Anima nera

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ANIMA NERA

 


(1960)

due tempi

di Giuseppe PATRONI GRIFFI

da TUTTO IL TEATRO

Arnoldo Mondadori Editore - Milano - 1999

Personaggi

ADRIANO

MARCELLA

MIMOSA

ALESSANDRA

LA SIGNORA

GUIDINO

SERGIO

A Roma, nel mese di maggio 1958

Da quel ceffo si dovria

la ner'alma giudicar.

Da Ponte - Mozart

Don Giovanni

Ora io vorrei suggerire: la sincerità

e la chiarezza sono due grandi virtù;

pure anche il loro culto non deve

essere né passivo né cieco, e perde

ogni valore morale se non è regolato

e condotto dalla pietà.

Guido Piovene

La scena è costituita da un'unica composizione che forma un disegno tra l'allusivo e l'astratto. Soltanto con lo spo­starsi della vicenda in ambienti diversi, sezioni di scena, il­luminandosi opportunamente, prendono una colorazione piuttosto realistica. Anche perché i pochi elementi ed oggetti veri messi in palcoscenico assumono una giusta prospetti­va e dànno quindi una consistenza reale a quel settore.

Un grosso juke-box fa parte del complesso scenico e la sua sagoma, fredda e scintillante, accentua il disegno astratto dell'insieme e gli conferisce un vago senso di solitu­dine. Esso si illumina e attacca a suonare da solo tutte le volte che la musica serve da commento. Quando invece è usato come oggetto reale, l'attore per metterlo in funzione vi inserisce una monetina.

I passaggi degli attori da un ambiente all'altro avvengono a vista sul palcoscenico.


Primo tempo

Buio. La luce del sole filtra a segmenti sopra un letto mari­tale che, tra il disordine delle coltri, delle lenzuola, dei cusci­ni, sembra un antico veliero sconvolto da una tempesta. Marcella vi dorme sprofondata nel centro. Adriano è in pan­taloni e canottiera, un asciugamano intorno al collo, e si sta pettinando. È un giovane sulla trentina, veramente bel­lo: è italiano dal più piccolo lineamento del viso fino ai peli. Una faccia bonaria, sorridente, ma in fondo agli occhi un lampo di furbizia che dà al suo sguardo una mobilità tale da permettergli di passare da espressioni di estrema dolcez­za ad altre di una durezza misteriosa. Quello di pettinarsi sempre e ovunque è una delle sue caratteristiche, del resto tipica delle persone del popolo - da cui egli trae la sua origi­ne - che fanno risiedere nella chioma ben tenuta molto del loro orgoglio. Ovunque trovi una superficie lucida, che fac­cia da specchio, Adriano cava un pettinino tascabile e si dà una ravviata. Ma ora sta semplicemente terminando la sua toilette mattutina. Seguitando a pettinarsi, si accosta al let­to e si china a guardare Marcella che se la dorme beata. Poi si solleva e sempre guardandola compiaciuto si mette a canticchiare nella sua direzione: niente, Marcella continua a dormire tranquilla. Allora allarga le braccia e scuote la te­sta senza speranza.

Adriano: Nata per dormire!

Ma ora è deciso a svegliarla. Si piega nuovamente su di lei e, portandosi una mano alle labbra a mo' di tromba, le fa squillare sonore e stridenti nelle orecchie, le note della sve­glia militare.

Marcella balza a sedere in mezzo al letto tutta occhi: è giovanissima e provocante, di quelle ragazze che qualsiasi cosa le metti addosso non riesci a vestirle.

Marcella: Che c'è?

Adriano (canta): «La vita militar, la vita militar...».

Marcella: Sei un cretino! M'hai fatto arrivare il cuore in bocca.

Adriano: Servizio militare obbligatorio, ecco quello che ci vorrebbe per te. Sveglia alle cinque! L'emancipazione... la donna equiparata all'uomo... Solo diritti e nessun do­vere. In Israele, paese nuovo e civilissimo, anche le donne fanno il soldato...

Marcella (scivola mezzo addormentata sotto le coltri): Va bene, andrò a fare il soldato...

Adriano: E non solo; per l'uguaglianza, dovreste avere an­che il fastidio della barba ogni mattina...

Marcella (quasi dormendo): Va bene, sì, sì, la barba obbli­gatoria... (la voce le si spegne in gola) Buonanotte...

Adriano: Ma che buonanotte! (si butta sul letto quasi ad­dosso a lei) Ci vogliamo svegliare, signora? Su, saraci­nesca numero uno (le solleva una palpebra), brava, e adesso saracinesca numero due (le solleva l'altra palpe­bra e di colpo le soffia negli occhi)

Marcella: Adriano, Dio che tortura, mi lasci dormire? M'hai tenuta sveglia tutta la notte, non ti basta?

Adriano: Ah, io t'ho tenuta sveglia? E di chi era quella ma­nina che appena stavo per chiudere gli occhi si muove­va in modo... che non era più possibile chiuderli?

Marcella: Che sfacciato!

Adriano: No, signora, parlo della tua mano prodigiosa. Lo sai che fa più effetto di una droga?

Marcella: Amore, non hai la più piccola idea di come si tratti una ragazza per bene.

Adriano: Davvero?

Marcella: Ti manca ogni delicatezza e io mi separerò da te per crudeltà mentale.

Adriano: Ma no! E quell'altra crudeltà, eh, quella crudeltà là, non è motivo di separazione, quella ti piace, e come!

Marcella: Sei di una volgarità...

Adriano: La chiedo io la separazione, vedrai, se continui così: per maltrattamenti...

Marcella (lo interrompe con un mezzo schiaffo): ...di una volgarità oscena! (scansandolo) Basta, fammi alzare.

Adriano (scende dal letto e riprende la sua toilette): E chi aspetti? Abbiamo fatto il meglio che due giovani belli e forti sono capaci di fare in un letto, perché ci resti, di­co io.

Marcella (che non accenna minimamente a levarsi): Ma tu, tu non hai mai sonno?

Adriano (con un gesto di fastidio): Per me dormire è lo stesso che esser morto.

Marcella: Invece è così dolce dormire... sei troppo rozzo per apprezzarlo. Che ore sono?

Adriano: Sono... (guarda l'ora mentre si allaccia l'orologio al polso) ...le sette.

Marcella (quasi con un grido): Maledetto, che scherzi son questi, lo dicevo io che avevo sonno... (si butta i cuscini sulla testa. Adriano ride e va come ad aprire la persiana. Il sole si sparge sul letto e fa luce intorno; non c'è altro che alcune valige, una sedia, e l'apparecchio telefonico poggiato a terra sulla guida degli abbonati. Poi va a pren­dersi una camicia pulita e si mette ad agganciare i gemel­li dei polsini. La faccia di Marcella sbuca da sotto i cusci­ni) Non è possibile...

Adriano: E certo, sono le dieci, scema!

Marcella: Peccato, mi piacevano di più le sette...

Adriano: Non vedi il sole com'è alto?

Marcella: ...potevo dormire ancora tre ore.

Adriano (inebriandosi di sole stira le braccia e intanto si in­fila la camicia): Senti come scotta maggio, il mese delle rose e dell'amore!

Marcella: Però affacciarsi al balcone e vedere tutta quel­l'acqua, acqua da tutte le parti, solo acqua...

Adriano: Ma che dici?

Marcella: Dico Venezia.

Adriano: A me l'acqua mi piace, tutto quello che si muove mi piace; il mare poi...

Marcella (con improvviso rammarico ma continuando a non muoversi dal letto): Non ho pensato a prepararti neppure un caffè.

Adriano: Lo prendo giù. Ehi, devi darti da fare per questa donna a mezzo servizio.

Marcella: Ne parlo dopo con la portiera. Sicché tu ci sta­resti?

Adriano: Dove?

Marcella: In mezzo a tutta quell'acqua.

Adriano: E che ne so! Ma che significa questo discorso?

Marcella: Dico che io non sarei disposta a vedermi, tutta la vita, l'acqua sotto i piedi.

Adriano: Dammi retta, a te ti manca una rotella, me ne so­no accorto, signora...

Marcella: Mi mancherà una rotella eppure in questo tan­to decantato salotto d'Italia non ci vivrei...

Adriano: E noi stiamo a Roma, che c'importa del salotto...

Marcella: Così per dire: un ragionamento, una riflessione.

Adriano: Questa idiozia, tu la chiami una riflessione?

Marcella: Anche idiota, adesso? Mi manca una rotella, a letto poi, non so che faccio...

Adriano: Beh, nessuno è perfetto.

Marcella: Tranne te, naturalmente.

Adriano: Certo. (si annoda la cravatta) Trenta anni...

Marcella: Facciamo trentadue.

Adriano: Per l'esattezza, giacché sei anche pignola, trentu­no e mezzo. Giovane. Bello. Aitante. Lavoratore. Non guardo in faccia a nessuno. Piaccio alle donne...

Marcella: Non sai quanto io piaccia agli uomini, per la strada non mi lasciano camminare in pace.

Adriano: Giusto. Se non era così chi ti sposava.

Marcella: Beh, se lo vuoi sapere, io t'ho sposato invece perché hai dieci anni più di me, e mi dai abbastanza af­fidamento. Vecchio!

Adriano (con un gesto): Tiè. Devi sapere, signora, che men­tre tu eri una ragazzina informe, senza sesso e succhiavi gelati e caramellacce schifose, il sottoscritto ne ha fatta tremare di gente. Tremare d'amore e di desiderio. Ne ho vista torcere, sbavare, ai miei piedi, e «se» e «quando» mi andava, magari gli gettavo sopra uno sguardo.

Marcella: Bum!!! Ma vai a lavorare, che è tardi per un uo­mo uscire di casa a quest'ora. Perché bello, aitante, non guardo in faccia a nessuno, sei già un vecchio noioso e ti prendono pure per rimbambito. Sì, come a Venezia, quando hai visto che ti dava mille lire di meno sul resto.

Adriano: E dàgli, non ho visto!

Marcella: Hai visto, guarda quanto sei vile, te ne sei ac­corto, ma non hai avuto il coraggio di protestare. Con­fessalo.

Adriano: Che vuoi che me ne importasse a Venezia di mil­le lire.

Marcella: Figurati! Che c'entrano le mille lire! È questio­ne di carattere; tu non mi conosci ancora... Io, solo per­ché ha tentato di truffarci, l'avrei sbattuto nel canale.

Adriano: E va bene! Confesso. Non sono buono a sbattere i gondolieri nei canali, ma te, sbatterti sul letto e la­sciarti morta, sì! (addirittura con un tuffo si getta sul let­to, l'afferra per le braccia, e le si schiaccia addosso, viso sul viso) Amore, amore, amore mio stupendo, delizia mia adorata, sei una meravigliosa rompi...

Marcella (ridendo): Ti sgualcisci, Adriano, ti rovini la ca­micia...

Adriano: Non me ne importa niente, mi spoglio... (fa per sfilarsi la cravatta)

Marcella: No! (gli afferra la mano e gliela tiene; la cravatta rimane allentata)

Il juke-box si illumina di colpo e attacca una musica dolce. Le luci mutano e il complesso scenico assume in pieno il suo disegno totalmente astratto.

Adriano (la bacia e la accarezza con infinito trasporto par­landole a voce bassa): Non vuoi che mi spogli? Perché non vuoi amore? Vuoi la notte? Chiudi gli occhi è pre­sto fatto, e io diventerò il solito grido dentro di te, il piacere che ti ride qui agli angoli della bocca, quel gor­goglio che sento in fondo alla tua gola...

Marcella: Ma la notte, amore, ha inganni più profondi: ci nasconde a noi stessi ma ci rende visibili l'uno all'altro. Nel buio ti stringo, nudo, e vedo le tue spalle ondeggia­re come dorsi di una mandria in fuga, e vedo il disegno esterno delle tue gambe che si perde. Amore...

Adriano: Amore...

Marcella: Per me sei tutto, amore, tutto quello che ho e tutto quello che avrò. So che non debbo aspettarmi più niente da nessuno se non da te.

Adriano: Amore, per me sei tutto quello che non ho mai avuto. Prato verde, fresco, che sto seminando. Fiori bianchi già vivono dentro di te, li sento fiorire sulla punta delle tue dita, su ogni parte di te che stringo, e sei vento di mare, conchiglia, sabbia calda. Sei anche un cancelletto di giardino tutte rose, rose bellissime, in­trecciate dentro. Amore, doverti lasciare anche poche ore, dopo tutti i giorni che abbiamo contati da un'alba a un'alba... oh amore... mi rende triste di oscuri pensie­ri. Non mi lasciare mai, mai...

Marcella: Mai, mai... (si baciano)

Il juke-box smette di colpo la musica e si spegne, tornano le luci di prima che restituiscono alla scena la sua prospettiva reale.

Adriano (si scuote): Ma chi se ne frega! Vado domani a la­vorare. Mi spoglio, voglio restare attaccatissimo a te.

Marcella (che cerca di liberarsi dalla stretta): Tesoro, di questo passo dove andremo a finire?

