Anima bianca

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Anima bianca

Anima bianca

                                                                                                         

                                                                      

Personaggi:

Donna (Betta)

Sorella (Clara)

Uomo (Franco)

Professore

Scena:

Il soggiorno del ‘residence’ dove vive Betta. Un ambiente discretamente impersonale e disordinato. Sulla destra, la porta che conduce fuori. Sulla sinistra, la porta che introduce alla stanza da letto. Oltre gli spigoli scorgiamo appunto un angolo sporgente del letto e, in prospettiva, una finestra più sul fondo. Un’altra grande finestra è campita nella parete del soggiorno. Non essendoci cucina, in qualche punto dello stesso ambiente è anche ricavato un angolo cottura.

Una nota: l’intervallo che segnerà la scansione della commedia in due atti potrà aversi tra la settima e l’ottava scena.


PRIMA SCENA

E’ notte. Betta sta seduta in terra sulla soglia della stanza da letto con la schiena poggiata contro lo stipite della porta. E’ investita dal raggio lampeggiante di un televisore che però non vediamo. Evidentemente l’apparecchio è collocato in un angolo interno della stanza.

L’audio, al minimo, dà segnale di un parlottìo confuso. La donna, accovacciata, si tiene sul grembo un telefono di cui scorgiamo il filo della prolunga che, teso al massimo, attraversa quasi tutto l’ambiente. Per terra molti fogli sparsi. Alcuni secondi così, in penombra, poi uno squillo. Betta risponde immediatamente.

BETTA: Sì? - - Sì, sono io. -- Pronto? Posso parlare? -- Aspetto, aspetto. (Breve pausa)  -- Sì, sono in linea. -- No, non so. Sono stata chiamata adesso, avevo lasciato il numero per la prenotazione. E’ quasi mezz’ora, però, che aspetto. -- Sì, quasi mezz’ora. -- No, guardi, non per essere scortese, ma non ci penso nemmeno a riagganciare, ma neanche morta! Ieri sera la stessa storia: prima m’avete lasciato non so quanto al telefono come una scema, poi m’avete fatto riattaccare e non m’avete più richiamato. -- No, più. -- Eh, se glielo sto dicendo!... -- Ecco, mi faccia il piacere, la ringrazio. (Una breve pausa)  E mi scusi se mi sono un po’... -- Sì, non era per lei. -- La ringrazio. (Aspetta qualche secondo. Poi, frettolosamente, recupera un po’ di carte a terra e le riordina. D’un tratto ha un sobbalzo. Di gran fretta poggia il ricevitore e scappa nella stanza interna. Subito ne torna con una grande scatola di metallo colorata. Si rimette al suo posto. Riafferra la cornetta per sentire se ci siano novità. Una voce dal televisore chiama a rispondere la prossima telefonata in linea ma lei non se ne accorge se non all’ultimo, quando stanno quasi per passare alla chiamata successiva)  Pronto?!... (Un fischio acutissimo giunge dal video)  Sì-sì, abbasso! Un istante solo, che mi scordo sempre... (E abbassa. Di nuovo al telefono)  Pronto? Eccomi qui. Ho abbassato. Professore, buonasera, sono Betta. Pronto?... - Ah, ecco! Non la sentivo... Sono Betta, si ricorda sì?! Non è la prima volta... --(Illuminandosi)  Sì, sì, proprio io. Beh, stavo sentendo quello che diceva a proposito de-de... come diceva?... -- Sì, dell’estasi indotta. Che è una cosa che a me, può capirlo, interessa particolarmente. -- Sì, come no, anche ieri. Anzi, io è già da ieri che cerco di parlare ma non ci sono riuscita. Beh, niente... Lei si ricorda, no, che io le parlai dopo la-la... dopo quell’imposizione delle mani che ha fatto per video circa un mese fa e che le dissi come m’ero sentita e quello che quasi m’era successo... -- Già, e appunto perché dopo ho continuato anche da me con gli esercizi che io adesso volevo dirle. Dunque... io non è che ci riesco con tutti, comunque ho idea che qualcosa facciano; perlomeno mi servono. -- Sì, Betta. Non si ricorda, professore, che le raccontavo che ho questa... ho questa cosa alle gambe che mi blocca su una sedia a rotelle da più di... da quasi quattro, cinque anni fino al grosso miglioramento di un mese fa?... Si ricorda? -- Eh, io sì.

Beh, dunque... (E’ interrotta)  -- Sì, per una... specie di paralisi. Però volevo dirle, poiché mi trovo molto bene a seguire queste sue terapie... (E’ di nuovo interrotta) . -- Beh, miglioramenti: in generale. Ad esempio riesco ogni tanto... come a muovermi con una certa disinvoltura e a stare in piedi. -- No, l’autoipnosi ancora non riesco a farla bene. Insomma, provo un po’ di difficoltà. Per le tecniche di respirazione, invece, quello ormai mi sembra molto più facile. (Ascolta)  -- Sì, sicuro al cento per cento: miglioramenti così non li avevo mai avuti con altri tipi di cure. (Ascolta)  -- Sì che sono sicura. Comunque ora non era di questo... (Viene interrotta ancora)  Certo, l’ho preso il suo numero di studio, però non mi sembra sia il caso... -- Ah, proprio lì in televisione, dice?... -- Beh, mi piacerebbe, però un po’ mi lascia così... un po’ a disagio!... (E’ interrotta)  -- Accidenti se ci stanno progressi! Glielo posso giurare; difatti devo proprio esserle tanto grata, però, ecco... (E’ interrotta)  -- No, camminato quasi mai. Adesso sì. Un po’. -- E appunto! Anche a me sembra che sia già una cosa enorme. A ogni  modo, però, poiché penso che ci sarà un mucchio d’altra gente che starà lì per telefonare, io le volevo chiedere due cose. Dunque, primo: per queste sedute, tipo corsi che vuol fare per telefono... -- Sì, queste analisi praticamente per telefono, volevo sapere innanzitutto quanto costerebbero e cosa bisogna fare per segnarsi, perché m’interessano. E quando cominciano. -- Ah, quindi le notizie le date poi alla fine... -- E anche i numeri per prenotarsi?... - Ah, bene! Così allora me li prendo dopo. Poi, secondo: lei chiedeva l’altra volta, ora non ho sentito se anche stasera l’ha chiesto, se c’è chi vuole, non so, proporre delle sue cose che magari ha scritto per vedere poi insieme di-di-di... -- Eh, di valutarle. Ecco, e allora a me piacerebbe, se posso avere ancora un minutino, farle sentire - leggerle - due cose, piccole, mie che appunto ho scritto. -- Sì, praticamente poesie. (Una breve pausa)  Solo un secondo che ciò tutto qui un po’ mischiato. (Aggiusta i fogli. Ne prende dallo scatolone)  Ecco... Posso leggere? -

SECONDA SCENA

(Clara e Betta. E’ giorno. Luce piena, d’agosto. Le due donne indossano abiti leggeri.)

CLARA: Di’ un po’, ma almeno mangi?

BETTA: No, campo d’aria.

CLARA: A me sa che non mangi mica a sufficienza.

BETTA: Ma sì.

CLARA: Dovresti avere un po’ più cura di te stessa.

BETTA: Uffa!

CLARA: Sei sciupata, guàrdati.

BETTA: Io sarò sciupata ma tu sei una lagna.

CLARA: Colpa tua. Se ti sapessi un po’ più responsabile sta’ sicura che certe preoccupazioni nemmeno mi sfiorerebbero. (Raccoglie dei rotocalchi sparsi per terra)

BETTA: Vuoi fare il piacere di lasciare quei giornali dove stanno!

CLARA: Già perché, secondo te, questo sarebbe il posto loro.

BETTA: L’hai detto: il posto loro.

CLARA: Dio, che peste! (Si siede)  Disturbo se lo sfoglio?

BETTA: Io non capisco perché non te ne stai a casa tua se devi venire qui solo per darmi il tormento.

CLARA: (Sfogliando)  Certo, come no.

BETTA: Ognuna per i fatti suoi e pace!

CLARA: Perché cercare di mettere un pochino d’ordine in questo macello sarebbe darti il tormento...

BETTA: Ecco, l’hai capita!

CLARA: Brava, una bella soddisfazione davvero ridursi a vivere alla faccia di tutti con le arie di quella che se ne frega, complimenti!

BETTA: Che vuol dire “alla faccia di tutti”?

CLARA: Vuol dire, vuol dire! Lo so io che vuol dire.

BETTA: Tu quando si tratta di parlare a vanvera sei maestra. (Se ne va nell’altra stanza)

CLARA: Parlerò anche a vanvera ma ti sembra giusto che una debba passare la vita appresso alle pazzie di sua sorella? - (Nessuna risposta)  Ma chi me l’avesse detto a me!

BETTA: (da fuori)  Nessuno ti prega.

CLARA: (a mezza bocca, con gli occhi sul giornale)  Impìccati! (Una pausa. Sfoglia. Betta, sempre nell’altra stanza, accende il televisore)  Quando t’è passata parliamo di cose più importanti .

(Una breve pausa. Betta spegne il televisore e rientra.)

BETTA: Quelle carte le hai portate?

CLARA: Le ho portate sì. C’è da vederle un attimino insieme.

BETTA: Facciamolo subito così ce le togliamo di mezzo.

CLARA: (andandole a prendere)  Innanzitutto ci sono questi moduli da firmare. Ma te li lascio, non c’è fretta. Basta che non fai come l’anno scorso che li hai presi e buttati senza nemmeno sapere di che si trattava.

BETTA: Per sbaglio, mica apposta.

CLARA: Comunque io a riprenderteli non ci torno.

BETTA: E che sarebbero, non mi ricordo?

CLARA: Per la dichiarazione dei redditi.

BETTA: Ma già ci siamo?

CLARA: C’è tempo sino alla fine del mese.

BETTA: (guardando i fogli)   E chi ci capisce!

CLARA: Guardali con calma. Dove non ti è chiaro lascia vuoto e poi lo controlliamo insieme; ah!... Di’ piuttosto della macchina.

BETTA: Me la vengono a prendere nel pomeriggio.

CLARA: Difatti l’ho vista qua sotto. Fa impressione.

BETTA: Un po’ il cofano che è rientrato. Ma roba solo di carrozzeria.

CLARA: Contenta te!... Com’è successo?

BETTA: Un deficiente che è sbucato fuori da un incrocio come un pazzo.

CLARA: E di chi è la colpa?

BETTA: O senti, e smettila! Tanto la grana è mia e me la tengo.

CLARA: Cioè, quello come veniva?

BETTA: Veniva che m’è arrivato addosso a cento all’ora, ecco come veniva!

CLARA: Capirai, ti costerà due lire questo scherzo.

BETTA: Lasciamo perdere, qua i soldi se ne vanno come l’acqua. Tanto si sa che come ti muovi sono botte di milioni.

CLARA: Però anche tu! Se ti pare possibile andare avanti al ritmo di una macchina al mese...

BETTA: Saranno fatti miei, tu che pensi?

CLARA: Sicuro, fino a quando non ti succede qualcosa!

BETTA: Vuol dire che quando sarà successa ne riparleremo. E Madonna! Con te bisogna sempre urlare per farsi capire. Venissi poi io a mettere bocca in quello che fai tu! Roba che a casa tua come uno si azzarda a spostarti uno spillo è il finimondo, e di’ se non è vero... -

CLARA: Mi sembra che ci sia una bella differenza tra come viviamo noi due.

BETTA: E meno male! Poi spiegami un po’: quello che faccio non me lo pago forse con i miei soldi? Forse che ti vengo a chiedere niente?...

CLARA: Preferirei, ti giuro.

BETTA: Già, perché io secondo te chissà che combino! Vado a battere il marciapiede. -

CLARA: Se ti diverte pensare quello che non ho detto.

BETTA: Non mi diverte affatto, se proprio vuoi saperlo.

CLARA: Francamente non mi sembra.

BETTA: Beh, fattelo sembrare perché è così.

CLARA: Vabbè, ne abbiamo ancora per molto? (L’altra, come presa da un conato di vomito, scappa in bagno)  Per piacere, dobbiamo parlare di cose serie. (E sfoglia il giornale)

(Una breve pausa.)

BETTA: (ricomparendo sulla soglia)  Sei stata dall’avvocato?

CLARA: Ci sono stata sì. Ti aspetta in settimana. Il prima possibile. E questo lo devi fare tu, non serve che ci torni io. I suoi orari li sai. Fagli comunque una telefonata prima di andare.

BETTA: Mi toccherà mica di incontrarmi con Franco?...

CLARA: Stavolta no ma tanto non scappi. Se almeno vuoi chiuderla al più presto. (Sfoglia)  Comunque dato che insisti tanto nel farti fregare la casa da tuo marito, e in questo proprio non ti capisco, grossi problemi non ne vedo.

BETTA: Che figlio di puttana!

CLARA: Adesso è inutile che ti fai venire i nervi perché è quello che hai voluto tu.

BETTA: Povero cocco, quello che ho voluto io!... Fosse stato per lui avremmo potuto andare avanti per anni a sbranarci come belve senza che il signorino si sentisse in dovere di muovere un dito. Bello, lui: a fare i suoi porci comodi - perché tanto, hai capito?, aveva la cretina lì pronta a servirlo!...

CLARA: Non c’è bisogno che lo racconti a me.

BETTA: No perché poi, capirai, la matta sono io.

CLARA: Vallo a spiegare agli altri. Io so solo che quella che ha dovuto fare fagotto e andarsene, perché t’avevano preso le fregole e friggevi, sei stata tu - e che se avessi avuto solo un po’ di buonsenso anche tutti i soldi che adesso ti tocca spendere per il ‘residence’ invece di buttarli dalla finestra te li risparmiavi. Comunque, sei adulta e vaccinata, hai una testa per ragionare... tutte le chiacchiere stanno a zero.

BETTA: Appunto.

CLARA: (prendendo altre carte)  Allora... attenta qui. Così cominci un po’ ad orientarti.

BETTA: Oddio, altra roba! -

CLARA: Aspetta, mettiamoci vicine. Vengo io lì?... (Va a sedersi affianco dell’altra)  Spòstati un po’, dài. Allora...

BETTA: Tanto lo sai che per me è arabo.

CLARA: Ma sono cose importanti, Bettina, sù, - cerca di fare uno sforzo. Poi non lo so, sembra che lo faccio per me. Dopo che una suda sette camicie per darti una mano!... Le dovresti fare tu queste cose, per cui ringrazia il cielo e stammi a sentire.

BETTA: Dài, dài.

CLARA: In sostanza... qui sono le pratiche della casa. L’accordo di massima più o meno lo sai, inutile che ci stiamo a tornare sopra: ci resta a vivere lui con una rendita mensile per te corrispondente a quello che sarebbe metà dell’affitto se la casa fosse occupata da altri.

BETTA: Perché la metà?

CLARA: Come perché la metà?... Ma perché per il cinquanta per cento è sua, così occupandola ti paga la metà. Questo mi sembra abbastanza chiaro.

BETTA: Non capisco.

CLARA: Oh, per piacere! Non ricominciamo con le tue solite botte di idiozia. Te la sarai fatta spiegare centinaia di volte ‘sta storia.

BETTA: Vabbè, vabbè, se lo sai tu.

CLARA: Ma non se lo so io, sei tu che lo devi sapere.

BETTA: Ma tanto se mi fido...

CLARA: Occristo santo, io spero solo che ti passi in fretta quest’atteggiamento di indolenza che è una cosa insopportabile. Per me è già un mistero come fai a tirare avanti. Sempre con l’aria di quella che, poveretta, tutti ce l’hanno con lei, quando si cerca in ogni modo di aiutarti. Tanto il danno lo fai solo a te stessa e lo sai benissimo.

BETTA: Molte grazie.

CLARA: Insomma, se vuoi ascoltarmi ascolta, sennò qua sta tutto e te la sbrighi da te.

BETTA: Io lo dicevo per essere pratica. C’è da firmare? E dimmelo subito, così firmo e siamo a posto.

CLARA: No, da firmare solo i moduli ma quelli non c’entrano.(Betta, presa da una contrazione, le stringe una coscia. China il capo)  Ahia, mi fai male. (L’altra stringe)  Leva questa mano. Sei matta? - Ahi!

BETTA: Non mi sento bene. (Scappa in bagno tenendo una mano premuta sulla bocca. Una pausa)

CLARA: (all’altra che ricompare sulla soglia)  Beh, come va?

BETTA: Meglio, mi sento un po’ liberata.

CLARA: Hai rigettato?

BETTA: Un po’.

(Una pausa.)

CLARA: Non so, posso fare qualcosa?

BETTA: No, è passato.

CLARA: Ma cos’era?

BETTA: Un... non lo so, come... come una stretta qui. - Oddio, che male!

CLARA: Ancora?

(Una breve pausa.)

BETTA: Adesso meno.

CLARA: Quant’è che non ti fai vedere da un medico?

BETTA: Non ne ho bisogno.

CLARA: I discorsi idioti: non ne ho bisogno. E intanto guarda come ti sei ridotta!

BETTA: Uffa, una nemmeno ha il diritto... ahi! -

CLARA: (facendole posto sul divano)  Sù, sdraiati un po’.

(L’altra si sdraia. Una pausa.)

BETTA: Sai che sto facendo un po’ durante questi giorni?

CLARA: No, cosa?

BETTA: Indovina.

CLARA: Se non lo so.

BETTA: Mi viene di buttare giù qualcosa.

CLARA: In che senso?

BETTA: Scrivere.

CLARA: Scrivere che?

