Antigone

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ANTIGONE

di Bertolt Brecht
Berlino. Aprile 1945

È l'alba.

Due sorelle escono dal rifugio antiaereo per far ritorno alla loro abitazione,

LA PRIMA

E quando uscimmo dal rifugio, e intatta

Era la casa, e l'incendio di fronte

La illuminava più dell'alba, allora

Fu mia sorella a scorgerlo per  prima.

LA SECONDA

Sorella, come mai la porta è aperta?

LA PRIMA

L'avrà spostata il vento dell'incendio.

LA SECONDA

Sorella, e queste impronte nella polvere?

LA PRIMA

Sarà qualcuno che è scappato via.

LA SECONDA

Sorella, vedi un sacco, là nell' angolo?

LA PRIMA

Trovare roba è meglio che perderla.

LA SECONDA

Sorella, una pagnotta, un lardo intero!

LA PRIMA

Cose che proprio non mi fan paura.

LA SECONDA

Chi è stato qui, sorella?

LA PRIMA

Che ne so ?

Uno che ci regala un bocconcino.

LA SECONDA

Ma io lo so! Oh noi di poca fede!

Nostro fratello è ritornato! Oh gioia!

LA PRIMA

E ci abbracciammo, ed eravamo liete:

Nostro fratello è salvo, che era in guerra.

Tagliammo il lardo e mangiammo il pane

Da lui portato per darci ristoro.

LA SECONDA

.. Prendine ancora, in fabbrica ti spolpano!

LA PRIMA

Prendine tu.

LA SECONDA

Io, che fatico meno?

Taglia più grosso, avanti!

LA PRIMA                              

No di certo.

LA SECONDA

Come sarà venuto?

LA PRIMA

Con l'esercito

LA SECONDA

Dove sarà?

LA PRIMA

In battaglia.

LA SECONDA        

Oh!

LA PRIMA                         

Ma noi

Combattimenti non ne abbiamo uditi.

LA SECONDA

Avrei dovuto stare zitta.

LA PRIMA                      

Ed io

     Non volevo turbarti. Ma un tratto

Sedevamo in silenzio dal di fuori

Ci giunse un suono da agghiacciare il sangue.

Un grido dal di fuori.

LA SECONDA                              

C'è qualcuno che grida, sorella:

Vuoi che andiamo a vedere?

LA PRIMA                             

No, tu resti

Dentro: chi vuol vedere vien veduto

Così noi non uscimmo, e non si videro

Le cose che accadevano là fuori.

Ma non mangiammo più, restammo mute,

Senza guardarci; poi ci preparammo

Per andare al lavoro come al solito,

E mia sorella prese le stoviglie

E io ricordai di riportare il sacco

Dentro l'armadio delle vecchie cose

Di mio fratello.

E qui fu come se mi si fermasse

Il cuore, perché vidi l'uniforme

Di mio fratello appesa là, ad un gancio

Non combatte più, sorella,

A svignarsela è riuscito.

Alla guerra non c’è più

LA SECONDA

Ci sono altri, non più lui.

LA PRIMA

A morire lo han mandato.

LA SECONDA

Sì, ma lui li ha buggerati.

LA PRIMA

C'era una via di scampo ...

LA SECONDA

... è sgusciato via da quella.

LA PRIMA

Ci sono altri, non più lui.

LA SECONDA

Alla guerra non c'è più.

LA PRIMA

E ridevamo, ed eravamo liete:

Nostro fratello è salvo, non più in guerra.

     Stavamo ancora lì, quando all'orecchio                 .

     Ci giunse un suono da agghiacciare il sangue

     Un urlo dal di fuori?

LA SECONDA

Chi è, sorella, che grida di fuori?

LA PRIMA

Fanno soprusi, straziano altra gente.

LA SECONDA                

Non vuoi sorella, che andiamo a vedere?

LA PRIMA

Ferma: chi vuol vedere, vien veduto

Così aspettammo un poco, e non vedemmo

Le cose che accadevano là fuori.

     Poi ci avviammo al lavoro, e qui fui io                 

Che vidi quel che c'era oltre la porta.

     O sorella, sorella, non uscire,         _                              

     Davanti alla casa è il fratello,          

Ma non s'è messo in salvo, è appeso,

     Ahimè, all'uncino del beccaio!

Mia sorella guardò egualmente fuori

Ed anche lei si mise ad urlare.

LA SECONDA.                                     ..

Sorella, lo hanno impiccato,

Era lui che chiamava gridando.

Il coltello, su, dammi il coltello

Per tagliare la corda, non lasciarlo appeso

E portare il suo corpo qua dentro

E rianimarlo con le mie mani!

LA PRIMA                                    

     Sorella, lascia il coltello,             

     La vita non puoi ridargli.        

Se ci vedono con lui,

Ugual sorte toccherà a noi.

LA SECONDA                                                                       

     Lasciami, non sono andata       ~                                         

     Quando prima lo impiccavano

LA PRIMA

     Stava uscendo dal portoni

    Quando apparve una SS.

Entra una ss.

SS

Là fuori lui, e voi qui dentro?

Da questa porta l'ho veduto uscire.

Voi, è chiaro, conoscete

Il traditore che è là fuori.

LA PRIMA

Non volerci, signore, giudicare,

Noi due quell'uomo non lo conosciamo.

SS

Che vuole quella lì con il coltello?

LA PRIMA

Guardai allora mia sorella:

Doveva, nella sua agonia,

Correre adesso a liberarlo?

Forse non era ancora morto.


ANTIGONE

Davanti al palazzo di Creonte. È l'alba.

ANTIGONE (che raccoglie della polvere in una brocca di ferro)

Sorella, Ismene, virgulto gemello

Della stirpe di Edipo, conosci tu

Qualche ignominia, o amara fatica, o errore

Che il padre della terra non ancora

Abbia inflitto a noi fin qui vissute?

Uno tra molti, in lunga guerra,

Ci morì Eteocle, il fratello. Seguendo il tiranno

Giovane cadde. E Polinice, più giovane ancora

Vede il fratello calpesto dai cavalli, e in pianto

Galoppa via da inconclusa battaglia: giacché il dio

Della guerra per ciascuno ha in serbo diverso destino,

Quando ti sprona e col senso del giusto ti squassa la mano.

Già a precipizio il fuggiasco ha varcato

I ruscelli dircei, finalmente respira

E vede sorgere Tebe dalle sette porte, quand'ecco Creonte

Che alle spalle tutti incalza in battaglia,

Lo afferra, macchiato del sangue fraterno, e lo fa a pezzi.

T'hanno o non 'hanno detto ciò che ancor

Verrà ad accumularsi          

Sulla stirpe di Edipo che scompare?                 

ISMENE

Al mercato non mi son mostrata, Antigone,

Dei nostri cari non m'è giunta altra nuova

Né gioiosa né triste, ed io non sono                  

Più felice per questo, né più afflitta.

ANTIGONE                                                      ~

Da me ascoltala, allora, e manifestami

Se il cuore ti si ferma, o più profondo

Batte nella sventura.                                  

ISMENE                                                                    

Tu che raccogli polvere, vuoi tingermi

Sembra, qualche parola di sanguigno.

ANTIGONE

Ascolta dunque: i nostri fratelli                                        

Trascinati entrambi nella guerra di Creonte                    

Contro Argo lontana per le sue miniere,                         

Entrambi uccisi, non debbono entrambi esser sepolti.

Eteocle, si dice, che la guerra non temette                   

Secondo usanza avrà corone e sepoltura

Ma quanto all'altro, che perì miseramente,

Il corpo di Polinice, dicono, in città                    

S'è proclamato che non sia coperto                     

Dal sepolcro, e che non venga compianto.                   

Deve restar senza pianto né tomba,

Dolce pasto agli uccelli. E colui                         

Che trasgredisce sarà lapidato.

Dimmi dunque che cosa tu vuoi fare.

ISMENE

A qual prova mi metti, sorella?

ANTIGONE

Vorrei che mi aiutassi.

ISMENE

Colui che la città ha ripudiato?

ANTIGONE

Colui cui la città è venuta meno.

ISMENE

Colui che pose mano alla rivolta!

ANTIGONE

Sì. Mio fratello, e anche il tuo.

ISMENE

A violare la legge, sorella, sarai colta.

ANTIGONE

Ma a violare la fede

Quella no, non sarò colta.

ISMENE

Sciagurata, vuoi tu ora,

Radunare sottoterra

Tutti noi della stirpe di Edipo?

Lascia stare il passato

ANTIGONE

Tu, più giovane, hai visto meno orrori . .

Il passato, se tu lo lasci stare,

Non rimane passato.

ISMENE

Pensa anche questo: donne noi siamo,

Non possiamo contendere con gli uomini,

Ché ci manca la forza, e quindi succube

Siamo in questo, ed in mali anche peggiori.

Prego perciò quelli laggiù, che solo

La terra opprime, di perdonarmi: infatti io subisco violenza, ed obbedisco

A chi comanda. Adoperarsi invano

Non è da saggi.

