Ancora addio

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Commedia in un atto

di Vittorio CALVINO

da IL DRAMMA n. 239-240 - Agosto-Settembre 1956

LE PERSONE

ELEONORA MARINI

GIORGIO VALLI

L'AMMINISTRATORE

GEMMA RESI

ANDREA BONELLI

DARIA PINI UGO LANDI

CECILIA

ARRIGO,

Il portaceste

Un giovanotto

Questa commedia è stata rappresentata dalla Compagnia « Il Teatro delle quindici novità » ideato e diretto da Maner Lualdi nella Stagione Teatrale 1955-56, al Teatro Olimpia di Milano, il 15 novembre 1955, regista De Felice, interpreti Laura Solari, Bettarini, Gazzolo, Donati, Castellani, Vaschetti, Cerliani, Zonghi, Maringola, Scopini. È noto come la trovata di questa singolare Compagnia, che ha rappresentato quindici atti unici di autori italiani, fosse quella di far votare il pubblico di ogni città, dopo la rappresentazione, con la garanzia di un notaio. Ogni scheda comprendeva tre tagliandi con tre « si » e tre « no »; stabilito il rapporto tra i voti negativi e quelli positivi, si poteva alla fine comporre la graduatoria. La Compagnia ha recitato in trentun città; le repliche complessive delle quindici commedie sono state 534, il numero totale delle schede, attraverso le quali gli spettatori hanno animato il referendum per l'assegnazione dei premi, è risultato 198.000. Tutte le quindici commedie sono state replicate venti volte; dopo la ventesima replica sono state sacrificate quelle che erano lontane dai primi posti. I primi sei cui è stata assegnata ad ognuno una « coppa Theo Rossi di Montelera » sono: Marotta e Randone, Montanelli, Soldati, Vergani, Campanile, Calvino. La pubblicazione di questa commedia vuole essere omaggio e ricordo di Vittorio Calvino, non soltanto nostro, ma anche di Theo Rossi di Montelera. di Maner Lualdi e di tutti gli altri autori premiati e no.

Il palcoscenico, vuoto e squallido, d'un teatro di provincia. Le porte dei camerini si affacciano nella penombra. Un pianoforte a mezza coda in un angolo, fra praticabili e scene appoggiate alla parete. A sini­stra, sul proscenio, nel camerino della prima attrice. Questo camerino, con opportuno gioco di luci, deve essere visibile quando l'azione si sposterà dal palco­scenico al camerino stesso.

(Da destra, Arrigo, il portaceste che, aiutato da un uomo robusto, sta trasportando un baule, uno dei caratteristici bauli usato dagli attori).

L'Uomo                 (con sforzo)   Ehi, ferma! Ferma! Pesa un accidente... Siamo in novembre e sudo come se fos­simo in agosto...

(Il baule è posato per terra, l'uomo si asciuga il sudore).

Arrigo                 Te lo avevo detto che c'era da faticare!

L'Uomo                Sì... ma otto bauli, dodici valige e tre cappelliere... non ne posso più! Ma che diavolo ci mettono dentro?

Arrigo                 Tutto. I costumi, gli abiti da scena, le parrucche, i copioni... tutto quello che occorre per recitare... gli attori sono come i marinai o come le lumache... si portano appresso ogni cosa... il neces­sario e il superfluo...

L'Uomo                E tutte le Compagnie sono così?

Arrigo                 Ma che scherzi? Questa è una Compa­gnia secondaria, come si usa dire, ma dovresti vedere le grandi Compagnie... Un tempo io lavoravo con Niccodemi... Quando ero ragazzino, si capisce... Io so' figlio d'arte. Mia madre, buon'anima, me lo dice­va sempre «Arrigo... tu sei figlio d'arte »...

Bonelli                 (da sinistra. È il brillante della Compa­gnia. Non più molto giovane. Cordiale, espansivo, bonario)   Salve, Arrigo... E la mia roba è in camerino?

Arrigo                  (con deferente familiarità) Tutto a posto, commendatore... Tutto in ordine...

Bonelli                Bene, bene... Sempre preciso il nostro ottimo Arrigo... Ah, ricordami che devo darti la mancia...

Arrigo                 Stia tranquillo... Ho una memoria di ferro...

Bonelli                Bravo, bravo... Da quanti anni dividi la sorte di questa genia di pazzi e d'illusi?

Arrigo                 Eh, commendatore, sono più di trenta anni, ormai... io so' figlio d'arte. Ho cominciato con la « Carelli, Benigni, Fiori... ». Bella Compagnia, quella! Se la ricorda? C'era la Benigni ch'era una donna...

Bonelli                Passato, passato remoto, amico mio. Quello era teatro! E che teatro! Mentre adesso... adesso il pubblico non ci crede più e gli attori nem­meno... vita comoda, vogliono i signori attori... cinema, doppiaggio, televisione... Non restiamo che noi, sulla breccia... il fuoco sacro arde ancora nel cuore di qualche illuso come me. Ma guarda un po' dove mi tocca recitare! Non ho mai visto un palcoscenico così mal ridotto... (Con altro tono) 

E il mio camerino dov'è?

Arrigo                  (indica)   Lassù!

Bonelli                Così in alto?

Arrigo                 Ho scelto per lei il più asciutto. Nu­mero cinque.

Bonelli                Bravissimo. Avrai una mancia speciale. Ricordamelo. E com'è questo camerino?

Arrigo                 Un po' abbandonato,  qualche ragna­tela...

Bonelli                C'era da aspettarselo... In questi teatri di provincia dove passa una Compagnia ogni sei mesi, gli attori mangiano i ragni o i ragni man­giano gli attori. Non c'è altra alternativa. (Altro tono)  Che dice l'ordine del giorno?

Arrigo                 Prova alle diciassette e trenta... Recita alle ventuno...

Bonelli                 (guarda l'orologio)   Per la prova siamo già in ritardo...  (Si avvia verso il camerino a destra)  Aproposito, il teatro lo riscaldano sì o no?

Arrigo                 Non so, commendatore, ma temo di no. L'impianto del termosifone dev'essere guasto. Anzi è guasto.

Bonelli                 (ironico)   Bene, benissimo. Reciteremo col cappotto.. Freddo il treno, freddo l'albergo, freddo il teatro... ma perché non si va a recitare in Africa? Senti, Arrigo... avrei bisogno di un piccolo favore... mi bastano mille...

Arrigo                 Nemmeno cento, commendatore. Mi dispiace...

Bonelli                Niente, niente, sarà per un'altra volta. (Si allontana canterellando).

L'Uomo                Chi è quel tipo?

Arrigo                 Andrea Bonelli, il brillante della Com­pagnia,..

L'Uomo                 (con rispetto)   Commendatore?

Arrigo                 No, ma gli piace sentirselo dire.

