letto e brontola dalla mattina alla sera, perchè pensa che tutti i suoi affari vadano male, senza di lui.

A:  ma non ci badi, sa; è sempre stato un tale brontolone.

N:  certo. Ci vuole pazienza. Comunque sono qui per avere una ri­sposta da lei. Mio padre le ha scritto il motivo che mi ha spinto a venire, per quindi è quasi superfluo che io ...

A:  certo. Anzi adesso che siamo qui a quattr'occhi, le dirò che per la cifra ...

N:  non vorrei toccare un tasto così volgare. (in piedi)

A:  e tu lo chiami un tasto volgare? Ma se è il sale della vita. ....  Fa presto lui a parlare, lui che è pieno di soldi.

N:  signor Artiode, io non voglio nemmeno sentir parlare di cifre e di soldi. Quando una cosa piace, non c'è prezzo che tenga.

A:  credo abbia ragione Gasparen a lamentarsi un pò, a dire che senza di lui finiranno in rovina.

N:  eppoi, io e mio padre, siamo sicuri della sua onestà.

A:  per quello senz'altro. Ma forse sarebbe il caso ...

N:  non ne voglio più sentir parlare. Piuttosto, mi dica, se si può concludere.

A:  Diotastrabanadissa! Ma io non aspettavo altro, perchè, si fi­guri, non vedevo l'ora di liberarmene. Mi dà un pensiero.

N:  certo. Ma è così giovane.

A:  ma se è ancora una bambina, che si farà. Ma bisogna però met­terla in "caràda". Eppoi le dirò che ad un altro, l'avrei ven­duta e basta. Ma tra noi, solo per l'amicizia che mi lega a tuo padre, devo dire anche tutti i difetti che ha Bernarda.

N:  beh, tutti abbiamo qualche difettuccio. (si siede)

A:  oh! Non per spaventarti, ma solo per avere il cuore in pace e la coscienza a posto. Ecco, vede, Bernarda è bella, è bella che di belle così non ne vedi neanche una in giro. Vai pure a Mantova, a Verona o a Modena, e perfino a Lonigo, dove ci so­no i campioni: si può girare per tutti i mercati; così bella non ne trovi.

N:  sì, è bellissima.

A:  e il petto? Ma l'ha notato il petto?

N:  nooo! (scandalizzato)

A:  e cosa dovremmo dire dei fianchi? Belli, pieni e stagni. Sen­za stare a parlare delle gambe. Ma hai visto ancora delle gam­be così?

N:  no, veramente non gliele ho mai viste le gambe.

A:  ma allora come si fa a stimare un asino coricato, a comprare senza guardare la merce?  Ha due gambe che neanche Tina Pica le ha così. Ma se ti devo dire la verità, insomma se davanti la facciata è bella, i difetti li troviamo, come dire, nel di­dietro.

N:  oh, perbacco! Nel didietro?

A:  sì, ma sono poi cose da poco. Cose che con un pò d'amore ed un pò di fermezza, va tutto a posto.

N:  amore, tutto quello che vuole. Per la fermezza, eih ...

A:  eppoi è così giovane, che da lei, sapendoci fare, può avere tutto quello che vuole. Anche se s'impunta.

N:  beh, quali sono questi difetti?

A:  eih, uno gliel'ho già detto: ogni tanto s'impunta, come una mula, e non c'è niente da fare. Si pianta lì e non vuole cam­biare idea. Il fatto è che è un pò nervosetta e quando pianta il muso, non risponde più.

N:  nooooo!!! (in piedi)

A:  ma io ho trovato il rimedio: la accarezzo piano, piano, in te­sta e gliela liscio con una spazzola. Lei si calma e torna a darmi a mente.

N:  beh, se non è che per questo.

A:  eh no, caro lei. Ce n'è ancora. Vede, soffre un pò di giramen­ti di testa, una specie di mal cadùt.

N:  oh, piccola cara.

A:  a volte, quando le vengono quegli attacchi lì, cade giù come una pera cotta; si butta a terra che sembra uno straccio.

N:  poverina ...

A:  ma è un male da poco. Basta prenderle la testa tra le due ma­ni e tirarla su piano piano per il collo. Lei si sveglia che è fresca come una rosa. Non le sembra più niente.

