Angelica, amore mio!

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Angelica, amore mio!

Reading teatrale con illustrazioni musicali

Personaggi:

Il Ragazzo

L’Uomo

Il giovane di servizio al pub

Scena: L’interno di un pub, a Ferrara.

Per vivacizzare lo spettacolo, su un lato del palco possono scorrere filmati o immagini fisse, riprese del cen-tro di Ferrara e del duomo, foto e riproduzioni di dipinti a commento delle parole del narratore.

Musica: Eseguita dal vivo o registrata, utilizzando brani del repertorio classico o moderno, oppure composta


appositamente per la pièce, non deve coprire le voci, ma servire da intermezzo per spezzare i lunghi monolo-ghi o sottolineare le battute.

Parte Prima

Un ragazzo, dall’aria cupa e assorta entra in un pub e, fra il chiasso generale, va a sedersi, solo, in un angolo del locale. Ordina una birra che sorseggia in silenzio, immerso nei suoi pensieri, incu-rante dell’allegria che lo circonda.

Dopo un po’, si avvicina il giovane che serve ai tavoli.

IL GIOVANE DEL PUB: Ti spiace se faccio accomodare qui quel signore che è già da un po’ in attesa di se - dersi? (indica un tizio appoggiato al bancone) Purtroppo il locale è pieno e non ho neanche un posto libero… Così vi fate compagnia!

Il ragazzo annuisce meccanicamente, senza alzare gli occhi dalla sua birra.

L’uomo si siede all’altro lato del tavolo, ringrazian-do il suo ospite.

Passano alcuni minuti di imbarazzato silenzio.

Si sentono gli schiamazzi di una rumorosa compa-gnia.

La musica commenta la tristezza patetica del ragaz-zo.

Alla fine, l’Uomo si decide ad attaccare discorso.

L’UOMO: I tuoi amici sono andati in discoteca?

Ferrara: Protiro della Cattedrale

IL RAGAZZO: Non so. Volevo stare da solo.

U: E hai lasciato la ragazza a casa?

R: (con voce sorda) Non ce l’ho più la ragazza…da ieri…

U:(premuroso) Oh, mi dispiace! … ma sei giovane: presto ti innamorerai di nuovo e alla tua ex non ci pen - serai più…

R: Non è facile dimenticarla... Angelica è unica!... Le altre non mi interessano.

U:(riflettendo) Angelica…Bel nome… È lo stesso di un personaggio dell’Orlando furioso…

R:Si, conosco la storia, si studia a scuola…

U:E hai mai notato che l’eroina dell’Ariosto è un vero e proprio modello della donna ferrarese?


R: Non so. Queste cose al liceo non ce le hanno spiegate.

U: (con un largo sorriso) Ma per questo ci sono io!…Ti aiuterò a dimenticare la tua fidanzata, vedrai!

– (Senza attendere la replica) La bionda Angelica, bellissima figlia del re del Catai (la Cina di MarcoPolo, per intenderci), si materializza fra i maschi guerrieri al solo scopo di turbare gli animi e gettare lo scompiglio negli opposti schieramenti cristiani e saraceni, i cui migliori campioni si distraggono dalle guer-resche imprese per amor suo.

– Angelica è quindi perennemente in fuga dai valorosi paladini suoi spasimanti, che tuttavia lei disdegna, così come si mostra insensibile all’esibizione delle loro più virili qualità: la forza, il coraggio, l’orgoglio ma - schile, la baldanza, la pretesa superiorità sessuale, l’attrattiva erotica… Non sono forse così anche le donne nostrane che ostentano modi distaccati e aristocratici? Molto belle, quando sono belle, ma tutte un po’ distan-ti e contegnose, le “principesse ferraresi” sono di una bellezza seducente ma incorporea; regine che innamo-rano ma non mostrano, non sanno, o non vogliono essere preda di passioni.

– Sfuggenti, inafferrabili, inarrivabili, ambiziose, volitive: si aprono al sorriso e ai sentimenti solo con la per-sona che hanno accuratamente selezionato o che soddisfa un loro ben preciso interesse…

R: (interessato) …Insomma, se la tirano… Però poi Angelica si innamora di Medoro…

U:(prontamente) Si, ma è vero amore o non piuttosto compassione, un sentimento di carità che esclude l’e - rotismo?

– Medoro è un giovanetto dai tratti femminei, un improbabile saraceno di carnagione chiara, biondo e avve - nente, come Angelica. Ragazzo di nobili sentimenti, di disarmante ingenuità, coraggioso ma anche un po’ im-branato, si fa beccare dai Cristiani e un armigero gli conficca la lancia nel petto. Creduto morto, viene rinve-nuto da Angelica che ne è mossa a pietà e lo cura amorevolmente, ricorrendo alle arti medicamentose apprese in Cina.

– Lo sprezzante cuore della fanciulla si lascia intenerire da quel giovane moribondo e indifeso e la premurosa crocerossina è infine vinta dalla passione amorosa, come già era accaduto alla bionda Isotta quando si prese cura di Tristano ferito, sanandolo con pozioni miracolose di cui pure lei era esperta.

– Convertita alfine all’amore, non per questo Angelica abbandona il suo piglio deciso e determinato: senza finte ritrosie o bucolici pudori, in quattro e quattr’otto offre la propria virtù al fortunato giovane, che dimo - stra di gradire, e poi subito organizza il matrimonio riparatore nell’umile villaggio dei pastori in cui si era na-scosta.

