Aretusa permettendo

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Grottesco surrealista in due tempi

di Cecilia Scolari Fedele

Personaggi in ordine di entrata:

ENRICO

MATTEO

RAUL

SIMONA

ALFEO

SANTINA

FAUSTA

MICHELE

CATERINA

MARGHERITA

ANSELMO

a Cesare

(Maggio 1980)


PRIMO TEMPO

Scena semibuia e vuota. Rappresenta l'interno di un castello diroccato con qualche mobile amico che regge per miracolo e qualche quadro d'ante­nato ricoperto di ragnatele. Musica che ricordi una caccia. A un tratto, la musica tace e sibila un gran vento, poi, uno sparo seguito da prolungate grida di donna che si allontanano sempre più fino a sparire. Il silenzio è rotto ancora soltanto dal vento.

Enrico          (Entrando in scena semi svestito e quasi trascinandosi Matteo che sta In pigiama) E Svegliati disgraziato! Non hai sentito? Sve­gliati! Non hai sentito?

Matteo          (Dormendo in piedi) E piantala, Cristo, con queste tue manie della fotografia! Almeno Andy Warol piazza la camera davanti ai dormienti e li lascia in pace per dodici ore.

Enrico          Ma non ti voglio fotografare, scemo! (Mostrandogli un pu­gno) Se non ti svegli, parola d'onore ti stacco la testa. Non hai sentito lo sparo e le grida di Fausta?

Matteo          Fausta? Che Fausta?

Enrico          Fausta tua moglie, cretino! Quante Fauste conosci e quante mogli hai?

Matteo          Scusa. Fammi capire. Perché Fausta avrebbe dovuto gridare?

Enrico          Bravo! Passami la palla di vetro e te lo dico, ma ti garantisco che ha gridato in seguito a uno sparo, come ti garantisco che Raul è uscito con il suo fucile e tua moglie. Realizzi finalmente?

Matteo          (Sbadiglia) Beh, cosa vuoi che sia successo?

Enrico          (Gli dà uno spintone) E vattene allora: torna a dormire. Me ne occupo io. (Mettendosi le scarpe trovate sotto il tavolo) Fai pen­sare al marito della barzelletta: lo svegliano nel cuor della notte per annunciargli la morte della moglie e lui girandosi dall'altra parte fa:   « Oh Dio!  Quanto dolore per domani quando mi sveglierò! »

Matteo          Va bene, piantala! Vengo anch'io a vedere.

Enrico          Vestiti pure con comodo e non dimenticare soprattutto la cra­vatta a pallini.

Raul              (Entra, fucile a tracolla che butterà sul tavolo:   è sconvolto) Puttana Eva, per tutti i santi e le madonne! (Vedendo Matteo) Tu, parola mia d'onore, hai sposato la donna più deficiente della crosta terrestre.

Matteo          Prego. Non è deficiente: è suonata. Sarà anche solo una sfu­matura ma c'è. Quanto all'averla sposata, cosa vuoi? A chi tocca tocca. (E sbadiglia)

Enrico          Raul: se non mi dici subito cos'è successo, sento che muoio d'infarto.

Raul              Voleva che le insegnassi a sparare. Sono giorni e giorni che mi fa la testa così. Stamattina mi ha anche seguito, lei che si alza sem­pre all'alba di mezzogiorno! « E lasciami provare, e lasciami pro­vare! » Insisteva più del solito e io arcistufo l'ho lasciata provare. Vi era a venti metri un coniglio selvatico appiattito contro un cespuglio. Le do il fucile, le dico: « Mira quel coniglio e spara così e così... »

Matteo          Ho capito: ha mirato e ha centrato esattamente come ha fatto quando ha conosciuto me. È un fenomeno in queste cose: non sbaglia mai. (A Enrico sbadigliando) Te l'ho detto che non era grave.

Raul              Sì, soltanto che tu, non essendo una coniglia gravida e non es­sendo scappato perdendo sangue e figli, non le hai provocato nes­suna crisi isterica.

Enrico          Ma si può sapere dov'è adesso?

Raul              È scappata urlando. Non l'avete sentita?

Enrico          Io, l'ho sentita. Soltanto io. Lui cosa sente quando dorme? Neanche se gli crolla tutto il « castellaccio » addosso.

Matteo          Ma tu non l'hai inseguita?

Raul              A dire la verità avevo più voglia di spararle dietro ma è chiaro che l'ho inseguita. Correva come una pazzacontinuando a urlare. Non sono riuscito a fermarla e ha passato il confine.

Enrico e

Matteo          Cosa?!   Come!?  (Insieme, gran reazione)

Raul              Già. Avrei potuto fermarla proprio solo con una fucilata.

Matteo          (Finalmente svegliandosi)  E  dovevi  tirargliela,  Cristo!

Enrico          Eh sì! Almeno sopra la testa o tra i piedi, con la mira che hai...

Raul              Ecco, lo sapevo! Si fa presto a parlare quando non si vivono le cose. Ma a parte il fatto che correva a zig zag come una lepre, ve­dendola filare verso il confine, la mira che ho come tu dici, era an­data a farsi fottere.

Enrico          Quello che non si spiega, è come mai ha avuto una crisi iste­rica. O si è contro la caccia o non lo si è. Se imbracci un fucile e miri un coniglio, vuoi dire che accetti la possibilità di ammazzarlo.

Matteo          Bravo; si vede che hai letto Freud. Soltanto dimentichi un paio di particolari importanti. Primo: quel coniglio era una coniglia che stava partorendo. Secondo, e qui sta la soluzione della crisi, mia moglie, prima di essere confinata con noi, era di professione levatrice. Capirai: da un coniglio a una coniglia partoriente, tutto cam­bia, specialmente per lei.

Enrico          Fausta era una levatrice?

Raul              Questa è nuova!! Perché non ce lo avete mai detto?

Matteo          Forse soltanto perché al castello nessuno ha mai avuto bisogno della sua professione.

Enrico          Ecco, un po' di spirito mancava! (Altro tono) Oh badate che qui bisogna agire immediatamente. Che giorno è oggi? Mercoledì. Bene. Deve arrivare l'elicottero. Che ore sono? Merda. Nessuno ha mai orologio in questa stramaledetta tana. (A Raul) Non sei tu che sai regolarti col sole?

Raul              Sì, quando c'è. Ma oggi non c'è.

Matteo          Si può sapere cosa accidenti vuoi fare con l'elicottero, il sole, gli orologi?

Enrico          No ma dico: ti rendi conto che un'affetta dal morto di Aretusa ha varcato il confine? Non credi sia il caso di avvertire chi si deve?

Raul              Sentite: sediamoci, calmiamoci e vediamo di esaminare la si­tuazione.

Enrico          Ottimo e mentre facciamo tutte queste belle cose: l'elicottero arriva, riparte, ritorna dopodomani, Fausta contagia altre venti per­sone e qui facciamo l'ammucchiata.

Matteo          Che ammucchiata! Dimentichi che le venti persone potrebbe­ro accettare di farsi curare dal nostro Pastore in quella sua clinica che sembra un macello di lusso. Non è da tutti fare la scelta del « castellaccio ».

Raul              Dimentichi pure che nell'ultimo messaggio, il nostro Pastore annuncia ottimi risultati sulle cavie trattate con il suo famoso siero.

Enrico          Sì ma tutt'e due dimenticate dove io penso che il nostro Pa­store dovrebbe mettersi il suo famoso siero. E dunque, prima di tutto: sapere che ore sono. Corro a svegliare Michele che da per­fetto orologiaio non perde mai il senso del tempo.

Ratti              Michele era già alzato quando sono uscito. Si è fissato con quella pendola trovata nell'altra ala del castello. Dice che in quel punto il tetto è pencolante e la trasportava in camera sua per aggiustarsela. Ho creduto di incontrare il fantasma di Sansone con una colonna del tempio sulle spalle.

Simona         (Entrando con uno di quei pacchi che lanciano dagli elicotteri) Vi saluto e vi prego di non muovervi perché ho cose importanti da dirvi. L'elicottero oggi era in forte anticipo. Per fortuna soffro d'in­sonnia in queste notti ed ero già sul pianoro quando è arrivato. Porto sta roba in cucina e torno. (Esce)

Matteo          A questo punto, possiamo sederci, calmarci e vedere di esa­minare la  situazione.

Enrico          Vacca la scalogna bestia!

Raul              Sentiamo cos'ha da dirci Simona. È probabile che dall'elicottero abbiano avvistato Fausta e abbiano già provveduto.

Enrico          Sì ma se aspettiamo che Simona rimette in ordine tutta la roba come fa di solito, qui vien notte.

Raul              Già.  (Chiama)  Simona!

Simona         (Da fuori)  Un momento!  Sto rimettendo in ordine la roba.