L'Uomo                È... un grande attore?

Arrigo                  (evasivo)   Beh, lui lo crede...

L'Amministratore    (ancora prima di entrare sul palcoscenico, chiama)   Arrigo! Arrigo! Arrigo! (Entra. È indaffarato, irritato, sbuffante)  E allora? Siamo ancora a questo punto? Che si fa, vacanza?

Arrigo                 Eccomi, cavaliere.

L'Amministratore   Dobbiamo montare le sce­ne, provare le luci... e tu sei ancora qui con i bauli in mezzo al palcoscenico... ma che ti succede?

Arrigo                 Eh, cavaliere, mica posso fare miracoli... Per fortuna ho trovato questo brav'uomo che mi aiuta...

L'Amministratore   Guarda che personale in soprannumero non ne voglio!

Arrigo                 Quale soprannumero, cavalié. Qua so' solo io!

L'Amministratore   Poche chiacchiere! Sbri­gati!... E gli attori, dove sono?

Arrigo                 Non lo so, forse in albergo. Qui non s'è visto che Bonelli...

L'Amministratore    (sempre più irritato)   E gli altri? Devo sempre spingerli io come fossero un branco di pecore... I bagagli almeno sono a posto?

Arrigo                 Sì, cavaliere. Questo baule è l'ultimo. Lo mettiamo nel camerino della signora Marini...

L'Amministratore   Oh, a proposito... me l'hai sistemata bene? Altrimenti quella fa una storia che non finisce più... Ha un carattere impossibile... Hai visto che faccia ha fatto alla stazione? Nem­meno fossimo sbarcati fra gli zulù... che si aspet­tava, Broadway? Piccadilly? l'Etoile? Questo è un paese di provincia e non può offrire che quello che ha. E la signora si deve accontentare... se vuole lavorare. (Altro tono)  Allora, mi hai capito? Cerca di evitarmi grane. Non voglio storie. Io con que­sta Compagnia ci rimetto la salute... e il denaro...

Arrigo                 Beh, quello, poi...

L'Amministratore   Cosa dici?

Arrigo                 Niente, niente!

L'Amministratore   Su, su, alla svelta!

Arrigo                  Forza... andiamo, forza!

(aiutato dall'uomo, trasporta il baule nel camerino della prima attrice, mentre da sinistra entrano in gruppo alcuni attori)   

L'Amministratore    (con acre ironia)   Oh, final­mente! Eccoli i signori attori! Benvenuti, benve­nuti, signori! La digestione è andata bene? Il cuore è sereno? (Scattando)  Oh, insomma! Il comodo pro­prio ciascuno lo faccia a casa sua! Qui c'è da rispet­tare l'ordine del giorno. Signora Resi! Signor Landi! Signorina Pini! Metterò delle multe se si va avanti così...

Landi                    (è l'attore giovane, che si dà molto tono e parla in tono strascicato)   Non si arrabbi, cava­liere...  sappiamo benissimo quello che dobbiamo fare... non sciupi il suo fiato prezioso...

(Escono Arrigo e l'uomo).

L'Amministratore    (ringhioso)   Per sua norma e regola, signor Landi, all'economia del mio fiato posso badare da solo. Anzi lo adopero per dirle che sarebbe stato un grande guadagno per il teatro se lei fosse rimasto al suo paese a fare il geometra...

Landi                    (sostenuto)   E lei, perché non ha conti­nuato a vendere falsi tappeti orientali invece di mettersi a fare il capocomico?

L'Amministratore   Ma come si permette? Guardi che se mi fa perdere la pazienza la caccio via sui due piedi!

Landi                   Magari! Se vuole me ne vado anche subito. Ho tante proposte!

L'Amministratore   Lei?...  Non  mi  faccia ri­dere!... Chi vuole che la prenda, lei?... Nemmeno un circo equestre!...

Landi                   Insomma, io...

Resi                       (è la madre nobile, grassottella e dignitosa) Via, via, non ricominciamo con le solite storie... Ciascuno ha le sue qualità e i suoi difetti... fareste meglio a tenere la lingua in bocca. Il silenzio è d'oro.

L'Amministratore   Signora Resi, ci risparmi le sue reminiscenze di maestra elementare... E non perdiamo altro tempo. Vado a dare un'occhiata alla pubblicità... e quando torno desidero trovare tutto in ordine. (Esce da sinistra).

Resi                       (dopo un istante, in tono di placido compa­timento)   Povero diavolo, è un frenetico... Se tutti dovessero prendersela a questo modo, non si vivrebbe più... (Si volge a Landi)  Landi, mi dài una sigaretta?

Landi                   Subito!... Oh, che distratto... le ho finite.

Resi                      Pazienza.

Daria                    (giovanissima, dolce e mite, quasi sperduta)   Signora Resi, se vuole ne ho io... (Prende un pacchetto dalla borsetta)  Tenga...

Resi                      Oh, brava. Ne approfitto subito. Anche un fiammifero? Grazie... (Fuma).

Landi                    (a Daria)   Potrei averne una anch'io?

Daria                    (porge il pacchetto)   Prego...

Resi                       (mentre Landi si serve e accende, parla con Daria)   Ma a te chi te lo ha fatto fare di lasciare la famiglia per venire a recitare?

Daria                    (quasi con pudore)   L'ho sempre sognato, fin da bambina.

Resi                      E i tuoi?

Daria                   Beh, pensano che forse riuscirò... arri­verò...

Resi                       (con amarezza)   Arrivare? In arte non si arriva mai, ragazza mia. Ogni giorno si ricomincia. E lascialo dire a me che recito da venticinque anni...

Landi                   Soli?!... Ha cominciato tardi, allora!

Resi                      Brutto villano, screanzato!....

Landi                   Eh, come è suscettibile. Io scherzavo!

Resi                      E a me questi scherzi non piacciono!

Daria                   Oh, guardate! C'è un vecchio pianoforte, (prova qualche tasto)  proviamo se suona ancora...

Resi                      Sai suonare?

Daria                   Un poco... (Si avvicina al pianoforte, siede e prova alcuni accordi)  Le corde ci sono tutte... ma quanta polvere... (Qualche accordo di musica grave e patetica)  È un po' sgangherato ma funziona ancora...

Resi                       (appoggiata al pianoforte)   Sembra la nostra immagine...

Daria                    (mentre suona)   Eppure, con la volontà e la fortuna... ma soprattutto con la volontà di salire, di emergere, di conquistare un posto alla luce, lavo­rando, studiando, faticando... si deve riuscire, no?!...

Resi                       (grave)   Tutti lo abbiamo sognato, cara mia! E forse lo sogniamo ancora! (Sguardo di Landi)  No, non parlo di me. Io ho fatto fallimento, ormai... Mi sono rassegnata. Il più è saperlo, esserne per­suasi, e non farsene una malattia... Tirare a cam­pare... giorno dopo giorno... (Spegne la sigaretta e ne conserva la cicca nella borsetta).

