Angelica

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ANGELICA

Dramma satirico in tre atti

di LEO FERRARI

PERSONAGGI

Il Primo Signore - Il Secondo Signore

Il Terzo Signore - ARLECCHINO

DOTTOR BALLANZON - PULCINELLA

La Padrona del caffè - GIANDUIA

PANTALONE - STENTERELLO

VALERIO - TARTAGLIA

ISABELLA - ORLANDO

Il Filosofo inglese

Il Corrispondente di un giornale americano

MENEGHINO - BRIGHELLA

FRANCATRIPPA - Il Tenente

Il Sottotenente - Il Reggente

Il Comandante dei Pretoriani - L'Ammiraglio

Il Capitano SCARAMUCCIA - ANGELICA

                                                        Ed inoltre

Un Operaio Una Popolana Un Contadino Una Contadina Un Bottegaio

Primo Soldato Secondo Soldato Terzo Soldato

Pretoriani Guardie del Re Popolani

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 (Piazza di una città immaginaria, in cui case, alberi, abitanti, costumi, rivoluzioni e governi sono un po' semplificati. Al centro una fontana marmorea. Sulla fontana un cartello: « Comizio di protesta ». Al fon­do la casa di Pantalone. A destra un commissariato di polizia. Spicca a sinistra un piccolo caffè. Davanti all'ingresso tavolini rotondi e seggioline dì ferro, ha padrona del caffè asciuga e spolvera i tavolini con uno strofinaccio; ogni tanto qualcuno attraversa la piazza correndo. Fa caldo, l'aria è afosa. Il cielo è grigio. 1 personaggi sono vestiti alla moderna, ma hanno però qualche accenno dei loro vecchi costumi. Arlecchino ha un panciotto a losanghe rosse, gialle e verdi; Pantalone un feltro nero a larga tesa rial­zato, ecc. I soldati e i personaggi della folla possono essere sostituiti da marionette).

Il primo Signore            - (è magro, scarno, ha la pelle but­terata dal vaiolo, una paglietta sulle ventiquattro) Per piacere un fiammifero.

Il secondo Signore        - (è grassoccio, ha un cappello duro, un vestito marrone e delle ghette. Gli porge la scatola di fiammiferi) Pigli pure.

Il primo Signore            - Lei viene al comizio di pro­testa?

Il secondo Signore        - No, e lei?

Il primo Signore            - Neppure io.

Il secondo Signore        - Non c'è gran gente, mi pare.

Il primo Signore            - Fa caldo. (li secondo signore esce. Entra Arlecchino di furia. Il primo signore butta via la sigaretta e ne prende un'altra) Scusi, un cerino per piacere.

Arlecchino                    - (non è servitore; è scultore. E' giovane, bello, elegante, pieno di brio. Parla anche troppo bene, e si ascolta. Ha lo sguardo ironico, la bocca cattiva, delle mani sensuali, un sorriso grazioso) Ecco. (Gli offre la scatola) Che ora è?

Il primo Signore            - (premuroso) Le tre. Lei viene al comizio?

Arlecchino                    - No davvero! C'è un comizio? Che interesse vuole che abbia per me un comizio?

Il primo Signore            - Lei è per l'ordine?

Arlecchino                    - Sono un artista. Me ne infischio dell'ordine e del disordine. Amo le donne. (Si siede ad un tavolino del caffè. Il primo signore continua a passeggiare fumando. Entrano il dottor Ballanzon e Pulcinella).

Ballanzon                      - (è professore all'università. Ha un dop­pio mento, un viso sorridente e un occhio duro da porco) Che vergogna! Che scandalo!

Pulcinella                      - (è deputato ministeriale, testa calva da romano, occhi di falco e aspetto imponente. Ha l'aria di pensar sempre agli interessi generali, manon sì preoccupa che dei propri) Che ripercus­sione avrà questo comizio in borsa!

Ballanzon                      - lo dico con Goethe: « Piuttosto una ingiustizia che un disordine »!

Pulcinella                      - Mi rallegro, Professore, di consta­tare che l'università è per l'ordine.

Ballanzon                      - Lei, Onorevole, è ancora amico in­timo del Reggente?

Pulcinella                      -Ma si figuri, Professore! Il Reg­gente è ancora una potenza.

Ballanzon                      - Le mostrerò allora una lettera che il Reggente ha fatto l'onore di scrivermi. (Prende una lettera nella tasca mancina).

Pulcinella                      - Ah, ah! A proposito di che cosa, Professore!

Ballanzon                      - Vorrebbe nominarmi Rettore dell'università, Onorevole.

Pulcinella                      - (leggendo) Non potrebbe fare una scelta migliore!

Ballanzon                      - (rigirandosi e dando un'occhiata intor­no) C'è qualcuno che ci sta a sentire, onorevole!

Pulcinella                      - E' meglio andarcene. (Escono, entra il secondo signore).

Il secondo Signore        - (al primo) Buon giorno! Non c'è ancora nessuno!

Il primo Signore            - Nessuno! Sono curioso di ve­dere quel che succederà! (Accende una sigaretta).

Il secondo Signore        - Ah! Ha comperato dei fiam­miferi? (Entra un terzo signore. E' vivace, loquace, minuto, giovane, troppo gentile. Sorride, fa dondo­lare la canna di bambù, ha uno stuzzicadenti all'angolo della bocca).

Il terzo Signore             - E' qui il comizio?

Il primo Signore            - Anche lei viene al comizio?

Il terzo Signore             - Oh, no! Venivo a vedere.

Il secondo Signore        - Anch'io.

Il primo Signore            - Che ne dice lei, della situa­zione?

Il terzo Signore             - Che è eccellente. La città non è mai stata così felice e così libera! Il commercio e l'industria non sono mai stati così prosperi!

I primi due Signori        - (assieme) Proprio così.

II primo Signore           - Che ne pensano loro di que­sta nuova legge?

Il terzo Signore             - Che legge?

Il primo Signore            - Quella che dà al Reggente ildiritto di godersi tutte le ragazze del Regno chegli piacciono.

Il terzo Signore             - lo, signori, non mi occupo dipolitica. (Esce).

Il primo Signore            - Che pare, a lei, di quel signore?

Il terzo Signore             - (ridendo) Che non pensa unaparola di quel che dice.

Il primo Signore            - Ah! Ah! Ci intendiamo a volo!Posso offrirle qualcosa?

Il secondo Signore        - Grazie, volentieri. (Si seg­gono ad un tavolino. La padrona porta loro due caffè).

Arlecchino                    - Angelica! Angelica! La voce di Angelica            - Come! Sei tu Arlecchino?

Arlecchino                    - Ritorno ora dal mio viaggio! Vorrei vederti!

La voce di Angelica      - Ma non sai niente? Non posso uscire.

Arlecchino                    - (si appoggia al bordo di una finestra bassa) Ah! Ti vedo finalmente! Che bel vestito! Che sorriso inquietante! Come sono graziosi e dolci i tuoi movimenti! Hai più grazia di un pesce, che è l'animale più flessuoso della natura. Sei misurata nei gesti come se tu fossi inquadrata in una scatola invisibile di cristallo. Darei tutto' quel che ho di più prezioso al mondo per baciarti le mani!

La voce di Angelica      - Imbecille! Domani devo sposarmi con Valerio; e il Reggente questa sera vuol applicare, in mio onore, il diritto di prime nozze.

Arlecchino                    - Che sciocchezze dici? Questa legge non c'è mai stata da noi!

La voce di Angelica      - L'ha creata apposta per me. Ah! Ah!

Arlecchino                    - (molto turbato) Sei dunque un po' la fidanzata del Reggente? La voce di Angelica      - Per carità fa' attenzione! Dappertutto ci sono spie.

Arlecchino                    - Diavolo! Delle spie?!

La voce di Angelica      - Vattene in fretta.

Arlecchino                    - (allontanandosi dalla finestra) Tutto è mutato. Non voglio mica che mi sospettino di essere comunista.

La voce di Angelica      - (allontanandosi) Ah! Ah! Ah!

Arlecchino                    - (alzando le spalle) In fin dei conti che m'importa? Il Reggente si diverte? Faccia pure, poiché lo può; Angelica è deliziosa, e lo capisco benissimo! Per me il mondo non è che uno spetta­colo divertente e non mi voglio compromettere; non ho nessun obbligo di protestare per la morale, poiché non mi occupo che di estetica. Gli artisti sono gli amici naturali dei Re; se non ci fossero i Re, chi darebbe loro lavoro? Non è proprio il caso di gua­starmi col Reggente il giorno in cui mi ha ordinato il suo busto. (Esce).

Il primo Signore            - Delle grida! Che cosa succede?

Il secondo Signore        - C'è ancora del buono in questo popolo.

Il primo Signore            - Un Reggente non ha il diritto di cavarsi tutte le voglie che gli passan per la testa.

Il secondo Signore        - D'accordo, d'accordo.

Il primo Signore            - Lei trova ciò...

Il secondo Signore        - Mostruoso.

 

Il primo Signore            - E il Reggente...

Il secondo Signore        - Abbietto. (Un silenzio).

Il primo Signore            - (alzandosi) Sono dispiacente,ma devo arrestarla. Sono un agente, (Tira fuorila tessera).

Il secondo Signore        - (l'esamina attentamente)  Sì, lei ha ragione, lei è un agente della polizia, lodevo riconoscere.

Il primo Signore         - (in tono secco) Mi segua.

Il secondo Signore     - Sono un agente anch'io. (Tira fuori la sua tessera).

Il primo Signore            - (l'esamina attentamente) Sì, è vero, anche lei è un agente.

Il secondo Signore        - Che mestiere però! (Si asciu­ga il sudore col fazzoletto).

Il primo Signore            - Lei ha ragione! Non se ne può più. Scovare i delinquenti, i ladri, gli assassini è pericoloso, ma ha i suoi lati divertenti. Dar la caccia a dei disgraziati che si lagnano di essere stati derubati e bastonati dagli amici del Reggente non è gioco pericoloso, ma è stomachevole.

Il secondo Signore        - Rimanga fra noi: io penso che la gente di questa città ha ragione!

Il primo Signore            - Assolutamente ragione.

Il secondo Signore        - Tutti sono capaci di gover­nare colla polizia!

Il primo Signore            - E' il metodo più spicciativo. (II terzo signore appare sulla porta) Ma quello che mi stupisce è che la gente sopporti tutte queste cose! E' possibile che abbia tanta paura?

Il terzo Signore             - Signori! Mi diano i loro nomi, sono un agente.

Il primo Signore            - Anche noi siamo agenti.

Il terzo Signore             - Lo so, ma io sono appunto incaricato della sorveglianza degli agenti. (Un'ondata di popolo attraversa la piazza gridando: « Morte al Reggente». E trascina con sé ì tre agenti).

La Padrona                   - Eh! Signori. Eh! eh! il conto! (Entra Gianduia. E' un buon commerciante. E' ricco, opu­lento, saggio, modesto e pauroso. Ha un viso tondo, delle grosse mani paterne e una catena da orologio al panciotto).

Gianduia                       - Chiudi bottega, cara mia. Quando in piazza c'è confusione, nessuno paga più. La Padrona         - (è piccola, grassa, forte, ha gote piene e rosse come mele d'inverno, brontolona, ma un cuore d'oro) Ne ho piene le tasche! Che urlino, che schiamazzino, che facciano le rivoluzioni, che si divertano colle ragazze. (Rientra nel caffè conti­nuando a brontolare) Tutto ciò non mi riguarda. Sono una brava donna che non si occupa di politica, ma non vedo con che diritto gli agenti se ne vanno via senza pagare quel che bevono. (Ricompare con un cartello su cui è scritto: « Si paga anticipato »e lo affigge alla porta. Entrano Pantalone e Sten­terello).

Pantalone                      - (entra alzando le braccia al cielo. Gran­de industriale, il lavoro e le donne lo hanno emacia­to. E' pallido, vecchio, esitante; è uno scettico che si fa passare per uomo di principi. E' vestito di nero, ha un grosso naso, delle mani lubriche ed una voce tremolante) Nessuno ancora al comizio! Nessuno, eccetto te, Gianduja!...

Gianduja                       - (stringendogli la mano) In verità, Commendatore, io...

Pantalone                      - Angelica, la mia piccola Angelica sta per essere violata! E nessuno si sdegna! Nessuno ci aiuta!

Gianduja                       - (scuotendo la testa) Chi ha paura non può sdegnarsi, Pantalone!

Pantalone                      - Neppure il suo fidanzato! Neppure Valerio! Dov'è andato? E' tutta la mattina che lo faccio cercare e nessuno è riuscito a scovarlo. (Alla padrona) Un caffè.

La Padrona                   - Si paga anticipato!

Pantalone                      - (gettandole una moneta da una lira) Stenterello! Che cosa pensa lei di tutto ciò?

Stenterello                     - (è un povero impiegato, spaventato, giallo, piccolo, magro, umile, sporco. Non è mai stato libero in vita sua, ha sempre dovuto vendere la sua anima per un boccone di pane) Oh, Com­mendatore, pensare! E' ben pericoloso! Io sono un impiegato statale!

Pantalone                      - (sottovoce a Gianduja) Sono ricco. I quattrini non mi varranno a nulla? Sarebbe la prima volta in vita mia che vedo un caso simile. (Entra Valerio, giovanotto mondano, gentile, futile, elegante; aria stanca).

Valerio                          - Buon giorno, babbo. (Si siede) Un caffè.

Pantalone                      - Finalmente! Dov'eri Valerio? Che cosa hai fatto? Non hai vergogna di lasciarci soli in un giorno come questo?

Valerio                          - Mi sono disperato da solo! Ho pensato che era meglio. (Vede il cartello e getta una moneta sul tavolo) Si paga in anticipo, ora?

Pantalone                      - Che cosa conti di fare?

Valerio                          - Io?... (Tace) E lei?

Pantalone                      - Vedi. Io mi dimeno, cerco di reagire.

Valerio                          - Oh babbo! Lei è ammirevole. Ma lei è una forza, una forza indipendente. Io... io sono un povero diavolo senza mezzi. E conto di far carriera in diplomazia. (Entra un signore, ha l'aria importante, esita, poi fa un cenno a Valerio. Vale­rio abbassando la voce) Babbo, Sua Eccellenza Tar­taglia vuol parlarci. Viene da parte del Reggente.

Pantalone                      - (si alza in fretta) Ah! C'è forse modo di aggiustare le cose. (Pantalone e Valerio si acco­stano a Tartaglia e parlano con luì a bassa voce.

 Entra il dottor Ballanzon che va a sedersi accanto a Gianduja).

Ballanzon                      - Che ne pensa lei, Cavaliere, di tutta questa storia?

Gianduja                       - Che è mostruosa, Professore. Non ho paura di dirlo.

Ballanzon                      - Finalmente! Una coscienza libera! Lei non può immaginare quanto le sue parole mi rincuorino; questo regime non può durare; non ha alcun rispetto per l'intelligenza. (Prende una lettera nella tasca sinistra) Legga questa lettera dell'acca­demia. Mi rifiutano il gran premio di storia, col pretesto che in alto si dubita delle mie opinioni politiche.