Adriano: A cucirmi tutti i bottoni, me n'è saltato un altro.

Marcella (svincolandosi): No, Adriano, no, non si può continuare così...

Adriano: Ci siamo sposati per questo.

Marcella: Sì, ma è un'esagerazione. Sii buono. Alzati, via. (riesce a sgusciargli di sotto e finalmente scende dal letto: in camicia da notte è più nuda che mai)

Adriano (che è rimasto bocconi): M'hai rovinato! Non sono in condizioni di uscire, ormai.

Marcella: Stai calmino un momento e... Dovrò incomin­ciare a occuparmi della casa? Ho delle responsabilità, no?

Adriano: La prima, tuo marito: impara a non fargli mette­re il naso fuori la porta così... allarmato, diciamo. Fatti furba.

Marcella: A proposito, anzi niente affatto a proposito, co­s'è questa storia delle droghe?

Adriano: Che droghe?

Marcella: Prima hai detto che ti faccio più effetto di una

droga. Che ne sai tu delle droghe?

Adriano: Sono un giovanotto di mondo, no? Certe cose si sanno, (si alza e si da una ravviata)

Marcella: Che vuoi dire si sanno?

Adriano: Si sanno, anche se non si sono provate.

Marcella (lo punta con la mano): Non vorrei affondare un dito nel tuo passato.

Adriano: Come hai ragione! Ti scontreresti con un batta­glione di donne, e tutte con niente da perdere.

Marcella: Sentilo - vanità, virilità - il bellimbusto... Se un giorno scopro che non mi hai sposato per un grande amore...

Adriano (indossa la giacca. È pronto): Perché ti avrei spo­sato, allora?

Marcella: Chi lo sa.

Adriano: Non lo sai? Povera ragazzina per bene, ancora non lo sa! (l'afferra e la stringe a sé con intenzione) Vuoi che te lo faccia sapere meglio?

Marcella: Lasciami...

Adriano: E sta' buona.

Marcella (si infuria): ...possibile che con te, tutti i salmi finiscono in gloria! (dando strattoni per liberarsi) La vol­garità, ecco il tuo forte! La volgarità!

Adriano (la tiene stretta poi finge di lasciarla ma subito la riafferra. Si diverte a esasperarla con questo gioco): Quanto mi piaci quando t'incazzi! Forza?... dài... dài... (le passa ripetutamente la mano davanti alla bocca, ma invano Marcella cerca di morderla) Prendi, dài, prendi! Al muro t'inchiodo, sai, al muro, e per un'ora ti tengo inchiodata... (gridando) Amore carnale mio, sì, sì, car­nale... (scandendo) di car-ne! Dai, dài incàzzati... capi­sci perché t'ho sposata? Per sentirti sbattere così sotto di me... dai - tanto più ti sbatti più mi piaci! - per la­mentarmi io sotto i morsi tuoi, non questi, quegli al­tri!... E sta' buona... buona! Senti, sto per dirti il me­glio... (improvvisamente lascia la presa tanto che Marcella quasi perde l'equilibrio. Si scosta e la fissa con profondo amore) Ti amo. Davvero. Ciao. (va via)

Marcella sospira uscendo da quest'altra faticata. Guarda con amore nella direzione in cui lui è scomparso. Poi lenta­mente prende a pettinarsi.

Intanto la luce ha illuminato, in un altro angolo, un ta­volo in funzione di scrivania sul quale sono ammucchiati quaderni e libri contabili. Accanto, una poltrona sganghera­ta di vecchia pelle rossa, sdrucita, con alcune molle saltate. Vi è seduta una donna sui quarant'anni. Il viso che porta le tracce di una bellezza vistosa non del tutto scomparsa è in­corniciato dall'improbabile biondo dei capelli ossigenati. La signora sta fumando appoggiandosi coi gomiti a una grossa borsa di pelle, rigonfia, consumata dall'uso, che tiene in grembo. Adriano attraversa la scena ed entra in luce: la sua espressione è mutata - qualcosa di duro e di chiuso. Il suo atteggiamento è professionale.

Durante il dialogo che segue si continuerà a vedere Mar­cella che indossa la vestaglia, si rassetta, entra ed esce com­piendo azioni varie di uso domestico.

Adriano (senza nessuna simpatia): Ah. State aspettando da molto?

La Signora: No, non da molto. (timidamente) Bentornato.

Adriano (non risponde al saluto): Dov'è andato quella be­stia...

La Signora: Il tuo tirapiedi?

Adriano: Sì. Il mio esperto tecnico, come dice lui.

La Signora: Ha detto che torna subito.

Adriano: Non ci sta mai, lascia tutto aperto, abbandonato...

La Signora: ...ha approfittato che c'ero qua io... dice che aveva una automobile da periziare.

Adriano (si siede alla scrivania): Vi ha messa a fare la guar­diana.                                                                         

la signora (alludendo a qualcosa): Si vede che è il mio me­stiere la guardiana.

Adriano: Già. Non è sbagliato. (pausa) Vi ho fatta chiama­re, perché voglio chiudere subito un po' di conti con voi... (prende alcuni quaderni) con le spese mie poi, di questi giorni, non ci capisco più niente.

La Signora: Sei felice?

Adriano (la fissa ma non le risponde)

La Signora: Tutto bene?

Adriano (arrogante): Che cosa?                                       

La Signora: Il viaggio di nozze.                                        

Adriano: Son fatti che non vi riguardano. Dunque, qualcosa da restituirvi già c'è, ma non ho realizzato finora le somme che prevedevo. Dovete aspettare ancora un po' di tempo.                                                                   

La Signora: Ionon ho nessuna fretta.                               

Adriano: Io sì.                                                                      

La Signora: Dico, non era meglio metterci in società?        

Adriano: No.

La Signora: Ioi soldi, tu il lavoro, e adesso non avevi la smania - questa angoscia - di restituirmeli... Possiamo sempre farla la società, chi ce lo vieta?

Adriano: No. Il padrone voglio essere io qua. Solo. Non voglio soci né alleati. Non voglio avere a che fare con voi quando mi sarò sdebitato. Se vi volete tirare indietro cerco un prestito da qualche altra parte, e vi saldo subito.

La Signora: Non credo che troverai un altro che ti offre un capitale senza gli interessi.

Adriano: Perché non me li avete chiesti? Ve li davo. Me l'a­vete offerto così, pulito, e io ho accettato. Dovevo dire di no? Peggio per voi se siete stata tanto generosa. Mo­rivate dalla voglia di farmi un favore, quest'è tutto, pen­savate che vi sarei rimasto obbligato, che mi sarei ritro­vato in difficoltà con le cambiali e alla fine vi avrei accettata con sollievo come socia. Finalmente al guin­zaglio, socia e padrona mia. No. Non ho bluffato, ho realmente da far fronte all'impegno. Vi chiedo solo una piccola dilazione, e quando avrò saldato, chiuso! Siamo intesi?

La Signora: Quanti anni che ti conosco, sei sempre stato una carogna.

Adriano: Ricordatevi che io non ho chiesto mai niente a nessuno, però non ho detto mai no a quello che mi si offriva. Non avete ancora capito, alla vostra età e con la vostra esperienza, che è più difficile comprare che ven­dere.

La Signora (precisando): Comprare una persona che ven­dersi?

Adriano: Esatto.

Da Marcella squilla il campanello d'ingresso. Marcella scompare ad aprire.

Adriano: Avete portato le cambiali?

La signora tira dalla borsa un pacco di cambiali e un qua­derno che poggia sulla scrivania. Adriano li raccoglie e si mette a fare un controllo coi suoi libri. Marcella entra ab­bracciata affettuosamente a Guidino. È un ragazzo sui quindici anni, dall'aria per bene e ordinata. Porta i libri di scuola appesi per una cinghia.

Guidino: Quando siete tornati? Tu stai una meraviglia!

Marcella: Felice da piangere.

Guidino: Sono passato apposta, me lo sentivo che c'erava­te...

Marcella: Siamo tornati l'altro ieri sera.                        

Guidino: E Adriano?

Marcella: Ha ripreso il lavoro. Stamattina.                    

Guidino: Che rabbia, volevo salutarlo...

Marcella (con un impeto di affetto lo stringe a sé): Caro, il mio adorato...

Adriano (alla signora): Facciamo una dilazione a tre mesi? Maggio '58-agosto '58. Non per tutte intendiamoci, qualcuna la posso già scontare, ve l'ho detto. (indica con un gesto l'ufficio) Mica va male questa baracca. Av­vicinatevi, controllate insieme a me.

Si mettono a controllare libri ed effetti.                          

Guidino: Bello il viaggio?                                               

Marcella: Stupendo!                                                   

Guidino: Venezia?

Marcella: Mm, mi aspettavo di più. Come vedi, non ci sia­mo ancora organizzati. Un letto, una sedia e tutte vali-ge, ecco il nostro appartamento. (sorride compiaciuta e comincia a disfare il letto) Non si trova una donna. La portiera me ne aveva promessa una, abbiamo tutta la roba del viaggio sporca... (si arresta tenendo i lembi del­la coperta in mano, decisa a fare quella domanda sulla quale sta temporeggiando. Il suo tono è diverso, amareg­giato) E a casa che dicono?

Guidino: Niente. Sempre lo stesso. (sul viso di Marcella si legge più disappunto che dispiacere. Un silenzio) Sono convinto che col tempo... vedrai Marcellina...

Marcella: Guarda, mi dispiace solo di avertelo chiesto; per Adriano. Non si merita l'offesa che m'informi della famiglia.

Guidino: Credi che non ci soffrano a non vederti, a non saper niente?

Marcella: Chi mi fa più rabbia è mamma.

Guidino: T'aiuto? (Guidino le dà una mano a disfare il letto e per tutta la loro conversazione, l'aiuterà anche a rifarlo) Non è capace a ribellarsi...

Marcella: Senza carattere. Quello che papà decide è leg­ge. Ma chi si crede di essere, papà, chi è?

Guidino: È la mentalità.

Marcella: Mentalità d'un funzionarietto e la vigliaccheria. Abbi almeno il coraggio di dirlo chiaro: «A questo ma­trimonio non mi ci vedrete!» No, zitto, poi il dì fatale sparisce, e lei per paura - chissà poi di che - se ne resta a casa. Pietoso! Tanto più se penso che a mamma, sono convinta, Adriano le è simpatico...

Guidino: Se è per questo, lascia stare, anche a mamma quanto le sarebbe piaciuto il professore!

Marcella: Quello se lo possono tenere.

Guidino: Lo sai che ci viene a trovare?

Marcella: Lo consolano magari, no?...

Guidino: Gioca a carte con papa.

Marcella: Ecco, questa è la felicità che sognavano per la figlia!

Guidino: Sai che seratine allegre ti avrebbe organizzato il professore...

Marcella: Ah, con Adriano si respira...! Guarda però che sono atteggiamenti ridicoli. Fuori del tempo. La rabbia mia, è che non lo conoscono. L'hanno trattato in un modo che io al posto suo... Adriano è quello che è: lo realizzi subito. Ce l'ha scritto in faccia. Ti assicuro: un uomo entusiasmante, generoso, ti fa credere sempre che il mondo sta ai tuoi piedi... poi è divertente, un paz­zo, non sai che combina... (un sorriso d'amore le illumi­na la bocca) Certo, s'è fatto da sé. Che significa? Che va­le più di tanti figli di papà. No: «vive di espedienti» -come dicono loro - perché vende automobili usate e non ha il «dottore» davanti al nome.

Guidino: Forse, chissà, se non precipitavate le cose...

Marcella: Quali cose dovevamo aspettare! Com'è fatto Adriano, ti torna da Torino con il grosso affare in tasca, e chi lo tiene? Faceva il diavolo a quattro!

Guidino: Ma quante sono queste macchine usate?

Marcella: Macché! Non è come ti dissi. Il grosso affare di Torino è un'occasione che gli ha procurata un amico... per carità, Adriano non vuole che si sappia, è una storia delicata... Automobili nuove, fiammanti, uscite dalla fabbrica con un difetto... non so... di costruzione, una roba del genere... L'amico le ha rilevate a prezzo di co­sto e lui, a mano a mano che le vende, le paga. E ci gua­dagna su, una cosa enorme. Non si tratta di un difetto pericoloso, intendiamoci...

Guidino: Marcellina mia, quando a casa sapranno che state carichi di soldi, finiranno subito le prese di posizione!

Marcella: Si rimangeranno tutti i principi, lo so. Bella soddisfazione.

Hanno terminato di fare il letto.

Guidino: Tu sei felice? Questo è importante. (riprende i li­bri) Da noi è un mortorio, senza te non mi ci trovo più.

Marcella: Tesoro mio... (lo abbraccia) Ti confesso una co­sa: anch'io sono sicura che alla fine tutto si aggiusterà.

Guidino: Devo scappare, sennò faccio tardi al turno di scuola. Torno domani, voglio vedere anche Adriano, fallo aspettare.

