Assassinio al castello

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Assassinio al castello

                   ASSASSINIO AL CASTELLO

                                     

                                       

                            GIALLO LEGGERMENTE PAGLIERINO

                                                COMICO GROTTESCO

                                   CON TRACCE DI MUSICA QUA E LA’

                                                        IN DUE ATTI

                                                                DI

                                   DOMENICO PLATANIA

                                 rielaborazione e traduzione

                                             in dialetto siciliano di

                                          “delitto al castello” di

                                                       aldo cirri

                                    

                            Personaggi in ordine di apparizione

Ignazio Cacanaca detto Gnagnà                               - Barone siciliano                                   

Baronessa Giuseppa Cacanaca detta Pidda             - Sorellastra del barone

Baronessina Teresa Cacanaca detta Teté                  - Figlia del barone       

Dottor Federico Minicucco detto Fifì                       - Spasimante della baronessa

Conte Francesco Scarrozzo detto Cicci                     - Fidanzato della baronessina

Donna Antonina detta Nené                                      - Amministratrice del castello

Donna Sebastiana detta Tata Nella                           - Governante  e balia    

Gaspare detto Aspanu                                                - Maggiordomo            

Franz Von Crastun                                                     - Commissario di polizia         

Alfio Sucavento                                                            - Agente di polizia                   

Notaio Puddu Pitta                                                     - Notaio di casa Cacanaca

Pierluigi Pianura                                                         - Arbitro federale di calcio

Voce fuori campo                                                        - Narratore                                 

                    

                                    

                            L’AZIONE SI SVOLGE IN SICILIA NEL 1920

                                   

                                            

                           

                                                 

                                                   PRIMO ATTO  

                                                  

La scena si svolge all’interno di un ampio salotto arredato con solidi mobili di stile antica Sicilia. Sul fondo una vetrata che, coperta in parte da una tenda, dà sul giardino, dalla quale si vedono, ad ogni colpo di fulmine, in controluce, le sagome degli alberi. A destra della vetrata un enorme camino acceso in pietra lavica e alla sinistra della stessa spicca un’armatura medievale. Nell’angolo è sistemata una colonnina con sopra un busto di marmo. Sulla parete di destra una porta con accanto un orologio a pendolo. Sulla parete di sinistra armi e trofei, una porta che da verso l’esterno e altri mobili che arredano il salone. Al centro un divano con due poltroneed un divanetto. Poco più avanti alla vetrata, sulla sinistra, la poltrona personale del barone Gnagnà a schienale alto con poggiapiedi ed accanto un piccolo scrittorio con una lampada, il telefono e varie carte e libri.

All’apertura del sipario è sera e la scena è in penombra, il barone Gnagnà, seduto sulla sua poltrona con una coperta sulle gambe, illuminato dall’alto, sta trafficando con le mani dentro un piccolo cofano di legno che tiene in grembo. E’ molto vecchio, quasi paralitico, tremante, si muove a fatica aiutato solo dal maggiordomo. Fuori imperversa un temporale con lampi, tuoni e pioggia violenta.

                                                    SCENA PRIMA

VOCE FUORI CAMPO - (lugubre) Questa sera, signore e signori, vogliamo narrarvi fedelmente i fatti terribili e misteriosi avvenuti nell’anno del Signore 1920, in una remota contea a nord di Passopisciaro, ai piedi del maestoso Etna, nell’antico castello di “Palle rotonde“, altrimenti detto “Round balls” dai turisti e “Baddi tunni” dai   siciliani.

Vi prego, signore e signori, di prestare la massima attenzione alla narrazione di questa vicenda, affinché ognuno di voi possa trarne le proprie conclusioni, ma specialmente perché (cambiando tono) mi siddiu a ripetiri du’ voti i stissi cosi. (di nuovo lugubre) E come ogni storia di delitti che si rispetti, la vicenda comincia così : (pausa) “E’ una notte buia e tempestosa”, il vento e la pioggia si abbattono con violenza sulle antiche mura del castello, quasi a voler penetrare tutti i segreti di cinquecento anni di storia. Il castello è abitato da sempre dai Cacanaca, glorioso e nobile casato siciliano d’origine normanna, che, malgrado il nome, (letteralmente: “Uomo che fa i propri bisogni nella culla”) vanta un brillante primo premio al tiro alla fune ed un terzo al tiro libero alla palombella con fionda senza elastico, nei “Giochi delle torri” del 1840. Nel maniero tutti dormono. Soltanto una persona veglia, intenta ad un’oscura attività, si tratta del barone Gnagnà, ultimo discendente della dinastia, maledettamente ricco, molto vecchio, stolto e quasi del tutto rimbambito.

Il barone fa un gesto scocciato verso l’alto         

V.F.C. - Quando ad un tratto qualcuno bussa alla porta.

Il barone Gnagnà sobbalza sulla poltrona e affannosamente chiude il piccolo cofano.

 BARONE GNAGNÀ – Cu è ddocu?

ASPANU – Voscenza mi scusassi, sugnu Aspanu, eccillenza, su si voli jiri a cuccari, a stanza è pronta.

BARONE GNAGNÀ – Staju vinennu ! (Intona, dal motivo “Vecchio scarpone”)

                                  

                             Mi dicon stolto, ma non è vero niente

                              Sono il barone Cacanaca Gnagnà        

                              I miei parenti sono tutti in attesa      

                              Che io muoia già

                              Non vedon l’ora di lasciarmi in mutande

                              Le mie ricchezze essi voglion spolpar                                                                       

                              Li provan tutte con pistole e veleni

                              La notte e tutti i di.                                                        

V.F.C. – Il barone Gnagnà si alza faticosamente dalla poltrona, stringendo a se il cofanetto come a proteggere una cosa cara, poi, barcollando, comincia ad aggirarsi furtivamente per la stanza come per cercare qualcosa.

Il barone Gnagnà si avvicina verso la scrivania, apre qualche cassetto perplesso, poi scuote la testa e si avvicina all’armatura, apre la celata dell’elmo, ma scuote ancora la testa non convinto. Si avvicina allora all’orologio, apre lo sportellino del meccanismo, guarda dentro, tenta di infilarci il cofanetto, ma si rende conto che non c’entra. Poi, come colpito da un’idea, si avvicina al busto marmoreo, lo solleva faticosamente, vi infila il cofanetto e sempre lentamente si rimette a sedere sulla poltrona.

BARONE GNAGNÀ – Poi tràsiri, Aspànu.

Aspanu entra da destra. E’ il classico maggiordomo, sempre in smoking, devoto, compìto che parla ed agisce senza spostare un muscolo del viso. Porta un candelabro acceso.

ASPANU  - ( Intona, dal motivo “Come facitte mammate”)

             Sta suonando mezzanotte                            (Quannu mammete t’ha fattu)

              ed ancora sono in piedi,

              guarda un po’ questo babbeo

              sempre pronto a comandare.

              Prima o poi io l’avveleno                             (t’impastò di carne bella)

              o l’annego nella vasca

              me lo tolgo alfin di mezzo

              e ritorno a respirar.

              Sono sempre indaffarato                               (U panaru chinu chinu)

              non ho un attimo di pace

              ho deciso che l’ammazzo

              così torno in libertà

Aspanu, si avvicina al barone Gnagnà e lo aiuta ad alzarsi.

BARONE GNAGNÀ - Amuninni. (Escono da sinistra)

V.F.C. - Aspanu accompagna nella sua stanza il vecchio e rincoglionito barone Gnagnà, (Questi si volta verso il pubblico scuotendo le mai come per dire “che palle”) mentre la notte stende il suo nero mantello fin nel cuore del castello... Mizzica ! M’arrinisciu macari a rima!

                                              SCENA SECONDA

V.F.C. - Ma quella notte il castello di “Baddi tunni” non trova ancora pace... lentamente una porta si apre cigolando...

Si apre una porta di destra senza cigolio ed entra la baronessa Pidda circospetta e impaurita, in camicia da notte, porta un candelabro acceso. La scena si rischiara.

V.F.C. - ... Ehm... la porta si apre cigolando.

La baronessa Pidda, seccata, posa il candelabro, va alla porta e la fa oscillare avanti e indietro sui cardini per dimostrare che non c’è niente da fare: la porta non cigola.

V.F.C. - ... La porta si apre cigolando...

La baronessa Pidda allarga le braccia e con la voce imita lo scricchiolio della porta.

BARONESSA PIDDA- Screeeeekk !

V.F.C. - Grazie !

La baronessa Pidda riprende il candelabro e l’atteggiamento timoroso e sospettoso di prima. Comincia ad aggirarsi per la stanza come in attesa di qualcuno, poi un lampo illumina la vetrata, la baronessa sobbalza e, contemporaneamente, un uomo bussa alla vetrata. La baronessa rimane per un attimo titubante, poi posa il candelabro e spalanca la vetrata. Entra il dottore Fifì bagnato fradicio con un lungo mantello nero. I due si guardano rapiti, tenendosi per mano.

V.F.C. – Ed ecco che la storia si arricchisce di due nuovi personaggi: lei, la baronessa Pidda, odiata sorellastra del barone Gnagnà, erede in seconda dell’immensa fortuna dei Cacanaca. Dall’aspetto irreprensibile, ma in realtà un po’ leggerina...

La baronessa Pidda si scioglie dall’abbraccio e afferra minacciosa il candelabro.

V.F.C. - Mi perdoni Milady !

La baronessa Pidda si rigetta fra le braccia di Fifì.

V.F.C. – Lui, il dottor Fifì, medico di famiglia, da sempre spasimante della baronessa Pidda, scapolo, distinto gentiluomo ma un po’ avido, ingordo e...

Senza smettere di guardare negli occhi la baronessa, Fifì allunga una mano e afferra la lampada posta sul tavolinetto.

V.F.C. – Ehm, ...Scusi, forse ho esagerato...

 Fifì lascia la lampada.

V.F.C. - Due personaggi importanti nella nostra storia.

I due si guardano teneramente negli occhi.

BARONESSA PIDDA - Oh ! Caro e pur-caro !

FIFÌ – Oh! Carissima e pur-carissima

BARONESSA PIDDA - FIFÌ – Oh ! Finalmente suli!

BARONESSA PIDDA -  (Intona, da“Rose rosse”)   

           Solo pene per noi                                         (Rose rosse per te)

           ci riserva il barone:                                      (ho comprato stasera)

           non consente alle nozze 

           mio fratello Gnagnà.                                    (cosa voglio da te)

           Mi viene di strozzarlo         

           di dargli un pugno in testa

           e il suo grugno spaccar

           col liquido infiammabile

           ridurlo tutto in cenere

           e vederlo crepar.

           Sarebbe allora bello

           Unire i nostri cuori

           E i suoi soldi incassar

           E’ questo il nostro sogno  

           Da poter realizzar

                                            

           O dolce amore io vivo soltanto per te

           Ma mio fratello bacucco s’oppone perché      

                                             

           Vivo solo per te

           mio diletto Fifì 

           senza te non potrei

            accoppare Gnagnà                                          

                                                                                                                    

FIFÌ   -    Si, cara, non ti lassu cchiù!        (Intona, da “Montagne verdi”)

                                        Oh, amata Pidduzza mia

                                        Siamo nati per stare insieme                                          

                                        All’asilo ti ho conosciuta

                                        e d’allora sei stata mia

                                        il tuo futuro è averti accanto a me

                                        con te vicino chi si oppone perirà

     (assieme a Pidda)       Il nostro amore prima o poi trionferà

FIFÌ – Avi ‘na jurnata c’aspettu stu mumentu!

BARONESSA PIDDA – Macari ju, n’haju fattu autru ca pinsari a tia cu ‘na smania e ‘na passioni ca mancu t’’u poi immaginari...

 FIFÌ – (Con trasporto) Mancu l’acqua a sdiluviu ca haju pigghiatu arrinisciu a stutari ‘u focu d’amuri ardenti ca sentu ppi tia! 

BARONESSA PIDDA – (incredula) Ma pirchì, sta chiuvennu forti? A mia mi pari ca sta simuliannu.

FIFÌ – Simuliannu? Ma su l’acqua sta cascannu a linzolu!

BARONESSA PIDDA – (con passione, quasi declamando) Oh, amuri miu fucusu, omu di pettu ca non canusci piriculu! Cu stu cauru ca hai di intra e l’acqua ca t’assappanavu di fora, (cambiando tono) non criru ca t’arrifriddi. Ascuta a mia, è megghiu ca ti levi ‘u mantellu vagnatu, n’assittamu e parramu tanniccchia!

Fifì si toglie il mantello e si siede con la baronessa Pidda sul divano.

FIFÌ – Si, hai ragiunu. Già mi sentu ‘n-pocu annanfaratu. (Con intensità) Ppi quantu tempu ancora ci dobbiamo ammucciari ? Quann’è ca finalmente ni putemu maritari?

BARONESSA PIDDA – (Con passione) Non t’abbarruari, amuri troppu duci! Sentu ca non passerà assai e poi macari nuatri saremu filici! ‘U me fratastru, ‘u cunsensu pp’’u matrimoniu o n’’u duna c’’u bonu o allura (sibillina) sarà peggiu ppi iddu!

I due sostano ancora per un attimo, occhi negli occhi, poi lentamente escono da destra, prendendo il candelabro, la scena cade nell’ombra, con i fulmini che ogni tanto illuminano la vetrata.

V.F.C. – Mentre sembra tornare il silenzio e la pace, ad un tratto la solita porta si apre cigolando.

                                                  SCENA TERZA

Si apre la porta di sinistra senza cigolare ed entra donna Nené nell’ombra.

V.F.C. - Ed entra un personaggio singolare.

Donna Nené entra nella stanza in ombra, ancora non si distingue chi sia. Barcollando si guarda intorno come se cercasse qualcosa, comincia ad aprire cassetti, apre l’orologio, la celata dell’armatura, poi, sempre barcollando, si avvicina al busto di marmo e ci traffica intorno.