Gianduja                       - Che infamia! (Legge la lettera indi­gnandosi e la rida al professore che la rimette nella tasca destra).

Ballanzon                      - E io sono un privilegiato! Un mio collega, professore di economia politica, è stato destituito, perché nei suoi corsi ha sostenuto che in tempo di crisi l'agricoltura" è più importante che l'estetica.

Gianduja                       - Ciò mi sdegna, Professore, ma non mi meraviglia. Ad un mio amico libraio hanno chiuso la bottega perché aveva esposti nella vetrina troppi poeti stranieri.

Tartaglia                        - (è sottosegretario di Stato. E' piccolo,, tozzo, agghindato, cammina a braccia larghe, la te­sta allindietro, cercando di darsi un'aria distinta. Smanetta come se modellasse le frasi colle mani, è Tartaglia) L'assicuro, Co-commendatore, che il Reggente ha per lei la più grande ammirazione.

Pantalone                      - Il Reggente è molto gentile, Eccel­lenza, ma...

Tartaglia                        - La considera uno dei pi-pi-pilastri della nazione, una delle co-co-colonne della nostra industria.

Pantalone                      - Ne sono molto onorato, Eccellenza, ma... io penso però che...

Tartaglia                        - Non vorrebbe in alcun modo nuo­cerle, Commendatore.

Pantalone                      - Le sono assai grato, Eccellenza, ma...

Tartaglia                        - Avrebbe anzi le migliori intenzioni di a-a-aiutarla, Commendatore.

Pantalone                      - Ma io non ho' bisogno di nulla, non chiedo nulla... chiedo solo, Eccellenza...

Tartaglia                        - Il Reggente sarebbe favorevole a qualche mo-rnodi-rnodi-modificazione sulle ta-sulle tari-sulle tariffe...

Pantalone                      - (sobbalzando) Sulle tariffe? Su quali tariffe?

Tartaglia                        - Sulle tari-sulle tari-sulle tariffe...

Pantalone                      - (febbrile, fremente) Ho capito, sulle tariffe, su quali tariffe?

Tartaglia                        - Sulle tariffe doganali.

Pantalone                      - Ah! Eccellenza.

Tartaglia                        - Si potrebbero studiare delle ta-tari-tariffe che rendessero impossibile l'importazione di ma-ma-macchi-macchine da cucire americane.

Pantalone                      - E' evidente.

Tartaglia                        - Lei sa, Commendatore, che le ma-ma-macchine americane costano meno, molto meno...

Pantalone                      - Questa faccenda, Eccellenza, mi inte­ressa assaissimo. Non tanto per me che sono abba­stanza ricco per passarmela bene senza bisogno di guadagnar di più, ma per la mia industria, e soprattutto per il mio paese. L'industria è... come dire...

Tartaglia                        - Il per- il per- il perno economico, il centro morale.

Valerio                          - La forza di espansione.

Pantalone                      - La sorgente del benessere.

Tartaglia                        - Sua Altezza, infatti, pensa che questa mo-modi-modificazione può fare il bene non solo dell'in-in-industria, ma di tutta la nazione.

Pantalone                      - Sua Altezza è molto generosa, Eccel­lenza, ma...

Tartaglia                        - Sua Altezza è convinta che questo di-di-diri-diritto che ha rimesso in vigo-vigore non può in alcun modo fe-ferire i sentimenti di un uomo moderno, libero dai vecchi pregiu-pregiudizi.

Pantalone                      - Però... ecco, vediamo, Eccellenza!

Tartaglia                        - Sua Altezza sa che qualcuno di quei dema-dema-demagoghi, che profittano di tutti i pre­testi per tur-tur-turbare l'ordine, vuol fare oggi una ma-ma-manifestazione. E' convinta che in questo scia-scia-sciagurato complotto', che egli reprimerà con il massimo rigore, lei non c'entra in alcun modo...

Pantalone                      - L'ordine e la disciplina, lei lo sa Eccellenza, sono per me una religione.

Tartaglia                        - Ho un'idea, Co-co-commendatore, una idea. Sua Altezza tiene in grande stima il signor Valerio. Credo che sua Altezza sarebbe disposta a far qualcosa anche per lui. Forse che un'amb-un'amb...

Valerio                          - (anelante) Che un'amb...

Tartaglia                        - Un'ambasciata.

Valerio                          - Un'ambasciata sarebbe troppo per me, Eccellenza. Ma se Sua Altezza avesse la bene­volenza...

Tartaglia                        - Sua Altezza non si cura della gerar­chia burocratica. Non c'è che una ge-gera-gerarchia per lui, quella dell'intelligenza. (Strizzata d'occhio di Valerio a Pantalone).

Pantalone                      - Noi non dimenticheremo mai che l'iniziativa è venuta da lei, Eccellenza. (Tartaglia si inchina e esce. Pantalone alzando le braccia al cielo) E' stato sordo a tutte le mie ragioni! Oh padre sfortunato! Oh figlia mia! (Rientra in casa con Valerio).

Gianduia                       - Poveretto! Lo compatisco di tutto cuore. (Si alza) Vado a trovarlo.

Ballanzon                      - Cavaliere, non rimane al comizio?

Gianduia                       - No, Professore. Non mi piace il disor­dine, i tumulti pubblici, le folle esaltate. (Entra nella casa di Pantalone. Della gente passa, si ferma un momento sulla piazza, poi seguita per la propria strada. Arlecchino si siede al tavolino accanto al dottor Ballanzon).

Arlecchino                    - Buon giorno, Professore! Come sta? Sono assai lieto di rivederla. Lo spettacolo sarà divertente...

Ballanzon                      - Lo spettacolo? Quale?

Arlecchino                    - Il comizio! Niente è così divertente per me quanto una rivoluzione, una folla indignata, una battaglia, delle passioni scatenate, degli uomini che si ribellano, dei capi che si impongono, dei vincitori, dei vinti, dei morti... E' la vita stessa che passa davanti ai nostri occhi, semplificata, ingran­dita, come sulla ribalta di un teatro.

Ballanzon                      - (amaro) Fortunato' lei, che può con­templare il fiume dall'argine.

Arlecchino                    - Le hanno fatto qualche torto? Ha da lagnarsi di qualcosa? Ritorno oggi da un viaggio e non so niente di quanto succede in città.

Ballanzon                      - L'accademia ha rifiutato di premiare il mio ultimo libro protestando le mie opinioni poli­tiche! Ne vuole la prova? (Tira fuori dalla tasca di sinistra una lettera, ma non sceglie quella che dovrebbe).

Arlecchino                    - (leggendo) « Mio caro amico, la prego confidenzialmente di farmi sapere se accet­terebbe la carica di Rettore dell'università... ». (Con­tinua a leggere) «Firmato: Il Reggente». (Il profes­sore arrossisce) Ma cosa mi racconta? Vedo che lei è nelle migliori relazioni col governo.

Ballanzon                      - (riprendendo la sua lettera) Hum! Ecco! Ma no, ma sì... arrivederci. (Esce in furia).

Arlecchino                    - (ridendo) Ah! Ah!... un caffè. (Gian­duia e Stenterello escono dalla casa di Pantalone e sì avvicinano al caffè).

Stenterello                     - (stupito) Perché tante urla? Perché tanti pianti? Non capisco proprio. Pantalone non perde la figlia, Valerio non perde la sposa e tutti e due si fanno' relazioni preziose nel mondo politico. (Entra Pulcinella piuttosto serio).

Pulcinella                      - (ad Arlecchino) Le assicuro che non accadrà niente. (Della gente attraversa la piazza indignandosi ad alta voce).

Arlecchino                    - Per gli uomini politici non succede mai nulla.

Gianduia                       - Il popolo non è tranquillo, Onorevole!

(Entra Isabella: è molto bella, molto elegante, molto sostenuta. Crede, perché è bella, che non deve darsi alcuna pena per essere ammirata).

Isabella                          - (a Pulcinella) Che fortuna, Onorevole, di trovarla. Tutti mi guardano di traverso. Non osavo ritornare sola.

Pulcinella                      - (offrendole il braccio) Non tema, signora! Ho il fiuto politico io! Il popolo non fa niente se non trova dei capi. E non ne troverà.

Isabella                          - Tanto rumore per un pettegolezzo di nessun conto...

Arlecchino                    - E' un'ammiratrice del Reggente, lei?

Isabella                          - Ah, sì. E' un uomo politico di primo ordine. Ha visto che begli occhi? E' sempre vestito come un figurino! E' così galante con le signore! Scrive dei versi d'amore così deliziosi. (Pulcinella e Isabella escono a braccetto. Entra il dottor Bal­lanzon).

Ballanzon                      - ; Ho fatto un giretto. La città non è tranquilla, Cavaliere. (Un silenzio).

Gianduja                       - Sarebbe forse una buona occasione per...

Arlecchino                    - Ah, sì, per il grande spettacolo!

Ballanzon                      - Basterebbe un uomo...

Gianduja                       - Un uomo che osasse.

Arlecchino                    - Un eroe. (Entra Orlando. E' alto, forte, bello, ha gli occhi chiari, sguardo benevolo, ma un po' amaro. E' molto semplice; dice le cose come le pensa; porta la spada).

Orlando                         - (si avvicina a Gianduja con molto garbo) Buongiorno, signori. Posso chieder loro che cosa avviene in questa città? Vedo un cartello minaccioso e molta gente di cattivo umore.

Arlecchino                    - Chi è lei? Donde viene? E' del paese delle maschere?

Orlando                         - I miei amici mi chiamano: « l'uomo che resiste»; i miei nemici: «il cittadino che pro­testa» e la maggior parte della gente «Orlando».

Arlecchino                    - Mai sentito nominare.

Gianduja                       - Mai sentito nominare.

Ballanzon                      - Mai sentito nominare. (Entra la padrona).

Arlecchino                    - Eh! Padrona, ha mai visto lei « l'uomo che resiste »?

La Padrona                   - Nel nostro paese? Mai. Un caffè?

Orlando                         - No, una frittata, del pane, del vino, quel che ha. Ho fame.

La Padrona                   - Lei è forestiero?

Orlando                         - Ahimè, non ho più patria, da quando cerco quella in cui non regna l'ingiustizia.

Arlecchino                    - Cercare una cosa simile! Che strana idea!

Orlando                         - Qualche volta mi domando infatti se non sono matto quanto' l'eroe di cui porto il nome.

 Gianduja                      - (molto fiero) Orlando! Orlando Fu­rioso! So che cosa è, è un poema dell'Ariosto.

Arlecchino                    - La storia di un cavaliere errante.

Ballanzon                      - E anche lei si batte in duello per le belle signore disgraziate, beve alle fontane incan­tate, vola sugli ippogrifi, crede alle virtù delle ragazze e alla buona fede dei nemici?

Orlando                         - Non mi faccio troppe illusioni sugli uomini, cerco però di aiutare i più deboli. Quasi tutti si burlano di questa vocazione un po' stramba; qualcuno mi ammira, nessuno mi capisce. Lottare contro la ingiustizia e la violenza è per me assai facile; non ho ambizioni, non desidero onori, non aspiro al potere, e la ricchezza mi è indifferente.

Gianduja                       - Lei è un uomo forte.

Orlando                         - Sono un uomo libero. (La padrona gli porta una frittata, del pane e del vino su di un vassoio) In tutti i casi sono un uomo che ha molta fame! Per lottare contro le ingiustizie bisogna man­giare.

La Padrona                   - Si paga anticipato. Dieci lire. (Orlando paga).

Arlecchino                    - E' simpatico.

Gianduja                       - Sa parlare. Saprà anche agire? (Si sentono grida lontane).

Orlando                         - Ma che cosa succede in questa città? (II primo signore passa. Gianduja, il dottore e Ar­lecchino si strizzano gli occhi).

Ballanzon                      - Niente di speciale, tutto va sulle rotelle, ci si sta d'incanto. (II primo signore esce).

Orlando                         - (mangiando) La spia se n'è ita. Lor signori possono parlar più chiaro.

Arlecchino                    - Magnifico! Come sa lei che quel signore era una spia?

Orlando                         - E' molto tempo, ahimè, che faccio della politica!

Arlecchino                    - E da che cosa arguisce che noi non lo siamo?

Orlando                         - Non l'arguisco affatto. Lei potrebbe benissimo essere una spia. Ci sono certi momenti in cui metà degli uomini onesti di un paese si fanno spie, e l'altra metà rinuncia ad avere un'opinione per paura che qualcuno la conosca. Ma se si pen­sasse sempre ai pericoli che si corrono, non si farebbe mai nulla.

Gianduja                       - E chi dice che anche lei non sia un agente?

Orlando                         - (ridendo) Se fossi un agente, avrei l'aria grave, ragionevole, per bene, e loro avrebbero la massima fiducia in me.

Arlecchino                    - Ha ragione!

Gianduja                       - Vuole che le racconti quel che è avvenuto? Sarò obbiettivo. Or sono quattro o cinque anni tutti si lagnavano del governo. Avevamo un Reper la grazia di Dio e una monarchia legittima. Ma come tutte le monarchie legittime...

Orlando                         - Era debole.

Gianduja                       - Debolissima. Ha perduto parecchie guerre e colle guerre le colonie. Il popolo era scon­tento; il Re abdicò. Fu nominato un Reggente.

Orlando                         - Che cos'era questo signore prima di diventare Reggente?

Arlecchino                    - Era poeta.

Orlando                         - Poeta? Mettono i poeti a capo del governo in questo paese?

Gianduja                       - Non siamo noi che ce l'abbiamo messo...

Orlando                         - E chi allora?

Ballanzon                      - I generali.

Orlando                         - Strano paese! Che cosa si può sperare da un governo di generali e di poeti?

Gianduja                       - Nulla, siamo d'accordo. Questa volta però i generali si erano serviti del poeta per arrivare al potere senza esporsi troppo; ma il Reggente li ha fatti subito ghigliottinare tutti.

Orlando                         - Ha dell'energia, il vostro poeta!

Gianduja                       - Disgraziatamente la sua saggezza si è limitata a questo: conquistato il potere non ha pensato che a goderselo. Si è fatto una corte di donne. Fa colazione coll'oppio, desina coll'haschisch, cena con la cocaina. Non beve che champagne, sogna e impone le più strane costituzioni del mondo, che non rispetta mai. Non ci sono più leggi. Da che lui è al potere vige il regime dell'arbitrio. Le spie, gli agenti di polizia, i traditori pullulano; le persone dabbene scompaiono; gli scrittori non hanno più tempo di scrivere libri, obbligati come sono a scrivere le lodi del Reggente e in tutti i toni; il commercio è arenato perché tutto quel che si guadagna va a ungere gli amici del Reggente...

Orlando                         - Mi avevan detto che il Reggente è molto severo su questo capitolo.

Gianduja                       - (abbassando la voce) Sì, sì, c'è sempre la risorsa dell'ombrello.