ANTIGONE

Io non ti prego più.

Segui chiunque ti comanda, e fa'

Quello che t'ordina. Io invece

Seguo l'usanza, e seppellisco il fratello.

Se ne muoio, che importa? Giacerò

Quieta con chi è in quiete. E di me lascio

Un atto sacro. E poi, è più opportuno

Che piaccia a quelli di laggiù piuttosto

Che a questa gente, perché con coloro

Dimorerò per sempre. Invece tu

Ridi della vergogna e vivi.     

ISMENE

Antigone, crudele

Vergogna è amara da soffrire, eppure

È misurato il sale delle lacrime, dall'occhio

Perenni non prorompono. Scure affilata

Tronca la dolce vita, ma a chi resta

Apre la vena del dolore. Questi non può indugiare

Nei suoi lamenti. Ma anche gridando, sente

Sopra la testa il frullo degli uccelli

E tra il velo del pianto gli riappaiono

I vecchi olmi e i tetti familiari.

ANTIGONE

Ti odio. Non mi mostri

Senza pudore, i buchi nel grembiule,

Con la provvista del tuo dolore

Che va scemando? Ancora

Giace su nuda pietra carne della tua carne,

Esposta agli uccelli del vasto cielo, ma

Per te è già cosa di ieri.

ISMENE

Solamente

A farmi grande non son buona, e maldestra,

E temo per te.

ANTIGONE

Non consigliarmi!

E tienti la tua vita!

Lascia però che io faccia il minimo, ed onori

I miei, se li si oltraggia. In ogni fibra

Non sono, spero, tanto vulnerabile

Da non saper morire dura morte.

ISMENE

Allora va' con la tua polvere. Da folle

Tu parli, anche se amorosamente

Di ciò che ami.

Antigone esce con la brocca. Ismene rientra nel palazzo. Entra il coro di vecchi.

I VECCHI

Vittoria pingue di prede è dunque venuta,

Propizia a Tebe ricca di carri,

E qui, dopo la guerra,

Procurate l'oblio!

In tutti i templi degli dèi

Con i cori, per tutta la notte,

Venite! E la danza di Bacco conquisti

Tebe, scuotendola nuda, cinta solo di lauro!

Ma colui che porta la vittoria, .

Creonte figlio di Meneceo, è qui accorso

Dal campo di battaglia, ad annunciare il bottino

E, finalmente, il ritorno dei combattenti,

Giacché qui convocò l'adunanza dei vecchi.

Esce dal palazzo Creonte.

CREONTE

Ditelo a tutti, cittadini: Argo

Non è più. Il conto è stato

Liquidato. Di undici comunità

Poche, pochissime riuscirono a sfuggire!

Come si dice di Tebe: alla fortuna

Tu partorisci subito gemelli, e non ti fiacca

La sventura, anzi si infiacchisce

Lei stessa. La sete della tua lancia

Fu spenta al primo sorso, né le fu negato

Bere più volte. Su un duro giaciglio

Hai steso, o Tebe, il popolo argivo:

Senza città, senza tomba

Chi rideva di te giace all'aperto.

E tu volgi il tuo sguardo

Dove la loro città era una volta,

E vedi cani

Dal muso che splende di gioia.

A lei volano gli avvoltoi più superbi, che incedono

Di cadavere in cadavere

E per il ricco pranzo apprestato

Non riescono a levarsi in alto.

I VECCHI

Signore, bene dipingi grandi cose,

Che, riferite, alla città piaceranno

Se un'opportuna altra immagine vi aggiungi:

Carri su per le vie, pieni dei nostri!

CREONTE

Ben presto, amici! Ora però agli affari:

Ancora non mi avete visto appendere

La spada dentro il tempio. Voi tra tutti

Ho chiamato per due ragioni: io so

Che al dio di guerra voi non lesinate

Le ruote del carro che schiaccia i nemici,

Né siete avari del sangue dei figli

Nella lotta, eppure quando torna,

Spossato, sotto il tetto ben difeso,

Si fanno molti calcoli al mercato:

Voi dunque, in fretta, mi dovete convincere

Tebe che il sangue versato non supera

La misura normale. E la seconda

Ragione è questa: Tebe, che troppo perdona,

Salvata un'altra volta, ecco si affretta

Ad asciugare ai reduci ansimanti

Il sudore, e non bada se è sudore

Di chi iroso combatte, o non soltanto

Sudore di paura, misto a polvere

Della fuga. Perciò io ricopro -

Voi dovete approvarmi - Eteocle

Morto per la città, con una tomba

E con corone; mentre Polinice

Il codardo, a lui e a me congiunto

E amico degli Argivi, giacerà

Insepolto, come giacciono quelli.

Al pari di Argo era nemico, mio e di Tebe.

Questo io voglio: nessuno si rammarichi

Che lo si lasci insepolto, bene in vista,

Banchetto che dilaniano uccelli e cani.

Giacché chi antepone la sua vita

Alla patria, per me non vale nulla.

Ma chi alla mia città vuol bene, vivo

O morto, avrà da me sempre lo stesso onore.

Spero che voi approviate.

I VECCHI

Noi approviamo.

CREONTE

Vegliate dunque su quanto s'è detto.

I VECCHI

Scegli dei giovani a far da sentinella!

CREONTE

Non è questo. L'ucciso ha già, fuori, una guardia.

I VECCHI

E per i vivi siamo noi le guardie?

CREONTE

Sì. Ad alcuni il mio ordine dispiace.

I VECCHI

C'è qui un tal folle che cerchi la morte?

CREONTE

Apertamente no. Ma molti hanno

Scosso la testa fino a farsela mozzare

E ciò mi spinge a questo: altre ne servono

Dobbiamo ripulire la città ...

Entra una guardia.

GUARDIA

Signore!

Mio duce, senza fiato la nuova più veloce

Corro a recarti, non chiedere perché

Non più veloce ancora, il mio piede

Precede la testa, oppure

La testa mi trascina il piede ... giacché

Dove vado, e quanto a lungo ancora

Sotto il sole, senza fiato? ... eppure

Ciò nonostante, io vado.

CREONTE

Perché così trafelato, o forse

Così esitante?

GUARDIA

Non tacerò nulla. Perché, mi chiedo,

Non dire apertamente azioni che

Io non ho fatto? E che nemmeno so,

Giacché non so chi te le ha fatte. Giudicare

Duramente uno così ignaro

Sarebbe scoraggiante.

CREONTE

Quante cautele! Della tua inazione

Messo zelante, chiedi la corona

Per le tue buone gambe!

GUARDIA

Signore,

Immane compito imponesti alle tue guardie. Ma

Le cose immani costano fatica.

CREONTE

Dimmelo dunque, e vai per la tua strada.

GUARDIA

Te lo dirò. Ha seppellito il morto

Qualcuno che è fuggito, e l'ha cosparso

Di polvere, per celarlo agli avvoltoi.

CREONTE

Che cosa dici? Chi ha osato tanto?

GUARDIA

Non so. Non c'erano segni di vanga,

Né colpo di badile. E liscio il suolo,

Non percorso da ruote. Senza traccia

Il colpevole. Non era una tomba,

Solo polvere lieve, quasi che molta

Non ne venisse portata, per rispetto

Del decreto. Non c'era orma di fiere

Né di cane, venuto a dilaniarlo.

Quando la prima luce ci mostrò

Il fatto, l'inquietudine ci prese.

E me la sorte scelse per portarti

Questa notizia, o duce; nessuno ama

Il messaggero di cattive nuove.

I VECCHI

Creonte, figlio di Meneceo, sarà forse

Accaduto qualcosa di divino?

CREONTE

Basta! Non irritarmi ancor di più

Dicendo che gli dèi accarezzano il vile,

Che a sangue freddo avrebbe lasciato profanare

I colonnati, i doni dentro i templi!

No, in città ho urtato qualcuno

Per qualche cosa, e questi adesso mormorano

Ed al mio giogo non piegano il collo.

Io lo so bene, sono stati loro

Coi loro doni, a istigare quest'atto.

Giacché niente, tra quanto è coniato,

È peggio del denaro. Città intere

Esso seduce, e adesca gli uomini ad uscire

Dalle case, e a conoscer l'empietà

Di qualsivoglia azione. Ma tu sappi,

Se il colpevole non giungi a consegnarmi,

Vivo, terreno, alla gogna e reo convinto

Verrai impiccato, e andrai col laccio al collo

Giù tra i morti. Allora imparerete

Dove cercare il guadagno, e il maltolto

Ereditando l'un dall'altro, apprenderete

Che tutto non è fatto per il lucro.

GUARDIA

Signore, uno di noi ha molte cose

Di cui temere. Troppi accessi ha il luogo

Cui tu alludi, sotto terra. Meno

Temo per il presente: no, non dico

Di avere preso del denaro, eppure

Son pronto, se tu vuoi, a rivoltare

La borsa un paio di volte, per vedere

Se c'è qualcosa, piuttosto che irritarti Contraddicendoti. Ma ciò che temo

Di più, è che potrei nella ricerca

Trovare della corda: da alte mani

La gente come noi, più che 1'argento

Riceve canapa. Come puoi comprendere.

