Assassinio senza movente

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eugene ionesco

ASSASSINIO SENZA MOVENTE

Traduzione di Valentino Musso

Persone

(in ordine d'entrata in scena)

Berenger, età media, cittadino medio

L'architetto, età indefinibile, età da funzionario

Dany, giovane dattilografa, pin-up convenzionale

Il barbone, ubriaco

Il padrone del bistro, mezz'età, grosso, bruno, villoso

Edouard, 35 anni, magro, febbrile, vestito di scuro, a lutto

Voce della portinaia La portinaia

Voce del cane della portinaia

Voce d'uomo

Voce di un altro uomo

Voce di un camionista

Voce di un autista

Primo vecchio

Secondo vecchio

Il droghiere

Voce del maestro di scuola

Prima voce proveniente dalla strada

Seconda voce (grossa) dalla strada

Terza voce (esile) dalla strada

Quarta voce dalla strada

Prima voce dal basso

Seconda voce dal basso

Voce da destra

Voce dall'alto

Voce da sinistra

Seconda voce da sinistra

Voce di donna, nell'ingresso

Ombra di motociclista in motocicletta

Voce del postino

Il postino, in persona (se è il caso)

Comare Pipa

La voce della folla

L'ubriaco, in marsina e cilindro

Il vecchio signore con il pizzo bianco

Primo vigile

Un giovane soldato con un mazzo di fiori

Secondo vigile

L'eco

L'assassino

Di queste parti parecchie possono essere sostenute dallo stesso attore. Del resto, è ovvio che non si sentiranno tutte le voci del secondo atto. Nella prima metà del secondo atto si potranno praticare tutti i tagli voluti. Il che dipende dall'efficacia di tali voci, degli episodi assurdi. Il regista sceglierà. Tuttavia dovrà far uso, se possibile, della tecnica stereofonica. È pure preferibile, in questo stesso secondo atto, far apparire il maggior numero possibile di ombre, dall'altra parte della fi­nestra, come su una scena dietro la scena. Apertosi il sipario sul secondo atto sa­ranno però indispensabili, almeno per qualche istante, parole e rumori intorno alla scena vuota, al fine di prolungare, di intensificare, in qualche modo, l'atmo­sfera, visiva e sonora, della via, della città che rinasce alla fine del primo atto, che si affievolisce dopo l'arrivo di Berenger, e che si impone di nuovo con violenza all'inizio del terzo atto per allontanarsi definitivamente alla fine. Si potrà praticare qualche taglio anche nel primo atto: occorre tener conto di quanto è in grado di smaltire l'attore che ha la parte, in relazione alle sue forze e al suo temperamento.

Il discorso di Berenger all'assassino, al termine della commedia, è, da sé, un pic­colo atto. Il testo deve essere sostenuto da una recitazione che esprima il pro­gressivo disarticolarsi di Berenger, il suo decomporsi, il vuoto della sua morale piuttosto ordinaria che si sgonfia come un pallone. In effetti, Berenger trova, suo malgrado, in se stesso, contro se stesso, argomenti a favore dell'assassino.

Atto primo

Nessuna scenografia. Al levar del sipario la scena è vuota. In seguito sul palco ci saranno soltanto, a sinistra, due sedie da giardino e una tavola che l'architetto porterà fuori da sé. Si dovranno trovare sottomano fra le quinte. Nel primo atto l'ambiente sarà esclusivamente creato dalla luce. Al principio, mentre la scena è ancora vuota, la luce è grigia come quella di una giornata di novembre o di febbraio, nel pomeriggio, quando il cielo è coperto. Rumore leggero del vento; forse si vedrà una foglia morta attraversare la scena, vol­teggiando. In lontananza, il rumore di un tram, sagome confuse di edifici che svaniscono quando, « d'improvviso », la scena si rischiara fortemente: è una luce intensissima, bianchissima; c'è questa luce bianca e c'è anche l'azzurro del cielo splendente e denso. Quindi, dopo il grigiore, le luci devono giocare su que­sto bianco e questo azzurro, che costituiscono i soli elementi d'una scenografia luminosa. I rumori del tram, del vento o della pioggia cesseranno nell'attimo preciso in cui avrà luogo il cam­bio d'illuminazione. L'azzurro, il bianco, il silenzio, la scena vuota devono creare un'impressione di calma strana. Per questo occorre lasciar tempo agli spettatori di avvertirla. Solo in capo a un buon minuto i personaggi devono apparire sulla scena. Berenger entra per primo da sinistra, a passo vivace, si ferma al centro, si volta su se stesso con un movimento rapido verso la sinistra, da cui arriva, più adagio, l'architetto, che lo segue. Berenger in questo momento indossa un soprabito grigio, un cappello, una sciarpa. L'architetto ha una giacchetta leggera, camicia aperta, calzoni chiari, è senza cappello; sotto il braccio tiene una cartella di documenti, abbastanza pesante e spessa, che somiglia alla borsa di Edouard nel secondo atto.

Berenger Incredibile! Incredibile! È straordinario! Per me que­sto ha del miracoloso.

            Vago gesto di protesta dell'architetto

            Del miracoloso, o se preferisce, perché lei è probabilmente uno spirito laico, vero? Se lei preferisce, dirò che questo ha del meraviglioso! Mi felicito caldamente con lei, signor architetto, è meraviglioso, meraviglioso meraviglioso! Dico sul serio!

L'architetto       Oh... egregio signore...

Berenger            Sì, si, davvero... Ci tengo a felicitarmi. È letteralmente incredibile, lei ha                                      realizzato una cosa incredibile! La realtà che supera l'immaginazione!

Architetto          Questo lavoro rientra nelle mie normali funzioni, io ricevo uno stipendio

                                    per farlo.

Berenger            Certo, certo, signor architetto, s'intende, lei è un tec­nico e al tempo stesso un       funzionario coscienzioso... Però, questo non spiega tutto. (Guardandosi attorno e fissando     punti precisi della scena) Come è bello, che magnifico prato, queste aiuole fiorite... Ah!         Questi fiori allettanti come ortaggi, questi ortaggi profumati come fiori... E che cielo    azzurro, che straordinario cielo az­zurro... Come si sta bene! (All'architetto) In tutte le città    del mondo, tutte le città di una certa importanza, ci saranno certamente dei funzionari,   degli architetti municipali, come lei, degli architetti in capo con le sue mansioni, che sono        stipendiati come lei. Ma sono ben lontani dall'ottenere risultati simili. (Indica con la mano)             È retribuito adeguatamente, almeno? Chiedo scusa, sono forse indiscreto...

Architetto  S'immagini... Ho uno stipendio medio, secondo le pre­visioni di bilancio. Una   cosa ragionevole. Può andare.

Berenger   Ma la sua genialità dovrebbe essere pagata a peso d'oro.

                          E per giunta, ci vorrebbe dell'oro di prima del '14... Di quello vero.

Architetto    (protestando modestamente)   Oh...

Berenger Sì, si, non protesti, signor architetto municipale... Oro autentico... Quello d'oggi, diciamolo pure, è oro svalu­tato, come tante cose in questi tempi, oro di carta...

Architetto         La sua sorpresa, la sua...

Berenger Dica piuttosto la mia ammirazione, il mio entusiasmo!

Architetto          Se vuole. Il suo entusiasmo, effettivamente, mi com­muove. La ringrazio, signor... Berenger. (S'inchina per ringraziare, dopo essersi cercato in tasca una scheda          dove indubbiamente era scritto il nome di Berenger, perché, inchinandosi, legge sulla scheda il nome che pronuncia).

Berenger              Sinceramente entusiasta, sinceramente, glielo giuro, non è nel mio carattere          far complimenti.

Architetto (cerimoniosamente, ma con distacco) Ne sono molto, molto, molto lusingato!

Berenger   È magnifico! (Guarda intorno) Vede, me n'avevano parlato molto, ma io non avevo      creduto... o piuttosto, non me n'avevano parlato, ma lo sapevo, sapevo che esisteva nella        nostra città cosi tetra, in mezzo ai suoi luttuosi quartieri di polvere, di fango, questo bel          quar­tiere chiaro, questa zona fuori classe, con vie assolate, con viali pieni di luce... questa           radiosa città nella città, che lei ha costruito...

Architetto         È un nucleo che deve, o meglio che doveva, in linea di principio, estendersi.        Ho steso i progetti dietro inca­rico del comune. Non mi permetto di avere iniziative   personali...

Berenger    (continuando il monologo)    Ci credevo senza crederci.

            Lo sapevo senza sapere! Avevo paura di sperare... spe­rare, non è più una parola francese,            né turca, né po­lacca... belga, forse... e neanche...

Architetto         Capisco, capisco!

Berenger   E ciò nonostante, eccomi qui. La realtà della sua città radiosa è indiscutibile.                              La si tocca con mano. Questa luce azzurra ha l'aria perfettamente naturale...                              l'azzurro, il verde... Oh, questo prato, quei fiori rosa...

Architetto         Sì, quei fiori rosa sono appunto rose.

Berenger            Rose vere? (Passeggia per la scena, indica col dito odora i fiori, ecc.) Altro                      azzurro, altra verzura... i colori .della gioia. E che calma, che calma!

Architetto         È la regola in quest'angolo, egregio signor... (Legge sulla scheda) ...          Berenger. È calcolato, è fatto apposta In questo quartiere, niente doveva esser lasciato al        caso, il tempo è sempre bello... Perciò i terreni si ven­dono... o piuttosto... si vendevano,     carissimi... Le ville sono costruite coi materiali migliori... Tutto è solido eseguito con cura.

Berenger             Non deve pioverci mai, nelle case.

Architetto          Neanche per idea! È il meno che si possa pretendere. Perché, ci piove, a                           casa sua?

Berenger             Eh, purtroppo si, signor architetto!

Architetto          Questo non dovrebbe succedere, neppure nel suo quar­tiere. Manderò un                           capomastro.

Berenger             Cioè, forse non è che proprio ci piova. È un modo di dire. C'è tanta umidità,        che è come se piovesse.

Architetto         Vedo, è un fatto morale. In ogni modo, qui, in questo quartiere, non piove           mai. Però tutti i muri delle case che lei vede, tutti i tetti sono a tenuta, per abitudine, per

            scrupolo di coscienza. È una cosa inutile, ma si fa per rispettare una vecchia tradizione.

Berenger             Non piove mai, dice? E questa vegetazione, questo prato? E sugli alberi, non       una foglia secca, nei giardini non un fiore appassito!

Architetto          Sono annaffiati dal basso.

Berenger             Meraviglie della tecnica! Scusi lo stupore di un pro­fano come me... (Si terge         con un fazzoletto il sudore dalla fronte).

Architetto         Ma tolga il soprabito, lo tenga sul braccio, lei ha troppo caldo.

Berenger              Infatti, si... Non ho pili freddo per niente... Grazie, grazie del consiglio.    (Toglie il soprabito, se lo mette sul braccio; tiene il cappello in testa; pur facendo que­sti           gesti, continua a guardare in alto) Le foglie degli alberi sono grandi abbastanza per filtrare         la luce, e non troppo per non aduggiare le facciate. Quando si pensa che su tutto il resto       della città il cielo è grigio come i capelli di una donna invecchiata, che all'orlo dei             marciapiedi c'è della neve sporca, che tira vento! Stamat­tina svegliandomi avevo molto   freddo. Ero gelato. I             termosifoni funzionano cosi male nella casa dove abito, specialmente        al pian terreno. E funzionano anche peg­gio quando non accendono... Questo per dirle che...

            Si sente, dalla tasca dell'architetto, suonare un telefono.

ARCHITETTO   (trae dalla tasca il ricevitore, lo porta all'orecchio; un capo del filo gli resta     in         tasca)   Pronto?

BERENGER      Mi scusi, signor architetto, io sto portando intralcio al suo lavoro...

ARCHITETTO   (al telefono)  Pronto?  (A Berenger)  Ma no... Ho riser­vato un'ora per farle       visitare il quartiere. Non mi di­sturba affatto. (Al telefono) Pronto? Si. Me l'hanno detto.          Informi il vice capo. Intesi. Faccia un'inchiesta, se proprio ci tiene. Un'inchiesta formale. Io     sono col signor Berenger per la visita alla città radiosa. (Rimette l'apparecchio in tasca. A     Berenger che si era scostato di qualche passo, assorto nel suo rapimento) Diceva? Ehi,   dov'è andato?

Berenger            Sono qui. Mi scusi. Che dicevo? Ah, si... Oh, non ha più importanza, ormai.

            Coraggio. Dica lo stesso.

ARCHITETTO          Dicevo... ah si... nel mio quartiere, pili precisamente a casa mia, tutto è      umido: il carbone, il pane, il vento, il vino, i muri, l'aria, e persino il fuoco. Com'è stato             duro levarmi, stamane; ho dovuto fare un grande sfor­zo. Era veramente penoso. Se le lenzuola non fossero state umide anch'esse non mi sarei deciso. Non potevo certo    prevedere che, di colpo, come per incanto, mi sarei trovato in mezzo alla primavera, in    pieno aprile in quest'aprile dei miei sogni... dei miei sogni più vecchi...

Architetto         Dei sogni! (Alzando le spalle) In ogni caso, avrebbe fatto meglio a venire             prima, a venire prima che...

Berenger  (interrompendolo)    Ah si, di tempo ne ho perduto, è vero...

            Berenger e l'architetto continuano a passeggiare per la scena. Berenger deve dar            l'impressione di percorrere dei viali, delle alberate, dei giardini. L'architetto lo segue, più adagio. In certi momenti, magari, Berenger si volgerà per parlare all'architetto, e gli       parlerà alzando la voce. Deve fingere d'aspettare che l'ar­chitetto si avvicini.

(Indicando con la mano, nel vuoto)  Oh che casa gra­ziosa! La facciata è squisita, io sono ammirato        della purezza di questo stile! Settecento? No, Quattrocento o fine Ottocento? Comunque,        qualcosa di classico, e com'è civettuola, civettuola... Eh si, ho perso molto tempo, è troppo        tardi?... No... Si... No, forse non è troppo tardi, che ne pensa lei?

Architetto         Non ho riflettuto sulla questione.

Berenger             Ho trentacinque anni, signor architetto, trentacinque... in realtà, per esser                          franco, ne ho quaranta, quaranta­cinque... forse anche di più.

Architetto (guardando la scheda) Noi lo sappiamo. La sua età è segnata sulla sua scheda. Abbiamo tutti gli incartamenti.

Berenger  Davvero?... Oh!

Architetto         È naturale, ci occorre per lo stato civile, ma stia tran­quillo. Il codice non   prevede sanzioni per questo ge­nere di dissimulazioni, di civetterie.

Berenger    Ah, tanto meglio! D'altronde, se dichiaro solo trenta­cinque anni, non lo

            faccio assolutamente per ingannare i miei concittadini, che gliene importa, a loro? No,

            lo faccio per ingannare me stesso. In questo modo, mi suggestiono, mi credo più giovane,           riprendo coraggio...

Architetto         È umano, è naturale.

Squilla il telefono tascabile, l'architetto riprende il microfono.

Berenger             Ah che belline queste pietruzze!

Architetto   (al telefono)    Pronto... Una donna? Prenda i suoi con­notati, le note caratteristiche.    Registri. Mandi al ser­vizio statistica...

Berenger   (indicando col dito l'angolo della scena, a sinistra)             Che cosa c'è, là?

Architetto  (c. s.)  Ma no, ma no, nient'altro da segnalare. Finché sono qui io, non può capitare      altro. (Rimette in tasca il ricevitore. A Berenger) Chiedo scusa, mi dica.

Berenger (c. s.)    Che cosa c'è, là?

Architetto         Ah, quella... è una serra.

Berenger              Una serra?

Architetto         Si. Per i fiori che non allignano in un clima temperato, i fiori che amano il             freddo. Si crea per loro un clima invernale. Di quando in quando, si fanno funzionare           piccole tempeste.

Berenger            Ah, è previsto tutto... si, signore, forse ho sessant'anni, settant'anni, ottanta,             centocinquant'anni, che ne so?

Architetto         Moralmente!

Berenger             E questo si traduce anche fisicamente. È psicosoma­tico... Dico delle         sciocchezze?

Architetto          Mica tanto. Come tutti.

Berenger               Mi sento vecchio. Il tempo è soprattutto soggettivo.

            O piuttosto, misentivo vecchio, perché da stamattina sono un uomo nuovo. Son certo di            ridiventar me stesso, certo che il mondo ridiventa se stesso; ed è stato il suo potere a far            questo. La sua luce magica...

Architetto         La mia illuminazione elettrica!

Berenger  ... La sua città luminosa! (Indica col dito, vicinissimo) È il potere di questi muri   immacolati coperti diroseopera sua! Ah, si, si, si... Niente e perduto, nesonosicuro, ora...         Mi ricordo,si, che due o tre persone mi avevano effettivamente parlato della città ridente:   gli uni mi dicevano che era a due passi, gli altri che era lontanissima, che ci si arrivava           facilmente, difficilmente che era un quartiere riservato...

architetto          È falso!

BERENGER              ... Che non c'erano mezzi di trasporto...

ARCHITETTO          Che stupidaggine. La fermata del tram è là, all'inizio del viale principale.

Berenger              Ma certo, ma certo! Ora so. Per molto tempo, le assi­curo, avevo cercato,   coscientemente o inconsciamente, di trovare la strada. Andavo a piedi fino alla fine di una via, mi accorgevo che era soltanto un vicolo cieco. Facevo il giro di lunghi muri, seguivo cancellate, arri­vavo al fiume, lontano dal ponte, oltre il mercato e le porte. Oppure, cammin       facendo, incontravo amici che non mi avevano più rivisto dal servizio militare: ero             obbligato a fermarmi per chiacchierare con loro; si fa­ceva tardi; dovevo rientrare.            Insomma, non pensiamoci più: ora sono arrivato. Sono al sicuro.

Architetto          Era cosi semplice. Bastava mandarmi due righe, scri­vere ufficialmente ai servizi municipali; il mio ufficio le avrebbe trasmesso, per raccomandata, tutte le           indicazioni necessarie.

Berenger             Eh si, bisognava pensarci. Insomma, inutile rimpian­gere gli anni sciupati...

Architetto          Come ha fatto oggi a trovare la strada?

Berenger             Per puro caso. Ho preso il tram, appunto.

Architetto         Che le dicevo?

Berenger            Ho sbagliato tram, ne volevo prendere un altro, ero convinto di non essere           nella direzione giusta, eppure era la buona, per errore, felice errore...

Architetto          Felice?

Berenger              No? Non felice? Oh, ma si, felice, molto felice.

Architetto          Insomma, lasciamo stare, vedrà lei in seguito.

Berenger              Ho già visto. La mia opinione è fatta.

Architetto         In ogni modo, ricordi che bisogna sempre andare fino al capolinea. In ogni           circostanza. Tutti i tram portano qua: è il deposito.