Marcella: Sai che dice? Che noi due siamo un corno di mamma. Oh, mi raccomando l'affare delle macchine...

Marcella si allontana con Guidino mentre le «loro» luci si spengono lentamente.

Adriano (alla signora, chiudendo i libri): D'accordo allora, ripassate domani. Intanto parlo con Sergio per quello che disponiamo - non l'ho visto ancora, non so quant'è - e per il resto, tempo tre mesi, state tranquilla...

La Signora (scattando ma senza alzare la voce): Basta, in­somma! Mi sono scocciata, Adriano! Mi fido, mi fido... Se te li ho dati, è perché liquidi ce ne avevo e so chi sei, purtroppo. Ma non è questa la maniera... prendere e di­sprezzare.

Adriano (pronto): Non «prendere», «accettare».

La Signora: Sì, ma solo quello che pare a te... Che cosa hai fatto tu per me?

Adriano (si scosta con la sedia e allunga i piedi poggiandoli sul tavolo in posizione comoda): Dovevo fare qualcosa?

La Signora:Magari, in tanti anni, un momento di debolez­za avrebbe potuto arrivarti. Capita a tutti.

Adriano: Guai se avessi avuto un momento di debolezza, in questi anni, sarei rimasto fregato, prima di tutto da voi. Ma che credete? Che basti mettersi seduto perché non ti tirino la sedia di sotto? Nella migliore delle ipotesi, resti seduto. (si guarda, seduto contesta) E che fai seduto? No, devi esser tu che devi tirare la sedia di sotto agli altri...

La Signora: O meglio, fartela offrire da chi ci sta sopra, c'è più abilità.                                                               

Adriano: E chi la tiene, ne approfitti.

La Signora: Ma tu ce l'hai un po' di sentimento?            

Adriano: Me lo sono conservato.

La Signora: Per chi?                                                     

Adriano: Per chi so io! Volevate che lo regalassi a voi? Ma non mi fate ridere.                                                   

La Signora: Eppure quanto te n'ho dato, del mio.

Adriano: Che non ho preso.                                            

La Signora: Solo quello non hai preso.                          

Adriano (volgare): Oh, io non vi devo niente!                  

La Signora: Lo so, lo so... I danni per un'illusione, quelli mi dovresti.

Adriano (perfido): E quando una sta nel vostro mestiere, ci si fanno pure le illusioni?

La Signora (con emozione viva): Ti sarebbe convenuto al­lora, non dico altro, ti mancava tutto, eri un disgraziato pezzente morto di fame...

È interrotta dall'ingresso di Sergio, l'uomo di fiducia di Adriano, un giovanotto piuttosto esuberante vestito attillato alla moda: giacca stretta alla vita, lunghi spacchi laterali, colletto alto.

Sergio (corre urlando ad abbracciare Adriano che si è alza­to): Eccolo lo sposo novello, puzza ancora di confetti.

Adriano (lasciandosi abbracciare, risponde alla signora): Si vede che non ho l'anima del redentore! (la signora afferra le cambiali e le sbatte nella borsa. Mentre sta per uscire Adriano si rivolge a Sergio in modo che ella senta) Sergio, domani incominciamo a toglierci i debiti con la signora!

Sergio (appena la donna è scomparsa): Ma che ci aveva questa?

Adriano: Lasciala perdere, è una povera pazza. Come stai?

Sergio: Sì, come sto io! Tu piuttosto! Stai sazio, eh, si vede.

Adriano: Credo che m'è venuto il verme solitario invece... (ride grossolanamente. Il contatto con Sergio lo fa tra­scendere con naturalezza)

Sergio: E si sa, l'appetito viene mangiando... Alla stazione vi siete ricordati degli amici: la cartolina da Venezia è arrivata stamattina - sta sul tavolo, l'hai vista? - sei ar­rivato prima tu...

Adriano: Le abbiamo spedite per salvare la faccia!... Lo vuoi sapere il nostro viaggio? Mia moglie s'è piazzata nel letto a Foligno, e non si è mossa più!

Sergio: Hai capito!

Adriano: Non ci siamo più mossi da quel letto, Sergio!

Sergio: E chi ve lo faceva fare?

Adriano: Era un bel letto, comodo, quelli paesani... unico inconveniente... un rumore... ogni movimento... l'iradiddio!

Sergio: Sai che concertino!

Adriano: Musica per tutti e gratis! Così gli ultimi due gior­ni scappa a Venezia giusto per spedire quattro cartoli­ne... Uno che parte in viaggio di nozze può spedire car­toline da Foligno?

Sergio: No, e che miseria...

Adriano: Mia moglie però: «Portami a Venezia, non l'ho mai vista, l'ho sempre sognata...», me la credevo una romantica, sai le ragazzine educate da papà e mammà, io pensavo questa ha letto i libri per signorine... oh, non gliene importava niente di Venezia e quando l'ha vista non le è neppure piaciuta.

Sergio: E grazie, tu le avevi fatto piacere troppo Foligno!... (una gomitata e una risata chiassosa)

Adriano: Andiamo, andiamo! Andiamoci a prendere un caffè, che a casa mia non ne ho avuto manco il tempo.

Abbracciandosi e gesticolando si avviano verso il juke-box, sopra il quale ora s'è accesa una scritta: bar.

Adriano (si ferma): Sai che ti devo dire? Donna importan­te, mia moglie!

Sergio: Adrià, non mi far parlare, sennò mi escono dalla bocca certi apprezzamenti...

Adriano (compiaciuto): E io in bocca te li faccio rientrare. (riprendono a camminare) Hai combinato guai in questi giorni?

Sergio: Perché t'ho combinato mai qualche guaio?

Adriano: Un giorno o l'altro... Lasci tutto aperto, te ne vai girando, e che...

Sergio: Perché c'era quella che t'aspettava!... (si ferma) Sono andato a trattare una macchina che è proprio un affarone, figurati, in condizioni perfette...

Adriano: Bravo, veditela tu. Anzi fammi un piacere, anco­ra qualche giorno, ti lascio tutto il peso sulle spalle, poi... (riprendono a camminare)

Sergio (scuotendo il capo): Hai perso la testa pure tu!

Adriano: Peggio! (si ferma. Intenso) Mi vergogno... Eppure adesso solo a pensarla - la prima volta che ci lasciamo in tanti giorni - mi metterei a piangere. Non andarlo a dire in giro che t'ammollo quattro schiaffoni...

Sergio: E chi parla! (sono arrivati accanto al juke-box)

Adriano (a qualcuno fuori scena): Due caffè!

Sergio (infila una moneta nella macchina e pigia un tasto. Subito esplode una tipica canzone da juke-box. Egli si mette a battere il tempo con le mani, a strillarla insieme al disco, a ballare, imitando alla perfezione i gesti sguaia­ti e sensuali dei cantanti del rock'n'roll): Adrià, te lo fare­sti un rock'n'roll con una di quelle dell'Alcyone? Che t'è venuta, la paralisi?

Adriano: Ma che paralisi! (fa un movimento sensazionale di rock'n'roll e rimettendosi composto come se nulla fos­se, continua) È che non mi va più, e poi non è serio. (ca­va fuori un pettinino e prende a ravviarsi i capelli facen­dosi specchio nella parete lucida del juke-box)

Sergio (sempre urlando per superare il suono): Ho capito: tu sei il romano che quando si sposa diventa fedele, il matri­monio l'ingrassa, lo sfascia, e poi resta fedele per forza.

Adriano (rimette il pettine in tasca e urla anche lui per farsi sentire): Perché, è brutto, essere fedele? A me mi pare bello! Solo devi trovare chi ne vale la pena. Sai che ti di­co? Ti saluto, torno a casa! Le voglio portare un fascio di rose, grosso così... (già si allontana seguendo la deci­sione improvvisa) La voglio stordire in mezzo alle ro­se... Ti saluto! (agitando le mani se ne va rapidamente)

Sergio (tronca di colpo il ballo): Adrià, Adriano... e il caffè? (resta a guardare nella direzione dalla quale è scomparso) Abbiamo chiuso, abbiamo... Requiescat in pace! (riattacca a scandire il tempo facendo schioccare le dita ed esce dal lato dove si immagina il bancone del bar)

Il juke-box che è giunto al massimo del volume si estingue insieme a tutte le luci in una lunghissima dissolvenza. Si accendono le lampadine elettriche sopra e accanto al letto.

È sera. Adriano, senza giacca, vi sta sdraiato. Con una mano si tiene la fronte. Poggiati a terra, una bottiglia di ac­qua minerale e un bicchiere. In fondo c'è Mimosa che tiene in mano un mazzo di rose, sfrondate, gli steli rotti, come cal­pestate. È una giovane donna dall'aspetto vivo e aggressivo, che le viene conferito soprattutto dai movimenti febbrili e dalla vivacità del viso, simpatico, sul quale leggi chiaro una vita piuttosto movimentata. È di quelle che fumano sigarette una via l'altra. Parla con voce rapida e più alta del normale.

Mimosa: Cos'è questo mazzo di rose? Tutte spennate! Sa­rebbe stato troppo per me, rose fresche, turgide...

Adriano (a voce bassa, premendosi sempre la mano sulla fronte): Entra, entra...

Mimosa: Come entra, entra? Sono entrata. Sto qua!         

Adriano: Mimosa, fallo per Dio, sei sempre la stessa.

Mimosa: Diamine! Entra, entra... Sono qua! La porta d'in-gresso pure spalancata...

Adriano: Non me la sentivo di scendere dal letto.

Mimosa: Si vede che è una nuova usanza, mi sono detta: porta aperta, rose a terra... Che sono, rubate al cimitero queste?

Adriano: Hai detto bene. Rose d'una tomba.                   

Mimosa (gli si avvicina): Che t'è successo?

Adriano: M'è scoppiato un mal di testa... Hai un cachet?

Mimosa: Non m'avrai scomodata per questo! (poggia i fiori da qualche parte)

Adriano: Una volta li avevi sempre.

Mimosa: È l'unica cosa che non mi manca mai. (cerca nella borsa, prende un tubetto di compresse, gliene dà una e gli versa da bere) Che t'è successo?

Adriano: Odio mia moglie. La odio più di tutte le cose che detesto e ho detestato nella mia vita. (si solleva: i suoi occhi brillano, il suo odio è autentico) Se sapessi, se tu mi venissi a dire, che un'automobile l'ha schiacciata contro un muro, ah, sarei finalmente felice!

Mimosa: Tutto qua?

Adriano: Non fare la spiritosa.

Mimosa: Che devo fare? Sono annientata! Non fate in tem­po a sposarvi che già uno vuol vedere l'altra ridotta una poltiglia...

Adriano: È poco! Mi devo vendicare. Sai che m'ha combi­nato? Se n'è tornata a casa, dai suoi.

Mimosa: Eh, Madonna! Ancora queste prese di posizione squisitamente femminili.

Adriano: E dice che mi amava!

Mimosa: Da' retta a me, i bei gesti se li rimangiano. Facile, comodo, al primo intoppo far fagotto e andarsene. Ne avrà da inghiottire la ragazzina, perché tanto, qua ritorna.

Adriano: Ritorna? Tu non sai che vuol dire il fatto che se n'è andata dai suoi. I suoi genitori mi odiano, si sono oppo­sti, non sono venuti al nostro matrimonio, ci hanno fatto sposare soli come due cani, hai capito? Ogni mattina, quelli, aprono il giornale per vedere se ci sto schiaffato anch'io fra i delinquenti della giornata. Hai capito che soddisfazione gli ha dato? Che il Padreterno la strafulmini lei e tutta la sua razza! Tu mi devi aiutare.

Mimosa: Come?

Adriano: Aiutare in tutti i modi.                                     

Mimosa (guardinga): Un momento: in che pasticci mi vuoi mettere? Tua moglie qua ritorna, che vuoi che sia un li­tigio...

Adriano: No, qua non ritorna perché il piede non ce lo fac­cio mettere più io! Non la voglio più vedere. Morta, sì! Per farci una bella risata sopra. Mimosa, ho sbagliato tutto.

Mimosa: Non dire frasi che ti rimangerai.

Adriano (furioso): Ma se non sai di che cosa sto parlando! Sai cos'è successo?

Mimosa: Accidenti! Ma se te lo sto chiedendo da che sono entrata!

Adriano: Il fatto è che non ha nessuna importanza quello che è successo. Io e lei non potremo mai intenderci. Og­gi m'ha guardato come si guarda un mostro.

Mimosa: T'ha visto come sei.

Adriano: Ma va'... va'!... E io che ricorro proprio a te, per parlare di cose serie.

Mimosa: Lascia perdere... Ti pare possibile che una ragaz­zina nata e cresciuta in famiglia, tra due genitori stupi­di e convenzionali, possa capire gente come noi?

Adriano: S'è ribellata per sposarmi, siamo quasi fuggiti!

Mimosa: Le è piaciuto il colpo di testa, credi a me. Ma no, hai ragione, l'ha fatto per amore - tutte c'innamoriamo di te. E con ciò?