V.F.C. - Chi è mai questo misterioso personaggio che cerca “qualcosa” che “qualcuno” ha nascosto da “qualche parte” ?

Donna Nené trova quello che cercava, si avvicina alla poltrona di barone Gnagnà e accende la lampada del tavolinetto.

DONNA NENE’ –  (sempre ondeggiando, intona, da “Il valzer del moscerino”)

                                   Ullalla Ullalla Ullallala

                           Ma che buono e gentil questo vino,

                                   Ullalla Ullalla Ullalalla

                           Io m’inebrio e voglio cantar, la, la, la

                                           

                           Ma c’è quel barone che non lo perme-tt        (emette singhiozzo)

                           Non vuole che gusti il bel nettar subli-m           (idem)

                           Mi priva l’assaggio, il degusto e il sorse-t         (idem)

                           Rischiando oltremodo l’arsu-r, la, la, la.           (idem)

                               Ullala Ullala Ullalala

                           Nellabotte di rovo l’annego

                                Ullalla Ullalla Ullallala

                           Così impara a privarmi del vin, la, la, la

V.F.C. - Ah ! Ma è donna Nené, amministratrice da oltre vent’anni di casa Cacanaca, amante appassionata del buon vino, o meglio, dell’alcool sotto qualsiasi forma.

Donna Nené ha in mano una bottiglia di wisky, barcolla, dà due o tre robusti sorsi, sorride e solleva la bottiglia al pubblico con un colpo di singhiozzo. Si guarda un po’ attorno, poi si muove in cerca di un nuovo nascondiglio, vede l’armatura, si avvicina barcollando, apre la celata e vi infila la bottiglia soddisfatta. Appena chiude la celata, si sente il rumore della bottiglia che cade dentro l’armatura e va in frantumi con un gran fracasso. Donna Nené, sempre barcollando, allarmata, corre a spengere

la luce, poi esce da destra. Dopo un po’, da sinistra con un candelabro in mano, entra Aspanu che accompagna il barone Gnagnà in camicia da notte.

                                                SCENA QUARTA

BARONE GNAGNÀ – Aspanu,‘u sentisti macari tu stu rumuri, ?

ASPANU – Non ci fici casu, baruni. Cca non c’è nuddu.

BARONE GNAGNÀ – Sta storia non mi sta piacennu, macari prima ‘ntisi rumuri. Stanotti, o casteddu, a qualcunu non ci voli calari ‘u sonnu e s’arrimina troppu.

ASPANU - Forsi fu ‘u jattu, signore.

BARONE GNAGNÀ – Ca quali jattu, chi ci vai ‘ncucchiannu! E’, ‘nveci, qualcunu ca sta circannu qualchi cosa ca non trova, ‘u sentu! (Il barone Gnagnà si aggira un po’ per la stanza, poi fa cenno a Aspanu) Ti ni poi jiri, Aspanu, non haju cchiù bisognu di tia ! 

ASPANU – E’ sicuru ca non avi bisognu? ?

BARONE GNAGNÀ – Si, ti ni poi jiri !

Aspanu accende la luce sul tavolinetto e fa per uscire da destra.

ASPANU - (sulla porta, con aria tetra) Allura, ci auguru di passari ‘na bona nuttata. (lugubre) Ah! Ah! Ah!

Il barone fa cenno a Aspanu di andarsene. Dopo l’uscita di Aspanu, il barone si guarda intorno, poi furtivamente, si avvicina al busto di marmo, si ferma a metà strada, si volta verso la porta, la apre, guarda se c’è qualcuno, poi la richiude a chiave. Si avvicina al busto, lo solleva con fatica e tira fuori il cofano, si guarda attorno, raggiunge la poltrona e si siede. Apre lentamente il cofano e, guardando dentro, assume un’espressione di stupore e di terrore. Nello stesso istante, dopo che si è spenta la luce del tavolinetto, scoppia un tuono seguito da un lampo che illumina la vetrata mostrando un individuo con cappello in controluce. Nel buio si sente della confusione, poi un altro tuono esplode e un lampo, dalla vetrata, illumina la porta-finestra spalancata ed il personaggio, che nel frattempo è entrato nella stanza, nell’atto di sollevare un coltello. Poi la stanza ricade nel buio.

V.F.C. - Un urlo squarcia la notte !

Nel buio si sente un tentativo di urlo, una specie di gracidio con qualche colpo di tosse.

V.F.C. - E questo sarebbe un urlo ?

Nel buio si sente raschiare la gola, prendere fiato e poi urlare.

V.F.C. - Ooooooh ! (di soddisfazione)

Pausa.

V.F.C. - Il misfatto è stato compiuto !

Si comincia a sentire da lontano, fuori scena, un accorrere e un vociare di gente.

TATA NELLA - (da fuori la porta) Baruni Gnagnà !

TETÉ - (c.s.) Opà !

ASPANU - (c.s.) Signore !

Da fuori, Aspanu scuote la porta, ma è chiusa.

TETÉ - Aspanu ! ‘A porta è chiusa di intra, l’amu a sfunnari!

ASPANU - Ma barunissina, ha ficimu arriparari l’autru jornu…custau  tre liri e uttanta... no’ sacciu si è ‘u casu di scassari a firmatura !

TETÉ – Tri liri e ottanta ? Accussì assai ?

ASPANU - Annunca, macari ‘u baruni so patri si lamintau d’’u prezzu. Ma chi voli, di sti tempi ‘n-falignami costa ‘n’ira di Diu, costa!

TETÉ - Allura chi facemu... papà... papà... a putemu sfunnari a porta ?

BARONE GNAGNÀ - (rantolando) N... no... passati d’’u... jardinu...

TETÉ - (c.s.) Bih, veru è ! Grazii papino! Amuninni !

                                                SCENA QUINTA

Dalla vetrata, ancora spalancata, entrano Tata Nella, Teté e Aspanu (tutti in vestaglia meno Aspanu). Questi ultimi due tengono in mano un candelabro ciascuno, la scena si rischiara e si vede il barone Gnagnà con la testa poggiata sullo scrittoio con un coltello nella schiena e il cofanetto di legno sul pavimento aperto e vuoto.

V.F.C. - Una tremenda scena si presenta agli occhi dei tre personaggi.

TATA NELLA - Aaaaaaah ! Delittu ci fu!

NENE’ (Intona, da “Maramao perché sei morto”)

                  Oh, papà sei tu defunto

                  Sei trafitto da coltel

                  Chi l’ha fatto è da lodare

                  Perché avaro eri tu

                  Oh papà, oh papà, eri un gran taccagno

                  Non volevi, non gradivi

                  darmi i tuoi soldin

                  Oh papà sei trapassato                                           

                  Finalmente è giunta l’ora,

                  Tanto attesa dal mio cuore,

                  Che lasciassi tutto a me                                                     

TATA NELLA- Ma comu potti succediri ‘na disgrazia accussì grossa?                                (Intona, da“Un’avventura”)

        Non sarà un bel miraggio

        Quel che vedo non è un sogno, è poesia      

        Tutto è vero, è già estinto

        Mamma mia quanto rompeva  

        Sempre addosso a comandar

        A scocciare e scombinar

        Sono felice                                                                  (innamorato)

        Quanto non sai                                                           (sempre di più)                                                  

        Sento nell’anima un gran calor, un gran calor

        No, non è, solo un miraggio!

ASPANU  -  Certu ca,‘u baruni, non era ancora tantu vecchiu.

Improvvisando un girotondo,Teté, Tata Nella e Aspanu, intonano, con voci da bambini,  da “Oh, che bel castello”)

TETE’-TATA NELLA-ASPANU –

                                        Oh che bel delitto - è avvenuto nel castello

                                        Siam contenti tutti - che il tiranno non c’è più

                                        Non sappiamo come - festeggiare questo evento

                                        Brinderemo assieme - e gran festa noi farem

                                        Non è chiaro chi - noi dobbiamo ringraziare

                                        Per la gioia andiam - giù per terra olì olà

Vanno giù per terra.

Appena rialzati, Teté si avvicina raccapricciata, fa qualche tentativo di toccare il corpo, ma lo spavento glielo impedisce. Tata Nella guarda terrorizzata il corpo.

TATA NELLA – ‘U cu... cuteddu !

TETÉ – Oh, Madonna d’’u Carmunu !

TATA NELLA - ‘U cu... cuteddu ... pp’’i bistecchi !

TETÉ - (cambiando tono) Ca quali, è chiddu pp’’u filettu!

TATA’ NELLA – (impermalosita, cambiando tono) Ma, voscenza chi voli diri ca non canusciu cchiù mancu ‘u cuteddu pp’’i bistecchi ?

TETÉ - Ma n’’u viri ca avi a lama stritta... è chiddu pp’’u filettu !

TATA NELLA – Vossia m’ha scusari s’insistu, signurinedda, tuccassi comu è tagghenti, (lo tocca) ‘u fici ammulari ‘a simana passata !

ASPANU  -  C’’u purtai ju stissu nto ammula forfici e cuteddi

TETÉ - (toccandolo a sua volta) Forsi hai ragiuni !

TATA NELLA – (soddisfatta) Non ci ‘u dissi ju ca era chiddu pp’’i bistecchi! ?

TETÉ - (scoppiando improvvisamente a piangere) Opà... opà... oh, opà !

                                             SCENA SESTA

Da destra entrano di corsa la baronessa Pidda e Fifì fermandosi di colpo imbarazzati. La baronessa Pidda è in vestaglia, Fifì con la camicia fuori dai pantaloni, la cravatta allentata, i capelli scompigliati e un’impronta di rossetto sul collo della camicia.

TETÉ - Pidda... Dutturi  Fifì !

 FIFÌ - ... Ehm... cchiù prestu d’accussì non c’’a puteva arrinesciri... m’’a fici di cursa e  non appi mancu ‘u tempu di vistirimi...

BARONESSA PIDDA - E... ‘u chiamai ju, Teté... to patri... non stava tantu bonu...

TETÉ - Difatti ! (mostrando il cadavere)

BARONESSA PIDDA – Oh, Bedda Matri!!!

La baronessa Pidda si appoggia alla scrivania per non svenire. Fifì resta per un momento senza fiato, poi si avvicina al cadavere, gli tasta il polso, gli solleva la testa, toglie il coltello e lo pone su un vassoio tenuto da Aspanu. Dopo, appoggia l’orecchio sulla schiena, riprende il coltello e lo riconficca con forza nel corpo del barone.

 FIFÌ – (con solennità) Non è cchiù vivu.  O megghiu, è precisamenti mortu !

La baronessa Pidda scoppia in lacrime.

TATA NELLA – E ora chi facemu ?

TETÉ – E’ l’ura d’avvisari a pulizia !

BARONESSA PIDDA – E’ l’ura di pinsari ‘u funirali!

FIFÌ – E’ l’ura di chiamari ‘u nutaru pp’‘u testamentu!

TATA NELLA – E’ l’ura di cunzari a tavula cu ‘n-postu menu!

TETÉ – E’ l’ura d’accattari i vistiti niuri pp’’u  luttu !

FIFÌ – E’ l’ura di priparari ‘u certificatu di morti !

BARONESSA PIDDA – E’ l’ura ca finalmente mi maritu!

ASPANU – C’’u sapi chi ura è?

V.F.C. – E’ l’ora che la finiste!

FIFÌ - (piano  alla baronessa Pidda) Chi ti lassau, ‘u vecchiu ?

BARONESSA PIDDA - (piano) Ancora n’’u sacciu, ora m’imformu, (poi a Teté) Teté, ppi casu, ‘u sai comu n’amu a spartiri chiddu ca lassau to patri ?

TETÉ - (acida) Chi dumanna! A cosa sicura è ca ju sugnu (scandendo con fierezza) l’unica e ligittima eredi!

MUSICA ( poche note per rafforzare l’affermazione)

                                           SCENA SETTIMA

DONNA NENE’ - (che nel frattempo è entrata da sinistra barcollando ubriaca) S... ssaluti a sta bella cumpagnia... chi... sssssuccessi ?

TATA NELLA - Donna Nené, successi ‘na cosa terribili...

DONNA NENÉ - (correndo verso Tata Nella barcollando ma con il viso trasfigurato dal terrore) S... si ciaccavu ‘a vutti d’’u “Cerasolu di l’Etna”?

TATA NELLA - (tragica) No... Ammazzanu ‘u baruni Gnagnà !

DONNA NENÉ - ... Mi pareva c’ava successu !

Donna Nené si siede tirando un sospiro di sollievo. Tata Nella, la baronessa Pidda e Teté, ricordandosi improvvisamente di quello che è successo, si guardano tra loro e poi scoppiano contemporaneamente a piangere. Donna Nené cerca di parlare, ma con la voce non riesce a superare i lamenti delle tre donne.

DONNA NENÉ - (urlando) Ooooh ! ‘A finiti si o no?

I pianti si interrompono bruscamente.

DONNA NENÉ - Mancu ssu ss’ava rumputu qualche vutti ! A pulizia a chiamastuvu ?

TETÉ - Oh Madonna d’’u Carmunu , a pulizia! E ora chi ni po succediri ?

ASPANU - Su ‘a barunissina Teté ci pirmetti, nta l’ultima casa unni appi l’onuri di serviri, quannu ammazzanu ‘u patroni di casa, desunu : du’ ergastoli, tri cunnanni a vint’anni, una a chinnici anni di lavori forzati, du’ anni c’’a cundiziunali e tri pinitenzi !

TATA NELLA - Pinitenzi ?

ASPANU - Sì, du’ Ave Maria, tri Gloria e Patri e quattru Patri Nostru a lu giardineri.

TATA NELLA – E pirchì ?