CREONTE

Mi ammannisci enigmi, uomo di vetro?

GUARDIA

L'alto defunto ha trovato alti amici.

CREONTE

Afferrali agli stinchi, se più in alto

Non arrivi! Ci sono gli scontenti,

Lo so, qui come là. Molti si vedran gioire

Un po' tremanti per la mia vittoria

E cingere l'alloro sulle ali

del timore. Ma io li scoprirò.

(Rientra nel palazzo).

GUARDIA

Tristo quel luogo, dove si accapigliano

Potenti coi potenti! Io credo d'essere

Ancora vivo: il fatto mi stupisce. (Esce).

I VECCHI

Tra quante cose esistono terribili

Nessuna è più terribile dell'uomo.

Poiché, traversando la notte

Del mare, quando contro l'inverno soffia

Il vento del Sud, egli veleggia

In alate, vibranti dimore.

E la terra, sublime fra i celesti, Incorruttibile, infaticata,

Egli solca con l'industre aratro

Di anno in anno,

Qua e là l'equina stirpe volgendo.

La lieve razza degli uccelli

Egli impania e la caccia,

E il popolo delle fiere selvagge,

E la natura del ponto vivace di sale

Con l'astuzia di corde intrecciate,

L'esperto uomo. Con artifici cattura le fiere

Che sui monti pernottano e vagano.

E al cavallo dall'irta criniera egli getta

Il giogo sul collo, ed al toro

Che indomito vaga sui monti.

E la parola e l'aereo volo

Del pensiero, e i fondamenti dello stato

Egli ha appreso, e a sfuggire gli umidi venti

Di pestilenti colline

E la pioggia sferzante. D'ogni cosa esperto,

Lui inesperto. A nulla perviene.

Conosce ovunque il rimedio,

Nulla lo coglie privo di risorse.

In tutto ciò non ha confini,

Ma un limite gli è posto.

Lui che non trova nemici, di sé

Fa il proprio nemico. Come al toro

Piega al suo prossimo la nuca; ma il prossimo

Gli strappa le viscere. Se avanza

Calpesta spietato i suoi simili. Da sé

Non può riempirsi lo stomaco, ma cinge

D'un muro la sua proprietà, ed il muro

Dev'essere abbattuto! Ed il tetto

Aperto alla pioggia! L'umano

Tiene in conto di nulla. Così, terribile

Diventa a se stesso.

Ma come per tentarmi, gli dèi mi mandano

Davanti una che conosco, eppure debbo

Dir che non è la fanciulla, Antigone.

O tu infelice, figlia di infelice

Padre, di Edipo, cos'è che ti spinge

Sopra te stessa, e dove, a trasgredire

Le leggi dello stato?

Entra la guardia conducendo Antigone.

GUARDIA

Eccola. È lei. L'abbiamo presa mentre

Preparava la tomba. Dov'è Creonte?

I VECCHI

In questo istante torna dal palazzo.

Esce Creonte dal palazzo.

CREONTE

Perché porti costei? Dove l'hai presa?

GUARDIA

Lei ha eretto la tomba. Ora sai tutto.

CREONTE

Parli chiaro, ma l'hai vista tu stesso?

GUARDIA

La tomba alzava, là dove tu hai proibito.

Chi ha fortuna, si esprime con chiarezza.

CREONTE

Esponi i fatti.

GUARDIA

Andò così: quando mi allontanai

Da te, che minacciavi grandi pene,

Rimuovemmo la polvere dal morto

Già in putrefazione, e ci sedemmo

Su un alto colle, all'aria, perché il puzzo

Era forte. Si pattuì, in caso di sonno,

Di darci nelle costole coi gomiti.

D'un tratto, spalancammo gli occhi: un vento

Caldo, improvviso, sollevò da terra

Un vortice di nebbia, che coprì

La valle, e strappò al bosco tutt'intorno

La chioma, e il vasto etere riempì

Tanto che gli occhi dovemmo socchiudere

E sfregarceli, proprio - e poi ci appare

Lei, in piedi, che piange con acuta

Voce, come un uccello si lamenta

Al veder vuoto il nido, senza i piccoli.

Così lei geme scorgendo il cadavere

Scoperto, e lo ricopre d'altra polvere

Spargendola tre volte dalla brocca

Di ferro, e seppellendo il morto. Noi

Corremmo subito ed afferrammo lei

Che non parve sgomenta, e la accusammo

Del presente misfatto e del passato.

Ma lei, senza negar nulla, mi stava

Davanti, amabile ed afflitta insieme.

CREONTE

Confessi o neghi d'aver fatto ciò?

ANTIGONE

Confesso che l'ho fatto e non lo nego.

CREONTE

Su, dimmi ancora, ed in poche parole:

Ti è noto quanto venne proclamato

Pubblicamente, proprio per quel morto?

ANTIGONE

Sì, lo sapevo. Come no? Era chiaro.

CREONTE

Così osasti violare la mia legge?

ANTIGONE

Perché era la tua legge, di un mortale,

Quindi un mortale può violarla: e io sono

Rispetto a te, solo un po' più mortale.

E se devo morire innanzi tempo

Credo che lo farò, e lo considero

Anzi un guadagno. Chi, come me, vive

Fra i mali, non riceverà morendo

Qualche vantaggio? E poi, se l'altro figlio di mia madre

Morto, avessi lasciato insepolto,

Ne resterei afflitta. Questo, invece,

Non mi affligge per nulla. Ma se a te

Sembra follia il mio temer gli dèi,

Che dall'alto non vogliono vedere

Privo di tomba un morto putrefatto,

Mentre non temo te, sia pure un folle

Adesso a giudicarmi.

I VECCHI

Aspra appare, nella figlia, l'indole dell'aspro padre:

A rassegnarsi alla sventura non ha appreso.

CREONTE

Ma anche al ferro più saldo

Finisce con l'infrangersi e sparire

L'ostinata durezza, temperata

Nella fornace. Puoi vederlo ogni giorno.

Costei invece ha scoperto una gioia

Nel perturbare le leggi prescritte.

E la doppia impudenza è che, commesso

Il suo delitto, se ne gloria e ride

D'averlo fatto. Io detesto colui

Che, colto in fallo, vuol farsene bello.

Pure, costei, che benché consanguinea

Mi ha offeso, non voglio condannare

Subito, perché è consanguinea. Dunque

Ti chiedo: poiché l'hai fatto in segreto

Ed ora sei scoperta, non diresti

Che ti spiace, evitando grave pena?

(Antigone tace).

Di' dunque perché sei così ostinata.

ANTIGONE

Solo per dare un esempio.

CREONTE

Per te è un esempio l'essere in mia mano?

ANTIGONE

Ora che mi hai, puoi far di più che uccidermi?

CREONTE

Nulla di più, ma se ho questo, ho tutto.

ANTIGONE

Cosa aspetti? Nessuna tua parola

Può piacermi, né mai mi piacerà,

Dunque io nemmeno ti sarò gradita.

Sebbene lo sia ad altri, io e ciò che ho fatto.

CREONTE

Credi che gli altri la vedan come te?

ANTIGONE

Anch'essi vedono, anch'essi son colpiti.

CREONTE

Li interpreti, sfrontata, senza udirli?

ANTIGONE

Pure, si onora chi è della stessa carne.

CREONTE

Ma del tuo sangue è anche il morto per la patria.

ANTIGONE

Sì, del mio sangue. Figlio della stessa stirpe.

CREONTE

E chi si è risparmiato è per te come l'altro?

ANTIGONE

Chi non ti era schiavo è pur sempre un fratello.

CREONTE

Certo, se per te l'empio vale l'altro.

ANTIGONE

Morire per te non è morir per la patria.

CREONTE

Dunque non c'è una guerra?

ANTIGONE

Sì, la tua.

CREONTE

Non per la tua terra?

ANTIGONE

Per una terra straniera. Non ti bastava

Regnare sui fratelli nella tua città,

Tebe, amabile quando

Si vive senza paura, sotto gli alberi;

Dovevi trascinarli ad Argo lontana,

Per dominarli anche là. E dell'uno facesti il beccaio

Di Argo pacifica, ma chi si tirò indietro

Squartato ora lo esponi, spauracchio ai tuoi.

CREONTE

Consiglio di non dir nulla

A costei, né incoraggiarla, chi tiene a se stesso.

ANTIGONE

Io invece vi invoco, aiutatemi nell'afflizione

E aiutate voi stessi. Perché chi insegue il potere

Beve acqua salsa, non può smettere, e séguita

Per forza a bere. Ieri al fratello, oggi a me.

CREONTE

E io aspetto

Chi accorre in suo aiuto.

ANTIGONE (poiché i vecchi tacciono)

Dunque voi lo subite. E tacete per lui.

Non lo si dimentichi!

CREONTE

Agli atti lo mette lei stessa.