Adriano: Tu non la conosci, non sai come diceva di amar­mi, che faville faceva...

Mimosa: Certo, t'ama col cuore. Vedi se ti riesce di farti amare anche col cervello. Fatti conoscere, raccontale di te, dille che non sei il Principe Azzurro, perché la vita di questi anni ce la portiamo appresso, sono fregnacce che uno se la lascia alle spalle, fa acqua da tutte le parti.

Adriano: Mimosa mia, secondo me, quando uno vuol be­ne, non ci sono Santi... No. Mi sono sbagliato. Io m'im­maginavo d'essere un Dio per lei... La disprezzo. Il suo amore doveva essere superiore a qualunque cosa.

Mimosa: Ma che è successo, si può sapere?

Adriano: Stammi a sentire, Mimosa: sai che facciamo? Noi due ci rimettiamo insieme.

Mimosa: Oh, ma per chi m'hai presa! Per questo m'hai te­lefonato? Che sono per te, un paio di pantofole? Quan­do vuoi star comodo te le metti e quando vuol figurare con la bella scarpina le butta via con un calcio! Addio! No, no... Non voglio trovarmi ora che tua moglie ritor­na, così faccio la solita fine... Tutto qui il tuo grande amore? Una esce dalla porta e già ne vuoi fare entrare un'altra?

Adriano: Ma non lo vedi? L'hai detto tu stessa: bisogna sta­re fra noi che ci siamo grattate le pulci insieme. Lo so, lo so, ho sbagliato: o con te o con quella troia ricca che mi perseguita, non può essere che questa la mia strada.

Mimosa: Grazie per l'accostamento!

Adriano: È la verità... Va', che aspetti, quante storie, porta la tua roba qui, ormai ho una casa, no? Che me ne faccio?

Mimosa: Se è per utilizzare l'appartamento, non mi inte­ressa.

Adriano: Gli anni passati insieme non siamo stati felici? Ci siamo sempre divertiti. Devo mettere un fatto com­piuto fra me e lei.

Mimosa: No, no, tutta questa faccenda non mi convince! È mai possibile che al primo litigio, una scappa dai suoi, l'altro vuol fare lo scambio delle mogli, che acci­denti c'è qua sotto?!

Adriano (perentorio): Mimosa, ti chiedo di venire a vivere con me.

Mimosa: Oh, di' un po' tu: e la mia volontà?

Adriano: La tua volontà è sempre stata questa, non fare la difficile adesso.

Mimosa: Stammi a ascoltare, buffone! Ci sono cascata già due volte, e questa sarebbe la terza. Quando non hai niente di meglio... Senza contare l'occasione che mi fa­cesti perdere dell'americano che s'imbarcava, vero? Aveva chiesto pure la dispensa al Comando...

Adriano: Staresti a zappare la terra nell'Ohio...

Mimosa: Bello mio, adesso ero cittadina americana! La pa­drona del mondo. Dopo tanta fatica, c'era pure cascato quello, tu eri mio fratello, e papà e mammà dovevano arrivare e non arrivavano mai...

Adriano (incomincia a ridere di cuore, ricordando l'episo­dio): La faccia, la faccia, quando tornò all'improvviso di notte...

Mimosa: Questa storia non mi fa ridere più. No. Allora sì, ero innamorata come una scema di te. Ti credevo.

Adriano (sempre ridendo): Cosa non succedeva in quegli anni... Che spasso... Tutta una risata.

Mimosa: Si viveva e basta. Tutto lì. E vorresti che ora io ti compatissi? Mi tieni legata per anni, poi incontri la ver­gine casta e pura, e chi s'è visto s'è visto.

Adriano (continua a ridere): Ma te la ricordi la bocca piz­zuta quando accese la luce e ci vide a letto assieme... Voleva parlare e non ci riusciva. Che gente complicata però gli americani, si mette a gridare che orrore l'ince­sto, quand'è così facile capire che non ero tuo fratello. Guarda che mi devi ringraziare. Cittadina americana, ma moglie di un cretino. (si picchia la fronte) M'è passa­to il mal di testa.

Mimosa (nient'affatto divertita): Ti credi sempre superiore agli altri e invece sei come tutti gli altri, più ignorante e meno buono.

Adriano (riprende il tono duro): Una sola persona ritengo superiore a me, mia moglie. Ritenevo superiore a me.

(con uno scatto nervoso si alza. Afferra il pettine e com'è sua mania, incomincia a pettinarsi camminando in su e in giù)

Mimosa: E allora fattela con le persone superiori, perché io ho il mio Nino.

Adriano: Chi?

Mimosa: Nino, Nino! Di', non penserai mica che sia rima­sta a piangere il morto? Se avessi avuto la cortesia d'informarti anche di me, ti avrei detto che da qualche tempo vivo in santa pace con un pilota delle linee civili, oltretutto ti risparmieresti ora il rifiuto che pongo alle tue prepotenze. Se sto qua, sappi, è perché Nino si tro­va in scalo a Johannesburg, altrimenti non m'avrebbe fatto venire.

Adriano: Ma cos'è una faccenda seria?

Mimosa: No, un uomo serio. (pausa) Col solito difetto de­gli uomini seri. Mi vuol vedere a modo suo. «Sono il più grande amore della tua vita?» Sì, sì. Invece no. Sei quel­lo scampolo d'amore che è utile agguantare. Cinque giorni sta fuori, tre a Roma, e io aspetto divertendomi a fare solitari. Dice che mi sposerà, mah! «Vedi di trovar­mi un posto di hostess» gli ho detto «questo sì che è se­rio, almeno so di che morte dovrò morire.»

Adriano (crolla a sedere su una valigia): Mimosa anche tu mi lasci...

Mimosa: Veramente c'eravamo già lasciati; tu m'hai la­sciata.

Adriano (senza difesa): Mimosa, non è vero niente. Io sono un lurido vigliacco che tenta di nascondere la verità. Marcella se n'è andata, io l'amo lo stesso, ma non tor­nerà mai. La vuoi sapere la verità?

Mimosa si accosta a lui. Tutti e due restano in penombra. Nella parte intorno al letto, lasciata libera, si spengono le lampadine e si fa luogo a una illuminazione a giorno. Dallo stesso punto dal quale l'abbiamo vista uscire l'ultima volta rientra Marcella introducendo una signora sui quarant'an-ni di aspetto distintissimo vestita di nero con molta eleganza. È Alessandra, quella che si dice una signora nata, lo sguardo diritto innanzi a sé che non si sofferma su niente.

Adriano (a Mimosa): Oggi pomeriggio c'è stata qui da lei Alessandra.

Mimosa (si lascia cadere anche lei sulla valigia): Alessan­dra? Quella mascalzona...

Alessandra (a Marcella): Lei, è la moglie di Adriano.

Marcella (il suo tono è sospettoso, freddo ma cortese): Le libero la sedia. Un letto, una sedia e tutte valige, ecco il nostro appartamento. (fa per togliere la valigia che è pog­giata sulla sedia)

Alessandra (l'arresta con un gesto della mano): Lasci stare. (rimane in piedi a squadrarla)

Mimosa (a Adriano): E perché l'ha fatto?

Adriano: Perché c'è in mezzo tutta una faccenda che non , sai...

Alessandra (senza togliere lo sguardo da Marcella): Giova­nissima, naturalmente. E vi siete sposati, sarà un mese, immagino.

Marcella: Esattamente diciannove giorni. Ma a lei che in­teressa?

Alessandra: Già. Più quelli per i documenti, i conti tor­nano.

Marcella: Quali conti, signora?                                      

Alessandra: Dico, che dal momento che avete deciso di­sposarvi ad oggi, dovrebbero essere passati non più di due mesi.

Marcella: Che significa questo interrogatorio?

Alessandra: Non è un interrogatorio, sono dei calcoli.

Marcella: Si spieghi meglio, signora. Non m'ha detto an­cora il suo nome.

Alessandra: Alessandra.                                                    

Marcella: E poi?

Alessandra: Puòbastare. Adriano mi conosce. Molto bene.

Marcella: Signora, non cerchi di impressionarmi col suo.,

tono sicuro. Che cosa vuole?

Alessandra: Vorrei sedermi adesso.

Marcella toglie la valigia dalla sedia e gliela accosta.       

Marcella: Si accomodi. (la signora si siede ma Marcella re­sta in piedi)

Alessandra (gira il suo sguardo intorno): Una sedia, un let­to e tutte valige... Non si preoccupi, al più presto avrà tutto, una lavapiatti, una lavatrice, un aspirapolvere... tutto automatico... (Marcella la segue veramente senza raccapezzarvisi) Vede, il guaio è questo: i giovani oggi non sognano più i Caraibi, fughe verso avventure esoti-che, sui mari, foreste da esplorare, no, niente miraggi del genere. Sognano frigidaire, cucine americane, luci­dissime col pezzo ad angolo, frullatori, automobili... e per questi utensili, si dannano.

Marcella: Non capisco, veramente non capisco dove vuo­le arrivare. Che cosa ha da dirmi, insomma?

Alessandra: Non è facile. Ma la colpa è di suo marito se noi due ci troviamo in questa stanza in questa situazione.

Marcella: Tagliamo corto; io, ho intuito sin dall'attimo in cui l'ho vista comparire sulla porta, e le assicuro che non mi ha fatto nessuna emozione...

Alessandra (la interrompe): No, no, no, no...

Marcella: ...se Adriano, come lei afferma, la conosce mol­to bene, non vuol dire che avrebbe dovuto per tutta una vita...

Alessandra (sovrapponendosi a Marcella): ...sta sbagliando ragazza, non sprechi il fiato, mi lasci parlare. Avevo previsto questo ridicolo equivoco. Ma sarebbe stato più ridicolo entrare annunciando «Non sono l'amante ab­bandonata da suo marito»!

Marcella (con sollievo): No, davvero?

Alessandra: Si tranquillizzi. Se c'è un uomo al mondo che non potrei toccare neppure con un dito, quello è suo marito.

Marcella: Lei è molto sgradevole, signora.

Alessandra: E non siamo ancora giunte alla verità.

Marcella: Quale verità?                                             

Alessandra: Quella che devo dirle. Quella che mi costrin­ge a parlarle di suo marito.

Marcella: Non voglio ascoltare chiacchiere sul conto di mio marito. Non so lei chi sia, ma sappia che se Adriano mi ha taciuto qualcosa, certo non mi riguardava, perciò la prego di andarsene, signora. Non credo al suo disinteresse nelle rivelazioni che mi minaccia.

Alessandra: Infatti non sono per niente disinteressata, al contrario sono interessatissima. Sono qui per difendere gli interessi miei contro suo marito.

Marcella: Allora tratti con lui. Se è una questione d'inte­resse, perché è venuta a cercare me?

Alessandra: Perché con Adriano ho già trattato, inutil­mente, due mesi fa a Torino. (un silenzio) Col suo atteg­giamento mi rende ancora più difficile...

Marcella (smontata, e allo stesso tempo sorpresa): A Tori­no, stava con lei?

Alessandra: Losa che è stato ultimamente a Torino?

Marcella: Sì, per una faccenda di macchine.

Alessandra: Di che?

Marcella: Macchine, automobili da comprare, rivendere...

Alessandra: Vede, prima di salire su, pensavo che voi due foste d'accordo.

Marcella (impaziente adesso, febbrile): D'accordo su che?

Alessandra: Ma quando l'ho vista così giovane - e questa sua innocente caparbietà - mi sono convinta che è all'o­scuro di tutto.

Marcella: Parli, signora, parli, vuole esasperarmi per rag­giungere il suo scopo?!

Alessandra: Si calmi, ragazza.                                        

Marcella: Non mi chiami ragazza!                                 

Alessandra: Perché? È ridicolo chiamarla signora. Del re­sto se non fosse una ragazzina suo marito non l'avrebbe sposata.

Marcella: Lei mi vuol far credere...

Alessandra: Ionon voglio farle credere, non voglio esa­sperarla, non voglio niente, voglio. Le cose che sto per dirle, sono abbastanza crude di per sé. (pausa) Signora - va bene così? - Adriano ne ha fatte di tutti i colori, il che non sarebbe grave per un giovane bello come lui -devo ammetterlo - libero, senza legami, famiglia. Ma una volta si sapeva che volesse dire per un uomo farne di tutti i colori, l'immaginazione non andava oltre un certo limite. Oggi, non si sa.

Marcella: Io non riesco a seguirla.

Alessandra: Va bene. Avrà notato che porto il lutto. Sì, questo nero, è lutto. Mio fratello. È morto poco più di due mesi fa in un incidente d'auto. Insieme ad un altro. Erano in due, lui e un giovane, un disgraziato senza un documento addosso. Nessuno si è presentato a identifi­carne il cadavere, sino ad oggi nessuno l'ha reclamato. Non si sa chi sia. Un amico... (col massimo dell'intenzio­ne) ...come lo fu Adriano.

Marcella: Come lo fu Adriano...