ASPANU – Pirchì era ‘n-jittaturi, ‘na cucca ca n’’u jardinu siminava sulu crisantemi!

TETÉ - E tu ?

ASPANU - Ju, fui assoltu pp’insufficienza di provi.

TATA NELLA - Ma l’assassinu non è sempri ‘u  maggiordomu ?

ASPANU – Dda vota no!  Ju aveva ‘u morbillu.

TATA NELLA – ‘U morbillu ?

ASPANU - Sì, macari m’affruntu a dillu. Haju ‘na speci d’allergia pp’’i l’omicidii fatti in casa! Mi fanu veniri ‘u morbillu !  

Tutti, in maniera discreta, si allontanano di qualche passo da Aspanu.

 FIFÌ - Forza, telefunamu a pulizia !

La baronessa Pidda si avvicina alla scrivania, alza la cornetta e compone un numero.

BARONESSA PIDDA - Pronto... polizia... chi ?... Ah ! ... sì... sì ...

TETÉ - Cu è ?

BARONESSA PIDDA - (a Teté imbarazzata)... Ehm... dici ca è “Il meglio del malaffare, bische e divertimenti clandestini, prezzi onesti e sconti per comitive”... (al telefono) No... mi scusi... sbagghiai, ceccavo il commissariato e...(pausa) ah... il commissario ddocu è ?... grazie, m’’u passassi!

TATA NELLA - (ridendo) Chissu è ‘u postu giustu pp’’a pulizia !

BARONESSA PIDDA - (al telefono, con tono marcatamente affettàto) Pronto... cummissariu lei è ?

La baronessa Pidda allontana con una smorfia la cornetta dall’orecchio come se qualcuno ci avesse urlato dentro

TELEFONO – Pronto! Montalbano sono!

BARONESSA PIDDA – Muntalbanu? Bih! E chi c’entra? Sbagghiu ci fu ! Ju, veramenti, vuleva parrari c’’u so’ collega, ‘u cummissariu di “L’assassiniu o casteddu”  Si…si…chi fa, m’’u passa lei ? Matri, quantu è gintili! Grazii, grazii…(agli altri, fuori di sè dalla contentezza) Ahu!Parrai cu Muntalbanu!... (pausa)Cummissariu?...Mi peddoni se la distubbo, sono la baronessa Pidda dei Cacanaca, vorrei pregalla di venire qui da noatre... è per mio fratellastro... sì, un incidente usuali nei castelli nobiliari... Comu ha stato?... Chi boli ca ci dico… Como?...Ce lo addumannu a lui stesso medesimo? Non penzo ca c’avi tutta questa manciaciume d’arrisponnere perché è sdivacato nta na pottrona e non si move cchiùne, manco a cannunati... su è paralizzatu ?... Veramenti n’’u sacciu, forsi arristau acciuncato per via di un cutello che avi azziccatu sulla carina... sì, si …uno di quelli ppi le bistecchi... sì...

TATA NELLA – D’’u filettu!

BARONESSA PIDDA - (Al telefono fa cenno a Tata Nella di tacere) Sì... grazii cummissariu, vinissi nta ’n-sautu, lo spittamo gioisi (riattacca) Chi parrari ‘strogotu ca avi stu cummissariu!  Dissi ca sta arrivannu!

TETÉ – Forsi è megghiu ca telefunu a Cicci. (va al telefono e fa il numero)

BARONESSA PIDDA - (a parte) Ddu pagghiolu senza ciriveddu, ca ci po’fari ‘u pani cottu di quantu è cchiù vecchiu di idda !

FIFÌ - (alla baronessa Pidda) Parra alleggiu ca ti senti !

TETÉ - (al telefono) Pronto, casa Scarrozzo... ancora ? (agli altri)  E’ n’autra vota  “Il meglio del malaffare bische e divertimenti…”

TATA NELLA – C’ha essiri ppi forza ‘n-falsu cuntattu nta linia d’’u telefunu.

TETÉ - (al telefono) No.. mi scusi... ma che numero avete ?... 368972, no, io chiamavo il signor Cicci Scarrozzo al 368472. Ah! (furente) Macari Cicci è ddocu !

Tutti ridacchiano eccetto Aspanu che non ride mai.

TETÉ - (fulminando gli altri con lo sguardo) ... Cicci ! Chi ci fai a st’ura nta ‘n-postu comu a chissu? Parra!... Ci isti ppi chiamari ‘u cummissariu ?... (commossa) Sì, l’ammazzanu, (sospettosa) ma tu comu ‘u sapevi?... Tu dissi ‘u dutturi  Fifì... e quannu ‘u viristi ?... (guardando  Fifì)... Era ddocu, a “Il meglio del malaffare”?

BARONESSA PIDDA - (seccatissima) Dutturi  Fifì, pritennu ‘na spiegazioni !

 FIFÌ - (prendendola da parte) Mi ni ji appressu a Cicci, ppi scupriri unni si ni jieva a sira, pirchì, secunnu mia, è malacunnutta !

BARONESSA PIDDA – Chissa è megghiu ca c’’a cunti  a Tofulu !

I due continuano a discutere in controscena.

TETÉ - (sempre al telefono) ... Va beni, spicciti a veniri, appoi ni facemu i cunti !

Teté riattacca il telefono e vede la discussione in corso tra Fifì e la baronessa Pidda.

TETÉ - (insinuante) Pidda, non capisciu pirchì t’’a pigghi accussì caura c’’u dutturi ?

BARONESSA PIDDA - (accorgendosi che rischia di scoprire la sua relazione con  Fifì, cerca di mascherare la sua gelosia) Ehm... vogghiu... vogghiu ca cu veni al castello... ha essiri galantomu di sicura muralità...e…bona custumanza (dando di nascosto una violenta gomitata a  Fifì)

Teté ridacchia.

ASPANU - Su ‘a barunissa Piddami cunsenti, ju e Tata Nella, jiemu a priparari ppi  quannu veni ‘u cummissariu.

BARONESSA PIDDA - Sì Aspanu e... pripara macari ‘u tè.

ASPANU – ‘U staiu jiennu a priparari, immantinenti, comu voli a barunissa.

Aspanu e Tata Nella escono da sinistra.

TETÉ – Jiu vaiu a vistirimi (esce da destra passando sprezzante davanti alla baronessa Pidda)

BARONESSA PIDDA – Macari ju ! Dutturi  Fifì, aspettassi cca ca stamu vinennu ! (esce da destra, anche lei con fare sprezzante)

Fifì fa un inchino.

                                                    SCENA OTTAVA

Donna Nené, che per tutto il tempo è stata stravaccata sul divano, si alza barcollando e comincia a guardarsi intorno.  Fifì, imbarazzato cerca di sistemarsi la camicia e la cravatta. Donna Nenè va verso l’armatura, apre la celata e sospirando annusa il whisky versato dalla bottiglia rotta. Poi richiude e va a caccia di un’altra bottiglia, comincia ad aprire e chiudere tutti i mobili della stanza.  Fifì segue incuriosito le manovre.

FIFÌ - Donna Nené,... ma chi sta cumminannu ?

DONNA NENÉ - (senza degnarlo di uno sguardo) Staiu circannu ‘u corpu d’’u riatu !

Fifì per un po’ segue la scena, poi, come colpito da un’idea, si avvicina con noncuranza alla vetrata e da dietro la tenda tira fuori una bottiglia che nasconde dietro di se. Poi, sempre con noncuranza, si avvicina a Donna Nené.

 FIFÌ - Donna Nené !

Donna Nené si ferma, ma continua a girare gli occhi a destra ed a sinistra

DONNA NENÉ - (quando più, quando meno, parla sempre un po’ biascicando da alcolizzata) Dutturi, circassi di non farimi perdiri tempu, staiu travagghiannu pp’’a giustizia !

 FIFÌ - Donna Nené, ppi casu ‘u corpu d’’u riatu  assumigghia a chistu?

Donna Nené si ferma con gli occhi che le brillano.

DONNA NENÉ - Dutturi  Fifì, lei è troppu spertu e i cosi i capisci a volu. (si avvicina) Viremu, m’’a facissi tuccari sta prova.

Fifì nasconde di nuovo dietro di se la bottiglie.

FIFÌ –Su ju ci fazzu tuccari a prova, lei però m’’a duna qualchi ‘nfurmazioni ?

DONNA NENÉ – Non c’è problema, sugnu a disposizioni! (cercando di sbirciare dietro  Fifì)

 FIFÌ – Quant’avi ca lei è l’amministratrici d’’a  casa Cacanaca ?

DONNA NENÉ – Trentacinc’anni. Di quannu cuminciamu a fari ‘u liquori “Lava di l’Etna” !

 FIFÌ – Allura lei canusci tuttu chiddu ca ha successu nto casteddu, l’affari fatti, unni si trovunu i documenti… (tirando fuori la bottiglia e facendola oscillare davanti agli occhi di donna Nené)

DONNA NENÉ - (lo guarda sospettosa) Dutturi  Fifì, ‘u tistamentu n’’u sacciu unni è e mancu sacciu a cu ci tocca l’eredità. Su poi lei pensa d’abbiarici ‘u saccu sulu pirchì fa ‘u fissa c’’a barunissa Pidda, taliassi ca non ci nesci nenti, ‘ntappau ! (rapida si avvicina a Fifì che è rimasto come un baccalà, gli strappa la bottiglia ed esce da sinistra)

 Fifì per un po’ rimane perplesso, poi si riprende ed esce da destra portando via un candelabro. La scena cade nella penombra.

V.F.C. - Signore e signori, questo non è che il prologo dell’inquietante assassinio avvenuto nel castello di “Baddi tunni”. Ma quante ombre incombono ancora su questo oscuro avvenimento ? Perché il barone Cacanaca è stato ucciso ? Quale motivo lo spinse a nascondere il cofanetto ? Che cosa conteneva il misterioso cofanetto ? Ma soprattutto, chi è l’assassino del vecchio e rincoglionito barone Gnagnà ? (Il barone Gnagnà, senza alzarsi fa un gesto scocciato, poi torna a fare il cadavere) Soloil seguito della storia ci svelerà questi raccapriccianti misteri.  MUSICA

                                                    SCENA NONA

Si sente suonare il campanello, poi un vociare che si avvicina.

BARONESSA PIDDA - (da fuori) S’accumudassi, ddu gran cosa fitu…ehm, ddu svinturatu di me frati è cca banna.

Da sinistra entrano la baronessa Pidda, il commissario Von Crastun, l’agente Sucavento e Aspanu. Il commissario porta enormi baffi che sono tutt’uno con le sue basette veste di scuro ha sempre una bombetta in testa e una lente sull’occhio destro, parla con forte accento tedesco ed è terribilmente distratto. L’agente Sucavento è un tipo anonimo, in divisa da polizia è l’ombra del commissario e gli parla sempre nell’orecchio. Il commissario entra e comincia ad aggirarsi per la stanza osservando tutto e poi fermandosi davanti al cadavere.

COMMISSARIO   (Intona, da “Lilì Marlen”)

                                Esser contento di stare qvi con foi 

                                scoprire tebbo chi è stato l’assassin

                                di Gnagna Naca cran baron

                                io scoprirò il malfattor

                                Oh si, lo svelerò

                                Oh si, lo svelerò

                            

                               Esser Fon Crastun illustre intacator

                               con Sucavento secucio e gran teston

                               Sento che presto riuscirem

                               A smascherare l’assassin

                               Ma si, sarà così

                               Ma si, sarà così.

                               

COMMISSARIO - Immacino qvesto essere catafere ? (annusa l’aria) Ya essere proprio catafere !

BARONESSA PIDDA -(al pubblico)Matri, quantu parra streusu! Cummissariu ... COMMISSARIO - (interrompendola) Frau Pidda, qvi sono io che fare tomante !

BARONESSA PIDDA - S... sì..Ci vuleva sulu addumannari su lei è estiru!

COMMISSARIO – Io non capire

Sucavento gli parla all’orecchio

COMMISSARIO – Ya, io di oricine tetesca, ma nato Italia, essere altoatesino.

BARONESSA PIDDA – L’impurtanti ca ni capemu

COMMISSARIO - Gut ! Qvante perzone essere al castello in momento telitto ?

BARONESSA PIDDA - (fa rapidamente il conto) Sei.

COMMISSARIO - Preco, fare fenire qvi !

BARONESSA PIDDA - Aspanu, senza addimurari, dicci all’autri di passari cca banna.

ASPANU – Subitissimu barunissa (esce da destra)

COMMISSARIO - (accorgendosi del cofanetto) FrauPidda cosa essere qvesto piccolo cofano qvi su pavimento ?

La baronessa Pidda lo guarda, si avvicina e fa per prenderlo.

COMMISSARIO - Nein ! (urlando)

La baronessa Pidda fa un salto.

COMMISSARIO - Non toccare, possibile impronte assassinen !

BARONESSA PIDDA - (riprendendo fiato)  N... n’’u sacciu, cummissariu, me frati era gilusu d’’i so’ cosi.

COMMISSARIO – (Ad ogni domanda, avanza verso la baronessa facendola indietreggiare)  Contenere forse tocumenti ? Tenaro ? Cioielli ?

BARONESSA PIDDA – (impaurita) N’’u sacciu, cummissariu...

COMMISSARIO – (incalzante) Foi non sapere ?

BARONESSA PIDDA - N... no...

COMMISSARIO - Und... (Sucavento si avvicina e gli parla nell’orecchio) ... ti sembra qvesto essere momento ?... (piano a Sucavento, poi alla  baronessa Pidda) Frau Pidda, sapete tirmi tove trofare toilette ?

BARONESSA PIDDA - ... Ma cummissariu... me frati ni faceva usu raramenti...

COMMISSARIO - Zilenzio ! Nichts commenti ! Tofe trofare bagno ?