Discordi, è così che ci vuole sotto il tetto di Tebe.

ANTIGONE

Tu, che unità invochi, vivi di discordia.

CREONTE

Prima qui vivo di discordia, poi sul campo argivo.

ANTIGONE

Certo. È così. Quando serve violenza contro gli altri

Contro i tuoi poi serve violenza.

CREONTE

Nella sua bontà, mi pare, mi darebbe

Agli avvoltoi. E se, così discorde, Tebe cadesse in pasto

A signoria straniera, non sarebbe nulla?

ANTIGONE

Voi governanti minacciate sempre: la città cadrebbe,

Rovinerebbe disunita, in preda agli altri, allo straniero,

E noi chiniamo il capo innanzi a voi, vi trasciniamo vittime

E così indebolita; la città frana, in pasto agli stranieri.

CREONTE

Io getterei la città in pasto agli stranieri?

ANTIGONE

Da sola ci si getta, chinando innanzi a te il capo,

Perché a capo chino l'uomo non vede a cosa va incontro.

Vede solo la terra che, ahimè, lo accoglierà.

CREONTE

Vai, sciagurata, insulta la terra, la patria!

ANTIGONE

Non è vero. Terra è fatica. Per l'uomo la patria

Non è solo la terra, la casa: non dove ha versato

Sudore, né la casa che derelitta attende il fuoco

Non chiama patria il luogo ove ha chinato la testa.

CREONTE

Te la patria non chiama più sua,

Sei ripudiata, come sterco bruciante, che insozza.

ANTIGONE

Chi mi ripudia qui? Sono più pochi

I cittadini da quando tu regni, e ancor meno saranno.

Perché torni da solo? Sei partito con molti.

CREONTE

Che dici, temeraria?

ANTIGONE

Dove sono i giovani, gli uomini? Non tornano più?

CREONTE

Che menzogne! Soltanto per sgombrare il campo

Delle ultime scuri; i miei son fuori, tutti lo sanno.

ANTIGONE

E per compierti l'ultimo misfatto

Ed essere un terrore, finché i padri

Più non li riconoscano, quando infine

Sono abbattuti come belve feroci.

CREONTE

Insulta i morti costei!

ANTIGONE

O stolto, non ho voglia di avere

Ragione a forza.

I VECCHI

È infelice, non pesar le sue parole.

E tu, o furiosa, non dimenticare, per il tuo

Lutto, la nostra splendida vittoria!

CREONTE

Ma lei non vuole che il popolo

Di Tebe sieda nelle case di Argo.

Tebe, piuttosto, vedrebbe abbattuta.

ANTIGONE

Meglio sarebbe per noi tra le macerie

Della nostra città sedere, più sicuri

Che con te nelle case del nemico.

CREONTE

Ora l'ha detto! E voi l'avete udita.

Ogni statuto infrange la sfrenata, come l'ospite

Che più non si trattiene, né si vuol che torni,

Impudente, facendo fagotto, taglia le cinghie del letto.

ANTIGONE

Sol quel ch'è mio ho preso, e ho dovuto rubarlo.

CREONTE

Vedi sempre poco oltre il tuo naso, ma il divino

Ordinamento dello stato non lo vedi.

ANTIGONE

Sarà divino, ma lo vorrei piuttosto

Umano, figlio di Meneceo, Creonte.

CREONTE

Vattene ora! Nemica ci eri, e tale resti anche sotterra,

Dimenticata, al pari del fratello

Smembrato, che è schivato anche laggiù.

ANTIGONE

Chissà che non vi regni un'altra usanza.

CREONTE

Neanche morto il nemico diventa amico.

ANTIGONE

Ma certo. Per l'amore io vivo, non per l'odio.

CREONTE

Vai sottoterra, allora, se vuoi amare,

E ama laggiù. Per me non vive a lungo

Quassù la gente come te.

Entra Ismene.

I VECCHI

Ecco venire dalla porta Ismene

La dolce, amante della pace.

Ma la lacrima lava,

Lava il volto arrossato dal dolore.

CREONTE

Sì, proprio tu! Che ti rintani in casa! Due

Mostri ho allevato, razza di serpi sorelle.

Suvvia, dimmi, e subito,

Hai preso parte alla sepoltura

O te la fai con l'innocenza?

ISMENE

Son io l'autrice, se la sorella acconsente.

Anch'io partecipai, prendo su me la colpa.

ANTIGONE

Ma la sorella, no, non acconsente.

Lei non voleva. Non l'ho presa con me.

CREONTE

Vedetevela tra voi! Per me, in questa

Piccineria non sarò piccino.

ISMENE

Non arrossisco della sua sventura:

Mi prenda la sorella a sua compagna.

ANTIGONE

Tra le nature schiette e risolute

Che conversano insieme sottoterra:

Non mi piace chi ama a parole.

ISMENE

Sorella, non è da tutti alzare il capo;

Morire forse tocca anche a una come me.

ANTIGONE

Non morire in comune. Non far tuo

Ciò che non ti spetta. Basta la mia morte.

ISMENE

Troppo severa è la sorella. Io t'amo.

Se lei scompare, cosa avrò da amare?

ANTIGONE

Ama Creonte. A lui rimani, ed io vi lascio.

ISMENE

Gode forse mia sorella a schernirmi?

ANTIGONE

Forse anche soffro, e voglio colmo il mio calice.

ISMENE

Ma quel che ho detto rimane immutato.

ANTIGONE

Ed era bello. Ma così ho deciso.

ISMENE

Perché ho mancato, io non ti manco, è vero?

ANTIGONE

Coraggio, tu vivrai. Io ho morta l'anima,

Così solo i morti servo ormai, sorella.

CREONTE

Di queste donne ora diventa folle

L'una, vi dico, e l'altra lo è da tempo.

ISMENE

Senza di lei non posso vivere.

CREONTE

Non parlar più di lei. Non è più viva.

ISMENE

Così uccidi la sposa di tuo figlio.

CREONTE

C'è più di un campo dove si può arare.

Preparati a morire. E perché tu sappia

Quando sarà: quando alla ridda bacchica

Tebe muoverà ebbra la danza. Porta

Via queste donne.

La guardia rientra nel palazzo con Antigone ed Ismene. Creonte ordina alla sua guardia del corpo di consegnare la spada.

UN VECCHIO (ricevendo la spada)

Tu che per la danza trionfale ti camuffi,

Non calpestare troppo forte il suolo,

Non dove è verde. Ma chi ti irritò,

Lascia, o potente, che ti lodi.

UN VECCHIO (consegnando a Creonte il tirso bacchico)

Non gettarlo troppo in basso

Così che più tu non lo veda

Giacché laggiù, e sul fondo

Arrivato, giace nudo ma sicuro. Della vergogna

Si spoglia affatto; tremebondo e tremendo

Rialza il capo il reietto; e disumanato rammenta

L'antica figura già vissuta, e rinnovato si leva.

I VECCHI

Pazienti sedevano nella casa divorata dal fuoco i fratelli lacmiaci

Imputriditi, di licheni cibandosi; sempre gli inverni

Ghiaccio spargevano su di loro; e le donne, le loro donne

Non dimoravan la notte con essi, e di giorno sedevano

Occulte, in fasce purpuree. E continuamente

Minacciosa pendeva sulla lor testa la rupe.

Ma non prima che Pelia

Intervenisse, separandoli con la sua verga, sebbene

Con tocco leggero, si levarono e

Tutti uccisero i persecutori.

Per costoro fu il peggio, ma spesso la somma

Del dolore s'arrotonda con la minima giunta. Il cieco

Sonno nell'angoscia, quasi giacessero

In età senza tempo gli esausti, è alla fine.

Lente e veloci, ineguali, crescono le lune

E svaniscono, e lungo tutto il tempo

Cresce il male, e di già

Sull'ultima radice è rivolta la luce

Nelle case di Edipo.

Né la grandezza ricade su se stessa; sui molti

Ricade. Come quando laggiù

Sul mar del Ponto, al soffio maligno

Dei venti di Tracia, la notte, tra raffiche salmastre,

Piomba su una capanna: fin dal profondo rimescola

La spiaggia oscura, sconvolta,

E al gemito del vento scroscian le rive battute.

Ma ecco Emone, dei tuoi figli

L'ultimo nato; ed è afflitto

Che Antigone debba morirgli,

La giovinetta, sua prossima sposa,

Ferito dalle nozze che tradiscono.

Entra Emone.

CREONTE

Figlio, qui si diceva che venissi

Innanzi a me per amor della giovane, non come

Dal tuo signore, ma da tuo padre; se così fosse

Verresti inutilmente. Al mio ritorno

Dalla battaglia, che grazie all'olocausto

Di molti, fu propizia, trovai lei sola

Che, ribelle, invidiava la vittoria

Alla casa nostra, e solo curava il suo interesse,

Malvagio per di più.

EMONE

Nondimeno, a questo proposito

Io vengo, sperando che al padre

Non suoni ingrata la voce familiare,

Di colui che ha generato, se al sovrano

Reca non buona novella.