BETTA: Dài, non fare così che mi fai ridere.

CLARA: Così come?

BETTA: Così con la faccia. Sembra che mi pigli in giro.

CLARA: Veramente sembra che sia tu a prendermi in giro.

BETTA: Senti!... Va’ a prendere la scatola di metallo che sta in camera mia. Voglio farti vedere. (Una breve pausa. L’altra, perplessa, non si muove)  Dài, valla a pigliare. Il tempo che mi passa. Poi, dopo, finisci di dirmi la cosa, lì, dell’avvocato.

TERZA SCENA

(Betta e Franco; quest’ultimo sta in piedi.)

BETTA: Franco: come mio marito.

FRANCO: Sei sposata?

BETTA: Sì, ma non conta.

FRANCO: Oè, mica m’avrete organizzato qualche scherzetto, spero.

BETTA: Figurati.

FRANCO: No perché te lo dico subito: su certe cose non è che io sia di vedute... tanto larghe. (Sorride)  Non so se è chiaro il concetto...

BETTA: Chiarissimo.

FRANCO: Io mi siedo.

BETTA: Che stavi aspettando? Il permesso?...

FRANCO: (sedendosi)  E così... (Una breve pausa)  Sei caruccia, sei. Fumi?

BETTA: No, e anche tu se puoi evitare, per piacere... (Una pausa)  Che lavoro fai?

FRANCO: Sto al Poligrafico. Stampo soldi. Te?

BETTA: Al Ministero degli Interni.

FRANCO: Cazzo! Buono, no?... (Dopo una breve pausa, ridacchiando)  Degli inferni, lo chiamo io!...

BETTA: Ho un regalo per te.

FRANCO: Sei matta?

BETTA: (dandogli un pacchetto)  Una stupidaggine. Ma mi sembrava carino.

FRANCO: (tira fuori una cravatta)  Oh, oh...

BETTA: Beh?...

FRANCO: E questa sarebbe per me? - Dài, che già ce l’avevi per regalarla a qualcun altro, di’ la verità!

BETTA: Quanto sei cafone!

FRANCO: Cioè, dovrei credere che saresti uscita apposta con l’idea precisa di andarmi a comprare una cravatta, per me?...

BETTA: Credi un po’ quello che ti pare.

FRANCO: Vabbè. (Una breve pausa)  Che ti debbo dire? grazie.

BETTA: Non è la prima volta, sai... mica è la prima volta che rispondo a una di quelle inserzioni sui giornali.

FRANCO: Ah, no... (E ridacchia)  E poi te li coltivi tutti? -

BETTA: Spirito di patate!

FRANCO: A una che sta messa su uno di quei giornali però forse è la prima volta che rispondi.

BETTA: No, no - era proprio questo quello che intendevo.

FRANCO: (ridacchiando)  Vorrei vedere quando li vai a comprare!

BETTA: Ti sembra strano?

FRANCO: Beh, un pochetto, insomma...

BETTA: Se ho risposto a te perché non avrei dovuto rispondere anche ad altri?

FRANCO: Perché non credevo che ci fosse gente che rispondesse sul serio.

BETTA: Io invece non credevo che quelli lì fossero veri. Dico, gli annunci.

FRANCO: Tutto vero. (Ride)  Eccoci qua!...

BETTA: E’ la prima volta, tu, che ne hai fatto pubblicare uno?

FRANCO: Io sì ma aspè: dimmi delle altre volte come è andata.

BETTA: Una presa in giro. Ho scritto lì ai numeri che c’erano, ai fermoposta come il tuo, ma non mi ha risposto nessuno.

FRANCO: Magari quelli sì che erano finti.

BETTA: Come ho pensato anch’io. Ma poi tu m’hai risposto...

FRANCO: Beh?...

BETTA: Allora significa che saranno tutti veri. Perché dovrebbero farne qualcuno sì e qualcuno no? -

FRANCO: Sai cos’é? Che è facile farlo così, tanto per il gusto di provarci: che già eccita. Uno poi magari si rilegge scritto e ci si fa... (Ridacchia)  già ci gode. Poi però... pronti a squagliarsi. Pare la barzelletta, la sai quella... (E ride)

BETTA: Che barzelletta?

FRANCO: Ciài da bere?

BETTA: Solo alcoolici o acqua.

FRANCO: Va benissimo. - Cioè, per gli alcoolici. (Lei va a prendere da bere mentre lui continua)  Sì, di quello che tutte le mattine - oh, io non le so raccontare - comunque, c’è uno che tutte le mattine... (S’interrompe)  Premesso: questo sta sotto per la strada perché metti cià un chiosco di-di... quello che ti pare: bar, giornali, roba così... - e insomma tutte le mattine vede una ficona, no, che gli si affaccia a una finestra davanti, e questo allora che comincia: ahò, che te farei io a te! Te romperei tutta! Fa’ che me capiti tra le mani io te sfonno! Te spacco! - e via così... - Insomma, ‘sta storia si ripete tutti i santi giorni finché arriva a un bel momento che l’altra si stufa e praticamente je risponne: vabbè, sali! Famme vedé che sai fa’! - Quello, capirai, si precipita sù allupatisimo. Arriva lì, se la trova tutta a cosce larghe e fa... ci pensa un po’ e poi fa: beh, ecco... che magari mò ce vorrebbe uno pratico! - (E ride. Anche lei ride. Lui beve.)

(Una breve pausa.)

BETTA: E tu sei pratico?

FRANCO: Quello che sta scritto sul pezzetto. (Beve)  Lì c’è tutto. (Si guarda attorno)  Senti un po’, com’è che m’hai fatto venire qua da te? Pensavo che ti scocciasse.

BETTA: Che?

FRANCO: A me scoccerebbe.

BETTA: Ma che?

FRANCO: Cioè, io da me non ti farei venire.

BETTA: Molto gentile.

FRANCO: No, aspetta, non dico te in particolare. Non farei venire una persona, ecco, per incontrarmi così. Magari dopo, in un secondo tempo.

BETTA: Non vedo la differenza.

FRANCO: Che ce l’hai ancora il giornale?

BETTA: Credo.

FRANCO: Piglialo un po’.

BETTA: Chissà dove l’ho ficcato.

FRANCO: E cercalo. Oppure guarda se ce n’hai qualcun altro. Ma quello mi divertirebbe.

BETTA: (cercando)  Se sta, sta qui.

FRANCO: Di’, se la cosa funziona dovremmo conservarlo. (Una pausa. Ride)  Come ricordino.

BETTA: (cercando)  Ma t’ho risposto solo io?

FRANCO: Tu e un paio di froci.(Ride)  Bella compagnia!

BETTA: Ciài avuto a che fare?

FRANCO: Eh, di corsa! (Ride. Beve)  Erano solo da corcare di botte. (Beve)  Oh, cosa!, di’...

BETTA: Betta.

FRANCO: Betta, di’... che lo facciamo un patto? Come nell’Ultimo Tango, l’hai visto?... Meglio non dirci niente di noi: che io vengo qui e... beh, ora vediamo se ci piace, occhèi?! Facciamo quello che dobbiamo fare... - Sì, che si passa un pochetto di tempo insieme, (e ride)  mettiamola così, ma basta: senza troppi imbrogli. - Eh? Ti sta?... Se a te sta bene, per me d’accordo. (Beve. Dopo una breve pausa, ingollando)  Tanto che bisogno c’è? - Sennò magari va a finire che diventa una palla. Cioè, intendo: niente che leghi; non mi piace. Liberi.

BETTA: (dopo una breve pausa)  Mi sembri un po’ teso.

FRANCO: Per mettere i puntini sulle i. Chiarezza: è meglio.

BETTA: Devi solo togliermi qualche curiosità.

FRANCO: Sarebbe?... Oh, ma stai cercando? -

BETTA: Cerco, cerco.

FRANCO: Allora?...

BETTA: (cercando)  Ad esempio... (Sorride)  Confessa: tu li vai a fare i disegni nei cessi? Sì, tu sei il tipo che li va a fare. Per me quelli che vanno a fare quei disegni sono un mistero come quelli che inventano le barzellette. Eh? Li vai a fare? - E scrivi quelle cose lì che ci scrivono tutti? Li lasci i numeri di telefono?...

FRANCO: Boh. Da ragazzino l’avrò fatto.

BETTA: Racconta!

FRANCO: Niente, l’avrò fatto. Ma è normale.

BETTA: Normale che? Pensare quelle robe che poi mentre ti chiudi magari in un gabinetto della stazione a fare un goccio te le ritrovi scarabocchiate per tutti gli angoli dei muri, e quei disegni?... - Se per te è normale!... Io non lo trovo normale fare tutti quegli sgorbi orribili di attributi coi peli, di membri con lo schizzo e scrivere: fatemi questo e quello, lo piglio di qui e di là. Boh! Sarò io che non capisco.

FRANCO: Ammazza, ciài fatto uno studio!

BETTA: Stanno dappertutto. Ci vuole assai.

FRANCO: Non sapevo che li facessero pure dentro i gabinetti delle donne.

BETTA: Ne fanno.

FRANCO: O forse non frequenti solo quelli.(E ride)  

BETTA: (dandogli la rivista. Si tratta ovviamente di una rivista ‘hard’)  Eccola. (Lui la sfoglia. Ridacchia)  Ci scommetto che se potessi infileresti quella porta e te la batteresti a gambe levate.

FRANCO: E scommetti male.

BETTA: Già non ti va più.

FRANCO: (sbattendole con violenza il giornale sotto gli occhi)  Oh, lo vedi cos’ho scritto qui? Rileggi! Non sono chiacchiere, è tutto vero. Se sei tu che vuoi tirarti indietro dillo chiaro. Non mi va di violentare nessuno. E piantala di guardarmi strano! (Strappa un foglio, con cura)  Questo lo conserviamo.

BETTA: Così ti è piaciuta la foto che ti ho mandato...

FRANCO: Però non le somigli molto.

FRANCO: Meglio o peggio?

FRANCO: Boh. Va bene così. (E sbircia la rivista)

BETTA: Io invece a te ti avevo solo immaginato.

FRANCO: E come?

BETTA: Qui dài qualche informazione molto precisa. (Ride. Bevono)

FRANCO: Già. (Una breve pausa)  Se non fumo impazzisco. Beh, che stiamo aspettando? Io, per me...

BETTA: Stai calmo. Rilàssati.

FRANCO: E’ che a tirarla per le lunghe...

BETTA: A te piace la televisione?

FRANCO: Eh?

BETTA: La televisione. La guardi?

FRANCO: Naturale che la guardo. Vabbè che fanno un sacco di stronzate.

BETTA: E cosa guardi?

FRANCO: Di tutto un po’. Quello che c’è.

BETTA: Ti scoccia se fra un pochino vedo una cosa che m’interessa?... Mica adesso, tra un po’. (Una breve pausa)  Tanto ce l’ho davanti al letto.

FRANCO: (ridendo)  Che zozza!

BETTA: Hei! Racconta un po’... Com’è questa storia che saresti... un esperto linguista?

FRANCO: Sarebbe come sta scritto lì.

BETTA: E’ una parola buffa. A me non verrebbe in mente di usarla.

FRANCO: Invece si usa.

BETTA: Hai fretta?

FRANCO: Ciò voglia. Sei tu che non ciài voglia per niente e poi dici a me!

BETTA: Cosa ti fa credere che non ciò voglia?

FRANCO: Basta guardarti per capirlo. Ma è il nervoso.

BETTA: (mentendo)  Un po’.

FRANCO: Visto! Ma passa passa. Vedrai se non passa!

(Lei gli ficca le dita di una mano fra i denti costringendolo ad aprire la bocca.)

BETTA: Tirala fuori!

FRANCO: (liberandosi)  E tu tira fuori la tua!

(La donna tira fuori la lingua. Anche l’uomo. Ridono. Lei, in un lampo, si toglie la camicetta e resta a torso nudo, col solo reggiseno. L’uomo appare quasi spaventato. Lei si butta ai suoi piedi. Con gesti convulsi gli slaccia le scarpe, gliele sfila e gli sfila anche i calzini.)

FRANCO: Oh, ma che fai! (L’altra gli bacia i piedi)  E sù che mi dà fastidio, mi fa senso! Piantala! (Quasi la scalcia via)

BETTA: (ancora per terra)  Non ti piace?

FRANCO: Andiamo di là. (Lei trema)  Che c’è adesso?

BETTA: Me l’hai dato forte il calcio!

FRANCO: Sei tu che mi salti addosso così. (Una pausa)  Non me l’aspettavo.

BETTA: (portandosi una mano alla bocca)  Mi viene da vomitare.

FRANCO: Senti, non mi stare male perché non saprei cosa farti.

BETTA: (dopo una breve pausa, riprendendosi)  Scusami un attimo. (Ed esce)

(L’uomo si rimette a sedere. Beve. Sfoglia il giornale. Si massaggia tra le gambe. Dopo un po’ lei rientra portando una scatola di metallo. Si è rimessa la camicetta. Si siede vicina all’uomo.)

FRANCO: Cos’hai lì?

BETTA: Delle mie cose che ti voglio far vedere. Non ti scordare la cravatta, mettila via.

FRANCO: Che razza di cose?

BETTA: Delle cose che ho scritto.

QUARTA SCENA

(Clara e Betta. Clara sta tirando fuori dei pacchetti da una busta di cellophan.)

CLARA: Almeno per qualche giorno sto tranquilla che hai un po’ di provviste.

BETTA: Mi ci farai affogare nel cibo.

BETTA: Ho visto tuo marito.

BETTA: Dove?

CLARA: Da lui.

BETTA: Ah.

CLARA: Dice di fargli sapere quando ti sta bene per incontrarlo.

BETTA: Vabbè, non in questi giorni.

CLARA: Comunque pensaci. Con l’avvocato, poi, come sei rimasta?

BETTA: Ancora ci debbo andare.

CLARA: Ti pareva.

BETTA: Adesso, una di queste mattine, ci passo.

CLARA: Ma chiamalo, magari vai e non lo trovi. Ah, prima che mi scordo... Mi ha dato la posta che è arrivata per te. (Gliela dà. L’altra la passa svogliatamente in rassegna)

BETTA: Tiè... Pubblicità, pubblicità, pubblicità. Che figlio di buona donna! Poteva tranquillamente prendere e buttarla. Dalla Banca non c’era niente?

CLARA: Questo è quello che mi ha dato.

BETTA: E i miei estratti conto?

CLARA: Se c’erano stanno lì in mezzo.

BETTA: Lo fa per sfottere, hai capito! Magari se mi è arrivata qualche lettera importante neppure me la manda.

CLARA: Sai che gusto!

BETTA: Già, perché non sarebbe capace di farlo?

CLARA: Non voglio metterci bocca.

BETTA: Tipico tuo quando non sai che dire.

CLARA: (senza darle corda)  Le uova e il latte te li sistemo in frigorifero.

BETTA: Lo vedi che non sai che dire!

CLARA: (tirando fuori due banane annerite)  Cristo, sono banane o melanzane?

BETTA: Non ho mangiato in casa questi giorni.

CLARA: Buon per te.

BETTA: Comodo ficcare sempre la testa sotto la sabbia! - Molto comodo!

CLARA: Oh, ma ce l’hai ancora con me?

BETTA: Però intanto le cose dentro te le covi.

CLARA: Sarebbe a dire?

BETTA: Come non lo sapessi che poi, quando vai da lui, vi mettete a fare combutta contro di me! Lo so benissimo.

CLARA: Questa è paranoia.

BETTA: Dico sul serio!

CLARA: Anch’io.

BETTA: Mi manca di vedervi. Tu vai da lui e giù a inventarne di tutti i colori: vero che fate così? A dire  “la matta che se non ci pensassi io a portarle mezzo litro di latte quella è anche capace di morirmi di fame! -- E certo: i nervi fuori posto! Le manie di grandezza!” - Te l’avrà detto che sono una fallita. Ci metterei la mano sul fuoco! Quando attacca il capitolo frustrazione quello è il suo cavallo di battaglia. Beh, ti giuro: la mia unica soddisfazione è che, piantandolo, almeno non gli darò il gusto di sfottermi anche per la menopausa, a quel bastardo! Se c’è una cosa che può farmi male è sempre stato capace di trovarla - sempre! - Figurati adesso se si lascia scappare l’occasione con te di mettersi a inciuciare dietro le spalle! Potrei ripeterti parola per parola. Poi mica solo con te. Dì se è vero o no!

CLARA: (per chiudere)  Puoi giurarci.

BETTA: E le matte risate!...

CLARA: Le matte cosa?

BETTA: Fate fate... Tanto poi meno male che Dio vede e provvede!

CLARA: O Gesummaria, sentitela! Ma tu credi davvero che con tutte le rogne che ciò per conto mio non abbia niente di meglio da fare che stare appresso ai tuoi casini? Che correre da un capo all’altro della città con questo caldo da bestie, poi, che solo a fare avanti e indietro con gli autobus c’è da sentirsi male?!... E io scema che ti do anche retta, come non avessi già un lavoro e una casa a cui pensare!

BETTA: Insomma, che ti ha detto?

CLARA: Quello che sai. Che si è stufato, questo mi ha detto. La causa l’hai voluta tu, non lui - ma a ‘sto punto tanto vale chiuderla e chi s’è visto s’è visto. Questo in sintesi.