BARONESSA PIDDA - ... E’ dda ‘n-funnu, a manu ritta.

Sucavento guarda il commissario, poi scappa da sinistra accennando un saluto imbarazzato alla baronessa Pidda che lo guarda esterrefatta.

                                           SCENA DECIMA

Si sente bussare alla porta.

BARONESSA PIDDA - Avanti !

Entra da sinistra Aspanu con la faccia piena di puntini rossi.

BARONESSA PIDDA - Aspanu ! Chi ti successi ?

ASPANU - Comu ci dissi antura, barunissa, mi vinni ‘u morbillu da omicidiu.

BARONESSA PIDDA - (che si era avvicinata, si allontana imbarazzata da Aspanu)... Ehm, cosa vuoi, Aspanu ?

ASPANU - Barunissa, chiddi ca lei mi fici chiamari, aspettunu nta bibliuteca.

BARONESSA PIDDA – Va beni, falli trasiri.

                                     

                                        SCENA UNDICESIMA

Aspanu si fa da parte e nell’ordine, da destra, entrano in fila indiana, la baronessina Teté, Fifì, Donna Nené, Tata Nella, evitando accuratamente la vicinanza con Aspanu. Tutti si dispongono nella stanza sorvegliando il maggiordomo con la coda dell’occhio.

COMMISSARIO - Signori !

Tutti sobbalzano. In quel momento arriva da sinistra Sucavento, si sta tirando su i calzoni, è indaffarato con le bretelle e non si accorge che la stanza è affollata. Continua così per qualche secondo poi, finita l’operazione si dà due spolveratine alla giacca e alza la testa accorgendosi che tutti lo stanno a guardare, diviene smorto ed ha un mancamento. Aspanu da dietro lo sostiene, Sucavento si riprende, spalanca gli occhi e vede in faccia il maggiordomo, fa un salto e si mette a fianco del commissario imbarazzatissimo.

COMMISSARIO - Sucavento !

Sucavento scatta sull’attenti.

COMMISSARIO - Afere tu fatto cacca ?

Sucavento fa cenno di sì.

COMMISSARIO - Pene ! Baronessa Pidda, folete presentare signori ?

BARONESSA PIDDA - Certu cummissariu. A barunissina Teté Cacanaca, figghia d’’u poviru baruni Gnagnà...

TETÉ - Ligittima.. figghia li-gi-tti-ma sugnu! (fulminando la baronessa Pidda)

BARONESSA PIDDA - (proseguendo)’U dutturi  Fifì, medicu e amicu di famigghia... Donna Nené, amministratrice d’’a casa Cacanaca... Tata Nella, guvirnanti e balia... Aspanu, ‘u maggiordomu... barone Gnagnà Cacanaca, ‘u mortu cadaviri.

Ognuno fa un piccolo inchino con la testa quando viene presentato, il barone Gnagnà emette un rantolo.

V.F.C. - Ed io ?

COMMISSARIO - (seccatissimo) Voi molto melio stare zitto ! Pene, molto pene signori, dofe foi erafate in...

Si sente bussare alla porta.

                                               SCENA DODICESIMA

Da sinistra entra trafelato Cicci, fidanzato di Teté.

COMMISSARIO - Chi... ah ! Siete foi, herr Cicci Scarrozzo !

CICCI -  (Intona, da “L’emozione non ha voce ”)

   Io son Cicci il più bello                                      (Io non so parlar d’amore)

   Tutti quanti me lo dicon                                     (L’emozione non ha voce)                                                                              

   Non c’è al mondo fra i più machi     

   Che mi possa eguagliar                                                                    

   Sono sempre elegante                                        (La mia anima si espande)                            

   Raffinato e impomatato                                     (Pur geloso son di te)

   Se qualcuno poi lo nega                                    (Ma la fiamma poi s’accende)

   Deve rendere ragion                                         (E ritorna con i baci tuoi) 

 

   Uno di questi è il baron,                                   (Fra le tue braccia dormirei,)  

   barone Gnagna                                                 (teneramente)

   Con le mie mani strozzerò,                                (La mia compagna tu sarai,….)      

     a pezzettini lo farò  

     Oppure io lo chiuderò,

      in una cassa       

      E soffocare lo farò,

      con l’acido lo squaglierò

CICCI - (trafelato) Bona sera cummissariu, bona sera Teté, bona sera a tutti pari.

BARONESSA PIDDA - (insinuante) Ma Cicci... tu canusci ‘u cummissariu ?

CICCI - (che cade nel tranello) Sì, ni viremu o spissu a “Il me” …....

COMMISSARIO - Herr Cicci !

TETÉ - (minacciosa) Cicci ! Chi voi diri ?

CICCI - Ju e ‘u cu... cummissariu ni viremu o spissu a “Il me...

TETÉ – A il me…?

CICCI - ... A il... “Merendero”... sì, è ‘na  pasticceria vicinu a villa cumunali, unni...

TETÉ - Cicci ! Sacciu tutti cosi ! Chi ci facevi nta su postu ?

CICCI - ... Ehm... aiutava ‘u cummissariu a fari l’indagini.

COMMISSARIO - Ya ! Lui aiutare me !

TETÉ - Non ci criru!

COMMISSARIO – Invece, tofete credere... foi, piuttosto (sempre a Teté) tofe erafate in momento telitto ?

TETÉ -  (confusa) Ju... ju era nta me stanza !

COMMISSARIO – (incalzandola) A cosa fare ?

TETÉ -  A... durmeva, si durmeva a sonnu chinu!

COMMISSARIO - Afere prove ?

TETÉ - Ma comu fazzu a aviri i pro...

COMMISSARIO - Zilenzio ! Foi essere sospetta !

TETÉ - Ma ju...

COMMISSARIO – Pipita masculina! (Si accorge troppo tardi di aver parlato in dialetto siciliano ed ha un attimo di confusione)

TATA NELLA – Ma chi è di Rannazzu?

BARONESSA PIDDA – No, mi dissi ca è Alto e Atesinu

COMMISSARIO - Zilenzio, qvi essere tutti sospetti, atesso io cominciare mia intacine, foi tutti potete antare...

Il commissario dice l’ultima battuta girandosi verso il pubblico. Tutti, di corsa, facendo una gran confusione, cercano di uscire.

COMMISSARIO - (girandosi improvvisamente e urlando) Ma !

Tutti si bloccano.

COMMISSARIO - Tofere rimanere tutti a mia tisposizionen !

Tutti ripartono di corsa uscendo da destra.

                              

                                         SCENA TREDICESIMA

Il commissario resta per un attimo ad osservare la fuga generale, poi si rivolge a Sucavento.

COMMISSARIO - Sucavento !

Sucavento scatta sull’attenti.

COMMISSARIO - Guarda se nessuno sentire !

Sucavento fa rapidamente il giro delle porte e finestre, poi guarda il commissario e scuote la testa.

COMMISSARIO - Gut, tare me manovale !

Sucavento si fruga dentro la giacca, tira fuori un piccolo volume, parla all’orecchio del commissario e glielo porge.

COMMISSARIO -  Si tice manuale ? (risentito) E io cosa afere tetto ?

Sucavento allarga le braccia.

COMMISSARIO - (sfogliando) Tunque... assassinio all’opera... assassinio sull’Orient Express... assassinio in Cattetrale…assassinio in ristorante cinese... invito a cena con assassinio... nein, qvesti essere cià tutti collautati... assassinio senza mofente... pasta alla “Norma”... uhm cosa essere qvesto ? Bellini ?

Sucavento parla all’orecchio del commissario e mima il grattugiare della ricotta.

COMMISSARIO - Mit melanzane fritte e ricotta salata ? (Sucavento annuisce)... Gut ! (Continuando a leggere) Assassinii per strata... assassinii nella toccia...ah ! Ecco qvi ! “Assassinio in castello”... (legge) “In caso di assassinio in castello, il perfecto commissario tovrà subito fetere se catafere essere morto... (il commissario guarda Sucavento e fa cenno di sì)... “Poi se catafere essere morto, fetere se finestre essere chiuse o aperte”... Sucavento  !

Sucavento va alla porta-finestra e l’apre, poi si avvicina al commissario gli batte sulla spalla e gli indica con un gesto che l’ha aperta e che prima era chiusa.

COMMISSARIO - Porta-finestra essere aperta !

Sucavento rimane perplesso con il gesto a mezz’aria.

COMMISSARIO - (legge) “Se finestre chiuse, cuartare se in stanza essere altri intizi”

Il commissario posa il libro e insieme a Sucavento comincia a frugare in tutti i cassetti del mobili della stanza, poi, finito il giro, riprende il libro.

COMMISSARIO - (legge) “Se non trovato niente mobile, cuartare tentro armatura”

Sucavento apre la celata dell’armatura e sente odore di wisky, poi toglie un piede dall’armatura e trova i cocci della bottiglia nascosta da donna Nenè.

COMMISSARIO - (legge) “Qvanto essere sicuri di non trofare intizi... (volta pagina)... taliare a fettine fini la cipolla und fare rosolare il burro a fuoco lento... Sucavento, trofare subito cipolla und burro !

Sucavento parla all’orecchio del commissario.

COMMISSARIO - ... Io afere saltato pacina ?... Ya... peccato (legge) ... “Qvanto essere sicuri di non trofare intizi, penzare a persone sospette in castello”

Il commissario posa il libro e comincia a passeggiare su e giù per la stanza.

COMMISSARIO - Tunque... Herr Cicci essere stato con me in “In melio del malaffare”,... Baronessina Teté und baronessa Pidda, possibile assassine... tutta servitù... (il commissario si ferma perplesso, riprende il libro e legge) “Se tofete interrocare servitù... (volta pagina)... sventrare mit coltello affilaten e toliere tutte interiora”  (perplesso) ... sventrare servitù ?... (getta via il libro)... Sucavento ! Antiamo ad interrogare servitù !

Il commissario esce da sinistra, Sucavento allarga le braccia, raccoglie il libro ed esce anche lui spegnendo la luce.

                                            

                                     SCENA QUATTORDICESIMA

V.F.C. - Inizia così la caccia al misterioso assassino del castello. Ma mentre il mistero resta ancora fitto, un nuovo angoscioso avvenimento contribuìsce a rendere quasi impenetrabile quell’enigma!

Dalla porta-finestra entra un personaggio con impermeabile e cappello, per un attimo un lampo lo inquadra in controluce.

V.F.C. – Un’ombra penetra nella stanza ! Che cosa cerca?

Il personaggio misterioso si avvicina al cadavere, lo solleva e se lo carica in spalla, nel fare quest’operazione il coltello cade dal corpo.

V.F.C. - Il coltello !

Il personaggio si guarda intorno.

V.F.C. - Dietro di te.

Il personaggio lo trova, lo raccoglie e con un gesto ringrazia.

V.F.C. - Chi cavolo... Ehm... Di chi è mai quest’ombra che si sta impadronendo del cadavere ? L’assassino ? O qualcuno che vuole far sparire le prove ? O un bieco necrofilo ? Il personaggio fa un gesto come per dire : “Ma che dici ?”

V.F.C. - (solenne) Nessuno lo sa !                           MUSICA

       

                                            SCENA QUINDICESIMA

La scena resta vuota per un momento, poi da lontano si sentono arrivare delle voci. Da sinistra entrano il commissario, Sucavento, la baronessa Pidda e il dottore Fifì. Sucavento si accorge della scomparsa del cadavere, si avvicina alla poltrona, constata il fatto e tenta di richiamare inutilmente, con gesti e capriole, l’attenzione del commissario mentre questi è intento a discutere con Pidda e Fifì.

BARONESSA PIDDA - (seccata) Non capisciu cummissariu, comu putiti suspittari di mia e d’’u dutturi...,  e comu putiti diri ca a servitù non c’entra ?

COMMISSARIO - Macciortomo und covernante afere alibi di ferro !

 FIFÌ - (seccato) Cummissariu ! Ju vulissi sapiri chi caddu di alibi ponu aviri su Aspanu è l’ultimu ca ristau ‘n-cumpagnia d’’u barone Gnagnà e perciò ‘u cchiù suspettabili ?

BARONESSA PIDDA - (arrabbiandosi) Senza cuntari, appoi, ca a Tata Nella, du’ uri prima d’’u dilittu, n’’a visti nuddu, scumpariu da circolazioni !

COMMISSARIO - (quasi urlando) Baronessa Pidda, io tire che servitù afere alibi di ferro !

BARONESSA PIDDA - (urlando) M’’u dici ppi favori qual è stu alibi ?

Il commissario si guarda intorno, fa cenno a baronessa Pidda e a  Fifì di avvicinarsi, poi si mette tra i due e parla sottovoce facendo un gesto chiarissimo, come per dire che, mentre si consumava il delitto, il maggiordomo e la governante stavano in intimità.  Fifì scoppia a ridere. Baronessa Pidda si stizzisce ancora di più.

 FIFÌ - Ah, ah, ah ! Aspanu e Tata Nella ! Ah, ah, ah !

BARONESSA PIDDA - Cummissariu ! E lei chistu m’’u chiama alibi ?

COMMISSARIO - Ya, per me qvesto essere alibi di ferro !

Sucavento, per attirare l’attenzione del commissario sventola delle bandierine.

FIFÌ – Su è ppi chissu, allura macari ju e Pidda...

BARONESSA PIDDA - Dottor  Fifì ! Nuddu c’’a dumannatu a so opinioni !

COMMISSARIO - Mmmm... allora miei sospetti essere ciusti... (con tono di accusa) baronessa Pidda, doctor  Fifì, cosa essere fra voi due, afanti confessare tutto, ormai afere scoperto fostro cioco, parlaten ! (minaccioso)

Baronessa Pidda e  Fifì si guardano.