CREONTE

Certo, chi generò figli insolenti

Di lui può dirsi solo che ha creato

Fatiche a sé e riso ai suoi nemici. L'amaro

Morde i palati, e perciò vien servito.

EMONE

Di molte cose tu sei reggitore. E se ami

Udire sempre buone nuove, non ti

Dar troppa pena, e sciogli la vela

Come chi più non governa, alla deriva!

Il tuo nome è temuto fra il popolo. Così,

Anche se divampasse una gran fiamma,

Poca cosa tutt'al più ti ridirebbero.

Ma c'è un vantaggio nella parentela:

Che non tutto si misura sul guadagno. Più d'un debito

Non lo si esige, e così noi possiamo

Dai parenti alle volte udire il vero

Perché per loro moderiamo l'ira.

Certo non te lo può dire Megareo, il fratello

Che ad Argo combatté e non è tornato

E non conosce la paura; lo dirò dunque io.

La città, sappilo, è piena di fermento.

CREONTE

E sappi tu: se si guasta il mio sangue

Allora nutro il mio nemico. Il quale è incerto

Non si conosce né si trova, ed anche

Nel malcontento è disunito, stanco

Del fisco l'uno, del servizio militare

L'altro, ma entrambi sottoposti

A me, e divisi dalle mie lance. Quando

Però si scoprono delle fenditure,

E anche la signoria sembra divisa

E ondeggia e si fa incerta, allora

Il sasso volge alla frana, ed opprime

La casa che da sé si è arresa. Parla,

Ascolto tuttavia chi ho generato

Ed esposto agli assalti delle lance, mio figlio.

EMONE

In mezzo a tutto sta la verità. Non si dice:

Sulla verace incudine tempra la lingua? Colei

Che non volle da cane spietato

Far divorare il fratello: la città

La segue in questo, anche se ripudia

Il misfatto del morto.

CREONTE

Ma non basta. Per me, questa è fiacchezza. Non basta che io recida ciò che è marcio:

Lo debbo fare in piazza, perché resti

Impresso anche al superstite marciume

Che io recido il marcio, e la mia mano

Dimostri che colpisce senza fallo.

Ma tu, poco sapendo delle cose,

Nulla sapendo, dài consigli: guardati intorno incerto,

Accogli altrui pensieri, parla la loro lingua

Quasi l'autorità possa dirigere

I molti corpi verso un duro compito Quando non è che un misero, vile orecchio.

I VECCHI

Molte energie strugge il pensare ad aspra pena.

CREONTE

Come il premer l'aratro perché ari.

I VECCHI

Molto può, senza fatica, un mite ordine.

CREONTE

Molti gli ordinamenti: ma chi ordina?

EMONE

Anche se non fossi tuo figlio, direi: tu.

CREONTE

Dunque, se spetta a me, sia a modo mio.

EMONE

A modo tuo, purché sia il modo giusto.

CREONTE

Senza sapere ciò ch'io so, non puoi saperlo.

Sei dalla parte mia, comunque io agisca?

EMONE

Vorrei che agissi in modo ch'io ti sia amico,

Senza affermare che tu solo hai ragione,

Giacché chi, solo, ritiene di avere

Pensieri, lingua ed anima diversi

Dagli altri, se lo aprissi, apparirebbe

Vuoto. Ma per un uomo, se c'è un saggio

Da qualche parte, non è vergognoso

Molto imparare, nulla spingere agli estremi.

Guarda come sul precipite torrente

Tutti gli alberi che cedono conservano

I loro rami, e quello che si oppone

Presto perisce. O come una gran nave

Che va superba e che non cede in nulla

Finisce arrovesciata, con i banchi

Dei rematori in su, e va al naufragio.

I VECCHI

Cedi alla ragione, e un mutamento

Dacci in dono, ed impara ad esitare

Da noi, creature che esitiamo.

CREONTE

Tu vuoi che il guidatore

Sia guidato dal tiro! Questo vuoi?

EMONE

E questo tiro

Quando le froge gli colpisce il puzzo

Di carogna che viene dal macello,

Può inalberarsi, e domandarsi dove

Venga sospinto, aspramente sospinto,

E gettarsi nell'abisso col carro

E il guidatore. Sappi, la città

Punta dal dubbio di ciò che le minaccia

La pace, è già impazzita in guerra.

CREONTE

Non c'è più guerra. Grazie dell'avviso!

EMONE

E poi, che tu, preparando la festa

Del trionfo, voglia sanguinosamente

Farla finita in patria con coloro

Che ti hanno offeso, è il sospetto che spesso

Mi è stato confidato.

CREONTE

Da chi? Qui potresti farti un merito

Assai più che prestando solamente

La bocca a quelli che in una maniera

Così sospetta, mi ciarlan di sospetto.

EMONE

Dimenticali.

I VECCHI

Tra le virtù dei regnanti, si dice,

La più sana è il saper dimenticare.

Lascia che il vecchio rimanga vecchio.

CREONTE

Perché son troppo vecchio

Dimenticare mi è difficile. Tu invece,

Tu non potresti, se io ti pregassi,

Dimenticar colei per cui così

Ti esponi, tanto che chi mi odia mormora:

Costui, pare, è un alleato della donna?

EMONE

Lo sono del diritto, ovunque appaia.

CREONTE

E dove abbia una falla.

EMONE

Anche offesa, non tace

La mia ansia per te.

CREONTE

E non ti resterebbe il letto vuoto.

EMONE

La direi una sciocchezza, se non venisse

Da mio padre.

CREONTE

La direi un'insolenza, se non venisse

Da uno schiavo di donna.

EMONE

Meglio schiavo di donna che tuo schiavo.

CREONTE

Tutto ora è. chiaro; non si torna indietro.

EMONE

E nemmeno si deve. Vuoi dir tutto

E non intender niente.

CREONTE

Ed ora via questa genia, e subito!

EMONE

Ed io scompaio, per non farti tremare

Alla vista di uno che va dritto.

(Esce).

I VECCHI

Signore, chi è partito adirato è il tuo ultimogenito.

CREONTE

Non salverà le donne dalla morte.

I VECCHI

Tu pensi allora di ucciderle entrambe?

CREONTE

No, hai ragione; non quella che si astenne.

I VECCHI

E pensi all'altra, come la ucciderai?

CREONTE

Condurla fuori di città, dove ora

Bacco con la sua danza muove i piedi

Dei miei; e si custodisca la colpevole

Dove la traccia umana è solitaria,

Viva dentro una roccia, con miglio e vino

Come si addice ai morti, come fosse sepolta.

Questo io dispongo, perché

La città intera non vada alla malora.

(Si avvia in città).

I VECCHI

Come un monte di nubi mi sta innanzi

L'ora in cui la figlia di Edipo nella cella

Ode Bacco lontano, e all'estremo cammino si appresta.

Giacché ora egli chiama i suoi, e sempre assetata di gioia

Gioiosa risposta gli rende l'esausta

Nostra città. È grande la vittoria, è irresistibile

Bacco quando si accosta all'afflitta e le porge

Il filtro dell' oblio. Via essa getta

Il vestito del lutto che ha cucito,

Del lutto per i figli, e corre all'orgia di Bacco

Cercandovi il deliquio.

(I vecchi prendono in mano i tirsi).

Spirito dei piaceri della carne, tuttavia

Sempre in conflitto vincitore! I consanguinei stessi

Spinge a contesa il possente-implorante.

Non va in rovina chi ne è preso.

Non è più in sé. Posseduto, vaneggia. E s'agita

Sotto il giogo, cui nuove nuche

Procura. Senza temere

Il fiato della salina né la nave

Dalle tenui murate sulle acque nere. Pelli diverse

Mescola e confonde

Tutte insieme, ma non devasta

Il globo terrestre con mano violenta, bensì

Pacifico, fin dal principio si associa

Al nascere di grandi accordi. Poiché non bellicosa

Con lui cospira la divina bellezza.

(Entra Antigone, condotta dalla guardia e seguita da ancelle).

UN VECCHIO

Ma ecco che perdo io stesso

La misura, e non so più trattenere

La fonte del pianto, perché

Ora Antigone dovrà ricevere

Miglio e vino, i doni dei morti.

ANTIGONE

Guardatemi, o cittadini della patria:

Io percorro l'estremo cammino

E l'ultima luce

Scorgo del sole. Non la vedrò più?

Il dio di morte, che tutti adagia un giorno,

Vivente mi conduce

Alla riva di Acheronte.

E non avrò nozze, né canto

Nuziale mi celebrerà: sposa

Dell'Acheronte son io.

I VECCHI

Ma vai famosa, scortata dalla lode

In questa cella dei morti.

Non ti ha rapito un morbo, né t'ha colto

Il ferro, del ferro mercede.

Ma la tua vita

Vivendo, tu viva discendi

Giù nel mondo dei morti.

ANTIGONE

Ahimè, mi deridono!

Me, non ancora discesa sotterra,

Ancora alla luce del giorno.