– Senza indugio si rimette in viaggio per il lontano Catai, il cui regno ha deciso di offrire in dote al marito. Medoro ha da poco conosciuto la sua sposa ed è già coinvolto in un ambizioso progetto matrimoniale…

R: Ma allora per farsi la ragazza, qui a Ferrara, bisogna fingersi malati?

U:(ridacchiando) Eh, eh... La sindrome della crocerossina miete sempre le sue vittime… Ma non basta: bi-sogna anche essere belli!.. Scherzo, naturalmente… Ma c’è un fondo di verità in quello che hai detto. Con donne così fiere e sicure di sé bisogna mostrarsi un po’ arrendevoli, delicati, inermi… e condividere con en-tusiasmo le loro idee e i loro gusti!...

– Non è facile, certo… e anche l’Ariosto, pur descrivendo vergini sprezzanti e apatiche che destano amore ma non amano; pulzelle impavide e guerriere, maghe ingannatrici e maliarde, amazzoni fatali e androgine, per ingraziarsi e divertire le dame della corte Estense che in quelle eroine si riconoscevano e specchiavano, alla fine mostra di preferire, nella sua più autentica dimensione umana e privata, donne più femminili e pas - sionali, come Doralice, o più dolci e amorevoli, come Fiordiligi che rappresenta l’ideale della fedeltà, del vincolo amoroso coniugale, della dedizione al marito.

– L’Angelica ariostesca è capricciosa e frigida, fino all’insperata conversione all’amore, e mette in riga tutti i cavalieri. Il Boiardo, altro poeta padano “contaminatosi” con i raffinati veleni della corte estense, la dipinge come una damigella cinica e opportunista, per non dire perfida…

R:(infervorandosi, in difesa della “sua” Angelica) Ma insomma, si tratta poi solo di un personaggio di fantasia e di 5 secoli fa!


U: (senza indugio) Si ma straordinariamente attuale.

– Nell’Orlando innamorato, dove troviamo l’”antefatto” della vicenda che si svilupperà nel Furioso, Angeli-ca è tratteggiata come una specie di Mata Hari, una quinta colonna, un agente segreto inviato dal re del Catai per togliere di mezzo i migliori cavalieri di entrambe le fazioni. Questi, sedotti dall’irresistibile bellezza della fanciulla, avrebbero potuto conquistarla solo vincendo la sfida lanciata dal fratello di lei che si riteneva in-vincibile e pensava di farli tutti prigionieri grazie alla sua lancia fatata (un’arma ad alta tecnologia, paragona-bile al raggio della morte di cui sono sempre dotati i marziani nei film di fantascienza).

– Un piano diabolico, degno di una moderna spy story o di un thriller. Solo che il disegno fallisce, il fratello viene ucciso, Angelica si dà alla fuga e inizia la girandola degli inseguimenti.

– A questo punto il Boiardo introduce un avvenimento che rimescola le carte in gioco e si dimostra sciagura - tamente profetico e rivelatore riguardo il destino di questa nostra sfortunata città e dei suoi abitanti, fino ai giorni nostri...

R: (scettico) E sarebbe?...

U:Nella boscaglia delle Ardenne si trova la fonte magica che trasforma l’amore in odio. Lì nei pressi vi sa-rebbe anche l’antidoto, cioè un ruscello le cui acque operano l’incantesimo opposto, ovvero mutano il disin-teresse in desiderio. Rinaldo beve alla fonte del disamore, si vergogna della propria sconveniente infatuazio-ne e ritorna indietro.

– Ad Angelica accade il contrario: beve all’altra fonte e si accende di passione per Rinaldo. Così ora è lei ad

inseguire il disdegnoso cavaliere. Esemplare dimostrazione del motto: “In amor vince chi fugge!”.

R: Si, ma cosa c’entra con Ferrara?

U:C’entra, c’entra perché la fonte del disamore si trovava qui, nel nostro territorio che a quel tempo era co - stituito da paludi, acquitrini ed era letteralmente “intriso” delle acque del Po che allora scorreva a contatto della città. Il pericoloso liquido aveva contaminato le nostre falde, si era mescolato con le acque del maggior fiume e disperso in mille rivoli, canali, “valli” e ristagni.

– Ancora oggi i ferraresi scontano i suoi nefasti effetti. Acque malsane circondano la città dolente, scorrono sotto i nostri piedi, penetrano nel nucleo urbano, imprigionano il castello e il territorio; il fluido malefico ci insegue in ogni vicolo, ad ogni stagione; non ci dà tregua.

– Microscopiche ma letali stille di condensa ci stringono d’assedio, ci avvolgono, ci avvelenano poco a poco; penetrano nella gola, nei polmoni, nelle ossa, nel cuore alienandoci lo spirito, l’entusiasmo, la gioia di vive-re, come se fossimo tutti sotto l’effetto di un potente anestetico.

– È questa la grave sciagura, il morbo endemico, il “mal francese” che ha infettato Ferrara, la sovrasta e la minaccia con le sue nebbie e i suoi umori. L’apatia, la freddezza, il disamore, il distacco dalle emozioni, l’or-gogliosa indifferenza, la disaffezione è il vero, misconosciuto problema della nostra sfortunata città, molto più dell’inquinamento e delle polveri sottili oggi di moda. (Malinconico) E tutti noi siamo malati senza sa-perlo, soffriamo di un male cronico, subdolo e antico…

R:(allarmato) Oh Madonna!… Ma la fontana dell’odio è solo un’invenzione letteraria e poi si troverebbe ben lontana da qui, nelle Ardenne!