Raul              (Esce e rientra tirandosela dietro) Noi Tu non rimetti a posto un accidente. Fuori subito queste cose importanti,

Simona         E lasciami! Cosa  ti  piglia?  Mica  muore  qualcuno  no!

Enrico          Simona;   per favore!

Matteo          Ma  sì, Cristo, parla!

Simona         Perché state tutti così come con l'itterizia? Per Fausta? Ri­lassatevi. Sta tornando: l'ho vista io dal pianoro delle genziane. Credo  si sia  calmata.  (Sollievo  generale)

Matteo          Bene. Io me ne torno a letto.

Enrico          E io vado subito a prendere la macchina fotografica e la colgo di sorpresa. Deve avere un'espressione interessantissima dopo una crisi simile!

Raul              Però è strano che, nello stato in cui era, si sia calmata così, da sola...

Simona         Non si è mica calmata da sola. Subito dopo il confine, è andata a sbattere contro un tale che saliva sulla mulattiera. Le ha piantato due di quegli schiaffoni, ragazzi, che li ho sentiti io fin lassù!

Matteo  ed

Enrico          (Insieme)  Come  « un  tale »!   Che  tale?

Raul              Chi è questo tale?

Simona         Che ne so io chi è. È un tale che ha l'aria di essere un giorna­lista o un rappresentante. Lo vedrete. Sta arrivando con lei. Io vado dì là a rimettere a posto la roba. (Esce)

Enrico          (A Raul) Un giorno, quando creperemo tutti per gli effetti del morbo di Aretusa, questa tua moglie sarà la sola a resistere, perché niente sembra mai toccarla e se ne andrà per il mondo ad annunciare la nostra morte: imperterrita, come un maggiordomo inglese che annuncia gli ospiti in una serata di gran gala, battendo il bastone per terra.

Raul              Perché sei sempre così pessimista? Non è detto che moriremo per gli effetti del morbo.

Enrico          Infatti ho detto che « creperemo ».

Matteo          Così sia. In anticipo: pace all'anima nostra. Io me ne torno a dormire. Vi lascio l'incarico di informare il paladino di mia moglie su tutto quanto lo aspetta e caso mai la crisi isterica venisse a lui; chiamatemi pure:  per riconoscenza, toccherebbe a me rendergli gli schiaffoni. (Esce stirandosi e sbadigliando)

Enrico          Senti Raul: informalo tu, in fondo, sei il più adatto di noi... Io, vado per foto. La luce mi sembra molto favorevole questa mattina...

Raul              Oh favorevolissima! Sta per piovere, tira un vento maledetto e la luce è tutto, salvo che favorevole. Ma ti dirò che anch'io prefe­risco andar di là a dare una mano a Michele. Abbiamo estremamente bisogno di una  pendola al  « castellaccio »...  (Escono  parlando)

Alfeo             (Entrando dopo qualche minuto) Permesso. C'è nessuno?

Simona         (Comparendo) Eccolo qui quello degli schiaffoni! (Gli stringe energicamente la mano) Bravo! Due schiaffoni così, guardi, incar­nano tutta la vendetta del sesso forte oppresso per anni dal femmi­nismo. Io, pur essendo femminista, ammiro sportivamente gesti spontanei di questo tipo, anche se vengono dalla parte avversaria.

Alfeo             Lei mi lusinga, signora.

Simona         Dio come parla pulito! No senta: qui lei dovrà abituarsi altri­menti a cominciare dal linguaggio. Ma procediamo con ordine. Si sieda.

Alfeo             Grazie.  (Siede)

Simona         Lei è cardiaco?

Alfeo             No, che io sappia.

Simona         Bene: speriamo che sappia giusto. Vuoi bere qualcosa mentre le racconto  una storiella?

Alfeo             Magari.

Simona         Per esempio qualcosa di molto forte come un buon cognac?

Alfeo             Di mattino?

Simona         Già. Ma sa:  mattino, sera, notte, pomeriggio, qui è tutt'uno.

Alfeo             Mi racconti la  storiella  poi sceglieremo  cosa bere,

Simona         Dunque: tanto tanto tempo fa, quando furono inventate tutte le malattie, il Male se ne scordò una. Si chiamava Aretusa ed era una malattia infettiva. Aretusa però, non fece tutto il casino della fata malefica non invitata al battesimo della principessina. Aretusa accettò dignitosamente il suo ruolo di malattia dimenticata e, al famoso Congresso mondiale che si svolse fra il Male e i medici, intervenne solo un attimo per dire: « Signori scienziati, medici e compagnia bella: favorita dal fatto che mi avete dimenticata, non mi scoprirete mai. Pochissimi saranno gli esseri che colpirò, ma voi non li guarirete mai, né riuscirete mai nemmeno a prevedere gli effetti finali del morbo di Aretusa. I colpiti possono morire pazzi, impotenti, sterili, sordi o ciechi: non ne saprete mai nulla e non mi vincerete mai, finché io stessa morirò. » Detto questo sparì.

Alfeo             Interessante!

Simona         Vero? Ma attento che ora entriamo nel vivo della storia. Cammina cammina, Aretusa incontrò uno scienziato famoso chia­mato Pastore.

Alfeo             Pasteur.

Simona         No no. Che Pasteur d'Egitto! Pastore. Dottor Biagio Pastore. Aretusa si disse: « Ecco il mio pollo: medico bravissimo ma pieno di sé quasi quanto pieno di soldi. Aspetta aspetta, caro il mio padre­terno » e in quel suo regno ne colpì un centinaio. Figurarsi il po­vero Pastore! Il suo primo pensiero fu: «Grana in vista! » e su­bito fece costruire nei pressi della sua clinica un grande padiglione per i colpiti, una costruzione molto carina che, anche architettonica­mente, potrebbe ricordare un bell'incrocio fra delle sale da ballo e delle camere mortuarie. Per farla breve, nel giro di un anno, metà dei colpiti morirono nei più strani e misteriosi modi. Il nostro Pa­store si impegnò in una lotta corpo a corpo con Aretusa, proprio come quel famoso capitano con la balena nera.

Alfeo             Bianca.

Simona         Già. Bianca.  (Un tempo) Dov'ero rimasta?

Alfeo             In alto mare direi.

Simona         La mia storia l'annoia?

Alfeo             Affatto.  Sono  ansioso di  conoscerne la  conclusione.

Simona         Eccola: a questo punto lo stato, sempre estremamente gene­roso e sensibile ai casi del genere e considerati soprattutto gli insuc­cessi del nostro Pastore, mise a disposizione dei colpiti una zona iso­lata dominata da un grande castello. Una scelta insomma: o la clinica o il castello. In questo castello, i colpiti dal morbo di Aretusa rischiano spesso di essere colpiti da una parete che crolla improvvi­samente o da qualche statua che cade, avanti, indietro o dall'alto ma a parte questo vivono comodamente e in santa pace. L'elicottero dello stato arriva ogni due giorni e li rifornisce di tutto ciò che chiedono. Fine della storia. Epilogo: Noi abbiamo scelto il castello. Lei cosa sceglie?

Alfeo             Posso a mia volta raccontarle una storia?

Simona         Prego.

Alfeo             C'era una volta, non tanto tempo fa, un uomo che da quando nacque non gliene andò mai bene una. Le sue sventure cominciano con l'orfanotrofio e finiscono con un matrimonio tremendamente fallito. Bisogna sapere che quest'uomo abitava vicino a una strada ferrata. Tutte le notti sentiva passare il diretto delle due e diciotto. Divenne un incubo.  Una notte, verso  le  due,  si  alzò,  si vestì e scese a stendersi tra i binarii. Ma quella notte il diretto non passò perché circa sei chilometri prima aveva deragliato facendo un muc­chio di morti. Appena lo seppe, l'uomo cominciò a ridere. Le prime notizie annunciavano una ventina di morti poi aumentavano: tren­tacinque, settantadue e più aumentavano più l'uomo rideva. Quando ne annunciarono un centinaio, l'uomo era ormai piegato in due dal gran ridere. Lo internarono e gli fecero una cura. A questo punto le nostre storie si incrociano poiché quell'uomo, interessato dalla gran polemica della stampa sui colpiti dal morbo di Aretusa, decise di andare a vivere con loro. Cammina cammina, finalmente ecco il « castellaccio ». Ebbe un attimo di esitazione del tutto simile a quello che ebbe prima di stendersi tra i binari. Fu in quel preciso momento che vide venirsi incontro giù per la mulattiera, una donna che urlava come una pazza.

Simona         Grazie. Conosco il resto della storia, tranne che fine ha fatto quella donna che avrebbe dovuto arrivare con quell'uomo.

Alfeo             È andata a cercare una coniglia. Ha detto all'uomo: « Vada al castello e dica come mi ha incontrata. Là le spiegheranno tutto».