Oh mia città, e voi, della città

Uomini opulenti! Voi mi dovrete un giorno Testimoniare in qual modo, non compianta

Dai miei, e in forza di quali leggi

Nella fossa scavata,

Tomba inaudita, io debbo discendere.

Io non dei mortali,

Non delle ombre compagna,

Non della vita, non della morte.

I VECCHI

Il potere, là dove vige,

Non cede. Costei fu rovinata

Dall'irosa coscienza di se stessa.

ANTIGONE

Oh padre mio, oh madre infelice

Dai quali venni io, la sventurata,

E con i quali vado a dimorare

Senza marito, maledetta.

Ahimè, ahimè, fratello mio

Caduto per vivere meglio,

Anche me tu trascini

Giù con te, l'unica rimasta.

UN VECCHIO (deponendole ai piedi una coppa di miglio)

Ma anche Danae dové tollerare

Con pazienza, in luogo della luce

Celeste, il ferreo recinto, e giacque al buio.

Ed era di nobile stirpe, fanciulla.

Ma poi al creatore del tempo

Scandì le ore, le auree ore.

ANTIGONE

Miseramente, ho udito, morì

Venuta dalla Frigia

La figlia di Tantalo

Sulla vetta del Sipilo.

Gibbosa, dicono, divenne, e come uno indossa

Catene d'edera, lentamente in roccia

Si rattrappì; e sempre presso lei,

Dicono gli uomini, rimane l'inverno

E le lava il collo fra le lacrime,

Chiare come neve, delle ciglia. E come lei

Un demone mi porta al mio giaciglio.

UN VECCHIO (deponendo ai suoi piedi una brocca di vino)

Ma nominata sacra, e nata sacra

È colei, mentre noi siamo terra

E di stirpe terrestre. Certo, tu muori

Ma muori grande; non dissimile

Da vittime divine.

ANTIGONE

Già sospirando voi mi abbandonate.

Guardate in alto, la luce del cielo,

Non nei miei occhi. Eppure non ho fatto

Che, sacramente, un atto sacro.

I VECCHI

Anche il figlio di Driante prontamente fu colto

Nel frenetico affronto delle ingiurie

Da Dioniso, e coperto

Da precipiti massi. E imparò a conoscere

Nella follia, a tentoni, il dio, con lingua imprecante.

ANTIGONE

E meglio sarebbe che voi

Raccoglieste l'affronto delle ingiurie

E lo metteste a frutto, asciugandolo

Delle mie lacrime. Non vedete lontano.

I VECCHI

Ma sulle rupi calcaree, dove

Ai due estremi c'è mare, sulle rive del Bosforo,

Là, presso la città, il dio della guerra guardò

Ai due Fineidi dal troppo acuto sguardo

Accecar gli occhi d'aquila

A colpi di lancia, e si fece la tenebra

Nelle orbite audaci.

Ma del destino tremenda è la forza.

Non ricchezza, non il dio della guerra,

Non torre gli sfugge.

ANTIGONE

Non parlate, vi prego, del destino.

Questo lo so. Parlate

Di chi mi uccide, innocente; a lui

Collegate un destino! Non crediate

D'essere risparmiati, o infelici.

Altri mutili cadaveri

Vedrete a mucchi giacere insepolti

Sull'insepolto. Voi che a Creonte la guerra

Trascinaste per terre straniere, per quante

Battaglie egli vinca, sarete

Inghiottiti dall'ultima. Voi, che invocaste

Il bottino, non pieni vedrete tornare

I carri, ma vuoti. Viventi, vi compiango

Per quanto vedrete

Quando il mio occhio sarà pieno di polvere! Amabile Tebe,

Patria mia! E voi, fonti dircee

A Tebe d'intorno, ove i carri

Superbi procedono, oh boschi! Come mi stringe la gola

Quanto ti deve accadere! Da te sono usciti

I disumani, e per questo

Diverrai polvere. Dite

A chi chiede di Antigone:

L'abbiam vista fuggire nella tomba.

(Antigone esce con la guardia e le ancelle).

I VECCHI

Ha voltato le spalle e si è avviata a gran passi

Come se lei guidasse la guardia. È passata

Per il luogo ove già le colonne trionfali

Di bronzo, sono erette. Affrettato qui il passo,

È scomparsa.

Ma anch' essa un tempo

Mangiò del pane che nell'oscura roccia

Veniva cotto. All'ombra delle torri

Che celano la sventura, sedette

A suo agio, finché il destino uscito

Dalle case di Labdaco sotto il segno di morte.

Sotto il segno di morte tornò. La mano sanguinaria

Ai suoi lo somministra, ed i suoi

Nonché prenderlo, glielo strappano a forza.

Soltanto allora apparve

Con la sua rabbia all'aperto,

Spinta verso il bene!

Fu ridestata dal gelo.

Non prima che l'estrema

Pazienza si esaurisse, e tutto dispensato

Fosse l'ultimo abominio, la figlia

Dell'accecato Edipo si tolse dall'occhio la benda

Decrepita, per guardar nell'abisso.

Così ora anche Tebe

Senza vedere, il piede solleva e vacilla

Gustando la libagione della vittoria

Fatta di molte erbe, mescolata nel buio,

E la tracanna ed esulta.

Il cieco Tiresia qui viene, il veggente. Spinto di certo

Da triste novella di crescente discordia

E di sommossa che in basso ribolle.

Entra Tiresia, guidato da un ragazzo e seguito da Creonte.

TIRESIA

Sempre adagio, fanciullo, vai costante

Non farti scuotere dalla danza: tu

Conduci. Colui che conduce

Non segua Bacco:

Non si può evitare che precipiti

Chi leva il piede troppo alto dal suolo.

E non urtare nelle colonne

Della vittoria. In città

Vittoria gridano, e piena

La città è di pazzi!

E il cieco segue chi vede; ma è seguito

Da uno più cieco.

CREONTE (che lo ha seguito deridendolo)

Che cos'è che mormori,

Burbero, sulla guerra?

TIRESIA

È perché danzi

Pazzo, prima della vittoria.

CREONTE

Vecchio caparbio, veggente

Di ciò che non è, ma che non vedi

Le eccelse colonne

Erette qui intorno!

TIRESIA

Io non vedo. Ma diritta

Mi resta la mente, e per questo

Io vengo, amici. Giacché anche le foglie

Più grasse dell'alloro io le conosco

Di rado, prima che, secche, mi fruscino;

Oppure io le mordo e vi trovo

Sapor d'amaro, e riconosco l'alloro.

CREONTE

Tu non ami le feste; subito parli

A noi con lingua più terribile.

TIRESIA

E ho visto cose terribili. Udite

Ciò che l'auspicio assegna a Tebe, ebbra

Per la fresca vittoria ed assordata

Dal richiamo di Bacco alla danza: io sedevo

Sul seggio antico, e avevo innanzi un porto

D'ogni sorta di uccelli. E udii nell'aria un moto

Di strage, un dilaniarsi con gli artigli

Tra i volatili in lotta. Intimorito,

Saggiai gli altari subito accesi. Ma

In nessun luogo trovai fuoco propizio.

Solo il fumo s'alzava oleoso, e i femori delle vittime

Nudi apparivano tra il grasso che li copriva.

I VECCHI

Pessimo segno, il dì della vittoria,

Notizia che divora la gioia!

TIRESIA

Questa sarebbe l'infausta spiegazione

Dei sacrifici muti: tu, Creonte,

Sei causa di contagio alla città.

Giacché gli altari e i focolari sono

Profanati da cani e uccelli che

Si son saziati del figlio di Edipo Miseramente caduto. Per questo

Più non risuona il gridio augurale

Degli uccelli, perché il grasso di un morto

Han divorato. Ma agli dèi celesti

Non è gradito questo fumo. Quindi

Cedi al morto, e non perseguitare

Chi non c'è più!

CREONTE

I tuoi uccelli, vecchio,

Ti volano a puntino. Lo so. Han volato

Anche per me! Non son proprio inesperto

Degli affari, né dell'arte profetica,

Perché non sono avaro. Intasca pure

Da Sardi elettro, oro dall'India: ma

Sappi, il codardo non lo farò seppellire

E i contagi del cielo io non li temo.

Nessuno, lo so, contamina gli dèi.

Ma tra i mortali, o vecchio, anche i potenti

Fanno atroci cadute, quando dicono

Parole atroci in bel modo, per guadagno.

TIRESIA

Io sono troppo vecchio per espormi

Per così breve tempo.

CREONTE

Nessuno è tanto vecchio

Che non voglia invecchiare ancora un po'.

TIRESIA

Lo so.

Ma so ancora di più.

I VECCHI

Dillo, Tiresia.

Signore, lasciaci intendere il veggente.

CREONTE

Parla, comunque, ma non mercanteggiare.

Tutta l'arte indovina ama l'argento.

TIRESIA

Ma l'offrono i tiranni, a quel che dicono.

CREONTE

Sì; e se uno è cieco

Si morde la moneta, e poi si sa:

È argento.

TIRESIA

Ed io vorrei che tu non me ne offrissi.