U:(rianimandosi) Si, questo è vero: il Boiardo si riferiva necessariamente alla Francia perché la giostra da cui ha inizio tutta la vicenda si svolge a Parigi, e francese è l’ambientazione storica del ciclo carolingio a cui si ispirava, ma egli era attivo alla corte estense, conosceva queste terre, di esse aveva esperienza e sono que-sti i luoghi che descriveva pur situando geograficamente la magica fonte nella regione delle Ardenne.

– Ariosto che riprende la storia dell’Orlando innamorato mostra di aver ben compreso il messaggio del Bo-iardo e la vera collocazione della sorgente; infatti, verso la fine del Furioso, Rinaldo beve per la seconda vol-ta le acque che lo liberano dalla sua insana passione e dal nord della Francia scende precipitosamente in l’Ita - lia fermandosi sulle rive del Po, fra Mantova e Ferrara.

– Qui incontra un cavaliere che lo ospita nel suo palazzo e gli racconta la propria disavventura coniugale.

– Egli, istigato da una maga, aveva assunto l’aspetto di un bel giovane ferrarese per mettere alla prova la fe-deltà della moglie. La nobildonna cede alle lusinghe, ma quando il marito la redarguisce, rivelando la sua


vera identità, lei si indigna per la mancata fiducia e abbandona disgustata il tetto coniugale offrendosi proprio a quel giovane di cui il marito aveva assunto le sembianze.

– (Di nuovo in tono brillante) Non ti sembra che quella signora abbia agito come una perfetta donna mo-derna ed emancipata?

R: (risollevato) Ah, si certo…!

U:L’espediente dello scambio di persona per mettere alla prova la fedeltà della consorte o per godere illeci - tamente i favori di quella altrui, come nell’Anfitrione di Plauto, dove la legittima sposa Alcmena si accoppia con Zeus in persona che ha assunto le sembianze del legittimo marito, si ritrova già nelle Metamorfosi di Ovidio, ma la versione dell’Ariosto, adattata e amplificata, diviene il soggetto di un’intera opera musicale, La scuola degli amanti ovvero: Così fan tutte di Mozart, l’ultimo dei tre “drammi giocosi” su testo di Loren-zo da Ponte.

– Il geniale librettista italiano confeziona un’opera di argomento libertino che nasconde, dietro il gioco dei travestimenti, il disincanto di chi ha superato la giovane età e non crede più all’assolutezza del sentimento amoroso.

– La trama e la scelta del nome di alcuni personaggi sono un omaggio di Da Ponte all’Ariosto. Il “vecchio fi-losofo” Don Alfonso, colui che istruisce i giovani Ferrando e Guglielmo nella prova di seduzione incrociata

– la “fedelissima” promessa dell’uno sarà corteggiata dall’altro e viceversa – ricorda Alfonso I d’Este, protet - tore del poeta rinascimentale.

– Fiordiligi e Dorabella, “dame ferraresi”, come recita il libretto, corrispondono a tre figure femminili del - l’Orlando furioso: Fiordiligi, Doralice e Isabella. E la servetta Despina, complice di Don Alfonso, che si tra - veste da medico e “insegna” alle due dame ad approfittare delle occasioni amorose, deriva dalla Fiordispina ariostesca.

– I due giovanotti dovranno assecondare lo stagionato maestro il quale, per scommessa, farà loro toccar con mano che nessuna femmina è esente dal tradimento. Essendo interscambiabile l’oggetto del desiderio, l’amo-re non è per sempre: nulla è più relativo della passione e la fedeltà solo una chimera.

– Il successo dell’impresa, proprio come il cinico Don Alfonso aveva previsto, quando alfine i due amici, tra-vestiti da “albanesi”, riescono a vincere la resistenza delle due giovani, dimostra che le donne non sono poi tanto diverse dagli uomini quanto a onestà - ammesso che ciò sia ancora una virtù… ed è una fortuna che le cose stiano così…

R: Ma questa è una conclusione maschilista!

U:Solo apparentemente. Considera che nelle due opere precedenti, ovvero Le nozze di Figaro e il Don Gio-vanni, Mozart e Da Ponte avevano messo alla berlina l’infedeltà e stigmatizzato gli eccessi erotici tipicamen-te maschili.

– In Così fan tutte si recupera una visione più equilibrata delle relazioni sentimentali e si insegna la tolleran - za: è illusorio fissarsi su una sola persona o credere che solo lei possa corrispondere al nostro bisogno d’a - more.

R: E quindi, l’anima gemella…?

U: Non esiste. È un mito pagano stravolto e asservito all’ideologia cristiana e piccolo-borghese. Semmai esi -

stono innumerevoli “anime gemelle”: il problema è riuscire a vederle; bisognerebbe andare in cerca dell’elet - ta, la persona di cui innamorarsi, con l’occhio lieve e disincantato del vecchio saggio mozartiano.

R: Questo è utile per togliermi Angelica dalla testa.

U: Eh già, però non dimenticare l’eroina dei poeti estensi…

– Particolare curioso, ciò che smuove l’interesse delle due gentildonne per i loro spasimanti, il primo segnale del cedimento, è ancora una volta un atto di compassione, il turbamento indotto dal finto avvelenamento dei due “albanesi” a causa del loro amore respinto.