Daria                    (con disperata energia)   Ma qualcuno rie­sce, qualcuno, voglio dire, si afferma...

Resi                       (amara)   E chi? Guarda la nostra prima attrice... era celebre, era ricca, era l'idolo del pub­blico... Bastava il suo nome sul cartellone per riem­pire i teatri... Eleonora Marini! Quando la Marini recitava « Giulietta e Romeo » il pubblico impaz­ziva... era una Giulietta, lei, che, ti assicuro, avreb­be fatto piangere anche le pietre... No, tu non puoi ricordarlo. Roba di vent'anni fa. Eri appena nata, allora...

Daria                    (suona qualche accordo, assorta)   E poi?

Resi                       (amara)   E poi niente. Il tempo passa, s'in­vecchia, la bellezza se ne va, il pubblico si fabbrica nuovi idoli, ti dimentica, ti abbandona... Non ha pietà. Vedi la Marini... chi l'avrebbe detto? Dopo la sua lunga malattia, per campare ha dovuto tor­nare a recitare... E che cosa ha ottenuto? di entrare a far parte di una misera Compagnia di terz'ordine che fa dei debutti in provincia...

Daria                    (angosciata)   Ma non per tutti è così, vero?... Non per tutti...

Resi                      Quacuno si salva, a malapena... Chi è stato previdente... Ma non faTti illusioni. Prima di essere la donna vecchia e grassa che sono, ero una ragazza come te e avevo nel cuore le tue stesse speranze... ma non me la prendo, sai? Destino. Ecco: destino.

Landi                    (a Daria, con sorridente cinismo)   Ma che ti metti a piangere adesso?! Ci vuole altro che le lacrime, cara mia... Su, su... Tu farai carriera solo quando imparerai a vestirti, a pettinarti un po' meglio... Un'attrice non fa un passo se non piace a qualcuno.

Daria                   A chi dovrei piacere, io?

Landi                   Che domande! Al pubblico, innanzi tutto, e poi ai critici, ai capocomici, agli altri attori, e forse anche a un signore che siede nella quarta fila di poltrone e che ti fissa con insistenza!...

(Eleonora è entrata inavvertita da destra. È una dolce signora che si avvia verso la cinquantina, dalla bellezza un po' sfiorita).

Daria                    (ribellandosi)   Non è questo ch'io voglio! Io devo recitare e riuscire a emergere. Io voglio diventare un'attrice... (Un breve brano di pianoforte suonato con impeto, poi)  Troverò la forza, la vo­lontà, il coraggio... non avrò paura di nulla... (Vol­tandosi, scorge Eleonora, si alza confusa)  Oh, scusi, signora Marini... Scusi tanto...

Eleonora             (gentile)   Non sapevo che tu suonassi così bene, Daria... brava.

Daria                    (umile)   Grazie, signora.

Eleonora            Gli altri sono tutti in teatro? Biso­gnerà prepararsi... C'è la prova.

Resi                      I bauli sono arrivati soltanto adesso...

Eleonora             (siguarda intorno, con sgomento)  Che squallore, mio Dio! Sembra una cantina, que­sto palcoscenico... E perché il teatro non è riscal­dato? Non sentite freddo voi? Io non so resistere al gelo. Mi entra nelle vene, mi paralizza... Landi, se le è possibile, mi trovi l'amministratore... Biso­gna dirgli che faccia riscaldare il teatro... Non pos­siamo recitare così.

Landi                    (con rispetto)   Subito, signora. (Ed esce).

Eleonora            Grazie. Io vado in camerino. Cecilia deve avermi preceduta... (Si avvia verso il proprio camerino nel quale entra).

Resi                       (con una smorfia)   Mi pare che tiri brutta aria, questa sera.

Daria                   Ma se è tanto gentile...

Resi                      Non la conosci... Una volta era piena di ardore battagliero. Sapeva quello che voleva... Que­sta sua mansuetudine è un brutto segno... (A Daria)  Vieni?

(Resi e Daria si avviano verso il camerino) 

Qui vicino c'è una trattoria dove si mangia proprio bene. Andiamo lì dopo lo spettacolo...

Daria                   Ma sarà caro...

Resi                      Ma no, economico... Te la caverai con sette ottocento lire... in due.

(Resi e Daria escono. Il camerino di Eleonora si illumina. Cecilia, una an­ziana cameriera, sta terminando di attaccare le tende).

Eleonora             (entrando nel camerino)   Cecilia... È questo il mio camerino?

Cecilia                 Sì, signora. Purtroppo non ce n’è uno migliore... Ho tentato di dargli un aspetto acco­gliente.

Eleonora             (siede con un sospiro davanti al tavolo del trucco)   Oh, come sono stanca...

Cecilia                  (affaccendata intorno alle tende, brontola)  Eh, lo credo. Abbiamo viaggiato tutta la notte... E poi in che modo! Su un treno lumaca che fer­mava a tutte le stazioni...

Eleonora             (con sorridente tristezza)   Rimpiangi i tempi dei vagoni-letto?

Cecilia                 Se non altro erano più comodi... (Porge alcune scatole ad Eleonora)  Ecco le scatole del trucco... vuole incominciare subito?

Eleonora             (esitante,  quasi  sgomenta)    Comin­ciare?

Cecilia                 Io direi... così guadagna tempo... In­tanto vado a vedere se rimedio un ferra da stiro...

Eleonora             (c. s.)   No, non andar via... Aspetta... aspetta. Non senti che freddo qui dentro?

Cecilia                  (brontola)   Certo che lo sento... Questo non è un camerino, è una grotta, una spelonca... maledetti! Dovrebbero vergognarsi...

Eleonora            Ho fatto chiamare l'amministratore...

Cecilia                 Glielo raccomando quello lì... Su, su: lo vuole un buon caffè caldo? Ho portato il thermos...  me lo sono fatto riempire al  bar...  a me non mi  prendono mai alla  sprovvista...   (Ha il  thermos in mano).

Eleonora             (con malinconia)   No. Non lo vo­glio, grazie. (Dal buio del palcoscenico emerge il suono del pianoforte, in sordina).

Cecilia                  (con affettuosa insistenza)   Ma è buo­no, sa? E poi ci ho messo molto zucchero, proprio come piace a lei... (Con altro tono, preoccupata)  Ma che cos'ha da guardarsi in quel modo? È lo specchio, no?

Eleonora             (fissando lo specchio del camerino, a mezza voce, sgomenta)   Non vedi come è strano?

Cecilia                  (osserva, alle spalle di Eleonora)   Beh, si capisce: è uno specchio sporco e brutto... Ma non ci trovo nulla di strano... E poi lei ha per­duto l'abitudine di vedersi con una luce così cruda...