N:  spero sia tutto.

A:  no; purtroppo c'è ancora qualcosa: scalcia.

N:  scalcia?

A:  ma roba da niente. Basta essere svelti a schivarli. Ieri mi ha tirato un calcio nel cavallo dei pantaloni, che se non fos­si stato svelto, potevo andare a cantare nel coro delle voci bianche.

N:  mira nelle parti delicate?

A:  si capisce. Con il giudizio che ha.

N:  perchè, non ha giudizio?

A:  ma che giudizio vuoi che abbia una bestiolina così. Ma nessun problema: basta farle "il gratussli" sotto le "lasene", che si calma subito e si mette la testa fra le gambe.

N:  dove mette la testa?

A:  eih, lo so che non fa un bel vedere, ma quel che conta è il risultato.

N:  spero non ci sia proprio altro.

A:  eh, no. Ce n'è un altro ed è il difetto più terribile: morde.

N:  morde?

A:  e con che denti.

N:  quelli li ho visti, ma se morde ...

A:  ma nessuna paura: basta mettergli una carota ed uno zuccheri­no in bocca, che torna calma come un agnello.E' solo questio­ne di allenamento. Basta fare un pò di pratica per la veloci­tà: quando apre la bocca, carota e zuccherino. E' un attimo. E' così golosa di dolci.

N:  oh, perbacco.

A:  ma al di fuori di questi, non ha altri difetti.

N:  a dir la verità, non mi sembrano pochi.

A:  ma te l'ho detto: è giovane e se viene cresciuta bene, impara subito ed è tutta una passeggiata. Sono sicuro ti renderà più di quanto hai speso. Al prim guadagn al s'fa in dla compra.

N:  mi permetta di pensarci un pò su. Devo fare degli affari in paese. Ci vediamo dopo.

A:  va bene, così te la faccio vedere da vicino. Vedrai che t'in­namori subito. A proposito mentre sei in giro per il paese prendi tre zuccherini ed una carota; non si sa mai.

N:  non si preoccupi. Ormai sono troppo preoccupato io, per preoc­cuparci in due. Arrivederci.

(esce Natalino (4); entra Desolata (5))

D:  guarda che secondo me non hai capito niente.

A:  brutta pettegola, va fuori di casa mia. Braghera. Vai a dare giù la polvere ai confessionali, che ne hanno sopra due dita.

D:  l'è tastòn cumè 'n bricc; chi fa d'so testa, paga d'so bisàcca. T' advintarà fùrub, quand l'ùa la farà di figh.

A:  non rovinarmi la giornata, che da male che era partita, ini­zia a prendere la piega giusta.

D:  allora ti tornerà ad andar male perchè so che il padrone di casa sta venendo qui. Ciao Artiode.

(esce Desolata (5))

A:  oh, ma sei proprio tu che mi porti scalogna.

(entra Dorchede (4))

O:  Arti, Arti, pucci, pucci?

A:  ma vieni qui mia bella bambolona.

O:  c'è poco tempo e tra un pò arriva anche Cornelio. Ci siamo da­ti appuntamento qui ed io sono venuta prima, per stare un pò con te. Però sta fermo con le mani.

A:  ma come faccio a stare fermo con le mani, quando mi guardi con quei due occhioni?

O:  Arti? Prima vorrei chiarire bene una cosa: quella storia dei trenta milioni, è vera?

A:  sicuro. Sono trenta milioni, uno sull'altro.

O:  e li avremo tutti per noi da spendere?

A:  ma sono tutti tuoi, cocca bella.

O:  questo sì, che si chiama amore. Non come fa quello stupidotto del mio moroso, che non sgancia mai una lira e per il mio com­pleanno mi ha regalato una sua poesia stupida d'amore. Sen­ti:"Perchè  questa giornata sia ancor più bella e lieta, vo­glio mia cara farti un omaggio, con il presente piccol sag­gio, assai modesto e di scarso valore, ma col merito che l'ha dettato il cuore. Buon compleanno Dorchi. Per te amore. Tuo Corni." Poi mi ha detto: basta il pensiero. Spilorcio! Tu sì, che fai sempre dei bei regali.