Berenger             Infatti. Il tram mi ha lasciato là, alla fermata. Ho rico­nosciuto subito, pur senza   averli   visti mai, i viali, le case fiorite, e lei che aveva l'aria di aspettarmi.

Architetto         Ero stato informato.

Berenger             C'è una tale metamorfosi! È come se mi trovassi lon­tano, verso il Sud, a   mille o a duemila chilometri. Un altro universo, un mondo trasfigurato. Per arrivarci, solo    questo             viaggetto, un viaggio che non è neanche un viaggio, perché ha luogo, per cosi dire,    sui luoghi stes­si... (Ride, poi, imbarazzato) Scusi il gioco di parole, non è molto spiritoso.

Architetto         Non prenda quell'aria desolata. Ne ho sentiti di peg­giori. Lo metto in conto         sulla sua euforia...

Berenger             Non ho mente scientifica. Ecco probabilmente perché non mi spiego,        nonostante i    suoi chiarimenti di compe­tente, come mai in questo posto possa fare sempre    bel tempo! Ma forse, e questo le avrà facilitato le cose, la zona è più riparata? Eppure non            vedo colline che formino un riparo contro il maltempo! D'altra parte è ben noto che le           colline non cacciano le nuvole, non salvano dalla pioggia. Forse ci sono delle correnti           calde   e luminose che vengono da un quinto punto cardinale o da una terza altezza? No,            vero? E poi, si sarebbe sparsa la voce. Stupido che sono. Non tira nemmeno un po' di    brezza, benché l'aria sia purissima. Però è strano lo stesso, signor architetto comunale, è           ben strano!

Architetto  (col tono dell'informatore competente) Niente di stra­no, le dico, solo questione di        tecnica. Cerchi di seguire. Lei avrebbe dovuto frequentare una scuola per adulti. Questo non è altro che un isolotto... con ventilatori dissimulati che ho preso a modello nelle oasi      che si   trovano sparse nei deserti, dove lei si vede sorgere da­vanti all'improvviso, in mezzo       alle sabbie aride, città sorprendenti, coperte di rose fresche, cinte di fontane, di fiumi, di          laghi...

Berenger Ah, si... È vero. Lei parla di quelle città che si chia­mano anche miraggi. Ho letto in          argomento delle rela­zioni di esploratori. Come lei vede, non sono comple­tamente       ignorante. I miraggi... non c'è niente di più reale. I fiori di fuoco, gli alberi di fiamma, gli          stagni di luce:             in fondo non c'è che questo di vero. Ne sono per­suaso. E laggiù? Che cos'è   laggiù?

Architetto          Laggiù? Laggiù dove? Ah, laggiù?

Berenger              Si direbbe un laghetto.

            L'illuminazione fa apparire in fondo la forma vaga di un la­ghetto, delineatasi nel momento         in cui è stata pronunciata la parola.

Architetto         Uh... Diamine, si. Un laghetto. Ha visto bene. È un laghetto. (Consulta     l'orologio) Credo d'avere ancora un po' di tempo.

Berenger              Ci si può andare?

Architetto         Vorrebbe vederlo più da vicino? (Ha l'aria di esitare) Ma si. Visto che ci tiene. Devo mostrarglielo.

BerengerO piuttosto... non so che scegliere... Tutto è cosi bello… Mi piacciono gli specchi            d'acqua, ma mi sento attratto anche da questo cespuglio di biancospino fiorito. Se non le        spiace, il laghetto lo vedremo dopo...

Architetto         Come vuole!

Berenger             Vado pazzo per il biancospino.

Architetto          Si decida.

Berenger              Si, si, andiamo dal biancospino.

Architetto          Sono a sua disposizione.

Berenger              Non si può vedere tutto contemporaneamente.

Architetto          Giustissimo.

           

            Il laghetto sparisce. Fanno qualche passo.

Berenger               Che profumo soave! Sa, signor architetto, io... mi scusi se parlo di me... un          architetto capisce tutto, gli si può dire tutto...

Architetto          Faccia, faccia, non abbia soggezione.

Berenger             Grazie! Sa, ho tanto bisogno d'un'altra vita, di una vita nuova. Un'altra                                         cornice, un altro ambiente; un altro ambiente, lei penserà che è ben poco e                                    che... aver del             denaro, per esempio...

Architetto          Ma no, ma no...

Berenger              Si, si, lei è troppo gentile... Un ambiente non è che una cosa superficiale, estetismo, se non si tratta, come dire, di un ambiente, di un'atmosfera che corrisponda a          una necessità interiore, che sia, in qualche modo...

Architetto          Capisco, capisco...

Berenger  ... il prorompere, il prolungarsi dell'universo di dentro. Soltanto che, perché possa           prorompere, questo universo di dentro, gli occorre il soccorso esterno di una certa luce «         esistente », fisica, di un mondo oggettivamente nuovo. Giardini, cielo azzurro, una             primavera che corrispondano all'universo interiore, nei quali esso possa riconoscersi, che      siano come la sua traduzione o il suo presagio, o lo specchio in cui possa riflettersi il suo           stesso sorriso... in cui possa riconoscersi e dire: ecco quello che io sono in realtà e che avevo             dimenticato, un essere sorridente in un mondo sorridente... Insomma, mondo interiore,   mondo esterno, sono espressioni improprie, non ci sono vere frontiere fra questi cosiddetti        due mondi; c'è un impulso primo, evidentemente, che viene da noi, e quando non può            esterio­rizzarsi, quando non può realizzarsi obiettivamente quando non c'è accordo totale fra     l'io di dentro e l'io di fuori è la catastrofe, la contraddizione universale la frattura.

Architetto (grattandosi la testa)  Lei ha una terminologia... Non parliamo lo stesso linguaggio.

Berenger            Non potevo più vivere, ma senza poter morire. Per for­tuna, tutto cambierà,           d'ora in poi.

Architetto         Calma, calma!

Berenger            Mi scusi. Mi esalto facilmente.

Architetto         È un tratto del suo carattere. Lei appartiene alla cate­goria dei         temperamenti poetici. Ci vogliono, evidente­mente, visto che ci sono.

Berenger              Da anni e anni, neve sudicia, vento aspro, un clima senza riguardi per le    creature... vie, case, quartieri in­teri, gente non veramente infelice; peggio, gente né felice né    infelice, brutta, perché non è né brutta né bella, creature tristemente neutre, nostalgiche          senza nostalgie, come incoscienti, come se soffrissero incon­sciamente d'esistere. Ma io    avevo coscienza del disagio dell'esistenza. Forse perché sono più intelligente, anzi no, meno   intelligente, meno a posto, meno rassegnato, meno paziente. È un difetto? Una qualità?

Architetto   (dando segni d'impazienza)           Dipende.

Berenger       Non si può sapere. L'inverno dell'anima! Io mi esprimo in modo confuso, vero?

Architetto  Non saprei giudicare. Non rientra nelle mie mansioni. È di competenza del       servizio logica.

Berenger             Non so se lei apprezza il mio lirismo.

Architetto  (seccamente)           Ma si, andiamo!

Berenger            Ecco. Ecco: c'era, un tempo, in me, questo possente afflato di calore interno,       contro il quale il freddo non aveva potere; una giovinezza, una primavera che gli autunni   non potevano intaccare; una luce che irradiava, sorgenti luminose di gioia che credevo          inesauribili. Non la felicità; dico giusto: la gioia, la letizia che fa­ceva si ch'io potessi      vivere …

  Squilla il telefono in tasca all'architetto.

 

            ... C'era un'energia immensa...

 L'architetto estrae il telefono di tasca.

            ... Uno slancio... doveva essere lo slancio vitale, non è vero?...

Architetto          (ricevitore all'orecchio)          Pronto?

Berenger             E poi, tutto s'è spento, s'è spezzato...

Architetto  (al telefono)   Pronto. Benissimo, benissimo!... Non deve mica essere da ieri.

Berenger  (continuando il monologo) Dev'essere da... da non so più quando... da molto, molto        tempo...

            L'architetto ripone in tasca il ricevitore e dà nuovi segni d'im­pazienza; entra in quinta, a sinistra, riporta una sedia che si­stema nell'angolo, a sinistra, dove si supponeva la serra.

           

            ... Devono essere secoli... o forse solo qualche anno, o forse era ieri...

Architetto         La prego di scusarmi, ho affari urgenti da sbrigare in ufficio, se permette un         momento...  (Esce a sinistra, un secondo).

Berenger  (solo)    Oh... signor architetto, davvero, mi scusi, io...

Architetto  (ritorna, con un tavolino che mette davanti alla sedia, siede, trae il telefono di   tasca,   lo posa sulla tavola, mette il portacarte, aperto, davanti a sé)    Sono io che devo           scusarmi.

Berenger             Oh, quanto mi dispiace.

Architetto         Non sia troppo dispiaciuto. Ho due orecchie: uno è per il servizio, e l'altro lo        riservo a lei. Anche un oc­chio, per lei. L'altro per il comune.

Berenger                        Non si stancherà?

Architetto         Non tema. Ci sono abituato. Su, via, continui... (Estrae dal portacarte, o finge, degli incartamenti che posa e apre, o finge, sulla tavola) Eccomi alle mie carte, e an che a lei... Lei non sa, diceva, a quando risalga la rot­tura del suo slancio!

Berenger                        Certo non da ieri. (Continua a passeggiare intorno al­l'architetto sprofondato nei documenti) È una cosa cosi vecchia che l'ho quasi dimenticata, che mi sembra si tratti d'un'illusione; eppure non può essere un'illu­sione perché ne sento talmente la mancanza.

Architetto  (in mezzo alle carte)   Racconti.

Berenger                        Non so analizzare questo stato d'animo, non so nep­pure se l'esperienza che ho vissuto è comunicabile. Non era un'esperienza frequente. Si è ripetuta cinque o sei volte, dieci volte forse, nella mia vita. Abbastanza, però, per colmare di gioia, di certezza, certi misteriosi serbatoi dello spirito. Quand'ero incline alla malin­conia, il ricordo di questo raggiare abbagliante, di que­sto stato luminoso faceva rinascere in me la forza, le irragionevoli ragioni di vivere, d'amare... d'amare che cosa?... D'amare tutto, perdutamente...

ARCHITETTO         (al telefono)    Pronto, lo stock è esaurito.

BERENGER            Purtroppo si, signore.

ARCHITETTO         (che ha riattaccato) Non dicevo a lei, è una cosa del mio lavoro.

Berenger                        È vero anche per me, i serbatoi sono vuoti. Quanto alla luce, posso essere considerato economicamente de­bole. Cercherò di spiegarle... ma forse abuso?

Architetto          Io sto registrando, è il mio mestiere. Continui, non ab­bia soggezione.

Berenger             Questo mi accadeva alla fine della primavera, o anche nei primissimi giorni          d'estate, all'avvicinarsi del mez­zogiorno; tutto si svolgeva in modo molto semplice e, al     tempo stesso, completamente inatteso. Il cielo era puro come quello con cui lei ha saputo             coprire la sua radiosa città, signor architetto. Si, tutto succedeva in uno straordinario             silenzio, in un secondo lunghissimo di silenzio...

Architetto    (sempre fra le carte)         Bene.

Berenger             L'ultima volta, dovevo avere diciassette, diciott'anni, mi trovavo in un      piccolo centro di campagna... quale?... quale, Dio mio?... Da qualche parte nel Sud, mi        pare... Insomma, non ha importanza, il luogo non conta af­fatto, passeggiavo in una via       stretta,             insieme vecchia e nuova, con case basse, tutte bianche, appiattate al fondo dei        cortili, o dietro a giardinetti, con cancelli di legno, verniciati... di giallo chiaro, era giallo         chiaro? Ero solo nella via. Costeggiavo le cancellate, le case, si stava bene, non faceva    troppo caldo, il sole   sulla testa, altis­simo nel cielo azzurro. Andavo a passo rapido, verso          che mèta? Non so più. Sentii profondamente la feli­cità unica di vivere. Avevo dimenticato        tutto, non pen­savo più a niente salvo quelle case, quel cielo profondo, quel sole che     sembrava si fosse avvicinato, si fosse messo a portata di mano in quel mondo costruito          sulla mia misura.

Architetto (consultando l'ora) Non è ancora qui; è proprio fanta­stica! Di nuovo in   ritardo!

Berenger    (continuando) Bruscamente la gioia si fece ancora più grande, rompendo ogni    confine! Oh, quest'indicibile euforia m'invase, la luce si fece ancora più abbacinante, senza       perder nulla della sua dolcezza, era cosi densa da sembrare respirabile, era diventata l'aria         stessa, op­pure una cosa bevibile come un'acqua trasparente... Come dirle il suo sfolgorio       senza pari?... Era come se in cielo ci fossero quattro soli...

Architetto   (al telefono) Pronto? Avete visto la mia segretaria, oggi? C'è un sacco di lavoro           da brigare. (Riaggancia con ira).

Berenger            Le case che costeggiavo sembravano macchie immateriali sul punto di      fondersi nella luce più grande che dominava tutto.

Architetto        Io le rifilo una di quelle multe!

Berenger   (all'architetto)  Lei capisce cosa voglio dire.

Architetto  (distratto)  Press’a poco, ora il suo esposto mi sembra più chiaro.

Berenger                       Non un uomo per la strada, non un cane, non un ru­more, non c'ero che io.

Squilla il telefono.

Tuttavia non soffrivo di quella solitudine, anzi non era una solitudine.

Architetto  (al telefono)           Dunque, è arrivata si o no?

Berenger   La mia pace, la mia propria luce a loro volta si espan­devano sul mondo, io riempivo l'universo di una sorta di energia aerea. Non un punto vuoto, tutto era una mescolanza di pienezza e di leggerezza, un perfetto equi­librio.

Architetto  (al telefono)   Finalmente! Me la passi al telefono.

Berenger   Un canto trionfale scaturiva dal più profondo di me stesso: « ero », avevo coscienza  di « essere » da sempre, di non dover più morire.

Architetto (al telefono, frenando l'irritazione) Ho almeno il pia­cere di sentirla, signorina. Non è troppo presto per lei, spero. Come?

Berenger    Tutto era vergine, purificato, ritrovato, sentivo al tem­po stesso uno stupore senza nome, mescolato a un senso di estrema familiarità.

Architetto   (al telefono)   Ma cosa significa, signorina?

Berenger    È proprio questo, mi dicevo, è proprio questo... Non so spiegarle cosa significava quel « questo », ma le assi­curo, signor architetto, io mi capivo benissimo.

Architetto  (al telefono) Non la capisco, signorina. Lei non ha nes­sun motivo di lamentarsi di         noi. Piuttosto è il con­trario.

Berenger Io mi sentivo là, alle porte dell'universo, al centro del­l'universo... Deve sembrarle             contraddittorio!

Architetto (al telefono) Un momento, la prego. (A Berenger) La seguo, m'investo della cosa,         stia tranquillo. (Al tele­fono) Ascolto.

Berenger             Camminavo, correvo, gridavo: « Io sono, io sono, tutto è, tutto è!... » Oh,            avrei  potuto             certamente prendere il volo, tanto ero diventato leggero, più leggero di quel         cielo azzurro che respiravo... Uno sforzo da niente, un piccolissimo balzo sarebbe bastato.          Avrei   potuto vo­lare... ne son certo.

Architetto   (al telefono e battendo il pugno sulla tavola)   Questa è grossa! Che cosa le hanno       fatto?

Berenger      Se non l'ho fatto è perché ero troppo felice, non ci pen­savo più.

Architetto (al telefono) Lei vuole lasciare l'Amministrazione? Ri­fletta bene prima di dare le           dimissioni. Lei abbandona, senza ragioni serie, una brillante carriera. Da noi ha l'avvenire      assicurato, e la vita... e la vita! ! Lei non teme il pericolo!

Berenger     E di colpo, o piuttosto a poco a poco... No, piuttosto all'improvviso, non so, so            soltanto che tutto era ritor­nato grigio o pallido o neutro. È un modo di dire, il cielo era            sempre puro, ma non era la stessa purezza, non era più lo stesso sole, la stessa mattina, la        stessa   primavera. C'era stato un tiro mancino. Non era ormai che la luce di tutti i giorni, una            luce naturale.

Architetto   (al telefono)   Non può più sopportare la situazione? È puerile. Le sue dimissioni         le rifiuto. In ogni caso venga a finire la posta e si spiegherà. L'aspetto. (Aggancia).

BerengerSi fece una sorta di vuoto tumultuoso, una tristezza profonda si impadronì di me             come   al momento di una separazione tragica, intollerabile. Le comari uscirono dai cortili, ferirono i miei timpani con le voci berciami abbaiarono i cani, io mi sentii abbandonato fra      tutta questa gente, tutte queste cose...

Architetto         È completamente scema. (Si alza) Dopotutto è affar suo. Ce n'è mille che             vorrebbero il             suo posto...  (Si ri­siede) E una vita senza rischio.

Berenger E da allora, è un eterno novembre, crepuscolo per­petuo, crepuscolo del mattino, crepuscolo di mezza­notte, crepuscolo di mezzogiorno. Finite le aurore! E dire che        chiamano questo civiltà!

Architetto         Aspettiamola.

Berenger Ciò che mi ha permesso di continuare a vivere nella città grigia è il ricordo di       questo             avvenimento.

Architetto   (a Berenger)          Ma lei ne è uscito, però, da codesta... ma­linconia?

Berenger            Non del tutto, ma ho promesso a me stesso di non dimenticare. Nei miei              giorni   di tristezza, di depressione nervosa o d'angoscia, ricorderò sempre, mi dicevo,          quest'istante    luminoso che mi avrebbe permesso di sop­portare tutto, che doveva essere la            mia ragione di esi­stere, il mio sostegno. Per anni, ero sicuro...

Architetto         Sicuro di che?

Berenger Sicuro di esser stato sicuro... Ma questo ricordo non è stato abbastanza forte per resistere al tempo.

Architetto          Mi sembra però...

Berenger              S'inganna, signor architetto. Il ricordo che ne ho ser­bato non è più che il   ricordo di un ricordo, come un pensiero diventato estraneo a me stesso, come una cosa   raccontata da un altro; immagine disseccata che non potevo più rendere viva. L'acqua della   sorgente s era inaridita, e morivo di sete... Ma lei mi comprende per­fettamente, questa luce          è anche in lei, è la stessa, è la mia perché (gran gesto: indicando il vuoto) lei, con ogni             evidenza, l'ha ricreata, materializzata. Questo quar­tiere radioso è certamente scaturito da            lei...     lei me l'ha resa, la mia luce dimenticata... o quasi. Gliene sono infinitamente grato.         Grazie per       me e per tutti gli abi­tanti.

Architetto         D'accordo, d'accordo.