Santina         (Entra zoppicando e con una cesta ricolma di verdure) Porco  d'un cane!   L'orto è pieno di lumaconi anche quest'anno! Simona:  prossimo elicottero ricordami di chiedere un prodotto con­tro  i  lumaconi  ma  che  sia  assolutamente  biologico.

Simona         Santina, te lo abbiamo già detto tutti: esiste un solo prodotto biologico contro i lumaconi, l'umido, cucinarli in umido. Io vado a finire di riordinare la roba. Ti lascio con questo signore. È un nuovo arrivato.  (Esce)

Santina         Mi scusi. Non l'avevo vista. Da qualche tempo, non basta il piede che mi diventa ogni giorno più piccolo, ma anche la vista mi si abbassa. Sa: sono ormai gli effetti del morbo. Comunque, sem­pre meglio che sorda come Michele che non sente neanche più un pugno in testa o toccata nel cervello come le due castellane. Lei ha già viste le due castellane?

Alfeo             Non ho ancora avuto questo piacere.

Santina         Piacere?! Sì vede proprio che lo chiama piacere perché non le ha ancora viste! Ma le lascio la sorpresa. Dica un po': le piace la verdura?

Alfeo             Molto.

Santina         Che bravo! Diventeremo amici.

Alfeo             Lo spero,

Santina         E dica un po' un'altra cosa:  lei ha già gli effetti del morbo?

Alfeo             Eh sì.

Santina            Ah sì? E da quando?

Alfeo               Da qualche minuto.

Santina            Non mi dica! E quali sono questi effetti?

Alfeo               Le rotture.

Santina            Di vasi sanguigni?

Alfeo               No:  di scatole.

Fausta             (Che da un attimo è comparsa  senza che i due  se  ne siano accorti) Benissimo. Non  solo  i ceffoni  sono efficaci, ma anche lo spirito!

Santina            Dio  santo, m'hai fatto paura!  Che ceffoni?  Stai diventando matta  anche  tu?  Questo  signore  è appena  arrivato.  Gli  piace  la verdura. Te lo presento:  signor...

Fausta             Non  t'incomodare.  Ci  siamo già  presentati.  Senti  piuttosto: puoi darmi subito quella cesta? Santina    Se aspetti, vado in cucina a vuotarla.

Fausta             No. È urgente. (Gliela toglie di mano e vuota la verdura sul tavolo)

Santina            Ma cosa vuoi  farne?

Fausta             Hai del fieno o della paglia?

Santina            E sì:   ma nel pollaio...

Fausta             Devo metterci una coniglia con otto figli o forse nove! (Esce)

Santina            Giuro che è diventata matta anche lei.

Michele           (Entra asciugandosi la fronte) Se non mi calmo, quant'è vero Iddio, le tiro quattro martellate a quella bastarda!

Santina            Eccone qua un altro. (Urla) Martellate a chi?

Michele            Macché qui! Perché dovrei tirare martellate qui? Dico alla pendola:  altre tre ore di lavoro inutile. E non urlare che non sono

sordo.

Santina            (Ad Alfeo) Glielo lascio e buon divertimento. (Raccoglie tutta la verdura nel grembiale. A Michele gridando) A questo signo­re piace la verdura. Impara! (Esce)

Michele            Va  all'Inferno!  (Ad Alfeo) Lei è fresco di verdura?  No: guardi cosa mi fa dire quella Befana! Volevo dire: fresco del posto?

Alfeo                Sì…

Michele            Ecco: starà fresco per un pezzo! Bella scelta il « castellaccio ». Una banda di svitati come non se li immagina. Modesta­mente, io sono il solo ad avere la testa a posto. Sordo ma equili­brato.

Alfeo                Si vede.

Michele            Certo che si beve.  Si beve sempre qui. È il nostro unico svago. Lo stato ci rifornisce di tutto ciò che vogliamo. (Apre un mobiletto) Cynar, Punt & Mes, Campari, Vermuth e altro. Cosa vuole?

Alfeo                Avete  magari  un Aperol?

Michele            Sì ma in farmacia. (Chiama) Santina! Porta il Carmol per il signore.

Santina            (Ricomparendo)  Cosa?!

Michele            Il Carmol. Sei sorda? Io mi ci friziono quando ho i reuma­tismi ma so che vi è gente che lo beve e il signore desidera berlo. « Gustis non discutaribus. »

Alfeo                (Mentre Michele si gira per parlare a Santina le fa segno di no e questa se ne va con l'aria di non capir nulla)

Michele            Lei è per caso orologiaio?

Alfeo                No.

Michele            Bel mestiere sa. Glielo insegnerò. Gli orologiai sono i pa­droni del tempo. Naturalmente ci vuole una gran pazienza e io pur­troppo sto invecchiando. Me ne sono accorto poco fa, quando per poco non prendo a calci quella puttana. Pensi che ha tutto, dico bene tutto per funzionare: ho ricontrollato, ripulito e oleato pezzo per pezzo. Niente! Mi guarda immobile e muta come per prendermi in giro. Tra l'altro, le dico: una pendola d'una fattura che non importa quale Luigi di Francia si sarebbe lasciato tagliare non solo la testa pur di averla.

(Entrano le due castellane e il maggiordomo. Le due donne in abiti lunghi: indifferente l'epoca purché ricordino una nobiltà decaduta. L'uomo invece può essere vestito come un maggiordomo inglese oppure come un valletto, dipende dal tipo e da come recita. La contessa Caterina parla con un forte accento napoletano, la con­tessa Margherita con  accento francese)

Michele            Vede? Non si può fare nemmeno un accenno casuale alla nobiltà, che subito appare! (S'inchina e bacia la mano prima a Caterina poi a Margherita) Contesse carissime buongiorno. Spero che la notte vi sia stata propizia per i migliori sogni. Vi presento il nuovo arrivato: gli piace la verdura, non fa l'orologiaio e beve Car­mol. Lo raccomando alla vostra ospitalità sempre squisita. Io pur­troppo son costretto a lasciarvi ma spero di avere al più presto il piacere di rivedervi. (Torna a baciare le mani delle contesse, si gira e dice fra i denti) Andate affanculo! (Uscendo dà una gran ma­nata nella schiena al maggiordomo) Ciao vecchio porco!  (Esce)

Caterina          (Porgendo da baciare la mano ad Alfeo) Siate benvenuto al castello, signore!

Alfeo                Grazie.

Margherita      (Offrendo la mano) Vogliate scusare i modi piuttosto borghesi del nostro orologiaio.

Alfeo                Non  si preoccupi.

Caterina          Qualcuno si è già dato la pena di mostrarvi le vostre camere?

Alfeo                Veramente io ho l'abitudine di dormire in una sola.

Margherita      La contessa Caterina intende camere comunicanti: una per dormire, l'altra per consumare i vostri pasti, leggere, fumare, sentir musica.

Alfeo                Vi dirò; io adoro mangiare in compagnia, leggo solo a letto, fumo solo alla vigilia di Natale e ascolto musica quando capita per caso.

Caterina          Oh siete un tipo che ha l'aria di essere tutto adorabile. Vero contessa Margherita?

Margherita      Verissimo contessa Caterina e io aggiungerei che dev'es­sere anche un tipo originale. Insomma: tutte le qualità di cui sono sprovvisti gli ospiti del castello.

Alfeo                Le signore mi confondono.

Caterina          Finalmente un ospite che ci farà sentire a nostro agio!

Margherita      E dunque io penso di interpretare anche la volontà della contessa Caterina, proponendovi di venire ad abitare nella nostra ala:   l'ala destra del castello.

Caterina          Mi avete letteralmente letto nel pensiero cara contessa Mar­gherita!

Caterina          Anselmo, il nostro maggiordomo che qui vedete: scopa, spol­vera, tiene le stanze in un ordine perfetto ed è anche un ottimo cuoco.

Anselmo          (Inchinandosi) Troppo buona contessa. Modestamente, io scopo eccetera, è vero, ma quanto all'arte culinaria non bisogna esa­gerare.

Margherita      Dunque è deciso: venite ad abitare nella nostra ala.

Caterina          Certo che è deciso. Anselmo.

Anselmo          Dite contessa.

Caterina          Quali stanze sono disponibili nell'ala destra?

Anselmo          (Colpetto di tosse) Dunque... vediamo un po'...

Margherita      Forse la stanza di Guglielmo secondo?

Caterina          Sì: è gran tempo che non la si apre, ma arieggiandola e ri­pulendola un po', potrebbe andare benissimo.

Anselmo          Faccio umilmente osservare alle contesse, che non si apre dal tempo in cui la statua di Guglielmo secondo è franata proprio davanti alla porta. Non vi è altra entrata: per sfondare quella porta e spostare la statua ci vogliono i carri armati.

Margherita      Che ne direste, Anselmo, della camera Verde?

Anselmo          La contessa Margherita mi scusi la franchezza? ci piove. Poco, ma ci piove decisamente.

