Aristide

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ARISTIDE

DI CARLO GOLDONI

Drama Eroi-comico per Musica da rappresentarsi nel Teatro Grimani di S. Samuel dalla Compagnia de' Comici l'Autunno dell'Anno 1735. Di Calindo Grolo dedicato all'amico suo pastore

Linco Melliado

A LINCO MELLIADO PASTORE

SONETTO

Linco, non ti stupir, se a te mio Drama Dedico, e non a qualche alto soggetto; Amo più tosto il tuo leale affetto, Che nudrire nel seno avida brama.

Tu il sai per prova, ed io lo so per fama,

Ch'oggi ai Grandi un Poeta è poco accetto;

Ei consuma sui fogli il suo intelletto,

E spera in van mercede, e in vano esclama.

Erano, or più non son quei Mecenati

Ch'oro davan per Carmi, onde nel Mondo Chiara spandean la loro fama i Vati.

Nella capanna mia vivo giocondo; Canto sol per diletto, e degl'ingrati All'aspetto deforme io mi nascondo.

ARGOMENTO

Sono famose le guerre sostenute da' Greci contro Xerse, sesto re degli Assiri. Aristide, capitano degl'Ateniesi valoroso e sagace, servì in quelle congionture molto bene alla Patria. Su questo principio istorico è piantata la Favola che costituisce l'intreccio del presente brevissimo Drama, fingendo che Arsinoe, moglie d'Aristide, sia prigioniera di Xerse, e ch'egli amandola tenti tirannicamente di possederla, servendosi del mezzo di Cireno, suo capitano, parimenti acceso per Arsinoe; che Aristide, per iscoprir la fede della moglie fingendosi Moro, siasi introdotto nella reggia di Xerse, onde nascono gli accidenti che si leggono. Per rendere più dilettevole il Drama, si finge che Carino e Bellide, servi d'Aristide e d'Arsinoe, fatti prigionieri colla padrona, s'innamorino fra di loro, ed indi s'uniscano in matrimonio.

PROTESTA

Le parole Fato, Numi, Deità sono voci poetiche.


L'Autore crede da Cattolico.

Attori

XERSE re degli Assiri. Il Signor Nigandro Tipei. ARISTIDE capitano degli Ateniesi. Il Signor Asate Galocani. ARSINOE sua moglie. La Signora Sattalea Quapessali. CIRENO capitano di Xerse. Il Signor Limboldo Arecordi. BELLIDE serva d'Arsinoe. La Signora Agatea Murnesa. CARINO servo d'Aristide. Il Signor Regippe Musei.

La Musica è del signor Lotavio Vandini. Li Balli sono d'invenzione e direzione del Signor Antio Ricconi.

Mutazioni di Scene

SCENA PRIMA Cortile regio nel palagio di Xerse, con Fontana.

SCENA NONA Atrio magnifico con archi e statue.

Le suddette Scene sono d'invenzione del Signor Cassiogono Tambusi. Il Vestiario del Signor Candalan Niaci.

SCENA PRIMA

Cortile reale con fontana.

Aristide e Carino che dorme.

ARIS.                  Sei amor, sei timor, tu che mi guidi

Nell'empia reggia a riveder la sposa? Mille della sua fede Prove mi dié. Ma prigioniera oppressa, Temo che la sua fé non sia la stessa. Scoprasi dunque... Ma che miro! Al suolo Prosteso il servo mio riposa in pace? Ehi, Carino, Carino.

CAR.                   Chi mi sveglia? Il demonio? Oh me meschino!

ARIS.                  Perché fuggi così?

CAR.                                                Ahi, che mi sento

L'anima distillar per lo spavento.

ARIS.                  Non mi conosci ancor? Son io pur quello...

CAR.                   Vattene per pietà, demonio fello.

5

 ARIS.             Son pur quel tuo padron...

CAR.                Il mio padrone

   È Aristide di Grecia, e non Plutone.