BETTA: Ecco, e tu in sintesi, da parte mia, gli puoi anche andare a dire che la fretta se la fa passare come me la sono fatta passare io. Non s’è preso forse tutto quello che ha potuto? Ma cosa vuole di più? Che mi levi il sangue dalle vene? Che mi tiri via la pelle a strisce? Cosa? - E se non mi paga per la casa quello che è giusto vagli a dire che se lo sogna di lasciarmi a vivere in questo posto di merda, che ancora giù devo dargli l’affitto per la settimana scorsa e ogni volta che entro e che esco ci stanno quei cazzo di portieri sotto a guardarmi in un modo che mi fanno sembrare peggio di una delinquente! Questo per fare contento il signorino.

CLARA: Sarò rompiscatole ma, scusa, di chi è stata la scelta?

(Suona il telefono. Betta risponde.)

BETTA: Sì?!... Hei, Franco!... (Clara ha un soprassalto ma Betta le fa un cenno di diniego con la mano)  beh, come l’hai avuto il mio numero?... -- Accidenti, sei uno specie di Sherlock Holmes... beh, dimmi. -- No, guarda, lascia perdere. -- Fa’ il piacere, t’ho detto lascia perdere. -- Ma no, non c’è niente che mi scoccia ma tu lascia perdere lo stesso... -- Senti, mettila così: non ci siamo capiti e basta. -- Quand’è che hai provato? -- Ma stanotte a che ora? -- Può essere che fosse occupato, sì. Comunque ti prego ancora: non insistere. -- Ma che c’entra? Non avrei dovuto e basta. Davvero, non lo dico per dire. -- Sì, ti ascolto. -- Letto cosa?... (Illuminandosi)  Ma va! - Giura che è vero. -- Dài che mi stai prendendo in giro. -- Come perché dovresti? Questo lo sai tu perché dovresti. -- Giura! -- T’ho detto: giura. -- E ti sono piaciute? -- Giura! -- Whow!... Senti, senti, e... dimmi: quale di più?... -- Vedi il bugiardo che sei: non è vero che le hai lette. -- E allora dimmi quale ti è piaciuta di più. -- Tutte: che significa ‘tutte’? Non può essere che ti siano piaciute tutte allo stesso piano.

CLARA: Non potresti riprendere il discorso un’altra volta? Debbo scappare.

BETTA: (facendole segno di pazientare)  Strano, per me anzi quella non è fra le migliori. Ma perché ti è piaciuta? Che tra l’altro è una delle prime che ho scritto.

CLARA: Betta, vorrei parlarti. Solo due parole.

BETTA: (c.s.)  Sinceramente è stata una sorpresa. Non credevo che tu potessi interessarti. Difatti non so nemmeno, l’altra volta, come mi sia venuto in mente di dartele. -- Mah, così: a sensazione. Comunque mi ha fatto piacere.

CLARA: Betta!

BETTA: c.s.)  Scusa, ti dispiace se riprendiamo il discorso magari fra poco. Se tu sei in casa ti posso anche richiamare io. Ho qui mia sorella che è venuta a trovarmi... -- Ecco, sì. Dammi il tuo numero che non ce l’ho. -- Ma richiami? -- Sicuro?... -- Sì, anche fra poco. Non mi muovo. -- Ciao. (Riattacca)  Che vuoi?

CLARA: Salutarti. Me ne vado.

BETTA: Quando torni?

CLARA: Mai che venissi tu a trovarmi.

BETTA: Non è per cattiveria. Ma una volta che sto a casa d’uscire proprio non mi va. Almeno per questi giorni.

BETTA: Come sei delicata! Ti stancassi troppo.

BETTA: Insomma, torni o no?

CLARA: Torno, torno.

BETTA: Domani?

CLARA: Ci sentiamo per telefono, è meglio.

BETTA: Si può mangiare un boccone insieme.

CLARA: E cucinato da chi?

BETTA: Oh, fa’ come ti pare! Ma che debbo pure starti a pregare...

CLARA: Il latte te l’ho preso a lunga conservazione. So che non ti piace ma almeno dura.

BETTA: Sai che mi diceva quello che mi ha telefonato adesso?

CLARA: E chi sarebbe quello che ti ha telefonato adesso?

BETTA: Un amico. Sai che mi diceva?

CLARA: No, che ti diceva?

BETTA: Che ha letto le mie poesie e gli sono piaciute. Molto gli sono piaciute.

CLARA: E da dove nasce quest’amico?

BETTA: Dove nasce nasce. Fatto sta che gli sono piaciute le mie poesie.

CLARA: E allora?

BETTA: Niente, per dirtelo.

QUINTA SCENA

(E’ notte. Betta è al telefono. Il televisore è spento.)

BETTA: (al telefono)  Sì, la televisione l’ho spenta. (Breve pausa)   Dovessi dirle, mi fa un po’ effetto. -- Eh, come mai... Perché è strano. Sembra che si parla in due e invece c’è tanta gente che sta a sentire. Se non è strano questo! Però non è che mi dà fastidio. Poi c’è che non la vedo. -- (Precisando)  A lei: che non la vedo. Pure questo è strano.  - Sì, certo che neanche lei vede me, però io mi ero abituata a guardarla mentre le parlavo. Cioè, c’era una differenza che mi serviva. -- Beh, soprattutto era diverso nel fatto, non so se riesco a spiegarmi bene, che io per lei, vedendola in televisione, potevo essere una così: come quella che telefonava prima o quella che telefonava dopo. Un po’ anonima; invece adesso mi sento pari. E pure se lei non mi conosce di faccia però non importa. Mi sembra, insomma, che in questo modo davvero stia parlando a me: a me proprio persona, ecco. -- No, forse è la prima volta che lo sento così. -- Così sì. In maniera proprio... decisa. -- (Quasi presa alla sprovvista)  Certo che il contocorrente l’ho mandato. -- Sì, sì, e m’hanno pure detto che era tutto a posto. -- Al numero della televisione, sì. -- No, è stasera che inizio io. -- Non so, forse... (E’ interrotta)  -- No, sa cosa: forse ora non si ricorda bene e forse mi confonde. Io... io sono Betta, quella della malattia alle gambe, quella che le ha mandato le poesie, si ricorda? -- Sì, delle poesie; che mi ha anche detto che forse si può vedere di farne qualcosa. E poi-poi... si ricorda che mi aveva pure chiesto di venire?... -- Ecco, sì: sono io. (Sorride)  Lo giuro: sono io. -- Beh, nel questionario che ho dovuto riempire li ho messi i motivi. Se per adesso ho scelto questo-questo approccio propedeutico della ... di questa terapia a distanza è... beh, anzitutto perché avrei ancora qualche problema a muovermi nel caso di doverla venire a trovare nel suo studio. Non che non potrei ma, insomma... qualche problema. Per via... per via delle gambe, no... Poi perché adesso così penso che mi posso sentire più a mio agio. D’altronde io, lei lo sa, un po’ di progressi già mi sento di averli fatti da quando la seguo e allora, per migliorare, pensavo che un tipo di controllo così, già un po’ più specifico, potrebbe essere sufficiente. (Sorridendo, con un certo imbarazzo)  E anche, le dirò... anche per la spesa. -- (Ripetendo la domanda ricevuta)  Io cos’ho... Sì, le accennavo: essenzialmente paura. (Una breve pausa. Ci pensa)  No. (Ci ripensa)  Sì. Paura, ma in generale. Poi che a volte ciò questa cosa che anche mi spaventa e sarebbe che mi prende come... una mano, no, che mi preme sul petto e sembra che mi soffoca, e io-io non lo capisco per cosa può essere che sto così ma lo sento e allora... è tutto, insomma, che sento come bloccato, che si ferma. Oddio, mi spiego da cani. E’ come se ciavessi un tappo nel cervello, come dirle?... -- Prego? -- Sì, con ordine. -- Oggi? (Sorride)  Beh, oggi per prima cosa, stamattina, sono un po’ uscita e mi sono fatta un giro allo zoo.(Breve pausa)  Da sola. Fino a ... fino a due mesi fa non avrei mai potuto, ci crede?... E’ stato bellissimo. (Breve pausa)  Ce l’ho proprio vicino casa lo zoo. Praticamente mi basta attraversare la strada. Per questo che posso.

SESTA SCENA

(E’ sera. Fuori pioviccica. Clara, seduta, sfoglia un quotidiano aperto sul tavolo. Betta è seduta al capo opposto dello stesso tavolo e la osserva. Presso la soglia interna, per terra, è posto un piccolo televisore portatile con il filo che, tirato al massimo, si collega a una presa della camera da letto. Entrambe le donne sono un po’ raffreddate. Al centro del tavolo c’è una scatola di ‘kleene’x alla quale, alternatamente, attingono sia l’una che l’altra.)

BETTA: Potrei andare a una di quelle agenzie che usano il calcolatore.

CLARA: (senza alzare gli occhi dal giornale)  Allo scopo?

BETTA: Per rifarmi una vita. (Sorride)

CLARA: Madonna, questi mussulmani a me fanno una paura!...

BETTA: Che altro hanno combinato?

CLARA: Qua già cominciamo a discutere sui primi contingenti che dovrebbero partire in caso di guerra.

BETTA: Ma nostri?

CLARA: Nostri sì.

BETTA: Tu dall’ufficio dovresti avere notizie fresche. Se non siete informati voi al Ministero degli Interni...

CLARA: E dàgli con questa storia del Ministero degli Interni! Ma lo fai per sfottere?

BETTA: Oddio, ciài ragione! No, com’è che si chiama dove stai tu?

CLARA: Protezione Civile.

BETTA: Che sarebbe un’altra cosa...

CLARA: Direi. (Breve pausa. Sempre con gli occhi sul giornale)  A te, piuttosto, il lavoro come va?

BETTA: Adesso c’è una cosa che dovrei fare per una quindicina di giorni, in Abruzzo.

CLARA: Cosa?

BETTA: Se tutto va bene un telefilm.

CLARA: E come è nata ‘sta cosa?

BETTA: Come le altre. Lavorando.

CLARA: Allora parti?...

BETTA: Teoricamente dovrei.

CLARA: (seguendo con l’indice la colonna degli spettacoli)  Al cinema fanno solo bufale.

BETTA: Per me possiamo anche rinunciare.

CLARA: (pescando nella scatola dei fazzoletti senza trovarne)  Ma cosa ci fai con i Kleenex? Te li mangi?... (Gettandone via uno appallottolato che si trova sul tavolo)  Almeno quando li hai usati buttali da una parte invece di seminarli dappertutto. Dove metto le mani, sempre queste mine vaganti... (L’altra va a guardare fuori dalla finestra)  Ha smesso?

BETTA: Per modo di dire. Comunque se devi muoverti ti conviene adesso. Ah, volevo chiederti: che per caso m’hai preso dei giornali l’ultima volta che sei venuta?

CLARA: Da qui?

BETTA: Sì, da qui, da dove sennò!

CLARA: Non mi pare, e meno non me li hai dati tu...

BETTA: C’era una cosa su “Stop” che mi serviva. Mica riesco a trovarlo.

CLARA: Con questo caos!

BETTA: Stava qua; è scomparso.

CLARA: Non puoi ricomprarlo?

BETTA: Non posso no, era della settimana scorsa.

CLARA: A me non sembra proprio che me l’hai dato. Per sicurezza a casa posso vedere. per cos’è che ti serviva?

BETTA: No, niente. Un articolo che volevo leggere.

CLARA: Che articolo?

BETTA: Un articolo (Starnutisce. Corre ai fazzolettini di carta. Ne trova. Una pausa)

CLARA: (tornando a occuparsi del giornale)  Per ritornare al discorso che stavamo facendo: a come la vedo io prima di affrontare una spesa del genere dovresti pensarci molto ma molto bene.

BETTA: Allora ti parlo e non m’ascolti.T’ho spiegato. Certo, è sempre un po’ una cifra...

CLARA: Quasi cinque milioni, non lo so io...

BETTA: Comunque praticamente niente rispetto a quello che costerebbe pubblicare un libro coi prezzi normali, questo te lo posso garantire.

CLARA: Se trovi che sia regalato.

BETTA: Non dico regalato, certo che non lo fanno per tutti.

CLARA: Anche fosse, spiegami poi cosa speri di ricavarne!

BETTA: Innanzitutto, se permetti, lo faccio perché mi fa piacere!

CLARA: Se ti sembra questo il momento, fa’ un po’ tu... con tutte le spese, serie, che ci sono da affrontare.

BETTA: Che ci sono, un corno! Che debbo  affrontare: io, mica te - per cui se mi rendo conto che me lo posso permettere sono affari miei.

CLARA: Tutti affari tuoi, per carità!

BETTA: Appunto.

CLARA: Mi hai chiesto un’opinione, te l’ho data.

BETTA: Non t’ho chiesto un accidente, era solo per parlare. Stupida io a cascarci! Tutte le volte così. - Poi dici perché! Beh, perché anche se ti può sembrare strano io la considero una grossa soddisfazione: già di pubblicare, ma soprattutto di sapersi un minimo stimata da persone disposte anche a fare qualcosa per te e non solo a parole, ecco perché!

CLARA: Questo sarebbe ancora quell’amico dell’altra volta?

BETTA: Quale amico?

CLARA: Uno che ci stavi parlando per telefono che stavo io qui, qualche tempo fa... (Starnutisce)  Dài, quello che mi dicevi che aveva le tue poesie e che gli erano piaciute.

BETTA: Ah no, sei matta! Quello era così, un amico, ma non uno che abbia a che fare. Però sì, è stato pure lui a darmi un po’ di carica. No, no, qua si tratta di una cosa abbastanza seria. (Starnutisce)

CLARA: Salute.

BETTA: E’ una casa editrice che stampa un sacco d’altre cose importanti.

CLARA: Se ci tieni tanto!...

BETTA: Ci tengo sì, ci tengo.(Una breve pausa)  Mi prenderei a schiaffi! (Starnutisce)  Potevo starmi zitta?!... (Prende un fazzoletto)

CLARA: Tu lo sai per cos’è che mi preoccupo io. Comunque lasciamo perdere sennò finisce che ci troviamo sempre a ricadere negli stessi discorsi e non se ne esce più. (Starnutisce. Va con la mano alla scatola e non trova nulla)  Ma che cià il doppiofondo ‘sto coso? Da dove li prendi tu?... (Betta afferra un rotocalco e lo consulta con aria strafottente)  Che guardi?

BETTA: (spiccia)  I programmi.(Va ad accendere il televisore. Cambia canali a ripetizione)

CLARA: Figùrati se a quest’ora trovi qualcosa! (Sfoglia il quotidiano, poi sollevando lo sguardo)  Aspetta un attimo, torna un po’ indietro... - Scusa un istante!... (E si fa dare il telecomando. Cambia canale)  Avevo visto prima... No, dov’erano?...

BETTA: Che?

CLARA: C’erano prima quei pupazzi che mi fanno morire. (E cerca)  Boh, niente, mi pareva di averli visti. (Ridà il telecomando all’altra, che si è messa accovacciata in terra, e se ne torna al tavolo. Una nota: Betta resterà con lo sguardo inchiodato sul televisore per quasi tutto il prosieguo del dialogo e con l’eccezione delle battute finali.

Clara starnutisce. Una breve pausa. Anche l’altra starnutisce. Una breve pausa)  Senti un po’, Betta, a proposito... Ti volevo dire una cosa già dall’altra volta che poi mi sono scordata. (E tace)

BETTA: (occhi sul video)  Di’.

CLARA: Ah, parentesi: come vanno i rigurgiti?

BETTA: Così e così. (Starnutisce)  Non me li ricordare sennò mi vengono.

CLARA: Volevo dirti... ma tu cos’è che hai fatto? Tipo una cosa in televisione qualche tempo fa?

BETTA: Magari.

CLARA: No, in una televisione di queste piccole. Ora non so quale. Che avresti fatto... cioè io adesso non lo so con precisione, ma mi hanno detto che ti hanno visto. Non troppo tempo fa.

BETTA: Chi te l’ha detto? (Starnutisce)

CLARA: Diverse persone.

BETTA: Sì, mò diverse...

CLARA: Eh! Che stavi in uno di questi studi medici che ogni tanto fanno vedere - e che raccontavi, che so io!, di una cosa da cui ti avrebbero guarito, possibile?

BETTA: Ma una sciocchezza. (E silenzio)

CLARA: Beh, mi vuoi spiegare? Francamente m’ha un po’ sorpreso.

BETTA: Te l’ho detto. Niente. Una sciocchezza. (Starnutisce)

CLARA: Ho sentito che quello dove stavi t’avrebbe guarito da una malattia che non ti faceva camminare. Può essere?...

BETTA: Ma no, non che non mi faceva camminare.

CLARA: E allora che?

BETTA: Ma sì, più o meno.

CLARA: E’ così o no?

BETTA: (sempre senza voltarsi)  E’ che c’era gente lì che conoscevo... (Tira un profondo respiro)  E che, niente, m’hanno chiesto se m’andava di fare questa cosa e l’ho fatta.

CLARA: Di comparire in televisione?

BETTA: Beh?... (E si volta a fissare la sorella)  Lavoro!  (E di nuovo torna con gli occhi sul video. Muta. Starnutisce. Una pausa)

CLARA: E non si può sapere niente di più di questo lavoro?

BETTA: Che vuoi sapere?! Mi facevano qualche domanda, tipo una cosa recitata.

CLARA: Però ho saputo che comparivi col tuo nome.

BETTA: Ebbè? Sai che scandalo!

CLARA: Come “ebbè”? Se ti sembra bello!...

BETTA: Tanto figurati chi può averlo visto!

CLARA: Da me, intanto, di gente che l’ha visto ne è venuta parecchia.

BETTA: (sfottente)  Sì... due o tre.