Eleonora             (interrompe)   No, no: guarda: lo specchio riflette la mia immagine come fosse quella  di   un'annegata...

Cecilia                 Ma io non vedo nulla... giuro che non vedo nulla...

Eleonora            Io sì. Vedo me stessa - dentro que­sta misera cornice - e mi sembra di vedere uno spettro... non ho più colore, non ho più sangue... Le labbra pallide, sigillate come quelle di una morta...

Cecilia                  (spaventata)   Oh, Madonna santa, ma che dice, signora!

Eleonora             (con dolcezza triste, mentre si ode lon­tano, il suono del pianoforte)   Morta. Il gelo non è fuori, ma dentro di me. Morta. L'entu­siasmo, la fede, il calore, l'ardore di una volta sono spenti. Al loro posto non è rimasta che ce­nere. E lo specchio non riflette che la pallida ombra di colei che fu Eleonora Marini... Un tempo, quando passavo per la strada, la gente si voltava e sussurrava il mio nome... Eleonora Ma­rini... entravo nei grandi alberghi e i direttori mi si precipitavano incontro... I ragazzi facevano a gara per portarmi le valige... la mia camera era sempre piena di fiori... Eleonora Marini. Mi cono­scevano, miamavano, mi sorridevano... Poi, quan­do s'apriva il sipario e io entravo in scena, il pubblico ammutoliva all'improvviso. Aspettava. Aspettava che il prodigio si rinnovasse come ogni sera... E alla fine si alzava in piedi e applaudiva, e non si stancava di applaudire, di gridare, di chiamare... Un tempo... sono passati molti anni da allora. Troppi. E tu credi che io adesso potrei presentarmi di nuovo al pubblico, a questo pub­blico indifferente e crudele, per offrirgli il fan­tasma di me stessa? No: non ne ho il coraggio.

Cecilia                  (sgomenta, ma con energia)   Signora, ma cosa dice? Il pubblico le vuole sempre bene...

Eleonora             (con amarezza)   Tu conosci il tuo mestiere e sai che ogni artista esige ogni giorno la sua parte di adulazione... ma per me, ora, non serve più. Il mio istinto non mi tradisce e ho paura.

Cecilia                 Lei?!... Ma non dica sciocchezze!

Eleonora            Ho paura, Cecilia.

Cecilia                  (c. s.)   Paura, di che? (Consolante)  Via, via... Non si lasci prendere dalle malinconie proprio ora... Con questa scrittura si rimedia a tante cose; si pagano un po' di debiti... C'è modo di salvarsi... Di tornare a galla... E poi, perché tutti questi pensieri neri?... Forse perché si è guardata in un orribile specchio? È brutto, si vede. Ma noi ne abbiamo un altro. Un altro molto più bello. Ora lo cerco subito... (Cerca nel baule).

Eleonora            No, lascia. Non importa.

Cecilia                  Un momento. Lo trovo subito. È lo specchio che le fu regalato da Lord Breewood a Londra... L'unica cosa che non abbiamo mai portato al  Monte...  Eccolo: tenga.

Eleonora             (con improvvisa violenza)   No! Met­tilo via! Mettilo via subito! Il mio bellissimo spec­chio non  può stare in  un camerino lurido come questo.

Cecilia                  (sorpresa e offesa)   Va bene, va bene... Non si arrabbi. Ma se vuole truccarsi dovrà pure adoperarlo...

Eleonora            Ma sì, ma sì, non pensarci.

L'Amministratore    (dopo aver bussato alla porta)   Permesso?

Eleonora            Avanti.

L'Amministratore    (entra nel camerino. Con esa­gerata gentilezza bacia la mano di Eleonora)  Affascinante, come sempre... Landi mi  ha detto che mi voleva parlare...

(Cecilia esce).

Eleonora            Infatti.

L'Amministratore    (precipitoso)   Oh, imma­gino di che si tratta! È per la pubblicità, vero? Non dubiti: i patti sono stati rispettati. Con me si cammina sempre sul velluto... Ho corretto io stesso le bozze in tipografia. Il suo nome è gran­dissimo. Più grande del titolo della commedia. Gli altri nomi scompaiono addirittura... è come se non ci fossero...

Eleonora             (interrompe)   No,  no...

L'Amministratore    (sorpreso)   Come? Non va bene? Non è soddisfatta?

Eleonora             (stancamente)   Non si tratta di que­sto... la pubblicità andrà benissimo... però io vo­levo dirle... volevo dirle...

L'Amministratore   Dice, dica pure...

Eleonora             (con sforzo)   Volevo dirle che non reciterò...

L'Amministratore    (sorpreso)   Come? Non reciterà?

Eleonora             (con estrema tristezza)   No. Né que­sta sera, né mai più.

L'Amministratore    (c. s.)   Non capisco, si­gnora...

Eleonora             (ostinata, dolente)   Ho detto che non reciterò. È chiaro? Non voglio più recitare.

L'Amministratore    (riavendosi)   Ma lei parla sul serio? Si rende conto di quello che dice?

Eleonora             (con estrema calma)   Non ho mai scherzato, sul lavoro. Per me è sacro. Ma desidero sia chiaro che, appunto per questo, la mia deci­sione è irrevocabile. Prenda i provvedimenti che ritiene opportuni, faccia quello che vuole, mi so­stituisca, se crede, ma non conti su di me.

L'Amministratore    (con improvvisa collera)  Ma lei sta delirando, signora cara! A due ore dal­lo spettacolo mi viene a dire che non recita? Quan­do ho già venduto quattrocento biglietti e ho tutta la pubblicità in giro... Credo che non si renda conto di quello che dice...

Eleonora             (c. s.)   Vuol dire che sopporterò le conseguenze, pagherò la penale...

L'Amministratore    (aspro)   La penale? Ma non mi faccia ridere! La penale?! (Ride amaro)  E con quali soldi? Forse non ricorda che ha avuto bisogno di un anticipo, da me, per riscattare la pelliccia, eh?

Eleonora            Venderò la pelliccia...

L'Amministratore    (esplodendo)   Lei non ven­derà proprio nulla, signora. Lei, stasera, reciterà. Glielo dico io. Perché io non posso ammettere che i miei scritturati facciano i capricci. Ha capito? Ma che cosa crede di essere, lei?

Eleonora             (scattando)   Soltanto Eleonora Ma­rini! E lei non può mancarmi di rispetto. Esca immediatamente.

(Cecilia rientra nel camerino, con un ferro da stiro elettrico in mano e un panno).