A:  pellicce, oro, gioielli, tutta roba che va bene per te. Ma adesso dammi una bella abbracciatona.

(entra Cornelio (3))

E:  buongiorno, signor Artiode. Ciao, amore mio.

A:  bongiorno.

O:  ciao. (secca e seccata)

E:  è sempre così "smulsina". Comunque veniamo ai nostri interes­si. Artiode, hai preparato i soldi per l'affitto della terra di quest'anno?

A:  ecco, signor padrone: i soldi ci potrebbero anche essere, ma se potessi avere una proroga, sarebbe meglio.

E:  cos'è questa storia della proroga?

A:  vede, devo solo trovarli, i soldi, perchè sono qui per casa, sono sicuro, ma non ho ancora avuto il tempo di cercarli.

E:  ma che fola è questa?

A:  è una storia lunga e non è il caso che l'annoi raccontando- gliela, ma se solo avesse la pazienza di aspettare un pò, ec­co ...

O:  ma certo, vero caro? Perchè non vai un pò fuori a vedere la terra per il nuovo piazzale, mentre il signor Artiode va a cercare i soldi dell'affitto?

E:  mi sembra una buona idea. Vieni anche tu cara?

O:  se non ti dispiace, io rimango qui, mentre mi rinfresco (scal­do) un pò. Col caldo (freddo) che fa oggi, vorrei proprio be­re qualcosa di fresco (caldo), magari una mentuccia.

E:  allora io vado a fare un giro in campagna. Ci vediamo fra una mezzoretta: va bene?

A:  faccia pure con comodo. Alla signorina ci penso io.

(esce Cornelio (3))

A:  vieni qui "stradora". Dammi subito un bacione.

O:  come sei sempre focoso. Tu sì, che sai come prendermi, non co­me quell' insiminido del mio moroso.

A:  io non posso più vivere senza di te.

O:  anch'io, Arti, non posso più vivere senza di te e senza i tuoi soldi. Ma è proprio vero che hai ereditato una fortuna?

A:  te l'ho detto: con tutti i soldi che mi ha lasciato, possiamo scappare via e non farci più vedere.

O:  e le tue figlie?

A:  le ho mantenute fino adesso, è ora che si arrangino. Ho già un piano: Delfina se la prende Callisto, che voglia o no, e Bernarda? Quella è un problema, col caratterino che si ritro­va. Se nessuno la vuole, la mando nelle suore. Befilde la man­do a casa e noi scappiamo a Crocicchio Zeni, così non ci fac­ciamo più trovare.

O:  ma sei sicuro che mi farai fare una vita da signora?

A:  con tutti i milioni che avrò, farai una vita da gran signora. Quella che ti meriti.

O:  non ti ho mai voluto bene, come adesso. Abbracciami.

(entra Befilde (6) che scopre i due abbracciati)

Z:  brutti sporcaccioni, che non siete altro. Vergognatevi. Non vorrei aver visto quello che ho visto. Bernarda? Delfina? Brut cancar. Venite qui! Se si deve vedere una cosa del gene­re. Hai appena seppellito la tua terza moglie e trovi subito come consolarti. Senza parlare di questa signora che non ha rispetto dei morti. C'è solo un nome per le donne come lei e quel nome è p...

A:  padrona! E' la padrona di casa.

Z:  ma allora è la morosa del signor Pallone, il padrone.

A:  sì, il signor Cornelio, il padrone.

(entra Cornelio (3))

E:  qualcuno ha fatto il mio nome?

Z:  si.

A:  no.

O:  oh caro, ma perchè non porti fuori, un pò, anche me e non mi fai vedere le nostre proprietà?

E:  non te ne sei mai interessata, comunque se proprio ci tieni.

O:  sì, non vedo l'ora di uscire da questa casa, per fare due pas­si con te.

(escono Cornelio (3) e Dorchede (4))

Z:  brutto delinquente, rovinafamiglie, che non sei altro. Ecco perchè non c'erano mai soldi per la casa e per le tue figlie. Tu li spendevi tutti per mantenere i vizi di quella, di quel­la ...

A:  signorina.

Z:  no, non era questo, ma hai capito lo stesso. E non fare tanto il furbo che la maniera d' incastrarti l'ho già trovata. Brutt nimal da zotta che t'an s'è altar! Potrebbe essere tua figlia due volte.