Berenger E qui da lei non è il prodotto irreale di un'immagina­zione esaltata. Sono case vere,           pietre, mattoni, cemento (toccando nel vuoto), è concreto, palpabile, solido. Il suo metodo         è quello valido, il suo procedimento è ra­zionale. (Finge sempre di tastare dei muri).

            Architetto (tastando, anche lui, muri invisibili, dopo aver lasciato il suo angolo) Sono      mattoni, si, e mattoni buoni. Ce­mento, e della qualità migliore.

Berenger (c. s. )  No, no, non è un semplice sogno, questa volta.

Architetto  (toccando sempre muri invisibili, poi fermandosi, con un sospiro) Sarebbe forse           stato preferibile che fosse un sogno. Per me, fa lo stesso. Sono un funzionario. Ma per             molti    altri, la realtà, contrariamente ai sogni, può scivolare nell'incubo...

Berenger  (smettendo, anche lui, di tastare i muri invisibili, molto sorpreso) Ma perché, cosa            vuol dire?

L'architetto ritorna alle sue carte.

            In ogni caso, sono felice di aver toccato col dito la realtà del mio ricordo. Sono giovane come    cent'anni fa. Posso ritornare innamorato... (Verso la quinta a destra)

            Signorina, oh, signorina, vuole sposarmi?

            Proprio alla fine di quest'ultima frase entra da destra Dany, bionda segretaria      dell'architetto.

Architetto  (a Dany)        Ah, eccola qui, lei, abbiamo da parlarci.

Dany               (a Berenger)            Mi lasci il tempo di riflettere, almeno!

Architetto  (a Berenger)  La mia segretaria, la signorina Dany.  (A Dany)  Il signor Berenger.

Dany    (distrattamente, un po' nervosa, a Berenger)    Molto lieta.

Architetto   (a Dany)   Non ci piacciono i ritardi, signorina, all'Am­ministrazione. Neppure i           capricci.

Berenger  (a Dany che va a posare la macchina per scrivere sulla tavola e prende una sedia           nella quinta a sinistra) Signo­rina Dany, che bel nome! Ha riflettuto, adesso? È si, vero?

Dany  (all'architetto)   Sono decisa ad andarmene, signor archi­tetto, ho bisogno di vacanze. S sono stanca.

Architetto (mellifluo)   Se non è che questo, bisognava dirlo. Ci possiamo mettere d'accordo.         Vuole tre giorni di per­messo?

Berenger   (a Dany)        È si, non è vero? Lei è cosi bella...

Dany   (all'architetto)          Devo riposarmi molto di più.

Architetto (a Dany)     Consulterò la Direzione generale. Posso otte­nerle una settimana a   mezzo stipendio...

Dany    (all'architetto)      Ho bisogno di riposarmi definitiva­mente.

Berenger    (a Dany)    Amo le ragazze bionde, i volti luminosi, gli occhi chiari, le lunghe     gambe!

Architetto         Definitivamente? Guarda guarda.

Dany    (all'architetto) Soprattutto voglio trovare un altro la­voro. Non posso più sopportare la             situazione.

Architetto                      Ah, è per questo?

Dany                 (all'architetto)        Si, signore.

Berenger    (a Dany, con slancio)   Ha detto si! Oh signorina Dany...

Architetto    (a Berenger)    Ma non dice a lei, diceva a me.

Architetto    (a Berenger)    La mia segretaria, la signorina Dany. (A Dany)  Il signor          Berenger.

Dany  (distrattamente, un po' nervosa, a Berenger)      Molto lieta.

Architetto  (a Dany)     Non ci piacciono i ritardi, signorina, all'Am­ministrazione. Neppure i          capricci.

Berenger   (a Dany che va a posare la macchina per scrivere sulla tavola e prende una sedia          nella quinta a sinistra)   Signo­rina Dany, che bel nome! Ha riflettuto, adesso? È si, vero?

Dany   (all'architetto) Sono decisa ad andarmene, signor archi­tetto, ho bisogno di vacanze. Sono        stanca.

Architetto   (mellifluo) Se non è che questo, bisognava dirlo. Ci possiamo mettere d'accordo.         Vuole tre giorni di per­messo?

Berenger    (a Dany)     È si, non è vero? Lei è cosi bella...

Dany    (all'architetto)    Devo riposarmi molto di più.

Architetto (a Dany)  Consulterò la Direzione generale. Posso otte­nerle una settimana a mezzo       stipendio...

Dany   (all'architetto) Ho bisogno di riposarmi definitiva­mente.

Berenger   (a Dany)   Amo le ragazze bionde, i volti luminosi, gli occhi chiari, le lunghe       gambe!

Architetto      Definitivamente? Guarda guarda.

Dany  (all'architetto)  Soprattutto voglio trovare un altro la­voro. Non posso più sopportare la      situazione.

Architetto             Ah, è per questo?

Dany                 (all'architetto)    Si, signore.

Berenger              (a Dany, con slancio)  Ha detto si! Oh signorina Dany ...

Architetto          (a Berenger)   Ma non dice a lei, diceva a me.

Dany  (all'architetto) Ho sempre sperato che questa storia cambiasse. Le cose sono rimaste allo           stesso punto. Non vedo possibilità di miglioramento.

Architetto          Rifletta, ripeto, rifletta bene. Se lei non fa più parte dei nostri servizi,        l'Amministrazione non la prende più sotto la sua protezione. Lo sa? Ha esattamente   coscienza dei pericoli che l'aspettano?

Dany            Si signore, nessuno meglio di me è in grado di saperlo.

Architetto                     Si assume il rischio?

Dany   (all'architetto)          Me l'assumo, si, signore.

Berenger (a Dany)          Risponda di si anche a me! Lei dice si tanto soavemente.

Architetto (a Dany)       Quindi io declino ogni responsabilità. È avvi­sata.

Dany   (all'architetto)          Non sono sorda, ho capito, non è il caso di ripetermelo trentaseimila                                 volte!

Berenger  (all'architetto)  Com'è dolce! Squisita. (A Dany) Signo­rina, signorina, noi potremmo abitar qui, in questo quartiere, in questa villa! Saremmo finalmente felici.

Architetto  (a Dany)      Lei non vuole cambiare idea, non è vero? È un colpo di testa         insensato!

Dany                 (all'architetto)        No, signore.

Berenger       (a Dany)                Oh, mi ha detto no?

Architetto   (a Berenger)          È a me che ha detto no.

Berenger              Ah, mi rassicura!

Dany (all'architetto)  Detesto l'Amministrazione, ho in orrore il suo bel quartiere, non ne posso           più, non ne posso più!

Architetto ( a Dany)      Non è il mio quartiere.

Berenger  (a Dany che non l'ascolta)    Risponda, bella signorina, magnifica Dany, sublime             Dany... Lasci che la chiami Dany.

Architetto (a Dany) Non posso impedirle di dar le dimissioni vada, vada pure, ma stia in   guardia. È un consiglio ami­chevole che le do, un consiglio paterno.

Berenger (all'architetto) Le hanno concesso qualche decorazione per le sue realizzazioni      urbanistiche? Avrebbero do­vuto.

Dany     (all'architetto)    Se vuole, posso finire di battere la posta prima di andarmene.

Berenger   (all'architetto)  Se io fossi il sindaco, l'avrei decorata, io.

Architetto  (a Berenger)  Grazie.  (A Dany) Grazie, non è il caso, mi aggiusterò.

Berenger  (fiutando fiori immaginari) Che buon odore! Sono gigli?

Architetto              No, viole.

Dany              (all'architetto)   Glielo proponevo per cortesia.

Berenger   (all'architetto) Posso offrirne a Dany?

Architetto          Se vuole.

Berenger (a Dany)     Lei non sa, cara amica, cara Dany, cara fidan­zata, fino a che punto lei mi mancava!

Dany            Se è cosi... (Con una certa irritazione prende la mac­china per scrivere, riordina le           sue cose con gesti bruschi).

Berenger     (a Dany)      Abiteremmo un appartamento magnifico, pie­no di sole.

Dany    (all'architetto) Lei deve pur capire che non posso pili condividere la responsabilità. È      superiore alle mie forze.

Architetto                     L'Amministrazione è irresponsabile.

Dany    (all'architetto)          Lei dovrebbe farsi cosciente...

Architetto (a Dany) Non tocca a lei darmi consigli. È affare mio. Ma, glielo ripeto, stia bene         in guardia!

Dany    (all'architetto)    Neppure io sono tenuta ad ascoltare 1 suoi consigli. Anche per me è   affar mio.       

Architetto   (a Dany)    Bene, bene, bene!

Dany                        Arrivederci, signor architetto.

Architetto  (a Dany)      Addio.

Dany               (a Berenger)            Arrivederla, signore.

Berenger (correndo verso Dany, che si dirige all'uscita a destra) Dany, signorina, non vada             senza darmi la risposta... E prenda queste viole, almeno!

            Dany esce.

            (Con le braccia penzoloni, è vicino all'uscita) Oh... (Al­l'architetto) Lei che conosce il       cuore umano, quando una donna non risponde né si né no, vuol dire « si », è vero? (Verso         la quinta a destra) Lei sarà la mia ispi­ratrice, sarà la mia musa. Lavorerò.

            Una vaga eco ripete queste ultime sillabe.

            (Fa due passi verso l'architetto e fa segno nel vuoto) Non rinunzio. Mi sistemo qui, con   Dany. Comprerò questa casa bianca, in mezzo al verde, che ha l'aria di essere abbandonata             dai costruttori... Non ho molto de­naro, ma lei mi concederà delle facilitazioni di paga­            mento.

Architetto         Se ci tiene sempre! Se poi non cambia idea.

Berenger             Ci tengo moltissimo. E perché cambiare idea? Voglio essere, col suo         permesso, un cittadino della città ra­diosa. Entro domani stesso, anche se la casa non è an­          cora completamente finita.

Architetto (guarda l'ora.) Mezzogiorno e trentacinque.

            Di colpo, rumore di un sasso che cade a due passi da Berenger, fra lui e l'architetto.

Berenger            Oh! (Indietreggia leggermente)    Un sasso.

Architetto          (senza stupire, impassibile) Si. Un sasso.

Berenger              (si china, raccoglie il sasso, si rialza e lo contempla in mano)    È un sasso.

Architetto          Lei non ne ha mai visti?

Berenger              Ma si... Come? Ci gettano dei sassi?

Architetto          Un sasso, uno soltanto, non « dei » sassi!

Berenger              Capisco, ci hanno gettato « un » sasso.

Architetto         Non si agiti. Non verrà lapidato. Il sasso l'ha toccata? No, vero?

Berenger            Avrebbe potuto.

Architetto          Ma no, ma no, andiamo! « Non può » toccarla. È per stuzzicare.

Berenger              Ah! Bene!... Se non è che per stuzzicarmi, bisogna stare allo scherzo                                            (Lascia ricadere la pietra)   Non ho un ca­rattere cattivo. Specialmente in                                      questa cornice, nulla può turbare il buon umore. Dany mi scriverà, non è vero?   (Si                   guarda intorno con leggera inquietudine) È molto riposante, qui, è fatto apposta. Un                  po' troppo, però, che ne dice? Perché non si vede assolutamente nessuno per strada?                Siamo davvero i soli passanti!... Ah si, sarà perché è l'ora di colazione. La gente è a                         tavola. Però,    perché non si   sentono le risa dei commensali, il tintinnio dei cristalli?                   Non un rumore, non           un mor­morio, non una voce che canta. E tutte le finestre sono                   chiuse! (Getta uno sguardo           sorpreso nel    vuoto del pal­coscenico) Non ci avevo                       badato. In un sogno questo si capirebbe, ma non nella realtà.

Architetto         Pure era abbastanza evidente, mi pare!

             Si sente un rumore di vetri infranti.

Berenger            Cosa succede ancora?

Architetto    (traendo di nuovo il telefono di tasca, a Berenger) E’semplice. Non sa cos'è?                                    Un vetro rotto. Preso in pieno da un sasso, direi.

            Secondo rumore di vetro infranto; Berenger sobbalza in modo più accentuato.

            (Al telefono)       Due vetri rotti.

Berenger    Cosa vuol dire? Uno scherzo, vero? Due scherzi!

            Un altro sasso fa cadere il cappello di Berenger.

            (Lo raccoglie di scatto e se lo rimette in capo, escla­mando)            Tre scherzi!

Architetto  (rimettendo l'apparecchio in tasca, aggrottando le so­pracciglia) Mi ascolti. Noi            non siamo uomini d'affari. Siamo funzionari, pubblici amministratori. Devo dun­que dirle,     ufficialmente, amministrativamente, che la casa che ha l'aria di essere in abbandono, è    realmente abbandonata dai suoi costruttori. La polizia ha sospeso tutte le costruzioni. Lo           sapevo già, ma ne ho appena ricevuto la conferma telefonica.

Berenger             Ma come mai? Perché?

Architetto          La misura è superflua, d'altra parte, perché, salvo lei, nessuno vuol più                                          comprare dei lotti di terreno. Senza dubbio, lei non è al corrente della                                          cosa…                                                                                  

Berenger            Di quale cosa?

Architetto         Gli abitanti di questo quartiere vorrebbero addirittura lasciarlo...

Berenger            Lasciare il quartiere radioso? Gli abitanti vogliono lasciare…

Architetto          Si. Non sanno dove andare, se no tutti avrebbero fatto bagaglio.                                                   Forse, per loro, non fuggire è anche un pun­tiglio d'onore. Preferiscono restar

                                    nascosti nei loro be­gli appartamenti. Non ne escono che in caso d'estrema                                    necessità, a gruppi di dieci o quindici. E anche allora, il pericolo non è                                          scongiurato...

Berenger                         Di che pericolo sta parlando? È ancora uno scherzo, non è vero?... Perché                                     prende quell'aria cosi grave? Lei sta oscurando il paesaggio! Lei vuole                                          spaventarmi!...

Architetto  (solenne)      I funzionari non scherzano.

Berenger   (desolato)       Ma che mi va raccontando? Lei mi ferisce al cuore! Lei, lei, m'ha                                     gettato la pietra... Moralmente, s'intende, moralmente! E dire che io                                             sentivo già di aver messo radici in questo paesaggio! Ormai per me                                              non c'è più che una luce morta, nient'altro che una cornice vuota...                                       Mi sento respinto da tutto!

Architetto                     Mi spiace molto. Via, non è il caso di vacillare!

Berenger                         Ho dei presentimenti spaventosi.

Architetto                     Ne sono dolente, ne sono dolente.

            Durante le battute che precedono e che seguono, la recitazione deve essere improntata a             una semi-ironia, soprattutto nei mo­menti patetici, per controbilanciarli.

Berenger                         Mi sento di nuovo invaso dalla notte interiore!

Architetto   (asciutto)     Ne sono dolente, dolente, dolente!

Berenger             Mi spieghi, la supplico. E io che speravo di passare una bella giornata! Ero                                   cosi felice, solo un istante fa!

Architetto   (indicando col dito)   Vede quel laghetto? Il laghetto riappare, preciso, questa                             volta.

Berenger            È quello accanto al quale eravamo già passati poc'anzi!

Architetto         Volevo farle vedere... Lei ha preferito il biancospino...  (Indica di nuovo il                                    laghetto) È là, là dentro che se ne trovano tutti i giorni, due o tre; annegati.

Berenger             Annegati?

Architetto         Venga a vedere, se non mi crede. Si avvicini, si avvi­cini!

Berenger      (dirigendosi, con l'architetto, verso il punto indicato o di fronte al pubblico,                                   mentre le cose di cui si parla ap­pariranno via via che se ne sta parlando)                                     Avvicinia­moci!...

Architetto         Guardi. Che cosa vede?

Berenger             Santo cielo!

Architetto                      Su, su, niente svenimenti; si ricordi che è un uomo!

Berenger  (con sforzo)     Io vedo... Ma è possibile?... Si, vedo, gal­leggiare sull'acqua, il                                cadavere di un bambino dentro il suo cerchio... un bambinetto di cinque o sei anni...                   Tiene il bastoncino nella mano contratta... Accanto, il corpo, gonfio, di un ufficiale                      del genio, in grande uni­forme...

Architetto          Ce n'è addirittura tre, quest'oggi. (Accennando) Là!

Berenger              È la vegetazione acquatica!

Architetto         Guardi meglio.

Berenger            Dio mio!... Si... Vedo! Sono capelli rossi che affiorano dal fondo, sono                            impigliati sul marmo che limita lo spec­chio d'acqua. Che orrore! È una donna,                             mi pare.

Architetto  (alzando le spalle)  Evidente. L'altro, è un uomo. E l'al­tro, un bambino. Non                            sappiamo altro, neanche noi.

Berenger             Forse è la madre del piccino! Poveretti! Perché non me l'ha detto prima?

Architetto         Ma se le dico che me l'ha continuamente impedito e che era tutto preso                           dalle bellezze del paesaggio!

Berenger             Poveretti! (Violento) Ma chi ha fatto questo?

Architetto         L'assassino, l'apache. Sempre lo stesso individuo. Inaf­ferrabile!

Berenger              Ma la nostra vita è minacciata! Andiamocene! (Fugge; corre per qualche                   metro per il palco, ritorna dall'archi­tetto che non si muove) Andiamocene! (Fuga di                  Beren­ger. Non fa che girare intorno all'architetto che estrae una sigaretta, l'accende).

                        Si sente uno sparo.

                                   Ha sparato!

Architetto         Non abbia paura! Con me, lei non corre alcun pericolo.

Berenger             E questo sparo? Oh, no... no... non mi sento affatto sicuro! (S'agita, trema).

Architetto         È per giocare... Si... Ora, è per giocare, per stuzzicare lei. Io sono l'architetto                                della città, funzionario muni­cipale, e lui la pubblica Amministrazione non la                                 tocca. Quando sarò in pensione, le cose cambieranno, ma per il momento...

Berenger             Andiamocene. Allontaniamoci. Ho fretta di lasciare il suo bel quartiere...

Architetto         Ah, ecco! Vede bene che ha cambiato idea!

Berenger             Non mi si può dar torto!

Architetto         Per me è indifferente. Non mi hanno detto di reclutare dei volontari                                             obbligatori, di forzarli ad abitare libera­mente questo posto. Nessuno è tenuto                   a vivere perico­losamente, se non è di suo gusto!... Si demolirà il quar­tiere quando                       sarà completamente spopolato.

Berenger    (che continua a muoversi, girando intorno all'archi­tetto)    Sarà spopolato?

Architetto         La gente si deciderà pure a lasciarlo, alla fine... al­trimenti, saranno uccisi                                      tutti. Oh, ci vorrà un certo tempo...