BARONESSA PIDDA - (imbarazzata) ... S... sì... cummissariu, ju e ‘u dutturi ni... vulemu beni di quannu erumu nichi, d’’u primu annu d’asilu. Ddu citrolu, mortu e bonu, d’’u me fratastru non m’ha vulutu mai dari ‘u cunsensu ppi maritarimi. “Su ti mariti prima di trent’anni, non ti dugnu mancu ‘n-sordu”, accussi mi diceva. Ma lei non pinsassi mali... nuatri non vulevumu ‘a morti di  Gnagnà...

 FIFÌ – Veru è, cummissariu, nuatri ‘u vulevumu beni a ddu gran cosa fitusu, mammaluccu vavusu e ammuccapassuluni d’’u...

BARONESSA PIDDA -  Fifì !

FIFÌ - Scusami, mia cara... mi sciddicau ‘a manu! Nuatri n’’u putevumu ammazzari..  (risoluto) erumu ‘nsemi..

BARONESSA PIDDA -  Fifì ! (dignitosa) Cummissariu, l’unicu nostru dilittu è chiddu di vulirini beni, ma non semu assassini !

Sucavento tira per la giacca il commissario, ma questi lo strattona spazientito

COMMISSARIO – Sucavento! Tu smettere fare babbeo!

Sucavento, sconsolato per i tentativi di avvisare il commissario andati a vuoto, dopo aver provato diversi posti per sedersi, sceglie la poltrona del barone.

FIFÌ – Si, non semu assassini!

COMMISSARIO – Eh, eh, io furbo perché balla raccontata a foi su servitù avere fatto scoprire fostro gioco...

 FIFÌ - (stupito) Pirchì, non è vero ca Aspanu e Tata Nella...

COMMISSARIO - Nein, essere solo mio trucco !

BARONESSA PIDDA -(a parte tra i denti) Bruttu passuluni germanisi, mangia patati.

COMMISSARIO - Signori ! (poi insinuante) Foi afere fatto vostro comoto, ma essere sospetti come altri e...

E’ a questo punto che il commissario nota Sucavento seduto nel posto prima occupato dal defunto.

COMMISSARIO -  Sucavento, cosa tu fare poltrona barone? Tofe essere catafere ?

La baronessa Pidda lancia un urlo e sviene, Fifì la sostiene trascinandola su di una poltrona.

COMMISSARIO - Sucavento, controlla tutta stanza, porte, finestre, impronte und tracce. Doctor Fifì, antare a chiamare tutti li altri !

FIFÌ – E comu a lassu a  barunissa Pidda?

COMMISSARIO - Antare !

 FIFÌ -  S... sì... (esce)

COMMISSARIO - (avvicinandosi alla baronessa Pidda svenuta) Fraulein, lei svegliare, situazionen essere crave, non potere svenire proprio ora !

BARONESSA PIDDA -(aprendo gli occhi) Ah, no?

La baronessa si riprende, Sucavento parla all’orecchio del commissario .

COMMISSARIO - Dofe ?

Sucavento indica accanto alla poltrona, il commissario si avvicina.

COMMISSARIO - Cocce sangue... uhm... la traccia uscire da porta-finestra, gut ! Catafere essere uscito da porta di ciardino !

Sucavento parla di nuovo all’orecchio del commissario.

COMMISSARIO - ... Hum... cià, catafere, non uscito da solo, ma accompagnato !

Sucavento allarga le braccia.

                                        SCENA SEDICESIMA

Da destra entrano tutti.

COMMISSARIO – Signori, setuti !

Ognuno prende posto nella stanza. Cicci sta per sedersi sulla poltrona del barone Gnagnà.

COMMISSARIO - Nein !

Cicci  sobbalza.

COMMISSARIO - Qvella essere poltrona catafere ! Possibili tracce !

Pausa. Il commissario, camminando lentamente, passa in rassegna uno per uno tutti i presenti, fulminandoli con lo sguardo. Ognuno subisce con timore l’occhio accusatore del commissario. Finito il giro, il commissario da’ le spalle a tutti creando tensione, poi si volta di scatto improvvisamente.

COMMISSARIO - (forte) Il colpefole ! (tutti sobbalzano)

Pausa ad effetto.

COMMISSARIO - Il colpefole, sa certamente che sospetti concentrati su di esso. (pausa) Colpefole sa che ha commesso crosso errore facento sparire catafere. (pausa) Assassinen, signori, sa che non potere fare altri errori perché si è tratito troppo, und intizi portare tutti stessa direzionen. (pausa) Assassinen potrebbe essere frau Pidda, con suo spasimante doctor  Fifì...

TETÉ – Oh, la gran tappinara..Me patri non vuleva…

COMMISSARIO - Silenzio !... Chi più di loro afere interesse a soldi und proprietà barone Gnagnà ?

FIFI’ - Ma cummissariu...

COMMISSARIO – Io tetto silenzio ! (pausa) Assassinen potrebbe essere baronessina Teté !

TETÉ - Ma cummissariu, l’eredità spetta a mia di dirittu !

COMMISSARIO - Ya, ma uccitere barone Gnagnà, fare catere sospetti su frau Pidda e doctor  Fifì, per lefare essi di mezzo ! (pausa) Possibile colpefole essere herr Cicci...

CICCI  - Ma cummissariu... ju era cu lei a “Il me...

COMMISSARIO - Silenzio !...Nessuno potere controllare vostri movimenti ne “Il melio del ma…

Teté tira un calcio nello stinco ad Cicci.

COMMISSARIO - Assassinen potrebbe essere Tata Nella, lei brava usare coltello come qvello che ucciso barone Gnagnà !

TATA NELLA - M... ma...

COMMISSARIO - Silenzio ! Anche tonna Nené essere sospetta, una certa bovtilia essere stata trovata in stanza...

DONNA NENÉ – ‘Na schifezza di marsala all’ovu!

COMMISSARIO - Silenzio ! (guarda tutti minacciosamente) Ognuno di foi afere mani inzanguinate ! (incalzante) Tutti foi potere essere assassinen !

Il commissario resta per un attimo con il dito puntato sul gruppo che lo guarda con timore, poi, improvvisamente, piagnucolando come un bambino, cade sulla prima poltrona a portata di mano.

COMMISSARIO - ... Sniff..., ma io non riuscire a capire chi colpefole...

Tutti, restano un attimo perplessi, poi si avvicinano e fanno cerchio intorno al commissario.

BARONESSA PIDDA - Avaja... cummissariu, non s’’a pigghiassi, non facissi accussì. Semu sicuri ca su lei s’impegna tannicchia supecchiu c’’a fa.

COMMISSARIO - (piagnucolando) No... non afere fortuna...

TATA NELLA – (dolce) Cummissariu voli essiri ajiutatu di nuatri?

COMMISSARIO - ... No... sniff...

TATA NELLA - (materna) Voli essiri purtatu a fari pipì ?

COMMISSARIO - ... No...

FIFI’– Vinissi cu mia, cummissariu, (lo fa alzare)... amuninni a fari ‘na passiata, accussì non ci pensa cchiù...

Si avviano verso sinistra, tutti intorno al commissario, che continua a piagnucolare, incoraggiandolo con paroline dolci. Sucavento, per consolare il commissario tira fuori un lecca lecca e glielo porge. Il commissario lo lecca tutto contento.

FIFI’ -(Come ad un bambino) Sugnu sicuru ca n’’u giardinu qualche traccia ‘a truvamu. Accussì sulu, ‘u nostru beddu cummissariu, po’ truvari ddu vastasu e facchinu ca si permisi d’ammazzari ‘u baruni Gnagnà! Cuntentu ? Forza, amuninni...

Continuando a soggetto su questo tono, il gruppo esce lentamente da destra.

                                                FINE PRIMO ATTO

                                      

                                              SECONDO ATTO

                                                SCENA PRIMA

MUSICA

La mattina dopo. Il temporale è finito e il sole entra dalla porta-finestra del giardino, il commissario e Sucavento sono alla scrivania e con lente di ingrandimento, pennellino ed altri accessori, stanno cercando le impronte digitali sul cofanetto di legno del barone Gnagnà. Il commissario, dopo aver osservato l’esterno, ora ne esamina l’interno. Sul lato destro del proscenio si trova un “occhio di bue”

V.F.C. - La terribile notte è passata ma il mistero è ancora impenetrabile. Dubbi su dubbi assillano il commissario e il suo aiutante, rendendo le indagini sempre più complicate. Riusciranno i due a districare il terribile enigma ?

COMMISSARIO - (alzandosi) Nicht, maletizionen ! Solo impronte barone Gnagnà ! (piagnucolando) Solo qvelle!

Sucavento parla all’orecchio del commissario.

COMMISSARIO - (guardandolo) Sucavento !

Sucavento scatta sull’attenti.

COMMISSARIO - Io non folere piancere ancora! Tu nicht capisciuto. Ieri sera io piancere per trucco, ya, così assassinen fare passo falso !

Sucavento guarda in alto.

COMMISSARIO - ... Ehm... trucco non funzionato, colpefole essere furbo!

I due si chinano sulla scrivania per continuare ad esaminare il cofanetto. Sucavento indica qualcosa.

COMMISSARIO - (guardando con la lente) Nein, Sucavento, qvella essere cacca di mosca !

Il commissario chiude il cofanetto lo rigira di lato e continua a guardare. Sucavento  indica qualcosa.

COMMISSARIO - (c.s) Nein, Sucavento, qvella essere cacca di tarlo !

Il commissario rigira sottosopra il cofanetto e continua la sua indagine. Sucavento indica ancora qualcosa. Il commissario scosta la lente, poi guarda ancora con essa, poi prende il cofano e lo porta alla luce, lo annusa, lo rigira, lo riannusa.

COMMISSARIO - Yaaa, Sucavento, qvesta essere cacca assassinen ! Gut (riporta il cofanetto sul tavolo e lo apre). Qvesto essere crosso intizio, Sucavento, ora noi afere traccia per scoprire colpefole !

Sucavento parla all’orecchio del commissario.

COMMISSARIO - (perplesso) Ya... giusto, perché assassinen fatto cacca in cofanetto ? Noi tofere scoprire anche qvesto !

Sucavento allarga le braccia, poi i due piano piano si chinano fino a terra per continuare ad esaminare il cofanetto.

                                                 SCENA SECONDA

Da sinistra entra Cicci. Sucavento e il commissario, impegnati con il cofanetto, non se ne accorgono, Cicci si ferma sulla porta ad osservare l’attività dei due.

CICCI - Cummissariu.

Il commissario caccia un piccolo urlo e, girandosi di scatto, dà un colpo al coperchio del cofanetto che si chiude sulle dita di Sucavento, il quale spalanca la bocca e gli occhi come se urlasse, ma senza emettere alcun suono.

COMMISSARIO – Botta di vilenu, mi scantai (all’espressione pronunciata, segue imbarazzo)

CICCI –  (verso il pubblico) Su chissu è Altu e Tisinu, ju sugnu ‘na giraffa. (Al commissario) Non vuleva fallu scantari

COMMISSARIO - ... Io scantare ? Oh... oh... herr Cicci, noi di polizia essere abituati a pericolo ! (si mette un sigaro in bocca, ma non riesce ad accenderlo poiché gli balla sulle labbra)

Cicci si avvicina al commissario con fare circospetto. Intanto Sucavento esce da destra dolorante, alla ricerca di una medicazione.

CICCI - (a mezza voce) Cummissariu.

COMMISSARIO - Ya ?

CICCI  - Lei m’ha pirdunari, ma ci ricordu ca ju... Ehm...ju l’alibi ci l’haju.

COMMISSARIO - Alibi ?

CICCI - Sì,... non s’’u ricorda unni ni vistumu ajeri sira?

COMMISSARIO - Ieri sera ?

CICCI - Cummissariu... (si avvicina e gli parla nell’orecchio)

COMMISSARIO - (irritatissimo) Herr Cicci ! (Cicci sobbalza) Io non potere fare favoritismi ! Io non visto foi ! Foi non visto me. Perciò, foi essere sospetto come tutti !

CICCI - (con noncuranza) Allura voli diri ca ddu signuri, ca ajeri sira puntava azzardusu a zicchinetta non era lei, ma unu ca c’assumigghiava !  E’ cuntentu ora?

Il commissario, preoccupato,  si avvicina a Cicci.

COMMISSARIO - ... Ehm... foi afete visto mie ciocate con crosse somme ?

CICCI - (entusiasmandosi) Sì, Cummissariu !

COMMISSARIO - ... Ehm…cosa altro afere visto foi in particolaren…

Il discorso prosegue a soggetto, i due esaltano le grazie delle ragazze presenti a“ Il meglio del malaffare”entusiasmandosi sempre di più, al punto da imitarne le forme e le movenze.

                                                SCENA TERZA

Da destra entrano Teté e Sucavento e trovano Cicci e il commissario che, al culmine dell’entusiasmo, stanno improvvisando una specie di danza del ventre, ricordo dei bagordi trascorsi a “Il meglio del malaffare”

TETÉ - Cicci.,.. cummissariu ?

I due si fermano imbarazzatissimi.

COMMISSARIO - ... Ehm... no... noi stare ricostruire scena telitto !

CICCI - ... S... sì staiu aiutannu ‘u cummissariu nell’indagini.

COMMISSARIO - Ya... lui aiutare me.

TETÉ - (seccata) E l’indagini i faciti ballannu ?

COMMISSARIO - Ya... essere nuofo sistema intacine.

CICCI - Sì... sì...

COMMISSARIO - ... Intacine tenere conto di tutti movimenti di assassinen.

CICCI - Sì... sì...

TETÉ - (c.s.) Macari chiddi de balli orientali ?

COMMISSARIO - (riprendendo un certo contegno) ... Tutto essere po... possibile... Ehm... comunquen, baronessina Teté, foi stare attenta, essere sospetta come tutti, in castello !