CLARA: Per cominciare non due o tre ma di più e comunque non è questo il punto. Quello che mi sconcerta è come ti possa venire in mente di mettere in giro il tuo nome e la tua faccia in questo modo!

BETTA: Cristo, sempre a fare prediche! E ne ho fin sopra i capelli, basta! Mi hanno pagato? Sì. Chiuso!

(Una pausa. Clara starnutisce. Betta si soffia il naso.)

CLARA: Io sono senza parole.

BETTA: Restaci!

CLARA: Poi, domando e dico, che gente può essere? Possibile che tutti tu li conosci?

BETTA: Evidentemente.

CLARA: Sembra che te li vai a cercare col lanternino.

BETTA: O Madonna! Se nemmeno sai di che si tratta!

CLARA: Non c’è bisogno di essere delle volpi per capirlo.

BETTA: E certo, tu capisci tutto!

CLARA: Ma è allucinante, roba da baraccone! Come fai a non rendertene conto? Proprio a non averci il minimo decoro.

BETTA: Dico: è gente che hai mai incontrato? No. Che t’ha fatto qualcosa? Nemmeno, e allora piantala! Che parli senza avere un minimo di cognizione di causa? - E questo a prescindere che sia vero o no quello che sono andata a dire. Logico che un po’ ho dovuto inventarmelo.

CLARA: Un po’?...

BETTA: E comunque potrebbe essere benissimo vero. Poi è tanto facile: mi divertiva e m’hanno pure pagato per fare quello che mi divertiva, e poi m’andava di fare un piacere a persone che conosco e che stimo.

(Una pausa. Nuovamente, per Betta, non c’è che la TV)

CLARA: Non ci pensi che questi adesso, se gli fa comodo, quel nastro lo possono anche mandare all’infinito!?... Ti sei almeno un poco tutelata o neanche questo?

BETTA: Macché all’infinito! Stai facendo una tragedia di una fesseria. Mi pari matta.

CLARA: E quand’è che l’hai combinato questo bel capolavoro?

BETTA: Ma un sacco di tempo. (Starnutisce)

CLARA: Cioè?

BETTA: (starnutisce)  Mi fai ridere, ti giuro. Ciài una faccia!

CLARA: E da cos’è che saresti guarita?

BETTA: (sfrontata, inchiodandole lo sguardo addosso)  Una paralisi, ti va?!

CLARA: Una paralisi?...

BETTA: (di ghiaccio)  Dalla vita in giù. (Una pausa. Scandendo)  Totale.

SETTIMA SCENA

(E’ notte. Rumore di pioggia. Betta, vestita come nella scena precedente, è seduta a guardare il televisore che non è stato spostato da dove si trovava. Tiene la cornetta del telefono accostata all’orecchio. Nel video, un uomo che parla. E’ il Professore.)

VOCE DAL VIDEO - Mi rendo conto, care amiche e cari amici, che siamo arrivati a un orario abbastanza indecente, soprattutto per quei tanti di voi che magari, vero, che domani sul prestino dovranno buttarsi giù dal letto per andare al lavoro e che c’è caso mi manderanno pure qualche... simpaticamente qualche accidente, diciamo. D’altronde mi fa anche piacere pensare di essere rimasto ormai solo con voi, in intimità diciamo, con voi che siete, consentitemi, un po’ il pubblico a me più caro: quello dei fedelissimi, quello che io dico fatto proprio di veri amici. E’ anche vero, altresì, che nella trasmissione di oggi, abbiamo avuto di quegli interventi così interessanti che un filino di tempo in più andava per forza concesso. Bon... prima di chiudere ho comunque ancora una telefonata da prendere e poi davvero ci daremo la buonanotte. Esperienza insegna che all’ultima chiamata, in genere, ci si trova con una voce conosciuta, sentiamo se anche stavolta è così. Pronto, chi è in linea?... (Silenzio)  Pronto?...

(La donna spegne il televisore col telecomando. O può essere che si limiti a togliere l’audio. Una breve pausa.)

BETTA: (al telefono)  Pronto, Professore... Indovini! -- Sono Betta. -- Eh, lo so che non se l’aspettava una mia telefonata e che non avrebbero dovuto passargliela. E’ domani che ciò la prenotazione quella del corso. Mi deve scusare. Sa cosa ho fatto? Non ho mica dato il mio nome. Però ne avevo bisogno. Le dispiace?... -- Beh, per prima cosa volevo confermarle che sono felice di quello che sto facendo con lei, e... della trasmissione che ho fatto, sa. Perché ciò pensato. Mi fa piacere pensare che possa essere utile. -- Sì, no... non dico a lei, ma alle persone che magari potrebbero avere qualche dubbio; sono felice perché invece non debbono averne. Poi sa per cosa l’ho chiamata? Per il fatto che ho un po’ paura della prossima volta. -- Beh, dovremmo cominciare con l’ipnosi. -- Vabbè, come la chiama lei, per me è l’ipnosi. -- Sì, giovedì. -- Oh, certo, ne ho sentite parecchie di persone che già l’hanno fatto però un po’ di-di-di... beh, ce l’ho lo stesso. Spero che mi passi. Intanto senta, volevo confidarmi per una cosa che ho in testa, posso?... -- Dunque... deve sapere che è un po’ che non faccio più le passeggiate che le dicevo giù allo zoo, però sto quassù e dalla mia stanza, che è parecchio in alto, lo vedo bene e io allora mi domando, è questo che volevo dirle, pensando a queste gabbie con gli animali chiusi e con i loro versi che mi sembra di sentirli anche da quassù... io mi domando: quale può essere, cerchi di capirmi, il verso dell’uomo? Perché, sì, c’è la parola ma la parola è venuta dopo mentre io dico proprio il verso dell’uomo, quello senza significato, non come le parole che servono-servono a chiamare le cose. Ecco, un cane che abbaia, ad esempio: è l’abbaiare che dico io. O il grido di un uccello; questo. Quale sarebbe il verso dell’uomo, mi domando, se non sapesse che si può parlare e usare la parola per farsi capire?... Per me è un verso che esiste. Gli animali ce l’hanno tutti. Pure i pesci e i serpenti, che non sembra. Soprattutto quelli in gabbia. Dalla mia finestra sa che vedo bene? La voliera, e le rocce degli stambecchi. Penso che siano stambecchi. Ora le voglio dire una cosa poi la lascio. Mi piacerebbe scrivere le mie prossime poesie solo su questo. E’ un’idea un po’ difficile: di scrivere ogni poesia secondo il verso di ciascuno degli animali che sta nelle gabbie. Certo, non da farli tutti, ma il più possibile. Ora a spiegarlo non si capisce però ce l’ho in testa, perché io li sento e saprei rifarli: proprio per scritto saprei rifarli. Di notte li sento bene. D’estate, poi, benissimo. Succede pure che mi svegliano. Non sempre ma capita, quando gridano più forte. Ce n’è qualcuno che mi sveglia. Mi piacerebbero poesie così. E’ da tanto che ci penso. Solo che è difficile. (Una breve pausa)  Bah. (Una pausa)  Professore, mi aiuti.

(Buio. Intervallo.)

OTTAVA SCENA

(Betta è seduta fronte al pubblico. Al suo fianco, due grucce metalliche. Alle sue spalle, in piedi, sta il Professore che, con entrambe le mani, le massaggia le palpebre. Alcuni secondi così. L’uomo massaggia, la donna resta immobile. L’uomo ha presso di sé un portacenere da cui, a tratti, solleva una sigaretta sottile e nera già mezza consumata e tira alcune lente boccate; poggia di nuovo il mozzicone e continua a massaggiare.)

PROFESSORE: Il tuo temperamento ansiogeno, cara, l’abbiamo messo in evidenza da tempo. Ormai è fuori discussione.

BETTA: (piano)  Sì.

PROFESSORE: Non devi dire sì, Bettina. Non devi dire nulla, non ce n’è (scandisce)  bi-so-gno. Ti capisco anche se non parli. Sei come una corda che suona; la tua voce è più debole di quella che mi giunge dal tuo corpo. Dalla tua pelle. Sccccch!... Silenzio. Brava così. (Una breve pausa)  Ti ricordi cosa ti ho detto che sei tu? Un burattino sei, ma un burattino che può diventare padrone dei suoi fili; che deve  diventarlo. E’ questo che voglio da te. Potrai - ma passo passo. Devi ammorbidirti, cedere - ma cerca di capirmi: non a me o a nessun altro che sia fuori di te, ma solo a te stessa. Farti prima molle molle e poi costruirti con la forza della tua volontà. Totalmente. E’ da qui... dalle tue palpebre che devi sviluppare - come un calore... Piano. Ecco. - Fa’ un segno se avverti qualcosa. -- L’avverti?

BETTA: Beh... sugli occhi. Che mi tocca.

PROFESSORE: Un calore devi sentire. Lo senti?... Bisogna scioglierli bene questi brutti nodi, duri, di nervi e di ansie che ti legano dentro. Concéntrati. Devi sentire una piccola scossa, poi del calore.

BETTA: Credo di sì.

PROFESSORE: (fuma)  Però non parlare. Fammi solo un cenno.

BETTA: Con la testa?

PROFESSORE: Con la mano, ma non parlare. (Lei fa un cenno)  Fallo solo quando sei sicura. (Lei ripete il cenno)  Benissimo. Dovresti avere l’impressione come di una fiammella dentro di te, qui, che però non brucia, e ti fa - come un bene... Tutta morbida, distesa... - (Con una lieve pressione delle mani le fa oscillare leggermente la testa da una parte e dall’altra)  Il calore si spande nel viso... sale alla testa e la riempie. E’ questo che senti? (Betta fa un cenno)  Non parlare, non parlare...

BETTA: Non parlo, ho fatto un segno.

PROFESSORE: Ah, ma sei dura! E vuoi stare zitta!?... (Una pausa)  Oh... ecco, da brava. Quello che devi imparare adesso è a muoverla da te questa fiammella, questo flusso di energia che senti. A muoverlo dentro; ma senza fretta, senza bisogno che cerchi di riuscirci subito per dimostrarmi che sei brava. Ricordati che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Va imparato piano e bene. E’ come una medicina che dovrai essere tu a guidarla negli organi che più ne hanno bisogno. Pensa... a una luce, che scende e si diffonde. Portala - lungo il collo, così - perfetto... nelle spalle, giù nelle braccia... (Lei fa un movimento)  Ferma! Rilàssati. (Una breve pausa)  Tieni bene a mente: è solo questo che conta: te e ciò che è dentro di te. Per Betta questo corpo è il mondo intero. Ma non solo la tua pelle, quello che ti vedi quando ti guardi allo specchio, ma ogni cellula, ogni goccia di sangue - tutti gli abissi, tutti i vuoti e tutti i pieni del tuo corpo. Impadronisciti di te stessa. Dòminati. (Una breve pausa)  Ora bada... il calore si tramuta ma non svanisce. Si fisserà dentro di te. S’apprende. Non lo disperdere. Sarà un attimo prezioso. Trattieni tutta l’energia che puoi. Adesso è una cosa che ti rinfresca e tu senti come se l’aria ti penetrasse non per il naso o per la bocca, ma per la testa, per le dita, le unghie. Dovunque. E si leva un vento che ti scuote. Di’, ora la senti, Bettina, come una brezza fresca che ti passa dentro?... (Betta fa un cenno)  Non mi dici una bugia? La senti, vero?... Sì che la senti. E’ così forte che quasi m’arriva sulle palme delle mani. Dio, com’è forte! - Brava. (Betta sorride)  Scccch!... Ferma. Ora, attenzione... Più t’accorgi del tuo corpo interno, più lo senti e lo muovi, e più le cose attorno è come se si allontanassero da te. E’ questo che provi. Non s’è mosso nulla ma si è fatto (scandendo) di-stan-te. (Una pausa)  Apri gli occhi. Guarda. (Betta apre gli occhi)  Che strano, eh!... Non ti sembra che tutto sia meno vivo di te? Come... piccolo. Innocuo. Ma no, non sono le cose: sei tu che sei più viva. (Una breve pausa)  Occhio! - Fra poco, forse già adesso mentre ti parlo, tu vivrai un momento in cui con tutta te stessa dovrai concentrarti e disporti a sentire, capisci? - Sentire. Te lo dico forte, te lo urlo: sentire! Come una percezione assoluta. Sai che significa ‘sentire’? - Come sentire un bicchiere a prenderlo in mano: è freddo? Te ne accorgi: lo-sen-ti. Un pezzo di ferro rovente: ti brucia? Lo-sen-ti. Questo è sentire. Come una cosa che ti tocca. Tu adesso devi sentire la tua forza su tutto quello che ti circonda: avvertirla - imprigionarla all’istante in cui ne avvertirai il contatto. Come un sasso che afferri - zaff! E’ chiaro? (Betta fa un cenno col capo)  Scatena questa certezza dentro di te, falla viaggiare. Comunica a ogni nervo, a ogni muscolo, a ogni vena la sua forza liberatrice! -

BETTA: (come in trance)  Ah!

PROFESSORE: (tappandole la bocca)  Non farlo! Trattieni tutto in te, e spingilo giù, fino alle tue gambe, Betta! Spingi quella luce, muovila. E’ tua.

BETTA: La spingo. (Una pausa)  Sento che scende.

PROFESSORE: Sottometti le tue gambe al dominio della tua mente. Impugna i tuoi fili. Non possono sfuggirti! Non sapresti governare te stessa, dunque: tu che hai sentito come si governano le cose? -

BETTA: (urlando)  Sì che lo so! Sì che posso!

(Una pausa. L’uomo arretra. Si accosta al tavolo dal quale prende un libro. Si accende una seconda sigaretta lunga e nera. Tutte le sue sigarette sono così. Si volta di scatto udendo un gemito della donna.)

PROFESSORE: Cosa c’è, Betta?... Vuoi dirmi qualcosa? Vuoi parlare?... (La donna fa un cenno di diniego col capo)  Non sei andata male ma nemmeno benissimo.

BETTA: (con apprensione)  Perché?

PROFESSORE: Vedi che parli! - Per questo non sei andata benissimo. Mica che ora non potresti parlare però ricorda... (Alzando un dito)  T’ho insegnato come si fa per mantenere la concentrazione anche... (Sorride)  Anche?...

BETTA: (con qualche esitazione)  Parlando.

PROFESSORE: Anche parlando, certo. E quindi muovendosi tra la gente, uscendo, camminando. Vivendo normalmente, insomma. Sarebbe buffo se tutto questo servisse solo a tenerti inchiodata immobile su una sedia come un manichino! Che razza di aiuto ti avrei dato, allora?... Vedi, tanto per fare un esempio:... ora stai respirando malissimo.

BETTA: Perché?

PROFESSORE: Se ti dico di sì!...

BETTA: Come mi ha insegnato lei.

PROFESSORE: Nemmeno per sogno.

BETTA: Però quello che ho sentito alle gambe era vero.

PROFESSORE: Non sarebbe nel tuo interesse dirmi una bugia.

BETTA: Ah, no. Perciò glielo dico: era vero.

PROFESSORE: Ne sono felice per te.

BETTA: E’ al ginocchio che sono quasi arrivata.

PROFESSORE: (la tocca sulle cosce)  Difatti le tue gambe adesso, non sorridere, è come se fossero più - felici. Perché è come se tu gli avessi portato nutrimento, acqua. Salute. E ce ne vorrà ancora molta. Poi non ti credere che il merito sia mio, perché è tuo. Vedi a quanto può servire la volontà! E nemmeno hai fatto del tuo meglio.

BETTA: Io ho cercato. (Una breve pausa)  Mi sono stancata molto.

(Una pausa.)

PROFESSORE: C’era qualcosa, prima, che volevi dirmi?

BETTA: No, niente d’importante.

PROFESSORE: Magari è importantissimo, invece.

BETTA: Poi non ricordo.

PROFESSORE: Ricordi perfettamente ma non vuoi.

BETTA: Non è vero!

PROFESSORE: Come ti pare. Ogni cosa che dici o che fai, la dici o la fai solo per o contro di te. Perciò che senso avrebbe cercare di forzarti?... (E sfoglia il libro)

BETTA: (con trasporto)  Potrei provare a muovere un po’ le gambe?... (Silenzio)  Mi faccia provare, me la sento. (Silenzio)

PROFESSORE: (con gli occhi sul libro, ignorandola)  Ti chiedo ancora un minuto di attenzione. (Breve pausa)  Tu ricordi, sì, la trasmissione che ho fatto sulle estasi dei Santi, e parlando di Santa Teresa in particolare?... (Alza il volume che ha in mano per mostrarne la copertina alla donna)  Poi l’hai comprato questo libro?

BETTA: Non riesco a trovarlo.

PROFESSORE: E’ importante. Insisti.

BETTA: Però l’altro che mi ha detto, quello sì, l’ho trovato: quello suo.

PROFESSORE: Ma è questo che devi comprare, a parte il mio che certo ti serve sennò nemmeno potresti continuare i tuoi esercizi. (Sfogliando)  Cara la mia Bettina, convinciti: siamo avanti ormai. Non puoi mica più continuare a fare all’impronta come all’inizio. E’ adesso che si fanno tutti i giochi. Il difficile è qui, non ti credere.

BETTA: Lo so.

PROFESSORE: Tu mi dici ‘lo so’ ma poi, ogni tanto, mi fai certe ricadute...

BETTA: Perché non mi guarda se provo un pochino a camminare?