Caterina          Ho trovato! La camera dei Topazi. Non mi direte, Anselmo, che la camera  dei Topazi non è perfetta.

Anselmo          Perfettissima contessa. Vi è soltanto un leggero inconve­niente...

Caterina          E quale?

Anselmo          Ci dormo io.

Margherita      Voi!? Ma voi potreste benissimo andare a dormire in biblioteca. Vi  è un' «agrippina »  comodissima!

Anselmo          Già. Vi sono anche i topi ma cerchérò di farmeli tutti amici e se non vi riesco li avvelenerò.

Caterina          Dunque siamo intesi: camera dei Topazi, ala destra del castello.

Fausta             (Entrando sull'ultima battuta) Scommetto che le contesse si sono già accaparrato il nuovo ospite.

Margherita      Signora:   scegliete sempre male i  vostri  termini.

Caterina          Malissimo: dite bene contessa Margherita. (A Fausta secca­mente) Il nuovo ospite ha cortesemente accettato di venire a stabi­lirsi nella nostra ala.

Fausta             Sotto le ali protettrici delle signorie vostre. Va bene così?

(Ad Alfeo che in tutto questo tempo ha aperto il mobiletto e si è servito abbondantemente di Aperol e di salatini)

Fausta             Lei ha detto alle contesse di essere sonnambulo?

(Le contesse hanno un sobbalzo di spavento)

Alfeo                Io sono sonnambulo?!

Fausta             Non si ricorda di avermelo detto? (Queste domande vanno fatte con la massima disinvoltura mentre sgranocchia lei pure dei salatini)

Alfeo                Veramente... (comprendendo a un tratto) Ah già è vero, che testa!  Sono sonnambulo:  sonnambulissimo.

Fausta             E nelle notti di plenilunio, diventa anche un sonnambulo ma­niaco di incarnare i fantasmi. Strappa le lenzuola dal letto, se le mette addosso e gira per casa così. (Gira attorno alle contesse che si stringono l'una all'altra terrorizzate, miniando la scena della son­nambula:  occhi chiusi e braccia avanti)

Anselmo          (Trionfante) Scusino se mi permetto: Io l'avrei giurato. Si capisce a volo che il signore è sonnambulo.

Alfeo                Ah sì? E da che cosa si capisce, se è lecito?

Anselmo          Dalla faccia. Ha una faccia... come dire? Ha una faccia che assomiglia proprio tutta a quella di Bellini.

Fausta             E dunque concludendo, visto che le contesse insistono tanto: camera dei Topazi per il signore.

Caterina          Noi non insistiamo assolutamente. Anzi, ora che mi ricordo, nella camera dei Topazi ci dorme già Anselmo...

Margherita      ... che non può stabilirsi in biblioteca come si era detto perché l'« agrippina », ora che mi ricordo, da qualche tempo è scomparsa.

Anselmo          (Fra i denti) Infatti, devono essersela mangiata tutta i topi.

Alfeo                Non è importante. Io dormo dappertutto. Anche nel pollaio.

Caterina          (Offrendogli la mano) Sono spiacentissima per la camera, ma non rinunceremo al piacere di avervi per il nostro tè delle cinque.

Margherita      (Mano da baciare) Manderemo Anselmo a prendervi: vi indicherà la strada perché il castello è talmente grande che se non si conosce è facile perdersi o cadere in qualche trabocchetto.

Alfeo                Va bene. Arrivederci.

(Le  contesse  escono  con  Anselmo in coda)

Fausta             (Offrendo la mano da baciare ad Alfeo) Grazie, mio principe, per quei tremendi schiaffoni che per poco non mi hanno staccato la testa.

(Entra Santina con un gran cavolo sotto il braccio e resta esterre­fatta a guardare i due)

Alfeo                (Inchinandosi e stando al giuoco) Prego, principessa. Sarebbe stato un vero piacere per me andare alla ricerca della vostra testa adorabile e riportarvela su di  un piatto d'argento.

Fausta             (Ridendo) Che bello! Adoro le storie deformate: sbattere in aria i miti, la Bibbia, tutto. E saper sempre ridere di se stessi. Molto importante!

Santina            Dio che colpo! Ho creduto che facevate sul serio. Non ce ne sarebbero mancati che altri due col cervello toccato a quella ma­niera! Giuro che avrei scelto seduta stante la clinica di Biagio Pastore.

Fausta             Cosa fai con quel cavolo sotto il braccio?

Santina            Niente. Volevo chiedere al signore se gli piacciono ripieni. Vi è molta gente che non può sopportare i cavoli.

Alfeo                Signora...

Santina            Signorina, ma mi chiami pure Santina, come tutti.

Alfeo                Ecco, Santina, lei non mi crederà, ma io sopporto tutto, mangio dì tutto e insomma ci terrei che nessuno mi desse importanza. Voi dovete continuare a vivere come se io non esistessi.

Santina            Va bene.  Cavoli  ripieni.  (Esce)

Alfeo                Buona trovata quella del sonnambulo. Come le è venuta in mente?

Fausta             Si fa quel che si può per salvare i nuovi arrivati da quelle due.

Alfeo                Come sta la coniglia?

Fausta             Uh a proposito! Bisogna che le trovi una gabbia al più presto possibile.

Enrico             (Facendo capolino) Se ne è andata la nobiltà? Allora entro. (Ha la macchina fotografica a tracolla)

Raul                 (Seguendolo) Ecco la nostra cara Diana cacciatrice!

Fausta             Ecco il nostro caro rompiballe cacciatore! Spero non avrai raccontato la storia a Matteo, altrimenti la rottura sarà doppia e per giunta coniugale.

Enrico             Lui gliel'ha raccontata ma sono io che ho strappato Matteo fuori dal letto. O tu pensi di poter tirare schioppettate all'alba e metterti a urlare in seguito come urlavi, senza che nessuno si allarmi?

Fausta             (Indicando Alfeo) Questo signore, per esempio, non sì è al­larma to.

Enrico             Bel ragionamento! Ma questo signore... a proposito di questo signore... gli hai detto che.. .

Fausta             Ah no! Io non gli ho detto proprio nulla.

Enrico             E dunque nessuno gli ha ancora spiegato che... che... Senti Raul facciamo così:   tu gli spieghi e io gli faccio le foto.

Raul                 Senta signore. Io sono cacciatore e vado per le spicce. Questa mattina, quando lei saliva e Fausta scendeva sulla mulattiera ur­lando... si ricorda no? ecco: è perché... perché aveva appena spa­rato a una coniglia. Lo sapeva lei questo?

Alfeo                Certo. So perfino che è una coniglia con otto figli o forse nove.

Fausta             Nove nove. Ma mi occorre una gabbia. Per ora non scappa perché l'ho ferita leggermente a una zampina, ma tra qualche gior­no, se non ha una gabbia, chi s'è visto s'è visto. Chi di voi sa costruirmi al più presto una bella gabbia grande grande?

Enrico             Adesso lascia stare le gabbie e fai continuare a Raul.

Raul                 (Ad Alfeo) Cosa le stavo dicendo?

Alfeo                Che la signora ha sparato a una coniglia.

Raul                 Con nove figli. Già. ma questo non c'entra con quello che le devo dire. Ecco: lei deve sapere che noi... cioè che lei... insomma che noi tutti... siamo... siamo ormai come una grande famiglia. Capisce?

Alfeo                No.

Raul                 Mi spiegherò meglio. Voglio dire che siamo ormai come una grande famiglia legati... legati, ecco il punto, legati indissolubil­mente gli uni agli altri nella buona e nella cattiva sorte... Comincio a rendere l'idea?

Alfeo                No.

Fausta             Raul: tu sarai un gran cacciatore ma in quanto a spiegare le situazioni scabrose non vali una cicca matta. (Ad Alfeo, decisa) Lei ha già sentito parlare di Aretusa?

Alfeo                Aretusa, la ninfa?

Fausta             Quale ninfa?!

Alfeo                La ninfa che per sottrarsi all'amore del dio Alfeo fu mutata in fonte da Artemide.

Enrico             Si chiamava Aretusa?

Alfeo                Già.

Raul                 Questa poi!

Fausta             No ma io credo che non stiamo parlando della stessa persona. Cioè... della stessa cosa. Aretusa, quella che noi intendiamo, non ha niente a che vedere con la mitologia. È un morbo.

Alfeo                Ho capito.

(Lunga pausa imbarazzatissima da parte dei tre, mentre Alfeo con­tinua a bere perfettamente a suo agio)

Enrico             Beh, chi è che continua adesso?

Raul                 Io e stavolta sparo tutto in un colpo. (Ad Alfeo solennemente) Signore:   lei  è  irrimediabilmente  ormai  affetto  da  questo  morbo.

Matteo             (Entra sempre in pigiama stirandosi e sbadigliando) Cos'è sta puzza di cavoli? Non vi è niente di più sgradevole che esser svegliati dai cattivi odori.