– L’effettaccio teatrale coglie nel segno: quando Ferrando e Guglielmo sono miracolosamente salvati da pre -


matura morte, grazie alla medicina portentosa del “dottore” Despina, rinvengono fra le braccia premurose delle loro future amanti colpite da quel gesto estremo compiuto per passione: la sollecitudine pietosa, come per Isotta e Angelica, è già pronta a trasformarsi in amore.

– Torniamo ai poemi cavallereschi. Angelica riesce abilmente a sfuggire a tutti gli inseguitori e a prendersi gioco del povero Orlando - forte e invincibile nei virili combattimenti ma ossequioso e timido con le donne che sanno il fatto loro -.

– Quando è lei a rincorrere Rinaldo, ottiene protezione e scorta proprio dal roccioso cavaliere per tornare in Francia.

– Non è forse un’impresa degna di quelle capricciose signorine che appaiono sulle pagine patinate di Vogue o Cosmopolitan, o di una modella tipo Naomi Campbell, sprezzante e priva di scrupoli, che si fa accompagnaree servire dallo spasimante di turno senza ovviamente concedergli nulla, neppure un bacetto sulla guancia?

– L’Orlando del Boiardo è ridotto al rango di cavalier servente dalla sua indomita amata che applica la mede - sima strategia di certe ragazze d’oggi: farsi scarrozzare e invitare a cena dal fesso di turno, cui compete paga-re il conto e rimanere a bocca asciutta…

– Angelica è già una spregiudicata donna moderna, cinica, rampante, determinata, che non si lascia distrarre dalle passioni, non ha alcuno scrupolo o complesso di inferiorità nei confronti del maschio e anzi “usa” gli uomini a proprio piacimento, senza nemmeno lusingarli con promesse amorose o atteggiamenti seduttivi. Siamo lontani anni luce dalle donne angelicate del Petrarca e del Dolce Stil Novo, creature di superiore e di - vina bellezza, nobilitate dalla loro natura amorosa.

R: Ma Angelica non è frigida: è per amore che insegue Rinaldo e poi alla fine si intenerisce per Medoro!

U:Certamente, ma la passione della damigella per il cugino di Orlando non è genuina: è un artificio operato dalla magia delle acque e la successiva bevuta alla fontana dell’odio riporta tutto alla condizione di apatia iniziale.

– Quanto alla sua “storia” con Medoro ti ho già raccontato…

– È qui, presso la corte estense, nella città “più moderna d’Europa” che si esprime, si forma e viene descritta per la prima volta la donna emancipata postmoderna, il sogno di ogni femminista, 500 anni prima che si co-minciasse a parlare di “fallocrazia”, “prevaricazione del maschio” e “pari opportunità”!

R:Incredibile!…Non avevo mai sentito una cosa del genere… E pensare che queste cose a scuola non le ac-cennano neppure!

U:Ma c’è di più... (malizioso) La “condizione femminile” nella nostra città è particolarmente favorevole an-che per un altro motivo…e non si tratta di una generosa porzione di quote rosa fra gli amministratori locali, ma della discendenza degli Estensi dalle mitiche Amazzoni.

R: Coosa?

U:Si. Già il Boiardo, per onorare i signori di Ferrara, introduce nel suo poema la figura di una vergine guer-riera, Bradamante, bionda amazzone cristiana, sorella di Rinaldo, che dopo molte avventure coronerà il suo sogno d’amore. Bradamante è promessa sposa di Ruggiero, cavaliere moresco, lontano discendente del prode Ettore troiano, indicato da una profezia come il capostipite degli Estensi.

– Quindi nelle vene delle donne nostrane scorre anche un po’ del sangue di quelle leggendarie femmine guer-riere, figlie di Ares, il dio della guerra e alleate dei Troiani. Del resto, donne armate di spada, lancia e corazza che duellano, combattono e compiono eroiche imprese, gareggiando in forza e coraggio “alla pari” con i ca-valieri, non si erano mai viste in letteratura prima di questa invenzione, tutta ferrarese, dei poeti di corte: Bo - iardo, Ariosto e Tasso, che hanno però il precedente illustre della guerriera Camilla nell’Eneide di Virgilio.

– Detto per inciso, il grande poeta latino conosceva bene le nebbie padane, essendo originario di Mantova, ma alla faccia di Bossi e compagni, aveva fatto carriera ripercorrendo la strada del Tasso in senso inverso, dal nord al sud; più precisamente, dalla campagna mantovana a Napoli, compresa una lunga sosta nell’Urbe presso l’imperatore Augusto, suo mecenate, quando ancora non si parlava di “Roma ladrona”… A quei tempi

– oltre 2000 anni fa – la Campania era felix, Napoli un paradiso, non esisteva la “monnezza” e neppure la ca-morra…

R: Ma nemmeno la pizza!…


U: Eh, già!...

R:Nel creare le loro donne guerriere, quei poeti rinascimentali non potrebbero essersi ispirati a Giovanna d’Arco?

U:(Senza scomporsi) È vero. Il mito della pulzella d’Orléans è stato certamente un riferimento per i poeti estensi che hanno dato vita a queste insolite figure femminili, ma mentre Giovanna, personaggio storico, rap-presentava l’incarnazione della fede, era un simbolo della potenza divina che si serviva di un’umile pastorel - la per salvare i Francesi, Bradamante, come le altre eroine dei poemi cavallereschi, è un essere umano che non persegue valori mistici o ultraterreni e non subisce il martirio: insegue l’amore con costanza, pazienza e determinazione proprio come una donna d’oggi, forte dei propri sentimenti, cerca in tutti i modi di legare a sé l’uomo che ama.