Berenger             Andiamo, andiamo presto. (Gira in tondo, sempre più in fretta, a testa                              bassa) I ricchi non sono sempre felici, neanche loro, né gli abitanti dei quartieri                           residenziali... e neanche dei radiosi!... Non ne esistono, di radiosi!... È ancor peggio                  che negli altri quartieri, peggio che da noi, formiche!... Ah, signor architetto, io sento               un tale strazio. Mi sento a pezzi, schiacciato!... La stanchezza m'ha ripreso...                                     l'esistenza è vana! A che scopo tutto, a che scopo tutto se è per arrivare a questo! Lo                  impe­disca, lo impedisca, signor commissario!

Architetto          È facile dirlo.

Berenger             Perché lei è anche commissario del quartiere, o sbaglio?

Architetto          Effettivamente, esercito anche queste funzioni. Come tutti gli architetti                                       speciali.

Berenger             E conta di arrestarlo prima di andare a riposo, spero!

Architetto   (freddamente, annoiato)     Non penserà che stiamo con le mani in mano!...                              Attenzione, non di là, finirà col per­dersi, sta continuando a girare in tondo, lei                             continua a tornare sui suoi passi!

Berenger  (indicando col dito, vicinissimo)   Aiuto! È sempre il laghetto?

Architetto          A quello, ne basta uno solo.

Berenger              Sono gli stessi annegati di prima?

Architetto          Tre al giorno è già una media discreta, non le pare?

Berenger              Mi faccia strada!... Usciamo!...

Architetto          (prendendolo per il braccio, guidandolo) Per di qua!

Berenger              La giornata era cominciata cosi bene! Me li vedrò sem­pre davanti questi                                       annegati, l'immagine non lascerà più la mia memoria!

Architetto         Emotivo com'è!

Berenger             Tanto peggio, meglio sapere tutto, meglio sapere tutto!

            Cambio di luci. Luce grigia, leggeri rumori della via e del tram.

Architetto         Ecco fatto. Non siamo più nella città radiosa, abbiamo passato il cancello.                        (Lascia il braccio di Berenger) Siamo sul viale di circonvallazione. Vede, là. Ecco                       il suo tram. È la fermata.

Berenger             Ma dove?

Architetto         Dove c'è quella gente che aspetta. È il capolinea. Il tram riparte in senso               inverso, la trasporterà diretta­mente all'altro capo della città, a casa!

            Si può scorgere in prospettiva qualche via sotto un cielo pio­voso; sagome, vaghe luci       rosse.   Lo scenografo dovrà fare in modo che tutto divenga,molto gradualmente, più           reale. Il cambiamento dev'essere affidato alle luci e a pochissimi          elementi scenici: insegne        e pubblicità luminose, fra cui quella di un bar, a sinistra, appariranno poco alla volta, una     dopo l'altra, non più di tre o quattro in tutto.

Berenger             Sono gelato.

Architetto         Effettivamente, lei ha i brividi.

Berenger             È l'emozione.

Architetto          È anche il freddo. (Tende la mano per sentire le gocce di pioggia) Piove.                                     Acqua mischiata a neve.

            Berenger per poco non scivola.

            Attenzione, si scivola, il selciato è bagnato. (Lo sor­regge).

Berenger             Grazie.

Architetto          Si metta l'impermeabile. Prenderà un raffreddore.

Berenger             Grazie. (Si rimette il soprabito, annoda la sciarpa in­torno al collo,                                                febbrilmente)   Brrr. Buongiorno, signor commissario!

Architetto         Non vorrà mica tornar subito a casa! Non ha nessuno che l'aspetti. Avrà pure                               il tempo di bere qualcosa con me. Le farà bene. Andiamo, lasci fare, è l'ora                                  dell'ape­ritivo. C'è un bistro, là, vicino alla fermata, a due passi dal cimitero,                                ci vendono anche le corone.

Berenger            Mi sembra che lei abbia ritrovato il suo buon umore. Io, no.

ARCHITETTO          Non l'ho mai perso.

BERENGER              Nonostante...

ARCHITETTO          (interrompendolo, mentre appare l'insegna del « bis­tro ») Bisogna guardare                     in faccia la vita, che diamine! (Mette la mano sulla maniglia di una porta immagi­                naria, sotto l'insegna)             Entriamo.

Berenger              Non mi sento nello stato d'animo...

Architetto          Avanti, passi.

Berenger              Dopo di lei, signor commissario.

Architetto          Passi, passi, prego.  (Lo sospinge).

            Rumore della porta del bistro. Entrano: può essere l'angolo di scena ove si trovavano poco         prima la serra immaginaria, e poi l'ufficio immaginario dell'architetto. Andranno a sedersi            su due sedie, davanti al tavolino. Si trovano proprio dietro la vetrina del locale. Nel caso in           cui siano state ritirate la tavola e le sedie di prima, una tavola pieghevole potrà essere    portata dal pa­drone, quando farà la sua comparsa. Due sedie pieghevoli pos­sono anche            venir raccolte da terra, da Berenger e dall'architetto.

            Si sieda, si sieda.

            Siedono.

            Lei ha una faccia! Su, non se la prenda cosi! Se si pen­sasse a tutte le disgrazie dell'umanità,        non si vivrebbe più. Bisogna vivere! Ci saranno sempre bambini sgozzati, vecchi affamati,         vedove lugubri, orfanelle, moribondi, errori giudiziari, case che crollano sopra la gente che    c'è dentro... montagne che sprofondano... e massacri, e inondazioni, e cani investiti... Cosi i       giornalisti possono guadagnarsi il pane. Tutto ha il suo lato buono. In fondo, è il lato buono        che bisogna guardare.

Berenger              Si, signor commissario, si... ma aver visto da vicino, averlo visto coi miei                          occhi... non posso restare indiffe­rente. Lei, lei forse è abituato, nella sua                                      doppia pro­fessione.

Architetto  (dando una gran manata sulla spalla di Berenger)  Lei è troppo impressionabile,          gliel'ho già detto. Bisogna farci il callo. Andiamo, andiamo, un po' d'energia, un po' di          volontà!  (Gli dà di nuovo una manata sulla spalla).

            Berenger quasi va a gambe all'aria insieme alla sedia.

            Lei ha l'aria di star benissimo, per quanto dica, e nono­stante la faccia afflitta! Lei è sano di         spirito e di corpo!

Berenger              Non dico di no. I mali di cui soffro non si vedono, di fuori, sono teorici,                                     spirituali.

Architetto          Capisco.

Berenger              Lei è ironico.

Architetto         Non me lo permetterei mai. Casi come il suo ne ho visti parecchi, fra i miei                                   clienti.

BERENGER              Ah si, lei è anche medico.

ARCHITETTO          A tempo perso. Faccio un po' di medicina generale, ho sostituito uno                                            psicanalista, sono stato assistente di un chirurgo, in gioventù, ho anche                                        studiato sociologia... Andiamo, ora cercheremo di consolarla. (Battendo le                          mani)  Padrone!

BERENGER              Io non sono, come lei, un uomo completo.

                        Si sente, dalla quinta di sinistra, la voce di un barbone

VOCE DEL BARBONE      (cantando)

                                               Nel lascia-are la mari-ina-a

                                               ho sposato-o Marianni-ina-a!

Voce del padrone   (tono grosso)   Subito, signor commissario. ( Altro tono. Al barbone,

                         sempre fra le quinte)   Fuori dai piedi, va' a sbronzarti da un'altra parte!

Voce del barbone    (impastata)    Non c'è bisogno, sono già sbronzo!

            Sospinto brutalmente dal padrone, omaccione bruno, con grosse braccia villose, il barbone,       ubriaco, appare da sinistra.

IL BARBONE           Mi sono sbronzato qui, ho pagato, non doveva darmi da bere!

Il padrone           Fuori dai piedi, ti dico!  (All'architetto) I miei rispetti, signor commissario

Architetto   (a Berenger)   Vede... Non siamo più nel bel quartiere, i costumi sono già più rudi.

Barbone   (sempre spinto dal padrone)  Piano!

Berenger      (all'architetto)    Me ne accorgo.

Padrone   (al barbone)   Ti muovi?... Lo vedi che c'è qui il signor commissario.

Barbone   Io non faccio male a nessuno! (Sempre sospinto, in­ciampa, cade lungo disteso, si             rialza senza parlare).

Architetto    (al padrone)          Due bicchieri di beaujolais.

Padrone   Bene. Per lei, ne ho di quello vero. (Al barbone che si rialza) Esci e chiudi la porta,                     che non ti ci peschi più! (Esce a sinistra).

Architetto   (a Berenger)                      Sempre abbattuto?

Berenger (  gesto vago, smontato)          Eh, che vuole?

            Appare il padrone coi due bicchieri di vino, mentre il barbone mima la chiusura della porta        e lascia il locale.

Padrone               Ecco i beaujolais, signor commissario!

Barbone    (sempre titubante, esce da destra, canticchiando)

                        Nel lascia-are la mari-ina-a

                        ho spos'ato-o Marianni-ina-a!

Padrone   (all'architetto)   Qualcosa da mettere sotto i denti, si­gnor commissario?

Architetto                       Ci dia due panini.

Padrone                             Ho un pàté di lepre fantastico, puro maiale!

                        Berenger fa il gesto di pagare.

Architetto   (posando la mano sul braccio di Berenger per impedir glielo) Lasci stare, tocca a                   me! (Al padrone) Tocca a me!

Padrone   Bene, signor commissario! (Esce da sinistra).

                        L'architetto tracanna un gran sorso di vino. Berenger non toc­cherà il suo.

Berenger    (dopo un breve silenzio)   Se avesse i suoi connotati, almeno!

Architetto         Ma li abbiamo. Almeno quelli sotto i quali opera. Il suo ritratto è affisso a                                    tutti i muri. Abbiamo fatto del nostro meglio.

Berenger            Come li avete avuti?

Architetto         Li abbiamo trovati sugli annegati. Qualcuna delle vit­time, richiamata in vita                                 per un momento, ha potuto persino fornirci delle precisazioni supplementari.                                Sap­piamo anche come fa. Tutti lo sanno, d'altronde, nel quartiere.

Berenger            Ma allora, perché non sono più prudenti? Basterebbe stargli alla larga.

Architetto          Non è cosi semplice. Le dico, ce ne sono sempre, tutti i giorni, due o tre che                                cadono in trappola.

Berenger             Non riesco a capire!

            L'architetto tracanna un altro sorso di vino. Il padrone porta i due panini ed esce.

                                   Sono sbalordito... E direi che la storia ha l'aria di diver­tirla, signor                                                commissario.

Architetto             Che vuole? Come storia, non si può negare che sia piuttosto interessante!                                     Eccolo, è là... Guardi dal vetro. (Finge di scostare una tendina immaginaria,                                o, forse, si sarà potuta calare una vera tendina; accenna col dito verso sini-                             stra) ... Vede... Il colpo lo fa là, alla fermata del tram. Quando i passeggeri                                 scendono per ritornare a casa, perché gli automezzi personali circolano solo                                 al­l'interno della città radiosa, lui va loro incontro, tra­vestito da mendicante.                            Piagnucola, come fanno tutti, chiede l'elemosina, cerca d'impietosirli. È il                                     solito trucco. Esce dall'ospedale, è senza lavoro, ne sta cer­cando, non sa dove                             passar la notte. Ma non è questo che attacca, è un modo per entrare in argo-                                mento. Lui intanto fiuta, sceglie l'anima buona, attacca conver­sazione, le si                           aggancia, non la molla di un centimetro. Le offre in vendita delle cosette che                           estrae dalla cesta, fiori artificiali, forbici, vecchi berretti da notte, carta…                                               cartoline... sigarette americane... miniature oscene, og­getti qualsiasi.                                              Generalmente, i suoi servigi vengono rifiutati, l'anima buona si affretta, non                                ha tempo da perdere. Sempre mercanteggiando, arriva con essa vi­cino al       la-                               ghetto che lei conosce. Allora, d'improvviso, il grande stratagemma: propone                              di mostrarle la foto del colonnello. È irresistibile. Siccome non è più tanto                                 chiaro, l'anima buona si china, per vedere meglio. In quel momento, è perdu-                             ta. Profittando del fatto che è tutta assorta nella contemplazione dell’imma-                                   gine, le dà una spinta, quella cade nel laghetto, annega. Il colpo è fatto, non                                 gli resta che mettersi in cerca di una nuova vittima.

Berenger              Quel che mi sembra straordinario, è che lo si sappia e che ci si lasci                                               sorprendere lo stesso.

Architetto                     È una trappola, che vuole! Non è mai stato colto sul fatto.

Berenger                         Incredibile, incredibile!

Architetto                      Ma vero! (Addenta il panino) Lei non beve? Non mangia?

            Rumore del tram che arriva alla fermata. Berenger, d'istinto, rialza vivacemente il capo, va        a scostare la tendina per guardare attraverso il vetro la fermata.

            È il tram che arriva.

Berenger                         Ne scendono gruppi di persone!

Architetto                     Si capisce. Sono gli abitanti del quartiere. Tornano a casa.

Berenger                        Non vedo mendicanti.

Architetto                     Non lo vedrà. Non si farà vedere. Sa che siamo qui.

Berenger   (volgendo le spalle al vetro e venendo a sedersi, di nuovo, accanto all'architetto,                            anche lui con le spalle ri­volte al vetro) Forse farebbe bene ad appostare in que­sto                           punto un ispettore in borghese, in permanenza.

Architetto         Lei mi vuole insegnare il mestiere. Tecnicamente, la cosa non è possibile.                                      I nostri ispettori sono oberati, hanno altro da fare. D'altra parte, anche loro                                  vorreb­bero vedere la foto del colonnello. Ne sono già anne­gati cinque in                                            questo modo. Ah... se avessimo le prove, sapremmo dove trovarlo!

           

            D'improvviso si sente un grido, e il tonfo sordo di un corpo che cade in acqua.

Berenger   (alzandosi di soprassalto)                Ha sentito?

Architetto      (seduto, mordendo il pane)        Ha di nuovo fatto il colpo.

                                   Vede se è facile impedirglielo! Appena giri la schiena, un attimo di                                               disattenzione, e tac... Un attimo: non ci mette di più.

Berenger             È terribile, è terribile!

            Si sentono mormorii, voci agitate dalle quinte, rumori di passi, il rumore di un furgone della       polizia che frena bruscamente.

            (Torcendosi le mani) Faccia qualcosa, qualcosa!... In­tervenga, agisca!

Architetto           (calmo, sempre seduto, col panino in mano, dopo aver bevuto un sorso)                                       Ormai è troppo tardi. Ce l'ha fatta di sorpresa anche stavolta...

Berenger              Forse è soltanto un pietrone che ha gettato in acqua... per stuzzicarci!

Architetto          Mi stupirebbe. E il grido?

                        Entra il padrone, da sinistra.

                                   Sapremo tutto subito. Ecco il nostro informatore!

Padrone               È la ragazza, quella bionda...

Berenger            Dany? La signorina Dany? Non è possibile!

Architetto         Si. Perché no. È la mia segretaria, la mia ex segretaria.

                                   Eppure l'avevo ben sconsigliata a lasciare il mio ser­vizio. Era al sicuro,

                                   da noi.

Berenger            Dio mio, Dio mio, Dio mio!

Architetto          Era nell'Amministrazione pubblica! Lui non la tocca, l'Amministrazione! Ma                                no, ha voluto la sua « libertà »! Cosi impara. Se la goda, ora, la libertà. Io me                               l'aspet­tavo...

Berenger             Dio mio, Dio mio! Che sventurata... Non ha avuto tempo di dirmi di si!...

Architetto    (continuando)       Anzi, ero sicuro che le sarebbe capitato!

                                                           O almeno, non mettere il naso nel quartiere, una volta lasciata                                                       l'Amministrazione!

Berenger             Signorina Dany!! Signorina Dany!! Signorina Dany!! (In tono di lamenta-                        zioni).                                                          

Architetto  (continuando)   Ah! che mania, la gente, di far di testa sua, e soprattutto, che   mania, le vittime, di ritornare sempre sul luogo del delitto! È cosi che si fanno pren­dere!

Berenger (quasi singhiozzando)  Ooh! Signor commissario, signor commissario! è la signorina        Dany, la signorina Dany! (Si abbandona sulla sedia, disfatto).

Architetto          (al padrone)    Devono fare il verbale, per la forma.

            (Prende, in tasca, il telefono) Pronto?... Pronto?... Un altro... è una ragazza... Dany... quella        che lavorava da noi... Non c'è delitto flagrante... Ipotesi... le stesse... si! Un momento! Depone l'apparecchio sulla tavola, perché: )

Berenger si alza bruscamente) Non si può, non si può lasciar stare cosi le cose! Non si può andare avanti! Non si può più!

Architetto         Si calmi. Siamo tutti mortali. Non complichi lo svolgi­mento dell'inchiesta!

Berenger  (esce correndo, sbattendo la porta immaginaria del lo­cale, che però si sente) Non                        finirà cosi! Bisogna fare qualche cosa! Bisogna, bisogna, bisogna! (Esce di scena,                     da destra).

Padrone   Arrivederla, signore!  (All'architetto) Potrebbe almeno salutare.

            L'architetto seduto, lo segue con lo sguardo, come fa il padrone che è in piedi, con le       braccia incrociate o le mani sui fianchi; poi, una volta che Berenger è uscito, beve d'un fiato    il resto del vino e dice al padrone indicando il bicchiere pieno di Berenger:

Architetto         Lo beva lei! Prenda anche il panino!

            Il padrone si siede al posto di Berenger.

            (Al telefono) Pronto! Nessuna prova! Archiviare la pratica! (Si rimette l'apparecchio in     tasca).

Padrone   (bevendo)   Alla sua!   (Addenta il panino).

                                                                      

S i p a r io.

Atto secondo

La camera di Berenger. Stanza tetra, bassa di soffitto, con, di fronte alla finestra, un centro più luminoso. Accanto a questa finestra larga e bassa una cassapanca. A destra di questa, un angolo buio; in quest'angolo molto scuro, una poltrona in stile Reggenza, piuttosto malandata, in cui, all'aprirsi del sipario, si­lenzioso, è seduto Edouard. All'inizio dell'atto non lo si vede, e neanche la poltrona, a causa dell'oscurità che riempie la camera di Berenger, situata al pianterreno. In mezzo, nella parte un po' più in luce, davanti alla finestra, una gran tavola con quaderni, carte, un libro, un calamaio, una penna fantasia imitante una penna d'oca.

Una poltrona rossa, logora, a cui manca un bracciolo, a un me­tro dalla tavola a sinistra. Altri angoli bui nella parete di si­nistra.

Nel resto della stanza, tra la penombra, si scorge il profilo di alcuni vecchi mobili: una vecchia scrivania col piano ribaltabile, un cassettone, e sopra, appeso al muro, un arazzo frusto. C'è inoltre una sedia o un'altra poltrona rossa. Accanto alla finestra, a destra, un tavolino, uno sgabello, uno scaffale con qualche libro. Sul piano superiore un vecchio grammofono. In primo piano, a sinistra, la porta che dà sul pianerottolo. Ap­peso al soffitto, un lampadario all'antica; per terra un vecchio tappeto scolorito. Sulla parete destra una specchiera con cornice barocca, che brilla appena all'inizio dell'atto, cosi che dapprima non si sappia ancora di che oggetto si tratta. Sotto la specchiera un vecchio caminetto.