TETÉ – Ma quantu è bravu ‘u cummissariu ca usa sistemi moderni ppi fari l’indagini. Ju, purtroppo, arristai arreri, non m’haju aggiurnata e allura mi servu di metudi antichi (mostra le mani)  ppi parrari cu Cicci a propositu di certi spassi ca iddu o spissu o spissu si pigghia! 

Intanto, Sucavento con l’occhio di bue scruta in sala fra gli spettatori e prende appunti.

COMMISSARIO - ... Ehm... ya, herr  Cicci, noi afere terminato!

CICCI - Ma cummissariu... ancora avissimu a...

TETÉ - (arrabbiata) Cicci, ti dispiaci veniri cu mia dda banna? T’avissi a diri du’ cosi di facci…a facci !

CICCI – Di…fa…facci ? S... sì tesoro...Amuninni

COMMISSARIO - Fraulain Teté ! Io folere interrocare amministratrice castello... come chiamare... ?

TETÉ - Donna Nené ? ‘A fazzu chiamari !

COMMISSARIO - Ya... Tonna Nenna... Ninna... Nenè... Ya. Ehm, proprio lei !

CICCI - (sollecito) Non è megghiu ca ‘a chiamu ju ?

TETÉ - (fulminandolo) No ! Tu veni cu mia ! (esce da destra, seguita da Cicci con la coda tra le gambe)

 

                                             SCENA QUARTA

Sucavento parla all’orecchio del commissario indicandogli l’occhio di bue. Si avvicinano al congegno luminoso e, dopo aver letto gli appunti che Sucavento gli porge, il commissario scruta in sala. Scambiandosi in continuazione il comando dell’occhio di bue e seguendo gli appunti di Sucavento, mimano le fattezze di immaginari spettatori presenti in sala, fino a quando il commissario non si spazientisce.  

COMMISSARIO - Sucavento !

Sucavento scatta sull’attenti.

COMMISSARIO - (avvicinandosi alla scrivania) Forse meglio continuare esame di piccolo cofano.

Il commissario riprende il cofanetto, lo apre e continua la sua indagine insieme a Sucavento. Questi, sempre con più insistenza guarda prima l’orecchio destro e poi quello sinistro del commissario,  notandovi  qualcosa al loro interno. Il commissario se ne accorge.

COMMISSARIO – Cosa tu cuardare ?

Sucavento parla all’orecchio del commissario distanziandosi leggermente.

COMMISSARIO  - Io afere orecchie sporche?

Sucavento  dice di si con la testa

COMMISSARIO  - Nein, Non essere possibile, perché superiori essere sempre puliti !

Riprendono a scrutare il cofanetto. Intanto da sinistra entra Donna Nené, come al solito ubriaca, si ferma per un attimo sulla porta, poi incuriosita dalla strana attività che si svolge presso la scrivania, si avvicina ed osserva i due chini sul cofanetto che le danno le spalle e non si accorgono del suo arrivo. Dopo un po’ il commissario alza perplesso la testa annusando l’aria, Sucavento lo imita, dopo un secondo, Donna Nené, incuriosita, annusa l’aria anche lei.

COMMISSARIO - Sucavento... non sentire anche tu... forte otore wisky ?

Sucavento annuisce e si china ad annusare il cofanetto per sentire se l’odore proviene da lì.

COMMISSARIO - Forse in cantina botte rotta ?

Annusando, il commissario si volta piano piano, finché non si trova davanti a Donna Nené di fronte, fa un sobbalzo spaventato e, con un colpo chiude il coperchio del cofanetto, questa volta sul naso di Sucavento, che, coprendoselo con la mano, saltella dal dolore ed esce da destra.

COMMISSARIO - (appoggiandosi alla scrivania spaventato)... Tonna Nené...io no... non afere sentito arrifare...

DONNA NENÉ - (più ubriaca del solito) Ssssssalve, cummissssssariu...

COMMISSARIO - (riprendendosi) Tonna Nené, io fatto fenire perché tofere interrocare .. foi sietere.

Donna Nené, si gira intorno.

COMMISSARIO - Cosa foi cercare ?

DONNA NENÉ - Sssssugnu cunfusa sssssupra quali putruna assssssittarimi...

COMMISSARIO - Preco, foi setere, io tofere parlare !

DONNA NENÉ - (guardando ancora) ... Cummisssssariu... lei prifirisci ‘u divanu o ‘a putruna ?

COMMISSARIO - (esasperato) Tonna Nené,  foi sssietere !

DONNA NENÉ - (avvicinandosi ad un palmo dal viso del commissario) Ma pirchì fa vuci... stasssssi attentu ca ci po scuppiari qualchi vina !

Il commissario, avvelenato dalla fiatata alcolica di donna Nené, barcolla reggendosi ad una poltrona.

DONNA NENE’- (c.s.)... Che co...cosa avi cummissssariu ? E’ ppi cassssu ‘mbriacu ?

Il commissario, ripresosi, corre alla porta- finestra, la spalanca e respira a pieni polmoni ed esegue alcuni esercizi ginnici. Donna Nené, intanto, solleva un cuscino del divano, tira fuori una bottiglia nascosta e comincia a sbevacchiare stravaccata sul divano.

COMMISSARIO - (rientrando) Gut, tonna Nené, io fare fenire qvi per interrocare. Tunque foi, prima di telitto, essere entrata in qvesta stanza, ya ?

DONNA NENÉ – Ju trasii... nta sta stanza ?

COMMISSARIO - Foi tovere rispontere !

DONNA NENÉ - Ju... ma ‘u sapi, cummissariu, ca lei è propriu beddu cu sti baffuni ?

COMMISSARIO - Tonna Nené, rispontere a mia tomanta !

DONNA NENÉ - Ju... ma comu è... trangilusu... ju, quannu ammazzànu ‘u vecchiu bracilittuni... stava assaggiannu l’annata 1918 d’’u “Mandarancicerellu”

COMMISSARIO - Cosa essere “Mantarancicerello” ?

DONNA NENÉ - ... E’ un... uhm... comu si chiama ?

COMMISSARIO - Uno wisky ?

DONNA NENÉ - ... No... l’autru... u cosu...

COMMISSARIO – Una crappa?

DONNA NENÉ - ... No... un... opi... un api...

COMMISSARIO - Uno aperitifo ?

DONNA NENÉ - Giustu!... Sì bravu...”Mandarancicerellu”. Mannarinu, aranciu e broru di ciciri! (poi perplessa)... chi mi stava dicennu a propositu di l’apiritivu?

COMMISSARIO - (spazientito) Tonna Nené, folere tire che foi afere esaminato “Mantarancicerello” in cuesta stanza ?

DONNA NENÉ - Sì, proprio nta sta stanza.

Il commissario si asciuga il sudore. Da destra entra Sucavento con il naso paonazzo e si piazza dietro al commissario.

COMMISSARIO - Tonna Nené, qvando foi afere visto l’ultima folta barone Gnagnà ?

DONNA NENÉ – Ajeri sira...

COMMISSARIO - Tofe ?

DONNA NENÉ – Era assittatu na dda putruna, e non stava tantu bonu di saluti...

COMMISSARIO - (trattenendosi) Tonna Nené, barone Gnagnà, afefa crossi problemi finanziari ?

Donna Nené si alza barcollando e si avvicina al commissario, sempre alla distanza di un palmo dal viso, il commissario intuisce la manovra e trattiene il fiato. Dietro il commissario c’è Sucavento.

DONNA NENÉ - Cummissariu, ma non criru ca macari a lei c’interessunu i soldi de’ Cacanaca... non è ca c’’a scusa di scupriri cu ammazzau ‘u baruni,... vinni a ‘nfilari i baffi ‘nto casteddu pp’’i picciuli... ?

Durante tutta la frase di Donna Nené, il commissario trattiene il fiato per non sentire l’alito pestilenziale dell’amministratrice, ma alla fine, pressato dalla donna, si divincola per riprendere fiato, così l’ultima parte della frase di Donna Nené, va a finire in faccia a Sucavento.

DONNA NENÉ - ... Ma chi c’interessa de’ debiti di ddu carduni d’’u baruni... cummissariu... (guardando Sucavento da vicino)... si tagghiau i baffi... ?

Sucavento, oppresso dalla fiatata alcolica, si tiene allo schienale di una poltrona per non svenire.

COMMISSARIO - (ripresosi) Tonna Nené !

DONNA NENÉ - Co... cosa... (voltandosi)... cummissariu, botta di vilenu... accussì currennu ci criscenu i baffi? E comu fici?

COMMISSARIO - Tonna Nené ! Folere federe conti di casa Cacanaca ! Yà!

Donna Nené fa per avvicinarsi.

COMMISSARIO - Foi rispontere da tofe siete !

DONNA NENÉ - (squadrandolo) ... Hum... va beni... vinissi appressu a mia... !

Donna Nené si avvia verso destra, ma sulla porta si ferma e si volta verso i due che la seguono. Il commissario e Sucavento, accorgendosi che Donna Nené sta per parlare, fanno un salto di lato per evitare la fiatata.

DONNA NENÉ - ... Cummissariu, ju ci fazzu viriri i cunti, ma lei non ha ciatari cu nuddu...

COMMISSARIO - Melio non fiatare foi! Antiamo !

I tre escono da sinistra.

                                              

                                                 SCENA QUINTA

Da destra entrano la baronessa Pidda, il dottore Fifì, Cicci e Teté. Si dispongono velocemente nella stanza, la baronessa Pidda seduta davanti alla scrivania, Fifì su di una poltrona a sinistra. Cicci, con un occhio pesto, appoggiato sulla sporgenza del camino. Teté seduta sulla poltrona posta a destra. Tutti e quattro, spudoratamente, si ignorano a vicenda.

V.F.C. - Nel castello di “Baddi tunni” la tensione aumenta. Chi è stato il primo a scoprirsi ? Chi ha destato sospetti con una mossa falsa ? (poi con tono lugubre) Se normalmente la paura fa 90... nel castello faceva 180 !  MUSICA(breve e intensa)

In scena, tra i quattro, tutto tace.

V.F.C. – Insomma, vogliamo andare avanti con la commedia o continuare a fare le belle statuine ? MUSICA(breve e intensa)

Tutti e quattro, per un attimo guardano in alto, passeggiano nervosamente, poi si rimettono nelle posizioni di prima apparendo sempre più contrariati.

TETÉ – Ju non haju nenti chi diri !

CICCI- (senza guardarla, indicandosi l’occhio pesto) Tu,ha parratu macari assai!

TETÉ - (voltandosi inviperita) Certu, ju ppi tia avissi a stari sempri muta, specialmente quannu ti ni vai a fari i porci commudi nna certi posti !

CICCI - (allusivo) Su è ppi chissu, non sugnu ‘u sulu cca intra ca ci va !

FIFÌ – Chi voi diri ?

BARONESSA PIDDA – Chiddu ca dissi !

FIFÌ – Pirchì, ppi casu m’ha vistu ?

CICCI - No, ma canusciu qualcheduno ca t’ha vistu !

TETÉ - (a Cicci) Aaaaah ! Allura ricanusci ca c’ha statu ?

BARONESSA PIDDA – Ma non l’hai caputu ancora ca tutti e dui ci vanu o spissu!

TETÉ - Tu statti muta brutta culumbrina...

Durante la discussione i quattro convergono lentamente al centro della stanza aumentando il tono e il volume della voce, degenerando poi a soggetto la litigata, mettendosi anche le mani addosso finché la V.F.C. non interviene.

V.F.C. - Oooooooooooh !  MUSICA(breve e intensa)

I quattro si interrompono.

V.F.C. – E dove siamo? Al mercato del pesce ? (pausa) Avanti, forza, senza litigare ! Comportatevi come il vostro rango esige!

I quattro assumendo degli atteggiamenti più distinti, si allontanano leggermente gli uni dagli altri e si esprimono con un tono e un linguaggio esageratamente ricercato.

TETÉ - (distintamente) Dottor  Federico, la prego, non scendiamo a basse volgarità, la invito a mantenere il “voi” e di non cedere alla scortesia.

FIFÌ - (andando a baciarle la mano) Mi perdoni, baronessina, è stato un momento di debolezza. Faccio ammenda dei miei, spero, perdonabili falli.

CICCI - Chiedo venia anche per me, le emozioni mi hanno provocato un imperdonabile, quanto detestabile atteggiamento.

BARONESSA PIDDA – (con blesità marcata) Cara Teresa, condivido la vostra esigenza di mantenere inalterata l’etichetta e la cortesia, come richiede la tradizione della casata dei Cacanaca, rimuovendo in tal guisa il rischio di scadere in volgari incongruenze stilistiche di galateo. (Teté si appoggia alla spalliera di una poltrona e il discorso assume il tono di un comizio) Auspico, pertanto, un atteggiamento di subordinazione similare e privilegiata, verso fondatezze chiarificatrici e dietro garanzie pseudo-autarchiche...!  Concludo, asserendo, che la problematica interattiva assimilata, abbia, nel rispetto di un più demagogico contenzioso strutturale, il più ampio e plurilaterale eufemismo caratteriale, al fine di un’equa analisi analettica e patriottica ! Viva i Cacanaca ! Viva la Sicilia ! Viva il re ! (si odono applausi fragorosi da stadio)

TUTTI - (all’unisono) Viva ! (poi) Bene ! Brava ! Bis !

Teté accorre con un fazzoletto ad asciugare il sudore della Baronessa Pidda, Fifì le stringe vigorosamente la mano, Cicci le riempie un bicchiere d’acqua e poi le bacia la mano.

TETE’ - Brava !

FIFÌ - Bel discorso !

CICCI- Complimenti !