(Dorchede (4) mette dentro la testa)

O:  vi siete chiariti? Arti, ho convinto il mio moroso a portarmi a casa; gli ho detto che mi è scoppiato un gran mal di testa.

Z:  ma a lui non è ancora venuto il mal di testa con il peso del­le corna che si porta?

A:  taci, slinguassuda.

O:  allora Arti, ci vediamo presto.

(esce Dorchede (4))

Z:  Arti? E' così che ti fai chiamare? Arti, Arti ... pensa te, alla tua età stai ancora a correre dietro alle sottane delle donne. Ma pensa cosa diranno le tue figlie, quando racconterò loro quello che ho visto.

A:  sei matta? Non vorrai spifferare tutto? Sarebbe la mia rovina.

Z:  la tua rovina, sei tu. Ma vedrai che cosa ti combino.

(esce Befilde (6))

A:  lo sapevo io, che con quella vipera lì, tra i piedi, sarebbe andato tutto all'aria. Ma adesso non c'è più un minuto da per­dere. Devo subito trovare gli altri soldi. Allora, mi sembra ci fosse scritto che gli altri erano in cantina.

(entra don Luigi (7), con Bernarda (2) e Delfina (1))

L:  Artiode? Dove stai andando?

A:  non c'è più un momento di requie. Stavo andando giù in canti­na a prendere ...

L:  a prendere?

A:  eih, a prendere una bottiglia di quello buono.

F:  lasciate stare papà e mettetevi a sedere qui con noi.

(Artiode si siede con le figlie ai lati e don Luigi dietro, come se fosse un interrogatorio)

B:  cos' è questa faccenda del testamento?

A:  testamento?

F:  non fate il furbo, papà. Don Luigi ci ha già detto tutto.

A:  bel lavoro, fidarsi degli amici. Appena possono ... amici e parenti fregano la gente. Comunque, io non so proprio niente.

L:  Artiode? Perchè ti ostini? Gliel'ho già letto tutto anche a loro. Sanno tutto. Dai a Cesare quel che è di Cesare.

A:  e allora portami qui Cesare che facciamo i conti e gli do quello che gli spetta; ma agli altri, non do niente a nessuno.

L:  ma non puoi fare questo.

A:  come non lo posso fare? Chi è il padre qui? Chi è il padrone in questa casa?

L:  fa il coglione per non pagare dazio.

A:  quando uno è in bolletta, nessuno gliene dà: arriviamo ad un compromesso.

F:  e quale sarebbe?

A:  sentite. Venite qui cocchine belle di papà; mettetevi qui sulle mie ginocchia come quando, da bambine, vi raccontavo le favole, prima di andare a letto. Ho duemila problemi da risol­vere: lasciatemi due ore di tempo e metto a posto tutto. Ve lo posso giurare sulla fedeltà che ho sempre avuto per vostra madre. (Delfina e Bernarda ballano sulle ginocchia di Artiode)

B:  ma noi non siamo più bambine e alle favole non ci crediamo più. Eppoi un sacco di pensieri, non paga un soldo di debito.

F:  beh, papà, vi lasciamo andare. Però don Luigi verrà con voi.

A:  va bene! Allora, don Limosna, andiamo.

(escono don Luigi (7) ed Artiode (8))

F:  abbiamo fatto bene?

B:  ma perchè nostro padre vuole tenersi i nostri soldi?

F:  non hai sentito tutti i problemi che ha?

B:  sì, so che nostro padre tra i problemi ne ha sempre avuto uno solo e tu sai qual'è. Non capisco come mai gli altri contadi­ni vivano bene, sposano i loro figli, all'età di nostro padre si facciano anche un pezzo di casa, mentre a noi non dà mai niente e lui è sempre in bolletta dura.

F:  questo è un bel mistero; vado dalla zia a raccontarle quello che è successo.

(esce Delfina (1), poi entra Natalino (5) che è solo con Bernarda)

N:  che bella creatura, che donna soave, che angelo, ...

B:  oh, è proprio quel bel ragazzo che ho incontrato quella volta che sono andata in processione a Mirandola.