Orlando                         - Dell'ombrello?

Gianduja                       - Ecco, ci sono delle pene severissime per gli impiegati o gli amici del governo che si lasciano corrompere; si può sempre però, quando il sole splende, andare al Ministero coll'ombrello sotto il braccio e scommettere 50.000 lire coll'im-piegato che deve decidere dei vostri affari, che fra dieci minuti pioverà...

Orlando                         - E il Reggente?

Gianduja                       - Il Reggente ogni tanto ci fa un discorso fiorito nel quale parla di Febo e di Giove. Discorre sempre della morte, e fa tutto il giorno baldoria; due giorni fa, ha ristabilito a favore del sovrano il « jus primae noctis » su tutte le ragazzeche gli piacciono e ha prevenuto i cittadini che oggi per la prima volta userà del suo diritto con Angelica, la più bella ragazza del paese, che deve sposare Valerio.

Orlando                         - E voi permettete un simile affronto?

Arlecchino                    - Non lo permettiamo, ma tutto andrà come se lo permettessimo.

Orlando                         - Oh, non crediate che ciò mi meravigli! Un piccolo male nostro ci par tanto più grave che le grandi disgrazie altrui! Angelica è dunque così bella?

Arlecchino                    - Ha dei grandi occhi neri, è il solo punto di repere in questa bellissima ragazza. Non si vedono che gli occhi, tutto' il resto si intravvede appena; in lei tutto è meravigliosamente provvisorio; non prende un'attitudine, la traversa. Non ci si ricorda delle parole con cui si esprime, ma solo delle idee e della musica della sua voce. E' sempre nell'approssimativo, e niente è così preciso quanto questo mormorio vago. E' una stella filante, Orlando.

Orlando                         - E' così bella e l'abbandona? L'ama e l'abbandona?

Arlecchino                    - Chi le ha detto che l'amo?

Orlando                         - (con dolcezza) Lei non farà mai nulla per Angelica; parla troppo bene lei. (Guarda Gian­duja) Lei neppure! Lei è buono, ragionevole e savio, ma ha paura, perché è ricco. (Guarda il dot­tore) Lei neppure, è troppo legato al potere e alle decorazioni che concede. Ebbene, l'aiuterò io.

I tre assieme                  - Lei? lei? Che farà lei?

Orlando                         - (alzandosi) A che ora il Reggente do­vrebbe venire a prendere Angelica?

Gianduja                       - (eccitato) Alle quattro.

Orlando                         - Chi ha avuto l'idea del comizio?

Ballanzon                      - (inquieto) Suo padre, Pantalone.

Orlando                         - Perché non è qui?

Ballanzon                      - Perché ha parlato cinque minuti con un messo di sua Altezza.

Orlando                         - Capisco, l'hanno comprato. Su chi si può contare in questa città? Sui borghesi? Sui no­bili? Sugli intellettuali?

Arlecchino                    - Sul popolo, perché è sentimentale.

Orlando                         - I borghesi hanno tutti paura?

Ballanzon                      - Non amano il disordine.

Orlando                         - I nobili?

Gianduja                       - Non hanno tempo, sono occupati tutto il giorno negli sports.

Orlando                         - Gli intellettuali?

Arlecchino                    - Hanno troppo bisogno del governo!

Orlando                         - Bene! (Tira fuori la Spada, e la batte fragorosamente sul tavolo, gridando) Holà! Holà! Il comizio incomincia. Padrona! Una casseruola di ra­me! Holà! Holà! Cittadini, venite tutti: popolani! contadini! operai! borghesi! commercianti! letterati!proprietari! Uscite dalle vostre case! Riuniamoci tutti in piazza!

La Padrona                   - (gli porta una grande casseruola lu­cente. Entusiasta) Quanto è bello!

Gianduja                       - E' matto. Si fa metter dentro in un batter d'occhi.

Arlecchino                    - (battendo le mani) E' delizioso! Bravo!

Ballanzon                      - Io me la svigno.

Orlando                         - (urlando) Venite tutti. Tutti assieme siete potenti e numerosi. Non se ne vada, Profes­sore! Non rischia niente, se resta al suo tavolino. Venite signore spie! Venite commissari di polizia! Questo comizio è anche per voi, come per tutti gli altri, perché anche voi siete degli uomini e avete un cuore e un cervello.

Il primo Signore            - (entra in gran fretta) Signore! Lei non può aizzare il pubblico alla rivolta contro lo Stato.

Orlando                         - (dall'alto della sua grandezza) Ma sì, signor Commissario, vede bene che lo posso.

Il primo Signore            - Le intimo il fermo.

Orlando                         - (urlando) Venite! Venite su, signori! Vede bene che non mi ferma.

Il primo Signore            - (tirando fuori il suo revolver e puntandolo su Orlando) In nome della legge...

Orlando                         - (con un colpo di spada gli fa saltare in aria il revolver) Di quale legge? (Giungono dei popolani, dei borghesi) Siate numerosi e sarete forti! Nessuno vi torcerà un capello. Il comizio è inco­minciato. Holà! Holà!

Il primo Signore            - In nome della legge di questa città...

Orlando                         - Nessuno ha il diritto di commettere illegalità in nome della legge.

Il primo Signore            - Lei è troppo intelligente.

Orlando                         - Desolato di non poter dire altrettanto di lei. (Il primo signore tira fuori un fischietto dalla tasca. Orlando stende il primo signore per terra con un pugno) E' una cosa da nulla, portatelo nel caffè. (Due uomini portano il primo signore dentro il caffè).

La Padrona                   - (scatenata) Bravo! Ha ragione. (La folla cresce).

Pantalone                      - (si affaccia alla finestra) Che c'è?

Orlando                         - Ecco, vedo là degli uomini forti! Ve­nite avanti! Si faccia avanti, lei, quel giovane operaio che ha l'aria così intelligente! Si faccia avanti, lei, quella ragazza così bella! Quell'operaio dalla faccia risoluta! Quel contadino che ha l'aria così furba! Quel bottegaio che sembra così onesto! Venite, venite tutti. Non abbiate paura. Basta che non. abbiate paura, per fare spavento ai nemici. (Si china verso la padrona) Quello là è Pantalone?

La Padrona                   - Sì, per l'appunto.

Orlando                         - (sempre battendo sulla casseruola) Venga, signor Commendatore. Si tratta di salvare la sua figliola. (La folla si accalca attorno a Orlando).

Un Operaio                   - Hai visto come ha cazzottato lo sbirro?

Una Donna del popolo           - Quelli sono pugni! (Entrano il secondo e il terzo signore e tentano di giungere fino ad Orlando).

Il secondo Signore        - In nome della legge, l'ar­resto.

Il terzo Signore             - Fate largo, devo passare. (Lotta contro la folla).

Orlando                         - Non si arrestano i galantuomini, si­gnori agenti! Voi sapete meglio di me che il Reg­gente non ha alcun diritto di violare le vergini di questa città; perché gli tenete mano? Credete con ciò di essere utili al vostro paese? No, neppure voi lo credete; anche voi siete degli uomini, dei disgra­ziati come noi, fate quel mestiere come ne fareste un altro... per vivere. Permettete che vi aiuti un poco e non battetevi contro le vostre leggi. (Getta loro due borse piene d'oro).

I due Signori                 - Ha voluto corromperci! (Intascano l'oro).

Un Contadino               - (pieno di ammirazione) E' ricco!

Una Contadina             - Sono monete d'oro!

Gianduja                       - (stupito) Come? E' ricco?

Ballanzon                      -  E' ricco! E' ricco! (Mormorii di am­mirazione, la folla aumenta).

Orlando                         - (un po' amaro) Che fa, se sono ricco?

11 primo Signore           - Ci segua. (Il primo e il se­condo signore si dibattono nella folla, entra Pul­cinella).

Stenterello                     - (a Orlando)            - Quello lì è Pulcinella, deputato ministeriale. (Entra Tartaglia) Quello è Tartaglia, sottosegretario di Stato.

Tartaglia                        - Bisogna chia-chia-chiamare la po-po-lizia, l'esercito.

Pulcinella                      - Non ne vale la pena, è un matto. Tutto si aggiusterà.

Orlando                         - Eccovi infine tutti riuniti, voi a cui l'ingiustizia ripugna. Grazie di essere venuti! Grazie a lei, Eccellenza, grazie a lei Onorevole! (Degli agen­ti arrivano correndo, molti fischi si incrociano. La folla reagisce) Voi vi chiedete chi sono. Venga, venga, Commendator Pantalone! Sono un uomo come tutti voi, null'altro che un uomo che ha il coraggio di dire quello che tutti pensano.

La Folla                         - Bravo! Bravo!

Orlando                         - Voi avete un Reggente, questo Reg­gente non rispetta le leggi che ha fatto. Vuol vio­lare le ragazze del vostro paese, colla scusa che così si faceva seicento anni or sono.

Arlecchino                    - E' lo spunto di uno dei suoi drammi!

Orlando                         - Permetterete voi un simile affronto?

La Folla                         - No! No! Abbasso il Reggente!

Orlando                         - Signor sottosegretario di Stato, vengacon noi! Se cambia partito a tempo, può ancora diventare ministro nel gabinetto dell'opposizione.

La Padrona                   - Viva Orlando!

La Folla                         - Viva Orlando!

Orlando                         - Tutti voi avete dei figli. Guardate Pantalone: è un padre. (Pantalone cerca di nascon­dersi. Valerio lo segue).

Stenterello                     - ( piano a Orlando) Quello è Vale­rio, il fidanzato1.

Orlando                         - Fra voi ci sono degli innamorati. Guar­date Valerio: è un fidanzato. Ecco una famiglia distrutta per i capricci di un tiranno.

La Folla                         - E' orribile! Povera gente! E' un bor­ghese! Che importa?

Orlando                         - I governi hanno il dovere di governare.

La Folla                         - Bravo! E' vero!

Orlando                         - Fra un'ora il Reggente verrà qui per impadronirsi di Angelica, Siate pronti! Armatevi! Difendetevi! Difendiamoci!

La Folla                         - Difendiamoci! (Degli agenti sorgono da ogni lato).

Orlando                         - Andiamo, amici, andiamo nei vostri quartieri. Andiamo a cercare delle armi! E ricorda­tevi bene di ciò: Angelica è la libertà!

La Folla                         - Bravo! (Molti fischi, trombette, grida. ha folla travolge gli agenti e si allontana con Or­lando).

Gianduia                       - (in primo piano solo) Meglio un disor­dine che un'ingiustizia.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Qualche ora più tardi. Il tempo è incerto, degli agenti in civile passano di corsa. Entrano il corri­spondente di un giornale americano e un filosofo inglese. Gironzolano, il naso in aria, fumando la pipa).

Il Corrispondente          - (è grosso, grasso, ha due fos­sette sulle gote, ride a crepapelle, si traina, perde i pantaloni) Che bella città! Che ordine! Come si sente che tutto qui è regolato!

Il Filosofo inglese         - (magro, alto, occhi azzurri, incarnato sanguigno, gran barba bianca) Che paese delizioso! Tutti hanno l'aria così felice! (Si fermano ad un tratto vicino alla camera di sicu­rezza della polizia e guardano attraverso le inferriate d'un sottosuolo).

Il Corrispondente          - C'è qualcuno qui che grida!

Il Filosofo inglese         - Un uomo è rinchiuso lì dentro! (Appare una testa contro le sbarre). .

Il Corrispondente          - Che cosa fate lì? Perché gridate?

Meneghino                    - Sono un prigioniero politico, mi hanno bastonato.

 

Il Filosofo inglese         - Come?! Ci sono prigio­nieri politici in questa città?

Il Corrispondente          - Questa però non è una prigione.

Meneghino                    - E' il commissariato. Le prigioni sono zeppe come melagrane. Cacciano i prigionieri dappertutto.

Il Corrispondente          - (tirando fuori un taccuino) Molto curioso! Che cosa avete fatto?

Meneghino                    - Sono un critico letterario1. Ho scoperto che il Reggente aveva plagiato Peladan nelle sue poesie.

Il Corrispondente          - E perché l'avete pubbli­cato? Che imprudenza!

Meneghino                    - Non l'ho pubblicato. L'ho sol­tanto scoperto e confidato a qualche amico. C'è con me un commerciante. Anche lui guarda il cielo a scacchi perché non ha issata la bandiera quando passava il Reggente.

Il Corrispondente          - Siete due allora nella vo­stra prigione?

Meneghino                    - Siamo tre. C'è anche un notaio che ha rifiutato di firmare un bilancio falso pre­sentato dalla banca del Reggente.

Il Corrispondente          - Da quanto tempo siete in prigione?

Meneghino                    - Già da tre mesi, ahimé!

Il Filosofo inglese         - (fumando) Ah! E voi cre­dete, signore, che noi siamo più liberi di voi?

Meneghino                    - Perdinci, sì!

Il Filosofo inglese         - Voi vi sbagliate. Noi siamo tutti schiavi di noi stessi, delle nostre passioni, dei nostri vizi, dei nostri interessi...

Meneghino                    - Sì, ma voi, malgrado le vostre passioni e i vostri vizi, passeggiate.

Il Filosofo inglese         - Passeggiare o restar fermi...

Meneghino                    - Voi fumate.

Il Filosofo inglese         - Del fumo...

Meneghino                    - Voi potete parlare.

Il Filosofo inglese         - Dir delle parole...

Meneghino                    - (sempre più furioso) Voi fate all'amore!

Il Filosofo inglese         - Ah, no, questo no, non lo faccio!

Meneghino                    - Avrei gusto a vedervi al mio posto.

Il Filosofo inglese          - In un posto o nell'altro noi siamo sempre tutti prigionieri.

Meneghino                    - Ma io sono un prigioniero per davvero! Io batto la testa contro il muro. Ho freddo. Penso alla vita che si svolge sopra alla mia testa. Penso all'ingiustizia di cui sono vittima... (I tre signori del primo atto si avvicinano al corrispon­dente e al filosofo).

Il primo Signore            - Signore! Lei parla con un prigioniero. E' proibito.

Il Filosofo inglese         - Proibito? Perché?

Il secondo Signore        - Lei si rivolta contro l'au­torità.

Il Filosofo inglese         - Che cos'è l'autorità?

Il secondo Signore        - Lei eccita alla rivolta con­tro lo Stato. In nome della legge l'arresto.

Il Filosofo inglese         - (indignato) Ma no! (I tre agenti trascinano via il filosofo inglese ed il corri­spondente americano) Ma è ingiusto!

Il Corrispondente          - La libertà...

Il Filosofo inglese         - E' sacra.

Il Corrispondente          - Sono il corrispondente di un giornale americano!

Il Filosofo inglese         - Sono un filosofo inglese. Non avete alcun diritto di mettermi in prigione.

Il Corrispondente          - E' inaudito!

Il Filosofo inglese         - Questo passa ogni limite!

Il primo Signore            - Andiamo, andiamo. (Escono).