Le effusioni continuano per un po’

V.F.C. – ‘N-mumentu! Sculicenzia! ‘Nsumma, ci la vuliti finiri cu stu parrari ‘mbramaticu, si o no? Chista è ‘na cumeddia ‘n-dialettu sicilianu ! Ora, basta!  

TETE’ – ( Verso V.F.C.) Lei, stia zitto! Sporco servo, leccapiedi dell’autore.

La baronessa Pidda riprende con tono autoritario, ma teatrale,.

BARONESSA PIDDA – Signori ! La polizia sospetta tutti e noi non possiamo subire un simile ricatto che getta fango sull’onore della nostra antica famiglia.  Voi capite che nessuno di noi, sottolineo nessuno, può essere accusato del delitto, la dinastia dei Cacanaca subirebbe il più duro colpo della sua centenaria storia. Ohimé... tutta la nobiltà della Sicilia ci additerebbe con disprezzo, saremmo privati dei nostri beni, delle terre e dei castelli e... (tragica) ed il re non ci riceverebbe più a corte !

TETÉ – Madonna del Carmelo !

 FIFÌ - (piagnucolando) Rischierei di essere radiato dall’ordine dei medici, perderei la mia clinica e quei pochi milioni di lire che mi restano !

TETÉ - Ahimé ! Non potrei più riposare quei miseri otto mesi di vacanza alle Maldive e nel mio chalet in Svizzera...

CICCI - ... Non mi farebbero più lo sconto al Casinò di Mongiuffi e nemmeno a “Il meglio del malaffare”. (Cicci è messo a tacere da Teté con un sonoro ceffone)Ahi ! !

TETÉ - (arrabbiata) Non muntuari cchiù ssu postu avanti a mia!

BARONESSA PIDDA - Signori ! Facciamo una tregua nelle nostre questioni personali e facciamo un’alleanza per uscire da questa incresciosa situazione.

 FIFÌ - Giusto !

CICCI - Ben detto !

TETÉ - Sono d’accordo !

Si avvicinano, fanno capannello al centro della stanza e sottovoce cominciano a discutere come dei cospiratori.

                                                 SCENA SESTA

V.F.C. - Che cosa si stava tramando di così tanto segreto nel castello? Un nuovo crimine ? Una nuova accusa ?

Da destra entra Aspanu, ancora con il morbillo, vedendo il gruppo riunito al centro della stanza resta sulla porta in attesa degli eventi. Ha in mano un vassoio con una lettera. Dopo un po’ nel gruppo scoppia una risata.

TUTTI - Ah, ah, ah !

CICCI - ... ‘A sapiti chidda d’’u cani e d’’u cavaddu ?

TUTTI - No, no, dai, cuntannilla..

CICCI - Allura : c’è ‘n-cane e ‘n-cavaddu ca stanu parrannu d’’u cchiù e d’’u menu, ‘n-certu puntu ‘u cani c’addumanna o cavaddu : “M’’u spieghi comu mai i cavaddi aviti i buchi d’’u naso accussì larghi ?” E ‘u cavaddu c’arrispunni: “ Volissi viriri a tia comu facissi a pulizziariti  ‘u nasu che zocculi s’avissi i buchi nichi!”

TUTTI – ah, ah, ah !

V.F.C. - E’ vecchia !

CICCI – Ma va’ cucchiti !

TETÉ - Ma  chissu cu si criri di essiri...

BARONESSA PIDDA – Statti mutu...

FIFÌ - (alla baronessa Pidda) Psss... Pidda, c’è ‘u maggiordomu.

La baronessa Pidda  si volta, vede Aspanu e si ricompone in un cipiglio più adatto ad una baronessa.

BARONESSA PIDDA - ... Ehm... sì, Aspanu ?

ASPANU - Barunissa, arrivau ‘na littra.

BARONESSA PIDDA - (teatrale) E cu ‘a purtau ?

ASPANU - No sacciu ! Non c’è indirizzu e mancu francubullu, cu fu, a misi direttamenti n’’a buca d’’a posta.

La baronessa Pidda fa per prenderla, poi si ricorda del morbillo di Aspanu.

BARONESSA PIDDA - ... Ehm... Aspanu, lassala supra ‘u tavulinu e ti poi arritirari.

Aspanu esegue ed esce da destra con un inchino. La baronessa Pidda si avvicina al tavolo, calza un paio di guanti e prende la busta.

FIFÌ - Non c’è indirizzu e mancu mittenti.

La baronessa Pidda si avvicina alla scrivania, prende un tagliacarte e apre la lettera. Comincia a leggere e l’espressione le si trasforma in terrore, finché caccia uno strillo e sviene. Fifì la prende al volo e la fa sedere su di una poltrona. Cicci prende la lettera lasciata cadere dalla baronessa Pidda, la legge spaventandosi anche lui.

TETÉ - (allarmata) Cicci, chi c’è scrittu ?

CICCI - (leggendo) “La vendetta è il più amaro dei frutti, ma qualcuno sentirà un sapore molto più disgustoso”  firmato “Un fantasma”

TETÉ – Madunnuzza d’’u Carminu !

FIFÌ - (continuando ad assistere la baronessa Pidda) Cu a potti scriviri?

CICCI - Forsi l’assassinu ?

TETÉ - ... E ...e a cu ci ‘a mannau?

 FIFÌ – Pidda ppi favuri, cerca d’arripigghiariti, pirchì non è chistu ‘u mumentu di farisi veniri i svinimenti.

                                                  SCENA SETTIMA

Da sinistra entrano il commissario, Sucavento, Aspanu, Tata Nella e Donna Nené.

DONNA NENE’ – ‘U cummissariu c’è !

COMMISSARIO – (Intona, da“Nessun dorma”)

   Riuscirò, riuscirò

   Anche se non capisco, qvello che è successo      

   Chi l’ha ammazzato, perché l’ha fatto 

   Ma il mister io svelerò,                                                             (il tuo mistero)

   e l’assassino prenterò-oo, con le mie forze

   senza aiuto alcuno,                                                                   (tramontate stelle,)

   senza Sucavento                                                                      (tramontate stelle)                      

   prima della penzione,                  

   riuscirò, riuscirooo                                                                  (all’alba)   

BARONESSA PIDDA – (Intona, da “I giardini di marzo”)   

   Che giorno è, non si sa più                                        (Che anno è, che giorno è)

   Forse è sabato                                                           (Questo è il tempo)

   o domenica chissà                                                     (Di vivere con te)

   Qui il tempo s’è fermato                                           (Le mie mani come vedi)

   non scivola più                                                         (non tremano più)

   e il commissario                                                       (e ho nell’anima)

   il qui Von Crastun                                                   (in fondo all’anima)

   non la smette di investigar                                       (cieli immensi e immenso amore)

                                                    

   E poi ancora, lui continua,                                       (E poi ancora, ancora amore,)

   a osservar                                                                (amor per te)

   A scoprire                                                               (Fiumi azzurri)

   L’omicidio non è cosa sua                                      (le colline e praterie)

   Sento scorrere pianissimo                                      (Dove corrono dolcissime)

   Le settimane  mie                                                  (le mie malinconie)

   Oramai sono convinta                                           (Le mie mani come vedi)

   che qui morirem                                                    (non tremano più)

   Come il barone                                                     (E ho nell’anima,)

   sento nell’anima                                                   (in fondo all’anima)

   è destino                                                              (cieli immensi )

   sento arrivar                                                        (e immenso amore)

   pugnalate oppur veleni                                         (e ancor amore ancora amore,)

   per tutti noi                                                          (amor per te)

COMMISSARIO - Cosa essere successo ? Io afere sentito critare ?

CICCI – Cummissariu, liggissi ! (porgendo la lettera)

COMMISSARIO - ...”Osotsugsid uip otlom eropas...“, ahu, è scritta a peri di jaddina ! (Non sa cosa fare per l’imbarazzo)

TATA NELLA – Peri di jaddina ? Scusassi, cummissariu, chi dissi, ca no’ ‘ntisi bonu?

COMMISSARIO - (confuso) Ehm…io afere detto:“père de jardin”. Essere antico moto di tire francese che folere significare “patre del ciardino”. Ciardiniere! Ecco !

TATA NELLA – (decisa) Ca quali pira e puma, lei dissi ”peri di jaddina”, ca ‘n-talianu voli diri “zampe di gallina”. Ma lei è sicuru ca è “Altu” e macari “tisinu” o è da Trizza?

COMMISSARIO – Nein ! Io afere…io… achtung… wurstel…kraus… kartofel…

TATA NELLA – Matri, e chi ci sta niscennu da vucca. Bonu, bonu, ppi carità! Sintissi, non è megghiu ca sintemu a registrazioni ? (Guarda verso l’alto)A lei ca si trova ddocu a supra, lei ca sta cuntannu ‘a storia, ppi favuri, n’’u fa sentiri n’autra vota chiddu ca dissi ’u cummissariu? Quannu parrau de’ peri!    

V.F.C. – Ma dove credete di essere? Eh? Stasera mi avete proprio stufato! Non ne posso più  delle vostre continue interruzioni. Basta! Sono costretto ad ammonirvi!

Entra in scena da sinistra un attore vestito da arbitro, il quale, dopo aver fischiato, con un cartellino giallo ammonisce prima Tata Nella  poi  Cicci ed infine esce.

CICCI –  (rivolto in alto) Scusassi, ma pirchì ammunivu macari a mia, ju chi c’entru? 

V.F.C. -  C’entra si! Ho la prova TV che lei ha aizzato la Tata Nella ad avanzare certe pre-te-se. E adesso riprendiamo da dove abbiamo sospeso. Senza perdere altro tempo!

Sucavento parla all’orecchio del commissario

COMMISSARIO – (Riprende come prima, controllando la lettera) Ma che lingua essere qvesta ?

Sucavento parla all’orecchio del commissario che, imbarazzato rigira il documento sottosopra e legge in silenzio. Finita la lettura, squadra tutti i presenti.

FIFÌ - Cummissariu... ppi lei, cu ‘a scrissi sta littra ?

TETÉ - Forsi l’assassinu ?

COMMISSARIO - Pene, molto pene, qvesta essere feramente mossa falsa, atesso tofere per forza succetere qvalcosa...

BARONESSA PIDDA - (ancora semisvenuta)... Cu... cummissariu...

COMMISSARIO - Silenzio ! (tutti sobbalzano) Signori, assassinen stare per svelare suo nome, qvesta lettera essere stata scritta per paura di qvalcuno, perché chi afere scritto lettera sa che assassinen sospetta di qvalcuno che afere visto lui, ma assassinen non potere muovere poiché chi scritto lettera non potere svelare colpefole in qvanto, autore di telitto, non sapere che chi visto lui, avere scritto lettera, oppure essere sospettato dopo che telitto conzumato !

TUTTI – (meravigliati)  Oooh! Bravo! Complimenti! Bel discorso! (Gli stringono la mano complimentandosi)

Il commissario, si asciuga il sudore dalla fronte e si ferma stupito di se stesso per essere riuscito a fare un discorso così complicato. Poi, mentre tutti lo stanno ancora a guardare a bocca aperta per l’esploit, il commissario sussurrando cerca di ricostruire, fra se, il discorso per riuscire a capire qualcosa di quello che ha detto.

COMMISSARIO - (a parte fra se) ... Se assassinen scritto lettera, colpefole non visto telitto... no, no... se chi scritto lettera essere assassinen, non visto omicitio... no, no... come tiafolo afere detto...

BARONESSA PIDDA - Cummissariu !

COMMISSARIO - (c.s) ... Se telitto scritto lettera... (scuotendosi) ... e... ehm... ya baronessa ?

BARONESSA PIDDA - Cummissariu, allura, c’amu a fari ?

COMMISSARIO - ... Ehm... già... tunque... noi...

Sucavento si avvicina e gli parla all’orecchio, il commissario cambia espressione illuminandosi.

COMMISSARIO - Gut ! (pausa) Signori, ora noi uscire tutti da stanza e rifare scena telitto, ya. Poi tutti antare separati in loro stanze, se autore lettera essere uno di foi, assassinen lo cercherà per venticarsi, qvinti chi scritto lettera uscirà da sua stanza per salvarsi da accoltellamento !

FIFÌ - Giustu !

CICCI – Salaratu! Ma quantu è spertu !

COMMISSARIO - Tutti via, uscire da stanza !

Mentre tutti escono, il commissario tra se tenta ancora di ricostruire il discorso fatto prima.

COMMISSARIO - ... Se lettera avere scritto assassinen, colpefole nascosto coltello... no, no... se coltello scritto lettera...

Tutti sono usciti, Sucavento si avvicina e parla nell’orecchio del commissario.

COMMISSARIO - ... Come ?...Ah, pene, pene ! Sucavento, essere aperta vetrata giartino ?

Sucavento fa cenno di sì.

COMMISSARIO - ... Luci essere spente...

Sucavento annuisce ancora.

COMMISSARIO - Gut, noi uscire !

Sucavento, precedendo il commissario, esce da destra spegnendo la luce, la scena è appena illuminata da uno spiraglio di luce che esce dalla porta aperta di sinistra, nella penombra si sente la voce del commissario che parla tra se uscendo.

COMMISSARIO - ... Se lettera ucciso coltello... assassinen nascosto colpefole... no, no... come tiafolo afere fatto tiscorso prima... (sfuma la voce del commissario, la porta si chiude)                  

 MUSICA                                          

                                                  SCENA OTTAVA

V.F.C. - Ecco, tutto sembra ritornato come la notte del delitto. Nel frattempo si è fatta sera...

La luce del giorno irrompe ancora dalla porta-finestra che dà nel giardino.

V.F.C. - ... Ehm... nel frattempo si è fatta sera !

Tutto rimane come prima.

V.F.C. - (urlando) Si è fatta sera !

Di colpo si spengono le luci e cade la sera.