PROFESSORE: (senza ascoltarla)  Comunque ti volevo leggere... (Sfoglia)  Ecco. Ascolta bene - è sempre Santa Teresa. Dunque, dice: “Durante questi rapimenti sembra che l’anima non sia nel corpo... (Si corregge)  che l’anima non sia più  nel corpo, tanto che questo sensibilmente sente che gli viene a mancare il calore naturale... (Si perde)  Dov’è? - Ah!  (Riprende)  ... E a poco a poco si raffredda -(Puntualizza)  sempre il corpo... (Legge)  - anche se con grandissima soavità e diletto. Qui non c’è alcun rimedio per resistere, mentre nell’anima...” (Scorre a bassa voce. Volta la pagina)  Vabbè, qua poi ci interessa meno. A ogni modo era questa cosa del freddo che ci tenevo a farti sentire, e poi come quello che noi stiamo facendo, anzi: che tu  cerchi di fare, ora certo non dico che possiamo confrontarlo con le estasi di Santa Teresa, per carità!, però prendilo almeno come un’indicazione. (Guarda)  Ah, ecco, e pure qui... (Legge)  : “Ripeto che spesso mi sembrava che mi lasciasse il corpo così leggero da annullare tutta la sua naturale pesantezza - (a lei)  attenta bene!... (Legge)  - E alcune volte in tale misura che quasi non mi accorgevo di toccare la terra con i piedi.” (Alza lo sguardo a notare le reazioni della donna)

BETTA: (sentendosi osservata)  Mh!... Ho capito. Sì, ho notato la-la...

PROFESSORE: (leggendo)  “Durante il rapimento, infatti, il corpo resta spesso come vuoto, senza potersi muovere minimamente nella posizione in cui il rapimento lo coglie; e sebbene di rado si perdano i sensi... (A lei)  Questo pure è importante! (Legge)  - A me è accaduto alcune volte di perderli del tutto; poche volte però e per poco tempo. Ordinariamente rimangono turbati. - (A lei)  Già ti anticipo che parleremo a parte di questi turbamenti visto che in qualche modo toccherà anche a te. (Legge)  - E’ vero che, pur non potendo compiere alcuna azione esterna, non cessano d’intendere né di udire, ma come... (Una pausa)  da lontano.” (Una breve pausa)

BETTA: Però non è proprio quello che succede a me.

PROFESSORE: E vorrei vedere che fosse come quello che succede a te! Ci mancherebbe! Questo è per dirti come può succedere nel caso di alcune persone molto particolari - oh, qua stiamo parlando di Santa Teresa De Avila! - gente che anche senza nessuna tecnica specifica riesce a raggiungere livelli altissimi di concentrazione e di autodominio. Insomma, quello che voglio farti entrare in testa è che noi, a volerlo, possiamo cavare da noi stessi forze che uno, magari, nemmeno sa di possedere. Ora lascia stare che questo è un caso eccezionale, ma per capire! - Insomma, la strada è difficile, d’accordo, ma nessuna meta è irraggiungibile. E per te qual è la meta? Sciogliere tutti quei nodi che ancora ti stringono e ti impediscono di fare quello che vorresti, questa è la tua meta. (Una pausa)  Io parlo parlo, ma tu riesci almeno un poco a seguirmi?

BETTA: Oh, sì.

PROFESSORE: Tra ieri e oggi sei riuscita a lavorare un pochetto anche da sola?

BETTA: Un po’.

PROFESSORE: Poco, mi sa.

BETTA: No, non poco.

PROFESSORE: Hai fatto la tua passeggiata stamane?

BETTA: Quando ha smesso di piovere. Ora, col brutto tempo...

PROFESSORE: Ma tu li senti dei progressi o no?

BETTA: Abbastanza. Però il miglioramento quello grosso rimane ancora il primo.

PROFESSORE: Naturale.

BETTA: Mi succede, comunque, che riesco a non sentire più... a non sentire quelle fitte che mi prendevano qui alla pancia quando mi sforzavo troppo.

PROFESSORE: O beh, di quelle poco m’importa.

BETTA: Invece proprio per quanto riguarda il camminare... così e così.

PROFESSORE: Ci arriverai. Sei stata allo zoo? (L’altra annuisce)  Racconta.

BETTA: Sono stata alla vasca delle otarie. C’è una poesia che ho pensato per loro. Era venuto parecchio sole. Io... io ho capito che deve essere stato di una di loro il verso che mi ha svegliato qualche notte fa. Di un’otaria.

PROFESSORE: Da cosa l’hai capito?

BETTA: (una pausa. Sorride)  Mi è stato facile mettere per scritto il loro verso. In genere non mi è facile. Debbo aspettare molto. Capire che l’ho sentito davvero bene e poi sentirlo tante volte. Tranne quando uno di quei versi non mi sveglia. Allora basta che lo sento una volta sola.

PROFESSORE: Bene, mi leggerai.

BETTA: (illuminandosi)  Ce l’ho di là! Ancora sul quaderno. Poi la riscriverò su un foglietto da tenere nella mia scatola. (Aspetta un invito che non arriva. Una pausa)

PROFESSORE: Cos’è che volevi dirmi prima quando sono arrivato?

BETTA: Ma una stupidaggine. - Di quando sono venuta giù allo studio per quell’intervista che ho fatto...

PROFESSORE: Sì?

BETTA: Beh, mi interessava di sapere se ancora la mandate. Perché so... mi pare di aver saputo che capita che ancora ogni tanto si vede;

PROFESSORE: Cos’è che si vede?

BETTA: Quell’intervista. In televisione.

PROFESSORE: Ah, io di queste cose proprio non so dirti!

BETTA: Dico: se la trasmettono sempre...

PROFESSORE: Non è escluso. Avendo la registrazione può essere che ogni tanto rimandino il nastro. Magari in qualche buco. Perché?

BETTA: Perché se è vero che la fanno vedere così tante volte di seguito un po’ m’imbarazza.

PROFESSORE: Cosa c’è da imbarazzarsi?

BETTA: Non dico tanto: un po’.

PROFESSORE: Poco o molto non significa, è il motivo del tuo imbarazzo che mi stupisce.

BETTA: (dopo una breve pausa)  Così.

PROFESSORE: Tu lì racconti solo di quello che ti è successo, no?...

BETTA: Sì sì, cioè no - sì, dico solo quello - quello...

PROFESSORE: E allora?

BETTA: Solo che alla fine succede anche che adesso qualcuno già comincia a riconoscermi.

PROFESSORE: Continuo a non capire.

BETTA: Le ho detto: così; solo che m’imbarazza.

PROFESSORE: E io, allora, che ci passo non so quante ora al giorno davanti alle telecamere?... Poi mi è sembrato che tu l’abbia fatto volentieri, nessuno ti ha forzato. In fondo, cos’è? Comunichi agli altri una tua esperienza personale; non vedo niente di cui vergognarsi. Magari mi sbaglio, non so. Spiegamelo tu.

BETTA: Difatti la vergogna non c’entra. Ma questo che mi riconoscono...

PROFESSORE: Meglio. Poi è proprio... l’assunto di questo fatto che devi capire: non ti fa piacere, accidenti, che anche le persone meno informate possano rendersi conto di tutta una serie di cose? - E mi riferisco a persone che davvero avrebbero bisogno di gente in grado di aiutarle. E qui si tratta di indicare... non dico tanto, ma uno spiraglio di luce almeno sì. - Ebbè? Non ti fa piacere, pur se in piccola parte, ma di essere tu a indicare loro questo spiraglio, ad aiutarle a credere e ad avere fiducia? - E guarda che non penso mica a me: cioè che dovrebbero avere fiducia in me. Ormai questo l’avrai capito. Ma in chi, piuttosto?...

BETTA: (dopo qualche esitazione)  In se stesse.

PROFESSORE: Oh! In se stesse, bravissima. E non ti fa piacere?

BETTA: Non è che non mi faccia piacere, ma che quella era una cosa più mia: più personale.

PROFESSORE: Non trovi che ci sia un bel po’ di egoismo in quello che stai dicendo? - Comunque se hai dei problemi, va bene... vedrò di parlarne perché lascino perdere. Vuol dire, pace, che la cancelleremo. Ma è davvero questo che vuoi? (Silenzio)  Sù, rispondi.

BETTA: No, no. Però mi serviva dirglielo.

PROFESSORE: Chiuso l’argomento?... (L’altra annuisce)  Andiamo allora... prova a farmi vedere quello che sai fare, Bettina! Adesso appòggiati a me che ci facciamo una bella passeggiata.

BETTA: (felice)  Posso provare a camminare?

PROFESSORE: Non cominciamo con le bravate. Andiamoci piano.

BETTA: Ma io me la sento di provare da sola!

PROFESSORE: (offrendole il braccio)  Un passetto per volta e si raggiungono i traguardi più lontani. (L’altra resta immobile)  Ho detto appòggiati!

NONA SCENA

(Betta e Franco.
Lei seduta, lui sdraiato sul divano.

L’uomo tiene la testa poggiata sul grembo della donna che si ostina a tormentargli la diradata chioma tirando via ciocche di capelli. Tra le mani di Franco, un copioso dattiloscritto.)

BETTA: Duemilioniquattrocentocinquanta.

FRANCO: (accennando a voltarsi per guardarla in viso)  Prego?...

BETTA:Due quattro e cinquanta.

FRANCO: Milioni?...

BETTA: Eh!

FRANCO: All’anima!...

BETTA: Ma per tutto, compresa la macchina.

FRANCO: E tu come pensi di rimediarli?

BETTA: Un po’ ce n’ho.

FRANCO: Quanti?

BETTA: Intanto gli do quelli che posso, poi boh.

(Una breve pausa.)

FRANCO: (più con fastidio che con imbarazzo)  Io te l’ho detto qual è il mio problema;

BETTA: T’ho chiesto qualcosa?... (Gli tira via dei capelli)

FRANCO: Ah! E fa’ piano.

BETTA: T’ho chiesto qualcosa?

FRANCO: Dio, ricominciamo con le offese...

BETTA: Tu dimmi solo se t’ho chiesto qualcosa!

FRANCO: Capito, và... lasciamo perdere.

(L’uomo, per chiuderla, tace.

Sfoglia distratto il copione che ha per le mani mentre lei insiste ad accanirsi sulla sua capigliatura.

Una pausa.)

FRANCO: Con quell’amico tuo poi, quello buffo, come procede? Ancora continua?

BETTA: Continua che?...

FRANCO: (ridendo fra sé)  La presa per il culo.

BETTA: Ma di chi parli?

FRANCO: (c.s.)  Il mago Zurlì... Ancora continua?

BETTA: Invece di fare lo spiritoso, sai anche a te quanto farebbe bene lavorare un pochetto con lui! Almeno incontrarlo.

FRANCO: Di corsa! Non mi ci manca altro.

BETTA: Perché sei scemo e non vuoi ascoltarmi. Poi sembra che lo dico per me... (L’uomo bruscamente si alza e si allontana)  E vieni qui! Dove vai?...

FRANCO: A sgranchirmi le gambe, è permesso?

BETTA: Dài, finisci di leggermi la sceneggiatura. L’hai piantata a metà.

FRANCO: (si muove nervoso, come cercando, o facendo finta di cercare, qualcosa)  Ma è una stronzata.

BETTA: Questo fallo decidere agli altri.

FRANCO: Invece no: sono perfettamente in grado di capirlo da me senza mettermi a fare-fare... senza bisogno di sentirmelo dire quello che posso capire benissimo da me, chiaro?... Perché ciò una mia testa, io - chiaro? Per quanto ti possa sembrare strano, ce l’ho - e so benissimo rendermi conto da solo quando una cosa è una stronzata oppure no!...

BETTA: Nessuno lo mette in dubbio, ma adesso torna giù e leggi.

FRANCO: Intanto me lo chiedi per prendermi in giro!

BETTA: Sai che voglia!...

FRANCO: Per prendermi in giro, sissignora! Specialità della casa prendere per il culo la gente, e di’ se non è vero! Io t’ho capito a te che tipo sei: che ti piace trattarle così le persone sennò ti senti male. Di’ se non è vero!

BETTA: Mi pari matto.

FRANCO: Ci provi gusto a farmi sentire come uno che poi... uno che gli tocca, poi, di sentirsi di fare schifo - ecco come. E’ questo che ti fa godere a te. Io a farti schifo e tu che ci sbavi.

BETTA: Scusa, ma ‘schifo’ in che senso?

FRANCO: Schifo che mi fa schifo solo l’idea di essermi messo qui a fare la figura del cretino, il buffone che se ne sta a leggere delle sue pippe mentali!...

BETTA: Veramente mi sembrava che fossi tu il primo a divertirsi.

FRANCO: E mi sbagliavo! Può anche succedere, no, che uno si sbagli... - Beh, mi sbagliavo. (Ha un’esitazione, poi riprende)  Pensavo fosse qualcosa di diverso invece è tutta merda, e lo sai benissimo pure tu quello che è: e ti diverte darci addosso. Più lo vedi, più ti diverte. Ma chi ti credi di sfottere? - Mi viene una rabbia che, ti giuro, spaccherei tutto!

BETTA: Vedi di fartela passare e torna qui.(Mostrando un pacchetto di sigarette)  Se cerchi le sigarette te le ho tolte io; e non ti provare a toccarle. Te le ridò quando te ne vai. Torna qui.

(Una breve pausa.)

FRANCO: (riavvicinandosi, meno congestionato)  Basta però che la finisci di smucinarmi i capelli per farmi il conto dei cadaveri. E’ una cosa che mi manda in bestia.(Torna a sedersi in terra poggiando nuovamente la testa sul grembo di Betta che immediatamente ricomincia a toccarlo sulla nuca, passando le dita tra i capelli.
Lui ha una reazione immediata)  T’ho detto di no, porca miseria!

BETTA: (trattenendolo)  Buono, sù!... (E continua)

FRANCO: (c.s.)  E t’ho pregato!

BETTA: E’ un massaggio, stupido! Dài, che ti fa bene al cuoio capelluto. (E massaggia)  Fa circolare il sangue; perché quello è: se il sangue non arriva ai bulbi, i bulbi non possono alimentare la cute e il capello muore.

(Lo massaggia, adesso, sulle tempie.

Una pausa.

L’uomo smania.)

BETTA: (tranquilla)  Io delle mie cose che non vanno te ne parlo. I miei segreti, l’hai visto, te li racconto. Sei tu che ti chiudi a riccio.

FRANCO: (che non ha sentito)  Di che?

BETTA: Di che, cosa?...

FRANCO: Non ho capito che hai detto.

BETTA: Che non ti fidi.

FRANCO: Io?...

BETTA: Di me. Di quello che faccio. Pure quando ti ascolto.

FRANCO: Lascia stare.

BETTA: Dei consigli che ti do. (Lui  si agita, lei lo trattiene)  E fermo un po’! - Dài, leggi.

FRANCO: Neanche se mi spari.

BETTA: Non penserai mica di lasciarmi con la curiosità senza dirmi come va a finire!...

FRANCO: Sì, brava, insisti! -

BETTA: Leggi.(Gli strappa dei capelli. Si guarda nel palmo della mano)  Quattro. (Guarda meglio)  Cinque. (L’uomo vorrebbe svincolarsi dall’abbraccio che lo imprigiona ma lei lo trattiene sempre più forte)  E fermo! - Sembra che te lo faccio per dispetto. Se vai da un dermatologo, che ti credi?... E’ così che fanno quelli per controllare: tirano via e vedono quanti capelli cadono senza bisogno di strapparli.

FRANCO: Se ti sogni di spedirmi dall’amico tuo te lo puoi levare dalla testa perché è solo fiato sprecato.

BETTA: Non fare il finto tonto. Io sto parlando di dermatologhi.

FRANCO: Eh?...

BETTA: E sei pure mezzo sordo. (Imponendogli il copione)  Leggi!

FRANCO: (pensando ad altro)  Ma ti pare!... Farti curare quando sai di non avere niente... -

BETTA: Detta da te questa è la migliore della giornata. Poi non è questione di avere qualcosa o non avercela ma è un atteggiamento mentale. E non te lo direi se non avessi la prova del mio caso personale. Poi, certo... fatto con intelligenza.

FRANCO: Che significa ‘fatto con intelligenza’? Prenderlo per il culo come fai tu?...

BETTA: Lo vedi che ti metti sulla difensiva: perché hai paura.

FRANCO: Capirai, me la faccio addosso dalla paura!...

BETTA: E io ti dico di sì.

FRANCO: E tu rispondi!

BETTA: Ma rispondo a che?

FRANCO: Lo prendi per il culo sì o no?

BETTA: Insomma, io parlo parlo e non capisci un accidente di quello che ti dico.

FRANCO: Allora sentiamo: se non è una presa per il culo come la chiameresti?... Roba che non si sa chi è più patetico fra voi due: se tu con le tue sceneggiate o quello che si lascia infinocchiare come un imbecille.