Meneghino                    - (dal fondo della sua prigione) Bravi poliziotti! Bravi poliziotti! Fate conoscere ai filosofi la vita di cui parlano nei loro libri, e butterete all'aria tutta la loro filosofia. (Scompare dalla fine­stra. Entrano Pulcinella e Tartaglia).

Tartaglia                        - Co-co-come? Non c'è forza pu-pu-pubblica? Non ci sono soldati? Non ci so-sono agenti? Dove sono andati? Perché non c'è gua-guar-dia a questa porta?

Pulcinella                      - Pare, Eccellenza, che tutta la po­lizia dei quartieri popolari sia passata ad Orlando.

Tartaglia                        - Impo-impo-impo-ssibile, Onorevole. L'avrei saputo!

Pulcinella                      - I ministri, Eccellenza, sono quasi sempre gli ultimi a conoscere le notizie importanti.

Tartaglia                        - Dav-dav-dav-vero? Dav-dav-dav-vero?

Pulcinella                      - Gli è che i ministri si credono in obbligo di sapere le notizie prima degli altri, e non stanno mai a sentire coloro che gliele portano.

Tartaglia                        - (sorridendo) Lei ha dello spi-spirito. Ed ha ragione.

Ballanzon                      - (arriva tutto ansante) Vengono! Si armano! Gridano! E che folle! Che folle! Ho visto dei soldati in mezzo a loro. Il Regime è in peri­colo! Saranno qui fra mezz'ora! Ma perdio dovrebbero mandare un esercito! Che cosa fa il governo? (A Tartaglia) Si ricordi poi che sono io che l'ho avvertita! (Esce).

Tartaglia                        - (grandi gestì) Bisogna far qualcosa! Io non ca-ca-pisco più nulla! Che cosa fa lo Stato maggiore? Ha per-per-perduta la testa?

Pulcinella                      - Non si allarmi, Eccellenza! Cono­sco il nostro popolo. Salteranno fuori dei nuovi capi che Io aizzeranno contro Orlando. Fra mezz'ora litigheranno fra di loro, e basterà un capo­rale con quattro soldati per disperdere questa grandefolla. Tutto ciò non è serio! (Escono. Il dottore en­tra tra Brighella e Francatrippa, redattore politico di un giornale cattolico).

Brighella                       - (giornalista comunista, è simpatico, di­vertente, giovane e forse convinto) Lei, Profes­sore, parteggia per la rivoluzione?

Francatrippa                  - (è calvo e ripiega i suoi capelli sul cranio. Ha una barbetta pepe e sale. L'occhialetto e una voce bisbetica) Lei, Professore, parteggia per l'ordine?

Ballanzon                      - Hum! E lei, Brighella?

Brighella                       - Io sono per la Rivoluzione!

Francatrippa                  - Io sono per l'ordine!

Ballanzon                      - Io, ecco, sono per la solidificazione naturale...

Francatrippa                  - Cioè?

Brighella                       - Sarebbe a dire?

Ballanzon                      - (ingegnoso e complicato) Ecco, mi spiegherò. Per la solidificazione naturale degli av­venimenti. Loro sanno che se l'acqua è immobile, può arrivare a un grado sotto zero senza congelarsi. Immaginino che questa città sia come un gran lago; l'importante è di sapere a che grado gelerà l'acqua se non la si scuote con un sasso. (Francatrippa e Bri­ghella scoppiano a ridere. Escono. Entra una pat­tuglia di guardie del re con pennacchi, comandati da un tenente e da un sottotenente. Si dispongono a fianco della porta di Angelica. Qualche borghese applaude).

Il Tenente                      - (è giovane, magro, molto fiero della sua uniforme. Sì diverte molto a passare davanti ai soldati, a comandare il presenta-arm», a bistrattarli) Siamo i primi.

Il Sottotenente              - (è troppo piccolo, il che lo rende ridicolo presso i soldati e ritarda il suo avanzamen­to. Ha l'aria seria e triste) Lei crede che gli altri verranno?

Il Tenente                      - Come? Come? Lei pensa che po­trebbero non venire? Non ci mancherebbe altro! Non ci lasceranno mica soli contro tutta la città!

 Il Sottotenente             - Pare che la metà della polizia si sia rivoltata...

Il Tenente                      - Ho paura che qui faranno sal­siccia di tutti noi. (Si gratta il naso molto inquieto. Passa una signora. Subito si raddrizza, alza la scia­bola e grida) Attenti. Presentatami. Su, su, più energia! Più sveltezza! Più fierezza! Più virilità! (Ringuaina la sciabola).

Il Sottotenente              - (fra sé e sé) Altro che dei presentatami ci vorrebbero... mi pare...

Il Tenente                      - Hai visto quella signora? Che groppa! (Fa l'occhiolino alla signora; essa esce. Sì sente da lontano la gran voce della folla).

Il Sottotenente              - Vengono!

Il Tenente                      - (molto nervoso) A me pare che il Reggente e lo Stato Maggiore abbiano perso la testa. Se non giungono rinforzi, qui ci accoppano tutti con dei vasi da notte; prospettiva poco at­traente. (Al sottotenente) Vada a vedere quel che avviene a palazzo.

Il Sottotenente              - Vado. (Esce correndo. Una donna passa).

Il Tenente                      - Attenti! Presentat'arm. Riposo, (ha guarda. Entrano nel tempo stesso Orlando a sini­stra e il professore a destra. Orlando è avvolto in un gran mantello; vedendo le guardie del re, esita, poi entra nel caffè. Il dottor Ballanzon esita un istante, poi socchiude la porta del caffè).

Ballanzon                      - Orlando!

Orlando                         - Eccomi. Che cosa vuole?

Ballanzon                      - Faccia attenzione! L'hanno vista!

Orlando                         - Diavolo! Diavolo!

Ballanzon                      - Io sono con lei, sono per i galantuo­mini. Vo a barattare quattro parole col sottotenente, ne approfitti per svignarsela. (Si accosta al tenente) Buon giorno signor Tenente! (Orlando sguscia dalla porta senza che i soldati se ne accorgano).

Il Tenente                      - Buon giorno, Professore. Sa qual­cosa?

Ballanzon                      - (a bassa voce) Orlando è nel caffè.

Il Tenente                      - Ah! Ah!

Ballanzon                      - Sono io che l'ho prevenuta. Se ne ricordi. Io sono un uomo d'ordine. (Esce).

Il Tenente                      - (si gira di scatto e si trova naso a naso con Orlando) Orlando?

Orlando                         - (pronto a battersi) Signor sì.

Il Tenente                      - Che fa lei qui?

Orlando                         - Vengo a prendere Pantalone e Valerio.

Il Tenente                      - Dovrei arrestarla.

Orlando                         - Perché non lo fa? (Un silenzio).

Il Tenente                      - Senta. (Conduce Orlando al fondo della scena presso la porta del caffè) Perché non ha rapito Angelica?

Orlando                         - Perché Angelica è un simbolo. L'inci­dente che provoca l'esplosione degli animi. Senza Angelica ci mancherebbe lo stendardo per la battaglia.

Il Tenente                      - Sarei curioso di sapere perché i civili amano tanto le battaglie!

Orlando                         - I grandi popoli non fuggono davanti alle difficoltà, le risolvono.

Il Tenente                      - (tira fuori di tasca un biglietto da visita) Ecco il mio nome. Si ricordi di me. (Si volta verso le guardie reali allineate su due ranghi davanti alla porta) Attenti! Avanti! march! Alt! per fila destra! (I soldati in due file si allontanano dalla porta e le volgono le spalle. A Orlando) Entri su­bito. (D'un salto Orlando entra in casa di Panta­lone. Il sottotenente giunge tutto ansante).

 Il Sottotenente             - Il Reggente! Il Reggente!

Il Tenente                      - Attenti! Presentat'arm! Riposo. (Entra il reggente, al centro di un -manipolo di pretoriani; è piccolo, azzimato, elegante, distinto, intelligente, noncurante, voluttuoso e crudele. Ha una voce fredda e mordente) Attenti! Presentat'arm! (Saluta. Il reggente saluta distrattamente. Non co­manda il « riposo ». I soldati restano sul presen­tat'arm).

Il Reggente                   - Eccoci. Questa è la casa. Si spaz­zino via dalla piazza tutti i borghesi. (I soldati ese­guiscono l'ordine) E' quella la porta? No, non voglio entrare. Perché? Perché non sono ancora le quattro. Un Reggente deve essere esatto e io non voglio lasciar credere che ho paura. Io non arrivo, preparo il mio arrivo. Tenente, lei ha di­sposto molto male i suoi uomini. E' sicuro che la pulzella sia in casa?

Il Tenente                      - Altezza, sì.

Il Reggente                   - Riposo!

Il Tenente                      - Riposo!

Il Comandante dei pretoriani             - Riposo!

Il Reggente                   - (al sottotenente) Lei conosce forse la tattica, ma non la coreografia. Dove ha lasciato le spalline e i pennacchi dei suoi soldati? Lei do­vrebbe conoscere i miei principii: nei giorni di ri­voluzione i soldati devono essere in grande uni­forme come nei giorni di festa. Entrerò da questa strada. I soldati devono servirmi da sfondo. Li allinei su tre ranghi, metà a destra e metà a sini­stra, della porta, le spalle al muro, la fronte a me. (Il tenente eseguisce l'ordine) Bene! (Il reggente guarda di sottecchi come un pittore fa per un suo quadro) La prima fila si inginocchi come per tirare. Così! Comandante! Il tappeto. (Un pretoriano svol­tola un lungo tappeto rosso) Lo distenda innanzi alla porta. (L'ordine è eseguito) Non così; in lunghezza. Una lunga strada di porpora deve condurmi alle auguste nozze con la regina della bellezza. Ora i bracieri. (Due pretoriani portano due bracieri in ferro battuto pieni di brace rossa) Depongano i bracieri innanzi alla porta. No, all'orlo del tappeto. Quei due bracieri colmi di fuoco rosso sono il simbolo della mia fiamma. Si potrebbe forse bru­ciarvi degli incensi orientali. Ma no, non è abba­stanza vistoso. Rinuncio. (Si gira verso il coman­dante dei pretoriani) Comandante dei pretoriani! Il Comandante dei pretoriani      - (sull'attenti) Altezza!

Il Reggente                   - Che gli astati mi precedano. Che i triari mi seguano. Che gli astati si dispongano in tre ranghi formando un angolo di 90 gradi con le guardie reali. Ha capito? Veda che gli astati del terzo rango siano i più alti. I triari siano disposti dietro a me, nello stesso ordine; io sarò al centro(Ai capi del suo seguito) Veliti dei riflettori! (Due uomini si avanzano con un riflettore) Collocate il fotobolo a quella finestra. (indica una finestra nel palazzo della polizia) Quando la notte mi avvilup­perà nella sua ala unica, illuminatemi di rosso. (I due veliti del riflettore scompaiono nella casa. Il reggente si piega all'orecchio del comandante dei pretoriani) E' là il grande archibusiere?

Il Comandante dei pretoriani             - Altezza, sì.

Il Reggente                   - Lo metta alla stessa finestra col suo istrumento infallibile. Il proiettile della sua arma diabolica fulmini Orlando, appena leverò il mio feltro.

Il Comandante dei pretoriani             - Altezza, sì. (Dice qualche parola ad un pretoriano armato di fucile che segue due veliti nella stessa casa).

Il Reggente                   - (maestoso, al tenente) Sarò qui alla quarta parte di quest'ora, ossia fra un quarto d'ora. Difenda questa porta sacra, fino alla morte. Non avrà del resto da lottare che contro la plebe puzzolente e disunita; il compito non sarà difficile.

Il Tenente                      - Eppure, occorrerebbero dei rinforzi, Altezza!

Il Reggente                   - Le manderò la metà dei miei astati.

Il Tenente                      - Non sono molti, Altezza.

Il Reggente                   - Ma sono bellissimi.

Il Tenente                      - Lei mi dà ordine, Altezza, di tirare sulla folla?

Il Reggente                   - (maestoso) Agisca con prudente audacia  (Esce).

Il Tenente                      - Attenti! Presentat'arm  (Saluta) Ri­poso! (I pretoriani escono dietro il reggente. Rumoria di folla a sinistra; sulla scena silenzio inquieto. Il brusio della folla aumenta. Si sente un calpestio cadenzato che si avvicina).

Orlando                         - (trascinando Pantalone e Valerio per ma­no) Ma vengano!

Pantalone                      - Lei è matto.

Valerio                          - Lei ci compromette tutti.

Pantalone                      - La resistenza è inutile.

Valerio                          - Il Reggente ha l'esercito.

Pantalone                      - La flotta.

Valerio                          - La polizia.

Pantalone                      - La legge.

Valerio                          - E la mia carriera? E' forse lei il fidan­zato di Angelica?

Pantalone                      - Il padre sono io, dopo tutto!

Orlando                         - Si decidano! Avanti! (Escono. Entrano il dottore e Tartaglia).

Ballanzon                      - Tartaglia, tu sei al potere, tu co­nosci certo il fondo delle cose; dammi un consiglio. Io non so proprio più che fare; dovunque mi volgo vedo un pericolo. Mio Dio, com'è diventato difficilevivere in pace per un uomo saggio! I Regimi si seguono; i Reggenti succedono ai Re; e chi vuol essere col governo non sa ormai più se è meglio essere col governo O' coll'opposizione.

Tartaglia                        - Spiegati meglio ca-caro cugino mio; che cosa ti preoccupa in questo momento?

Ballanzon                      - (sottovoce) Ho qualche economia: credi che la lira resisterà? Dove hai messo i tuoi denari?

Tartaglia                        - (sottovoce) In Svizzera. (Escono. Il rumorio della folla si avvicina, ingrossa).

Il Tenente                      - (spaventatissimo) Eccoli! (Un si­lenzio).

Il Sottotenente              - Si deve comandare « fuoco »?

Il Tenente                      - Hai sentito l'ordine del Reggente.

Il Sottotenente              - « Agire con prudente au­dacia».

Il Tenente                      - E' molto vago!

Il Sottotenente              - Non è preciso!

Il Tenente                      - Non farò sparare senza ordine scritto. (Ai soldati) Ordine di difendere questa porta ma non di far fuoco. (La folla sbuca sulla piazza con violenza e minacce. 1 soldati si raggrup­pano compatti contro la porta della casa di Panta­lone. La folla li attornia e li preme. La folla è disor­dinata, ma si intravvedono nel caos gli elementi di un ordine primitivo: squadre di uomini armati di scuri, di asce, di fucili da caccia, di revolvers, di coltelli. Orlando, Pantalone e Valerio giungono su un carro trascinato dalla folla. Gianduia, inquieto ma trasportato dall'entusiasmo generale, ed il po­vero Stenterello, misteriosamente infiammato, deli­rante, smaniante, lì seguono a pochi passi).

Orlando                         - Il Reggente giungerà da questa strada. Fategli largo. (La folla si apre a diritta) La prima squadra di fucilieri si ponga allo sbocco di questa strada! La seconda allo sbocco dell'altra strada! La terza squadra sui tetti! (Tutti obbediscono).