Attraverso la finestra, che ha le tendine scostate, si vedono la via, le finestre del pianterreno dirimpetto, una parte della ve­trina d'una drogheria.

La scena del secondo atto è pesante, brutta, e contrasta forte­mente con l'assenza di scenario o lo scenario fatto soltanto di luci del primo atto.

All'aprirsi del sipario, la finestra illumina di luce scialba, gial­lastra, il centro del palco con la tavola in mezzo. I muri della casa di fronte sono di un color grigio sporco. Fuori, il tempo è fosco, nevica e cade una pioggia sottile.

Seduto nella poltrona, nell'angolo più scuro della camera di Berenger, a destra della finestra, Edouard è invisibile e silenzioso all'inizio dell'atto. Lo si vedrà, più tardi, dopo l’arrivo di Berenger, gracile, pallidissimo, d'aspetto febbricitante, vestito di  nero, col lutto  al braccio destro, feltro nero.

Qualche volta, ma solo dopo l'arrivo di Berenger, Edouard tossirà o tossicchierà, di tanto in tanto; sputerà in un grande fazzoletto bianco, listato di nero, che si rimetterà delicatamente in tasca. Qualche istante prima dell'aprirsi del sipario e poi quando si apre si sente, proveniente da sinistra, cioè dal pianerottolo, la voce della portinaia.

Voce della portinaia

                                    (canta)

                        Quando fa freddo, non fa più caldo,

                        Quando fa caldo, è che fa freddo!

             Ah, santa pace, si può scopare fin che si vuole, è sporco

             tutto il giorno con la loro polvere di carbone e la loro neve!

            Rumore della scopa che urta la porta, poi, di nuovo, si sente cantare la portinaia.

           

                        Quando fa freddo, non fa più caldo,

                        Quando fa caldo, è che fa freddo!

                        Quando fa freddo, forse fa caldo?

                        Quando fa caldo, fa dunque freddo?

                        E che fa dunque quando fa freddo?

            Assieme al canto della portinaia, si sentono colpi di martello che vengono dal piano di sopra,     una radio accesa, rumori, che Mima, ora si avvicinano ora si allontanano, di camion e di      motociclette: a un dato momento, si sentiranno anche i rumori del cortile di una scuola   durante la ricreazione: tutto un po’ deformato, caricaturato, le grida degli scolari devono      somigliare a guaiti: in sostanza un imbruttimento, a metà sgradevole, a metà comico, del             baccano.

Voce d'uomo   (preceduta da scalpiccio di passi sulla scala, dall’abbaiare d'un cane) Buondì,         signora portinaia

Voce della portinaia

            Buongiorno, signor Lelard! Esce tardi, oggi!

VOCE D’UOMO      Ho avuto da fare in casa. Ho dormito. Ora, va meglio. Vado a       imbucare.

Voce della portinaia   Brutto mestiere! Sempre fra le sue scartoffie! Lei deve pensare             continuamente, per scrivere le sue lettere.

Voce d'uomo       Non è per scrivere, è per spedirle che devo pensare.

Voce della portinaia     Diavolo! Bisogna ben sapere a chi si mandano! Non si può mica         mandarle a chi si sia! E poi non devono essere le stesse persone!

Voce d'uomo       Bisogna pur guadagnarsi da vivere col sudore della fronte, come dice il                profeta.

VOCE DELLA PORTINAIA          Oggigiorno, c'è troppa istruzione, è per questo che va male.                       Anche scopare, è meno comodo di una volta.

VOCE D’UOMO      E non si scappa! Bisogna guadagnarsi da vivere, per pagare le imposte.

VOCE DELLA PORTINAIA          Sa qual è il mestiere che vorrei fare io? Il ministro. Quelli là,          non le pagano mica le imposte, le incassano.

VOCE D’UOMO      Anche loro, poveretti, devono guadagnarsi la vita, co­me tutti quanti.

VOCE DELLA PORTINAIA   Sta' a vedere che anche i ricchi si sono ridotti poveri come noi, se         poi ce n'è ancora, di questi tempi.

VOCE D’UOMO                  E’ dura la vita, purtroppo!

VOCE DELLA PORTINAIA          A chi lo dice!

VOCE D’UOMO                  A me lo dice, signora.

VOCE DELLA PORTINAIA      A me lo dice, signor Lelard! Uno sgobba come un negro per poi        finire tutti allo stesso posto, fra quattro assi. È là che c'è mio marito, è morto da quarant'anni,          come fosse ieri.

            Il cane abbaia nell'entrata.

Piantala, tesoro. (Deve dare un colpo di scopa al cane perché si sentono i suoi guaiti lamentosi).

            Una porta sbatte.

Vattene a casa tua! (All'uomo, evidentemente) Allora arrivederci, signor Lelard. Stia attento, si scivola, di fuori, sui marciapiedi è tutto bagnato. Ah, che tempo da cani!

Voce d'uomo       Appunto. Si parlava della vita. Bisogna esser filosofi, signora portinaia, cosa        vuole!

Voce della portinaia      Non me ne parli dei filosofi, mi ero messa in mente di seguire i          consigli degli stoici, e di darmi da fare nella contemplazione. Non m'hanno insegnato niente,    nep­pure Marc'Aurelio. Non serve a niente, in conclusione. Non era più furbo di lei e di me.      Bisogna trovarsi la soluzione ognuno per conto suo. Se ce ne fosse una, ma non c'è.

Voce d'uomo                   A chi lo dice...

Voce della portinaia          E non avere sentimenti, perché dove vuol metterli quelli li ?           Roba   che non entra nelle nostre scale di va­lori. Che me ne farei, io, per scopare le mie         scale?

Voce d'uomo       Non li ho letti, io, i filosofi.

Voce della portinaia          Ha proprio ragione. Ecco cosa vuol dire essere istruiti come,

            lei. La filosofia, serve appena appena a quelli della provetta. Per dargli un po' di colorito,

            e neanche.

Voce d'uomo                               Non dica cosi, signora portinaia.

Voce della portinaia          I Filosofi, sono soltanto buoni per noi portinaie.

Voce d'uomo       Non bisogna dire così, signora, sono buoni per tutti quanti.

VOCE della portinaia          So quel che mi dico. Lei, non legge che libri buoni. Io, invece,       i filosofi, perché non ho denaro: filosofi da quat­tro soldi. Lei, anche se non ha denaro         neanche lei, al­meno ha la tessera per entrare nelle biblioteche. Può scegliere... ma a cosa serve, domando io, lei che sa tutto?

Voce d'uomo       Glielo dico io, la filosofia, serve a capire la filosofia della vita!

Voce della portinaia          Ci ho fatto l'abitudine, io, alla filosofia della vita!

Voce d'uomo       Questa è una grande virtù, signora portinaia!

            Colpo di scopa nello zoccolo della porta di Berenger.

Voce della portinaia          Miseria, come tiene poco il pulito questa casa! Tutto fango!

Voce d'uomo                   Non è certo il fango che manca. Basta, questa volta me ne vado    proprio, è urgente. Arrivederci, signora portinaia, e auguri!

Voce della portinaia                      Grazie, signor Lelard!

            Sbattere violento della porta d'ingresso.

            Ah che furbo, st'imbecille, adesso spacca di nuovo la porta, ma certo non pago io!

Voce d'uomo   (cortesemente)        Ha detto qualcosa, signora portinaia?

Voce della portinaia          (più cortesemente ancora, melliflua) Niente niente, si­gnor   Lelard, parlavo così, da sola, per imparare a par­lare! Per passare il tempo! (Colpo di scopa         nello zoc­colo della porta di Berenger).

Voce d'uomo       M'era proprio sembrato che mi chiamasse. Scusi.

Voce della portinaia          Perbacco, si sbaglia, signor Lelard, cose che capitano! Niente                    di male!

            Di nuovo la porta d'ingresso sbatte con violenza.

            È andato. Ah, quello lì, si ha un bel ripetergli cento­mila volte la stessa cosa, non capisce un        accidente, con le sue porte. Da credere che è sordo. Fa finta, ci sente benissimo! (Canta)

           

Quando fa freddo, non fa più caldo-

            Guaiti più attutiti del cane.

            Sta' zitto, tesoro! Ah, sto cane è una maledizione! Aspetta, adesso ti sistemo, un bel

            colpo sul naso.

            Si sente aprire la porta della portieria. Urli del cane. La porta sbatte.

Voce d'un altro uomo

            (preceduta dal rumore di alcuni passi; accento legger­mente straniero) Buongiorno, signora        portinaia. La si­gnorina Colombina abita qui?

Voce della portinaia          Mai sentito sto nome! In questa casa non ci stanno forestieri,                     solo francesi!

Voce dell'altro uomo

            (e al tempo stesso, da sopra, la radio si fa sentire molto forte) Eppure mi hanno detto che            abitava al quinto piano in questa casa.

Voce della portinaia

            (gridando per farsi sentire)    Mai sentito questo nome, le dico!

Voce dell'altro uomo        Come ha detto, signora?

                       

Proveniente da destra, dalla strada, rombo di camion che, dopo due secondi, frena bruscamente.

Voce della portinaia      (sempre gridando)   Le ripeto che non l'ho mai sentito.

Voce dell'altro uomo        È ben il numero tredici di via La Douzaine?

Voce della portinaia     (c. s.)        Di che cosa?

Voce dell'altro uomo        (più forte)    È ben il numero tredici!...

Voce della portinaia     (urlando)         Non gridi così. Ci sento. Si capisce che è il numero      tredici di via La Douzaine. Non sa leggere il francese? È scritto sulle targhe!

Voce dell'altro uomo        Allora, è proprio qui che abita la signorina Colombina!

Voce d'un camionista  (nella via)      Impara a guidare!

Voce della portinaia          Lo so meglio di lei!

Voce di un autista     (nella via)     Perché mi dai del tu? Non sei capace di dare del lei?

Voce della portinaia          Ah, ci sono, la signorina Colombina, è forse la concu­bina del                     signor Polisson?

Voce del camionista     (nella via)     Porco! Satiro!

Voce dell'altro uomo        Sì... Appunto, Pelisson!

Voce della portinaia          Pelisson, Polisson, fa lo stesso!

Voce dell'autista      (nella via)        Non potresti essere un po' più educato? Carogna!

Voce della portinaia          Allora, è la rossa! Se è lei, abita qui; e sì che gliel'avevo detto!                   Bisognava spiegarsi! Prenda l'ascensore.

Voce del camionista                 (nella via)      Porco! Maleducato!

Voce dell'autista      (nella via)       Porco! Maleducato!

            Rumori simultanei dell'ascensore che sale, della radio, delle macchine nella via che         ripartono, poi di una motocicletta che strepita; si vede, per un secondo, la motocicletta   passare, nella via, davanti alla finestra.

Voce della portinaia          (forte) E non si scordi di chiudere la porta dell'ascen­sore! (Per       sé) Non ci pensano mai, figurati gli stranieri! (Canta)

            Non si va avanti, certo, quando si segna il passo. Ma si va poi avanti, quando ci si           muove?

Si sente sbattere la porta della portineria; la portinaia vi è en­trata; latrati del cane; voce più attutita della portinaia:

            Ma si, ma sì, il mio tesorino! Che non ha il suo zu- zucchero? Prendi, su, eccolo qua il tuo           zu-zucchero!

            Latrati.

            E piantala!

            Urlo del cane.

            Da sinistra, nella via, appaiono due passanti, che si vedono at­traverso la finestra. Si può             anche sentirli, senza vederli. 'Tut­tavia è meglio vederli. Sono due vecchi, sfiaccolati, che cammi­nano penosamente, a passettini, aiutandosi coi bastoni.

1° vecchio             Che brutto tempo.

2° vecchio             Che brutto tempo.

1° vecchio             Che cosa ha detto?

2° vecchio             Che brutto tempo. Che cosa ha detto?

1° vecchio             Dicevo: che brutto tempo.

2° vecchio             Si appoggi al mio braccio, per non scivolare.

1° vecchio             Si appoggi al mio braccio, per non scivolare.

2° vecchio             Ho conosciuto persone molto brillanti, molto brillanti.

Barbone    (appare a destra sul marciapiedi opposto)

            Nel lasci- are la mari-i-na!

            (Guarda in alto, verso le finestre, donde possono pio­vere le monete).

1° vecchio                        Che cosa facevano queste persone brillanti?

2° vecchio                        Brillavano di molto!

Barbone                Ho sposato-o Marianni-ina-a!

1° vecchio                        E dove brillavano queste persone brillanti?

           

            Il barbone, come sopra.

2° vecchio                        Brillavano in società, brillavano nei salotti!... Brilla­vano dappertutto!

1° vecchio                        Quando le ha conosciute, queste persone brillanti?

     Barbone (c. s.)

                        Nel lascia-are la mari-i-na...

            (Sempre guardando le finestre dei piani superiori, si dirige a sinistra, scompare).

2° vecchio                        Tanto tempo fa, tanto tempo fa...

1° vecchio                        Le vede ancora, qualche volta?

Il droghiere   (uscendo dalla bottega di fronte, con aria furibonda, alza la testa verso la                                     finestra del primo piano)    Ehi, si­gnora!

2° vecchio                        Ah, caro mio, non ce ne sono più persone che brillino...

                                   (Lo si vede sparire da destra, lo si sente ancora) È tutto finito. Non ne                                         conosco più che due, di persone bril­lanti...

Droghiere           Ehi, signora, per chi mi prende?

Voce del 2° vecchio   ...più che due. Uno è in ritiro, e l'altro è deceduto!

            Si vede sparire anche il primo vecchio.

Droghiere       (c. s.)       Ehi!... ma per chi mi prende, signora?

Voce del barbone       (cantando)      Capitano di corve-etta-a...

Droghiere           (c. s.)   Per chi mi prende? Io, signora, sono un commer­ciante, ma non

                                   vendo fumo.   (Rientra furioso in bot­tega).

Voce del barbone     (allontanandosi)          M'ha chiamato e qui mi fa:

                                                                                  sposati la Marianne-etta,

                                                                                  se proprio ti va...

Voce del 1° vecchio   (allontanandosi) Anche se ce ne fossero, non si vedreb­bero. I brillanti                                          non brillano più.

           

            Da destra, i rumori della ricreazione che, da un po', si sentivano meno forte, si fanno più            intensi. Campanella.

Voce del maestro di scuola       In classe! In classe! In classe!

Una voce     (dalla via)     Abbiamo cinquantotto fattorini per le con­segne...

Voce del maestro       Silenzio!

            Calpestio, grida, rumori dei banchi, ecc., da destra.

                        Silenzio, silenzio!

Voce   (dalla strada)           Abbiamo cinquantotto fattorini!

            Nella scuola, i bambini hanno fatto silenzio.

Voce del maestro       Lezione di storia: i rappresentanti del popolo vennero davanti ai    cancelli del palazzo della regina Maria Anto­nietta. Gridavano:

Voce  (dalla strada)            Abbiamo cinquantotto fattorini.

Voce del maestro       Gridavano: «Non abbiamo più brioches, Maestà, da­tecene ». « Non ce                 n'è più », rispose la regina.

Voce   (dalla strada)           Abbiamo cinquantotto fattorini.

Voce del maestro       «Non ce n'è, non avete che da mangiare del pane».

            Allora il popolo si adirò. Tagliarono la testa alla re­gina. Quando la regina si vide senza testa,      ne fu tal­mente seccata che le venne un colpo. Non sopravvisse, malgrado i medici che a quei       tempi non ne sapevano granché.

Voce  (dalla strada)            Abbiamo cinquantotto fattorini.

Una voce grossa  (dalla strada)    Eravamo a settemila metri d'altezza, quando all'improvviso     vedo staccarsi un'ala del nostro apparecchio.

Altra voce  (esile)          Caspiterina.

Voce grossa       Mi dico, bene, ne resta ancora una. I passeggeri si mi­sero tutti da una parte,        per equilibrare l'aereo, che vo­lava con un'ala sola.

Voce esile            Ha avuto paura?

Voce grossa                   Aspetti... tutt'a un tratto l'aereo perde la seconda ala e i motori... e le         eliche... ed eravamo a settemila metri!

Voce esile            Ahi ahi!

Voce grossa       Mi dico, questa volta, siamo perduti... (la voce s'allon­tana) siamo perduti,            niente da fare... Ebbene sa come ce la siamo cavata? Gliela do su mille...

Altra voce nella via          I nostri cinquantotto fattorini perdono troppo tempo quando         vanno a orinare. Cinque volte al giorno, in me­dia, interrompono le consegne per soddisfare i        loro bi­sogni personali. Questo tempo non viene detratto dai salari. Loro ne approfittano, bisogna disciplinarli: fac­ciano pipi una sola volta al mese, a turno, per quattro ore e mezza di      seguito. Questo economizzerebbe tutti gli andirivieni che per noi sono così costosi. Anche i   cammelli possono immagazzinare l'acqua.

1° voce   (dal basso)    Prendo il treno. Entro nel mio scomparti­mento, prendo il mio posto, che          era riservato. Il treno parte. Nello stesso istante, arriva il signore che aveva lo stesso posto, e     lo stesso numero del mio. Per corte­sia, gli cedo il posto, vado nel corridoio, dice appena          grazie. Resto in piedi due ore. Dopo due ore, il treno si ferma a una stazione, il signore          scende dal treno. Ri­prendo il mio posto, perché prima era il mio posto. Di nuovo il treno            parte. In capo a un'ora, il treno si ferma a un'altra stazione. Ecco il signore che risale, si   vuole riprendere il posto. Giuridicamente, aveva diritto di riprenderlo? Era il mio posto,           come pure il suo, ma lui pretendeva di avere il diritto di secondo occupante. C'è stato un    processo. Il giudice mi disse che aveva delle prerogative supplementari, perché questo     signore era vescovo e critico e che aveva tenuto segreti i suoi titoli per modestia.

Altra voce dal basso         Chi era questo signore?

1° voce dal basso        Un critico, un vescovo. Morvan, il vescovo, il vescovo di Morvan.

L'altra voce dal basso      Come ha fatto per riacchiappare il treno?

1° voce dal basso                   Aveva preso le scorciatoie.

Una voce nella via   (più vicina)      Abbiamo cinquantotto fattorini.

            I due vecchi riappaiono dall'altra parte, nella via, cioè da si­nistra.

1° vecchio                        Mi hanno invitato al pranzo di nozze, si capisce... Non sono stato contento,          perché a me piace soltanto il gal­letto al vino.

2° vecchio                        Non le hanno servito il galletto al vino?

1° vecchio                        Sì. Ma non me l'hanno detto, che era galletto al vino, e allora quando l'ho                                     mangiato non era buono.