Fausta             (Ad Alfeo) Le presento mio marito. In generale dorme. Si consideri quindi fortunato di trovarlo sveglio.

Matteo             Che discorsi! Sempre tutti ad attaccarmi perché adoro dormi­re. Cosa volete che faccia in questo fottuto castello? Non mi sento nobile come quelle due sceme, ne ho la stoffa del maggiordomo come quel faccia di merda, non sono orologiaio, non ho predisposizioni né per la caccia ne per la fotografia e cosa volete che faccia? Se non dormissi, sarei costretto a tirarmi un colpo.

Raul                 « Costretto costretto »... Se è solo per il colpo, gli amici servono pure a qualcosa:  non hai che da dirmelo...

Matteo             A proposito di colpi: devo aver sognato di schioppettate e che qualcuno urlava... una donna, mi sembra... forse tu Fausta... ma, non riesco a ricordare! A chi dicevi di presentarmi?

Enrico             (A Raul) Tu quando aspetti a tirargli questo colpo?

Fausta             Ascoltami bene Matteo: questo signore... scusi, non conoscia­mo ancora il suo nome.

Alfeo                Alfeo.

Fausta             Ecco, Alfeo... (si  ferma di colpo) Come ha detto?

Alfeo                Alfeo.

Enrico             Alfeo come... come quel dio innamorato della ninfa che di­ceva  poco fa?

Alfeo                Precisamente.

Raul                  ...la ninfa Aretusa che fu trasformata in fonte da Artemide?

Alfeo                Esatto.  (I tre si guardano perplessi)

Fausta             Scusi, ma lei, cosa diavolo faceva stamattina all'alba nelle vi­cinanze del castello?

Michele            (Irrompendo fuor di sé dalla gioia) Sono riuscito! Sono riu­scito! Ah come sono contento! Oh che sollievo! Finalmente! Oh che sollievo!

Tutti                 (salvo Alfeo, stringendolo attorno) La pendola?! Funziona?  Bravo!  Complimenti!  Possiamo  vederla?

Michele            Sì sì ce l'ho proprio fatta; quattro calci e una martellata, così non ci penso più, a quella vacca!

Santina            (Entrando) I cavoli sono pronti ma vi fa niente se man­giamo in cucina perché...

Enrico             (Con un balzo improvviso, schiena al pubblico, macchina in posizione di scatto) Fermi tutti per amor di Dio! Una foto così, con un po' di fortuna, facciamo epoca!

(Restano tutti immobili nella loro posizione per un lungo istante. Buio)


SECONDO TEMPO

Stessa scena. Buio. Santina e Anselmo entrano portando dei candelabri che illumineranno improvvisamente tutti i personaggi seduti attorno alla tavola per una seduta spiritica, Caterina e Alfeo dovranno essere seduti accanto e saranno i soli a dar le spalle al pubblico. Caterina farà da medium.

Caterina          (Avrà persa tutta la sua aria nobile) Senti, spirito della malora: o ci sei o non ci sei. Siam qui da tre ore a pregarti di farti sentire! Ma chi ti credi di essere? Se non vuoi manifestarti, va all'Inferno.

(Si sente un gran colpo e tutti sobbalzano. Ma è solo Anselmo che, nell'uscire, è inciampato e caduto)

Santina            (Aiutandolo a rialzarsi) Ti sei fatto male?

Anselmo          No.  Per fortuna  avevo già posato il candelabro.

Santina            E puoi dirlo « per fortuna! » Non ci sarebbe mancato che l'incendio in questo castello!

Caterina          Dico:  voi due! O prendete parte alla seduta o ve ne andate.

Anselmo          Ce ne andiamo, contessa, ce ne andiamo.

Santina            Sì sì: noi ce ne andiamo in cucina a giocare a dama. (Escono)

Caterina          Dunque... ho perso il filo...

Raul                 Stavate incazzandovi con lo spirito, contessa.

Caterina          Grazie. Silenzio prego e concentrazione. (Lunga pausa) Ec­co... ecco che arriva! Eccolo finalmente! Sì sì... arriva... Mi sento... mi sento trasportata... Non sono più io... (Cambia completamente voce, smettendo l'accento napoletano) Ma a voi che cosa ve ne frega di sapere chi sono? Sono lo spirito di chi voglio. Sono uno spirito indipendente al quale state rompendo l'anima da tre ore. Vi chiedo io chi siete? Non ve lo dico chi sono e all'Inferno andateci voi, banda di imbecilli!

Michele            (A Raul) Si può sapere cosa cazzo dice?

Raul                 Spirito indipendente: ti dispiace parlate più forte? Perché qui, se dovrò tradurre,  alla fine rimarrò senza voce.

Caterina          Parlo come voglio. E l'orologiaio la pianti di fare il pagliac­cio fingendosi sordo! Non è sordo affatto ma a forza di farlo, di isolarsi e immalinconirsi sta diventando catatonico.

Michele            Sto diventando  cata... cosa!?

Caterina          Ca-ta-to-ni-co: vuol dire che avrai delle crisi di immobilità muscolari anche mimiche e tutti ti crederanno morto.

Michele            Senti, spirito del malaugurio: occupati dei tuoi fottuti af­fari e non più dei miei.

Caterina          E tu vattene da questa assemblea.

Michele           Neanche per  sogno.  Sto  prendendomi una cotta  della  tua voce angelica.

Caterina          Basta adesso! Sta' zitto o ti porto fuori a calci nel sedere, A questo tavolo, già vi è un altro peso morto o spirito contrario che mi fa fare una fatica boia...

(Nella pausa che segue si sente un leggero  russare)

Fausta             (Scuotendo Matteo, sempre in pigiama, che si è addormen­tato sul  tavolo) Matteo...  svegliati...  svegliati!

Matteo             Che svegliati! Mi sto concentrando!

Fausta             Sì e sei talmente concentrato che russi come un porco.

Matteo             Tu sogni!

Fausta             E bravo!   Ora sta a  vedere che chi  dorme  sono io.

Caterina          Matteo.

Matteo             Eh, sono qui!

Caterina          Lo so che sei lì, ma sei lì solo col corpo e mi disturbi. Vai a letto.

Matteo             Mi sono  alzato  un'ora fa.

Caterina          Tornaci.

Matteo             Se proprio insisti...

Caterina          Non insisto: ti consiglio. Ma chiediti una buona volta perché non fai  altro  che dormire

Matteo             Sono gli effetti del morbo.

Caterina          Non raccontar balle. Tu non hai ancora nessun effetto del morbo.

Matteo             Ah no?

Caterina          No.

Matteo             E tu come fai a saperlo?

Caterina          Io so  tutto.

Matteo             E  allora,  secondo  te, perché  continuo a  dormire?

Caterina          Perché hai paura:  una fifa stramaledetta.

Matteo             Io?! Mai avuto fifa in vita mia. E poi di cosa dovrei aver paura?

Caterina          Tu hai paura di tutto. Del morbo, di tua moglie, dei tuoi amici, della vita e della morte e scappi dormendo. Vi è gente che per scappare alle paure, mangia o diventa aggressiva o va al ci­nema, tu: dormi.

Matteo             (Si alza) Grazie per l'analisi. Se vuoi mandarmi il conto a casa conosci l'indirizzo.

Caterina          Lo spirito non  ti si addice.

Matteo             Il  tuo,  in ogni caso,  no!

Michele            (Alzandosi) E siamo in due. Matteo: hai ancora di quel fa­moso Bourgogne in camera tua?

Matteo             Credo di sì...

Michele            Vengo a tenerti compagnia.

Matteo             Va bene, ma se per caso mi addormento...

Michele            Non ti preoccupare: finirò da solo il Bourgogne.

(Escono)

(Pausa)

Margherita      Spirito indipendente:  posso farti una domanda?

Caterina          Fammela.

Margherita      Vorrei sapere se la persona alla quale penso mi ama sempre.

Caterina          Per chi mi prendi? Per una margherita? Tu lo ami sempre?

Margherita      Oh  sì,  sempre e  sempre  tanto!

Caterina          E non ti basta? (Un tempo) Enrico.

Enrico             Dici a  me?

Caterina          Già. Non vi sono altri Enrichi qui, che io sappia. Perché stai pensando che la contessa Margherita è scema? Non è scema: è innamorata. E se è scema lei, sei scemo anche tu.

Enrico             Io non ho pensato che è scema perché è innamorata: ho pensato che è scema a far certe domande.

Margherita      Voi uomini non avete mai capito e non capirete mai niente dell'amore.

Enrico             Giusto contessa: a cominciare da quando abbiamo mangiato il pomo.

Margherita      Il pomo e tutto da ridiscutere. Potevate, benissimo resi­stere.  Lo avete mangiato perché siete dei deboli per natura.

Enrico             Di bene in meglio contessa: voi invece, le Eve, ce lo avete offerto perché siete la forza stessa della  resistenza.