L'Amministratore    (addolcendo la voce)   Si­gnora, signora cara... non mi fraintenda... Vedia­mo di ragionare. Permette... (Si siede)  Io conosco le attrici... i nervi tesi, i dubbi, la stanchezza im­provvisa... Ma lei non può volere la mia rovina. Ha preso un impegno preciso con me... Quello di un giro in provincia, in provincia... Era chiaro. Lo deve rispettare. Ne conviene? Forse c'è qual­cosa che non va? Qualcosa che le ha fatto dispia­cere?

Cecilia                  (interviene, in tono sostenuto)   Il ca­merino è freddo. (Esagerando)  La signora non ha mai potuto sopportare il gelo... A casa nostra ci sono... (si riprende)  c'erano dieci stufe sempre accese.

L'Amministratore    (sollevato)   Eh, ma doveva dirlo subito! Una stufa la troviamo subito anche noi! Sicuro! Una stufa elettrica, ecco... elettrica... Perché, sa, l'impianto del termosifone è guasto. Non c'è rimedio. Ho già fatto una storia col di­rettore del teatro... Ma per lei una stufa la trova subito, signora. Stia tranquilla. Dieci minuti e sarò qui.

Eleonora             (con stanchezza)   Non si tratta di questo...

L'Amministratore   C'è dell'altro?

Cecilia                  (in tono sostenuto)   Lo specchio. Non ha visto che roba? C'è la muffa dei secoli incro­stata... Chi si guarda dentro non si riconosce nem­meno.

L'Amministratore    (osserva lo specchio)   Non si può dire che sia in buono stato... Ma si rimedia anche a questo... lo cambieremo, lo cambieremo subito. E così tutto andrà a posto. (Conciliante)  Vuole un cognac, signora? Lo ordino al bar. Lei beve un cognac e si rimette. Alle nove si va in scena. Diciamo nove e un quarto, così lei ha tutto il tempo di fare le cose con calma.

Eleonora             (con voce spenta)   Lei è molto gen­tile, ma non può capire.

L'Amministratore    (cominciando a perdere la pa­zienza)   Che cosa non posso capire?

Eleonora             (ferma)   Io non recito più. Non posso. La prego, vada e lo dica a tutti. A tutti quelli che hanno comperato i biglietti: Eleonora Marini non recita più perché è finita, distrutta, morta. (Col pianto nella voce)  E non si parlerà mai più di lei...  (Singhiozza)  Mai più. 

(L'amministratore esasperato, senza parlare, esce).

Cecilia                  (angosciata)   Signora! Signora! Angelo mio caro! Ma perché piange!  Su,  su, coraggio... Si faccia coraggio...

(Mentre si spegne la luce nel camerino, l'azione si sposta sul palcoscenico).

Arrigo                  (da destra)   Cavaliere...

L'Amministratore    (ringhioso)   Cosa vuoi?

Arrigo                 Alla porta c'è un giovanotto che vuol assolutamente parlare con la signora  Marini. Gli ho detto che non è possibile prima della recita, ma lui insiste...

L'Amministratore   Mi disturbi per queste stupidaggini!... Mandalo via!

Arrigo                 Quello non se ne vuole andare... Ha un enorme mazzo di rose fra le braccia e vuole consegnarlo alla  signora...

L'Amministratore   (improvvisamente)  Come hai detto? Un mazzo di rose?

Arrigo                 Rose, cavaliè, rose.

L'Amministratore   (dopo un attimo, agli altri, con vivacità)   Ecco un'idea!  Le passeranno di colpo tutte le malinconie... corri, fallo entrare!

Arrigo                 Subito!

L'Amministratore   Un mazzo di rose è la prova che il mondo non ha dimenticato Eleonora Marini. Formidabile! In cinque minuti la rimetto io  in piedi...

Arrigo                  (da sinistra, accompagnando il giovanotto che reca un fascio di rose) Ecco il giovanotto, cavaliere...

L'Amministratore    (con eccitazione, muove in­contro al giovanotto)   Oh, bene... Benissimo... Magnifiche rose. Splendide. E lei dice che sono per la signora Marini?

Il Giovanotto    (impacciato)   Sì, sì, signore.

L'Amministratore   Le offre lei?

Il  Giovanotto   (c. s.)   Veramente no... È il mio padrone che le manda, l'ingegnere Valli. Io sono il suo autista...

L'Amministratore   Bene.  Fa lo stesso. Avrà mandato un biglietto, immagino...

Il Giovanotto   No. Nessun biglietto. Mi ha semplicemente detto:   «Porta queste rose alla si­gnora Eleonora Marini e dille che Giorgio Valli vorrebbe baciarle le mani...».

L'Amministratore    (in sollucchero)   Magnifico! Rose e baciamani! È quello che ci vuole. E il suo padrone è qui in  teatro?

Il Giovanotto   No... aspetta nell'automobile.

L'Amministratore   Ottimamente. Allora mi dia pure le rose: penso io a consegnarle alla si­gnora Marini...

Il Giovanotto   (riluttante)   Ma ha capito bene la commissione?

L'Amministratore   Eh, diavolo! Cosa crede? Sono del mestiere, io. Qua le rose! (Prende il mazzo)  Come ha detto che si chiama il suo pa­drone?

Il Giovanotto   Valli... Giorgio Valli.

L'Amministratore   Un minuto e torno con la risposta... Aspetti...

(Il camerino si illumina).

Eleonora             (è seduta, immobile, assente. Sentendo bussare si riscuote)   Chi è?

L'Amministratore    (con  voce lieta)    Si  può? Sono io, signora... E guardi che cosa le porto...

Cecilia                  (con ammirazione)   Che splendore!

L'Amministratore   Belle, no? Mai viste rose simili...  Sono per  lei,  signora...

Eleonora             (con malinconia)   Poteva fare a meno di comperarle, il pensiero è molto gentile, ma non servirà a farmi mutare idea...

L'Amministratore   Non  le ho mica  compe­rate io, queste rose! Ci mancherebbe altro!... No, no!... Le manda un suo ammiratore... Uno dei suoi molti ammiratori... Tenga.

Eleonora             (prende il fascio di rose, esitante e in­credula)   Ammiratori?...

L'Amministratore   Certo?! Crede di non averne più?...  In città non si parla che di lei... Vedrà questa  sera, che pienone..

Eleonora             (felice)   Sono molto belle... ma dov'è il biglietto?...

L'Amministratore   (insinuante)     Non lo cer­chi... Non c'è... La persona che le manda queste rose dev'essere qualcuno che la conosce bene... Un suo vecchio amico, immagino... È qui fuori e vorrebbe baciarle le mani, non aspetta che un suo cenno... una sua parola...

Eleonora             (con  un   pallido   sorriso)   Un mio vecchio amico... Chi è?

L'Amministratore   Giorgio Valli.

Eleonora             (spaventata)   Come ha detto?

L'Amministratore   Giorgio Valli.

Eleonora             (quasi   con terrore)  No! No... la prego... non lo faccia entrare!