2° vecchio                        Era davvero galletto al vino?

1° vecchio                        Sì che era galletto al vino. Ma siccome non lo sapevo, è stato un pranzo                                        sprecato.

2° vecchio                        Avrei voluto essere invitato al suo posto. Perché, a me, i pranzi sprecati mi                                   piacciono.

            I vecchi scompaiono.

Voce nella via                         Noi abbiamo cinquantotto fattorini.

Voce   (da destra)                Bisogna impostare seriamente il problema del nostro finanziamento.

Voce dall'alto                        La questione è stata discussa dalla delegazione dei vice­delegati?

Voce   (da sinistra)               Bisogna impostare seriamente il problema del loro finanziamento.

Voce dall'alto                        Bisogna impostare seriamente il problema del finanzia­mento dei nostri                  fattorini.

Altra voce da sinistr          No, la questione è stata risolta dalla sottodelegazione dei                           vicedelegati.

Voce da destra                        Cosa vuole, la produzione è la produzione. Bisogna ri­pensare la                             questione, ripensarla alla base.

Voce da sinistra         Coi nostri capireparto, i nostri vicecapi, i nostri paracapi e i nostri peracapi, costituiremo una base organizzazionale, un comitato di messa in comune.

Voce dall'alto            I capi e i pericapi costituiranno dei comitati d'impresa delle società                        d'imprenditori che costituiranno dei grup­pi sociali...

Voce da destra                        C'è il principio organizzazionale della base e il punto di vista                      organizzazionale della sovrastruttura.

Voce da sinistra         E i nostri cinquantotto fattorini?

Voce dall'alto                        Dopo il lavoro, bisogna organizzare il tempo libero.

Voce dal basso                        Un tempo libero intensissimo.

Voce da sinistra         Bisogna forzare il tempo libero.

            Per alcuni secondi una fitta nebbia oscura la scena; parallela­mente, i rumori esterni si    attutiscono; non si odono più che frammenti di parole indistinte.

Voce della portinaia          (dopo uno sbattere di porte nell'ingresso) Ah, quando la                             nebbia si mescola al fumo della fabbrica, non si sente più niente!

                        Suono potentissimo della sirena di una fabbrica.

                        Per fortuna, c'è le sirene!

                        La nebbia s'è dissolta, e si vede, dall'altro lato della via, il bar­bone che canta.

Voce del barbone      II comandante in seconda

                                               m'ha chiamato e qui mi fa:

                                               sposati la Marianne-etta,

                                               sposati la Marianne-etta.

            I rumori della via si fanno più fiochi per permettere la scena che segue.

Barbone                            Fosti un bravo marinaio,

                                               sarai dunque un buon marito!

            Si sente, nell'ingresso, sbattere una porta.

Voce della portinaia          (mentre il barbone, canticchiando, guarda le finestre da cui            devono piovere le monete, si toglie il vecchio ' cappello sfondato e saluta nel vuoto; è venuto        avanti, verso la finestra e si trova in mezzo alla via) Non sbat­tete la porta così.

Voce di una donna    (nell'ingresso) Anche a lei le capita di sbatterla. Non l'ho fatto                   apposta.

Voce della portinaia          Sì, ma io, è perché non faccio attenzione.

Barbone    (nella via, guarda verso le finestre)    Salve, signori si­gnore. Grazie, signori signore.                      (Mugugna perché le mo­nete non cadono) Non sono generosi, ah no no no no.

Voce della portinaia

                                   (canta)

                                   Quando fa caldo, è che fa freddo!

            Il barbone, mentre la portinaia ripete lo stesso ritornello, ha attraversato la via; un          motociclista lo sfiora alle spalle, passando a tutta andatura; si sente la voce del   motociclista: « Razza di... »

Barbone                      Sarai dunque un buon marito!

            (Si è fatto proprio sotto alla finestra, e sempre cantic­chiando)

                        Sì ma fa' molta attenzione,

                        sì ma fa' molta attenzione!...

            (Guarda dalla finestra nella camera di Berenger, incol­lando la faccia e il naso, che         s'appiattisce, al vetro chiuso).

Portinaia (appare sul marciapiede, scopa sempre canticchiando, poi si scontra col barbone)                       Cosa fai qui, tu?

Barbone                  Canto!

Portinaia                           Tu sporchi i vetri! Questo è il mio inquilino! Tocca poi a me pulirli.

Barbone   (ironico)   Oh! pardon, signora. Non lo sapevo. Non deve arrabbiarsi.

Portinaia                           Avanti, fila, poche storie!

Barbone  (sempre un po' canzonatorio e un po' ubriaco) Questa l'ho già sentita più di mille                          volte. Lei è molto banale, signora.

Portinaia    (minacciandolo con la scopa)     Te li do io, gli apprez­zamenti.

Barbone   Non è il caso, signora, me ne vado, signora, pardon! (Si allontana; lo si sente                               canticchiare)

                        Nel lascia-are la mari-i-na,

                        ho sposato-o Marianni-ina-a!

Portinaia   (sempre in strada, presso la finestra, si volta brusca­mente, quando sente abbaiare

            il suo cane)   E piantala!... Il postino!   (Al postino)  Per chi è, signor postino?

Voce del postino         Per il signor Berenger. Un espresso.

Portinaia                                     È a pianterreno. A destra.

Voce del postino                    Grazie.

Portinaia (minacciando con la scopa in direzione del barbone che non si vede più) Maiale.                          (Alzando le spalle) Quello è marinaio come me.

                        Si sente il postino bussare alla porta di Berenger, mentre la por­tinaia scopa il                              marciapiede.

                        Ah, queste cacche di cane, certo il mio non farebbe mai una cosa simile.

Voce del postino                    Non risponde.

Portinaia                (al postino che non si vede)             Bussi più forte. C'è.

Voce del postino                    Se le dico che non risponde!

Portinaia                         Non sa neanche bussare a una porta! (Sparisce nell'in­gresso).

Voce della portinaia          Non può essere uscito. Conosco le sue abitudini. È il mio   inquilino. E per giunta gli faccio le pulizie. Gli pu­lisco i vetri.

Voce del postino         Provi lei!

            Si sente battere forte, colpi ripetuti, alla porta della camera di Berenger.

Voce della portinaia          (che sta bussando)   Signor Berenger, signor Berenger!

            Silenzio. Altri colpi.

            Signor Berenger! Signor Berenger!

Voce del postino         Cosa le avevo detto!

Voce della portinaia          Questo è troppo! Non può essere uscito. Forse dorme, ma non       è sua abitudine. Bussi più forte. Io vado a vedere!

            Il postino continua a bussare. La portinaia riappare davanti alla finestra; appoggia contro          il vetro la sua faccia che, naturalmente, deve essere ripugnante; e s'imbruttisce ancora dipiù      per l'ap­piattirsi del naso contro il vetro.

Portinaia                        Signor Berenger! Dica, signor Berenger!

            Contemporaneamente si sente il postino bussare alla porta.

Voce del postino         Signor Berenger, un espresso, signor Berenger!

Portinaia                        Signor Berenger, c'è un espresso per lei... Ah, questa, poi!  (Pausa).                                              Dove diavolo può essere? Non è mai a casa? (Bussa di nuovo alla finestra,                                   mentre si sentono sempre i colpi alla porta del postino) C'è gente che se ne va                              a spasso, non ha niente da fare e noi qui ci rom­piamo la schiena!... Non c'è!        (Sparisce, dev'essere vi­cina all'ingresso; si vede, nell'angolo della finestra, agi­tarsi il suo        braccio e il manico della scopa).

Voce del postino                     Se non c'è, non c'è. Lei diceva che sta sempre in casa!

Voce della portinaia          Mai detto questo! Mi dia l'espresso, glielo consegnerò io.   (Sparisce completamente)     Sono io che gli pulisco i vetri.

Voce del postino                    Non sono autorizzato a darglielo. Non posso.

Voce della portinaia          Tanto peggio, allora, se lo tenga.

Voce del postino                    Via, glielo do lo stesso. Eccolo.

Voce della portinaia          E adesso dovrò anche stare attenta a quando viene! Bella roba!                                                    Scusate tanto!

            Pausa. I rumori sono cessati di colpo, dopo che si è spenta, pro­gressivamente, la sirena di          un'ultima fabbrica. Forse si sarà sen­tita un'ultima volta un'invettiva della portinaia   all'indirizzo del suo cane, seguita dai guaiti di quest'ultimo. Qualche istante di silenzio. Poi,       si vede passare nella via, all'altezza della finestra proveniente da destra, Berenger che fa          ritorno a casa. Indossa il soprabito, e tiene il cappello con la mano destra che fa oscil­lare      con      forza. Cammina a capo chino. Appena ha superato il campo visuale della finestra, si       sentono i suoi passi nell'ingresso. Si sente la chiave girare nella serratura.

           

            (Compitissima) Ah bene, eccola qui, signor Berenger. Ha fatto buona passeggiata? Fa     proprio bene a pren­dere un po' d'aria! Ne ha bisogno!

Voce di Berenger        Buongiorno, signora.

Voce della portinaia          Se è andato a spasso, vuol dire che era uscito. Io non l'ho   sentita uscire. Perché non m'ha avvertito, poteva darmi la chiave per andare a riordinare.            Come facevo a saperlo? Ha ricevuto un espresso!

            Pausa. Berenger ha smesso di trafficare con la serratura, deve leggere l'espresso.

            Forse non era poi cosi urgente? Allora l'ho letto. È il negoziante d'anticaglie. La sollecita            d'urgenza. Non è il caso di preoccuparsi.

            Si sente di nuovo stridere la chiave nella serratura. La porta della camera di Berenger s'apre        pian piano. Si sente la portinaia farfugliare irosa parole inintelligibili, sbattere l'uscio della          portiera, il cane gemere; si vede apparire, nella semioscurità della stanza, la sagoma di         Berenger. Avanza a passi lenti verso il mezzo della scena. Il silenzio è completo. Berenger        preme l'in­terruttore, la scena s'illumina. Si scorge nel suo angolo, cap­pello in testa, ravvolto             nel soprabito, con la borsa ai suoi piedi, Edouard che tossicchia. Dapprima sorpreso dalla             tosse, poi, quasi simultaneamente, dalla vista d'Edouard, Berenger ha un sussulto.

Berenger            Ah! che cosa fa qui?

Edouard   (con voce gracile, un po' acuta, quasi infantile; tossic­chiando, alzandosi,               raccogliendo la borsa)   Non fa caldo, qui da lei.  (Sputa nel fazzoletto; per questo ha di    nuovo posato la cartella, tolto dalla tasca anche la mano de­stra, che è un po' rattrappita e      che è visibilmente più corta dell'altra; poi ripiega con cura, metodicamente, il fazzoletto, lo          rimette in tasca, riprende la borsa).

Berenger            Mi ha fatto paura... Non aspettavo la sua visita. Che cosa fa qui?

Edouard              Stavo aspettandola. (Rimettendo la mano più corta in tasca) Buongiorno,                                     Berenger.

Berenger            Come è entrato?

Edouard              Ma dalla porta, no? Ho aperto la porta.

Berenger             Come ha fatto? Avevo io le chiavi!...

Edouard               (trae di tasca delle chiavi, le mostra a Berenger)  An­ch'io. {Rimette le chiavi                                in tasca).

Berenger             Come ha avuto quelle chiavi? (Posa il cappello sulla tavola).

Edouard               Ma... È lei stesso che me le ha affidate un giorno, per entrare da lei quando                                  volevo e aspettarla, in caso d'as­senza.

Berenger              (cercando nella memoria) Gliele ho date io queste chia­vi? Quando?... Non                                 me ne ricordo... affatto...

Edouard              Eppure è lei che me le ha date. Come avrei potuto averle, altrimenti?

Berenger             È stranissimo, caro Edouard. Insomma, se lo dice lei...

Edouard              Gliel'assicuro... Mi scusi, Berenger, gliele rendo, se le secca che le tenga io.

Berenger             Beh... no, no... le tenga, Edouard, le tenga, dal mo­mento che le ha. Mi scusi,                               ho una memoria pessima. Non ricordo di avergliele date.

Edouard               Eppure, sì... Cerchi di ricordare, era l'altr'anno, mi pare. Una domenica                                         quando...        

Berenger  (interrompendolo)      La portinaia non mi ha detto che lei stava aspettando.

Edouard              Probabilmente non mi ha visto, mi scusi, non sapevo che bisognava chiederle                               il permesso di entrare da lei. Non mi aveva detto che non era indispensabile?                               Ma se non gradisce la mia visita...

Berenger            Non voglio dir questo. La sua presenza mi fa sempre piacere.

EDOUARD               Non voglio disturbarla. Non mi disturba affatto.

Berenger             La ringrazio.

BERENGER              È la mia mancanza di memoria che mi preoccupa... (Fra sé) Eppure, la                                          portinaia non deve aver lasciato la casa, stamattina!... (A Edouard) Ma che                                  cos'ha? Lei trema.

EDOUARD               Sì, effettivamente, non mi sento molto bene, ho freddo.

BERENGER               (prendendo la mano valida di Edouard, mentre questi affonda l'altra nella                                    tasca) Ha sempre un po' di febbre. Tosse, ha i brividi. È pallidissimo. I suoi                                 occhi bru­ciano.

Edouard              I polmoni... non riesco a mettermi in sesto... è un pezzo che la sto                                                 trascinando...

Berenger             E riscaldano così male in questa casa... (Senza togliersi il soprabito, va a                                       sprofondarsi, imbronciato, in una pol­trona, vicino alla tavola, mentre                                           Edouard resta in piedi) Sieda, Edouard.

Edouard              Grazie. Grazie mille. (Si risiede sulla cassapanca, presso la finestra,                                              deponendo, con precauzione, la borsa vicino a sé, a portata di mano; avrà                                   sempre l'aria di sorve­gliarla; un momento di silenzio, poi, notando l'aspetto                                scuro di Berenger che sospira) Lei sembra molto triste, ha un'aria oppressa,                               preoccupata...

Berenger              (fra sé)    Se fossi solo preoccupato...

Edouard              Non sarà ammalato anche lei? Cos'è successo? Le è capitato qualcosa?

Berenger             No, no... Niente. Sono così... Non sono allegro per na­tura! Brrrr... ho freddo                                anch'io! (Si frega le mani).

Edouard              Le è certamente capitato qualche guaio. La vedo più nervoso del solito, è tutto                            agitato! Me lo dica, se non sono indiscreto, questo la calmerà.

Berenger             (si alza, fa nervosamente parecchi passi per la stanza)    C'è di che.

Edouard               Che cos'è stato?

Berenger                     Oh, niente, niente e tutto... tutto, tutto...

Edouard              Desidererei una tazza di tè, se è possibile...

Berenger              (prendendo d'improvviso il tono tragico delle dichiara­zioni gravi)   Mio caro                                Edouard, sono disfatto, dispe­rato, inconsolabile!

Edouard               (senza cambiare tono di voce) Disfatto da che, incon­solabile di che?

Berenger             La mia fidanzata è stata assassinata.

Edouard               Cos'ha detto?

Berenger             La mia fidanzata è stata assassinata, capisce?

Edouard              La sua fidanzata? Dunque si è fidanzato? Non mi aveva mai parlato dei suoi                               progetti di matrimonio. Le mie congratulazioni. E anche le mie condoglianze.                              Chi era la sua             fidanzata?

Berenger             Per dire la verità... non era esattamente la mia fidan­zata... È una ragazza, una                               ragazza che poteva diven­tarlo.

Edouard               Ah sì?

Berenger            Una ragazza tanto bella quanto dolce, tenera, pura come un angelo.

                                   È spaventoso. È troppo spaventoso.

Edouard               Da quando la conosceva?

Berenger            Forse da sempre. Di sicuro, da stamattina.

Edouard               Una cosa recente.

Berenger             Mi è stata strappata... strappata!... Ho... (Gesto della mano).

Edouard              Dev'essere doloroso... Ha un po' di tè, per favore?

Berenger             Mi scusi, non ci pensavo... Con questo dramma... che strazia la mia vita!

                                   Sì, si, ne ho!

Edouard               La capisco.

Berenger              No, non può capire.

Edouard               Oh, sì.

Berenger              Non posso offrirle del tè. È ammuffito. M'ero scordato.

Edouard              Allora un bicchiere di rum, per favore... Sono conge­lato.

                                   Berenger, sempre parlando prende una bottiglia di rum, riem­pie un                                              bicchierino per Edouard e glielo tende.

Berenger             Mi mancherà, per sempre. La mia vita è finita. È una lacerazione che

                                   non guarirà mai.

Edouard               Lei è straziato, povero amico! (Prendendo il bicchiere di rum) Grazie!

                                   (In tono sempre indifferente)   Povero amico mio!

Berenger            E se non fosse che questo, se non ci fosse che l'assas­sinio di questa sventurata                             fanciulla. Se lei sapesse, stanno succedendo cose, cose atroci nel mondo, nella                             nostra città, cose terribili! inimmaginabili... proprio qui vicino... relativamente                          vicino... Moralmente è qui, « qui »! (Si batte sul petto).

           

                                   Edouard ha inghiottito il rum, che gli va di traverso. Tosse.

                                   Lei non si sente bene!

Edouard              Non è niente. È forte.   (Continua a tossire)  Dev'essermi andato di traverso.

Berenger             (dando a Edouard dei colpetti sulla schiena per fer­mare la tosse e                                     riprendendogli  il bicchiere con l'altra mano) Credevo di aver ritrovato tutto,                              ritrovato tutto.

                                    (A Edouard)    Alzi la testa. Guardi il soffitto. Adesso passa... (Continua)                                                 Tutto ciò che avevo perduto, tutto ciò che non avevo perduto, tutto ciò che era                           mio, tutto ciò che non era mai stato mio...

Edouard               (a Berenger che continua a picchiargli sulla schiena) Grazie. Adesso va... lei                               mi fa    male... basta, per piacere.

Berenger                         (andando a posare il bicchierino sulla tavola, mentre Edouard sputa nel                                       fazzoletto) Credevo che la primavera fosse tornata per sempre... credevo di                                  aver ritrovato           l'introvabile, il sogno, la chiave, la via... tutto ciò che abbiamo                              perduto, vivendo.

Edouard                           (tossicchiando)           Lo credo, lo credo.

Berenger             Tutte le aspirazioni confuse, tutto ciò che desideriamo oscuramente, dal più                                  profondo di noi stessi, senza neppur rendercene conto... Ah, credevo di aver                              tutto...              Era una terra inesplorata, di una bellezza magica...

Edouard              Lei è sempre alla ricerca di cose stravaganti. Si propone scopi irraggiungibili.

Berenger              Ma se c'ero già! Ma se la ragazza.