ARIS.              Aristide son io.

CAR.                Lasciate un poco

   Che meglio vi contempli. Agli occhi, al naso,

   Alle spalle, alla vita, ai piedi, al tergo,

   Alla voce senz'altro io vi discerno.

   Adunque morto siete,

   E lo spirito vostro andò all'inferno.

ARIS.              No, che vivo son io.

   Questi neri colori

   Son da me finti ad arte,

CAR.                Per qual cagion?

ARIS.              Per iscoprir la fede

   Della consorte mia.

CAR.                Male, malissimo.

   Vi ponete, padrone, a un gran cimento.

   Chi sapere e veder troppo desia,

   Spesso discopre quel che non vorria.

ARIS.              Dimmi, sei noto al re?

CAR.                Sì, mi conosce

   Per un servo d'Arsinoe.

ARIS.              Eccolo appunto.

   Guarda non mi scoprir; con la tua morte

   Pagheresti il delitto. (si ritira)

CAR.                Non temete, signor, ch'io starò zitto.

SCENA SECONDA

   Xerse e detto.

XER.                Se il bel volto d'Arsinoe io mi rammento,

   Ardo d'amor. Ma se sovvienmi ch'ella

   Moglie è di quel per cui vacilla il regno,

   S'accende nel mio cor l'ira e lo sdegno.

   Che farò? Sì, risolvo

   Bearmi in lei pria che tramonti il giorno;

   Ma vuò che il regio affetto

   A me sia di piacere, a lei di scorno.

   Carino.

CAR.                Signor sire,

   Che comanda da me?

XER.                Tu questo foglio

   Reca ad Arsinoe.

CAR.                Oibò.

XER.                Come?

CAR.                Non voglio

   Che mi venghi sul dorso un qualche imbroglio.

XER.                   Prendilo, temerario. Io vuò che tosto

Ad Arsinoe lo porte,

O incontrerai nel mio furor la morte.
CAR.                   (Carino meschinello,

Ora sei fra l'incudine e il martello). (a parte)
XER.                   Risolviti, se no...

CAR.                                                Signor, lo prendo.

Di già far il mezzano

È l'uso familiar del cortigiano.
XER.                   Alla donna superba

Dirai, che se sottrarsi

Pensa dal mio volere, invan lo spera,

Ch'io son re vincitor, lei prigioniera.

Dille ch'io sono amante, Ma che son vincitor; Che adoro il suo sembiante, Ma tema il mio furor; Che posso, e voglio.

Dille che a mia grandezza Sua femminil fierezza È lieve scoglio. (parte)

SCENA TERZA

Aristide e Carino

CAR.                   Oh maledetto intrico!

ARIS.                                                    A me quel foglio.

CAR.                   No, per amor del cielo,

La mia vita è in periglio.

ARIS                   Servo indegno, infedel, con questo ferro

Esanimarti io voglio.

CAR.                   Per pietade la vita, eccovi il foglio.

ARIS.                  Infelice, che intesi?

Ama la sposa mia Xerse crudele, E con la forza ardisce Violentarla il superbo! Eterni Dei, Giuro di vendicar gli oltraggi miei.

Con questa spada

Farò che cada

L'empio, inumano,

Barbaro re. Voglio svenato

Quel dispietato,

Che levar tenta

La sposa a me.

SCENA QUARTA

   Carino, poi Bellide

CAR.                 Il padron da una parte, ed io dall'altra:

   Il mio paziente umore

   Punto non si confà col suo furore.

BELL.              Quel giovine garbato, ehi, dove andate?

CAR.                 Dove che il re mi manda,

   Ma con lei resterò, se mel comanda.

BELL.              Siete molto gentil.

CAR.                 Tutto per lei.

BELL.              Avete moglie?

CAR.                 No, ma la vorrei.

BELL.              (Come a genio mi va!)

CAR.                 (Quanto mi piace!)

BELL.              (Questo appunto sarebbe il mio bisogno).