Nessuno sa ciò che la guerra gli lascia.

Se sia l'argento, o il potere, o i figli.

CREONTE

È finita la guerra.

TIRESIA

È finita?

T'ho fatto una domanda!

Giacché, come tu dici, io non so nulla,

Devo pur chiedere. Dato che il futuro

Come tu dici, non posso vederlo

Debbo scrutare il presente e il passato

Rimanendo nell'arte, un indovino.

Io vedo, è vero, solo quello che

Vede un fanciullo: e cioè, che le colonne

Della vittoria hanno uno strato di bronzo

Molto sottile; e allora dico: è perché

Si fanno ancora molte lance. E vedo

Cucire molte pelli per l'esercito.

È forse per l'autunno, dico. Se si seccano

Pesci, sarà per il quartiere invernale.

I VECCHI

Ma questo, credo, era prima della vittoria.

Ora non viene revocato? E non verrà da Argo

Del bottino, del pesce, del bronzo?

TIRESIA

Guardie ce n'è una schiera, se poco o molto

Sorveglino, non lo sa nessuno. Ma

In casa tua c'è gran dissidio, e non l'oblio

Che tiene dietro a un'impresa felice.

E corre voce che Emone, tuo figlio,

Se ne sia andato sconvolto perché

La sua promessa, Antigone, hai gettato

In una grotta, giacché voleva schiudere

La tomba a suo fratello Polinice

Quando ti si levò contro: la tua guerra

Gli aveva preso Eteocle, il fratello.

Crudamente così ti so avvolto

In crudeltà; e poiché l'argentò non mi ha reso

Stolto, ti faccio ancora una domanda:

Perché, Creonte, figlio di Meneceo,

Tu sei crudele? Ti agevolo il rispondere.

Forse perché per la tua guerra ti manca

Il metallo? Che hai fatto di folle o di malvagio

Per seguitare nella follia e nel male?

CREONTE

Furfante dalla doppia lingua!

TIRESIA

Sarebbe peggio dalla lingua mezza.

Ma adesso ho avuto la mia doppia risposta,

Che è: nessuna. E unisco il niente al niente

E dico: il malgoverno reclama

Uomini grandi, e non ne trova. La guerra

Si espande e monta, e si spezza le gambe.

Dalla rapina viene la rapina

E la durezza vuol durezza: il più

Vuole sempre di più, e finisce in nulla.

Se così mi son guardato indietro e intorno,

Voi guardate in avanti, e inorridite.

Portami via, fanciullo.

(Esce guidato dal ragazzo).

I VECCHI

Se i miei capelli, signore, fossero

Stati ancora neri, ora sarebbero

Bianchi. Quell'uomo in preda all'ira

Ha detto cose atroci, ma

Quelle più atroci non le ha dette.

CREONTE

E io dico: perché

Occuparsi di ciò che non vien detto?

I VECCHI

Creonte, figlio di Meneceo, quando

I giovani faran ritorno nella

Città vuota di abitanti? E come

Va la guerra, Creonte, figlio di Meneceo?

CREONTE

Giacché colui con malanimo ha gettato

Un occhio sopra ciò, io vi dico: la guerra

Che ci ha mosso Argo la perfida, non è

Finita ancora, e non va troppo bene.

Quando ordinai la pace

Mancava solo un'inezia, ed a causa

Del tradimento di Polinice.

Ma castigato giace

Colui e chi lo pianse.

I VECCHI

E nemmeno questo

È finito; perché si è allontanato

Da te chi ti guida gli assalti

Delle lance, l'ultimo nato,

Emone, tuo figlio.

CREONTE

Né più ne sento la mancanza.

Deve andare lontano dai miei occhi

E dai vostri, chi mi ha abbandonato

Per la meschina cura del suo letto.

Ma per me combatte ancora Megareo,

Il figlio che contro i vacillanti bastioni

Argivi, in impeti incessanti, lancia di Tebe

La gioventù dalle ferree armature.

I VECCHI

Che non è inesauribile.

Creonte, figlio di Meneceo,

Ti abbiam sempre seguito. E c'era l'ordine

Nella città, tu ci tenevi lontani

Qui, sotto il tetto tebano, i nemici,

Gente rapace, che nulla ha, ma in guerra è ben provvista,

Che vive di discordia: gli urlatori

Dal lungo stomaco e dagli ampi polmoni,

Che parlano al mercato perché sono

Pagati, oppure perché non lo sono.

Ora tornano a gridare, ed hanno

Argomenti scabrosi: hai tu, figlio di Meneceo,

Intrapreso qualcosa di eccessivo?

CREONTE

Quando marciai su Argo

Chi mi spinse? Il bronzo della lancia

Andava a trarre altro bronzo dal monte

Per vostro ordine; giacché ricca

Di bronzo è Argo.

I VECCHI

Quindi ricca di lance, pare. Molte

Brutte voci abbiamo udito e respinto

In te fidando, e chi le riportava; ci siam turati

Gli orecchi, temendo il timore, e chiusi gli occhi

Quando stringesti il freno; serve ancora

Una stretta, dicevi, ancora una battaglia;

Ma ora cominci a trattare i pari nostri

Come il nemico. E crudelmente

Tu conduci la duplice guerra.

CREONTE

La vostra guerra!

I VECCHI

La tua!

CREONTE

Appena io abbia Argo

Ecco che ridiventa vostra! Ora basta!

Così dunque lei, la ribelle

Vi ha sconvolto, e con voi chi l'ascoltava!

I VECCHI

La sorella aveva certo il diritto

Di ricoprire il fratello.

CREONTE

Il generale aveva certo il diritto

Di punire il traditore.

I VECCHI

L'un diritto e l'altro, crudamente affermati

Ci precipitano nell'abisso.

CREONTE

La guerra crea nuovo diritto.

I VECCHI

E vive dell' antico.

E da sé si divora quella guerra

Che non riceve ciò che le abbisogna.

CREONTE

Ingrati! Divoratori delle carni, ma

Non vi piace il grembiale insanguinato

Del cuoco! Legno di sandalo vi diedi

Per le case, ove non penetra il rumore

Delle spade, ma che cresceva in Argo!

E nessuno mi ha ancora restituito

Il vassoio di bronzo che io ho preso

Ad Argo, e sopra il quale tuttavia

Curvi, cianciate di eccidii e biasimate

La mia durezza. Sono abituato a maggiore

Indignazione, quando il bottino non arriva.

I VECCHI

Amico, quanto ancora starà Tebe senza uomini?

CREONTE

Finché non le conquistino Argo opima.

I VECCHI

Sciagurato, richiamali, prima che sian morti!

CREONTE

A mani vuote? Giuratemi quest' ordine!

I VECCHI

A mani vuote e senza mani, tutto quanto è ancora carne e sangue!

CREONTE

Certo. Caduta Argo, io li richiamerò.

E ve li condurrà il mio primogenito,

Megareo. E badate che la porta

E il portone non sian troppo bassi, su misura

Per chi si muove bassamente. Spalle d'uomini

Di maggior taglia potrebbero altrimenti

Sfondare qui un portone, là l'usciolo

Di un tesoro. E potrebbero afferrarvi con tal gioia

Da slogarvi mani e braccia nello stringerle

Al rivedervi. E se la corazza vi premesse

Il petto ansioso troppo forte, occhio alle costole!

Giacché vedrete nel giorno di gioia

Più ferro nudo che nel giorno derelitto.

Già molti vincitori titubanti

Hanno avuto una corona di catene

E hanno danzato con ginocchia tremule.

I VECCHI

Vuoi minacciarci, infame, con i nostri?

Vuoi aizzarci adesso i nostri contro?

CREONTE

Intendo

Parlarne con mio figlio, Megareo.

Entra un messo proveniente dalla battaglia.

MESSO

Alto il capo, signore! Un messaggero

Io sono di sventura. Ferma la festa

Precoce, per la vittoria creduta

Troppo presto! Il tuo esercito, battuto

Davanti ad Argo in una nuova battaglia,

È in fuga. Tuo figlio Megareo

Non è più. Egli giace fatto a pezzi

Sul duro suolo d'Argo. Quando tu

Polinice punisti per la fuga

E, presi i molti che ciò nell'esercito

Avevan biasimato, li impiccasti Pubblicamente, e facesti ritorno

In fretta a Tebe, il tuo primogenito

Ci spinse subito nuovamente avanti.

I combattenti, non ancora dimentichi

Di quel bagno di sangue nelle loro

File, levavan fiaccamente contro il popolo

D'Argo le scuri bagnate del sangue

Tebano. E troppi volti eran girati

Indietro, verso Megareo, che forse,

Per far loro più paura del nemico,

Li incitava con voce troppo aspra.

Sul principio le sorti della lotta

Sembravano con noi: e la battaglia

Genera la propria voglia, e il sangue, il proprio

Così come l'altrui, subito odora

E inebria. Ciò che non può il valore

Può la paura. Ma il terreno e le armi

E il vitto entrano anche in gioco. Il popolo

D'Argo, signore, combatteva con astuzia.