Alessandra: Sì, qualcuno con cui mio fratello si accompa­gnava per un certo periodo di tempo. Ora lo sconosciu­to che è morto non c'entra, era per farle intendere... Mio fratello era un eccentrico...

Marcella: Eccentrico...

Alessandra: Eccentrico, eccentrico... si circondava di stra­ne compagnie. Non si sapeva chi fossero, da dove venis­sero. Ed io vivevo di palpiti. Lui era un generoso, gli piaceva spendere, pagare... e gli altri se ne approfittavano. Lo hanno sfruttato. Raggirato. Persino violentata la sua volontà. Non può essere altrimenti. Come poteva regalare ad Adriano una proprietà legata alle più care memorie di famiglia?

Marcella: Questa storia mi sembra un incubo. Noi non abbiamo nessuna proprietà. Come regalata?

Alessandra: In eredità, ragazza, in eredità! A parte il valo­re, cospicuo, si tratta di una proprietà legata al nome di famiglia. È una pazzia e mio fratello non era un pazzo.

Marcella (per aggrapparsi a qualcosa, grida): Sì, che lo era!!!

Alessandra: No, signora, non era un pazzo. Era un'altra cosa! E il testamento risulta scritto proprio nell'anno in cui Adriano stava a Torino.

Marcella: Se ne vada!

Alessandra: No, mia cara, lei mi sta ad ascoltare. Non ho ancora detto quello che pretendo che si faccia e che lei farà fare a suo marito.

Marcella (dopo un silenzio): Ma quando stava a Torino? Non ho mai sentito che avesse abitato a Torino.

Alessandra: Glielo dico io. Due, tre anni subito dopo la guerra. C'è rimasto alcuni mesi: anche di lui non si sa­peva chi fosse, e come comparve così sparì, ma ben vi­vo: suo marito non è morto in un incidente d'auto, un osso duro, ce l'ha scritto in faccia che conosce il fatto suo. Mio fratello è stato influenzato per quel testamen­to, io proverò che in quel periodo egli non era in grado di volere e di capire...

Marcella: Se ne vada, la prego. Non voglio saper più nien­te di tutte queste porcherie.

Alessandra: E le deve sapere, ragazza, perché il suo matri­monio è fondato su queste. Immagino che suo marito si sia ingolfato di debiti per sposarla, contando su una co­sa che non gli appartiene e che non avrà, perché noi eredi impugneremo l'atto testamentario. Quando il no­taio l'ha convocato su a Torino io ho parlato chiaro a suo marito: rinuncia all'eredità con un bell'atto notarile o lo scandalo. Perché nella causa io dirò tutto, e non credo che i suoi genitori saranno lieti di approvare un genero come Adriano.

Marcella: Basta, basta!

Alessandra: Non faccia scenate! Forse suo marito non è convinto che sono decisa a tutto. Al contrario ha messo su casa e vive tranquillo - non crede alle mie minacce. Avranno ritegno, pensa, a mettere le cose in mano agli avvocati, a renderle pubbliche nei tribunali, per salva­guardare la memoria dell'estinto, la dignità della fami­glia... Ma quella proprietà non mi permette il lusso di certi scrupoli, quando poi chi ne doveva avere, in vita, non ne ha avuti... Ho rinunciato ad aver paura. Non faccia la ragazzina - vede con quanta spregiudicata e dolorosa obiettività giudico il mio caro congiunto - sia una donna e convinca suo marito a uscire dall'inco­scienza.

Marcella: Io non faccio niente. Da questo momento non mi riguarda più.

Alessandra: I sentimenti che prova signora, non sta a me giudicarli. Posso però dirle che questo suo atteggiamen­to mi sembra ingiusto? A suo modo quell'uomo dimo­stra di amarla: appena s'è creduto in possesso di un capi­tale non ha pensato che a lei, certo si è affogato di debiti per sposarla. Ma lei non vorrà toccare il danaro prove­niente da questa eredità... e questo è giusto. Giusto per tutti. (si muove per andarsene) Ora so che ho messo le carte nelle mani del migliore degli avvocati. E non dram­matizzi troppo, ripulisca gli angolini sporchi...

Marcella: Se ne vada, presto!

Alessandra: Non sia sgarbata. Dopo tutto non pretendo che quello che mi è stato tolto. (volta le spalle ed esce)

In preda a un rigurgito di emozioni, Marcella si muove in gi­ro come per cercare qualcosa. Poi prende una valigia e l'apre. Spinta da un solo impulso, quello di sradicare totalmente la sua felicità, afferra poca roba personale e la mette alla rinfu­sa dentro la valigia. Intanto Adriano si è mosso dalla penom-bra nella quale è rimasto durante la scena tra le due donne, indossa la giacca, ed entra nella zona illuminata tenendo malamente in mano il mazzo di rose, ora fresco e rugiadoso. Ha due occhi di fuoco, il viso duro, la bocca tirata, chiuso in un suo mondo di sentimenti misterioso e impenetrabile. Si arresta poco discosto da Marcella che sentendosi fissata, non solleva la testa, ma si affretta a finire la valigia. Mimosa è sempre ferma nella penombra, là dove stava.

 Adriano: Che t'ha detto quella? Che voleva da te? L'ho in­contrata per le scale, sai. Mi dici che t'ha detto? Rispon­di! Fai la valigia? (Marcella chiude la valigia) E dove vuoi andare? Rispondi per Dio! (Marcella si muove per uscire) Pensaci bene, sai, pensaci! (Marcella gli sta dinanzi a capo chino aspettando che si decida a lasciarla passare) Se tu metti un piede fuori da questa stanza...! (Marcella solleva il viso, e fissandolo gli dà una leggera spinta con la valigia e passa. Adriano le grida dietro) Se tu esci da quella porta...

Marcella (si volta di colpo e lo fulmina con l'odio che le sprizza dallo sguardo): Tu, piuttosto, non hai niente da dirmi?

Adriano (tace, poi con l'estrema rabbia di chi non vuole soccombere): Nooo!

Marcella se ne va. Nell'aria il rumore ampliato di una porta che sbatte. È come se Adriano esplodesse. Butta il mazzo di rose a terra, se lo mette sotto i piedi, lo calpesta, quindi lo ri­prende e lo scaglia con violenza nella direzione dalla quale la moglie è uscita, gridando, nemmeno lei lo stesse a sentire.

Adriano: Non ho mai comprato un fiore in vita mia! Per nessuno! Né una rosa, un garofano, neppure una mar­gherita! Non ho mai fatto una cosa così stupida. Mai. Mai!!!... (resta come uno che non sappia più cosa fare di se stesso. Il suo sguardo cade sul telefono. Ci pensa un attimo su, poi rapido, va a formare un numero) Sei tu Mimosa? Vieni, corri, ho bisogno di te. (riaggancia, si toglie la giacca e si butta di peso sul letto)

L'illuminazione a giorno si abbassa e si accendono le lam­padine della sera. Il juke-box si illumina e attacca lo stesso motivo della scena d'amore. Adesso Mimosa viene fuori dal­la penombra nella quale è sempre rimasta, raccoglie il maz­zo di rose calpestate ed entra in luce nello stesso atteggia­mento del suo primo ingresso.

Mimosa: Che sono, rubate al cimitero, queste?

Adriano: Hai detto bene. Rose d'una tomba.

La musica del juke-box sale. La luce dissolve.


Secondo tempo

La mattina dopo. Adriano è in pantaloni e canottiera, l'a­sciugamano intorno al collo, e sta finendo di pettinarsi, co­me all'inizio del primo tempo. Ma l'espressione del suo viso è dura, tirata. Qualcuno poltrisce a letto. Dopo un po', un braccio viene allungato da sotto le coperte. La mano cerca a tastoni le sigarette che stanno sulla sedia. Le afferra, quindi il corpo si muove e si tira su: è Mimosa che sbadigliando si mette a sedere in mezzo al letto. Ha indosso la giacca di un pigiama di Adriano, troppo larga per lei. Si aggiusta i cusci­ni dietro la schiena e accende una sigaretta.

Mimosa: Ma qui il caffè la mattina chi lo fa?

Adriano: T'alzi e te lo fai.

Mimosa: Il solito garbo. M'ero scordata questo tuo modo simpatico di trattare. Sai che Nino mi sveglia col caffè? Lo fa lui.

Adriano: E io no. (pausa)                                                

Mimosa: Non si può telefonare a un bar?                        

Adriano: Tre giorni che ci abito, che ne so dei telefoni dei bar qui intorno?

Mimosa: Eccellente risveglio. (dopo un silenzio) Io, la mat­tina se non prendo una tazza di caffè non riesco a con­nettere... (tira fuori le gambe e fa per scendere. Vediamo che ha la giacca del pigiama infilata sopra la sottoveste nera)

Adriano: Dove vai?  

Mimosa: Vado a farlo io.

Adriano: Non ce n'è in casa.

Mimosa (delusa, resta seduta sulla sponda del letto): Di' un po', ma come vi eravate organizzati voi due?

Adriano: Organizzati... ma chi si è organizzato! Non ci sia­mo sposati per prendere il caffè a letto! Poi Marcella non prende niente la mattina. È abituata così da piccola... (senza accorgersene s'indugia con tenero compiaci­mento a parlare della moglie, interrompendo le operazio­ni che accompagnano la sua toilette mattutina) ...dice che faceva sempre tardi a scuola - si alzava usciva tutto di corsa - senza aver tempo di buttarsi nello stomaco una goccia di caffellatte... E non è cambiata, non c'è ora per farla svegliare, è la figlia del sonno: se la dormireb­be tutta la vita anziché viversela. (incontra lo sguardo sintomatico di Mimosa, si rende conto della sua debolez­za, e sì irrita subito) Poi, vero, ora tu ci avrai coso là che ti sveglia col caffè, ma io e te, ricordati, non è che era­vamo abituati a questi caffè, ce lo prendevamo la matti­na, sì, ma al bar notturno, prima di andarci a coricare.

Mimosa: Eh, quanta foga! Si vede che io sono invecchiata, ora ho bisogno che mi sveglino col caffè.

Adriano: Che delusione! Figurati se volevo fare la solita coppietta vomitosa degli sposini... Volevo divertirmi con lei, farle conoscere che sapore ha la vita.

Mimosa: A lei? Allora, è così, hai equivocato tutto... Afferri o no che tua moglie è categoria «noiose»? Sì, di quelle che annoiano e siannoiano. Un marito come te è spre­cato vicino a un tipo così... perché le donne divertenti che «comprendono» sono tutte come la sottoscritta: vi­ta, morte e miracoli.

Adriano: Ma le donne come te non si sposano.

Mimosa: Che cosa?

Adriano: Gli uomini, non le sposano.

Mimosa: E chi te l'ha detto?                                               

Adriano: I fessi, i cornuti! Io, che ti conosco, che so quello che hai fatto e puoi fare, non ti sposerei, per esempio.

Mimosa (scatta in piedi): Ah sì?!! Guarda la mentalità... «Stiamo insieme, grattiamoci le pulci insieme» tutto bene se Mimosa resta Mimosa, come moglie no, perché tu con la moglie non ti deve grattare niente...

Adriano: Secondo te, uno ti vede e dice «quella me la sposo»?

Mimosa: Ma chi ti vuole!... E poi sei già sposato, hai chiu­so! È la mentalità che fa schifo.

Adriano: Il matrimonio, io lo vedo come una cosa pulita...

Mimosa (esultante di rabbia): Certo, datti la zappa sui pie­di! Così se tua moglie la pensa come te, è chiaro perché t'ha lasciato!

Adriano (colto nel segno): Brutta iena, pure tu... (le si slan­cia contro)

Mimosa: Non ti permettere di toccarmi! (Adriano si frena) Hai un mucchio di idee che fanno a cazzotti, in quella testa! Sei un incoerente.

Adriano: Sarà... Per me è chiaro quello che penso.

Mimosa: Chiarissimo, se metti sulla bilancia solo quello che ti fa comodo... Sai che ti dico? (si toglie la giacca del pigiama come se volesse vestirsi per andarsene) Se si tro­va ancora un uomo che ti sveglia con il caffè, una don­na non se lo deve lasciar sfuggire.

Adriano (sprezzante): Piantala con quel fesso!

Mimosa (s'infuria di nuovo): Amico mio... abbassa le ali! Se sto qui è per farti un piacere, non siamo mica a Torino a combinare «affari» col tuo benefattore! È finita l'e­poca in cui stavo alle tue dipendenze.

Adriano: Ah, la vittima! È stata mai alle mie dipendenze...

Mimosa: La serva t'ho fatto, la complice in tutto e per tutto.

Adriano: Sentila, la «complice»... a Torino ci volevamo bene.

Mimosa: Quando vuol parare i colpi, attacca col bene. Che cos'è il bene per te? Gratitudine per chi ti ha fatto co­modo, no. Sentimenti, non ne hai. Affetti, amore? Pare che solo la signora Marcella abbia avuto il piacere di conoscere questo tuo straordinario amore, e non deve essere stato gran che se ci ha rinunciato subito.