– Addirittura si ha sensazione che i ruoli siano invertiti: Giovanna d’Arco sembra un personaggio irreale, e

Bradamante una bella ragazza in carne ed ossa, come Demi Moore nel film: “Soldato Jane”.

R:Ah, ah!... Molto divertente!... (Passando al “tu” confidenziale) Ma non avevi detto che le donne ferra-resi sono refrattarie all’amore?

U:Ed è così in senso generale, ma quando abbandonano il loro naturale riserbo e si fissano su una persona, per passione o per capriccio, il carattere tenace e combattivo ha il sopravvento e smuovono mare e monti per poterla avere.

– Ariosto, molto diplomaticamente, glissa sull’argomento, ma l’avverarsi della profezia secondo cui, dall’u-nione di Ruggiero con la vergine cristiana avrebbero avuto origine gli Estensi, prevede anche la morte pre - matura del valoroso saraceno. E Bradamante, pur essendo edotta di ciò, persegue il suo progetto matrimonia-le, costruito letteralmente sulla pelle del futuro sposo, senza tentennamenti, senza alcuno scrupolo riguardo la sorte dell’amato e addirittura, in un momento di furiosa gelosia arriva al punto di rivolgere la sua lancia in-vincibile contro il presunto fedifrago. Trai tu le dovute conclusioni…

– E così Ruggiero, che non era motivato quanto la futura moglie e più o meno inconsciamente aveva fatto ditutto per procrastinare la fatale unione, deve infine capitolare, come capita a tanti nella sua stessa età e condi-zione, per far fronte agli impegni presi e affinché la nobile discendenza possa avere inizio.

– Cruda sorte è riservata ai giovanotti quando alfine convolano a nozze cedendo alla fiera volontà delle loro fidanzate e per giunta consacrano l’atto di resa davanti ad un ministro di Dio!...

Qualche secondo di silenzio, durante il quale il ragazzo sembra riflettere. Stacco musicale, dopodi-ché l’Uomo riprende la “lezione”.

U: A proposito di fierezza femminile, è istruttivo considerare la vicenda di Matilde di Canossa.

– Alcuni storiografi sostengono che l’energica contessa avesse avuto i suoi natali proprio a Ferrara; i più pro -pendono per Mantova, ma certamente la nobildonna si è distinta per il suo carattere duro e forte ed è quindi “ferrarese” per affinità se non per nascita.

– È famoso l’episodio dell’imperatore Enrico IV che sostò a piedi nudi nella neve, in veste da penitente, perottenere l’intercessione della contessa alleata di papa Gregorio VII e la cancellazione della scomunica.

– Ancora oggi si indica con “andare a Canossa” la richiesta di perdono e l’umile riconoscimento delle pro-prie colpe rivolto alla persona che si è offesa. Da allora, i mariti che volessero ottenere il perdono delle pro - prie mogli per le eventuali scappatelle, sanno come devono comportarsi.

R:La realtà si confonde con la fantasia…

U:Proprio.

– Altro personaggio interessante per la sua attualità, è Marfisa, un’autentica femminista d’assaltoavant let-tre.

– Nell’Orlando Furiosoè descritta come una vergine di ferro, bellicosa, un po’ guascona, intollerante, vestitasempre con un’armatura sotto la quale nasconde le sua forme muliebri (e anche, in senso psicanalitico, la sua femminilità: infatti, in una delle rare occasioni in cui indossa abiti più adatti al suo sesso, desta subito l’inte - resse di due saraceni). Compagna d’armi di Ruggiero nell’esercito dei Mori, scoprirà verso la fine di essergli


sorella.

– Sua principale occupazione è quella di vagabondare in cerca di cavalieri con cui azzuffarsi, per sfidarli aduello e provare la sua valentia e abilità nell’uso delle armi, proprio come fanno le femministe militanti della nostra epoca, sempre incazzate e in cerca dello scontro per dimostrare la loro superiorità sul maschio oppres-sore. Coerentemente, nessun episodio di natura amorosa offusca la sua fulgida carriera militare.

– In una delle sue prime avventure, durante una traversata in mare, giunge presso una città governata da don-ne assassine che hanno in odio gli uomini imbelli: uccidono tutti quelli che approdano alle loro rive, a meno che non siano così valorosi da sconfiggere, da soli, dieci guerrieri in un giorno e altrettanto vigorosi da giace-re con dieci femmine in una notte.

Le amazzoni avevano trovato un sistema piuttosto cruento per effettuare una spietata selezione degli uomini meritevoli di accoppiarsi con loro e di cui, comunque avrebbero fatto volentieri a meno se non ci fossero le naturali necessità della riproduzione.

I supermaschi, che godevano ciascuno di dieci mogli, avevano il compito di combattere con gli intrusi fino a quando un campione più forte, uccidendoli, non ne avesse preso il posto. I loro pavidi compagni venivano venduti o ridotti in schiavitù e in tal caso obbligati a indossare panni femminili e a compiere umili attività donnesche… Un’inquietante visione di una società al femminile, dove il maschio è tollerato solo per la sua funzione procreativa, come nel mondo spietato delle api.