BETTA: Siamo proprio su pianeti diversi, guarda... (E sfila via dei capelli morti)  Lo sai cos’è che faccio io? - Lo aiuto ad aiutarmi: ecco cos’è che faccio. (Breve pausa)  E mi serve. Sennò non lo farei. Semplice.(Breve pausa)  Lo faccio perché ha un senso; il senso che almeno mi permette di avere un rapporto... (Si corregge)  di stabilire un rapporto che altrimenti per me, per come mi conosco, non ci sarei mai riuscita. A stabilirlo.(Una pausa)  Lui è logico che non ne avrebbe bisogno. Lui. Ma tu sì che altrimenti non ce la fai. Io, perlomeno. E’ per me che sto  parlando. Magari gli altri saranno bravissimi e non si fanno nessun problema. Beati loro. Ma se t’accorgi che è una cosa che ti funziona perché non dovresti usarla? Se tutto ti diventa più facile: impostare il lavoro, assorbire il metodo, farlo tuo - entrare nell’ordine di idee di vedere il mondo come non l’hai mai visto. E anche te stesso. Allora sì. (Una breve pausa)  Imparare ad ascoltarti, ecco. Fare esplodere il vulcano che è dentro di te. Ovvio che tu pensi: io sto bene e che m’importa?  - Invece no. Il bello è quando arrivi a capire che tu, potenzialmente - ma dico: potenzialmente - sei dieci, cento volte quello che ti senti di essere anche quando magari sei convinto di stare in un modo stupendo che più di così non si potrebbe - capisci?... Invece poi scopri che il meglio che ti porti dentro non sei arrivato... ma neppure a sfiorarlo. - Comunque io non è che te le sappia spiegare bene queste cose. Perciò ti dico di provarci tu personalmente. Poi fa’ come ti pare. (Una breve pausa)  Se ci ripensi, quando ti va me lo fai sapere.

(Tira via altri capelli; glieli lascia cadere addosso.
Ancora una breve pausa.)

FRANCO: (agitandosi)  Oh, e fammi respirare almeno!

BETTA: Anche il fatto che non vuoi ammettere di essere mezzo sordo... -

FRANCO: Non lo ammetto perché non è vero.(Lei gli tira, con più forza, una ciocca)  Ahi! Ma sei impazzita?...

BETTA: T’avverto: non ti muovi di qui se prima non finisci di leggermi.

FRANCO: Madonna, ma sei proprio fissata!

BETTA: Allora... Scena decima... - no, che era? Undicesima - interno commissariato... - Sù, va’ avanti!

(Una pausa.

L’uomo, obbligato, sfoglia il copione per tornare al punto in cui aveva interrotto la lettura.
Lei gli stringe la testa quasi in una morsa senza neanche più massaggiarla.)

FRANCO: Mi fa un po’ vergogna, perché a scriverle non mi sembrava che fossero tanto... bah, dopo le leggi e t’accorgi di certe cose che... Gesummio!... (Una breve pausa. Poi, quasi supplichevole)  però la storia più o meno si capisce... - Si capisce, no?... Io poi non è che abbia tanta pratica: questo era giusto un tentativo tanto per fare, perché mi divertiva.

BETTA: Ti vuoi decidere? - Sto aspettando.

(Lui nemmeno può abbassare il capo e solleva il copione all’altezza degli occhi.
Ha ancora un’esitazione prima di iniziare.)

FRANCO: Però se ti rompi dimmelo che smetto.

BETTA: (tormentandogli le tempie)  Mi fai ridere per come ti comporti. (Una breve pausa)  Leggi.

DECIMA SCENA

(La donna è sdraiata prona per terra. L’uomo sta seduto su di una poltroncina. Fuma una delle sue solite sigarette lunghe e nere. Visibili, le grucce.)

BETTA: (torcendo il collo, nel tentativo di guardare l’altro)  Non ce la faccio. (Una pausa)

PROFESSORE: Inutile che mi guardi. Tirati sù.

BETTA: Non ce la faccio.

PROFESSORE: (la pungola con la punta del piede)  Andiamo, tirati sù.

BETTA: Davvero...

PROFESSORE: Facile dire: non ce la faccio. E non ce la farai mai in questo modo. Ma che ti giri?! E’ a te, stupida, che devi parlare, è a te che devi dare ordini. Io non c’entro; che me ne importa a me se ce la fai o no? E’ affare tuo. Ciò mica di questi problemi, io. (Una pausa. Poi, con un urlo)  Tirati sù, perdio!

BETTA: (con uno sforzo)  Ci sto provando. - Giuro.

PROFESSORE: E non parlare! Tirati sù.

BETTA: Ahi!

PROFESSORE: Cosa ti fa male adesso?

BETTA: La pancia.

PROFESSORE: Andiamo andiamo. Insomma, cos’è che vuoi? Te lo dico io cos’è che vuoi tu? Tu vuoi che io mi debba vergognare di te!... Inutile che fai di no con la testa! E’ proprio questo, invece: che mi vergogni di te. (L’altra scrolla ancora il capo)  Ah, no?!... E allora tirati sù!... (Una pausa)  Male, Betta, andiamo molto male.

(Betta, per aiutarsi, tenta di girarsi su di un fianco con la forza delle braccia ma l’uomo, con un calcetto, le fa mancare il punto d’appoggio.)

PROFESSORE: E sì, comodo! Ma chi cerchi di imbrogliare, si può sapere?! ...Le mani avanti! E’ sulle ginocchia che devi fare forza. Qui, andiamo!... (Lei cerca di organizzare un movimento utile ma senza dare l’idea di riuscirci)  Io non vorrei dirti così, sei tu che mi costringi. Ma non mi obbedisci. (Betta fa leva sui gomiti per tentare di piegare le gambe in avanti)  Ricorda, Betta: la gente ti tratterà sempre come tu vuoi che ti tratti; e la gente questo lo capisce sai da cosa? Da come tratti te stessa, da questo lo capisce. Se ti vedono che sbandi, senza un minimo di fiducia e di autorità, perché poi gli altri dovrebbero rispettarti se non sei tu la prima a farlo? - Me lo spieghi. Tu invece fatti vedere che vinci. Andiamo, Betta, tirati sù. E impara a darti ordini da sola se vuoi impedire che siano gli altri a farlo, chiaro? -

(Una pausa. Adesso Betta è tutta raggomitolata in terra. L’uomo fuma.)

BETTA: Ho un po’ male.

PROFESSORE: Non è vero che hai male.

BETTA: E’ vero sì.

PROFESSORE: Allora perché m’hai raccontato che le fitte ti erano passate?

BETTA: E’ a tratti che mi tornano.

PROFESSORE: Te le inventi!

BETTA: Ma perché me le dovrei inventare?

PROFESSORE: Te le inventi perché hai bisogno di una scusa.

BETTA: No!

PROFESSORE: Sì, invece. Hai bisogno di una scusa per la tua debolezza. Come servisse a qualcosa! Lo sai a che serve? Serve che mi fai ancora più pena, e ti sembra un bel risultato quello di fare pena? Avanti, dimmelo tu se ti sembra un risultato di cui andare fieri!

BETTA: (che si è tirata sù carponi; con trasporto)  Mi guardi, la prego! - Mi guardi! (Torce ancora il collo per cercare l’uomo con lo sguardo ma questi si è allontanato e lei non può più vederlo)  Mi sta guardando, sì?... La prego, mi dica se mi sta guardando! -

PROFESSORE: Non hai risolto un accidente! Poi no, nemmeno ti guardo. Ti guarderò quando sarai in piedi, adesso non c’è niente da guardare.

BETTA: Ma sì che c’è. Guardi come sto! (Silenzio)  Dove sta, Professore?... (Lui non risponde)  Se n’è andato di là?...

PROFESSORE: Non me ne sono andato di là. Ma non ti voglio guardare.

BETTA: Perché no? (Silenzio)  E nemmeno mi vuole più rispondere?... - Però se mi alzo sì, vero?... Ora sono un po’ stanca. Io lo capisco, lei, perché mi tratta in un certo modo... in un certo modo, così come mi tratta. Non mi dispiace. Lo so che è per me. Che mi serve. però vorrei che un poco adesso mi guardasse. O mi rispondesse. Anche questo mi servirebbe.

(Una pausa.)

PROFESSORE: A niente ti servirebbe.

BETTA: Oh, grazie.

PROFESSORE: Vedi che continui a cercare in me la forza di cui hai bisogno e non hai capito un accidente di quello che in tanto tempo mi sono sforzato di insegnarti. Io quello che al massimo posso fare è di aiutarti a scovare la tua di forza, mica la mia, perché con la mia non posso farti nulla e anche potessi chi ti dice che m’andrebbe di usarla per te?...

BETTA: Ma l’ho capito anche questo...

PROFESSORE: A che ti serve allora se ti guardo o no?

BETTA: Mi aiuta.

PROFESSORE: Lo vedi!

BETTA: Ho detto solo che mi aiuta.

PROFESSORE: E non deve.

BETTA: Mi fa piacere.

PROFESSORE: E’ ridicolo. Alzati! - Io non ti guardo.

(L’uomo si volta. Dopo alcuni istanti pure la donna, con un gesto impensabile data la condizione di infermità che sta simulando, si gira tutta sulla schiena e vede che anch’egli è girato verso il muro. Ha una risata lievissima, gioiosa, da bambina. Rimane a osservarlo per alcuni istanti, poi, con grande facilità, si solleva in piedi. Immediatamente dopo, flette leggermente le ginocchia, impugna le stampelle e contrae i muscoli delle cosce. Resta immobile e in silenzio. Dopo qualche secondo ancora lui volta, un po’ di trequarti, lo sguardo verso di lei che appare raggiante. L’uomo maschera la sua sorpresa. Le si avvicina.
Una breve pausa.)

PROFESSORE: Siediti. (Lei si siede)  Ti sei aiutata?

BETTA: E con che?

PROFESSORE: Voglio crederti.

BETTA: Non mi sono aiutata. Come potevo aiutarmi? -

PROFESSORE: Facciamo finta che è vero.

BETTA: Poteva guardarmi. (Sorride)  Non ha voluto.

PROFESSORE: Come ti senti?

BETTA: Stanca. Però contenta.

PROFESSORE: Il dolore?

BETTA: Meno.

PROFESSORE: Ovvio. Ora non ti serve più. (Una breve pausa)  So cosa sei ansiosa di sapere tu. Ho passato i tuoi lavori alla nostra commissione di lettura. Vedremo.

BETTA: Ma già mi aveva detto che li aveva dati.

PROFESSORE: Solo a qualcuno, ma in via ufficiosa. Per capire, così, in linea di massima.

BETTA: Ma lei mi aveva detto anche più o meno quanto sarebbe venuta la spesa, si ricorda?...

PROFESSORE: Difatti se va in porto quella è. (Betta non riesce a nascondere il suo scontento)  Ti saprò dire. (Guarda l’ora)  Va bon... è tardino. Comunque non ti scoraggiare, siamo sempre in pista.

BETTA: Che pensavo fosse una cosa più sicura.

PROFESSORE: Due, tre giorni e si risolve. Dipendesse solo da me! - Ma c’è un comitato di redazione che deve decidere, sia per la rivista che per i libri... - Vedremo. Tanto, se è sì, ad avere le prime bozze ci vuole manco una settimana. (Infilandosi il cappotto)  Io vado. Per la prossima volta direi che come orario possiamo tenere questo delle cinque. Ah, poi dovrei chiederti il saldo dell’ultima settimana, te lo ricordi?

BETTA: Se mi prende il libretto...

(L’uomo, senza esitazioni, va ad aprire un cassetto dal quale tira fuori un libretto degli assegni. Lo consegna alla donna.)

PROFESSORE: Prevedo che presto andrai a prenderti da sola tutto quello che vorrai. (Lei firma)  Senti... stavo pensando: pure questo, quello che abbiamo fatto oggi... sarebbe simpatico se tu volessi venire a raccontarlo in trasmissione - che ne dici?

BETTA: E’ andata bene, vero?...

PROFESSORE: C’è da essere abbastanza soddisfatti.

BETTA: Sono stata brava...

(Una breve pausa.)

PROFESSORE: Bravina. Beh, fammi andare. Ah!... La tua cravatta. (Prende dal tavolo un involto di carta colorata e un po’ sgualcita. Lo intasca insieme all’assegno)  Veramente di gusto.

UNDICESIMA SCENA

(Betta è seduta al tavolo. Ha una matita in mano, gomma e temperino vicini, e controlla dei fogli dai quali, per tutta la prima parte del dialogo, non solleverà mai lo sguardo. Clara, in piedi e in un altro punto della stanza, brandisce le due grucce di metallo. Leggera, la musichetta di una radio . Sta facendo scuro.)

CLARA: Me lo fai il santo favore? Di’ che se le vengano a ripigliare al più presto. Mi fa un’impressione vedere questa roba lasciata in giro per casa!

BETTA: Visto che si tratta di casa mia il problema non ti riguarda.

CLARA: Casa mia o casa tua mi fanno impressione lo stesso. Cose dell’altro mondo! Dimmi tu se uno che prende un appartamento deve trovarci nell’armadio un paio di grucce! - Posso capire dimenticarsi una camicia, un libro... un paio di pantaloni, toh - ma delle grucce!... Almeno finché non se le vengono a riprendere potresti lasciarle giù in portineria.

BETTA: Non c’è mai un’anima, che gliele lascio a fare? - Poi neppure deve trattarsi di quelli che stavano qui prima. Pare che non ci fosse nessun mlato.

CLARA: Senti, queste possono servire a una cosa sola, non mi vengano a raccontare storie! -

BETTA: Comunque il proprietario non si trova. E credo che mai si troverà.

CLARA: E allora buttale!

BETTA: Molte grazie per il suggerimento. Quando mi andrà le butterò.

CLARA: Ci fosse almeno un angoletto dove metterle nascoste, intanto che aspetti di sbarazzartene!... (L’altra sbuffa. Una breve pausa)  Che hai lì?

BETTA: Le bozze da correggere.

CLARA: Ah!... Per quando è previsto il parto?

BETTA: Un mesetto ancora ci vorrà.

CLARA: Posso vedere?

BETTA: No.

CLARA: Grazie. (Una pausa)  Te le porto di là.

BETTA: (fulminandola con un’occhiata)  Lasciale lì! Ci penso io, che so dove metterle. (Riabbassando lo sguardo sui fogli)  Che ore fai?

CLARA: (controlla)  Ho l’orologio che va e non va - te le poggio qui?...

BETTA: Dove ti pare.

CLARA: (poggiando le grucce)  Comunque più o meno dovrebbero essere quasi le cinque.

BETTA: (saltando sù)  Quasi le cinque! Ma stai scherzando?

CLARA: Più o meno: a occhio. Il mio va circa una mezzoretta avanti.

(Betta si precipita al telefono e forma il 161.)

BETTA: O Madonna, ma è tardissimo!

CLARA: Che ore sono esattamente, così me lo regolo?

BETTA: Eh?...

CLARA: L’ora!

BETTA: Sedici e cinquantotto. E’ tardissimo.

CLARA: (regolando)  C’ero andata vicina. Tanto mi si risballa subito.

BETTA: (agitatissima)  Claretta, scusa se vado un po’ di corsa ma non mi ero proprio resa conto...

CLARA: Fai, fai. Tanto ora anch’io... un minutino e ti lascio. Anzi, va... fammi cominciare a recuperare la mia roba... (E andando alla sedia sulla quale ha poggiato sciarpa e cappotto si ferma a prendere in  mano le bozze)

BETTA: E t’ho chiesto di no, per piacere!

CLARA: Tranquilla, non le guardo.

BETTA: (sulle spine per il tempo)  Attenta a non mischiarle, sono sciolte.

CLARA: Ma queste sono le poesie che conosco anch’io?

BETTA: Non tutte.

CLARA: Ce ne hai messe di nuove?

BETTA: Poche.

CLARA: Ma le altre sono quelle che conosco io?

BETTA: Sì, ma tutte un po’ riviste.

CLARA: Ci credo, ne è passato di tempo.

BETTA: Eh, abbastanza.

CLARA: (le ripone)  A questo punto, ti confesserò, comincio a essere un po’ curiosa di vederlo stampato questo libro.

BETTA: Già.

CLARA: Dopo tante storie... (Preparandosi per andare)  Oh, che stupida! Qui si parla di cretinate e poi ci scordiamo delle cose più importanti.

BETTA: Che c’è? Dimmi, sù, che ho fretta!

CLARA: Giovedì, allora, va bene per incontrarvi tutti e due dal notaio?

BETTA: Tutti e due?...

CLARA: Con tuo marito.

BETTA: Ah...

CLARA: Va bene o no?

BETTA: Sì, penso di sì. Ma debbo dirtelo adesso?

CLARA: Bisogna che cofermo. Se vuoi essere tu a farlo...

BETTA: Va bene, va bene.

CLARA: Va bene per giovedì o che confermi tu? -

BETTA: (esasperata)  Va bene per giovedì!

CLARA: Comunque più passa il tempo e più mi convinco che stai facendo una grossa idiozia a non batterti per la casa. Secondo me potresti spuntarla facilmente. Anche tante persone che ho sentito m’hanno detto lo stesso, ma quando uno da un certo orecchio non vuole proprio sentirci...

BETTA: Discorso già fatto e rifatto! Non è il caso di starci a tornare sopra.

CLARA: Ma puoi continuare a vivere in un ‘residence’ così, a tempo indeterminato?... E’ un salasso bestiale, pensaci!

BETTA: Ci penserò.

CLARA: Tu calcola: pure quando di lì comincerai a prendere i soldi dell’affitto, cifre alla mano, se fai i conti vedrai che ci rimetti lo stesso, e pure tanto.

BETTA: Clara, ho una fretta tremenda e mille cose da sistemare.

CLARA: Vado, vado, ma prometti che cercherai di organizzarti un pochetto meglio? Sarò fatta male ma io non posso continuare a stare con la preoccupazione di te sistemata in questo modo!...

BETTA: Va bene, ho capito.

CLARA: A proposito, a soldi come stai?

BETTA: Sto che ho solo bisogno che mi lasci preparare: ho fretta!!

(Suona il campanello. Betta si immobilizza. E’ sconvolta.)

CLARA: Aspetti qualcuno?

BETTA: (piano, scivolando a sedere)  Sì. - Qualcuno.