Adriano: Come ti sbagli! Ma una cosa è certa: me la devo mettere sotto i piedi. Hai ragione: questa crede ai miracoli che le hanno insegnato mammà e papà, quando si accorge invece di che razza sono i veri miracoli, corre a nascondersi sotto la dignità - che m'ha fatto due cosi così - della famiglia...

Mimosa: Bravo, impara a conoscerla...

Adriano (inferocito): Crede che i miracoli sono quelli che fanno i santi. No, mia rispettabile signora, sono quelli che fanno i disgraziati come me! La mia vita, tutto un miracolo! Ne è piena. Primo, essere nato! Due poveracci con una litania di figli appresso - all'ultimo, quando ormai non ne possono più, spunto io. Capirai che scalogna... Hanno tentato ogni cosa, ma non ci sono riusciti,

non c'è stato verso, son voluto nascere per forza. Per miracolo! Che t'ho raccontato a te, che un bombardamento li ha fatti fuori quanti ne erano? (Mimosa non risponde, non capisce che lui attende una risposta) Sì o no?

Mimosa (col tono di confermare una cosa risaputa): Sì, a San Lorenzo.

Adriano: L'ho raccontato pure a lei. Lo racconto sempre, chissà poi perché, si vede per abbellimento... No, Mimosa. Non sono orfano e solo, come v'ho fatto credere: sono tutti vivi, stanno tutti quanti qui a Roma, padre, madre, fratelli, sorelle - quanti ne sono, non te lo puoi

immaginare - ma non li ho voluti più vedere, nessuno, non li voglio più conoscere. Appena qua (si batte la fronte) si mise a funzionare - subito - schifai la vita mi­serabile, l'unica che mi potevano regalare. I miei fratel­li già grandi e disgraziati mi disgustavano: un uomo non si deve rassegnare a quello che trova, il destino se lo corregge con le mani sue dico io, e se te ne fabbrichi uno peggiore, l'hai voluto tu, non te l'hanno affibbiato gli altri! Così sai che feci? Un altro miracolo: mi strap­pai dal petto il bene che gli volevo, riuscii a disprezzar­li, a sentirmi superiore a loro, a essere cattivo, ingrato con quella povera strascinata di mia madre, a non com­muovermi. «Te ne vuoi proprio andare?», mi gridò sulla porta, là, mentre me la stavo squagliando, «va', vattene allora, torna all'inferno da dove sei venuto, tanto qua nessuno ti voleva!» Parole sante, perché mi fecero odia­re per sempre quella sventurata che restava a spezzarsi la schiena per una caterva di pezzenti vigliacchi, meno coraggiosi di me. E mi salvai. Ne vuoi ancora?... Ce ne ho un campionario...

Mimosa (turbata): Ma non t'hanno mai cercato, in tutti questi anni?...

Adriano: Loro? E perché? Una tana di sorci, uno di più uno di meno... Non li ho cercati io!... Mi hanno dimen­ticato... non è per cattiveria. Se domani ci incontriamo non ci salutiamo neppure. Perché ci dovremmo saluta­re? Che ci dobbiamo dire?... (un silenzio, poi riprende) Mi buttai nella vita. Imparai tutto prestissimo. Mi ri­cordo che quando feci la prima comunione mi vergo­gnavo per quante ne sapevo.

Mimosa (sorpresa): La prima comunione?

Adriano: Eh! A vent'anni. E chi ci aveva mai pensato prima; io no certo, gli altri nemmeno... lo scoprì, figurati, «la si­gnora», quella della «casa», che si voleva far redimere da me, una sera parlando... Mi trascinò da un prete che co­nosceva - a me la cosa mi sembrava assai ridicola - ma lei disse che la comunione è come il battesimo, uno se la de­ve fare. Mi vergognavo, il prete mi chiese «che hai fatto?» «Non lo sai che ho fatto? Ho fatto tutto» «Come tutto?» «Tutto!» «Hai anche ucciso?» «Non ancora.» «Meno ma­le!» fa lui «Hai bestemmiato?» «Hai voglia!» «I santi?» «No.» «I morti?» «Sì, i tuoi e di tuo nonno.» (Mimosa scoppia a ridere ma lui continua serio) M'ero seccato, mi vergognavo! Mi azzeccò uno schiaffo che rintronò tutta la chiesa. (ora gli viene da ridere) Non c'entra niente que­sto, tanto per farti fare una risata, m'è venuto in testa, una barzelletta... I miracoli, Mimosa, i miracoli, che nei vuoi sapere, un campionario... con te quando ci cono­scemmo eravamo scafati ormai, ma quelli di prima furo­no autentici. Coi tedeschi a Roma, nel '44... ecco, quello sì che non lo feci io, ma un santo. Quando m'acchiapparono, 18 anni, credevo di stare a posto, e invece non ti di­co come stavo combinato: renitente, disertore, non risul­tavo iscritto al distretto, ce le avevo tutte io. Traditore della patria e non lo sapevo. Perdevano tempo a sceglie­re, lo fuciliamo o lo deportiamo? - che poi significava la stessa cosa. Deportato, decisero, in considerazione della mia giovane età, dissero. E a questo punto il santo scese sulla terra, ma non aveva l'aureola, Mimosa, aveva la di­visa delle SS e un paio di occhiali d'oro. Oh, sono uno co­sciente io, che sa sempre quello che fa, eppure tutto mi succede come se fossi un'anima persa... non mi va di par­lare delle cose mie, lo capisci, se no, per esempio, ora ti devo ammettere che se sono vivo lo devo all'amore d'un tedesco. (si ferma come a ripensarci. Pausa) Lo massacra­rono a via Rasella tra gli altri: la sera prima mi aveva fatto scappare. Nella mia vita non c'è niente che si salvi, hai vi­sto, neppure il mio amore per Marcella.

Mimosa (che ha seguito sempre più presa il racconto, con commozione timida quasi comica): Adriano, mi sto un'altra volta innamorando di te! È bastato meno d'un giorno...

Adriano: E fai male, perché io non voglio bene più a nes­suno.

Mimosa: Perché tu mi devi fare questo effetto. Ah, se fossi la tua Marcella! Ma per Dio, spiegale...

Adriano: Ma che spiega e spiega!... Non mi abbasso a tan­to. L'unica cosa che desidero è di mettermela sotto i piedi... Hai visto Torino? Ha reso un'eredità. La gente più la sfrutti, più le sputi in faccia, più ti ama, ti benefi­ca addirittura...

Mimosa: Dillo a me che continuo a volerti bene!

Adriano: Losai che facciamo pena? Tu stai aggrappata al pilota, l'hostess, la tazza di caffè la mattina... io in crisi perché una cretina di vent'anni m'ha voltato le spalle... Ci dobbiamo svegliare Mimosa! Sveglia, sveglia! Guar­da su che brutta strada mi stavo mettendo!                 

Mimosa: I bei tempi di Torino, quelli sì, dovremmo resu­scitare, quando io e te... (con improvvisa curiosità) T'ha chiesto di me Alessandro, quando l'hai rivista su a Torino?

Adriano: La prima cosa. Davanti al notaio. Si vede che le sei rimasta impressa. Non m'ha salutato, ma le prime parole che le sono uscite quando ha aperto bocca: (le rifà il verso con espressione e voce antipatiche) «Come sta quella sua deliziosa fidanzatina?»

Mimosa: Alla facciaccia sua!

Adriano: «È morta!»

Mimosa: To'corna!

Adriano: M'ha fatto una rabbia, che m'è venuto sponta­neo: «È morta!». Ma tu lo sai che ci ha creduto? Allora ho continuato, ho detto che tu appartenevi ormai a un passato che ripudiavo...

Mimosa: Che fetente...

Adriano: ...una bella scena - che mi ero rifatto una vita...

Mimosa: Il passato vergognoso ero io!

Adriano: L'ho buttata tutta su di te... che dovevo sposare una ragazza di buona famiglia, insomma era finita la gioventù scapestrata.

Mimosa: Chiamala scapestrata.

Adriano: Perché non è finita?

Mimosa: La gioventù purtroppo...

Adriano: Ah, le ho detto persino che l'eredità doveva esse­re la mano di Dio che premiava il giovane...

Mimosa: ...che si era ravveduto.

Adriano: Esatto. L'ho ammansita, m'illudevo... Quella at­tacca, racconta al notaio cose tremende - il disgraziato stava con due occhi spalancati tanto che mi faceva pe­na a me - ma lei niente, imperterrita continua, minac­cia qua, minaccia là... ma che minaccia? (prende dalla tasca della giacca una busta e gliela porge)

Mimosa (sfilando il foglietto): Che cos'è?

Adriano: Leggi. È del defunto.

Mimosa: «Mio caro, spero di vivere abbastanza a lungo...» - speravi, s'è sbagliato l'amico - «sì che quando entrerai in possesso di quello che ti lascio, potrai star sicuro sarò morto senza neppure ricordarmi che faccia ave­vi...» - ah, un pensierino gentile!

Adriano: Dài, va' avanti, l'ha scritta apposta.

Mimosa: «Sia chiaro quindi che né affetti né sentimenti particolari nei tuoi riguardi mi spingono a tanto. Ma non resisto all'idea della faccia che farà mia sorella, pregevoli espressioni che purtroppo non potrò goder­mi, quando vedrà la villa di Racconigi legata al nome il­lustre di famiglia finire in mani estranee per non dir peggio...» - questa è un'altra cosetta graziosa!

Adriano: Dài, dài...

Mimosa: «Alla base di tutto questo c'è un sottile ma profondo rancore verso Alessandra, spietato nume tutelare della nostra casata, che mi sembra superfluo spiegarti anche perché sarebbe un'impresa disperata fartelo

capire...» - Ma chi te l'ha consegnata?                          

Adriano: Il notaio. Allegata al testamento.

Mimosa: «Sappi che tenteranno tutto, impugneranno testamento, faranno scandali, diranno che ero un degenerato, un rammollito, che sono stato raggirato. Tieni

duro, tu ne sei capace, come loro non indietreggerai di fronte a nessuna bassezza, ho fede in te. Non avendo io eredi ascendenti o discendenti, essendo Alessandra e gli altri dei semplici collaterali, sappi che non hanno diritto a niente. Si tratta di affrontare scandali inevitabili, ma gli scandali coronati dal successo e dal denaro si perdonano presto...»

Adriano: Eccetera eccetera. (le sfila la lettera di mano. La ripone nella tasca)

Mimosa: Bella famiglia! Però con questa lettera t'ha messo a cavallo.

Adriano: Infatti gliel'ho letta alla signora Alessandra: le è scesa la lingua in gola. Sa che in tribunale è inutile arri­varci. Scandali inutili. Perciò ha preso di mira mia mo­glie, manovra evidente.

Mimosa: Sì, ma non t'illudere, tenterà il tutto per tutto. Guarda, di fronte agli interessi, si scorderà persino d'es­sere una signora. E se ci tiene! Me la ricordo benissimo -  m'è bastata una volta - altera, impassibile. Sai come mi accorsi che la nostra... (esita per cercare la parola) macchinazione funzionava? Te l'ho detta, no, la storia dell'unghia?

Adriano: No.

Mimosa: Ah, è bella, senti. Non riuscivo a capire che effet­to le facevano le mie rivelazioni, eppure mi divertivo a parlare, a raccontarle che cosa succedeva in quella villa piena di stanze, di porte che si aprivano, si chiudevano, la gente che scompariva nei corridoi bui... Alessandra mi stava a sentire, in piedi, con le mani appoggiate alla spalliera di una poltrona, sprezzante... la osservavo, per raggiungere il nostro scopo non trascuravo i particola­ri, descrivevo l'atmosfera di come avvenivano le cose, le risatine soffocate, lo scalpiccio dei piedi nudi a terra... Dal suo viso non trapelava niente. Mentre le raccontavo di questi giochi strani, anzi, precisai, che suo fratello e i suoi amici ci costringevano a fare, mi accorsi che con un'unghia stava graffiando lo stemma in mezzo alla cornice di legno della poltrona. Inavvertitamente. Era nervosa, aveva paura ormai, fui sicurissima. Allora da­gli a sparare le cartucce finali, la storia del baule che lui aveva trovato in cantina con gli abiti della nonna, dei travestimenti, dei balli, e in mezzo a quest'iradiddio, improvvisamente accennai a quella certa farmacia not­turna... L'unghia si spezzò. «Stia attenta», feci io pron­ta, «di non rovinare con le sue mani lo stemma di fami­glia!» Bella, no? La frase giusta, al momento giusto, e quella si convince che non può evitare di scucire per mettermi a tacere.

Adriano: Tu sei una che ci sa fare, Mimosa. Ma sai qual è il guaio? Che donne come te non sono una meta per un uomo.

Mimosa (davvero seccata): Allora devi scegliere, perché una meta come tua moglie, te lo dice quella che ci sa fare, non accetterà mai un'eredità simile.