CAR.                 (Vorrei dirle che l'amo, e mi vergogno).

BELL.              Perché state sì muto?

CAR.                 Io non ardisco;

   Per altro...

BELL.              Via, parlate.

CAR.                 Se il genio mio non fosse troppo ardito,

   Esser vorrei...

BELL.              Che cosa?

CAR.                 Il suo marito.

BELL.              Volesse pur il cielo

   Che indegna non foss'io di tanto onore,

   Ma temo che di me prendiate gioco.

CAR.                 Io, signora, per voi son tutto foco.

   Nel fissarmi in quel bel viso

   Fui colto, ferito, ed ucciso;

   Ardo, smanio, sudo, e tremo;

   Vorrei, ma temo;

   So che non merito,

   Chieder non so.

BELL.              Chiedete pur, chiedete,

   Io son di buone viscere;

   Tutto concederò quel che volete.

CAR.                 Chiedo la vostra mano.

BELL.              Eccola pronta.

CAR.                 Dunque son vostro sposo.

BELL.              Io vostra sposa.

CAR.                 Oh felice successo!

BELL.              Oh bella cosa!

CAR.                 Ma non vorrei che queste vostre viscere

   Che furono per me tanto amorose,

Fossero in simil guisa altrui pietose.
BELL.                 Mi meraviglio. Non son io di quelle

Che prendono marito

Per goder libertà. Son donna onesta:

Porterete il mio onor sopra la testa.

CAR.                   Bene, così mi piace.

BELL.                 Sarem d'accordo.

CAR.

} a due                                            E ci godremo in pace.

BELL.

BELL.       Son tutta giubilo

   Per il contento.

CAR.         Nelle mie viscere

   La gioia io sento.

BELL.    Andiamo a pascere } a due

Il nostro amor.

CAR.     

BELL.       Via, che si suonino

   Violini e flauti.

CAR.         Via, che si tocchino

   Violette e cembali.

BELL.       Trombette e timpani.

CAR.         Corni, oboè.

BELL.    Che ci accompagnino } a due

Un minuè.

CAR.     

SCENA QUINTA

   Arsinoe, Cireno, poi Aristide

ARS.          Lasciami, traditor.

CIR.           Resisti invano.

ARS.          Dove pretendi, indegno,

   Guidar un'infelice?

CIR.           Al re che t'ama.

ARS.          Invan Xerse lo spera,

   E tu lo speri invan, crudo ministro.

CIR.           Tuo malgrado verrai.

ARIS.        (Numi, che veggo!)

ARS.          Pria di mancar di fede

   Ad Aristide mio, sarò di morte.

ARIS.        (Oh bella fedeltà, cara consorte!) (a parte)

CIR.           Superba, al braccio mio...

ARIS.        Lasciala, indegno.

CIR.           Temerario, chi sei?

ARIS.        Alla tua voce

   Risponderà il mio brando. (s'attaccano)

ARS.          Numi del cielo, a voi mi raccomando. (si ritira)

CIR.           Questo colpo ricevi.

ARIS.        Ahi cruda sorte! (cade)

CIR.           Chi provoca Cireno, abbia la morte.

Ma la donna dov'è? Fuggì, disparve;

Rinvenirla saprò. Xerse l'adora,

Ma l'amo al pari anch'io,

Onde voglio in un punto

Al suo core servir, dar pace al mio.

Son vassallo, e son amante; Ho divisi col regnante Per colei - gli affetti miei, E sospiro anch'io mercé.

Fan contrasto entro il mio core Il dovere con l'amore, La passion con la mia fé.

SCENA SESTA

Arsinoe, Bellide, Aristide

ARS.                    Partì l'indegno, ed il meschino al suolo

Cadde per mia cagion. Chi mai l'indusse

All'opra generosa? Ecco opportuna

Bellide a me sen vien. Fida compagna

Delle sventure mie, soccorri questo

Ch'or si muore per me.
BELL.                                                      Cieli, che miro!