L'Amministratore    (sorpreso)   Non vuole nem­meno vederlo?

Eleonora             (c. s.)   No, non voglio vederlo... Non voglio vedere nessuno, ha capito? (Angosciata, feb­brile)  ... E poi io non lo conosco, questo signore... non l'ho mai conosciuto... (Chiama)  Cecilia! Cecilia!

Cecilia                 Sono qui, signora.

Eleonora             (sommessa)   Cecilia, aiutami, presto... Non deve vedermi così, non voglio che mi veda... Andiamo via...  Andiamo via,  subito...

L'Amministratore   Lei non può andarsene...

Eleonora             (smarrita, implorante)   Mi ascolti, la prego...  Dica alla persona...  a chi ha portato le rose... che io sto male... sì:  sto molto male... No, cioè: dica che io sono partita... partita... per sem­pre...

L'Amministratore    (sconcertato)   Ma non ca­pisco... Ci sarà un motivo...

Cecilia                  (interviene sbrigativa)   Non importa, cavaliere, non importa... La signora non vuole ve­derlo, ma, soprattutto « non vuole essere vista ». Questo può capirlo, no?

L'Amministratore    (aspro, mentre fa per uscire)   Se non impazzisco questa sera, io...

Il Giovanotto    (si affaccia alla porta)   È per­messo?  (E muove un passo nell'interno del ca­merino).

Eleonora             (spaventata e nascondendosi il viso)  No!

Cecilia                  (brusca)   Chi è? Chi le ha detto di entrare?

Il Giovanotto    (impacciato)   Mi scusi... Ho por­tato le rose, io... E volevo sapere se posso accompa­gnare qui l'ingegner Valli.

Eleonora             (precipitosa)   No!... Non è possibile!... (Cercando di dominarsi)  Lo ringrazio tanto delle rose... lo ringrazio tanto... È stato molto gentile... Ma ora non posso riceverlo...

Il Giovanotto   All'ingegnere dispiacerà molto...

Eleonora             (quasi calma)   Capisco... mi scuserò io  domani con lui... gli scriverò... gli dica che gli scriverò... mi dia il suo indirizzo...

Il  Giovanotto  È inutile. Quello che lei mi ha detto basta... tanto lui non legge più nulla..

Eleonora            Perché?

Il Giovanotto   Perché non può... È cieco!

Eleonora             (smarrita, con un grido)   Come ha detto?

Il Giovanotto    (sommesso)   È cieco... Un inci­dente sul lavoro sei anni fa... Una mina scoppiata prima del tempo...

Eleonora             (angosciata)   Dio mio... Giorgio!

(Un silenzio).

L'Amministratore    (si china su di lei)   Allora lei lo conosce?

(Eleonora fa cenno di sì col capo. L'amministratore a voce più alta) 

Cosa dobbiamo dire all'ingegner Valli?...

(Eleonora non risponde, egli insiste) 

Cosa decide, signora?

Eleonora             (dopo un lungo momento, con un filo di voce)   Che entri.

L'Amministratore    (al giovanotto)   Ha sentito? Vada, vada. Accompagni qui l'ingegnere...

Il Giovanotto   Subito. (Esce).

Eleonora             (dopo un attimo, a bassa voce)   È cieco...

L'Amministratore   Quando lo conobbe?

Eleonora            Molti anni fa... (con voce che diverrà via via febbrile, agitata, implorante)  ...a Milano... È passato tanto tempo!... Ma ora mi ascolti. Lui non deve sapere come io sono adesso... Come sono ridotta... Non deve nemmeno immaginarlo... E lei mi aiuterà, vero? Io la prego... la scongiuro. Lei deve aiutarmi, e fingere che tutto è diverso... Che io sono ancora quella di una volta... quella che lui ha incontrato nel momento più bello della mia car­riera... Ha capito?

L'Amministratore   Ma io...

Eleonora             (sirivolge a Cecilia)   Anche tu, Ce­cilia... Avete capito? Mi porterete fiori, tanti fiori... E telegrammi...

L'Amministratore    (incerto)   Telegrammi? Ma come faccio, io? E i fiori bisogna comperarli.

Eleonora             (quasi gridando)   Ma non ha sentito: lui è cieco!? Bisogna inventare, a soggetto, inven­tare... recitare, per me... Ha capito? Come se fosse tutto vero... e diverso...

L'Amministratore    (brontola)   Certo, signora, certo... Stia tranquilla (e fa per avviarsi)   Però... « questa sera lei recita!... ».

Eleonora             (smarrita)   Io?

L'Amministratore   Sì, signora. Ci siamo ca­piti... Io farò tutto quello che desidera. « Ma lei questa sera recita! ».

Eleonora             (con un sospiro)   Va bene. Ma adesso vada... Vai anche tu, Cecilia... Lasciatemi sola... (Estenuata)  Sola.

Cecilia                  (perentoria e con intenzione)   Andiamo, « cavaliere »... (Esce).

(L'amministratore osserva Eleo­nora e scuotendo la testa esce. Il suono del piano­forte, in sordina).

Il Giovanotto    (sbuca dall'ombra, tenendo sotto braccio Giorgio, un uomo che ha da poco passato la quarantina, un bell'uomo, con i capelli grigi alle tempie, e gli occhiali scuri)   Ecco, ingegnere, è qui...

Giorgio               Grazie. Ora puoi lasciarmi.

Il Giovanotto   Ci sono tre scalini.

Giorgio               Grazie.

(Il giovanotto si allontana. Giorgio è sulla porta del camerino e, tendendo le mani, avanza).

Eleonora             (si fa sulla porta del camerino. Dice, con voce soffocata)   Giorgio...

Giorgio               Nora...

Eleonora            Tieni la mia mano... Ecco, così... Puoi venire avanti...

Giorgio                (è entrato nel camerino, con Nora)  Grazie. Sono mortificato. Ma nulla è più bello di questo momento...

Eleonora            Giorgio...

Giorgio               Ti faccio pena, vero?... La tua voce trema...

Eleonora            È perché... sono commossa... Non avrei mai immaginato di rivederti. È passata una eternità da allora... (Altro tono)  Non vuoi sederti? Oh, scusa... (Lo aiuta a sedersi)  Qui, ecco. Così.

Giorgio               Grazie. Ho sempre bisogno dell'aiuto di qualcuno. E tu, non siedi?

Eleonora            Sì, caro... Sì. (Siede).

Giorgio               Dove sei?

Eleonora            Qui. Accanto a te.

Giorgio               Scusa. (Ride infantilmente)  Per me le distanze sembrano enormi. È stato difficile adat­tarmi.

Eleonora            Dev'esser atroce...