Caterina          I vostri dibattiti sulla genesi andate a farli altrove. Vi è una splendida luna questa notte e il vento è caduto. Fatevi una bella passeggiata. (Pausa) Cosa aspettate? Ho detto a voi: Enrico e Margherita. Piantatela di amarvi in silenzio come due adolescenti del Medio Evo. Siamo nel duemila! Fuori dai piedi.

(I due si alzano lentamente guardandosi come affascinati ed escono tenendosi per  mano)

Caterina          Se qualcuno ha altre domande si sbrighi perché il corpo di questa contessa falsa, vera o quello che è, comincia a darmi la clau-strofobia e me ne voglio uscire. (Un tempo) Fausta: sei tu che piangi?

Fausta             No...

Caterina          Come no!  Stai piangendo che sembri una vite tagliata.

Fausta             Piango perché... perché Enrico e Margherita mi hanno com­mossa...

Caterina          Già, Ma questa è soltanto la ragione apparente. Il tuo pianto ha altre radici.

Simona            Spirito indipendente: grazie per il tuo intervento. Hai detto che vuoi  andartene: tanti  saluti. Nessuno più  ti trattiene,

Caterina          Simona: di  che hai paura?

Simona            Ah no! Con me niente giuoco della verità perché ti avverto che sono più forte di te.

Caterina          Simona: di che hai paura?

Simona            Non ho paura per me. Dovresti saperlo, tu che sai tutto. Ho paura per quelli che non sopportano di sentirsi dire la verità.

Fausta             Dici per me?                

Raul                 È per me che lo dici?     (insieme)

Simona            Ma no. Dico per me.

Fausta             Quale verità?

Raul                 Appunto. Di quale verità stai parlando?

Simona            (Li guarda un attimo sfidandoli) Della mia. State tranquilli. Nessuno la scopre, la vostra verità. Parlavo della mia. State tran­quilli.

Fausta             Simona: tu puoi anche non credermi, ma io ti voglio molto molto bene...

Simona            Scusa: perché non dovrei crederti e perché questa improvvisa dichiarazione d'amore?

Caterina          Attenta Fausta: ti stai insabbiando.

Fausta             Io... io... non ne posso più!

Caterina          Appunto. È la testa sotto la sabbia che ti soffoca. Sollevala e guarda la realtà in faccia.

Fausta             Mi sento incapace di qualsiasi cosa. Mi sento come tirata da tutte le parti e mi lascio andare... mi sento andare alla deriva…

Caterina          Tu puoi fate molto, ad esempio, per tuo marito. Scuotilo. Aiutalo a superare le  sue paure.

Fausta             Dorme sempre...  hai ben visto...

Caterina          Sveglialo! Saltagli addosso, violentalo! Ti sto dicendo anche fisicamente:   lo puoi fare e lo devi fare!  Aiuterà te e lui.

Fausta             Non lo amo più.

Caterina          Non è vero. È come un fuoco che non hai alimentato da troppo tempo: lo credi spento ma la cenere è ancora calda e ba­sterà poco per farlo divampare di nuovo.

Fausta              Mi ci proverò.

Caterina          Provaci subito. Sbatti fuori l'orologiaio e se non vuole an­darsene tiragli il Bourgogne in testa.

Fausta             (Alzandosi)  Va bene.

Caterina          E via quell'aria rassegnata. Hai tanta di quell'energia  tu! Vai e impiegala bene. (Fausta esce)

(Durante la scena seguente, Caterina piano piano abbandonerà la testa sul tavolo)

Raul                 (A Simona) Di quale verità parlavi tu, prima?

Simona            Della mia.

Raul                 Questo l'ho capito. Quello che non ho capito è perché l'hai tirata in ballo senza specificarla.

Simona            Raul: cosa  vuoi sapere?

Raul                 Non lo so. Forse niente. Forse tutto. Quando si ama mi sembra logico.

Simona            Vi siete passati la parola per farmi le dichiarazioni d'amore, questa notte? Anch'io ti amo Raul. Molto! Ma vedi caro: amo anche lui.

Raul                 Lui?! Lui chi?

Simona            Alfeo. Dal primo momento che ci siamo visti. Il classico colpo di fulmine.  (Pausa)

Raul                 Simona;  perché me lo hai detto?

Simona            Per farti capire che non capita solo a te o a Fausta. Per farti capire che è umano e che può capitare a tutti.

Raul                 Ma  tu...  come mai?  Tu così...

Simona            Integra, fedele, al disopra di ogni sospetto? Nessuno è in­vulnerabile nei sentimenti. Da secoli ci siamo purtroppo abituati a considerare il coniuge come una proprietà privata: è falso e inu­mano.

Raul                 All'inizio noi eravamo convinti che esistesse una fedeltà istin­tiva e una fedeltà ragionata: ci siamo sposati in questo preciso spirito. Non lo puoi negare.

Simona            Non Io nego. Ma all'inizio era solo la teoria, mentre lo svol­gersi della pratica ti presenta tutto un altro lato della realtà. Come vedi è successo anche a te.

Raul                 Il mio non è stato un colpo di fulmine!

Simona            Cos'è che ti fa impressione? Il lampo o il tuono? Non cambia niente. È solo una questione di forma.

Raul                 Non è vero! La mia storia con Fausta è tutta particolare e non ha niente a che vedere con il mio amore per te.

Simona            Io ti credo. Ma sei tu che non vuoi capire che la mia storia con Alfeo è tutta particolare e non ha niente a che vedere con il mio amore per te.

Raul                 Eh no cara;  Fausta ha delle attenuanti che tu non hai!

Simona            Sarebbero?

Raul                 Per cominciare, un marito eternamente in letargo.

Simona            E le tue attenuanti quali sono?

Raul                 E le tue?

Simona            Le  mie?  Ma io non credo nelle attenuanti. Non  esistono, per me, le attenuanti. Sei tu che le vai cercando. Io accetto la realtà così com'è,

Raul                 Fausta è la più ossessionata di tutti dall'idea del morbo.

Simona            È  un'altra  attenuante?

Raul                 È una verità.

Simona            Qui tutti io siamo ossessionati. Mentre per i comuni mortali, la morte resta sempre soltanto un fantasma, per noi è una presenza reale  che  tocchiamo minuto per minuto.

Raul                 Fausta ha già tentato due volte di suicidarsi. Anche quella volta, la storia della coniglia, era vera solo in parte.

(Alfeo, seduto immobile fino a questo momento di fianco a Caterina, comincerà a scuoterla toccandole una spalla e a chiamarla da prima piano, poi sempre più forte)

Alfeo                Contessa Caterina... contessa Caterina...

(si alzerà e le solle­verà la testa che ricadrà sul tavolo)

Contessa Caterina...

(Di nuovo le prenderà la testa tra le mani sollevandole una palpebra. Starà un lungo attimo così a guardarla e le rimetterà dolcemente la testa sul tavolo. Al pubblico)

È morta.

(Insieme Raul e Simona si alzeranno. Andranno a prendere un candelabro ciascuno. Si metteranno uno a destra l'altra a sinistra della scena e soffieranno sulle candele. Buio completo.

Le luci si riaccendono qualche minuto dopo e sono in scena Fausta e Santina:   quest'ultima detta e l'altra scrive)

Santina            Farina integrale per pane, solita razione. Tre tubi di latte condensato. Tre scatole dì pelati. Sementi: di piselli, carote, prez­zemolo semplice, cipolle, aglio, porri, sedano, viole del pensiero...

Fausta             Viole?!

Santina            Del pensiero. Hai scritto?

Fausta             Ho  scritto. Ma che vuoi darci da mangiare?  Anche le viole del  pensiero  adesso?

Santina            Ma no! Le viole del pensiero le voglio piantare sulla tomba della contessa Caterina.

Fausta             Ho capito. Andiamo avanti.

Santina            Un paio di mocassini neri, maschili, numero quarantacinque...

Fausta             È  arrivato  il  gigante Golia al castello?

Santina            Sono per Anselmo. Un pigiama maschile di cotone possibil­mente  blu, grandezza  sette...

Fausta             E questo dev'essere per il consorte. Ma perché blu?

Santina            Non lo so. Mezz'ora fa, il tuo Matteo, sì è alzato, è venuto di là in cucina e mi ha detto: « Santina, ricordati del mio pigiama possibilmente blu » ed è tornato a letto.

Fausta             Macché blu. Il blu gli sta male ed è un colore deprimente. Io  glielo comando verde, colore della speranza.

Santina            Verde?! Ma sei matta? Io non ci andrei mai a letto con un uomo che indossa un pigiama verde. Santo cielo! Deve assomi­gliare a un ramarro.

Fausta             Non ti preoccupare dato che a letto con Matteo ci vado io e a me i ramarri non mi hanno mai fatto né caldo ne freddo. Poi?