Zitto, padrona mia, gettò un sospiro.
ARS.                    Vanne; da quella fonte

Le fresche acque raccogli,

Aspergi il volto suo. Chi sa? potrebbe

Risvegliarsi così.
BELL.                                               Dove si tratta

Di far la carità,

Donna di me più pronta non si dà.
ARS.                    Volesse il ciel che ritornasse in vita

Colui che l'onor mio

Generoso difese.
BELL.                                            Eccovi un nappo

Pieno d'acqua gelata.
ARS.                    Via, l'opera compisci.

BELL.                                                      Oimè mi sento

Nel mirarlo sì brutto un gran spavento.
ARS.                    Via, non temer, non ti starò lontana.

BELL.                 Par il diavolo proprio in forma umana.

ARS.                    Eh Bellide, coraggio.

BELL.                 Che mai sarà? Le donne per natura

Del diavolo non sanno aver paura.

Ecco, gli bagno il volto:

Poverin, poverino,

Par che respiri un poco.

   Oh che acqua prodigiosa!

   Voglio, quando è così, crescer la dosa.

   Ma che veggo? Signora, oh che portento!

   Si rischiara il color dal lato manco:

   Il volto è mezzo nero e mezzo bianco.

ARS.                 Qualche inganno tem'io. Finti colori

   Saranno quelli al certo.

ARIS.               Oimè!

BELL.              Sentite,

   Ch'egli respira forte.

ARIS.               Chi mi toglie alla morte? (s'alza)

ARS.                 Alla voce, all'aspetto, ancorché informe,

   Aristide mi sembra.

BELL.              Al certo è desso.

ARS.                 Oh felice avventura!

BELL.              Oh bel successo!

ARIS.               Che mirate, occhi miei? Quest'è la sposa.

ARS.                 Sì, bell'idolo mio,

   La tua sposa son io; sì, quella sono,

   Che costante al tuo amor ricusa un trono.

ARIS.               Cara, ti stringo al seno.

BELL.              Al giorno d'oggi

   Credetemi, signor, è una gran sorte

   Ritrovar fedeltà nella consorte.

ARIS.               Ma chi a te mi scoprì?

ARS.                 L'acque del fonte,

   Onde asperso tu fosti,

   Ti scoloriro in parte.

BELL.              Eh, non v'è male.

   Sembrate un mascheron di carnovale.

ARIS.               Oimè, che fia? Se discoperto io sono,

   Xerse mi ucciderà. Lascia ch'io vada

   Il volto a colorir.

ARS.                 Potrai lasciarmi

   Nel periglio così?

ARIS.               Fra brevi istanti

   Ritornerò. Non dubitar; destino

   In questo giorno istesso

   O liberarti, ovver morirti appresso.

ARS.                 Ma la ferita tua...

ARIS.               Più non la sento;

   Non temer, sarà lieve.

   Arsinoe, addio; ci rivedremo in breve. (parte)

SCENA SETTIMA

   Arsinoe, Bellide

ARS.                 Misera, che sarà?

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 BELL.                                              Non vi affliggete;

Già per marito avete Un bravo Greco, valoroso e scaltro, E se questo mancasse, Ne troverete in breve tempo un altro.

A una donna spiritosa Non può mai mancar marito; Sol chi fa la schizzignosa Suol morir con appetito. Chi sta troppo sussiegata Disprezzata - ognor sarà.

La catena altrui soave E l'usar finezze a tempo, Ma chi sta sempre sul grave, Odio solo imprimerà. (parte)

SCENA OTTAVA

Arsinoe sola.

Ah, se mi toglie il cielo

La dolce compagnia del caro sposo,

Tolgami ancor la vita;

Egli dell'amor mio fu il primo oggetto,

Ei l'unico sarà mio dolce affetto.

Tortorella a cui tolse la morte L'infelice diletto consorte, Finché il duolo riserbala in vita, Piange sempre, né più si marita, Per serbar al suo sposo la fé.