Edouard              La prova è che lei non c'è più, e che la ragazza non è più. I suoi problemi                                      sono complicati, senza utilità pra­tica. Sì. C'è sempre stato in lei uno                                              scontento, un ri­fiuto a rassegnarsi.

Berenger             È perché io soffoco... Non respiro l'aria che mi è desti­nata.

Edouard               (tossicchiando)   Si consideri fortunato di essere in buona salute, di non                                       essere malaticcio o malato.

Berenger              (senza tener conto di quel che gli dice Edouard)       No. No. Ho veduto, ho                                  creduto di raggiungere qualcosa... qualche cosa come un altro universo. Sì,                                  soltanto la bel­lezza può far schiudere i fiori della primavera senza fine... i                               fiori immortali... Ahimè, non era che una luce bugiarda!... Di nuovo, di nuovo                                   tutto è sprofondato negli abissi... in un secondo, in un secondo! La stessa                                               caduta, che si ripete...

                                   Tutto è detto in tono declamatorio, a metà strada fra la since­rità e la parodia.

Edouard              Lei pensa solo a se stesso.

Berenger                         (con leggera irritazione)    Non è vero. Non è vero. Io non penso soltanto a                                  me. Non è per me... o non solo per me, che soffro in questo momento, che                                   rifiuto d'ac­cettare! Giunge il momento in cui non si possono più ammettere le                             cose orribili che avvengono...

Edouard               Ma è nell'ordine del mondo. Per esempio, io, io sono malato... eppure me ne                                faccio una ragione...

Berenger              (interrompendolo)   Pesa, pesa terribilmente, soprattutto quando si era creduto                             di intravvedere... che si era cre­duto di poter sperare... Ah, ah... ora non si può                              più... sono stanco... lei è morta, quegli altri sono morti, tutti saranno uccisi...                          non lo si può impedire...

Edouard               Ma come è morta, codesta fidanzata che forse non esi­steva? E chi è che sarà                                ucciso, ancora, oltre a quelli che vengono uccisi abitualmente? Di che sta                         parlando, in sostanza? Sono i suoi sogni a essere uccisi? Le frasi generiche                               non vogliono dir niente.

Berenger             Non sono discorsi campati per aria...

Edouard              Scusi. Non la capisco. Io non...

Berenger             Lei se ne sta sempre nel suo buco. Lei non sa mai niente. Ma in che mondo                                  vive?

Edouard              Precisi, m'informi.

Berenger             È assolutamente incredibile. C'è, nella nostra città, vi­sto che non è al corrente,                             un bel quartiere.

Edouard              Ebbene?...

Berenger             Si, esiste un bel quartiere. Ho trovato il bel quartiere, vengo di là.

                                   Lo chiamano la città radiosa.

Edouard                     E allora?

Berenger              Nonostante il suo nome, non è il quartiere della gioia, il quartiere modello, il                                quartiere privilegiato. Un mal­fattore, un assassino assetato di sangue l'ha                                     trasfor­mato in un inferno.

Edouard               (tossendo)       Chiedo scusa, tossisco, non posso farne a meno.

Berenger              Mi sente?

Edouard              Perfettamente: un assassino l'ha trasformato in un in­ferno.

Berenger             Terrorizza, uccide tutti quanti. Stanno abbandonando il quartiere. Tra poco                                  non ci sarà più.

Edouard              Ah, ma sì, ci sono! Si tratta certamente del mendicante che fa vedere ai                                       passanti la foto del colonnello e li getta in acqua mentre la guardano! È uno                                 specchietto per le allodole. Credevo che stesse parlando d'un'altra cosa. Se                              non è che questo...

Berenger               (sorpreso)       Lei lo sapeva? Lei era informato?

Edouard              E da un pezzo. Pensavo che stesse per raccontarmi qualcosa di nuovo, che ci                               fosse un secondo quartiere modello.

Berenger              Perché non me ne ha mai parlato?

Edouard              Credevo che non ne valesse la pena. Tutta la città sa questa storia, sono anzi                                molto sorpreso che lei non la sapesse prima, è una novità vecchia. Chi non la                                co­nosce?... Pensavo che fosse inutile parlargliene.

Berenger             Come? Tutti sono al corrente?

Edouard              Se le dico! Lo vede, persino io lo so. La cosa è arcinota, assimilata,                                               catalogata. Anche i bambini che vanno a scuola lo sanno...

Berenger             Anche i bambini che vanno a scuola?... Ne è proprio sicuro?

Edouard              Ma si capisce. (Tossicchia).

Berenger              Come hanno fatto i bambini delle scuole a venirlo a sapere?...

Edouard              Devono averne sentito parlare dai genitori... o dagli adulti... anche il maestro                               quando gli insegna a leggere e a scrivere... Vorrebbe darmi ancora un po' di                                 rum?... O piuttosto no, mi fa troppo male. È meglio che mi astenga.                                      (Riprendendo il filo della spiegazione) È incre­scioso, certo.

Berenger            Molto increscioso! Estremamente increscioso... Edouard Che vuol farci?

Berenger            Mi permetta di dirle, allora, quanto io sia a mia volta sorpreso che lei prenda                                la cosa con tanta indifferenza... Ho sempre creduto che lei fosse un uomo                                    sensibile, umano.

Edouard               Forse lo sono.

Berenger              Ma è atroce. Atroce.

Edouard               Lo ammetto. Non le do torto.

Berenger              La sua indifferenza mi rivolta! Glielo dico in faccia.

Edouard               Che vuole... io...

Berenger              (più forte) La sua indifferenza mi rivolta!

Edouard               Senta... la notizia per lei è nuovissima...

Berenger             Non è una ragione. Lei mi lascia costernato, Edouard, sinceramente                                              costernato...

            Edouard si mette a tossire violentemente. Sputa nel fazzoletto.

            (Precipitandosi verso Edouard perché questi sta per svenire)   Ma lei si sente male!

Edouard              Un bicchier d'acqua.

Berenger             Subito. Glielo porto. (Lo sorregge) Si stenda li... sul sofà...

Edouard     (fra i colpi di tosse o i singhiozzi)   La mia borsa...

                        Berenger si china per prendere la borsa di Edouard.

                        (Benché quasi svenuto, in un sussulto, sfugge alle mani di Berenger per afferrare la                     borsa)             Lasci, lasci... (Toglie dalle mani di Berenger la borsa che quest'ultimo aveva                    preso, poi, sempre in procinto di svenire, sorretto da Berenger, arriva al sofà, senza                   lasciare la borsa, si sten­de con l'aiuto di Berenger, depone la borsa accanto a sé).

Berenger             Lei è inondato di sudore...

Edouard               E gelato, al tempo stesso, ah... questa tosse, è spaven­toso...

Berenger            Non deve prender freddo. Vuole una coperta?

Edouard               (rabbrividendo)    Non si dia pensiero. Non è niente... ora passa...

Berenger             Si metta comodo. Si riposi.

Edouard              Un bicchier d'acqua...

Berenger              Subito... Glielo porto. (Esce precipitosamente per an­dare a prendere il                                         bicchier d'acqua).

            Si sente scorrere l'acqua di un rubinetto. Nel frattempo Edouard si solleva su un gomito,            smette di tossire, controlla, con mano inquieta, la chiusura della sua enorme borsa nera, poi           un po' tranquillizzato, toma a distendersi, sempre tossendo, ma meno forte. Non si deve aver   l'impressione che Edouard stia cercando di ingannare Berenger; sta veramente male, ma ha       anche altre ragioni d'inquietudine, per esempio riguardo la borsa; si asciuga la fronte.

            (Ritornando con il bicchiere d'acqua)           Si sente meglio?

Edouard              Grazie...   (Beve un sorso).

            Berenger riprende il bicchiere.

                        Mi scusi, sono ridicolo. Adesso va.

Berenger Sono io che devo scusarmi. Avrei dovuto pensarci...

                        Quando si è così cagionevoli, quando si è molto amma­lati, come lei, è difficile che ci                  si possa preoccupare di qualcos'altro... Sono ingiusto con lei. Dopo tutto, pro­prio gli                       spaventosi delitti della città radiosa sono forse all'origine della sua malattia. Questo             fatto ha dovuto toccarla, coscientemente o no. Sì, è certamente questo, che la rode. Non si       deve giudicare con leggerezza, lo confesso. Non si può leggere nel cuore dell'uomo...

Edouard  (alzandosi)    Qui da lei io gelo...

Berenger             Non si alzi. Vado a cercarle una coperta.

Edouard              Se andassimo a passeggiare un po', piuttosto, per pren­dere aria. L'ho aspettata                             qui, in questo freddo, troppo tempo. Scommetterei che fa più caldo fuori.

Berenger            Sono tanto affaticato moralmente, tanto depresso. Avrei preferito andarmi a                                coricare... Insomma, se ci tiene, vengo lo stesso ad accompagnarla.

Edouard               Lei è ben caritatevole! (Si rimette il feltro col crespo nero, abbottona e spol-                                 vera il soprabito scuro, mentre anche Berenger si caccia il cappello in testa.                                Prende la sua pesante borsa nera rigonfia. È preceduto da Be­renger che gli

                                   volta le spalle camminando; passando accanto alla tavola, e volendo passare                              la borsa per di sopra a questa, la borsa s'apre e una parte del conte­nuto   si                                 rovescia sulla tavola; sono, anzitutto, grandi fotografie)   La mia   borsa!

Berenger    (voltandosi al rumore)         Che cosa... Ah! Si precipitano entrambi sulla borsa.

Edouard               Lasci, e lasci le dico.

Berenger            Ma sì, aspetti, l'aiuto... (Scorge le fotografie) Ma... ma... cos'ha li? (Prende                                   una delle foto).

            Edouard tenta, però senza troppo nervosismo, di riprendergliela, di nascondere con le mani        le altre foto che scivolano dalla borsa, le fa rientrare.

           

            (Non ha lasciato andare la foto, la guarda, nonostante l'opposizione di Edouard) Che cos'è         questo?...

Edouard               Una fotografia, no... delle fotografie...

Berenger   (tenendo e guardando sempre la foto) È un militare, coi baffi, ha i galloni... un                            colonnello con le sue deco­razioni, la croce... (Prende altre foto) Ancora fotografie! E                  sempre la stessa faccia!

Edouard    (guardando anche lui)   Sì... è vero... è un colonnello.

            (Ha l'aria di voler mettere la mano sulle fotografie, mentre altre, in gran numero,            continuano a rovesciarsi sulla tavola).

Berenger   (con autorità)    Mi lasci vedere! (Fruga nella borsa, ne trae altre foto, ne guarda                       ancora una) È una bella fi­gura. Un'espressione che quasi intenerisce. (Estrae altre                       foto).

            Edouard si asciuga la fronte.

            Cosa vuol dire tutto questo? Ma è la foto, la famosa foto del colonnello! Lei l'aveva qui             dentro... non me ne aveva mai parlato!

Edouard              Non sto sempre a guardare nella borsa.

Berenger              Eppure è la sua borsa, non se ne separa mai!

Edouard              Non è una ragione...

Berenger             Insomma... Approfittiamo dell'occasione. Visto che ci siamo, cerchiamo                                       ancora... (Affonda la mano nell'enor­me borsa nera).

            Edouard fa lo stesso, con la sua mano troppo bianca, con le dita rattratte che ora si vedono        in modo nettissimo.

            Ancora fotografie del colonnello... ancora... ancora... (A Edouard che, ora, estrae anche lui        dalla cartella de­gli oggetti, con aria sbalordita) E questo?

Edouard              Sono fiori artificiali, come vede.

Berenger             Ce n'è una quantità!... E questo? Guarda, delle figure oscene... (Le guarda).

                                   Edouard va a guardare sopra la spalla di Berenger.

           

                                   Robaccia!

Edouard               Scusi! (Si allontana d'un passo).

Berenger (lascia cadere le foto oscene, continua l'inventario) Delle pasticche... salvadanai...

            Estraggono entrambi dalla borsa un mucchio di oggetti svariati. ... orologi da bambino!... Ma     cosa ci fanno qui dentro?

Edouard    (balbettando) Io... io non so... le dico...

Berenger             Che cosa se ne fa?

Edouard               Niente. Cosa si potrebbe farne?

Berenger    (continuando a estrarre dalla borsa, che dev'essere come il sacco senza fondo dei                        prestigiatori, ogni sorta d'oggetti in quantità inverosimili, che si spandono su tutta                          la superficie della tavola, cadendo anche, in par'e, sul pavimento) ...spille... altre                     spille... penne... e que­sto... e questo... che roba è?

            Occorre insistere molto in questa azione: certi oggetti possono volteggiare, altri esser gettati       da Berenger, ai quattro canti della scena.

Edouard              Questo?... Non lo so... non so niente... non sono al corrente.

Berenger             (mostrandogli una scatola) E questo che cos'è?

Edouard               (prendendola in mano) Questo mi ha l'aria di una sca­tola, no?

Berenger              Infatti. È una scatola di cartone. Che c'è dentro?

Edouard               Non so, non so. Non saprei dirglielo.

Berenger             L'apra, avanti, l'apra!

Edouard               (quasi indifferente) Se le fa piacere... (Apre la scatola) Non c'è nulla! Ah, sì,                                 un'altra scatola... (Ne estrae una scatola più piccola).

Berenger             E in quest'altra scatola?

Edouard              Guardi lei.

Berenger                         (traendo una terza scatola dalla seconda)   Un'altra scatola. (Guarda nella                                   terza scatola) E dentro c'è an­cora una scatola. (L'estrae) E dentro, un'altra                                    ancora... (Guarda nella quarta scatola) Dentro, un'altra scatola... e così di                                    seguito, all'infinito! Vediamo ancora...

Edouard               Oh, se crede... Ma così non potremo più andare a pas­seggio...

Berenger              (tirando fuori scatole) Scatola per scatole... scatola per scatole... scatola per                                  scatole... scatola per scatole!...

Edouard              Nient'altro che scatole...

Berenger              (estrae dalla borsa una manciata di sigarette) Sigarette!

Edouard               Quelle sono mie!... (Le raccoglie; poi, fermandosi) Se posso offrirgliene                                       una...                          

Berenger            Grazie, non fumo.

            Edouard si mette la manciata di sigarette in tasca, altre siga­rette si sparpagliano sulla tavola,       cadono a terra.

                                   (Guardando fisso Edouard)   Sono gli oggetti del mo­stro! Lei li aveva qui!

Edouard              Non ne sapevo niente, non ne sapevo niente! (Fa per riprendere la borsa).

Berenger            No, no. Vuoti tutto! Avanti!

Edouard               Mi stanca. Lo faccia lei, ma non ne vedo la necessità. (Gli tende la borsa                                     spalancata).

Berenger             (estraendo un'altra scatola) Solo una scatola, di nuovo.

Edouard              Vede bene.

Berenger              (guardando all'interno della borsa svuotata) Non c'è più niente!

Edouard              Posso rimettere a posto? (Comincia a raccogliere gli oggetti e a rimetterli, in                                disordine, dentro la borsa).

Berenger            Gli oggetti del mostro! Sono gli oggetti del mostro! È straordinario!...

Edouard  (c. s.)  Eh... sì, diamine, non lo si può negare... È vero.

Berenger             Come mai si trovano nella sua borsa?

Edouard               Veramente... Io... Che cosa vuole che le dica?... Ci sono cose che non ci si                                   può sempre spiegare... Posso rimet­tere a posto?

Berenger             Forse, sì, in fondo... A che potrebbero servirci? (Co­mincia ad aiutare                                           Edouard a riempire la borsa con gli oggetti che ne aveva tirato fuori; poi                         d'improvviso, nel momento in cui vuol rimettere nella borsa l'ultima sca­tola                          che non aveva esaminato, questa si apre e si spar­pagliano sulla tavola ogni                               sorta di documenti insieme a parecchie dozzine di biglietti da visita; tutto ciò,                                   in stile da prestigiatore) Guarda, biglietti da visita!

Edouard              Sì. Biglietti da visita. Effettivamente, è stranissimo... ah questa poi!

Berenger              esaminando i biglietti da visita) Dev'essere il suo nome.

Edouard              II nome di chi?

Berenger             Ma il nome del criminale, no? il nome del criminale!

Edouard              Lei crede?

Berenger            Mi sembra indiscutibile.

Edouard              Davvero? Perché?

Berenger                     Ma insomma, lo vede bene! Tutti i biglietti da visita portano lo stesso nome.                                Guardi, legga! (Tende qualche biglietto da visita a Edouard).

Edouard               (leggendo il nome stampato sui biglietti) Effettiva­mente... lo stesso nome...                                  dappertutto lo stesso nome... è vero!

Berenger             Ah... ma... diventa sempre più bizzarro, caro Edouard, sì (guardandolo) ...                                   sempre più bizzarro!

Edouard              Forse lei pensa che?...

Berenger                          (estraendo dalla scatola gli oggetti di cui parla) Ed ecco qui il suo indirizzo...                               (Edouard tossicchia legger­mente, con un'ombra d'inquietudine) E la sua carta                              d'identità... la sua foto! È proprio lui... La sua foto appuntata su quella del                                   colonnello! (Con un'agitazione crescente) Un taccuino con... con... i nomi di                           tutte le vittime... i loro indirizzi!... L'acchiapperemo! Edouar l'acchiapperemo!

Edouard                           (estraendo, non si sa donde, un cofanetto; lo cava forse dalla tasca, da una                                   delle maniche, come un prestigia­tore. Può essere una scatola piatta, che                                       prende forma di cubo al momento in cui viene mostrata) C'è anche questo...

Berenger                         (nervosamente) Faccia vedere, presto! (Apre il cofa­netto, ne trae altri                                            documenti, li stende sulla tavola) Un quaderno... (Lo sfoglia) «Tredici                   gennaio: oggi uc­ciderò... quattordici gennaio: ho gettato, ier sera, nel laghetto una vecchia che aveva gli occhiali montati d'oro... » È il suo diario segreto! (Sfoglia,            ansimando,     mentre Edouard sembra sentirsi a disagio) «Ventitré gennaio: niente da         ammazzare oggi.         Venticinque gen­naio: niente da sgranocchiare neanche oggi!...»

Edouard    (timidamente)  Non siamo un po' indiscreti?

Berenger  (continuando) «Ventisei gennaio: Ieri sera, mentre non speravo più e mi annoiavo                         molto, ho potuto in­durre due persone a contemplare, accanto al laghetto, la foto del                      colonnello... febbraio: domani, credo di po­ter convincere una ragazza bionda, che                      mi sto lavo­rando già da qualche tempo, a guardare la foto... » Ah, questa è Dany,                   l'infelice, la mia fidanzata...

Edouard    Mi sembra probabile.

Berenger   (continuando a sfogliare il quaderno) Ma guardi, Edouard, guardi, è incredibile...

Edouard    (leggendo sopra la spalla di Berenger) Criminologia. Cosa significa?

Berenger  Vuol dire: saggio sul delitto... Abbiamo qui la sua pro­fessione di fede, la sua teoria...                  Ed ecco, vede? Legga, legga...