Gianduia                       - Ma dica un po': lei vuol far dav­vero battaglia all'esercito?

Stenterello                     - Evviva!

Orlando                         - Nessuno tiri senza il mio ordine! Siate calmi. Belle signore, deliziose fanciulle, an­datevene!

Delle voci di Donne      - No, no, vogliamo restare anche noi!

Orlando                         - Entrate nelle case. E' inutile che dei fiori così preziosi vadano calpestati. (Gran parte delle donne si precipitano nelle case e riappaiono alle finestre. Squilli dì tromba).

La Folla                         - Il Reggente! (II reggente giunge al centro dei suoi pretoriani. Lo si lascia passare. I pretoriani stendono il tappeto, collocano al posto indicato i due bracieri e si allineano ad angoloretto coi soldati. Grande silenzio. Il reggente risale sul tappeto rosso fino alla porta di Angelica).

Orlando                         - (solo si fa innanzi all'altro capo del tap­peto) Altezza! (Gianduja lo trattiene per la giacca).

Stenterello                     - Evviva! (Il reggente, senza ri­spondere, alza il martello della porta).

Orlando                         - (afferra il tappeto per il bordo e lo tira a sé bruscamente. Il Reggente cade) Altezza! I tappeti non servono più che a far cadere i Re.

Il Reggente                   - (si rialza con dignità e risponde sor­ridendo freddamente) Se un Re deve cadere, meglio cada sopra un tappeto rosso. Una bella ca­duta, è un privilegio che non è concesso alle re­pubbliche.

Orlando                         - Una repubblica in piedi vai meglio che un reame a terra.

Il Reggente                   - Poco importa che un governo cada. L'importante è che sappia rialzarsi e riac­quistare il potere.

Orlando                         - No, l'essenziale per un buon governo non è di mantenersi al potere, è di ben governare.

Il Reggente                   - Che cosa intende lei per «ben governare »?

Orlando                         - Lasci il martello di quella porta, e glielo spiegherò.

Il Reggente                   - Arrestate costui. (I soldati fan finta di muoversi contro Orlando. Gesto di Orlando. ha folla straripa, rompe i cordoni. I soldati si raggruppano a destra della porta di Angelica, dietro il reggente).

Il Tenente                      - Siamo uno contro tre...

Il Sottotenente              - Pare che la marina si sia ri­bellata.

Un Bottegaio                - Abbasso il Reggente!

Un Operaio                   - Viva Orlando!

Il Tenente                      - Di rinforzi, nessuna notizia...

Il Sottotenente              - Li avranno fermati fuori. (La folla si raggruppa a sinistra della porta, dietro ad Orlando, ì soldati sono a destra. Orlando e il reg­gente si ritrovano faccia a faccia).

Orlando                         - Altezza! Lei risolve i problemi politici in un modo molto singolare...

Il Reggente                   - (leva la mano al feltro) Io li ri­solvo come li risolvono tutti i governi. Lei li vede dal punto di vista dell'opposizione.

Orlando                         - Con degli aggettivi e degli agenti, non si risolve alcuna questione.

Il Reggente                   - E con dei ragionamenti meno ancora.

Arlecchino                    - (arriva tutto affannato) Uno spet­tacolo simile! Non voglio perderlo! (S'arrampica su di un albero per vedere).

Gianduja                       - Lassù, ti farai impallinare come un tordo!

 

Arlecchino                    - Come un usignolo.

La Folla                         - Abbasso il Reggente! Huu! Huu!

Il Reggente                   - (molto calmo, lasciando ricadere le mani sull'elsa della spada) Non so se lei, signore, sia in grado di valutare il riguardo che le uso discutendo con lei. Mi prendo questo spasso perché sono soprattutto un poeta e i discorsi mi piacciono, ma non posso attendere dell'altro1 per chiederle... (Al comandante) Comandante, faccia caricare i fu­cili! che ragione lei ha di pigliarsela con me...

Un Operaio                   - Guarda, guarda: le cose si fanno serie.

Un Contadino               - Certo! Preferivi una rivoluzione di cartapesta?

Un Operaio                   - No. Ma l'esercito è una forza. Alla larga dalle guardie reali!

Orlando                         - Voglio impedirle di violare Angelica.

Il Reggente                   - Nient'altro?

Orlando                         - No, non mi contenterò di questo.

Il Reggente                   - Che altro vuole ancora?

Orlando                         - La sua abdicazione. (Grande mor­morio).

Il primo Soldato            - (a un altro soldato) Caspita! Hai sentito?

Il secondo Soldato        - Se si continua di questo passo...

Il terzo Soldato             - I discorsi finiranno presto...

Il Reggente                   - Davvero? E perché? Anche lei è ambizioso? Vuol brillare nei ricevimenti e nei grandi saloni dorati? Ama vedere innanzi e intorno a lei le teste curve, le signore sorridenti e premu­rose, le giovanette commosse, le folle in delirio, i ministri tremanti? Vuole il successo, la potenza, il piacere, la ricchezza, la noia, il governo insomma?

Orlando                         - Di tutte queste cose, Altezza, non mi importa nulla. Angelica non è per me che un gra­zioso pretesto. Avrei potuto rapirla sotto i suoi oc­chi, e non lasciarle al posto di Angelica che un sacco di carbone; ma Angelica è là ancora, perché per noi è il simbolo della libertà. Se io, Orlando, ignoto cittadino, guardo qui nel bianco degli occhi lei, Reggente potentissimo e poeta illustre, non è tanto perché lei vuole violare una giovanetta, ma soprattutto perché vuol violare la legge.

Gianduja                       - (a Stenterello) E' matto da legare. Il Reggente non dimentica le offese di questo genere. Ci impiccherà tutti.

Pantalone                      - (cercando di fuggire) Io non c'entro, mi ha costretto ad accompagnarlo, ma il Cielo mi è testimone che io non volevo.

Il Tenente                      - (al sottotenente) Se parla così, vuol dire che si sente ben forte.

Il Reggente                   - Io violo la legge. E lei che fa in questo momento?

Valerio                          - (gemendo) Povera la mia ambasciata!

Orlando                         - Altezza, lei mi ha domandato: che cosa è un buon governo? Un buon governo è quello che non obbliga mai i cittadini a trasgredire la legge per difendersi.

Il Reggente                   - (leva la mano al cappello) I go­verni debbono fare, disfare, e rifare le leggi; i sud­diti devono obbedire. Se no, si precipita nel di­sordine.

Orlando                         - Un falso ordine è più nefasto che un vero disordine.

Il Reggente                   - Un cittadino che si ribella con­tro il governo è più pericoloso che un re il quale violi le proprie leggi.

Orlando                         - (in tono quasi gentile) No, Altezza! Mi ascolti. (Il reggente lascia di nuovo cadere la mano sull'elsa della spada) I figli devono obbedire al padre, i sudditi al Re, i soldati al generale, e gli impiegati ai loro ministri... sinché i padri, i re, i generali e i ministri rispettano la legge. Ma i figli, i sudditi, i soldati, gli impiegati hanno l'obbligo di ribellarsi, quando i loro capi non rispettano la legge.

Il Tenente                      - Se cominciano a far della filosofia siamo salvi!

Il Sottotenente              - Ecco quello che occorre ai grandi popoli! La discussione!

Il Reggente                   - In quale libro anarchico ha pe­scato lei simili sciocchezze?

Orlando                         - Nei libri di Confucio e di San Tom­maso.

Un Bottegaio                - Ehi là! L'affare si mette meglio?

Un Operaio                   - Par d'essere al Parlamento!...

Il Reggente                   - Ma lei crede ancora alla legge?

Orlando                         - Sì, Altezza, perché io sono un suddito.

Il Reggente                   - Cambierebbe idea se fosse al potere.

Il primo Soldato            - Se si mettessero d'accordo?

Un Bottegaio                - Se persuadesse il Reggente?

Orlando                         - Solo i deboli e i mediocri cambiano idea quando giungono al potere. Governare non rispettando le leggi è molto più facile che rispet­tandole.

Il Reggente                   - Ma i regimi che non rispettano le leggi sono molto più forti.

Gianduia                       - Ah! Ah! Ma che fanno?

Pantalone                      - Si preparano ad attaccarci!

Valerio                          - Che forza ha una folla disordinata, contro un esercito inquadrato?

Orlando                         - (in tono più vibrante) I regimi forti non sono quelli che si reggono sulla forza. I regimi forti sono quelli che si reggono anche quando sono battuti: i regimi giusti, dunque.

Il Tenente                      - Conosco il Reggente; la va a finir male!

Il Sottotenente              - Se parte un colpo, è finita.

 Il Comandante dei pretoriani            - (ai soldati) At­tenzione! Non tirate senza ordini! Un Bottegaio     - Se tirano, io sono morto.

Un Operaio                   - Siamo proprio in prima fila

Gianduia                       - (a bassa voce) Prudenza, Orlando!

Il Reggente                   - E perché un regime dovrebbe essere giusto? E' forse giusta la natura? Sono giusti gli uomini? L'ingiustizia e l'illegalità regnano so­vrane su tutta la terra; il mondo è fatto pei forti che sanno prenderselo. Io sono un poeta pagano; amo le immagini saporose, le donne dai seni sodi, dalle anche a forma di anfora; amo il vino, il pia­cere, l'amore, la potenza. I superuomini hanno di­ritto di vivere a spese degli uomini e di ignorarne le leggi.

Il Tenente                      - Ci siamo! La folla si eccita!

Il Sottotenente              - Non ci resta che morire!

Il Tenente                      - Tu scherzi! Ti pare?

Il primo Soldato            - Siamo fritti!

Il secondo Soldato        - Ci faranno a pezzi.

Orlando                         - Lei, Altezza, è poeta e disprezza la legge? Che la sprezzino i borghesi, passi; non so­gnano che i soldi ed è più facile arricchire vio­lando la legge che rispettandola. Che i ministri la sprezzino, passi ancora; il più delle volte sono dei deboli che si credono forti e non sanno che go­vernare bene è più difficile che governare male, e che il buon governo non si lagna delle difficoltà, ma le accetta e le affronta. Che un poeta però sprezzi la legge, ciò mi stupisce veramente, perché la legge, Altezza, è la base del sogno. Crede lei che si possano scrivere dei versi, scolpire delle statue, dipingere dei quadri, rappresentarsi in una stanza silenziosa i piaceri vaghi e strazianti della musica, se i Reggenti non osservano la legge, e se i giudici non la fanno rispettare?

Il terzo Soldato             - E con tutto ciò ci ordinano di non tirare!

Un Operaio                   - Ci assaliranno!

Un Bottegaio                - Almeno potessimo svignarcela!

Un Contadino               - Io ho moglie e cinque figli!

Orlando                         - Là dove non c'è la legge gli uomini sono inquieti. I cittadini si divorano tra di loro. Le strade sono peggio che una foresta vergine; il fra­tello tradisce il fratello, l'amico abbandona l'amico, non c'è che l'astuzia e la bassezza che contino per salire. Ognuno sa che i giudici condanneranno l'innocente, che i critici loderanno' i libri peggiori, che i lestofanti diventeranno ministri. Come pos­sono i cittadini in queste condizioni sognare? Co­me vuole che nascano ancora dei poeti?

Un Bottegaio                - Oh, Dio mio, perché sono ri­masto in prima fila? (Cade la notte. Una luce rossa avviluppa il reggente).

Orlando                         - Lei si fa illuminare di rosso, Altezza,e non vede che lei governa un reame di sontuoso dolore! Guardi questa disgraziata città troppo bella, rivestita di marmi, corrosa dall'invidia, straziata, af­famata e luccicante! La sua grandezza l'estenua! Come un melo troppo carico i frutti lo schiantano e non può che morire sfolgorando-, eterno crepu­scolo. Dove mai la grandezza e il sacrificio furono così sterili come sotto questo gran sole? Altezza, poiché lei non è commosso da questa ricca e pro­fonda disperazione, lei non è poeta. (A queste pa­role un brivido di paura percorre la folla).

Il Tenente                      - E' la fine?

Gianduja                       - Prudenza, non tirate!

Il Comandante dei pretoriani             - Non tirate!

Pantalone                      - (facendosi il segno della croce) Si­gnore Iddio! Vergine Maria! Sant'Antonio! pro­teggeteci!

Un Bottegaio                - (cercando di sgusciare nella folla) lo voglio andarmene.

I Fucilieri                      - Il tuo muso!

11 Sottotenente             - Ci attaccano! Guarda là sotto!

I Soldati                        - Ci attaccano! (Movimenti).

Un Operaio                   - Ci verranno addosso!

Le Voci                         - Non tirate! Calma! (Il reggente si toglie il cappello).

Stenterello                     - (spinto da non si sa quale sentimento profondo, scavalca la folla e grida per la prima volta in vita sua con voce tonante) Viva la li­bertà (Un colpo di fucile parte e Stenterello cade).

Orlando                         - (sostenendolo) Poveretto! Tutta la vita ha tremato di paura. E' morto al suo primo grido eroico, (ha folla manda un grido enorme).

Gianduja                       - Che cosa accadrà, Signore Iddio?

Pantalone                      - Aiuto! Aiuto!

Valerio                          - Ci ammazzeranno!

II Tenente                     - (volgendosi) Dove sono i soldati? (I soldati si sono squagliati. Il tenente si squaglia anche lui. Il sottotenente esita, poi si squaglia cogli altri, ha folla sta fuggendo dall'altra parte).

Orlando                         - Vittoria!

La Padrona                   - (esce dal caffè) Ma i soldati sonoscappati! Ritornate! Rincorreteli! (ha folla ritorna).

La Folla                         - Vittoria! Abbasso il Reggente! (Tuttisi danno ad inseguire i soldati. Il reggente tentadi fuggire anche luì).

Orlando                         - Lei è mio prigioniero. (A due operai)Portatelo nel caffè e sorvegliatelo. (A due altri)Trasportate Stenterello all'ospedale, (la folla è indelirio, dappertutto gente che corre, colpi dì fucilein lontananza).

Ballanzon                      - (arriva trafelato) Orlando! Le portouna buona notizia: la marina è con noi. (Sirene)L'Ammiraglio arriva.

Tartaglia                        - (sorge non si sa come) Orlando! Homuna buo-buo-buona notizia da darle. L'esercito è con noi!

Orlando                         - Con noi? Sarebbe a dire...

Tartaglia                        - Con noi! Con noi! Tutti sanno che nel mi-mini-ministero io rappresentavo l'op-op-oppo-sizione.

Pantalone                      - Viva Orlando. L'avevo sempre detto che questo regime si sarebbe sfasciato alla prima scossa!

Valerio                          - Sono fiero che le mie disgrazie siano state utili alla causa della libertà.

La Padrona                   - Ah, che bravo! Voglio abbrac­ciarti! (Abbraccia Orlando).

Gianduja                       - (battendogli amichevolmente sulle spalle)Ragazzo, ragazzo mio! Puoi vantarti di questa giornata!