N:  signorina, permettete di presentarmi: sono Natalino Bertoluzzi. Vostro padre non vi ha parlato di me?

B:  no, mio padre non mi ha detto niente.

N:  a me invece, ha parlato molto di voi, del vostro davanti e an­che del vostro didietro.

B:  maleducato che non siete altro; si parla così ad una ragazza per bene. Chiedetemi subito scusa o non vi parlo più.

N:  ma non volevo essere offensivo. (Bernarda s'impunta e fa il muso) Signorina? Signorina? ... Mi sembra che suo padre mi ab­bia detto che quando s'impunta, le devo lisciare la testa e carezzarla con una spazzola. (esegue)

B:  povera me! Questo è troppo. (sviene)

N:  proprio come aveva detto il signor Artiode. Ha il mal cadùt. Ma ora sono pronto: dunque prendo la testa tra le mani, la schiaccio e la tiro su per il collo. (esegue)

B:  mettete giù le mani. Credevo che voi foste così gentile e pre­muroso. (scalciando mentre Natalino le tiene lontana la testa)

N:  ma lo sono. ... Tutto corrisponde. Allora, quando scalcia, at­tenti al cavallo e "gratussli" sotto le "lasene" ... morde? Ma se morde ... carota e zuccherino. (Bernarda finisce con la testa fra le gambe e tenta di mordere Natalino; Natalino le infila in bocca carota e zuccherino)

B:  delinquente che non sei altro. Adesso vi faccio vedere io. Vi faccio riempire la faccia di pugni. Papà? Papà! Aiuto!!! (spu­tandogli addosso tutto e divincolandosi)

(entra Artiode (8))

A:  cos'è successo?

B:  questo ragazzo mi vuol fare del male.

A:  vergognatevi! Fare del male alla mia bambina. (ceffone)

N:  ma siete stato voi a dirmi di trattarla così.

A:  io?

N:  sicuro. Quando sono venuto a chiedervi la sua mano.

B:  la mia mano?

A:  allora voi intendavate mia figlia?

N:  ma certo. Io ho parlato di Bernarda.

A:  sì, ma io credevo che tu volessi comprare la mula Bernarda.

N:  allora adesso è tutto chiaro; possiamo fare le carte?

B:  me lo domandi? Andiamo subito, prima che mio padre ci ripensi.

(escono Bernarda (2), Natalino (5); entrano Callisto (3), Togna(4))

C:  signor Artiode, abbiamo pensato che ci piacerebbe anche Delfina.

A:  questi qui, con una faccia così, riescono anche a pensare. Delfina? Delfina, vieni qui. Delfinaaa.

C:  ci piacerebbe proprio di sposarla ... tutta.

A:  come ci?

T:  mio nipote si è confuso. Vuole dire che a lui, e "da par lu", piacerebbe sposare Delfina. Certo che ce n'è tanta che si po­trebbe fare anche in due.

A:  ma siete diventati tutti matti? (esce Artiode (8))

(entra Delfina (1) con Befilde (6))

C:  mi vuoi sposare? (buttandosi in ginocchio ai piedi di Befilde)

Z:  è proprio vero che non arriva ad un chilo. E' lei quella da sposare.

C:  ah! Mi vuoi sposare? (rivolto a Delfina)

F:  ma, ... io, ... non so ...

Z:  ma non fare tanto la preziosa, tu.

F:  ma non posso darmi al primo che arriva.

Z:  sarà meglio di sì, perchè un altro così, dove lo trovi?

F:  voglio almeno che mi corteggi un pò.

C:  cosa devo fare per scortecciarla? Ma come si fa?

T:  dai, ocarone. Alzati in piedi e guardala fissa negli occhi. Fai come Rodolfo Valentino.

C:  ci provo, ma Valentino aveva davanti delle donne più belle.

F:  beh, sta a guardarmi ancora per molto? (rivolta a Befilde)

Z:  taci, che cerca di farti capire che ti vuol bene.

F:  allora, andate ben fuori dai piedi, voi due, che ci penso io.

(escono Befilde (6) e Togna (4); rimasti soli Delfina fa la sexy)

C:  ma cosa mi vuoi fare?

F:  caro, tesoro, ti ha detto niente la mamma?