Giorgio               In principio, magari... in principio... ti sembra assurdo che sia capitato proprio a te... Ti senti solo, distaccato dagli altri... inutile... A volte ti prende il desiderio di finirla... Poi c'è sem­pre qualcosa che ci aiuta... ci si abitua... Mi ha aiutato il tuo ricordo... la tua immagine... L'ho ritrovata dentro di me... intatta... Ferma nel tem­po... I tuoi occhi, i tuoi capelli, la tua... bocca... Nulla è cambiato da allora. (Un silenzio)  Nora?

Eleonora            Ti ascolto, caro.

Giorgio                (con voce sommessa)   Tu non puoi capire che cosa è stato per me, oggi, quando ho saputo che Eleonora Marini avrebbe recitato nel nostro povero teatro... Ho sentito qualcuno che faceva il tuo nome... parlava di te... di te che eri qui, proprio qui, in questo posto sperduto.

Eleonora             (con forzata disinvoltura)   Eh, è stato davvero un caso! Abbiamo perduto la coincidenza... La Compagnia era diretta a Milano... Facciamo una stagione molto importante, sai... Ma il pasticcio è successo a causa dei bauli... Una storia compli­cata... Io non me ne occupo, non riguarda me... Comunque abbiamo dovuto fermarci qui... E ci hanno pregato di dare uno spettacolo stasera... Hanno tanto insistito che è stato impossibile rifiu­tare... L'amministratore non avrebbe voluto, ma io ho accettato... E allora...

Giorgio                (con dolcezza)   Io benedico questa coin­cidenza perduta... Benedico i bauli smarriti... Solo per loro ho potuto incontrarti ancora... Perché tu non saresti mai venuta in un piccolo paese come questo... Tu... (Con tenerezza)  Come stai, Nora?

Eleonora            Bene...   Un  po' stanca  dal  molto lavoro... Non ho un momento di respiro.

Giorgio               Lo immagino. Sei sempre stata una creatura splendida.  Una di quelle creature  fatte per vivere al di sopra del mondo, lontana dalla malinconia e dal dolore!... Io ti conoscevo di fama, quando sono capitato quella sera in teatro... Sulla scena tu eri così brava, tenera e fiera, appassionata e viva... Si recitava...

Eleonora            « La donna del mare ».

Giorgio               Oh, me ne ricordo... La tua voce così calda...  una  voce che scaturiva da chi  sa  quali misteriose profondità dell'anima... Ti ho amato im­mediatamente. E ho sentito prepotente il bisogno di dirtelo... Piantai in asso la gente che era con me per correre nel tuo camerino...

Eleonora             (sorridendo)   Avesti un bel coraggio.

Giorgio               No. Oggi ce ne è voluto molto di più per mostrarmi a te, così. Ma allora... (riscal­dandosi nel ricordo)  nessuno avrebbe potuto trat­tenermi...

Eleonora             (ride)   Caro! tu eri pazzo! Fu impossi­bile  resisterti.   Entrasti   nei   mio  camerino  senza nemmeno bussare... audace e sorridente, e con una prepotenza che non avevo mai conosciutoné mai subito prima d'allora,  mi costringesti  a seguirti... Nessuno aveva maiosato tanto con me...

Giorgio                (con calore)   Che giorni meravigliosi, Nora... Il mondointero non esisteva più... Eravamo soli sulla terra, tu ed io... Nessuno può aver pro­vato una felicità così completa e perfetta... E per quanto tempo? Tre giorni. Solo tre giorni. (Un si­lenzio)  Ricordi che cosa ti chiesi l'ultima sera?

Eleonora             (piano)   Sì, lo ricordo.

Giorgio               Eravamo seduti  accanto  al   camino, guardando la fiamma... Ricordi?...

Eleonora             (con sforzo)     Mi chiedesti se volevo diventare tua moglie.

Giorgio               Se tu avessi voluto, tutto sarebbe stato diverso, forse...

Eleonora             (con sforzo)   Te ne prego...

Giorgio                (con malinconia)   Non riuscii a con­vincerti, né allora, né dopo. La tua logica irresi­stibile! Giungevi a essere spietata perfino con te stessa. Affermando che non eri padrona della tua vita, che appartenevi esclusivamente al teatro, sa­pevi di precludere senza scampo la strada alla felicità che avrei potuto offrirti... Se tu avessi voluto...

Eleonora             (implorante)   Giorgio...

Giorgio               No, lasciami parlare. Quando mi di­cesti addio, perché la parentesi per te era defini­tivamente chiusa, io credetti di impazzire... lo tenni chiuso, quel dolore, per mesi e mesi e mesi... Poi, quando accadde l'incidente, quando dovetti lenta­mente abituarmi al supplizio del buio, la sola per­sona che avrei voluto accanto eri tu... Ma non lo sapevi... Tu eri lontana e felice. Sovente facevo ricercare il tuo nome sui giornali... Ti seguivo... Poi, improvvisamente, non ho saputo più nulla... per lungo tempo, nulla... Che cosa hai fatto? Dove sei stata?

Eleonora            Ho recitato all'estero... Un lunghis­simo giro. Interminabile... In America del Sud, anche in Francia, in Inghilterra.. Un po' dapper­tutto... Non riuscivo mai a liberarmi dagli impegni...

Giorgio                (pacato)   Capisco. È sempre stato così per te. Contesa dagli impresari, idolatrata dal pubblico, ammirata, amata... (Un silenzio)  Tu non conosci la malinconia della solitudine...

Eleonora             (con ansia)   Oh, non dirlo, non dirlo... Forse non sai tutto di me... Anche io... Giorgio(incoraggiante)   Anche tu?

Cecilia                  (entra precipitosamente)   Signora,  si­gnora... Oh, mi scusi...

Eleonora            Che vuoi, Cecilia?

Cecilia                 Ha telefonato da Milano la sarta che sta aspettando al Grand Hotel  per le prove dei vestiti... Vuole parlare lei?

Eleonora            Non importa. Spiegale tu come stanno le cose... E se non vuole aspettare tanto meglio...

Cecilia                 Rispondo io, rispondo io... Ah, quante complicazioni! C'è da perdere la testa.

Eleonora            Hai avvertito l'amministratore che non posso fare nulla se non recupera il nostro baule?...

Cecilia                 Ma certo, certo, signora... Non fa che telefonare dappertutto... Con permesso... (Esce).

Eleonora            Scusami, Giorgio... C'è sempre qual­che seccatura...

Giorgio                (con malinconia)   Mi pare tutto molto importante, invece... Ti ritrovo proprio come ti ho lasciato, dieci anni fa... Non è cambiato nulla e tu non hai un attimo di tregua... (Con un sorriso)  Ricordo che eri nervosa, un giorno, perché dovevi comperare una pelliccia: eri incerta nella scelta, e volevi il mio parere, ben sapendo che avresti fatto a tuo modo...