Adriano: Mia moglie! Chi è mia moglie? La donna che ho sposato doveva essere superiore a qualunque cosa. Questa non m'interessa. Ma che ti credi, che mi sfiori lontanamente l'idea di scegliere? Un cuore e una capanna; pane, amore e fregnacciate?... Oh, questa è l'unica cosa che m'è andata veramente bene e non l'ho voluta io, mi è cascata in testa dal cielo.

Squilla il campanello d'ingresso.

Mimosa: Oh Dio, è lei! Che faccio?

Adriano: Lei ha le chiavi, no? (andando ad aprire) Almeno per ora...

Mimosa: Maledetto Adriano, guarda in che pasticcio mi ficca... (realizza di essere in sottoveste, corre a prendere il vestito, mentre continua a borbottare) ...la colpa è mia, è mia che ci casco sempre... (ma sentendo rientrare subito Adriano con qualcuno e calcolando che non fa in tempo a vestirsi, dopo un attimo d'incertezza si infila nel letto tirandosi le coperte addosso. Adriano rientra seguito da Guidino con i soliti libri di scuola appesi per la cinghia. Gli si sta rivolgendo in tono sarcastico e duro)

Adriano: Entra, entra!!! (a Mimosa) Adesso sapremo le prime notizie, è arrivato l'ambasciatore! (Mimosa si sol­leva in mezzo al letto. Guidino, nel vedere una sconosciu­ta nel letto di sua sorella, ha un moto di sbigottimento. Il suo viso sereno assume un 'espressione cattiva da bambino. Guarda lei, guarda Adriano, poi torna a guardarla. Mimosa lo squadra senza capire di chi si tratti. Adriano intanto continua a rivolgersi al ragazzo in preda a una crisi di rabbia, ora contenuta, ma che si sente vuole esplodere) State cantando il Te Deum a casa? Eh? Il Te Deum di ringraziamento per il ritorno della pecorella smarrita!... (lo guarda con odio che il ragazzo ricambia, pur senza rispondergli) Siete andati a portare le candele in chiesa per la grazia ricevuta?... T'hanno mandato a esplorare il campo nemico, spione! (Guidino ostentatamente tace. Un lungo silenzio durante il quale tutti e tre si guardano. Infine, Guidino, punta gli occhi su Mimosa, e si rivolge ad Adriano)

Guidino: Chi è quella?                                                   

Adriano: È Marcella, non la riconosci?                           

Guidino: Chi è quella?

Adriano: Ma come, non riconosci Marcellina? Certo s'è un po' cambiata, sai com'è, chi va con lo zoppo impara a zoppicare...

Guidino: Che fa nel letto di mia sorella?

Adriano: Quello che ci faceva lei, e lo fa meglio!

Mimosa: Adriano!

Adriano: Come ti permetti questo tono? Che credi che tua sorella è meglio delle altre? Non ha aspettato quel letto per fare certe cose, tua sorella, gliene ho fatta schiac­ciare erba sui prati...

Mimosa: Adriano!

Adriano: E chissà se sono stato il solo, come mi ha dato a intendere...

Guidino: Sei un vigliacco! (gli butta i libri in faccia, ma non lo coglie)

Adriano (il suo furore è talmente spropositato che diventa ridicolo): Io t'ammazzo sai, vieni fuori con me se hai co­raggio, che t'ammazzo.

Mimosa (salta giù dal letto per cercare di condurlo alla ra­gione): Vergognati, è un ragazzino! Sei ridicolo!

Adriano: È un ragazzino, eh? (a Guidino) Senti come la si­gnora si preoccupa... (a Mimosa) Facciamolo diventare un uomo così lo posso prendere a pugni tranquillamen­te... Renditi utile, su! All'età tua io lo ero; mi avevano già svezzato: per le strade, contro i muri, senza tanti scrupoli! (a Guidino) Guarda che signora premurosa, approfittane allora, puoi avere quello che alla tua età nessuno di noi ha avuto: un letto e nessuna paura di malattie!!! (afferra Guidino e lo sbatte contro Mimosa) Te lo garantisco!

Mimosa: Sei un mascalzone!

Adriano: Sì, sono un mascalzone, un farabutto, un delinquente!

Guidino (è quasi spaventato): Dov'è Marcella? Che hai fatto a Marcella?

Adriano: Diventa anche tu un mascalzone come me, di­ventalo presto, altrimenti sei perduto!

Mimosa (esasperata): Smettila Adriano, per Dio! Ti rendi conto, buffone, che tua moglie non è tornata dai suoi genitori?! (si fa silenzio. Adriano è atterrato da questa frase: non aveva calcolato una ipotesi simile. Poi Mimosa si rivolge a Guidino) Non è venuta da voi ieri sera?

Guidino: No. Che avete fatto a Marcellina?

Mimosa: Niente, niente, hanno litigato, sciocchezze, e lei è scappata. Piuttosto, dove può essere andata, dove starà, da qualche amica...

Guidino: Non ha amiche.

Mimosa: Allora dove sarà andata questa pazza, dove starà?

Adriano è rimasto zitto sopraffatto dalla rivelazione. Un profondo sgomento lo ha vinto. Fa dei passi in avanti. Il juke-box si illumina esplodendo in un vortice di suoni che accompagna quel mutare delle luci per cui il complesso sce­nico si trasforma in una apparenza astratta.

Adriano: L'odio, l'odio che è la parte più nera del mio cuo­re sia benedetto, che ti vedeva al sicuro, protetta dall'o­dio confortevole dei tuoi verso di me... maledetto il tuo amore che mi ti svela adesso vile, indifesa, sperduta in una notte senza amore. La prima in cui le mani nostre notturne non lacerarono i veli falsi del pudore a ritrova­re l'unica sincerità che ci rimane: lo slancio di due cor­pi nudi che si amano... Dove sei, cosa fai, dove sei stata, non protetta dall'odio ma resa indifesa dall'amore?...

La musica dissolve, il juke-box si spegne. Le luci di prima restituiscono alla scena la sua prospettiva reale. Adriano con passo deciso va verso Guidino e Mimosa che non si so­no mossi dalle loro posizioni.

Adriano (prende Guidino per una mano): Vieni con me, an­diamo. Dobbiamo passare per tutti gli ospedali, per tutti i commissariati... (esce col ragazzo senza nemmeno salutare Mimosa)

Mimosa rimasta sola si stropiccia il viso. Scrolla la testa come a ripetersi che tutta questa faccenda non promette niente di buono. Raccoglie il suo abito poggiato sulla sedia, lo indossa lentamente sempre sopra pensiero. Per caso il suo sguardo cade sulla guida telefonica che fa da appoggio all'apparecchio. Allora come per una improvvisa idea la prende e continuando a vestirsi si mette a sfogliarla. Trova­to il numero che cerca lo compone al telefono.

Mimosa: Pronto? Senta, qui è Batteria Nomentana 71... sì 71. Può mandarmi un... sì, sette, uno, - può mandarmi un caffè doppio e dei panini? Ah quello che vuole, fac­cia lei, ma tanti tanti... Quinto piano... l'interno? Que­sto proprio non lo so, ma non si preoccupi l'aspetterò fuori la porta. Fra quanto?... Dieci minuti, non più tar­di, mi raccomando, sto morendo... no, no, non ho biso­gno di niente, grazie.

Guarda l'ora all'orologio da polso, prende la sua borsa e va a sedersi sul letto. Dalla borsa tira fuori un mazzo di carte e inizia un solitario. Le luci del giorno lentamente dissolvono e sopra e accanto al letto si accendono ora le lampadine elettriche della sera. Mimosa sta facendo un ennesimo soli­tario. Accanto alle carte sul letto, un portacenere pieno di cicche e poggiato sulla sedia un vassoio con più tazze, bic­chieri e resti evidenti di varie ordinazioni. Non vista da Mi­mosa che le volta le spalle entra Marcella: il viso smunto, gli occhi arrossati, un'aria triste di sconfitta. Sorpresa di vede­re un'altra donna che non conosce nella sua casa, si ferma avvilita lasciando cadere la valigia che reggeva con una mano. Il tonfo fa voltare Mimosa di soprassalto.

Mimosa (con un grido): Ah... che spavento! (si rende conto di chi ha davanti, cerca di calmare il respiro, di assumere un atteggiamento più proprio. Scende dal letto rimanen­do in piedi, imbarazzata) Scusi...

Marcella (amara, con voce stanca, un tono di rassegnazio­ne al peggio): Chi è lei, adesso?

Mimosa (tenta di superare l'imbarazzo attaccando in fretta): Signora, Adriano è uscito da stamattina per cercarla e non è ancora rientrato. Sta girando tutti gli ospedali, tutti i commissariati...

Marcella: Chi è lei?

Mimosa: Le sto spiegando...                                            

Marcella: Ha qualcosa da spiegarmi anche lei!              

Mimosa: Mi lasci parlare, non so come dirle, io...

Marcella: Ha un fratello anche lei!                                

Mimosa: Signora!

Marcella: Ho detto qualcosa che non va?

Mimosa: È assurdo parlare così di Adriano.

Marcella: Ah, mi capisce al volo! È al corrente allora...

Mimosa: Iosono amica di Adriano.

Marcella: Che belle amicizie...

Mimosa: Bella o brutta, sono l'unica che ha.

Marcella: Lo vedo, tanta familiarità con la mia casa, col nostro letto... Bene, i panni sporchi resteranno in famiglia...

Mimosa: Lasci che le spieghi...

Marcella: Come no! Di questo passo... passerò la vita a farmi spiegare, ogni tanto qualcuno... adesso salta fuori l'unica amica... compagni di scuola, mi vorrà dare a in­tendere! Elementare.

Mimosa: È avvilente, signora...

Marcella: Sì, molto, ma non mi privi dell'avvilimento di sbugiardarla, può darsi che questa volta faccia centro. Guardi che le dico: lei è l'amante abbandonata da miomarito.

Mimosa: Se può darle soddisfazione...

Marcella: Oh! anche questa lacuna è colmata! Ma non mi dà nessuna soddisfazione, tanto più che, a quanto pare, non è stata affatto abbandonata.

Mimosa: Senta, io la saluto. (raccoglie la sua roba) Adriano le darà tutte le spiegazioni che vuole.

Marcella: Anche sfoggio d'amor proprio - prima s'intro­mettono nelle case degli altri...                                     

Mimosa: Ionon m'intrometto, mi ha chiamata Adriano.    

Marcella: E l'ha trovata pronta come un avvoltoio.

Mimosa: Senti, ragazzina...                                               

Marcella: Non mi chiami ragazza e non mi dia il tu! L'amor proprio e la dignità doveva sfoggiarli con lui, se li ha ancora.

Mimosa: Non mi faccia perdere il controllo, sa, perché a me di lei non me ne importa niente, se mi tengo è per riguardo a Adriano.

Marcella (seguendo un improvviso pensiero): Quando l'ha chiamata?

Mimosa: Appena ha fatto il bel gesto di sbattere la porta.

Marcella: Da ieri sera...

Mimosa: Sì, da ieri sera mi sto rompendo l'anima qui dentro.

Marcella: Rompendo l'anima... dica che è stata ben felice di consolarlo.

Mimosa (con cattiveria, persa la sopportazione): Può darsi.

Marcella: L'ha consolato tutta la notte?

Mimosa: Prima me lo sono sciroppato a lungo.

Marcella: E dopo?

Mimosa: Dopo ho dormito in quel letto... là... (prevenendo la domanda) con Adriano, sì.

Marcella (col tremito in gola): Appena poche ore che ave­vo lasciata la mia casa, stravolta, sarebbe stato capace...

Mimosa: Sarebbe stato capace.

Marcella: Com'è brutto il mondo, mi fa schifo... Impiego una notte e un giorno a convincermi che debbo affron­tare una spiegazione con lui prima di decidere qualun­que cosa, mi faccio forza per risalire queste scale, e che trovo?... Sento che il fango mi arriva alla bocca, non ce la faccio... (si accascia)

Mimosa: No! No, no, no... (sbatte la borsa sul letto con un gesto dichiarato che dimostra ora la decisione di volersi trattenere per precisare alcuni punti) Posso impazzire a sentire frasi di questo genere! Mi scusi, sa... anzi no, niente scuse, voglio dire tutto quello che mi sta sullo stomaco: lei ha torto! Ma chi credeva di sposare quan­do se l'è preso a forza, quando è quasi fuggita con lui? È chiaro che Adriano non era un marito consigliabile per dei benpensanti. Credeva davvero che i suoi genito-.. ri si sbagliassero? Ma a chi vuol darla a intendere - so­no donna anch'io, sa, anche se di razze diverse ragio­niamo tutte con gli stessi organi - no, lei era convinta più di loro, soltanto non ne voleva saper niente. Magari la sera pregava la Madonnina che tenesse in piedi il pa­ravento tra lei e il brutto mondo schifoso di Adriano!... Il fango! Sono cose da pazzi! Però, se n'è guardata bene d'andare a grattare il suo passato, di chiedergli vera­mente chi sei, come hai vissuto, come te la cavi... S'ac­contenta delle quattro informazioni generiche che lui le dà, ed è ben felice che siano solo quattro! Che spalan­casse la porta sulla sua vita era l'ultima cosa che voleva, lasci stare! Sa quanti mestieri ha fatto suo marito per arrivare ad avere una moglie per bene e una casa sua? Glielo chieda, perlomeno questo! Quand'io l'ho cono­sciuto, per esempio, faceva il macellaio, sì. Ci avrebbe mai pensato? Era un magnifico macellaio. Lo mandi a fare la spesa, vedrà, le porterà a casa carne di primissimo taglio, cosa che a me e a lei non riuscirà mai. Come vede è pure utile imparare tanti mestieri. Che ne sa lei di Adriano?