Le donne combattevano, e anche i bimbi.

Pentole da gran tempo senza cibo

Piene d'acqua bollente, eran scagliate

Su noi da tetti inceneriti; case

Rimaste intatte eran date alle fiamme

Sul nostro capo, come se più nessuno

Pensasse di abitare in alcun luogo.

Di case e suppellettili ormai avevano

Fatto armi e arnesi da trincea. E intanto

Tuo figlio ci spingeva avanti, sempre

Più a fondo dentro la città, che ora,

Devastata, si trasformava in tomba. Le macerie

Cominciavano a separarci. Il fumo

Dei quartieri già presi, mari di fiamme,

Ci velava la vista. Fuggendo il fuoco

E cercando il nemico, noi urtavamo

Nei nostri. E nessuno sa per mano

Di chi morì tuo figlio. Il fior di Tebe,

Ogni cosa è svanita. E Tebe stessa

Non può a lungo resistere, perché

Il popolo d'Argo sta arrivando, con carri

E uomini, per ogni strada. Io, che l'ho visto,

Sono felice di morire prima.

(Muore).

I VECCHI Miseri noi!

CREONTE

Megareo! Figlio mio!

I VECCHI

Non perdere

Tempo in lamenti. Raccogli le truppe!

CREONTE

Raccogli il nulla! In un setaccio!

I VECCHI

Ebbra di vittoria

Tebe saltella, ed il nemico marcia

Contro di noi col grigio ferro!

Tu per illuderci

Hai dato via la spada. Adesso

Ti ricorderai dell'altro figlio.

Chiama il più giovane!

CREONTE

Sì, Emone, l'ultimo! Sì, mio ultimogenito!

Vieni in soccorso nella gran rovina!

Dimentica le mie parole, perché quando

Ero il padrone, non lo ero del mio senno!

I VECCHI

Corri alla grotta,

Libera la seppellitrice, subito,

Libera Antigone!

CREONTE

Se io la dissotterro

Starete poi dalla mia parte? Avete

Tollerato ogni cosa, e non lo chiedevate.

Questo vi impegna!

I VECCHI Vai!

CREONTE

Le scuri! A me le scuri!

(Esce).

I VECCHI

Terminate la danza!

(Percuotendo i cembali)

Spirito della gioia, tu che delle acque

Che Cadmo amava, sei tutto l'orgoglio,

Vieni, se ancora una volta vuoi vederla,

La tua città; ma affrettati, e giungi

Prima di notte, perché dopo

Non ci sarà più.

Qui infatti, dio della gioia,

Nella baccante città materna,

A Tebe abitasti, sulle fresche acque dell'Ismeno.

Il fumo delle vittime, che in dolci

Volute sovrasta il dorso del tetto,

T'ha veduto. Delle sue molte case

Forse non troverai nemmeno il fuoco

E del fuoco nemmeno il fumo, e forse

Nemmeno l'ombra del fumo. I suoi figli

Che per mille anni sui mari più remoti

Vedemmo stabilirsi, già domani,

Già oggi, non avranno più una pietra

Ove posare il capo. Sul Cocito

Al tempo tuo, dio della gioia, sedesti

Con gli amanti, e nel bosco di Castalia

Ma anche la fucina visitasti, col pollice Saggiando sorridente il filo delle spade. Sovente inseguisti di Tebe

I canti immortali, quando

Per le strade ancora tripudiavano.

Ahimè, sulla propria gente si abbatterono

I ferri, ma il braccio è divorato

Dalla fatica! Ahimè, alla violenza

Serve un miracolo, e all'indulgenza un poco

Di saggezza. Ora perciò

Il nemico più volte battuto, sopra i nostri

Palazzi incombe, e punta

Tutt'intorno alla bocca

Dalle sette porte, le lance sanguinarie.

E di qui non se ne andrà

Prima d'aver riempito

Del sangue nostro le gote.

Ma là s'avvicina una delle ancelle Fendendo il groviglio dei fuggenti

Con nuove certe di Emone, che il padre

Ha messo a capo delle truppe salvatrici.

Entra un' ancella come messaggera.

MESSAGGERA

O grave perdita! O ultima spada infranta!

Emone è morto, di sua propria mano.

L'ho visto coi miei occhi. Ciò che prima

Era accaduto, me l'han detto i servi

Accorsi col signore all'alto campo

Dove giaceva, dilaniato dai cani,

Di Polinice il misero cadavere.

Lo lavarono muti e lo deposero

Su rami freschi, quanto di lui restava,

Ed un piccolo tumulo con cura

Eressero di terra della patria.

Corso avanti con altri, il padrone

Si avvicinò alla tomba nella roccia

Dove stavamo noi ancelle, ed una

Udì una voce e alti lamenti nella cella

E corse incontro al signore, per dirglielo.

Si affrettò questi, e andando, più distinta

L'oscura voce affannosa lo avvolse.

Giunto vicino, lanciò un grido, e lagnandosi

Miseramente, osservò il chiavistello

Ch'era divelto dal muro, e a fatica

Disse, ma come credendo a se stesso:

«Questa non è la voce di mio figlio,

Di Emone». Alle parole del signore Angosciato, noi spiammo. E allora

Sul fondo della tomba ecco vediamo

Appesa per la nuca lei, Antigone

Con un laccio di lino intorno al collo,

E lui prono ai suoi piedi sollevati

Che lamentava le sue nozze, e l'abisso

Celato in esse, e l'opera del padre.

Questi, al vederlo, entra da lui e gli dice:

«Oh, vieni fuori, figlio, te lo chiedo

In ginocchio». Ma senza rispondergli,

Con freddo sguardo lo fissa il figlio

E gli sguaina contro la spada a doppio taglio.

E poiché il padre, atterrito, alla fuga

Si volse, lo mancò. Senza dir altro,

In piedi, lentamente, egli si spinge

La punta della spada dentro il fianco.

Cade senza parola. Il morto giace

Presso la morta, e trova appagamento

Nuziale, tristemente, nelle case

Del mondo sotterraneo. Ma ora

Ecco il signore venire in persona.

I VECCHI

Finita è la città nostra, avvezza

Alle briglie, e senza briglie. Sorretto da donne

Viene il frustrato e reca

Nelle mani il grande ricordo

Di uno sciocco infuriare ...

Entra Creonte portando la veste di Emone.

CREONTE

Guardate ciò che porto. È la veste. Ho creduto

Che ciò che andavo a prendere potesse

Essere una spada. M'è morto presto, il figlio.

Ancora una battaglia, e Argo sarebbe stata

A terra! Ma quanto qui si levò di coraggio

E di furore, si rivoltò contro me.

Così ora cade Tebe.

E deve cadere, se cadrà con me, ed esser finita,

Pronta per gli avvoltoi. È questo il mio volere.

(Esce con le ancelle).

I VECCHI

Ha voltato le spalle e, con in mano

Un panno insanguinato, unico resto Dell'intera casa di Labdaco,

Scompare nella città che precipita.

E noi

Anche ora tutti lo seguiamo,

Ma sotto terra. E ci verrà troncata,

Perché più non colpisca,

La mano soggiogabile. Ma colei che tutto vide

Poté solo aiutare il nemico, che

Presto verrà ad annientarci. Il tempo

È breve, e tutt'intorno è il fato:

Non basta a continuare a vivere

Senza pensiero, lievi trascorrendo

Di sofferenza in delitto

E ad acquistare saggezza da vecchi.


PROLOGO PER LA RAPPRESENTAZIONE DI GREIZ (1951)

Entrano in scena gli interpreti di Antigone, di Creonte e dell'indovino Tiresia. Stando in mezzo agli altri due, l'attore cui è affidata la parte di Tiresia si rivolge agli spettatori:

Amici, inconsueto

Può sembrarvi il linguaggio elevato

Dell'opera poetica, vecchia di millenni

Che qui rappresentiamo. Sconosciuto

È il suo argomento, che gli spettatori di un tempo

Conoscevano profondamente. Consentiteci quindi

Di presentarvelo. Questa è Antigone,

Principessa della stirpe di Edipo. E questo qui

Suo zio Creonte, tiranno della città di Tebe. Io sono

Tiresia l'indovino. Costui

Muove una guerra di rapina alla remota Argo.

Questa si oppone al disumano, ed egli la distrugge.

Ma la sua guerra, che disumana ora tutti riconoscono

Gli si sgretola tra le mani. L'inflessibilmente giusta,

Incurante del sacrificio della sua gente asservita,

Le ha posto fine. Noi vi preghiamo

Di ricercare nel vostro animo azioni simili

Del più recente passato, o l'assenza

Di azioni simili. E adesso

Voi ci vedrete, insieme agli altri attori

Calcare nella recita l'un dopo l'altro

L'angusta scena, dove un tempo, in mezzo

Ai bucrani di sacrifici barbari

Di un grigio tempo primordiale, l'umanità

Si levò grande.

I protagonisti si ritirano sul fondo, mentre entrano in scena gli altri attori.