Pulcinella                      - (stringendogli la mano) Finalmentesi potrà fare un ministero su] serio!

Le Donne                      - (dalle finestre) Viva la democrazia!Viva la Repubblica!

L'Ammiraglio                - (vecchio signore con barba bianca)Orlando! Ho l'onore di comunicarle che la flotta è a sua disposizione.

Orlando                         - A mia disposizione? Grazie Ammira­glio, ma io non ho alcuna carica ufficiale.

Tutti                              - (stupefatti) Ma come? Che cosa conta di fare? (1 soldati ritornano a braccetto con dei civili, uomini e donne).

Un Soldato                   - Viva la pace!

Un Cittadino                 - Viva l'esercito!

Un Soldato                   - Viva la libertà! (Abbraccia una donna).

Una Donna                   - Ma di', mi prendi per la libertà?

Il Tenente                      - Lei ha il mio indirizzo, Orlando! (Entra il capitano Scaramuccia. E' capo dello Stato Maggiore. E' alto e quadrato; ha i baffi ritorti e neri, occhi rotondi, che fa roteare, in tutti i sensi; è piatto e servile coi superiori e probabilmente buon padre di famiglia).

Scaramuccia                  - Orlando, ho l'onore di comuni­carle che l'esercito chiede di servire lealmente sotto i suoi ordini.

Orlando                         - Sotto i miei ordini? Ma io non sono un re. Bisogna fare al più presto possibile delle elezioni libere e nominare una Costituente. Potrò aiutare, se è necessario, a formare un governo prov­visorio, ma preferirei non parteciparvi.

La Folla                         - Ma no! Noi vogliamo Orlando! Viva Orlando!

Scaramuccia                  - Se lei non prende la presidenza del governo provvisorio1, sarò costretto, con mio grande rammarico, a prenderla io, come generale in capo.

L'Ammiraglio                - Mi scusi, caro collega, ma ionon posso permettere che lei assuma una responsa­bilità cosi grave, quando ci sono' io!

Tartaglia                        - Soprattutto non vogliamo mi-mi-mili­tari nel gabinetto.

Pulcinella                      - Bisogna scegliere un uomo nuovo, giovane, forte nel Parlamento.

Pantalone                      - Che si curi degli interessi dell'in­dustria.

Orlando                         - Vedo ahimè che dovrò accettare.

La Folla                         - Viva Orlando!

Pulcinella                      - Bene! Bene! Chi pensa lei di sce­gliere come ministro degli affari esteri?

Pantalone                      - E come ministro dell'industria e commercio?

Scaramuccia                  - E della guerra?

L’Ammiraglio               - E alla marina?

Orlando                         - Vedremo più tardi. Lasciatemi riflet­tere. (Tutti si inchinano).

Un Operaio                   - Orlando! Il Reggente vorrebbe parlarle.

Orlando                         - Conducetelo qui.

Valerio                          - (ad Arlecchino) Taci? Che te ne pare di Orlando?

Arlecchino                    - Orlando! Orlando! Orlando! Come si può vivere ancora in una città dove uomini, donne, bambini, tutti parlano soltanto di Orlando? (Esce. Il reggente esce dal caffè in mezzo a due operai).

Orlando                         - Lasciateci soli. (Tutti si allontanano).

Il Reggente                   - (umile) Sono prigioniero. Sono vinto, Orlando. Le ho parlato da Reggente; ora vorrei parlarle da uomo.

Orlando                         - L'uomo avrà forse qualche cosa da dire.

Il Reggente                   - Perché ha scatenato questa ribel­lione? Perché ha arrischiato la vita? Ha sete del potere? Cosa conta di fare?

Orlando                         - Aiutare gli uomini a fondare una repubblica e poi andarmene.

Il Reggente                   - Ah! Ah! Ah!

Orlando                         - Perché ride?

Il Reggente                   - (aggressivo) Perché sarò presto vendicato, Orlando! Lei crede che la lasceranno fare? Conosce lei gli uomini di questa città? Ah! Pastore ingenuo di un gregge malato; cattivo1 incan­tatore di serpenti velenosi; mandriano inabile! In­vece di battersi e di rischiare la vita per gli uomini, li osservi, Orlando. Io li ho sondati sino al fondo del loro cuore. Un posto di comando come il mio, che osservatorio di cristallo sulla vita delle formi­che umane! Crede lei che un governo, il quale ha nelle mani tutti gli interessi dei cittadini, non abbia nelle sue mani anche l'animo loro? Cosa sono que­sti uomini? Dei vigliacchi! Li ho calpestati, mi hanno acclamato; li ho spogliati, mi hanno sorriso;li ho comprati, beffati, ingiuriati, imprigionati, vio­lati e mi hanno ricambiato con degli inchini! Tutte le loro femmine sono state mie; tutti gli uomini, l'occhio sottomesso e ansioso, hanno chiesto di ser­virmi; mi hanno denunciato il padre e il fratello; hanno fatto a gara a mentire, a calunniare, a farmi i panegirici più ridicoli. Dal mio trono io lasciavo cadere su loro qualche briciola di potere, e se ne servivano solo per uccidere la vita. La prima lega che si formò in questa città fu la lega degli stolti contro gli intelligenti. In qualunque punto scop­piasse una scintilla di genio, un lampo d'intelli­genza, subito erano in mille a spegnerlo. Tutti i posti difficili furono accaparrati dagli incapaci, tutti i posti di fiducia dai ladri. I geni dovettero andarsene in esilio, gli onesti furono ridotti alla miseria. Ecco lo spettacolo che m'offrì questa meravigliosa città, il giorno in cui potei osservarla dal mio belvedere.

Orlando                         - Ecco lo spettacolo che le offrì questa città quando lei ne era Reggente. « Basta un uomo cattivo al potere perché tutto un popolo diventi cattivo: tanta è la forza dell'esempio», dice Con­fucio.

Il Reggente                   - Con tutta la sua filosofia lei è uno sciocco, Orlando! Lei dice: ne farò una città libera e magnifica! Io invece mi sono detto: ne farò la mia preda. Ah! Ah! Uomini sciocchi e ignoranti, voi amate solo chi vi somiglia? Voi rispettate sol­tanto chi è peggiore di voi? Bene, io sarò più stolto e più briccone di voi! Briccone fra i bricconi, stolto fra gli stolti, ho cominciato finalmente a vivere. Amavo la potenza; l'ho conquistata e l'ho conser­vata perché sono stato quale mi volevano: indiffe­rente, crudele, senza pietà, egoista, bandito. Pensa lei che io creda di essere salito1 in fama di grande poeta perché ho scritto delle belle poesie? No, mi han giudicato gran poeta perché compravo coi de­nari altrui degli splendidi palazzi che non pagavo; perché montavo dei cavalli che costavano un occhio. Sa lei perché mi hanno creduto un grande uomo di Stato? Perché sparavo i cannoni nel mio giardino, quando ricevevo i banchieri che mi portavan del denaro. Lei non saprà mai tirare delle cannonate nel suo giardino! Ah! Ah! Vedrà! Vedrà! Presto la trascineranno nel fango!

Orlando                         - Può essere. Il mondo è pieno di mise­rabili. Ma dal suo osservatorio lei ha visto soltanto i vili, i venali... perché gli altri, i probi, i saggi, lei li chiudeva in prigione. Gli uomini sono un miscuglio di bene e di male, e il bene e il male prevale a seconda che chi comanda mette in luce il buono o il cattivo che è in loro. Che cosa sarebbe diventato il mondo se quelli che lo reggono avessero sempre ragionato come lei?

Il Reggente                   - Ebbene, che cosa è diventato'? Gli uomini non amano gli eroi e detestano i martiri. Amano soltanto gli egoisti; ammirano soltanto chi riesce a fare i propri interessi meglio degli altri. Perché Napoleone è tanto ammirato? Perché è stato un imperatore magnifico soltanto per se stesso. Che cosa ha fatto se non riuscire personalmente? Ha distrutto un mondo, l'ha saccheggiato, ha ten­tato di costruirne un altro che si è sfasciato dopo qualche anno. Niente è restato del suo Impero, fuorché un codice civile, dei prefetti e uno stra­scico interminabile di odi. Ma da un povero sotto­tenente di artiglieria è diventato imperatore. Egli ha realizzato il sogno intimo e segreto di tutti i bor­ghesi; per questo è diventato l'idolo di tutte le ambizioni represse che cercano una giustificazione gloriosa. Ma un uomo che si sacrifica per gli altri! E' una provocazione. Che cosa rappresenta lei per tutti questi miserabili, che si lagnano' dell'ingiusti­zia, ma che non hanno alcun desiderio di opporsi? Una smentita vivente delle loro comode teorie; la prova che sono dei vigliacchi; il modello di quello che essi non saranno mai, di quello che non vorreb­bero mai essere.

Orlando                         - Che gli uomini siano oggi così, non significa che debbano esserlo in eterno. Gli uomini di questo paese erano migliori quando avevano un sovrano legittimo, diventeranno migliori quando avranno dei capi migliori. Basta un uomo savio, dice Confucio, per cambiare la faccia di un'intera città. Ma bisogna che questo savio possa agire li­beramente.

Il Reggente                   - Orlando! Orlando! Vedrà! Vedrà! Un eroe è o un visionario a un imbecille. Se gli uomini riconoscono qualche volta la loro debolezza, non ammettono mai il coraggio degli altri. Crede lei che chi ripete tutti i giorni « io non faccio que­sto, perché è impossibile» amerà poi l'uomo che lo saprà fare? Addio, Orlando. (Appoggia un re­volver contro il petto).

Orlando                         - (gli fa saltare il revolver dalle mani) Riconducetelo nel caffè. (Mentre conducono il reg­gente nel caffè, Orlando raccoglie il revolver e lo esamina) Era scarico! (Una folla in delirio di uo­mini e donne irrompe cantando ed attorniando Or­lando. Le donne dalle finestre gettano fiorì sulla folla. Tutte le maschere corrono sulla scena incro­ciandosi e parlandosi. Strepiti, urla, evviva. Nel pic­colo caffè si beve molto e si paga poco; si grida «viva Orlando». La folla riconduce sulla scena il filosofo inglese e il corrispondente del giornale americano).

Il Filosofo inglese          - Ci hanno arrestati senzaragione e liberati senza interrogatorio. Strana giu­stizia! Strano paese!

Il Corrispondente          - (ad Arlecchino) Potrebbe dirmi, per piacere, che cosa significa questo spet­tacolo?

Arlecchino                    - E' la democrazia che comincia.

Fine del secondo tempo

ATTO TERZO

 (Un mese dopo; vigilia delle elezioni generali. Tut­te le finestre di tutte le case sono illuminate e la città da lontano ha l'aria di un immenso albero di Natale. Sono le tre del mattino, ma la piazza è animata come un giorno di mercato. I poliziotti del primo atto sono vestiti da guardie repubblicane. Tutti leggono ì giornali. Il caffè è aperto).

Un Operaio                   - (al bottegaio) Sai tu che cosà è la « proporzionale »? Devo pur votare, ma ci capi­sco poco.

Il Bottegaio                   - Vota pei socialisti. Sono per la pace.

La Padrona                   - Ma di', Giovanni, non ti pare una vergogna che Pulcinella si presenti nella lista dei socialisti? Ieri era ancora per il Reggente.

Il Bottegaio                   - Non vai la pena di fare una rivoluzione per rieleggere le stesse persone.

Meneghino                    - (ha una gran barba nera, una voce nasale e si sbellica dalle risa, passando) Caro mio, Pulcinella vuol diventare ministro. Per di­ventare ministro, oggi, il primo passo è di dichia­rarsi socialisti. (Esce. Pantalone esce dalla casa con Gianduja).

Pantalone                      - Non le nascondo, Gianduja, che sono assai inquieto.

Gianduja                       - Lei esagera, Pantalone. I comunisti sono solo un gruppetto.

Pantalone                      - Si, ma con un governo provvisorio così debole!...

Gianduja                       - Crede davvero che sia così debole?

Pantalone                      - Debole? Peggio, impotente, ine­sistente!

Gianduja                       - Perché, Pantalone?

Pantalone                      - Le pare serio un governo che fa le elezioni generali lasciando libertà completa a tutti i partiti? Ho fatto davvero un bell'affare; ho pa­gato di tasca mia una rivoluzione, ho rischiato la mia vita, la mia fortuna, la felicità della mia fa­miglia per arrivare a un disordine come l'attuale! Si è mai visto un governo saggio fare delle elezioni libere? A che servono allora i prefetti? Io credevo Orlando un uomo intelligente; quando parlava di «libertà» mi immaginavo intendesse libertà per i contadini, i facchini, gli scalzacani del paese. Non gli è preso anche il ghiribizzo di ristabilire il li­bero scambio!

Gianduia                       - Capisco, Commendatore, che questo punto la turbi in modo particolare.

Pantalone                      - Libertà! Libertà! Io sono per la li­bertà, s'intende, Gianduja, ma l'economia ha delle leggi sacre che non si possono violare; libertà di scrivere tutti i libri che si vogliono, libertà di be­stemmiare Dio, di sparlare del Re, di negare il Papa, benone, siamo d'accordo. Io rispetto il pen­siero, il libero pensiero. Ma la libertà degli scambi è un nonsenso. D'altronde, mi dica francamente: si fa una rivoluzione con tutti i pericoli che implica, per rischiare di perdere il potere poche settimane dopo. (Escono. Entrano Brighella e Meneghino).

Meneghino                    - Scusa, Brighella. Io non credo' né a Dio, né al diavolo; ma ho fatto sempre di cappello al diritto di opposizione. Tutte le idee sono rispettabili soprattutto le mie. Sono stato in gat­tabuia tre mesi per un articolo di critica letteraria, e non vorrei ritornarci.

Brighella                       - Ma Meneghino, sei proprio un fos­sile, un animale antidiluviano! Chi mai dopo Treitschke crede ancora alla religione della tolle­ranza? Quando mai si è fatto una rivoluzione con­tro la destra, per rischiare di farsi battere dalla destra stessa alle elezioni generali? Io non capisco! Orlando aveva della simpatia per noi, eppure ha rifiutato di darci dei camion per andare a racimo­lare gli elettori. Che cosa possiamo1 fare senza ca­mion? Non abbiamo nessun seguito nel paese; e non possiamo trovare dei voti, se non andiamo a rastrellare gli elettori in campagna con un po' di denaro, qualche manganello e molti camion.

Meneghino                    - Ho capito; la politica è per te un'impresa di trasporti!

Brighella                       - (ridendo) A proposito, come spieghi tu che Tartaglia sia di nuovo sottosegretario di Stato?

Meneghino                    - Perché è sempre onnipresente. Tartaglia è stato capo gabinetto e sottosegretario di quattro ministeri successivi, perché invece di uscire per la porta grande, coi ministri dimissionari, usciva per la porta vetrata del giardino, ritornava a palazzo subito dopo, ed era lì sempre pronto quando c'era bisogno di qualcuno per tappare un buco. (Escono. Tartaglia e Pulcinella entrano).