Marfisa viene estratta a sorte per fronteggiare i dieci guerrieri ed è difficile trattenersi dal fare maliziose con-getture sui risvolti saffici della vicenda, considerando che nella prova conclusiva l’intrepida pulzella avrebbe dovuto soddisfare dieci donne in una notte. Ma Ariosto non ci dà modo di appagare queste morbose curiosità, perché Marfisa si allea con l’ultimo superstite dei dieci campioni e la battaglia finale contro le femmine omi-cide non vede spargimenti di sangue ma solo un fuggi fuggi generale indotto dal suono spaventoso del corno magico di Astolfo.

È quindi prevedibile che le donne maschicide si siano ricompattate e continuino a vivere ancora oggi nella loro città perduta, soggiogando gli uomini.

– Altro episodio rivelatore è quello in cui Marfisa, in compagnia di Ruggiero e di Bradamante, viene a sapere dell’esistenza di un tiranno, nemico dichiarato del sesso femminile che egli perseguita e umilia con dure leg - gi “maschiliste”. Questo personaggio, di nome Marganorre, odia le donne poiché ha perso entrambe i figli in tragiche faccende d’amore.

Per disposizione del crudele misogino, tutte le femmine del circondario sono state bandite e strappate ai loro uomini, padri, figli e familiari; chi si ribella o disobbedisce viene punito con botte, oltraggi, violenza e morte. Grande è l’indignazione delle due guerriere che progettano di catturare il fellone per infliggergli i meritati tormenti e una morte lenta.

Detto fatto, Marfisa cala come una furia sul malcapitato che viene tramortito con un pugno, mentre Brada - mante abbatte come birilli tutti i suoi armigeri. Marganorre, fatto prigioniero, subisce la vendetta delle sue vittime ed è infine gettato da una torre.

Marfisa impone la sua legge: le mogli avranno le terre, il governo della città e tutto quello che prima era in mano ai mariti, e gli uomini dovranno sempre aver stima ed essere sudditi delle donne “e ubbidienti a tutte le lor voglie” come dice il poeta.

Questa legge è tuttora in vigore e viene applicata da scaltri avvocati, sul genere della Bernardini De Pace, nelle cause di divorzio.

L’Uomo vuota il suo bicchiere di birra.


Fine Parte Prima


Seconda Parte

L’UOMO: In un clima come quello che ti ho descritto, si inserisce la drammatica vicenda del Tasso. La sua produzione poetica è profondamente segnata dagli avvenimenti della sua vita.

– Nasce a Sorrento, in una terra solare e umanamente calda, piena di luce, di profumi, di colori; dove l’aria è tersa, il sole è giallo, il cielo azzurro, l’acqua blu o verde smeraldo come nelle cartoline o nei disegni dei bambini.

– Ha circa 10 anni quando si separa dalla madre – di cui rimarrà orfano appena dodicenne per raggiungere il padre a Roma; a 21 anni viene per la prima volta a contatto con la corte estense. Qui l’ambiente fisico e so - ciale è ben diverso da quello d’origine. Respira l’aria malsana della nostra città; il suo animo sensibile e deli-cato percepisce la chiusura, l’impermeabilità alle emozioni, la mancanza d’amore che affligge i sudditi del duca ed entra in una profonda crisi esistenziale che, proprio come l’Ariosto aveva immaginato per il suo Or-lando, lo porta alla pazzia.

– Viene rinchiuso, per ben 7 anni, nell’ospedale di S. Anna che, allora come oggi, è sempre stato un manico-mio…

R:(interrompendolo) Be’, non è proprio così: l’Arcispedale S. Anna è una moderna struttura sanitaria, non un manicomio!

U:No, no!... È proprio un manicomio. Basta pensare a quel che hanno combinato con il nuovo polo ospeda - liero di Cona!...

R:Ah, ah!.. Velenoso! … Però è vero: se ne parla da vent’anni e non è ancora pronto. È venuto anche il Ga-bibbo!

– Dunque il Tasso proveniva dal Meridione, dalla “terra dove crescono i limoni” cantata da Goethe… U: Si, per finire in quella dove crescono i meloni…

R: Ahi!, Ahi!... Povero Torquato!

U: E povero Goethe!...

– Tasso era arrivato a Ferrara poco più che ragazzo. Avrebbe avuto bisogno di una donna dolce, tenera, coc-colona, premurosa che si fosse curata di lui come una mamma, ma trovò l’algida compostezza delle fanciulle nostrane, il principesco distacco delle donne di corte; trovò la neutralità dei sentimenti, le emozioni trattenu - te, i toni spenti del paesaggio, il silenzio, la nebbia. Aveva cercato di ottenere benevolenza e favori dalle “muse” ferraresi cui dedicava i suoi versi, recuperando l’intenso lirismo raggiunto dal Petrarca nel celebrare la sua Laura; si era piegato alle lusinghe, alle blandizie, agli encomi, ma invano: le “vaghe ninfe del Po” lo escludevano dai loro giochi amorosi.

– Era un disadattato, un’anima inquieta e tormentata che scontava le sue carenze affettive, i rigidi scrupoli morali e l’ossessione del peccato, da cui cercava di redimersi vestendo il ruvido saio della devozione religio-sa.

– Possiamo leggere questa dolorosa esperienza fra le righe della sua produzione artistica, dove i personaggi sono la proiezione del mondo interiore del poeta, pervasa di malinconia, di languori protoromantici, di pro-fonda tristezza. Essi vivono amori sfortunati, inespressi, non corrisposti o non riconosciuti.