CLARA: (presso la porta)  Ti apro?... (L’altra annuisce. Clara apre la porta. Sulla soglia c’è il Professore incappottato e con la borsa sotto il braccio)  Salve! - Prego, si accomodi.

PROFESSORE: (entrando)  Salve.

BETTA: (seduta, irrigidendosi. Parla come a scatti)  Lei è - Clara... mia sorella.

PROFESSORE: Piacere!

BETTA: (all’altra, stordita)  Io... tu forse non conosci il Professore... - No. Non vi conoscete, vero? -

CLARA: (dandogli la mano)  No, non credo. Ma prego!...

PROFESSORE: Grazie.

BETTA: Il Professore, sì... il Professore è un carissimo amico che mi sta molto aiutando in questo periodo.

CLARA: Ah, capisco.

PROFESSORE: Per carità, io faccio quello che posso. D’altronde non sta a me. Se la nostra Bettina, come sembra, si decide a tirare fuori tutta la volontà che ha, e ne ha parecchia, non dubito che potremo ben presto raggiungere ulteriori e confortanti progressi.

(Silenzio. Clara evidentemente non sa che dire e sgrana tanto d’occhi.)

PROFESSORE: Ma chiuda pure. Si sieda. Se vuole restare non c’è niente di segreto.

CLARA: No, mi perdoni, ma è il fatto dei progressi: ...non credo di aver capito bene a cosa si riferisce.

PROFESSORE: A sua sorella mi riferisco.

CLARA: Beh, sì, che non è un bel periodo, certo... -

BETTA: (convulsamente)  Clara, per piacere, che mi... - lì, guarda! Che mi prendi il portacenere là sulla libreria, per favore? - No, cioè, ce l’ho anche qui, lascia stare. Oh, mica per me: che il Professore fuma e immagino vorrà... - ogni tanto qualche sigaretta gliela concedo, perché sennò in genere io, anzi, dove sto non lo permetto a nessuno. Ma un’eccezione, in fondo, si può anche fare. (Alla sorella)  Comunque, allora, va bene... capito tutto: ci penserò. Potremmo sentirci magari anche stasera se hai un po’ di tempo. Stai a casa stasera?

CLARA: Sì, dovrei.

BETTA: Allora ci sentiamo, d’accordo?...

CLARA: Chiama tu se vuoi, tanto è sicuro che mi trovi.

PROFESSORE: (nuovamente dandole la mano)  Signora, mi ha fatto piacere conoscerla.

CLARA: (a lui)  Scommetto che nemmeno era informato della mia esistenza, dica la verità!

PROFESSORE: Come non ero informato! Betta mi ha parlato spessissimo. Poi scherza? Per noi è d’importanza enorme essere bene a conoscenza di tutto il mondo che ruota attorno alle persone che si affidano alle nostre cure.

CLARA: Affidano in che senso?

BETTA: (terrorizzata, come giocandosi l’ultima carta)  Il professore, poi, è anche la persona che ti dicevo che mi ha - che mi ha molto aiutato per il mio libro, sì - anzi, è stato un po’ proprio lui a insistere e a indirizzarmi per la pubblicazione.

CLARA: Ah, ecco. Non riuscivo ad afferrare.

PROFESSORE: Eh, ma la nostra poetessa, qui, se lo merita, se lo merita!... La fortuna di questa cosa sa qual è stata? - Perché, lei saprà, noi abbiamo sempre avuto un’attività editoriale soprattutto legata a un settore scientifico; invece adesso si è deciso, giustamente, di cominciare a guardarsi intorno anche in ambienti diversi e devo dirle che quando abbiamo preso in esame gli-gli... scritti, diciamo i... gli- le sue poesie, insomma - beh, ci siamo detti: rompiamo il ghiaccio! (Una breve pausa)  Io trovo, sa, che sia molto importante per Betta questa verifica presso l’esterno. In un secondo tempo, poi, sarà sempre lei a decidere se continuare o no, ma non foss’altro sulla base di un’esperienza precisa.

CLARA: Beh, per cominciare...

PROFESSORE: Non voglio dire, ma io mi aspetto qualche grossa soddisfazione.

CLARA: Non sapevo che anche lei ci fosse dentro, non avevo capito.

PROFESSORE: Io?!

CLARA: Nella casa editrice! - Che io poi di certe cose, non se la prenda, ma sono ignorantissima e non è che ce l’abbia molto ben presente.

PROFESSORE: Beh, un attimo. Precisiamo. Noi, e di questo penso che ne sia al corrente, non è che siamo una vera casa editrice. Abbiamo sì anche un’attività editoriale, ma essenzialmente il nostro è un Centro che opera in campi diversi. L’editoria più che altro è un’attività di servizio. Soprattutto per la nostra rivista.

CLARA: E in che tipo di campi, mi scusi? - Queste attività: in che genere di campi?...

PROFESSORE: (a Betta)  Ma non sa nulla? Possibile?

BETTA: Non mi sembrava il caso. Tanto lo so che lei di questa roba non è che s’interessa, così nemmeno mi ci metto.

PROFESSORE: (a Clara)  Aspetti che le faccio vedere! Ma chiuda che ha lasciato aperto... Senza che ci sentono per tutto il palazzo!... - (Clara richiude la porta mentre l’uomo apre la sua borsa e ne tira fuori carte e fascicoli colorati)  Ecco, queste sono alcune delle nostre pubblicazioni. (Controlla)  Sì, dunque... qui, ad esempio, ci stanno gli ultimi due numeri della rivista che le dicevo, fatta a cura del nostro Centro. (La sfoglia tenendola poggiata un po’ a fatica sulla borsa; come un piazzista)  Questa serve a fare un po’ da mappa, da giornale di bordo, di tutto il lavoro che svolgiamo sui diversi fronti. Ecco, vede l’indice... cronache di convegni, interventi... Anche, poi, accogliendo pezzi magari di persone che appartengono a sponde opposte alla nostra, ma per avere un contraddittorio che ci sembra molto importante.

CLARA: Ma quale sarebbe lo scopo preciso di questa vostra organizzazione?

PROFESSORE: (con un sorriso di forzata modestia)  Beh, diciamo che sono un po’ io il factotum qui dentro, quello che fa un po’ da perno. C’è un seminario che tengo e che copre parecchi mesi e che dà un po’ la direttiva scientifica a tutto quanto. Poi, devo dire, ho la fortuna di avere con me dei collaboratori veramente eccezionali che mi seguono dandomi un grossissimo aiuto.

CLARA: Sì, ma lo scopo reale?...

PROFESSORE: (riponendo le carte)  Signora mia, detta così è impossibile. Ma, scusi, lei non le ha mai seguite le mie trasmissioni televisive? Debbo pensare di no perché se l’avesse fatto non starebbe così tutta chiusa a riccio come la vedo adesso.

CLARA: Io non sto per niente chiusa a riccio.

PROFESSORE: Sì che ci sta. Non faccia la furba con me che ci rimette. E’ tutta una campana di onde negative che le fanno come una corazza respingente, ah, potrei avvertirla a un miglio di distanza! Come se dovesse difendersi da chissà che! Ma è sempre così quando uno si trova davanti a un fatto nuovo che a tutti i costi si ostina a non voler capire.

BETTA: Per piacere, mi sembra di avervi chiesto di smetterla! (A lui)  Non mi vanno queste storie, la prego! - (Breve pausa)  Perché insiste? Gliel’ho spiegato: io a mia sorella lo so com’è fatta; mi creda: lasci stare! Che cerca di convincerla?... - Così poi si finisce a litigare e basta. Sai che bel risultato!

(Una pausa.)

CLARA: Dunque il signore sarebbe il tizio per cui hai fatto quella cosa assurda in televisione... - E’ lui? (Nessuna risposta)  Ora comincio a ricollegare.

BETTA: Appunto! Visto che cominci a ricollegare non c’è nemmeno bisogno che resti.

PROFESSORE: Un attimino... vorrebbe prima farmi la cortesia di spiegarsi: assurda in che senso?...

CLARA: Nel senso che, via!, non provi a imbambolare me con le sue storielle che casca male!

BETTA: Clara, piantala!... Sempre a metterti in mezzo! Con che diritto, me lo spieghi? - E’ una cosa mia, tu non c’entri! Il Professore sino a prova contraria è venuto a trovare me, dunque è mio ospite e non ti permetto di aggredirlo in questo modo!

PROFESSORE: (a Clara)  E mi dica un po’!... - adesso a parte ospite o non ospite - lei che parla di storielle: se adesso però sua sorella cammina come cammina sono storielle? E questo a chi lo dovete? Forse a quei medici che l’hanno imbottita di cretinate senza combinare un accidente o non piuttosto a chi le ha fatto capire che era in lei e solo in lei quella forza che le permette oggi di muoversi e di reagire senza doversene stare inchiodata sopra una sedia a rotelle?... E diciamole le cose come stanno! Nemmeno l’evidenza le fa balenare il sospetto che, hai visto mai, qualcosa di vero in tutto questo dovrà pur esserci?!...

(Silenzio.)

CLARA: Debbo ridere?... (E guarda la sorella)

PROFESSORE: Come no! Rida, rida pure! Si crede che non sono forse abituato alle risate fesse di gente come lei! - Mi fanno pena le sue risate, rida pure! E ora, dato che sono qui non come ospite ma per lavorare, il mio tempo mi serve e la prego di lasciarmi solo con sua sorella.

CLARA: Bettina, io voglio credere che il tuo amico stia scherzando; e già così l’idea mi sembra abbastanza sgradevole da sopportare.

PROFESSORE: Se ne vada!

CLARA: Ma tu hai sentito o no quello che ha detto?

BETTA: Vattene!

CLARA: Vuoi farmi la cortesia di mostrare al signore come cammini?... Anche senza rotelle!

PROFESSORE: Qui sono io a decidere ciò che la mia paziente deve o non deve fare, e non trovo che sia questo il momento delle esibizioni.

(Una pausa.)

BETTA: Ti ho detto vattene!

CLARA: E perché non vieni tu ad aprirmi la porta?...

(Una pausa. Poi l’uomo, con un gesto brusco, va ad aprire la porta tenendola ben spalancata. Ancora una breve pausa, infine Clara esce.)

PROFESSORE: (gridandole dietro)  Perché il tutto subito non esiste, ecco perché! (Richiude la porta, si avvicina alla donna. Le accosta le sue grucce. Betta trema)

Non sei d’accordo anche tu?... (Una breve pausa)  Sono felice di notare come certe presenze che invece di essere di conforto sono distruttive, riescano a non condizionarti più di tanto. Se tu me ne avessi parlato... - Comunque brava. (Una breve pausa)  Hai fatto i tuoi esercizi? (La donna annuisce)  Bravissima. (Tendendole una mano)  Vieni qui, Betta.

BETTA: (quasi scossa da brividi)  Ora non posso.

PROFESSORE: Perché non puoi?

BETTA: Perché ho male.

PROFESSORE: Male dove?

(Una pausa.)

BETTA: Credo allo stomaco.

DODICESIMA SCENA

(Betta, il Professore e Franco. Il Professore, in un atteggiamento simile a quello di inizio atto, massaggia sul collo, sulla gola, Franco che se ne sta seduto. Lo massaggia sulla cute. Valuta tra sé e sé, non parla, mentre l’altro, di tanto in tanto, emette qualche lamentevole mugolio. Come se avesse perso l’uso della parola. Betta, da un suo angolo, grucce affianco, li spia entrambi.

I due uomini portano al collo la medesima, chiassossima, cravatta.)

PROFESSORE: (infine, a Betta)  Insomma, capire capisce ma parlare... ‘nisba’.

BETTA: Capire sì.

(Franco reprime a stento un inizio di risata.)

PROFESSORE: Perché ride?

BETTA: No, non sta ridendo...

(Franco, convulsamente, fa di no con la testa.)

PROFESSORE: E bravo giovanotto!... Qui c’è da smuovere un bel po’ di robaccia ingarbugliata che ci teniamo in corpo. Pazienza ne abbiamo?... (Franco fa di ‘sì’)  E allora che stiamo a preoccuparci?... Ma ci vuole anche... serietà. E se-ve-ri-tà. Molta severità. Non mia: ma vostra, con voi stessi. Perciò le risatine le lasciamo a casa, chiaro?... Chiaro!... (Una breve pausa)   Bon! Intanto tu comincia a guardare, a renderti conto - poi vedremo insieme come organizzarci - d’accordo?... D’accordo!

(Franco annuisce.
Una pausa. Il Professore si allontana da lui. Prende il centro della stanza. Guarda Franco, guarda Betta; poi, soddisfattissimo, si mette tra le labbra una delle sue sigarette nere e se l’accende.

Infine, a Betta...)

PROFESSORE: E torniamo, ‘ob torto collo’, a un argomento trito. Quando insisto sulla puntualità dei pagamenti, ormai dovresti averlo capito, è un discorso che prescinde da una semplice smania che potrei averci di intascare soldi il più presto possibile. Perché potrebbe anche essere questo: ce ne stanno tanti che fanno così. Ma è una questione di disciplina che riguarda un po’ tutto il tuo modo di fare. Ti è chiaro o no?

BETTA: A me mica fa piacere trovarmi in questa situazione. Ma un po’ c’è la causa di separazione, che pure mi costa, poi qui il ‘residence’, che da quando ho dovuto lasciare casa è una spesa in più che un tempo non avevo, e poi mille altre cose... Insomma, è questo.

PROFESSORE: Appunto ti parlo di disciplina! A me addolora, sai, vederti affogare in questo maremagnum di pasticci. Mi sembri proprio il classico cigno che sbatte le ali nel fango. (Una pausa. Lei sorride.)  Ah, la mia sciaguratella! Da quant’è che ti ripeto quello che dovresti fare? Liquida tutto e pensa solo a te stessa.

BETTA: Ma è per pensare a me stessa che lo sto facendo. Tutto questo macello, intendo: è per poter ricominciare a pensare a me stessa.

PROFESSORE: No-no-no-no-no, non ci siamo per niente, ma niente proprio! - Credi che sia necessario essere dei geni per capire con che razza di gente hai avuto a che fare sino adesso?... Sai dov’è che sbagli tu? Che per levarti di torno uno sciacallo te ne fai venire addosso diecimila.

BETTA: Cioè come?

PROFESSORE: Te lo dico subito come: mettendoti nelle mani di persone senza scrupoli. Io mi rendo conto che sono rogne, ma un po’ di fermezza, accidenti! Ah, me la vedo tua sorella che ancora ti sta appresso con la storia che devi tenerti la casa, e quell’altro che non la molla, e gli avvocati che ci godono - così che intanto le cose vanno avanti all’infinito e tu sempre peggio. Ma Cristosanto, reagisci! E mollala ‘sta benedetta casa: dovrà pagarti? Ti pagherà. Si stabilisce una cifra e che sia quella! Tuo marito i mezzi ce l’ha, la casa - per come m’hai spiegato - meno di tanto non può valere... che problemi ci sono? - Perlomeno quando sai che ti deve arrivare anche quel tot di un milione e rotti in più al mese è già qualcosa: una boccata d’ossigeno. Poi qui per adesso ancora ci puoi stare, no? - Sei una donna sola, ti basta.

BETTA: Adesso sì che posso starci, ma mica per sempre. E poi in futuro?...

PROFESSORE: Te lo dico io cosa farai in futuro: verrai da noi.

BETTA: Da voi?...

PROFESSORE: Sì, nel nostro Istituto. Era già da un pezzo che volevo dirtelo. Verrai a lavorare e a stare con noi.

BETTA: O Gesù, io però a questo non... Insomma, che potesse succedere una cosa del genere non era - non era un fatto che avessi pensato. Non lo so. Forse magari è troppo. (Breve pausa)  Anche come cambiamento, così... - Non so.

PROFESSORE: Ma devi! Oltretutto sono sicuro che ti va.

BETTA: Le confesso, non vorrei nemmeno sentirmi un po’ troppo vincolata.

PROFESSORE: Ascolta bene quello che devi fare. Uno: quanto prima vai in Banca e sistemi tutte le tue cose. Due: taglia i ponti e la fai finita con tutte queste beghe. Tre: entri nel nostro Centro. (Una pausa)  Dubbi?

BETTA: Un po’ mi spaventa.

PROFESSORE: Vedi dunque che ho ragione quando me la prendo per i tuoi ritardi anche a costo di apparire venale!... (Sorride)  Vero che qualche volta è questo quello che pensi di me?

BETTA: (piano)  No, mai.

PROFESSORE: Eh, la mia sciaguratella!... - Ma se lo faccio lo faccio perché poi ecco come tutto ritorna e s’inquadra in un clima di disobbedienza generale. (Guardando Franco)  Comunque non vorrei annoiare troppo il nostro amico. (Ha un attimo di esitazione. A Betta)  Lui riesce a seguirmi, sì, in quello che dico...

(Franco fa cenno di sì.)

PROFESSORE: Altrimenti se ha problemi me lo faccia capire.

BETTA: Non ne ha, non ne ha. Per sentirla la sente, cioè: capisce. Dalle labbra.

(Franco fa ancora un cenno col capo; indica le labbra; emette un sottile gemito.)

PROFESSORE: Ma devo muoverle di più?...

(Franco fa un gesto secco di diniego col capo.)

BETTA: No, vada avanti normale che la capisce benissimo.

PROFESSORE: Me ne rendo conto. (Breve pausa)  Perfettamente conto.

(Una nota: da adesso in poi, e soprattutto nei momenti di maggiore pathos, il Professore tenderà comunque a esagerare scopertamente il movimento delle labbra nel timore che all’altro possa sfuggire qualcosa.)