Santina            Fammi riflettere. Qui tutta sta gente mi prende per la sua agenda personale:   « Santina ricordati qui,  Santina ricordati là... »

Fausta             Sei tu che lì hai abituati male. Non hai che da rispondere: «Andate personalmente all'elicottero ed esprimete i vostri desideri».

Santina            Sì, li vedi tutti all'elicottero a esprimere i loro desideri? Mica è la trasmissione di « musica richiesta ». Quel poveretto che trascrive impazzirebbe.

Fausta             Santina: andiamo avanti. L'ora dell'elicottero s'avvicina. Sia­mo a posto con gli  alimenti?

Santina            No. Aspetta... Ah!  Mezza dozzina di salsicce di fegato...

Fausta             Ancora? Non mi dirai che sono di nuovo per la contessa Margherita!

Santina            Ma sì che son per lei.

Fausta             Cosa succede a quella? È la terza volta che le comanda in questa settimana! Vi è altro?

Michele            (Entrando) State facendo la lista? Santina non ti dimenticare i miei sonniferi.

Santina            Te li abbiamo già comandati l'ultima volta ma non sono ar­rivati.

Michele            Ricomandali e sottolinea. Io non posso più dormire e ci di­vento matto.

Fausta             Inutile ricomandarli. Non avete letto l'ultimo messaggio del dottor Pastore? « Proibiti nel modo più assoluto qualsiasi genere di sonniferi agli affetti dal morbo di Aretusa. »

Michele            Cosa!! Ma io me lo mangio vivo il can pastore, quel brutto animale! E prima di mangiarmelo i suoi messaggi glieli metto...

Santina            Non urlare e non dire le tue solite volgarità che non servono a niente. Tu soffri d'insonnia da quando non fai più il sordo. Rico­mincia a fare il sordo così non hai bisogno dì sonniferi.

Michele            (Fuor di sé) Santina: non dire stronzate! Non ti ricordi cosa mi ha detto quel fottuto spirito in quella famosa serata? Se faccio il sordo divento castratonico.

Fausta             Catatonico, bestia!

Michele            Per me fa lo stesso. E comunque così non posso stare! Santina    A partire da questa sera, ti faccio una bella tazza di camo­milla di quella nostrana che coltivo io...

Michele            ...dopo di che mi canti una bella ninna nanna e mi rimbocchi le coperte. La camomilla! Capirai l'effetto: come strappare un pelo a un elefante. Venisse un colpo al can pastore e a tutta la sua razza e discendenza...  (esce continuando la litania)

Fausta             Abbiamo finito?

Santino            No. Anche Enrico vuole le sue solite pellicole e Raul i suoi soliti colpi.

Fausta             No.

Santino            Cosa no?

Fausta             I colpi per Raul fingiamo di scordarceli.

Santina            Cosa ti salta in mente? Poi chi lo sente il « rosario »?

Fausta             Ci penso io.

Santina            Guarda che io non voglio responsabilità.

Fausta             Se ti dico che ci penso io!

Santina            Tu non hai bisogno niente?

Fausta             Non mi pare... No. Niente.

Santina            Simona niente e quell'altro... come si chiama? Non mi ricor­do mai il nome.

Fausta             Alfeo.

Santina            Ma sai che ci vuoi già un gran coraggio a battezzare un po­vero cristiano con quel nome?

Fausta             È il nome di un dio...

Santina            Come di un dio?

Fausta             Un dio della mitologia greca.

Santina            Ho capito. Forse perché è un dio, da quando è qui, non ha mai chiesto nemmeno una briciola di pane e sembra fatto d'aria: appare, scompare senza mai dire una parola.

Fausta             Se anche tu non hai bisogno niente, abbiamo finito.

Santina            Io? Ah già io! Ho bisogno un paio di scarpe di cuoio, non importa il colore, ma quello che devi specificare bene è il numero: la destra il 38, la sinistra il 34 e non come l'ultima volta che hanno fatto il contrario.

Fausta             Senza tacco?

Santina            Si capisce:  mi vedi con il tacco?

Fausta             (Scrivendo)  Sinistra trentaquattro.

Simona            (Entra) È pronta la lista? Buongiorno. L'elicottero sta per arrivare. Raul mi fa dire di non dimenticare i suoi colpi. Li ha finiti.

Santina            Ecco...

Fausta             Non li abbiamo dimenticati. (Le dà la lista) Grazie.

Simona            Grazie a voi. Arrivederci.

Fausta             Simona: se vuoi ti accompagno.

Simona            No. Perché?

Fausta             Ma perché vuoi sempre far da sola la sfaticata di portar la roba dal pianoro? Vi sono anche gli uomini...

Simona            Lo so. Si sono già offerti non so quante volte ma per me, non è una sfaticata:  è il mio unico sport, lasciatemelo fare in santa pace.

Fausta             Per una donna è molto nocivo portar pesi...

Simona            Me l'hai già detto Fausta, ma io sono una donna astratta. (Esce)

Fausta             Hai capito? Lei è una donna  astratta.

Santina            Ho capito sì. E quell'altro è un dio:  insomma siamo in pieno Paradiso! Io vado. (Esce)

Margherita      (Entra.  È completamente cambiata:   anche nel vestire è naturale e potrebbe perfino essere in jeans) Ciao Fausta. Hai visto per caso Anselmo?

Fausta             Ciao. No. Non l'ho visto. Perché?

Margherita      Lo cerco per dirgli di non cucinarmi le salsicce di fegato. A un tratto me ne è passata la voglia. Anzi. Mi viene la nausea solo al pensarle.

Fausta             (Ha smesso di limarsi le unghie e la guarda) Va bene. Se lo vedo glielo dico.

Margherita      Mi dispiace. Bisognerà buttarle via. Non piacciono a nes­suno qui...

Fausta             Già.   (Continua a  guardarla)

Margherita      Fausta:  è vero che tu sei un'ostetrica?

Fausta             Già.

Margherita      Sai... credo di essere incinta. Anzi:  ne sono sicura. Da due mesi.

Fausta             Sei incinta da due mesi o ne sei sicura da due mesi?

Margherita      Non lo so.

Fausta             Come, non lo sai?

Margherita      Non lo so. Cosa vuoi che me ne importi? Sono talmente felice!

Fausta             Non è possibile!

Margherita    Perché?

Fausta             (La sua rabbia deve crescere in rapporto alla calma dell'altra) No dico:  non è possibile essere più incoscienti!

(Entra Enrico con fotografica a tracolla)

Fausta             (Investendolo) E tu sei un idiota!

Enrico             Magari, ma ti giuro che sono appena riuscito a fotografare un uccello che neanche un padreterno della fotografia ci sarebbe arri­vato!

Fausta             (Furibonda) Ma guarda questo!  Fotografa gli uccelli, lui!

Enrico             Perché, è proibito?   (a  Margherita)  Tu  l'hai  già vista così, lei che è sempre la calma in carne ed ossa? Si può sapere cosa le succede?

Margherita      Le  ho appena detto che...

Enrico             Ah capisco!

Fausta             Roba da matti! Siamo in una situazione da suicidio collettivo, e loro procreano!

Enrico             Ma sì, hai ragione Fausta però, cosa vuoi, sai benissimo come succedono  certe cose...

Fausta             Appunto perché so benissimo come  succedono certe cose, ti ripeto che sei un idiota!

Anselmo          (Entrando)  Buongiorno  a tutti. Contessa:   come gliele fac­cio questa volta le salsicce?  A lesso o in umido?

(Margherita ha un conato di vomito ed esce correndo, portandosi un fazzoletto alla bocca)

Anselmo          Si sente male la contessa?

Fausta             Già, si sente male, la contessa e mi sento male anch'io:   mi sta per scoppiare la bile.

(Esce dalla stessa parte di Margherita)

Anselmo          Ma si può sapere cosa succede?

Enrico             Niente Anselmo. Donne:  tutte matte.

Anselmo          Ma  la contessa Margherita...

Enrico             Ti   dirò  la  verità  Anselmo:   la  contessa  Margherita  sta  per diventare madre e io padre.

Anselmo          Uh Dio Dio!!  Condoglianze!

Enrico             Grazie  Anselmo. 

(Escono:   scena  vuota  per  qualche  istante.

Poi entra Simona con il  solito pacco.  Attraversa la scena, prima d'uscire si volta e fissa un punto della scena dove vi sarà una sedia isolata)

Simona            Ah sei qui, tu!  Lo immaginavo. Aspettami. Porto di là la roba e torno.  Intanto accomodati.  (Esce)

Raul                 (Entra con un giornale e sta per sedersi sulla sedia indicata da Simona  quando questa  rientrerà)

Simona            Non sederti su quella sedia!  (Quasi gridato)

Raul                 Perché? È sporca?

Simona            No. È già occupata.

Raul                 Stai sognando?  (Sta per sedersi)

Simona            (Saltandogli  addosso) Ti dico  che è già occupata!