– Il pastore Aminta è innamorato della bella cacciatrice Silvia, la quale però ignora e disprezza l’amore, es - sendo devota a Diana. La cruda ninfa si lascia infine convincere dal gesto estremo del pastore che si era get-tato da una rupe e sembrava moribondo. Come per Angelica, è la compassione a fare da apripista all’amore in un cuore acerbo: bisogna proprio trovarsi in fin di vita, o creduti tali, per riuscire a far breccia nel cuore di una fanciulla…

Ma nel Tasso il “lieto fine”, la corrispondenza d’amore, è una pura illusione e il poeta non ci fa assistere di persona al commovente episodio della rivelazione, così come in precedenza aveva evitato il dialogo diretto dei due protagonisti. La scena madre, che i moderni sceneggiatori di fiction televisive non si sarebbero fatti scappare per il suo succulento pathos emotivo, è mediata attraverso il racconto di un pastore.


Un episodio precedente, esso pure narrato in terza persona, mette in risalto la cocciuta freddezza della ninfa che appare, in questo, il paradigma della donna ferrarese, dal Rinascimento fino ad oggi. Silvia sta per subire violenza da un satiro che l’ha legata nuda ad un albero. Aminta accorre, mette in fuga l’attentatore e libera la fanciulla che se ne sta muta nel suo orgoglioso silenzio: nemmeno un gesto di cordialità o di simpatia. L’uni-ca frase che rivolge al pastore è per ricordargli la sua appartenenza a Diana, come dire: “Guardare e non toc - care: questa non è roba per te”; poi, appena è sciolta dai lacci, scappa via senza un cenno di ringraziamento.

– Nella Gerusalemme liberata la frustrazione del sentimento amoroso non risparmia neppure la maga Armi-da che non riesce a trattenere Rinaldo - richiamato ai guerreschi e cristiani doveri - nel giardino incantato da lei predisposto per una dolce prigionia.

Erminia si strugge d’amore per il valoroso crociato Tancredi, il quale – come spesso succede – non ne sa nul-la ed è a sua volta perdutamente innamorato di una bionda guerriera saracena, Clorinda, pure lei ignara di tale interesse.

Erminia non si fa alcuna illusione che il suo amore segreto, privo di ogni valenza erotica, possa essere soddi-sfatto. In lei la passione si sublima nel casto desiderio di poter medicare e curare le ferite in battaglia inflitte al nobile cavaliere: tipico inghippo psicanalitico per cui il “peccaminoso” desiderio sessuale, avente per og - getto il corpo dell’amato, si nasconde sotto la nobile insegna di una premura eticamente accettabile.

– Ma il dr. Freud ci aiuta anche ad interpretare la triste storia di Tancredi e Clorinda che culmina nel notissi - mo episodio del combattimento, dove, per uno sciagurato equivoco, è lo stesso eroe cristiano a ferire mortal - mente la donna che ama.

Tancredi uccide simbolicamente la componente emotiva, femminile, della propria anima; sopprime i sogni, le passioni, i desideri che egli non riconosce a sé stesso in quanto racchiusi in una rigida corazza di doveri, di superiori necessità, di precetti religiosi.

Il mortale epilogo potrebbe anche leggersi come un’inconscia “vendetta” del Tasso rivolta contro le donne oggetto dei suoi infelici amori, celate entro la loro fredda armatura impenetrabile ai sentimenti.

– Così lo sfortunato poeta salda definitivamente il conto con la stirpe delle donne guerriere di casa d’Este.

R:Terribile! Avevo sempre creduto che il Tasso fosse di indole triste e lamentosa per motivi di carattere, così come uno può nascere Casanova e un altro sfigato.

U:La “sfiga”, come tu la chiami, non ha una base genetica o ereditaria: è la conseguenza di qualcosa che è andato storto nel rapporto del bambino con i propri genitori; in particolare, per ciò che riguarda i maschi, è il prodotto di un’insoddisfacente relazione affettiva con la prima donna della loro vita, la madre. E la carenza di affetti, il senso di frustrazione e di inferiorità che ne deriva, la scarsa autostima possono portare a esiti spa-ventosi nello sviluppo della personalità adulta.

– Un esempio, manco a dirlo, lo abbiamo proprio qui a Ferrara, dove la mancanza d’amore è di casa.

Tu sai che la nostra città è giustamente considerata la culla della corrente pittorica detta della Metafisica… R: Si.

U:Dopo lo scoppio della guerra, nel 1916, Giorgio De Chirico e il fratello Andrea, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Alberto Savinio, sono distaccati a Ferrara poiché giudicati inabili per il fronte.

– Presso una clinica militare, Giorgio dipinge i quadri metafisici che lo renderanno famoso, influenzando al - tri artisti casualmente raccolti attorno a quell’insolito atelier allestito presso l’”Ospedale militare di riserva per malati mentali” del prof. Gaetano Boschi, una specie di casa di cura per “disagiati mentali” di elevata condizione economica.

– Si tratta di Carlo Carrà, reduce da un’esperienza futurista, del ferrarese Filippo de Pisis e di Giorgio Mo - randi.

– De Chirico è malinconico e Carrà ha quei problemi di salute che noi oggi definiremmo “psicosomatici”, ma ormai conosciamo l’origine dei fenomeni depressivi che l’ambiente cittadino provoca alle persone iper-sensibili quando vengono a contatto con la dimensione metafisica, l’irrealtà, i colori smorzati, l’emotività so - spesa di Ferrara.