(Ancora una breve pausa.
Il Professore si muove per la stanza.
Poi, scrollando il capo...)

PROFESSORE: Ah, benedetta donna!... Così lo sai che sarò costretto a interrompere le sedute... -

BETTA: Lo so, ma non voglio che succeda.

PROFESSORE: Eh, non vuoi... Facile.

BETTA: Forse si può trovare il modo. Il problema è immediato di adesso ma io non ciò dubbi che presto passa. Non può continuare. (Breve pausa)  Davvero.

(Una pausa. Lei attende una risposta che non arriva.)

PROFESSORE: Mi sembri molto scossa oggi. Meglio che riposi, tanto non ne caveremmo un granché.

BETTA: Perché scossa? No, me la sento.

PROFESSORE: Oggi no.

BETTA: So quello che dico, me la sento. (Una breve pausa)  Mi faccia provare. (Accenna a Franco)  Anche per fargli vedere.

PROFESSORE:( le si accosta. Le dà un piccolo schiaffo)  Betta! (Una pausa, poi un altro schiaffo breve e secco; dopo alcuni secondi un altro ancora: entrambe le volte scandendo il nome della donna)  Per vedere avrà tutto il tempo. (Quindi si allontana; va alla sua borsa. Si siede)  Rispondi. Come potremmo definirla - l’estasi?

BETTA: L’estasi?... Uno stato di commozione... Uno stato di commozione divina.

PROFESSORE: Che tu pensi di aver mai conosciuto?

BETTA: Con il suo aiuto, un poco.

PROFESSORE: Cretinate! (Cavando un fascicoletto di carte sfuse dalla sua borsa)  In queste ultime cose che hai scritto, in queste poesiole, ti inventi robe deliranti. Blasfeme. E io non ti ho mai insegnato la blasfemìa; la bestemmia. (Breve pausa)  La mia sciaguratella!... (A Franco)  Crede di aver vissuto i rapimenti di Giovanni della Croce, di Santa Teresa solo perché ne ha sentito parlare da me, e non capisci che l’estasi pretende una spinta dell’anima, una forza interiore (A lei)  che tu non potrai mai, mai!, possedere. Invece ne parli come se si trattasse di una tua pratica quotidiana. Come se mi raccontassi del pranzo o della cena. (Breve pausa)  Presuntuosa e superba. Il poco, il pochissimo, che sino adesso hai conosciuto rammenta sempre che l’hai conosciuto solo grazie a me. E’ vero o no?... Sù, voglio una risposta: è vero o no?

BETTA: (piano)  E’ vero.

PROFESSORE: Dovresti controllare meglio le tue eccitazioni. (Brandendo i fogli)  Queste sono smanie da cagnetta in fregola. Altro che - ‘Soavi elevazioni’, come le chiami tu! - Se ti pare poi un bel titolo!...

BETTA: Mi sembrava quello giusto, non tanto perché bello...

PROFESSORE: Un accidente!

BETTA: Io pensavo che potessero piacerle. Una, ha visto?, l’ho dedicata a lei...

(Una pausa. L’uomo, che sulla spinta dei nervi si era alzato, torna a sedersi. Tira fuori una sigaretta. Fuma.)

PROFESSORE: Te lo ripeterò fino all’ossessione: sono duro con te per il tuo bene. Spero che tu te ne renda conto; a volte mi sorgono dei dubbi.

(La donna china il capo in segno di mortificazione)  Ciò non toglie che qualcosa di valido qua e là vi sia... una certa sensibilità un po’ grezza, ma non è questo che discuto: il tuo atteggiamento, piuttosto. E’ sempre quello! Ribelle, scioccamente ribelle.

BETTA:(con vivacità)  Non è vero che sono ribelle. Lei me lo dice sempre ma non è vero. Perché dovrei esserlo? Tutto quello che faccio lo faccio perché è lei a dirmelo e a me sta benissimo, allora mi dica perché!

PROFESSORE: Perché, in assoluto, non è più con queste scemenze che devi perdere il tuo tempo. Cominciano a essere uno spreco di energie e basta. Andavano bene all’inizio ma ora non più. Le prime volte passi - per educarti all’espressione, ad aprirti - ma adesso scavare, scavare,  ecco il tuo còmpito. (A Franco, scandendo)  Mi capisce cosa le sto dicendo? Sca-va-re. (Franco annuisce. Poi, a Betta)  Tirar fuori davvero tutto quello che hai dentro se vuoi guarire. Perciò sono sicuro che ti farebbe molto bene, per un certo periodo, un’immersione totale nel nostro lavoro al Centro - ma tu ciài paura, dici di no...

BETTA: Non l’ho detto. Era una proposta che non mi aspettavo, che la sento oggi per la prima volta, ecco cos’è.

PROFESSORE: Prometti che la prenderai in considerazione?

BETTA: Ora che lo so, già è diverso. M’ha preso un pochino... un pochino di sorpresa, è questo.

PROFESSORE: Non credere che per noi sia una responsabilità da poco.

BETTA: Sì, sì, certo - lo capisco.

PROFESSORE: E non credere che io stesso non abbia riflettuto a lungo prima di proportelo.

BETTA: L’immagino.

PROFESSORE: All’Istituto sarebbero tutti felicissimi. Verresti accolta... come una regina.

BETTA: E che lavoro potrei fare?

PROFESSORE: Alla rivista, ad esempio. In redazione. Non ti piacerebbe?

BETTA: O sì, molto.

PROFESSORE: Per il tempo che vorrai. Personalmente è una cosa che mi sento di consigliarti.

BETTA: Dio, è un regalo enorme! Sì, sì - mi va.

PROFESSORE: Comunque... ne riparleremo. Adesso ho qualcosa per te, Betta. Per dimostrarti che noi quello che promettiamo lo manteniamo. (Così dicendo tira fuori dalla borsa uno smilzo volumetto)

Guarda: la prima copia del tuo libro.

(La donna, vittima di un impulso incontrollabile, salta sù dalla sedia e si lancia verso l’uomo a prendere il libro. Lo stringe tra le mani e si rifugia in un angolo della stanza a sfogliarlo con avidità.)

BETTA: Oh, è l’emozione più grande di tutta la mia vita!

(Una pausa lunga e tesa. L’uomo la fissa impietrito. Fissa Franco, a sua volta sconcertato. La donna solo in un secondo tempo si rende conto di ciò che inavvedutamente ha fatto. E’ presa dal panico, incapace di dire una sola parola. Infine...)

PROFESSORE: Non credere che non lo sapessi, scema!

BETTA: (quasi piangendo, tremante)  Non è uno scherzo.

PROFESSORE: Ah, sicuro che non è uno scherzo.

BETTA: Le giuro, non è uno scherzo. Non l’ho mai fatto per prenderla in giro.

PROFESSORE: (ridendo)  Pagando, poi: se questo è il tuo modo di prendere in giro!...

BETTA: Io... Oddio mio, vorrei morire.

PROFESSORE: Scema tu ma scemo anch’io! Scemo-cretino-idiota a contarci che dico solo un briciolo, almeno un briciolo di cervello in testa ce l’avessi! - niente! Neanche di questo sei stata capace.

BETTA: Capace di cosa? Era solo per me che volevo farlo, ma non per imbrogliarla. Mica per prenderla in giro!

PROFESSORE: Stupida donna! Non ci si può aspettare proprio un cazzo da te: zero assoluto!

BETTA: Per carità, se mi parla così mi uccido.

PROFESSORE: E tanti saluti! Ucciditi, sai la paura che mi fai!...

BETTA: Continui a parlarmi così e vedrà se non lo faccio.

PROFESSORE: Ti parlo come voglio e come meriti, cialtrona!

BETTA:(per la prima volta aggredendo)  Se dice che lo sapeva allora cosa avrebbe fatto lei con me per tutto questo tempo? Eh, me lo dice cosa avrebbe fatto se dice che lo sapeva?!...

PROFESSORE: Mi domanda cosa ho fatto! - E cosa vuoi che abbia fatto? Ho tentato di curarti, ecco cosa!

BETTA: Non è vero che lo sapeva, non ci credo. Se lo sapeva perché non me lo ha detto che lo sapeva? Perché allora ha voluto giocarci con me? - Io non ci credo che lo sapeva!

PROFESSORE: Debbo ridere? Così adesso dovrei essere io a dare delle giustificazioni! (A Franco)  Ma sentitela! Ah, questa sì che è bella!

BETTA: E da quant’è che lo sapeva? Com’è che lo sapeva?

PROFESSORE: Perché tu pensi che io sia tanto fesso da non capire con chi ho a che fare? - E quella penosa scena con tua sorella? Come non me la ricordassi! - Ma chi pensavi di fregare?

BETTA: E allora perché dice curarmi se lo sapeva?...

PROFESSORE: E chi lo sa perché! (A Franco, indicando Betta)  Secondo lei una che ha bisogno di inventarsi una paralisi per vivere non è da curare, secondo lei...

BETTA: (scagliando via il libro)  Non è vero che lo sapeva! Non è vero che lo sapeva! Se l’avesse saputo non avrebbe fatto quello che ha fatto!

PROFESSORE: E che sarebbe quello che ho fatto? Sentiamo.

BETTA: Non mi avrebbe curata, ecco! Invece lei mi ha curata e non mi avrebbe curata. E poi-poi allora perché mi avrebbe portato pure in televisione a raccontare un mucchio di storie se lo sapeva e io non ciavevo niente?...

PROFESSORE: Ancora insisti! Ma va’ al diavolo e pensa un po’ quello che ti pare, tanto ormai il pasticcio l’hai bello e combinato. Ma davvero da oggi... finisch! Davvero non se ne parla più . Tutto finito: chiuso. Se una cosa buona hai saputo fare, anche da come stavi: persa nel buio totale in cui finirai con lo sprofondare del tutto, se c’era una cosa furba che sei stata capace di inventarti era questa patetica stronzata che perlomeno ti consentiva di esistere dinnanzi a me. Di guardarmi in faccia! Ma adesso che cazzo vuoi combinare più?... (Le dà uno schiaffo)  Lo capisci sì o no perché ti stavo appresso? Perché funzionava. Era finto, e con te quello ci voleva! - Ma quando una è scema è scema, e adesso va’ a farti fottere!

BETTA: (tirandolo per i vestiti)  Professore, no!...

PROFESSORE: No, cosa?... Ma sciacquati la bocca! (Facendole il verso)  Professore, Professore...

BETTA: No, davvero - ciò un’idea! Ciò un’idea! M’ascolti. Invece sì che per me possiamo continuare. Perché no? E’ tanto semplice. Anzi, forse questo è servito, è meglio. Ci pensi! L’ha detto, no?, l’ha detto lei prima che comunque l’ha capito che io ciò bisogno che lei mi curi, e allora? - L’ha detto, si ricorda? - E io, eccomi! Io voglio continuare. Come una, una qualsiasi che venga da lei e glielo chieda. In fondo si può. Anzi vedrà che ora sarà meglio, ci scommetto. Mi guardi! Mi dica di sì!... E’ sì, vero? -

PROFESSORE: Non mi vedrai mai più!

BETTA: (trattenendolo in tutti i modi)  Non mi butti via così! Non mi spezzi! Nemmeno a una bestia si farebbe quello che vuole fare lei con me!

PROFESSORE: Straparli! Lo senti che straparli? - Lasciami andare e togli queste mani!... Andiamo, piantala! (A fatica, divincolandosi, cerca di recuperare un po’ delle sue cose)

BETTA: Le darò tutto: tutto quello che ho! Più di questo che posso fare?

PROFESSORE: Ma lèvati che non ciài più manco gli occhi per piangere! Dice, tutto quello che ho...  Sei patetica. Una povera donna tragicomica e patetica.

BETTA: E la finisca di insultarmi. Non lo sopporto più, la smetta!

PROFESSORE: (cercando inutilmente di staccarsela di dosso)  Il mio consiglio te l’ho dato: va’ a farti fottere!

BETTA: (con più violenza)  E allora lui? (Franco) ?!... Pure di lui lo sapeva?... (Franco, già annichilito, adesso comincia a smaniare senza decidersi in ciò che dovrebbe fare)  Per forza che lo sapeva. E che c’entrava lui? Perché non l’ha detto subito se l’ha capito anche di lui come di me? Perché a me sì e a lui no?... Perché non glielo dice? Glielo dica! O non ci crede?

PROFESSORE: Io credo a quello che so e basta.

BETTA: Non ci crede?... Ma se di me invece sì - perché non ci crede?... (A Franco, ormai totalmente terrorizzato)  E parla tu! Faglielo sentire quanto sei muto: parla!... Non cammino forse io?... E tu parla!

(Franco salta sù dalla sedia. Forse anch’egli vorrebbe correre a prendere la sua roba sparsa per la casa mentre Betta continua a gridargli dietro: ‘Parla! Parla!...’. Infine, al culmine dell’esasperazione, il ragazzo lancia un urlo disumano e, sempre urlando, fugge via lasciando impietriti sia la donna che il professore.
La porta viene richiusa con un gran colpo. Lei vi si getta contro. Si volta a inchiodare il suo sguardo sull’altro che si trova così l’uscita bloccata. Una breve, tesissima, pausa.)

BETTA: No! Tu non mi lasci, non te ne vai! - Certo che lo sapevi, porco!, e te ne stavi zitto per beccarti i miei soldi. Questo se lo sapevi! E se non lo sapevi vuol dire che non valevi un cazzo e io ti ho creduto.

PROFESSORE: Potrei uscire, di grazia? -

BETTA: No, tu resti! Mi hai capito che resti!

PROFESSORE: Lèvati, stronza!

BETTA: (sferrandogli un calcio che lo ricaccia indietro)  Lo vedi allora che ciavevo ragione io! Che davvero dovevo essere storpia! - Storpia o mongoloide o rachitica! Lo vedi?... Così come sono nemmeno un maiale come te se ne frega di quello che mi può succedere!...

(L’uomo, furioso, si getta addosso alla donna e la strappa di peso dagli stipiti a cui si teneva arpionata a braccia larghe e la scaraventa via. Infila l’uscita e fugge sbattendo la porta alle sue spalle.)

BETTA: (ormai sola, urlandogli dietro)  Scappa! Scappa! E cosa credi di aver risolto, bastardo? Avanti, sentiamo? Credi che io non ti ci mando in galera? Credi che se voglio non sono capace di farlo? Questo ti credi?! Che ti sarà facile mollarmi così, carogna? - Così, peggio di una merda?!... Perché se è questo che credi ti sbagli di grosso! Ma lo so sì quello che pensi: che tanto ormai m’hai preso tutto e che non ciò più niente da darti! Che ti dico ‘tutto’ e non ciò più un cazzo! E’ questo che ti credi? E’ questo che ti credi? -- (Con un gesto rabbioso va ad accendere un mangianastri che parte a tutto volume con un rock durissimo, d’acciaio. ‘Speed of live’ o  ‘Heroes’ di David Bowie. La donna, quasi sul tempo devastante della musica, comincia a traversare la stanza in lungo e in largo a grandi passi, senza pace. Perde una scarpa; è costretta a zoppicare ma il suo passo rimane poderoso. Tocca oggetti, cose, nervosamente come nel tentativo di orientarsi, di trovare il modo di fermarsi. Si accorge della borsa che l’uomo ha dimenticato sul tavolo. Con un balzo l’afferra, la svuota. Cade in terra qualche altra copia del suo libro. Afferra tutti i volumi e si precipita alla finestra spalancandola. E urlando...)  E allora guarda se non ciò più niente da darti, bastardo! (E fa volare fuori i libri)  Guarda se non ce n’ho! Guarda se non ce n’ho! (Fa volare la borsa, e torna ad avventarsi per la stanza)  E’ tutto tuo! Tutto tuo! Ti fa schifo, no, prendere ancora roba da me - o già non ti fa più schifo? Però non t’ha mai fatto schifo, e allora prendi! (Afferra tutto quello che gli capita sotto mano e lo lancia di sotto)  E ancora prendi! Il burattino piglia i suoi fili e ti regala pure quelli! (Fa volare fuori le grucce. Poi, dietro le grucce, sul ritmo stesso delle sue grida, il portacenere, e altri libri, e altri oggetti, e il telefono, che strascina per la cornetta sino alla finestra...)  E questo! E questo! E questo! E questo! (Si precipita nella stanza da letto e la vediamo buttare giù dall’altra finestra anche il suo piccolo televisore)  - - Ti regala le braccia! Ti regala le mani! Ti regala le gambe! Ti regala la faccia! Ti regala gli occhi! Ti regala il naso! E le orecchie! E le budella! - E cos’altro? E cos’altro? (Suonano alla porta. Più volte)  Tanto c’è chi si piglia tutto! C’è sempre chi si piglia tutto, vero che c’è? Sì che c’è! Sì che c’è! - tanto c’è... (Deve respirare)  chi si piglia - (Crolla in terra. Il volto tra le mani)  Chi si piglia tutto. (Ripete più volte la stessa frase a bassa voce. Non singhiozza. Niente. Immobile, ma come una molla tesa mentre la musica picchia. Fuori sono in tanti a tempestare di pugni e a suonare il campanello all’impazzata, e poi a scuotere la porta con furiose spallate. Betta solleva il volto dalle mani. Lo punta contro l’uscita. Impugna qualcosa che si trova affianco: è il telecomando del televisore e lo scaglia con violenza contro la porta che ormai sta per cedere, non fosse che il suo crollo è preceduto di pochi istanti  DAL BUIO.)