Raul                 Ma cos'è,  uno  scherzo?

Simona            Pensala come vuoi ma non  ti sedere  su quella sedia.

Raul                 E va bene.  Mi  siederò  su  un'altra  sedia.  Ti va  questa?   (Ne prende un'altra)

Simona            (Gliela toglie di mano dolcemente e lo abbraccia)  Senti tesoro: ti   spiacerebbe  andate   da   un'altra   parte   a   leggere   il   tuo giornale?

Raul                 Ma perché?   Io, il giornale,  sono abituato  a leggerlo qui.

Simona            Raul caro:   te ne prego!  (E lo bacia su di una guancia)

Raul                 Eh certo che se mi fai le fusa così, non d resisto. (Sta per andarsene e si volta) A proposito: come vanno i  tuoi amori?

Simona            Tranquillamente. E i tuoi?

Raul                 Tranquillamente... si spengono.

Simona            Dev'essere il destino di quasi tutti gli amori che escono dai binari legali.

Raul                 Dici? Beh, vuol dire che invecchieremo insieme.

Simona            Aretusa permettendo.

Raul                 Già.  Aretusa  permettendo.

Matteo             (Entra, una volta tanto vestito e non più in pigiama) Volete sentirne  una?  Anzi:   due?   (Sta per  sedersi sulla  « solita »  sedia)

Simona            (c.s.) Non sederti su quella sedia!

Matteo             Perché? È rotta?

Raul                 Matteo, non far domande. Tira fuori la tua una, anzi, le tue due  e poi ce ne andiamo insieme  a fare  una bella  passeggiata.

Matteo             Dunque, la prima: tutt'a un tratto mi è passato completa­mente il sonno.

Raul                 Non  mi dire!

Simona            E la seconda?

Matteo             E la seconda è che mi sto innamorando come un pazzo di mia moglie.

Raul                 E sfido: ti sei svegliato. La seconda è soltanto una conseguenza della prima. Andiamo che mi racconti... (Si gira e manda un bacio a  Simona,   strizzandole  l'occhio.  Escono)

Simona            (Girando attorno  alla  sedia)  Dunque  sei qui,  finalmente. (Apre il mobiletto e si serve da bere) Non bevo mai, ma la tua venuta merita un brindisi. Tu  non bevi suppongo. Salute! (Beve. Posa il bicchiere e si siede di fianco alla sedia) E adesso, vecchia baldracca, ascoltami bene. No!  Non muoverti. Devi  ascoltarmi  fino  in  fondo  visto  che   ti sei  degnata  di  farti vedere. Io so benissimo che puoi distruggermi soltanto battendo le ciglia ma io SO,* capisci? mentre tu non sai: io ti conosco, tu non mi conosci. Tu colpisci cieca e sorda:   non hai anima, non hai cuore, non hai vita, non hai niente come le pietre. Noi abbiamo tutto:  l'amore, la speranza, la voglia di libertà, la gioia di vivere. (Si alza) E ora dimmi:  chi vuoi? Non rispondi? Chi sei venuta a prendere  questa volta?   Perché  non rispondi?   Devo  indovinare? Vediamo un po'...  Santina?  Michele?  Fausta?  O forse Raul?  O me. Si può sapere chi vuoi questa volta, vecchia infame? E muoviti, adesso!  Parla!  Colpisci chi vuoi!   Io ho finito.

Alfeo                (Entra alle spalle di  Simona e la chiama piano) Simona.

Simona            (Si gira di scatto e gli indica la sedia) La vedi? La riconosci?

Alfeo                La riconosco. Calmati  Simona.

Simona            Che calmati e calmati! Mi sta esasperando. Le ho detto quel che pensavo.  L'ho  anche  insultata.  Che  aspetta  a colpirmi?

Alfeo                (La prende per le  spalle) Non gridare. Basta  Simona.

Simona            (Tenta di liberarsi) Lasciami. Perché non se ne va? Cacciala via! Non posso più vederla con quella sua immobilità di statua, non posso più vedere quei suoi occhi spenti. Se non se ne va lei, me  ne  vado io.  Non  resisto più.  Lasciami!

Alfeo                (Tentando  di farla voltare verso la  sedia)  Guarda Simona.

Simona            No.  Lasciami  andare.  Non  posso più vederla ti dico!

Alfeo                Guarda  Simona:   è sparita.

Simona            (Si gira lentamente e va a toccare la sedia, ancora incredula) È sparita! Oh Dio, è vero: è sparita! Ma forse... forse si è portata via qualcuno...

Alfeo                No. Avrebbe preso te, se mai, o me.

Simona            Tu credi?

Alfeo                Ne sono  certo.

Simona.           Ma io non mi sentirò tranquilla finché li rivedrò tutti.

(Buio e si sente il motore di un elicottero che poi andrà morendo. Luce. I dieci personaggi sono in scena tutti come all'inizio del se­condo tempo, seduti attorno alla tavola. Raul a capotavola, legge ad  alta voce un articolo di  giornale.  Alfeo è staccato  dagli altri)

Raul                 « Il morbo di Aretusa finalmente e decisamente vinto. Lo an­nuncia il dottor Biagio Pastore che da anni sta lottando contro il misterioso male. Questo bravo scienziato, inventore del famoso siero... »Devo  leggervi tutto l'articolo?

Tutti                 Nooo!!! (tranne Alfeo)

Raul                 (Piega lentamente il giornale e dopo una lunga pausa dirà) Beh, signori:   cosa decidiamo?

Michele            Io decido un brutto accidente che se li porti tutti quanti all'Inferno!

Santina            Io ho già deciso: dal castello non mi muovo più.

Anselmo          E  io nemmeno:  è il  posto più ideale per morirci.

Michele            Ma vi ha dato di volta il cervello? Non mi direte che vi rifiutate di guarire!

Fausta             Io non mi rifiuto di guarire: io mi rifiuto di guarire in quello schifo di clinica.

Enrico             Giusto. Se il siero è veramente efficace, non vedo perché non ce lo possano portare qui.

Simona            Certo. Stai tranquillo. Ce lo buttano con il prossimo elicot­tero.

Fausta             (A Margherita) Tu comunque, te ne devi andare al più presto.

Margherita      Io?!   Perché?

Fausta             Chissà perché. Vuoi che ti faccia un disegnino?

Margherita      Io  non  mi muovo  di  qui.  Vero  Enrico?

Enrico             Vero. Noi non ci  muoviamo di qui.

Rati!                (Ad Alfeo) E lei, non dice niente?

Alfeo                Io sto aspettando un segno.

Raul                 Un segno?!  Quale segno?

Alfeo                Il segno della morte dì Aretusa. L'annuncio della liberazione del castello.

Tutti                 (Salvo Simona) Ma cosa dice? È pazzo? Quale segno? Ha bevuto? Che segno?

Alfeo                Silenzio signori. Ascoltate.

(Le luci si abbassano al minimo e si sentono da prima piano poi sempre più forte i rintocchi della pendola)

Michele            (Si alza e grida) La pendola! La mia pendola! Funziona! Chissà per quale diavolo di miracolo ma suona finalmente, quella porca! L'avevo spaccata ma funziona, sentitela... (Corre fuori gri­dando mentre la pendola continua a suonare sempre più forte) È lei, è la mia pendola, suona... funziona finalmente!

(La voce si allontanerà. Buio.  Ma la pendola continuerà a  suonare)

FINE

Secondo me, registi e accori hanno sempre diritto di conoscere in quale spi­rito è stata scritta la commedia, almeno, quando la commedia, pur basandosi su di una chiave ben precisa, si presta a più interpretazioni. I personaggi di questo testo, salvo Simona e Alfeo, sono tutti reali ma si muovono nel clima di una storia che non Io è affatto. Alfeo e Simona sono personaggi più che altro simbolici ma essi pure hanno una realtà non trascurabile fatta, per esempio, di battute che potrebbero contrastare con l'identità del loro personaggio, ma appunto perché il loro personaggio è ambiguo, tra il reale e il simbolico. Tutti i personaggi sono intelligenti, basti pensare alla loro scelta del « castellaccio » e al modo come ognuno si difende dalla realtà della morte. Si badi quindi a non farne dei perso­naggi farseschi. Per quanto riguarda la storia è da ricordare che Alfeo, nella mito­logia, attraversò il mare dalla Grecia all'isola Ortigia davanti a Siracusa. dove finalmente raggiunse la ninfa che la mia invenzione ha voluto come « personaggio-morbo » di Aretusa. La venuta di Alfeo al « castellaccio » è quindi un parallelo. Nell'epilogo, non sarà poi Biagio Pastore a vincere il morbo, ma la Morte che viene a prendersi Aretusa stessa, come è detto da Simona durante il racconto, in forma profetica, ai medici:  « Voi non mi vincerete mai finché io stessa morirò. »

N.d.a.