V.F.C. - Siamo duri d’orecchi eh ?... Nel frattempo si è fatta sera e il buio circonda  il

castello, la stanza è silenziosa, solo il rumore del temporale rompe… quel terribile silenzio.

Tutto tace.

V.F.C. - Lo vogliamo fare un po’ di temporale ?

Scoppiano improvvisamente una valanga di tuoni e fulmini.

V.F.C. - E’ sufficiente un temporale, non la seconda guerra mondiale !

Lampi e tuoni si riducono di intensità

V.F.C. -Ooooooh !(di soddisfazione) Cosa sta per succedere nella stanza maledetta ?

Un lampo illumina la vetrata dove si vede in controluce una figura con cappello ed impermeabile che trasporta un pesante fardello, lo deposita sulla poltrona, poi si aggira furtivamente per la stanza come in cerca di qualcosa. Al momento in cui l’individuo si trova tra la tenda e l’armatura, si accendono improvvisamente le luci e si spalanca la porta di sinistra.

                                                   SCENA NONA

Da destra entrano il commissario, Sucavento e dietro tutto il resto dei personaggi. Il misterioso individuo si nasconde a malapena dietro la tenda, restando visibile, ma senza che si possa distinguere la faccia o qualche altro particolare. Sulla poltrona c’è di nuovo il cadavere con il coltello.

COMMISSARIO - (urlando) Aaaaah ! Fermi tutti, non afere più scampo, uscire fuori di tenta, ormai io afere scoperto cioco !

TATA NELLA - Cu... cummissariu… ‘u mortu !

COMMISSARIO - (perplesso) Come... catafere ? Chi... (al misterioso individuo)... tu afere riportato cadafere in poltronen ? Afanti uscire di tenta !

Il commissario vorrebbe avvicinarsi per smascherare l’individuo, ma ha una paura matta.

COMMISSARIO - Sucavento ! Vai a smascherare uomo tietro tenta !

Sucavento scuote la testa.

COMMISSARIO - Come ? Tu tisobbetire mio ordinen ?

Sucavento annuisce.

COMMISSARIO - (avvicinandosi) Sucavento ! Io ti imponco smascherare intivituo ! (Sucavento è ostinato) ... Sucavento tu no ubbetire a superiore ? (c.s.) ... Acente Sucavento fare tuo tofere di poliziotto se non folere antare a tiricere traffico stratale!

Sucavento stringe i denti, si fa di mille colori, fa cento smorfie è dilaniato da un’atroce lotta interiore, poi, con un tremendo sforzo, mentre tutti lo stanno a guardare ansiosi, pronuncia l’unica sua parola in tutta la commedia.

SUCAVENTO - NO !

Sucavento, dopo il tremendo sforzo, crolla su di una poltrona esausto. Un mormorio stupefatto serpeggia nella stanza, per un attimo vengono dimenticati il cadavere e il misterioso individuo, il quale, approfittando della situazione, cerca di sgattaiolare dalla porta-finestra del giardino.

 FIFÌ - Cummissariu, sta scappannu !

Tutti si riprendono, il commissario, estraendo una pistola, fa un passo avanti cercando di bloccare l’individuo, ma la fifa lo blocca.

COMMISSARIO - Alt ! Fermo !

L’individuo si ferma sempre mezzo nascosto dalla tenda.

COMMISSARIO - Pene ! Ora tu tire chi sei ! Afanti uscire fuori !

Per un attimo tutto tace, l’individuo non si muove, poi, prima pianissimo, poi sempre in crescendo, una risata diabolica si leva dal cadavere.

BARONE GNAGNÀ -     Ah, ah, ah !

Quando la risata giunge al culmine, il barone Gnagnà si solleva a sedere ghignando. Tutti inorridiscono.

BARONESSA PIDDA - Gnagnà !

TETÉ - Papà !

ASPANU - Patruni !

FIFÌ - Baruni !

DONNA NENE’ -  Eccillenza!

TATA NELLA - Eminenza

COMMISSARIO - Cadafere !

Il barone Gnagnà continua a ridere per un po’, poi fulminando tutti :

BARONE GNAGNÀ – Ah, ah, ah ! V’’a ‘mbrugghiai  a tutti !

BARONESSA PIDDA - ... Ma Gnagnà...

COMMISSARIO - Ma allora... assassinio ?

BARONE GNAGNÀ – Ca quali, non c’è mai statu assassiniu.

CICCI - E a littra ?

BARONE GNAGNÀ - Oh, n’autra bella pinsata d’’u cummissariu, pp’ingannari ‘n’assassinu ca mancu esisteva !

TETÉ - Cummissariu !

COMMISSARIO - (affranto) Ya, essere fero, io scritto lettera per costrincere assassinen a tratirsi... ma... non antare mai bene niente a me ! (piagnucola e si sieda su di una poltrona)

FIFÌ - Ma allora... chiddu cu è ? (indicando l’individuo dietro la tenda)

BARONE GNAGNÀ - E’ ‘n-amicu! ‘U nutaru Puddu Pitta.

Dalla tenda, togliendosi cappello e impermeabile, esce un uomo di mezz’età e si avvicina al barone Gnagnà.

BARONE GNAGNÀ – M’ha datu ‘na manu ppi fari sta sciniggiata !

TETÉ –Mancu ‘u spaventu ca n’amu pigghiatu!

BARONESSA PIDDA - (cercando di fingersi seccata) Gnagnà, ppi favori, cerca di non moriri cchiù!

TATA NELLA – Speriamo ca non si scordunu di  turnarimi ‘u cuteddu!

ASPANU  - E’ u terzu murbillu ca pigghiu

DONNA NENE’ – Ora ca finiu ‘u luttu, pozzu turnari all’assaggiu d’’u vinu.

TATA NELLA – Ma si po sapiri pirchì l’ha fattu ?

BARONE GNAGNÀ – V’’u dicu subitu. Prima livatimi, ppi favuri, stu cosu da carina.

TETE’ -  T’’u levu ju, papà. (gli estrae il coltello e lo passa a Tata Nella)

BARONE GNAGNÀ – Grazi! Allura, ‘u fici apposta! A mucciuni, vuleva virificari, pirchì nta sta casa m’aviti tutti supra a panza.

TATA NELLA – E, allura?

BARONE GNAGNA’ – E allura, capii ca nuddu mi voli beni …

BARONESSA PIDDA –  (con ipocrisia) Ma chi vai dicennu…..

TETE’ – (c.s.) Papà, non ci cririri..

TATA NELLA – (c.s.) Ma quannu mai sti cosi…

ASPANU – (c.s.)  Ppi lei dassi macari a vita…

DONNA NENE’ – Ju, macari ‘na vutti leggia!

BARUNI  GNAGNA’ – ‘N-mumentu, n’haju finutu…nuddu mi voli beni pirchì m’’u meritu!

TUTTI –   (increduli)   Eeeeeeh ?

BARUNI  GNAGNA’ –  M’’u meritu, pirchì v’haju asfissiatu a vita cu li me fissazioni e i me priputenzi!

TUTTI - (di compiacimento) Aaaaah!

BARONE GNAGNA’ – Allura, ppi farimi pirdunari, pinzai ca è giustu ca v’ajutu a rializzari tuttu chiddu ca disidira ‘u vostru cori. Accuminciamu cu Pidda. A me surastra ci dugnu ‘na bona doti e ‘a binidizioni ppi maritarisi. A stissa cosa ppi me figghia Teté. A Nenè a fazzu prupritaria d’’a cantina cu tutti i centu vutti. O cummissariu ci arrialu l’enciclopedia “Mille soluzioni per mille delitti”. Poi, ‘n-vitaliziu ppi Aspanu accussì, finalmente, si po’ manteniri ‘n-cammareri. A Tata Nella, ci accattu ‘na fabbrica di cuteddi e, ppi finiri, a Sucaventu, ci offru ‘na bella vacanza di seì misi a Taurmina.

TUTTI – Bene, evviva!

BARONESSA PIDDA -  ( Intona, da “Oh mama, oh mama”)

Oh finalmente siamo                                             (Oh mama mama mama)

Noi tutti allor felici                                                (Oh mama mama mama)

Realizzar – i nostri sogni ognor                             (Sai perché- mi batte il corazon)

Con l’abito da sposa                                              (Ho visto un bel muchacho)

Mi voglio maritare                                                 (Ho visto un bel muchacho)

Oh Gnagnà che bello che sarà                                (Oh mamà innamorata son)

Tetè sarà contenta                                                  (Ho visto in rancho grande)

Assieme a Cicci bello                                           (ho visto il rancho grande)

Sento che – raggianti noi sarem                         (mamà - mi batte il corazon)

Le botti di Nené                                                    (ho visto un bel muchacho)

La fabbrica di Nella                                              (ho visto un bel muchacho)

Oh Gnagnà – ti ringraziam di cuor                        (oh mamà- innamorata son)

(solo attori) oh oh oh oh che delizia                      (ahi ahi ahi ahi che Pedrito)

(solo attrici) oh oh oh oh che goduria                   (ahi ahi ahi ahi che marito)

(tutti)  oh oh oh oh che bellezza                            (ahi ahi ahi ahi che Pedrito)

Che bello oh oh oh                                               (che Pedrito oh oh oh)

Asdrubale in pensione                                          (Oh mama mama mama)

Von Crastun indagatore                                        (Oh mama mama mama)

Sucavento alfine a riposar                                     (Sai perché mi batte il corazon)                                        

E’ tutto quanto bello                                             (Ho visto un bel muchacho)                                     

Mi sembra di sognare                                           (Ho visto un bel muchacho)

Oh Gnagnà sarai nei nostri cuor                            (Oh mamà innamorata son)

(tutti) Sarai nei nostri cuor

BARONE GNAGNÀ – E ora, su pirmittiti, c’’u nutaru Puddu Pitta, jiemu a scriviri l’attu di tuttu chiddu ca v’ha dittu!  (esce da destra con il notaio)

                                                SCENA DECIMA

Mentre tutti si congratulano tra loro, il commissario comincia a piagnucolare sulla poltrona.

COMMISSARIO - Possibile io non riuscire a scoprire telitti.. io afere stutiato manovale... libri... afere fatto corso per corrispontenza... ma colpefole sfuccire sempre.

Il commissario continua a soggetto, riuscendo pian piano ad attirare l’attenzione degli altri che gli si fanno intorno.

CICCI - Avaja, cummissariu, non si pigghiassi di colira.

COMMISSARIO - Cià... tire bene...

TETÉ – Ci voli scummettiri ca a prossima vota l’assassinu ‘u scopri subitu subitu ?

COMMISSARIO - No... non folio più fare commissario

BARONESSA PIDDA – Non s’abbarruassi, prima o poi, qualche dilittu nta tutti sti castelli ca ci sunu ‘n-Sicilia ha succediri, no? Avissi fiducia!

COMMISSARIO - (sempre piagnucolando) ... No...

 FIFÌ - Voli ca ammazzamu a qualcunu ?

COMMISSARIO - ... No...

TATA NELLA – O allura, ci ‘u facemu ammazzari a Aspanu, accussì lei sapi, ‘n-partenza, ca l’assassinu è ‘u maggiordomu ? Chi dici ?

COMMISSARIO - (c.s.) ... Hum... no...

CICCI – ‘U voli accattatu bellu gilatu al pistacchio ?

BARONESSA PIDDA – ‘U purtamu a fari pipì ?

Sucavento, per consolare il commissario tira fuori un astuccio con dell’acqua saponata per le bolle di sapone e glielo porge. Il commissario tutto contento lo apre e comincia a produrre bolle. Da fuori scena arrivano una gran quantità di altre bolle che, illuminate da fasci di luce variamente colorati, creano un ambiente surreale.

CICCI - (facendo alzare il commissario) Vinissi cu nuatri cummissariu, ci facemu fari bellu giru. Peri peri, sempri qualche mortu ‘u truvamu e lei, accussì, po’ fari a so’ bella indagini! Chi ni dici?

L’azione continua a soggetto su questo tono, tutto il gruppo circonda il commissario, esce dalla porta-finestra del giardino. La scena resta vuota, mentre prosegue l’emissione di bolle sempre più grosse, fino alla chiusura del sipario.

V.F.C. – Del seguito di questa storia possediamo soltanto frammentarie e lacunose notizie. Del barone Gnagnà, si sa soltanto che visse felice e contento. Il commissario, invece, in un momento d’ira, uccise Sucavento perché aveva scoperto che il suo vero nome non era Von Crastun Franz, altoatesino di origine tedesca, ma Di Pecorone Mansueto nato a Mungiuffi, in provincia di Messina. Con successo, smascherandosi da solo e senza alcun aiuto, finalmente riuscì a scoprire il suo primo delitto. Al castello, le due baronesse con i rispettivi mariti, si dedicarono allo studio ed alla ricerca ottenendo sensazionali risultati. Per le loro indagini sugli effetti del puré sull’uomo, ed in particolare per la preziosa analisi sull’argomento “Il puré senza patate può nuocere all’igiene mentale”, conseguirono il prestigioso premio “Mannaggia all’acqua ragia”. Di Aspanu si sa soltanto che morì di rosolia, curata erroneamente come morbillo. Tata Nella, oltre alla fabbrica di coltelli, ne acquisì altre per la produzione di falciatrici, di rasoi e di ghigliottine. L’ultima, quella delle ghigliottine, le fu fatale: per provare il primo modello, si decapitò. Infine, donna Nené fu trovata, dopo vent’anni di ricerche, dentro la botte da seimila litri del nuovo “Liquore alle melenzane”, Riserva Reale del 1928, perfettamente conservata e con ancora il sorriso sulle labbra.

All’apparire dello splendido sole della bella e antica Sicilia, finì la tragica storia di quella terribile notte al castello di Baddi tunni,                                                                         

                                                            SIPARIO

                                       

                                                FINE DELLA COMMEDIA