Marcella (si sta riprendendo, l'irruenza di Mimosa per rea­zione le sta iniettando forza per combattere la sua batta­glia): Lo so benissimo che ha fatto mille mestieri!

Mimosa: Sì, ma fra tanti mestieri, ce li metta tutti dentro, tutti, tutti, mi faccia il piacere!!! Si accetta tutto o nien­te. Non si può scegliere di una persona solo quello che ci piace. Sapesse che roba ho dovuto inghiottire io...

Marcella: La sua vita non m'interessa, me la posso imma­ginare.

Mimosa: No, non ha abbastanza fantasia; commetterebbe lo stesso errore che ha commesso con Adriano. Ma lo  sa che Torino, l'orribile periodo di Torino i cui frutti og­gi la sconvolgono - beata lei - ce lo siamo vissuto io e lui, fianco a fianco?

Marcella: È stata in mezzo a questa storia?

Mimosa: Non gliel'ha detto Alessandra? Può darsi - lo vede -la mia presenza, poteva in qualche modo sminuire la col­pa di Adriano ai suoi occhi, dargli delle attenuanti... lo vede, se ne rende conto, che è oggetto di una manovra?

Marcella: Non è questo il punto.

Mimosa: Certo, ma io senza né punti né virgole Torino me la dovetti digerire. Perché ci amavamo allora e non ave­vamo via d'uscita, o mangiare quella minestra o... lei è una ragazzina, che ne sa degli anni subito dopo la guer­ra... tranquillamente si vendevano e si compravano donne, uomini, la vita, la morte e tutto il piacere che ne potevi ricavare. Come si fa adesso a spiegarli, quegli an­ni! Ma creda a me, questi erano i fatti e basta. Se le in­teressa, le dirò che alla fine mi vendicai di quei quattro porci: piazzai un bel ricatto alla sorella che se lo ricor­da ancora, e ne venimmo fuori. È osceno, vero, tutto questo? Vorrei farle provare che significa campare con niente alle spalle e nessuno che ti stende una mano! So­lo la gioventù e quattro soldi di bellezza che il Padreter­no ci ha regalati proprio per salvarsi la faccia. La sua. Lo sa che gente come noi, se non spende bene questi pochi spiccioli che il Padreterno t'ha messo in tasca, che sono spiccioli, non un tesoro - quant'è durata la no­stra gioventù? - passati gli anni buoni per metterli a frutto dichiara fallimento! Chiaro?

Marcella: No. Non posso capirla.

Mimosa (dopo un silenzio): Lei lo trova splendido Adriano, no? Un uomo da perdere la testa, è vero? Beh, non s'im­magina cosa ha perduto; a vent'anni era roba da far paura, tant'era bello! E che vuole gliene importasse a un ragazzo che non aveva tasche sulla pelle, del bene e

del male?!! Doveva stare solo attento a non perdere la libertà. L'unica cosa. Perché non lo capisce? Perché non ci capisce? Perché abbiamo avuto il torto di voler vivere una vita - comunque - sempre meno da pidocchiosi, di quella che trovammo qui sulla faccia della terra? È ma­le questo?

Marcella: Sfruttare la gente, sì.

Mimosa: Non si tratta di sfruttare, ma... di raccogliere il frutto, quello che la tua gioventù, la tua bellezza, ha se­minato nel cuore degli altri. È diverso. Io non ho rac­colto niente, ma ho tentato, non ho rimorsi! Adriano qualcosa l'ha raggiunto, non importa come, se lo metta bene in testa, non tutti possono essere rispettabili! Ci rifletta, che in questo «qualcosa» c'è dentro anche lei perché - quanto mi dispiace dirglielo - lei fa parte delle cose raggiunte. È l'amore. E l'amore non ha niente a che fare con la rispettabilità! Lei lo ha deluso!

Marcella: Lei è innamorata pazza di mio marito...

Mimosa: Puòdarsi. Ma son corna mie, e ho tutto il tempo che voglio per scornarmi da sola. Chi non ha più tem­po, invece, è lei, perché guardi - dico di Adriano - o se lo riprende subito o questa volta me lo prendo io e non lo mollo più. Giuro che ci riesco. Perché quel passato che a lei la mette in fuga, per me, è una valigia preziosa, ci sta dentro la parte più disperata - ma meravigliosa -della sua e della mia esistenza... e poi, vuole che gliela dica tutta?... (quasi in lacrime) Gli anni che io e Adriano ci portiamo appresso sono stati i più belli della nostra vita. E giuro che riuscirò a farglieli apprezzare! Stanot­te ha preteso che dormissi con lui. Sì. Non riusciva ad affrontare la solitudine, questo vuoto spaventoso che lei gli ha lasciato. Lo ha preteso, mi ci ha costretto. Si è buttato addosso, voleva far l'amore... Bene, non ci cre­derà, sono una donna io, capace di stare in un letto, con un uomo che mi piace, che sento, e non cedere. Ac­cidenti! «Per un principio?» mi dirà stupita. E infatti fa bene a stupirsi, no: perché stanotte stando con me ho capito che voleva ritrovare lei. Ma stanotte è stanotte e io non ho né dignità né amor proprio, da stasera gli darò tutto il tempo di cercar lei dentro di me, e quando si sarà scocciato di non trovarla, sarà troppo tardi ormai per sfuggire alla stretta di queste braccia: cara si­gnora, lei non esisterà più.

Sulle ultime battute è entrato Adriano. Disfatto, nel vedere Marcella a casa è rimasto impietrito dall'emozione. Non rie­sce a muovere un labbro. Anche le due donne lo hanno vi­sto. Marcella ora, pur restando in silenzio, ha però qualcosa di imperioso nello sguardo da dominare la situazione. Fissa Adriano poi si rivolta a Mimosa.

Marcella: Lei è... (esita) una puttana. (Mimosa colta di sorpresa non riesce a ribattere, si rivolge con gli occhi ad Adriano ma egli non è in grado di avere una qualsiasi reazione. Ferita e indifesa se ne resta zitta. Dopo un po' Marcella, ignorando la presenza del marito, riprende, ma in preda a una viva emozione) Non ho mai detto finora una cattiva parola, le sembrerà assurdo, ma è vero, e mi... mi ha fatto molta emozione dirla, sono sicura che se non ne ho dette evidentemente non c'entra l'educa­zione, ma perché non ne avevo sentito il bisogno finora. Questa è la prima volta che ne dico una, perché proprio non saprei come esprimere diversamente quello che penso di lei. Di come parla, di come vede la vita, di co­me è rassegnata a un mondo orribile che io rifiuto. E sento che questa parola è efficace, sono sicura di essere nel giusto, trovo che è una buona parola. (tace. Guarda Adriano, poi le si rivolge di nuovo) Lei, se la terrebbe ben stretta questa eredità!

Mimosa (sente che ha perso e ha intuito ormai che Adriano non spenderà un accento in sua difesa. Anche lei lo fissa prima di rispondere. Fredda): Le ho detto che l'ho vissu­ta questa storia, si figuri se mi faccio certi scrupoli! Ma mi permetta di insistere: se lo riprenda così com'è, con l'eredità che gli è piovuta tra capo e collo, se non vuol rischiare di perderlo sul serio, o, nella migliore delle ipotesi, se non vuole farne un uomo infelice.

Marcella: Insiste nel mettermi a un bivio. Se lo ripren­da... Ma come parla? Non posso riprendermelo se già mi appartiene: è mio marito. Quindi lei è fuori discus­sione. (stanca ma tenera, quasi sottovoce) Vorrei che se ne andasse. Ci lasci soli.

Mimosa riprende la sua borsa e si avvia. Passando innanzi a Adriano si ferma.

Mimosa: Se mi telefoni un'altra volta...                            

Marcella: Non le telefonerà!                                         

Mimosa (guarda Adriano a lungo con un amore che non ha più speranza. Poi si riprende): Vuoi anche la rispettabi­lità adesso... Io non la voglio. (esce)

Adriano e Marcella ora sono soli ma lontani. Marcella si sie­de sul letto a capo chino. Lui resta fermo discosto dove sta.

Marcella: Forse sto sbagliando, ma anch'io devo seguire il mio destino. (alza gli occhi su di lui e gli si rivolge amore­volmente; il suo tono è solido, maturato) Vieni qua.

Adriano: Ti stai sbagliando.

Marcella: Non me ne importa. Vieni qua.

Adriano: Perché non sei tornata a casa tua!

Marcella: Chi lo sa, per amore, per orgoglio, chi lo sa?

Adriano: Sarebbe stato più giusto. Che t'aspetti da me? Eh? Sono e continuerò a essere un disgraziato.

Marcella: Saremo... (sorride e indica se stessa con un dito) due disgraziati.

Adriano (le si avvicina lentamente): Dio, come te lo farò scontare quest'amore che mi fa così vigliacco... come te lo farò scontare... (sopraffatto dall'emozione e dalla spos­satezza d'una giornata passata tra l'angoscia e la dispera­zione, scoppia a piangere e cade ai suoi piedi abbraccian­dole le ginocchia e poggiando la testa sul suo grembo)

Marcella (lo accarezza tenerissima): Quando t'ho detto che non m'aspettavo più niente da nessuno se non da te, non intendevo solo le gioie, anche le amarezze,i do­lori, le crudeltà, ma che siano nostri, solo nostri, miei e tuoi... Adriano, io non posso chiudere gli occhi, deve sparire tutto, poi guarirò. Adriano, anche i regali che m'hai fatto, butterò via. Io non ho superato niente, ci sto provando e se resto accanto a te forse ci riesco. For­se. Ma se tra noi questa... cosa, dovesse continuare a esistere, se dovessimo soltanto parlarne, se tu tentassi lontanamente di portarmi a considerarne l'opportunità, la convenienza...

Adriano (con un tono infantile addirittura commovente): Ma se non la vedremmo neppure quella proprietà, ven­derei tutto...

Marcella: Amore, non è questo il punto - Dio quante cose dovrò insegnarti - è una questione morale.

Adriano (si rivolta di scatto come se avesse sentito il diavo­lo. Si tira su): Una questione morale! Una volta tanto che va bene a me, mi devo porre degli scrupoli morali?

Marcella: Sì, proprio perché ti va bene, credimi, perché ti andrebbe abiettamente bene, te li devi porre. Adriano, vuoi ancora continuare a parlarne? (gli prende la mano, lo attira a sé e lo fa cadere sul letto)

Il juke-box si accende e attacca il motivo d'amore. La scena va in penombra. Restano illuminati soltanto il letto con i due e il juke-box.

Marcella: Voglio inventarti, amore, un'esistenza più gar­bata, più gentile... costruita anch'essa di cose vere, che si toccano, ma in cui il solo tintinnio di un bicchiere metta allegria. Sopporteremo con coraggio di essere due persone banali. E di tutto questo non resterà che un piccolo punto buio, una notte che io ho trascorso lontana da te ma della quale non ti dirò mai niente. Mai. La spina di una rosa che desidero resti sotto la tua pelle.

La luce sul letto lentamente è dissolta. Il juke-box si spegne. Si illumina la scrivania dell'ufficio compra-vendita auto­mobili usate. Sulla poltrona di pelle rossa è seduta la signo­ra. Sta fumando appoggiata coi gomiti alla grossa borsa rigonfia che tiene in grembo. Adriano attraversa la scena ed entra nell'ufficio.

Adriano: Mettetevi dietro la scrivania. (la donna lo guarda senza capire) Sedetevi là, che, avete paura? (la donna cambia di posto ma seguita a guardare Adriano per nien­te convinta) Così! Quello è il vostro posto. (si appoggia alla scrivania con le braccia) Ho bluffato. M'è andata male. Non posso far fronte ai miei impegni. Mandatemi in galera! O tenetemi qua come vostro dipendente. A coscienza vostra... In tutti e due i casi considerate però, che questa soddisfazione ve la faccio togliere io stesso con le mie mani...

La Signora: Ma che significa questa storia? Che devo fare?

Adriano: Lovolete sapere da me? La padrona siete voi. Decidete. È roba vostra. Mica va male questa baracca, aggiungeteci un certo avviamento commerciale...

La Signora:Insomma, morale della favola, i soldi non ci sono più, e io dovrei...

Adriano (la interrompe): La «morale» - date retta a me - è una gran fregatura. Però dice che è importante. Ma non ci credete, non è vero: importante, è chi lo dice. Vado a prendermi un caffè! (si allontana lasciandola ancora sbalordita)