Tartaglia                        - Sa, On-ono-onorevole, l'ultima no­tizia?

Pulcinella                      - No, Eccellenza.

Tartaglia                        - Orlando ha sciolto le squadre ro-rosse del nostro pa-partito.

Pulcinella                      - Malgrado che lei sia sottosegretario nel suo ministero?

Tartaglia                        - Ma si! Lei non ci crede! Onorevole! ha ra-ra-gione!

 

Pulcinella                      - Con che pretesto, Eccellenza?

Tartaglia                        - Col pre-pretesto che noi vogliamo ser-ser-servircene per far paura agli elettori degli altri par-par-partiti.

Pulcinella                      - Non era questo il vostro scopo?

Tartaglia                        - Naturalmente, natural-naturalmente, Pulcinella. E' il nostro diritto, non le pare? Pa­droni gli altri di fare altrettanto.

Pulcinella                      - Sicuro. Sicuro, dovevamo pur di­fenderci contro la possibilità di essere attaccati.

Tartaglia                        - Valeva la pena di bu-bu-buttar giù un tiranno, per cascare sotto un ti-ti-ti-tiranno più duro.

Pulcinella                      - E chiaman questa «la libertà»! (Escono. Entrano il dottor Ballanzon e Valerio).

Ballanzon                      - Allora, Valerio, l'hanno poi nomi­nata ambasciatore?

Valerio                          - No. (Un silenzio) E lei, Professore, l'hanno nominata Rettore?

Ballanzon                      - No. (Escono. Entrano il capitano Scaramuccia, ministro della guerra, e Francatrippa, redattore politico di un giornale clericale). Scaramuccia   - Rimanga fra noi, io sono furioso.

Francatrippa                  - No le mancheranno le ragioni!

Scaramuccia                  - Si immagini che Orlando ha de­ciso di ridurre a metà l'esercito.

Francatrippa                  - L'esercito? E perché?

Scaramuccia                  - Perché bisogna fare, pare, delle economie, e nessun nemico ci minaccia.

Francatrippa                  - Orlando ci manda in rovina.

Scaramuccia                  - Senza l'esercito come potremo creare l'impero?

Francatrippa                  - Scriverò un articolo: « Nel nome di Cristo, bisogna conquistare l'Europa... »    - (II ca­pitano Scaramuccia esce. Francatrippa incontra Gianduja) Una brutta notizia, Gianduja! Orlando vuol ridurre l'esercito.

Gianduja                       - Diavolo! L'esercito è così necessario?

Francatrippa                  - E il popolo sopporterà un'onta simile! Questo popolo è putrido, non è degno di governarsi!

Gianduja                       - Ma per quale ragione lei vuole un esercito così grande?

Francatrippa                  - Sono cattolico e anticristiano. Venero il Papa perché è l'anticristo. Credo che nel mondo bisogna stabilire prima di tutto, se­condo l'insegnamento della Chiesa, la gerarchia che significa l'ordine. Il nostro popolo ha la mis­sione di stabilire l'ordine. Il nostro popolo non può essere mantenuto che colla forza, e la forza è l'esercito.

Gianduja                       - E' curioso; lei sostiene che non siamo degni di governarci da noi, e vorrebbe poi che governassimo gli altri popoli! (Escono. Entrano Arlecchino e Isabella).

Isabella                          - Allora, che cosa ne dice lei, di Or­lando?

Arlecchino                    - Non ha l'aria di amare molto l'arte...

Isabella                          - Perché?

Arlecchino                    - Ha rifiutato di ordinarmi il suo busto, e quando gli ho proposto un monumento alla rivoluzione, mi ha risposto che lo Stato non ha soldi. A parte questo, le confesso che mi stufa. Fa il liberale, tutti si occupano di lui e si dà l'aria di non badarci; affetta una semplicità indifferente.

Isabella                          - Non è punto galante con le signore. Ha degnato appena di andar a vedere Angelica; non mi ha mai rivolto la parola; non si sa vestire; si lascia crescere i capelli sul collo; monta male a cavallo; non ama l'esercito; ne scrive dei versi; non fa dei proclami; non risponde alle lettere; lo trovo banale. (Escono. Entra Orlando).

Tutte le Maschere         - (sorgendo da ogni lato della scena) Orlando! Orlando! Orlando! Orlando!

Ballanzon                      - (arrivando ultimo) Orlando! Ma che c'è di nuovo? Il Reggente si presenta alle elezioni nel partito assolutista.

Le Maschere                 - Oh! No! Non è possibile! Che scandalo! Che impudenza! Ecco gli effetti della li­bertà!

Orlando                         - Perché non dovrebbe presentarsi?

Le Maschere                 - Ma via!... Perché... E' inammis­sibile... E' incredibile...

Orlando                         - Non abbiate paura! Sarà battuto!

Valerio                          - (entra ansante) Il Reggente sta fa­cendo un discorso in Piazza Reale.

Le Maschere                 - Bisogna andare a vedere! A sentire! A constatare! A fischiare! (Escono, correndo. Orlando resta solo presso la fontana. Ha l'aria di riflettere).

La voce di Angelica      - Orlando! (Orlando non risponde) Orlando! (Orlando si leva e si avvicina ad alcuni operai seduti attorno ad un tavolino all'ingresso del caffè).

Orlando                         - E voi che cosa ne dite della libertà?

Un Operaio                   - Che è dolce, signore!

Orlando                         - Grazie, amico.

Angelica                        - Orlando! (Angelica esce. E' quale l'ha descritta Arlecchino) Finalmente! Orlando. Non vuol proprio rispondermi?

Orlando                         - Le chiedo scusa, signora! Ma ho avuto tanto da fare!...

Angelica                        - Tanto per cominciare non mi dia della signora. E' ridicolo, tutti mi chiamano An­gelica.

Orlando                         - Ho molto da fare, Angelica. (Le bacia le mani).

 Angelica                       - E poi, non mi baci le mani, mi ab­bracci. Tutti i miei amici mi abbracciano. (Salta sul bordo della fontana e bacia Orlando sulle due gote) Bene e ora si segga accanto a me. (Si rannic­chia sul bordo della fontana e obbliga Orlando a sedersi) Non continui a dirmi che ha tanto da fare. E' un mese che mi ripete questa musica.

Orlando                         - E' la verità.

Angelica                        - Quando un uomo vuol trovare un'ora libera la trova. E' lei che non vuole trovarla.

Orlando                         - Crede?

Angelica                        - In verità non la capisco. Mettere a soqquadro una città intera per me, e poi non ve­nire neppure a salutarmi il giorno dopo!

Orlando                         - Non è esatto. Sono venuto il giorno dopo a salutarla.

Angelica                        - Oh sì! Una visita ufficiale non conta. Non ho avuto neanche il tempo di salutarla. Dopo tutto, Orlando, lei è un eroe.

Orlando                         - Lei è troppo gentile. (Silenzio).

Angelica                        - Che noia, queste elezioni! Se non ci fossero le elezioni, questo chiaro di luna sarebbe tutto per noi soli! Sa che è quasi l'alba? La mattina, questa piazza deserta è molto strana. Non ha l'aria vuota, ma svuotata. Il selciato ha l'aria di comin­ciare a vivere per proprio conto. (Un silenzio) Mi dica, Orlando, come si è deciso a prendere le mie difese? Come? Quando? M'aveva vista prima?

Orlando                         - No, non l'avevo mai veduta.

Angelica                        -  Aveva allora sentito parlare di me.

Orlando                         - Forse l'avevo sognata, senza conoscerla. Forse aveva già un gran posto nel mio sub-co­sciente...

Angelica                        -  Non mi prenda in giro; non posso sopportare questo genere di discorsi.

Orlando                         - Ma al momento decisivo...

Angelica                        -  Non ha pensato a me?

Orlando                         - Sì, ho pensato a lei sotto l'aspetto della libertà.

Angelica                        -  Ah no! Sono stufa di fare il simbolo. Non sono la libertà, sono Angelica.

Orlando                         - Era un modo gentile di dirle che non pensavo a lei, ma all'affronto che stava per subire.

Angelica                        -  Lei non è galante.

Orlando                         - No. (Un silenzio).

Angelica                        -  Primo punto allora: lei non pensava a me. (Esita e poi si riprende) Questo primo punto resta proprio fissato. (Una pausa) Lei non pensava a me. (Una pausa) E' duro!

Orlando                         - Sì.

Angelica                        -  Secondo punto. Dopo avermi salvata con tanto fracasso, hai poi sentito la curiosità di vedermi? Oh! dica pur la verità!... Non si è chiesto se non le restava a cogliere il più dolce degli allori,due braccia di donna? Non si è chiesto se non po­teva profittare della situazione per farmi un po­chino la corte... che so... per far di me la sua amante?

Orlando                         - Sì.

Angelica                        - (raggiante) Ah! Dunque lei ha pen­sato a tutto ciò...

Orlando                         - (riflettendo) Sì, a quasi tutto...

Angelica                        -  E allora?

Orlando                         - Ho cambiato idea.

Angelica                        -  Quando?

Orlando                         - Quando l'ho vista. (Un silenzio).

Angelica                        -  Non mi ha trovata bella?

Orlando                         - Deliziosa.

Angelica                        -  Non le sono piaciuta? Non era ecci­tante? L'annoiavo? Dicevo troppe sciocchezze? Fa­cevo degli errori di italiano? Mi interessavo troppo poco alla politica? Ho detto forse che amavo gli ufficiali di marina? Le ho suonato della musica che non le piaceva?

Orlando                         - No, ma lei è troppo diversa...

Angelica                        -  Da chi? Da che cosa? Da un antico amore?

Orlando                         - Dall'immagine che mi ero fatta di lei.

Angelica                        -  L'ho delusa. Lei è un sentimentale. Deve amare le Margherite dalle trecce bionde.

Orlando                         - Non so proprio quello che amo.

Angelica                        -  Ma sa che non mi ama. (Un silenzio) Lei non mi ama proprio affatto. (Una pausa) Al­lora, non la capisco. Perché ha rischiato la sua vita per me?

Orlando                         - Perché mi sdegnava l'affronto che volevano farle.

Angelica                        - (stupita) Che tipo strano è lei! Ma non era un affronto!

Orlando                         - Lo credevo tale, Angelica!

Angelica                        -  Allora, lei non ha mai immaginato...

Orlando                         - Che cosa?

Angelica                        -  Se al contrario l'avessi desiderato?

Orlando                         - No.

Angelica                        -  Se non l'avessi provocato proprio io?...

Orlando                         - No, a questo proprio non ho mai pen­sato.

Angelica                        -  E viceversa era proprio la prima do­manda da farsi!

Orlando                         - Forse.

Angelica                        -  Non c'è dubbio! Il Reggente piace alle donne. A me è sempre piaciuto. E' spiritoso, fine, elegante, crudele. Non deve avere un gran temperamento, ma deve far bene all'amore. Ed al­lora era Reggente, ed io adoro, come tutte le donne, il potere.

Orlando                         - (non risponde. Un silenzio) Sì... infatti, avrei dovuto pensarci. Non si pensa mai a tutto.

Angelica                        -  Si è mai chiesto perché egli aveva scelto proprio me piuttosto che un'altra ragazza? Crede lei che gli uomini scelgano1 le donne che piacciono a loro e non le donne a cui essi sono piaciuti? Crede lei che ad una donna basti essere bella perché un uomo le faccia la corte?

Orlando                         - No, non lo Credo.

Angelica                        -  Sa come ho conquistato il Reggente? Ci siamo conosciuti ad un ballo dell'ambasciata in­glese, mi ha invitata a ballare. Gli ho lanciato delle occhiate che gli han subito fatto capire che mi pia­ceva. E' una cosa che lusinga tutti gli uomini, an­che se sono Reggenti... che li stuzzica... ha comin­ciato a farmi la corte; sono stata molto carina; mi ha invitata ad una gran festa a Palazzo. Ci sono andata, ma sono stata fredda, non l'ho guardato mai; ho civettato tutta la notte con Valerio che è cascato cotto immediatamente, e ha chiesto la mia mano. Il Reggente era completamente disorientato. Uscendo da Palazzo gli ho lanciato uno sguardo serio, voluttuoso, denso di desideri, che l'ha tutto sconvolto. Deve essersi scervellato un bel poco per capire... come se i piccoli maneggi delle donne avessero un senso! Terzo incontro, al ministero de­gli esteri, arrivo in ritardo, ma ballo col Reggente, avviticchiandomi a lui, poi me ne vado. Non mi trova più. Qualche giorno dopo gli dò un appun­tamento nei dintorni della città, sulla riva di un piccolo lago. La mattina gli scrivo che non sono sicura di potervi andare, perché resti inquieto tutta la giornata. Arrivo in ritardo di mezz'ora, dichiaran­dogli che devo partire subito. Gli dò un altro ap­puntamento e non ci vado. Ci ritroviamo ad una esposizione e sono deliziosa con lui. Gli stringo lungamente le mani, appoggio il mio seno contro la sua spalla, gli dò un terzo appuntamento. Vado, lo bacio sulla bocca, rifiuto recisamente di essere sua, gli dò un quarto appuntamento a cui non vado. Allora, ha fatto questa legge. Quando lei è arrivato potevo essere sua, in cospetto di tutti. La devo ringraziare Orlando, di avermi strappata dalle grin­fie del Reggente, ma bisogna pure le confessi che ne sono stata molto spiaciuta.

Ballanzon                      - (entra affannato di corsa con tutte le maschere) Orlando! Orlando! Il Reggente ha gran successo!

Pantalone                      - Bisogna metterlo in prigione!

Valerio                          - Si vendicherà!

Brighella                       - Ha due autocarri.

Meneghino                    - Ma no, ha due carrette.

Pulcinella                      - Fossero pur soltanto due carrette...

Gianduia                       - Che cosa intende fare, Orlando?

Arlecchino                    - Io mi diverto un mondo!

Orlando                         - (un po' stanco) Il Reggente ha il di­ritto, come gli altri cittadini, di presentarsi alle elezioni. Non spaventatevi, vi assicuro che non riuscirà. (A parte) Ahimè, nessuno capisce che la libertà esige il rispetto dei diritti e delle legittime aspirazioni degli altri. Nessuno capisce che se è più difficile persuadere che far paura, quel che si ot­tiene col consenso vai mille volte più di ciò che si strappa colla forza. Nessuno capisce che ciascuno di noi è infelice quando tutti sono infelici. Ahimè! La libertà non può esistere che tra uomini onesti e disinteressati. Sono arrivato troppo presto!... (Pausa) Troppo presto! (Pausa) Ma forse sarebbe stato sem­pre troppo presto! Prima della Repubblica, non ci sono repubblicani! Quando non c'è la libertà, non ci sono uomini liberi. Perché gli uomini bramino la libertà è necessario che la sognino. Ci vogliono tentativi inutili, vittime, martiri, eroi! Stenterello non basta! Quante vittime, quanti martiri dovranno soccombere, prima che questo popolo sia degno della libertà?