L'Amministratore   È permesso? (Entra)  Per­doni se disturbo, signora, ma c'è un telegramma urgente...

Eleonora            Vuole leggerlo, per favore?

L'Amministratore    (dopo un attimo lacerando un foglietto)   Ecco: « Urge conferma contratto... Saluti Morrison ».

Eleonora            Già, già, capisco... Risponda a mio nome, per favore... che ci specifichi le date...

L'Amministratore   Come desidera. Oh, si­gnora:  hanno portato altri fiori... Molti fiori... Li vuole nel camerino?

Eleonora            No, no. Nel camerino no. Mi fanno venire il mal di testa. Li dia al portaceste, per favore... Se ne occupi lui.

L'Amministratore   Va bene, signora. (Esce).

Eleonora             (con dolcezza)   Scusami, caro... È l'amministratore.

Giorgio               Il tuo amministratore?

Eleonora             (con voluta indifferenza)   Sì. Per fortuna c'è lui che si occupa di tutto.  Mi è molto devoto... Non potrei fare a meno di un uomo simile... (Con altro tono, tenero, affettuoso)  Giorgio... ho detto una bugia...

Giorgio               Una bugia? Tu?...

Eleonora             (incerta)   Sì, perché... (Riprendendosi)  Perché non è vero che i fiori mi facciano venire il mal di testa... L'ho detto perché questa sera voglio avere con me soltanto le tue rose... Sono splendide...

Giorgio                (contento)   Ti piacciono?

Eleonora            Hanno un profumo fresco e pene­trante... Sono della villa, vero?

Giorgio               Le ho colte io stesso... Ormai ho im­parato  a  distinguere  i   fiori...   anche  quelli  che non hanno profumo. Le mie dita li riconoscono, uno per uno... Ma qualche volta le spine mi pun­gono... (Sorride)  È inevitabile... Anche oggi...

Eleonora            Ti sei fatto male?

Giorgio               No. Appena un  graffio.  E poi era per te. (Una pausa)  Oggi mentre coglievo le rose, accarezzavo un'idea. In quel momento mi sembrava così semplice, realizzabile.

Eleonora             (con voce soffocata)   E adesso?

Giorgio               Non avrò il coraggio di dirtelo. (Con malinconia)  Perché è un'idea senza speranza... Mi è bastato rimanere accanto a te questi pochi mi­nuti   per  rendermene conto...   È  come  se avessi urtato  improvvisamente contro un  ostacolo...   Un ostacolo ignoto e ostile... (Una pausa)  Come potrei osare,  ora,  di  chiederti  nuovamente  di  diventare mia moglie?

Eleonora             (smarrita)   Era questa l'idea?

Giorgio               Sì, questa. Ma ora so già quello che tu risponderai. Il mio non era che un sogno inge­nuo... La solitudine alimenta i sogni... forse non lo sai... Forse non sai nemmeno che tutti gli uo­mini sono ugualmente ciechi... E tendono nel buio le mani per incontrare altre mani, e strin­gerle e sentirsi meno soli...

Eleonora             (con angoscia)   Giorgio caro... devo dirti...

Giorgio                (la interrompe)   No, non parlare, non dirmi nulla... So bene che tu non puoi abbando­nare il tuo mondo... non puoi rinunciare alla tua vita,  non devi...  sarebbe  ingiusto  sacrificarti  ac­canto a me...

(Eleonora piange in silenzio).

Giorgio               Tu piangi, Nora?

Eleonora             (cercando di vincere la sua commo­zione)  No, caro, no... non piango...

Giorgio                (con dolcezza)   Perché mentisci?... C'è intorno a me come una sorta di imbarazzo... di disagio...  (Un po' vibrato)  Ti faccio pena, vero? Lo avverto dal tremore della tua voce... È come se tu volessi nascondermi qualcosa... forse la pietà che provi per me...

Eleonora             (con disperata angoscia)   Cosa dici?... Ascoltami, Giorgio... Ti prego, ascoltami...

Giorgio                (con dolcezza)   Scusami, cara. Il mio non era un rimprovero... Ciascuno di noi cammina lungo una strada diversa... Me lo dicesti tu stessa un giorno per giustificare la crudeltà di un addio...

Eleonora             (con impeto disperato)   Solo questo ricordi di me? Solo questo?

Giorgio               No, cara... Tutto ricordo di te: dal tuo primo sorriso, alla dolcezza con cui mi guar­davi... dai tuoi teneri abbracci al tuo ultimo saluto quando partisti... Tutto... Ti prego, dammi la tua mano solo per un momento.

(Eleonora tende la mano sino ad incontrare quella di Giorgio) 

Sono felice d'averti incontrato ancora una volta... Ho vissuto della nostalgia di te, in questi anni. E stasera mi darai ancora una grande gioia. Senza vederti ascolterò la tua voce e sarà come se tu recitassi per me solo... (Un silenzio)  Nora... Sono io questa volta che ti dico addio... (Si alza)  Addio, cara. Amore mio...

Eleonora             (con un grido)   No, Giorgio! Aspetta!

Giorgio                (calmo, triste)   Non sarò solo. Ci sei tu, nel mio cuore. E quando sarai lontana, ti ricorderai di me, qualche volta...

Eleonora             (affannosa, disperata)   Sì, caro, sì...

Giorgio               Puoi guidarmi fino alla porta?

Eleonora             (con dolcezza)   Vieni, caro, vieni... (Lo guida verso la porta del camerino)  Attenzione... Ci sono tre scalini...

Giorgio               Grazie.

Eleonora            Il tuo accompagnatore è qui...

(Il giovanotto è emerso dall'ombra e si tiene un po' in disparte).

Giorgio               Addio, Nora... Buona fortuna...

Eleonora             (col pianto nella voce)   Addio, Giorgio caro... Dio ti benedica...

(Giorgio, accompagnato dal giovanotto,  si allontana.  Si  ode,  ancora  per un momento, il suono del pianoforte in sordina).

L'Amministratore    (è già nel camerino di Eleo­nora, e la accoglie mentre essa rientra, la affronta in tono sgradevole, ringhioso) E  allora?...  È finita questa storia?...  Che facciamo ora?...  Mi sente, signora? Mi ascolta?... Che ha deciso?

Eleonora             (spenta, disfatta, con un filo di voce)   Reciterò... Sì. Reciterò.

L'Amministratore   Alla buon'ora! Accidenti! (Esce dal camerino, batte le mani e grida, in tono energico)  Signori, non c'è tempo da perdere... Si va in scena alle nove precise...

(E si allontana nel fondo. Il suono del pianoforte, pianissimo, come sospeso nell'aria. Eleonora è caduta a sedere, nel camerino, davanti al tavolo del trucco, e piange sconsolata, sperduta).

F I N E

* Copyright by Vittorio Calvino