Idol mio, se di te resto priva, Finché vuole il destino ch'io viva, Più conforto al mio core non v'è. (parte)

SCENA NONA

Atrio magnifico con archi e statue.

Bellide e Carino

BELL.                 Maritino mio caro,

Or che uniti ci siamo in matrimonio,

Non vuò più che serviamo;

La vita del servir troppo è stentata,

Non conferisce a gente maritata.
CAR.                   Ma come viveremo?

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 BELL.                                                Oh che ignorante!

D'una donna industriosa sei marito, E puoi temere che ci manchi il vito?

SCENA DECIMA

Xerse, Guardie e detti.

XER.                   Olà.

CAR.                           Bellide, aiuto.

XER.                   Dimmi, recasti il foglio?

CAR.                   Signor sì, signor no. (Che brutto imbroglio!)

XER.                   Ad Arsinoe, fellon, non l'hai recato?

CAR.                   Dirò la verità: mi fu rubbato.

XER.                   Servo indegno, morrai. Tosto uccidete,

Miei custodi, il ribaldo.

CAR.                                                          Aimè meschino!

BELL.                 Temerari, insolenti,

Se alcuno farà oltraggio al mio consorte, Saprò con le mie man darvi la morte.

SCENA ULTIMA

Arsinoe, Cireno e detti; poi Aristide

ARS.                    Sire, pietà.

CAR.                                     Signore,

Costei resiste ardita,

E superba t'oltraggia e ti disprezza.
ARS.                    Difendo l'onor mio.

XER.                                                   Tanta fierezza

Inutile sarà. Se non consenti

Soddisfar le mie brame,

Prosontuosa, morrai.
ARIS.                                                    Ma la sua morte

Cara ti costerà.
XER.                                            Che miro? Incauto,

Nella mia reggia stessa

Vieni vittima indegna al sagrifizio?
ARIS.                  Venni, barbaro, venni

Dalle tue insidie a liberar la sposa:

S'altra via non mi resta,

Per salvar l'onor mio, che la sua morte,

Per le mie mani stesse

La mia sposa morrà. Sazia, crudele,

L'ira nel sangue mio;

Uccidimi, se vuoi, ma nell'onore

Non m'oltraggiar.

XER.                                              Cotanto

A te preme la sposa e l'onor tuo?

ARIS.                  Sì, darei per entrambi e sangue e vita.

XER.                   Questa sola cagion qui ti condusse?

ARIS.                  A costo ancor del mio periglio estremo.

XER.                   Va, che degno tu sei

D'una sorte miglior. Chi vide mai

Tant'amor, tanto zelo,

Per l'onor, per la sposa? Un raro esempio

Tu sei de' maritati. Un raro esempio

Alle spose sarà la tua consorte;

Ché sì facil non è, come si crede,

Una moglie trovar di tanta fede.

CAR.                   (Il re, per quel che io sento, è molto scaltro).

BELL.                 (Il re deve saperne più d'ogni altro).

ARIS.                  Che risolvi perciò? (a Xerse)

XER.                                                   Sì bella coppia

Io disunir non voglio. Itene pur felici;

Bastami sol, per ricompensa al dono, Che assicuri la pace a questo trono.

ARIS.                  Io, della Grecia in nome,

Un'eterna amistade oggi prometto.

CIR.                     Io, che provai nel petto

Per Arsinoe fedel fiamme d'amore, Con l'esempio del re smorzo l'ardore.

ARIS.                  Vieni, sposa diletta.

ARS.                                                   Al sen ti stringo.

XER.                    Amici, andiamo al tempio,

E sia la vostra fede altrui d'esempio.

TUTTI

Viva la pace d'amor giocondo, Ché non v'è al mondo Gioia maggior: Viva la pace, viva l'amor.

In voi s'accenda la bella face Del dio Cupido, Costante e fido: Viva la pace, viva l'amor

Fine