C:  la mamma mi ha detto di portare a casa una coppia di pane ed un mazzolino di ravanelli.

(vanno sul divano e Delfina corteggia sfacciatamente Callisto)

F:  ma dammi un bacino.

C:  no, perchè rimani incinta. Quando poi siamo sposati.

(entrano Artiode (8), Cornelio (2) e Dorchede (5))

A:  che scena, guardali lì ... che due colombacci ... Ma cosa fai? Non toccare mia figlia, veh! Metti giù le mani.

E:  allora sono pronti i soldi dell'affitto?

A:  signor padrone, c'è stato un rovescio economico, ed io ...

E:  allora non li hai ancora?

A:  veramente li avrei, cioè non sono proprio miei ...

(entra Befilde (6))

Z:  e va bene, ci penso io. Bernarda e Delfina, visti i matrimoni che faranno, non vorranno tenersi tutti i soldi che ha lascia­to loro la povera Mafalda. Perciò cinque milioni una e cinque milioni l'altra te li daranno, solo per tenere la testa al co­perto.

F:  a patto che ci lasciate sposare con i nostri morosi e che pa­ghi il desinare di nozze.

A:  non ci sono problemi; pane e noci è un mangiare da sposi.

Z:  noci e pane è un mangiare da cani.

A:  ma voi mi volete morto. No! Questo no. Non accetterò mai i vo­stri ricatti.

Z:  anche se raccontassi a tutti i presenti, ed in particolare al signor Cornelio, quello che ho visto oggi pomeriggio?

A:  ah, brutta vipera. E' così che mi ripaghi per averti accolto in casa come una figlia?

Z:  ed è ancora poco, visto quello che hai fatto passare alle tue mogli.

(entra don Luigi (7))

A:  allora va bene. Fate come volete. Sposatevi pure, così almeno avrò i soldi per pagare l'affitto. Ma per la balera?

L:  ho convinto io, il signor Cornelio, a lasciar perdere l'idea, veramente dopo una chiacchierata con la signorina Dorchede. E' stata lei a convincerlo a lasciar perdere la balera ... e si è convinta a lasciar perdere tutti i progetti che aveva in testa. (tresca)

F:  allora andiamo a prendere le misure per gli abiti da sposi.

C:  io lo prendo fatto e tutto, perchè ho le misure giuste. Forse per te, cocca, ce ne vorrà una biolca.

Z:  io inizio a spedire le partecipazioni.

L:  e io inizio a preparare la cerimonia, per tutti e quattro.

E:  andiamo anche noi, cara?

O:  addio! (correndo vicino ad Artiode)

(escono Delfina (1), Cornelio (2), Callisto (3), Dorchede (5), Befilde (6) e don Luigi (7); restano solo Togna (4) e Artiode (8))

A:  ecco. Mi hanno lasciato solo come un cane.

T:  no, ci sono rimasto anch'io.

A:  ah, Togna! Almeno tu. Ti devo confidare un segreto. Le arpie si sono dimenticate della cassetta sotto il letto. E' lì, die­tro la porta. Prendila tu, mentre io prendo la chiave.(Togna esce) Ci saranno dentro gioielli di famiglia, collane, bril­lanti, buoni postali, soldi ... Fate pure i vostri matrimoni, tanto io sarò un signorone lo stesso. (torna Togna con la cas­setta) Apriamo, apriamo, prima che tornino o se ne accorgano.

T:  sta calmo, che non scappa via niente. Prendi un bicchiere.

A:  allora?

T:  guarda. (apre la cassetta verso di lui)

A:  mi ha lasciato il ritratto di sua madre, mia suocera, con tut­te la statuine del presepio di Natale. C'è anche un bigliet­to, dai, leggilo.

T:  c'è scritto: "Ci manca solo il bue. Ma con tutte le corna che hai preso, te la caverai alla perfezione."

SE TUTT I CORAN I FUSSAN LAMPION, MAMMA MIA CHE ILLUMINAZION!

                                FINE

USCITA FINALE: 1) Togna e Postino; 2) Desolata e don Luigi; 3) Dorchede e Cornelio; 4) Bernarda e Natalino; 5) Delfina e Callisto; 6) Befilde e Artiode.