Angelica                        - (tirando da parte Arlecchino) Hai una rivoltella?

Arlecchino                    - Sì.

Angelica                        -  Dammela.

Arlecchino                    - Che vuoi farne?

Angelica                        -  Dammela.

Arlecchino                    - Non vorrai mica ammazzarmi?

Angelica                        -  Ma no! Chi vuoi che voglia ucci­dere te?

Arlecchino                    - (le dà la rivoltella) Quanto a que­sto, sono degno di essere ammazzato come un altro!

Pantalone                      - (al dottore) Bisogna finirla, Profes­sore. Non si può più andare avanti così!

Ballanzon                      - Se per governo libero si intende go­verno debole...

Tartaglia                        - In-in-incapace...

Pulcinella                      - Fellone!

Valerio                          - Meglio sarebbe avere un Re.

Francatrippa                  - Cristiano!

Ballanzon                      - Assoluto!

Valerio                          - Tirannico!

Pantalone                      - Orlando! Non ci sono mai state inquesto paese tante ingiustizie, come oggi.

Ballanzon                      - Come mai Scaramuccia è ministro

della guerra?

Valerio                          - Ci è stato contrario fino all'ultimo

giorno!

Orlando                         - E lei, Valerio, era stato per me?

Pulcinella                      - La rivoluzione, l'abbiam fatta noi.

Pantalone                      - Sono io, che l'ho pagata con i mieiquattrini!

Valerio                          - Io, che l'ho scatenata con i miei guai!

 

Ballanzon                      - Io, che l'ho sostenuta con il mio genio!

Il Tenente                      - Se io l'arrestavo, la rivoluzione era spacciata.

Arlecchino                    - Ma insomma chi è lei in questa città?

Francatrippa                  - Uno straniero!

Pulcinella                      - Un senza patria!

Pantalone                      - Un intruso!

Valerio                          - Un indiscreto!

Ballanzon                      - Che cosa ha fatto, lei?

Pantalone                      - Niente! Ha suonato a raccolta bat­tendo su una casseruola!

Valerio                          - Siamo noi che l'abbiamo sostenuto...

Pulcinella                      - Diretto...

Pantalone                      - Lei non ha fatto che sfruttare...

Tartaglia                        - Un sentimento po-po-potente!

Pulcinella                      - Un'ondata di sdegno!

Valerio                          - Che stava per straripare!

Pulcinella                      - Come tutti i capi... lei ha seguito la corrente...

Valerio                          - Siamo noi che abbiamo rischiato.

Pantalone                      - Coscientemente...

Ballanzon                      - Deliberatamente...

Pantalone                      - I nostri quattrini!

Valerio                          - La nostra carriera!

Ballanzon                      - Le nostre aspirazioni!

Il Tenente                      - La nostra vita!

Ballanzon                      - Che cosa rischiava lei?

Pantalone                      - Aveva lei forse del denaro, delle case, delle officine, delle industrie?

Tartaglia                        - Dei figli?

Pulcinella                      - Degli elettori?

Valerio                          - Delle ambizioni?

Francatrippa                  - Delle teorie?

Isabella                          - Delle amanti?

Pantalone                      - Lei non aveva niente. Lei non ri­schiava niente. Lei aveva tutto da guadagnare!

Ballanzon                      - Ecco scoperto il suo gioco.

Valerio                          - Lei ha fatto il liberale per diventare popolare.

Tartaglia                        - E salire al potere.

Pulcinella                      - E restarci senza alcun diritto.

Ballanzon                      - Lei è un arrivista.

Francatrippa                  - Lei è certo un protestante!

Pantalone                      - Un ebreo!

Isabella                          - Nessuno del resto rischia la vita senza qualche ragione.

Il Tenente                      - E' evidente.

Valerio                          - Il gioco era pericoloso!

Ballanzon                      - Il Reggente era forte!

Pulcinella                      - Aveva per sé l'esercito.

Tartaglia                        - La flotta.

Pantalone                      - La polizia.

Valerio                          - Lei ha arrischiato il tutto per tutto...

Pantalone                      - Come tutti i disperati...

Ballanzon                      - Per arrivare al potere!

Pantalone                      - Bisognava essere matto.

Ballanzon                      - O ambizioso...

Pulcinella                      - O stupido...

Tartaglia                        - Per insorgere contro il regime...

Valerio                          - Da solo...

Pantalone                      - Senza sapere se il popolo si sarebbe mosso...

Ballanzon                      - E ora vuol rifarsi...

Pantalone                      - A nostre spese...

Valerio                          - Di tutti i rischi passati!

Isabella                          - Dal suo punto di vista ha ragione.

Pantalone                      - E' evidente...

Valerio                          - Io non avrei fatto la rivoluzione...

Pantalone                      - Neppur io. Ma se fossi arrivato al potere...

Valerio                          - Mi sarei comportato in ben altro modo!

Pulcinella                      - E poi, se lei è riuscita...

Tartaglia                        - E' un caso!

Tutti                              - E' un caso! E' un caso!

Valerio                          - Dal punto di vista diplomatico...

Tartaglia                        - Strategico...

Pulcinella                      - Politico...

Pantalone                      - Economico...

Arlecchino                    - Artistico...

Ballanzon                      - Da tutti i punti di vista...

Pantalone                      - Il suo gesto è stato una follia...

Tartaglia                        - Che do... che doveva fare un fiasco!

Pantalone                      - Io l'avevo pur sempre detto, che non si poteva far niente...

Ballanzon                      - Che non si doveva turbare la solidi­ficazione naturale degli avvenimenti...

Valerio                          - Che non si rovesciano i governi come i birilli!

Tartaglia                        - E noi ave... ave-a-avevamo ragione!...

Pulcinella                      - E se i fatti...

Pantalone                      - Ci hanno dato torto...

Valerio                          - Non è merito suo... Tutti   - E' stato un caso! E' stato un caso!

Isabella                          - Bastava... un piccolo incidente...

Valerio                          - Un nonnulla...

Pantalone                      - Il giorno dopo ci svegliavamo...

Pulcinella                      - Tutti in prigione!

Pantalone                      - Se ne vada!

Tutti                              - Abbasso Orlando!

Orlando                         - Uomini!... Vi farò liberi anche contro voi stessi! [Un colpo di revolver, Orlando cade, un gran silenzio fieno di paura) Dio mio, quanto la vita è amara!

Tutte le Maschere         - Chi ha tirato? Chi ha tirato? Chi ha tirato? Un medico! E' morto? E' ferito? (Tutti attorniano Orlando).

 

Pantalone                      - Bisogna portarlo all'ospedale.

Orlando                         - No. Lasciatemi qui. Non ho più che pochi minuti di vita. (Confusione nel ficcalo caffè) E' morto! L'hanno ammazzato! Chi l'ha ammazzato?

Tartaglia                        - (a Valerio) Corra a cercare un me­dico. (Tutte le maschere corrono a destra e a si­nistra).

Orlando                         - Angelica! (Angelica si avvicina) Perché uccidermi?... Ti amavo.

Angelica                        -  Mi amavi? Tu?

Orlando                         - Sì, ma a che dirtelo? A che volerti? L'ho ben capito subito; tu non sarai mai di nes­suno... tu... (Entra un medico: ascolta Orlando).

Il Medico                      - Sta per morire. Chi l'ha ammazzato?

Pantalone                      - Chi l'ha ammazzato? (Angelica si eclissa).

Gianduia                       - Che vergogna! Che orrore!

Meneghino                    - (arriva) Hanno ammazzato Orlando! E' un delitto che non sarà mai perdonato!

Pulcinella                      - Non bisognava uccidere Orlando!

Pantalone                      - Dopo tutto è lui che ha fatto la rivoluzione.

Valerio                          - Che cosa faremo ora senza Orlando?

Ballanzon                      - Fin che c'era Orlando, il Reggente non faceva paura...

Tartaglia                        - Ma ora... (L'aurora tinge di rosa il cielo e il campanile. Nell'ombra la città è ancora violacea).

Orlando                         - (apre gli occhi) Si leva il giorno in cui dovrò morire... Morire... morire... verbo strano... Morire. Non è quella cosa che capita agli altri? (Un silenzio) E aprendo le finestre, voi vedrete an­cora il gran sole dell'aurora illuminare il pulviscolo d'oro. Vedrete ancora le piante, il cielo, gli uccelli, delle donne che amano e che sorridono, degli uo­mini che soffrono... delle messi che maturano, delle grandi piogge, delle terre riarse, e mille, mille eventi. Vedrete ancora gli autunni dall'aria traspa­rente, in cui i rumori sono puri, e le voci nel grande silenzio si fasciano di lunghe risonanze, e le api son dolci a sentire nel vento, e il cielo è verde e tutte le cose sono stanche. Vedrete ancora delle primavere troppo vaste, sovrumane e indifferenti, e seguirete nell'ansia perenne di qualcosa di meglio le vicende delle stagioni. (Un silenzio. E' freso per un mo­mento dal delirio) Vi detesto! Andate via! Voi cre­dete di conoscere la vita, perché credete di saper fare i vostri interessi. Interessi! Sozza e ignobile crosta del mondo! Perché, uomini, non credete più a nulla? Perché non siete nulla e volete misurare il mondo alla stregua di voi stessi! Sarete sempre infelici se continuerete ad avere un'idea così me­diocre della felicità! Ma che dico? (Un silenzio) Non voglio morire odiandovi. Voi non sapete ancora donde sono venuto, perché dovreste amarmi? Sì, ve lo confesserò. Sono nato anch'io in questa città. Ma l'ho abbandonata per non veder più tutte le ingiustizie che vi si commettevano. Perché        - mi sono chiesto - questa città in tutti i tempi e sotto tutti i re ha coronato la stoltezza e crocifisso il ge­nio? I suoi eroi sono dunque i più grandi del mon­do, se han potuto sacrificarsi per il loro paese senza alcuna speranza? C'è innanzi alla vita un'attitudine da prendere che è vitale o mortale. Le città fiori­scono là dove gli uomini sanno non uccidere la vita. Chi ha seminato nei nostri cuori questa fosca ebbrezza di morte? Ed ho abbandonato la mia terra. Ma di lontano mi mordeva la nostalgia del suo gran sole, delle sue vigne bionde, dei suoi crepuscoli con­sumati da un antico languore, del suo mare opaco che tremola in fondo alle pianure, delle sue donne dolci e devote, dei suoi uomini dallo sguardo intui­tivo, dei suoi marmi, dei suoi silenzi, della sua disperata magnificenza... Son queste bellezze che hanno attirato a lei tutti i suoi martiri. Come una amante meravigliosa e indifferente, non si può strap­parla dal pensiero e si vuol morire per lei. Io sono tornato, amici, perché questa città era troppo bella, per lasciarla cadere in rovina. (Un silenzio) E sono tornato senza speranza...

La Padrona                   - (esce dal caffè mezza svestita) Cosa è successo? E' vero? Orlando è morto? Dio! Maria Vergine! Morto! Morto! Chi l'ha ammazzato? Chi è l'assassino, il vigliacco, il traditore, il giuda che ha ucciso Orlando? Gesù mio, com'è pallido! Ma portategli un cuscino! (Esce e ritorna con un cu­scino) Dica, dottore, non c'è speranza? Ma chi l'ha ammazzato? Gesù mio, quanto soffre! Lui, lui che ci ha salvati! Senza di lui saremmo ancora degli schiavi!... Che cosa sareste stati capaci di fare voi, tutti voi? Voi ministri? Voi industriali? Nulla, nulla, nulla! E l'avete lasciato ammazzare! E non l'avete difeso! Orlando è un eroe.

Tutti                              - E' un eroe. E' un eroe. E' un eroe. Viva Orlando! Viva Orlando!

Arlecchino                    - Bisogna fargli un monumento.

Orlando                         - (apre gli occhi) O amici, perché per amare quelli che vi amano, aspettate che siano morti?

Il Dottore                      - E' morto. (Gli uomini si scoprono, le donne si inginocchiano. La scena è immersa per un istante nell'oscurità. Si sente una marcia funebre. Quando ritorna la luce, si vede la stessa piazza piena di sole e di folla qualche ora più tardi. En­trano quattro uomini vestiti di nero che portano su di una barella il corpo di Orlando, e passano. Tutti i personaggi del dramma passano gravi, dietro a loro, due a due).

 

Pantalone                      - Senza averne l'aria era furbo; ma ha voluto esserlo troppo e ne è morto.

Brighella                       - Non era un uomo politico, era un poeta, che maneggiava lo scettro come avrebbe ma­neggiato la penna. (Passano. Entra il dottor Ballanzon con Valerio).

Ballanzon                      - Era così vanitoso, che si piccava di parere semplice e di disprezzare gli omaggi che vi­ceversa lo inebriavano.

Valerio                          - Era un debole, che voleva darsi l'aria di essere forte. (Passano. Entrano Tartaglia e Pul­cinella).

Tartaglia                        - Sa-sape-sapeva sollevare gli en-en gli en-tusiasmi ma non sapeva farsi rispettare; non era un capo, era un demagogo.

Pulcinella                      - Era soprattutto un ambizioso: ma non poteva riuscire perché dei vaghi pregiudizi gli avrebbero sempre impedito di essere «se stesso». E' stato un arrivista mancato. (Passano. Entrano Scaramuccia e Francatrippa).

Scaramuccia                  - Credeva alla forza dei sentimenti, alla potenza delle idee, al valore delle leggi, alla santità dei trattati; vale a dire a tutte le cose che non sono serie. Non avrebbe mai conquistato un impero. Le sue aspirazioni erano troppo meschine.

Francatrippa                  - Qualche volta sapeva agire ma non sapeva pensare. Era conseguente alle sue idee; e perciò non sapeva aderire alla realtà. Si credeva un poeta e non era che un uomo politico. (Passano. Entrano Isabella e il tenente).

Il Tenente                      - Ha visto come andava a cavallo?

Isabella                          - Era ridicolo! Non me ne parli. (Pas­sano. Entrano Arlecchino ed Angelica correndo).

Arlecchino                    - Lei è in ritardo! Angelica! Ma che bel vestito!

Angelica                        -  E lei, Arlecchino, ha avuto finalmente la commissione?

Arlecchino                    - Sì, Angelica, gli farò io il monu­mento. (Passano. Entra Gianduja con Meneghino).

Gianduia                       - Era un brav'uomo. Ma per chi, per­ché fare il sacrificio di sé?

Meneghino                    - Per sé, per noi, per tutti.

Gianduja                       - Gli uomini come Orlando, sotto tutti i regimi, in tutti i tempi, in tutti i paesi, saranno sempre crocefissi dai loro popoli.

Meneghino                    - Ma sono immortali; ma cambiano la faccia del mondo che soffre di esser costretto ogni giorno a mentire, a violare le leggi del pro­prio cuore. (Gianduja alza le spalle. Passano. Entra la padrona del caffè che singhiozza forte e passa).

FINE