R:Insomma, mentre i soldati comuni andavano a farsi massacrare al fronte, a quegli intellettuali aristocratici era concesso “marcar visita” imboscandosi in ospedale…

U:Be’ se non altro, il termine “imboscati” è appropriato, visto che l’istituto modello in cui si trovavano era guidato dall’esimio professor Boschi…


– De Chirico, forse per reagire ad un complesso edipico paralizzante e all’invadenza di una madre volitiva, nella prima giovinezza si era avvicinato al pensiero filosofico di tre grandi misogini: Schopenhauer, Nie - tzsche e Weininger.

– I primi due certamente li conosci; Otto Weininger è l’autore di un monumentale testo di metafisica dei ses-si, in cui, con argomentazioni pseudoscientifiche, distingue la superiorità dell’essere maschile, produttivo, ra-zionale, logico, dalla caotica irrazionalità del femminile che tende a vanificare tutte le conquiste della ragio-ne. Weininger si suicida, alla giovane età di 23 anni, poco dopo la pubblicazione del suo libro fondamentale, Sesso e carattere.

Ciò dimostra quanto sia pericoloso andare controcorrente parlando male delle donne… Come minimo, rischi che i tuoi scritti non vengano pubblicati, oppure l’aperta ostilità della gente e il rapido oblio.

– In un maschio, la carenza di affetti, il senso di frustrazione e di inferiorità che ne deriva, la scarsa autostima possono portare a esiti spaventosi nello sviluppo della personalità adulta. Sarebbe interessante indagare sul legame che sussiste fra la misoginia di quei grandi filosofi metafisici e il loro personale vissuto anafettivo…

R: (interrompendo) …vissuto anafettivo?...

U:Si, insomma, le carenze affettive, la percezione di una madre “distante” o fredda, la mancanza di sesso e di amore… In fondo, la misoginia non è altro che la sublimazione della sfiga.

R: Ah!

U:Giorgio è evidentemente influenzato dalla teoria nietzschiana del “Superuomo”, ma anche il fratello An - drea, approda ad un’originale formulazione di “autarchia” sessuale simboleggiata dall’“hermaphrodito”, l’or-ganismo che contiene sia l’elemento maschile che quello femminile, l’individuo completo, autosufficiente che si feconda da sé, liberandosi dalla costrizione del desiderio sessuale, visto da Savinio come una malattia, una catena, un ostacolo alla libera espressione delle potenzialità dell’uomo.

– In questo humus di infatuazione maschilista, misoginia, omosessualità latente, cui faceva da cornice l’am-bientazione surreale di Ferrara, De Chirico dipinge il quadro-manifesto della Metafisica, Le muse inquietanti.

– Non ho alcun dubbio a sostenere che le fi-gure femminili poste in primo piano, mani-chini senza volto, enigmatici, inespressivi, con il Castello Estense nello sfondo, siano l’essenza metafisica delle donne ferraresi, oggetti inanimati al posto di esseri viventi, ma entrambi senza passioni, senza emozio-ni, irreali, indecifrabili, muti come le muse del Tasso e dunque inquietanti.

R: Oh, questa poi è grossa!...

– Scusa l’indiscrezione, è da un po’ che te lo volevo chiedere: in un ambiente così inadat-to all’amore, tu sei riuscito a trovarti una donna?

U: Ho avuto i miei problemi, certo, ma ora ho per le mani una bella cubana… eh, eh.

Il Ragazzo scoppia in una sonora risata. In quel momento trilla il suo cellulare. È Angelica!

Il Ragazzo si apparta per sentire meglio, lontano dalla confusione.

Uno stacco musicale copre la telefonata.

Eventualmente si ascolta qualche frase.


Giorgio De Chirico, Le muse inquietanti (1918)


R:Ciao Angelica. Come stai?… L’anello di fidanzamento?… No, lo puoi tenere. Te l’ho regalato, è tuo… Tre metri sopra il cielo?.. No quello te lo lascio: è una cagata… E anche Twilight…

Il Ragazzo torna al tavolo che adesso è vuoto. L’Uomo non c’è più. Il Ragazzo si avvicina al banco del pub.

IL RAGAZZO: Quel signore che era seduto con me?…

IL GIOVANE DEL PUB: È uscito. Ha lasciato detto di scusarlo, ma doveva rientrare e ha pagato anche la tua consumazione.

R: (Quasi fra sé) … Non ci siamo neppure presentati… (Esce)

Voce del Ragazzo fuori campo:

R:La nebbia si era di nuovo impadronita della città, avvolgendola nel secolare oblio; ma quella lenta agonia non mi riguardava più.

Ora ne conoscevo il segreto e sarei sfuggito al suo mortale abbraccio: ragazze allegre, spensierate, disponibili mi attendevano sulle spiagge assolate di Cuba, del Brasile, dei Caraibi...

Musica allegra, caraibica o sudamericana, ad es. una Samba del Carnevale di Rio.

Fine

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Dino Finetti

Angelica, amore mio!” è la versione ridotta de

La città del disamore – Piccola storia dell'amore a Ferrara

©Flying Dutchman – Ferrara di Dino Finetti Per informazioni e acquisti:

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Vedi anche i blog:

melassa p. 100 post ti aspettano prima di andare a dormire”

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