Edouard    (c. s., leggendo) Confessioni particolareggiate.

Berenger             È in nostre mani, il miserabile!

Edouard   (c. s., leggendo) Progetti per il futuro. Piani d'azione.

Berenger Dany, mia diletta, sarai vendicata! (A Edouard) Qui lei ha tutte le prove. Possiamo                     farlo arrestare. Se ne rende conto?

Edouard   (balbettando) Io non sapevo... non sapevo...

Berenger Avrebbe potuto risparmiare tante vite umane!

Edouard   (c. s.) Sì... Me ne rendo conto. Sono confuso. Non sapevo. Non so mai quello che ho,                 non guardo nella borsa.

Berenger  È una negligenza deplorevole.

Edouard  È vero, mi perdoni, sono desolato.

Berenger Eppure, via!, queste cose non sono finite li dentro da sole. Lei le ha trovate, le ha                        ricevute.

Edouard   (tossendo, tergendosi la fronte, vacillando) ... Sono imbarazzatissimo... non riesco a                     spiegarmi... non capisco... Io...

Berenger Non arrossisca cosi. Lei mi fa pena, amico mio. Si rende conto di essere in parte                          responsabile dell'assassinio di Dany?... E di tanti altri!

Edouard  Mi perdoni... io non sapevo.

Berenger Vediamo cosa ci rimane da fare. (Profondo sospiro) È inutile rimpiangere il passato.                    I suoi rimorsi non ser­vono a niente.

Edouard  Ha ragione, ha ragione, ha ragione. (Poi, facendo uno sforzo di memoria) Ah, sì, mi                     ricordo, adesso. È strano, cioè, no, non è affatto strano. Il criminale mi aveva                              mandato il suo diario segreto, le sue note, le sue schede, molto tempo fa, pregandomi                       di pubblicarli in una ri­vista letteraria. Era prima dell'esecuzione dei delitti.

Berenger Però, annota quel che va facendo via via. Coi parti­colari. È come un giornale di                           bordo.

Edouard  No, no. A quel momento erano semplici previsioni... previsioni immaginarie. Avevo                    completamente perduto di vista l'intera faccenda. Credo che lui stesso non pen­sasse                   di perpetrare tutti questi crimini. La sua immagi­nazione l'ha trascinato. Solo in se-                     guito, probabilmente, ha pensato a mettere in pratica i suoi progetti. Io, per parte          mia,                 le avevo prese per fantasticherie senza con­seguenza...

Berenger (alzando le braccia al cielo) Lei è di un'ingenuità colos­sale!

Edouard   (continuando) ... Qualcosa come dei fanta-omicidi, poe­sia, letteratura...

Berenger   La letteratura porta a tutto. Non lo sapeva?

Edouard    Non si può impedire agli scrittori di scrivere, né ai poeti di sognare.

Berenger   Bisognerebbe.

Edouard     Rimpiango di non aver riflettuto sulla questione, di non aver messo tutti questi                            documenti in rapporto con gli avvenimenti...

            Sempre parlando, Edouard e Berenger cominciano a raccogliere e a rimettere, nella misura       del possibile, dentro alla borsa, gli oggetti sparpagliati sulla tavola, per terra, sugli altri            mobili.

Berenger (mettendo gli oggetti nella borsa)      Eppure il rapporto è proprio quello che corre tra                   l'intenzione e la realizza­zione, né più né meno, è chiaro come il sole...

Edouard   (traendo dalla tasca una grande busta)         C'è ancora questo!

Berenger Che cos'è? (Aprono la busta) Ah, è una carta, una pianta... Queste croci sulla pianta,                   cosa significano?

Edouard  Credo che... ma sì... sono i punti dove deve trovarsi l'assassino...

Berenger (esaminando la carta distesa su tutta la tavola) E que­sto? Nove meno un quarto,              tredici e ventisette, quin­dici e tre quarti, ore diciotto e tre...

Edouard  È il suo orario, verisimilmente. Stabilito in anticipo.

                        Località per località, ora per ora, minuto per minuto.

Berenger  ... Ore ventitré, nove minuti, due secondi...

Edouard  Secondo per secondo. Non perde tempo. (Lo dice con un misto di ammirazione e                        d'indifferenza).

Berenger Non perdiamo neanche noi il nostro. È semplice. Av­vertiamo la polizia. Non rimane                    che pescarlo. Ma, spic­ciamoci, gli uffici della Polizia centrale chiudono prima di                    notte. Dopo, non c'è più nessuno. Prima di domani, potrebbe forse cambiare i suoi               piani. Andiamo subito a trovare l'architetto, il commissario.

Edouard   Lei sta diventando un uomo d'azione. Io...

Berenger (continuando) Mostriamogli le prove!        

Edouard   (con una certa mollezza) Sì, sì...

Berenger (agitato) Avanti, andiamo. Non c'è un secondo da per­dere! Finiamo di riordinare                        tutta sta roba...

            Cacciano come possono gli oggetti nell'enorme borsa, nelle ta­sche, nella fodera dei         cappelli. Non dimentichiamo nessuno dei documenti... presto.

Edouard   (ancora più fiaccamente) Ma sì, ma sì.

Berenger  (finendo di riempire la borsa. Tuttavia, qualche bi­glietto da visita, qualche oggetto                       potrà restare sul pavi­mento, sulla tavola...) Presto, non stia lì a dormire, pre­sto,                         presto... Ci occorrono tutte le prove... Avanti, chiuda bene adesso, chiuda a chiave...

            Edouard, facendosi spingere, cerca invano di chiudere con una chiavetta la serratura della          borsa; si ferma un po' per tossire.

            Due giri!... Non è il momento di tossire!

            Edouard si sforza di non tossire, sempre continuando la sua azione.

            Santa pace, che pasticcione, non ha forza nelle dita. Un po' di vita, andiamo, un po' di vita!...     Si dia da fare. Ah, lasci a me! (Prende dalle mani di Edouard la chiavicina e la borsa).

Edouard  Mi scusi, ho delle mani veramente poco abili...

Berenger La borsa è sua e non sa nemmeno chiuderla... Mi lasci la chiave, andiamo!            (Abbastanza vivacemente strappa la chiave dalle mani di Edouard che gliel'aveva ripresa).

Edouard  La prenda, eccola qui.

Berenger (chiudendo la borsa) Come pensa di chiudere senza chiave? Ecco fatto. Tenga...

Edouard  Grazie.

Berenger La metta in tasca. La perderà!

            Edouard obbedisce.

            Così. Andiamo...

            Edouard riprende la borsa.

            (Si avvia alla porta, seguito, a malincuore, da Edouard; verso il quale si volta) Non lasci la        luce accesa, spenga, per favore.

Edouard si volta e va a spegnere. Per far questo, abbandona la borsa che dimenticherà presso la sedia. L'azione dev'essere ese­guita in modo molto visibile.

            Andiamo... Andiamo... Si muova... Si muova...

Escono entrambi molto rapidamente. Si sente la porta aprirsi, richiudersi, sbattendo. Si sentono i loro passi nell'ingresso. Li si vede nella strada, mentre i rumori della città tornano a farsi sentire. Nella loro precipitazione, urtano la portinaia che si vede davanti alla finestra. Berenger trascina Edouard per la mano.

Portinaia  (urtata, mentre Berenger e Edouard scompaiono) Ma chi ha mai visto!... (Continua a                 borbottare in modo in­comprensibile).

S i p a r io.

Atto terzo

Una sorta di grande viale, ai margini della città. Sul fondo della scena, la prospettiva è ostruita. In quel punto, la via dev'essere sopraelevata, dalla parte che non si vede. Questa sopraeleva- zione, larga qualche metro, è chiusa da una ringhiera. Dal lato del palco che si può vedere dalla sala, una scalinata, pure fian­cheggiata da ringhiere, porta al marciapiedi superiore. Questi pochi gradini di pietra devono somigliare a quelli di certe vec­chie vie di Parigi, come la rue Jean-de-Beauvais. Più tardi, sullo sfondo, il sole che tramonta, rosso, enorme, ma senza splendore. La luce non viene da lui. In sostanza, sullo sfondo, è come se ci fosse una specie di muro che si alza a un metro e mezzo o due metri, a seconda dell'altezza del palcoscenico. Nella seconda parte di quest'atto il muro dovrà disfarsi lasciando una prospet­tiva, la prospettiva di una lunga via con, in lontananza, gli edi­fici della polizia centrale. Il palco può essere inclinato. In tal caso la scala forse non serve più.

A destra, in primo piano, una panchina. Prima che si alzi il sipario, si sentono grida: « Viva le oche di comare Pipa! Viva le oche di comare Pipa! » Il sipario di alza.

Nella zona sopraelevata, al fondo del palco, visibile dalla cin­tola in su, comare Pipa, dietro la ringhiera, un bonario donnone che somiglia alla portinaia del secondo atto. Si rivolge a una folla che non si vede: si scorgono solo due o tre bandiere con un'oca al centro. L'oca bianca si staglia sul fondo verde delle bandiere.

Comare Pipa        (tenendo anch'essa una bandiera verde con un'oca al centro) Popolo! Io,                                      comare Pipa, allevatrice di oche pubbliche, ho una lunga esperienza della vita                              politica. Affidatemi il carro dello Stato che io guiderò e che sarà tirato dalle                                  mie oche. Votatemi. Fidatevi di me. Le mie oche e io domandiamo il potere.

            Grida della folla. Le bandiere ondeggiano. « Viva comare Pipa!

            Viva le oche di comare Pipa! » Entra da destra Berenger seguito» da Edouard. Edouard è          senza fiato. Berenger se lo trascina dietro per la manica. Attraversano cosi, da destra a           sinistra, da sinistra a destra, il palco. Durante le battute di Edouard e di Berenger, non si            sentirà più parlare comare Pipa. La si vedrà soltanto far gesti e spalancare la bocca, mentre    le acclamazioni della folla nascosta non formeranno che un sottofondo sonoro, attenuato. II    discorso di comare Pipa e i rumori delle voci si sentono di nuovo, naturalmente, fra le     battute di Edouard  e di Berenger.

Berenger              Forza, si sbrighi, si sbrighi! Ancora un piccolo sforzo. È laggiù, in fondo.                         (Mostra col dito) Laggiù, il palazzo della Polizia centrale; bisogna arrivare a          tempo, prima della chiusura degli uffici; fra mezz'ora, sarà troppo tardi. L'architetto, voglio      dire il commissario, non ci sarà più. Le ho detto perché non si può aspettare fino a domani.   Prima di allora, il sicario potrebbe prende il largo... o fare altre vittime! Deve sospettare          che      sono alle sue calcagna.

Edouard  (trafelato ma gentile') Abbia pazienza un secondo, mi ha fatto correre troppo.

Comare Pipa        Concittadini, concittadine...

Edouard              Non ne posso più. (Si siede sulla panca).

Berenger             Bene. Tanto peggio. Ma un secondo, non di più. (Resta in piedi, accanto alla                               panca) Ma cos'è questo assembramento?

Edouard              Un comizio elettorale.

Comare Pipa        Votate per noi! Votate per noi!

Berenger             Sembra la mia portinaia.

Edouard               Lei soffre di allucinazioni. È un uomo politico, comare Pipa, allevatrice                                       d'oche. Una forte personalità.

Berenger            II suo nome mi dice qualcosa. Ma non ho tempo di ascoltarla.

Edouard    (a Berenger)  Si sieda un momento,  non è stanco?

Comare Pipa                    Popolo, tu sei mistificato. Tu sarai demistificato.

Berenger   (a Edouard)   Non ho tempo dì essere stanco.

Voce della folla       Abbasso la mistificazione. Viva le oche di comare Pipa!

Edouard   (a Berenger)   Chiedo scusa. Un secondo. Ho detto: un secondo.

COMARE PIPA        Ho allevato per voi tutta una schiera di demistificatori.

                                   Vi demistificheranno. Ma per demistificare bisogna mi­stificare.

                                   Ci occorre una mistificazione nuova.

Berenger             Non abbiamo tempo, non abbiamo tempo!

Voce ella folla          Viva la mistificazione dei demistificatori.

Berenger             Non abbiamo un istante da perdere! (Siede lo stesso, guardando l'orologio)                                  L'ora incalza.

VOCE della folla       Viva la nuova mistificazione!

Berenger      (a Edouard)            Andiamo.

Edouard    (a Berenger)              Non sia così inquieto. È la stessa ora di prima, vede bene.

Comare Pipa        Vi prometto di cambiare tutto. Per cambiare tutto bi­sogna non cambiar niente.                             Si cambiano i nomi, non si cambiano le cose. Le vecchie mistificazioni non                                  hanno             resistito all'analisi psicologica, all'analisi sociologica. La nuova sarà                                   invulnerabile. Non ci saranno altro che ma­lintesi. Perfezioneremo la                                             menzogna.

BERENGER  (a Edouard)    Moviamoci.

Edouard               Se ci tiene.

BERENGER  (accorgendosi che Edouard, il quale sta alzandosi a fa­tica, non ha più la borsa)                          Dov'è la borsa?

Edouard               La borsa? Quale borsa? Ah, si, la mia borsa. Dev'es­sere sulla panca. (Guarda                               sulla panca) No. Non è sulla panca.

BERENGER              E’ incredibile! Ma se la tiene sempre con sé!

Edouard               Forse è sotto la panca.

Comare Pipa        Noi disalieneremo l'umanità.

Berenger (a Edouard)    Ma la cerchi, la cerchi, presto.

            Si mettono a cercare la borsa sotto la panca, poi in giro per terra.

Comare Pipa   (alla folla)            Per disalienare l'umanità, bisogna alienare ciascun uomo in                                particolare... e avrete la minestra po­polare!

Voce della folla        Avremo la minestra popolare e le oche di comare Pipa!

Berenger   (a Edouard)   Cerchiamo, sbrighiamoci. Dove Pavrà la­sciata?

Comare Pipa   (alla folla, mentre Berenger e Edouard cercano la borsa, Berenger  febbrilmente,                 Edouard con noncuranza)   Noi non perseguiteremo più, ma puniremo e faremo giu­                    stizia. Non colonizzeremo i popoli, li occuperemo per liberarli. Non sfrutteremo gli                 uomini, li faremo pro­durre. Il lavoro obbligatorio si chiamerà lavoro volon­tario. La                      guerra si chiamerà pace e tutto sarà cambiato, grazie a me e alle mie oche.

Berenger   (continuando a cercare) È inconcepibile, è inconcepi­bile, dove può essere andata

                         a finire? Speriamo solo che non gliel'abbiano rubata. Sarebbe una catastrofe, una                        catastrofe!

Voce della folla       Viva le oche di comare Pipa! Viva la minestra popo­lare!

Comare Pipa                    La tirannide restaurata si chiamerà disciplina e libertà.

                                               L'infelicità di tutti gli uomini è la felicità del genere umano!

Berenger   (a Edouard)   Lei non si rende conto, è un disastro, non possiamo far niente senza le                                          nostre prove, senza i docu­menti. Non ci crederanno.

Edouard   (a Berenger, con noncuranza) Non si dia pensiero, la ritroveremo. Cerchiamo                              tranquillamente. L'essenziale è mantenere la calma.

            Si rimettono a cercare.

Comare Pipa   (alla folla)   I nostri procedimenti saranno più che scien­tifici. Saranno para-                                 scientifici! La nostra ragione sarà fondata sul furore. E voi avrete la minestra                         popolare...

Voce della folla       Viva comare Pipa! Viva le oche! Viva le oche!

Voce nella folla       E noi saremo disalienati, grazie a comare Pipa.

Comare Pipa                    L'oggettività è soggettiva nell'èra della para-scienza.

Berenger (torcendosi le mani, a Edouard)        È un colpo del mal­fattore.

Edouard   (a Berenger)   Interessante, però, quel che dice comare Pipa!

Voce della folla       Viva comare Pipa!

Berenger (a Edouard)    Le dico che è un colpo del malfattore.

Edouard   (a Berenger)     Lei crede?

            Appare da sinistra, con una borsa in mano, un uomo ubriaco fradicio, in marsina e cilindro.

L'uomo       Io sono... (singhiozzo) io sono per (singhiozzo) ...la riabilitazione dell'eroe.

Berenger (scorgendo l'uomo) Ecco la borsa! Ce l'ha lui. (Si muo­ve alla volta dell'uomo).

Edouard  Viva comare Pipa!

Berenger (all'uomo)  Dove ha trovato quella borsa? Mi renda la borsa.

L'uomo       Lei non è per la riabilitazione dell'eroe?

Comare Pipa        (alla folla)       Quanto agl'intellettuali...

Berenger     (cercando di strappare la borsa dalle mani dell'uomo) Ladro!... Lasci andare sta                            borsa!

Comare Pipa   (alla folla)  ... Noi li metteremo al passo dell'oca! Viva le oche!

L'uomo   (fra un singhiozzo e l'altro, tenendo forte la borsa) Non l'ho rubata. È la mia borsa.

Voce della folla       Viva le oche!

Berenger    (all'uomo)     Dove l'ha presa? Dove l'ha comprata?

L'uomo   ( scrollato da Berenger, ha il singhiozzo. A Edouard) La  riconosce, lei, la sua borsa?

Edouard   Si direbbe... mi sembra.

Berenger  (all'uomo)   Allora, me la renda.

L'uomo        Io sono per l'eroe.

Berenger  (a Edouard)   Mi aiuti.  (Si accanisce sull'uomo).

Edouard     Si, sì.   (Si avvicina all'uomo ma lascia che Berenger \l accanisca da solo su di lui.                     Guarda dalla parte di cornai e Pipa).

Comare Pipa        Demistificando le mistificazioni da troppo tempo demistificate, gli                                               intellettuali non ci romperanno più le scatole.

Voce della folla       Viva comare Pipa!

L'uomo                              Le dico che è mia.

Comare Pipa                    Saranno sciocchi, quindi intelligenti. Saranno vigliacchi, cioè                                                         coraggiosi; lucidi, cioè ciechi.

Edouard                          Viva Comare Pipa!             insieme

Voce della folla       Viva Comare Pipa!            

Berenger    (a Edouard)   Non è il momento di fare il babbeo. Lasci perdere comare Pipa.

Edouard   (all'uomo, tepidamente)    Gli restituisca la borsa oppure dica dove l'ha comperata.

L'uomo      (singhiozzo)     Abbiamo bisogno di eroi!

Berenger   (all'uomo, essendo finalmente riuscito a strappargli In borsa)  Cosa c'è dentro?

L'uomo       Non so, dei documenti.

Berenger (aprendo la borsa)      Finalmente! Razza d'ubriacone!

Edouard  (all'uomo)         Che cosa intende per eroe?

Comare Pipa    Noi cammineremo all'indietro e saremo all'avanguardia della storia!

            L'uomo (mentre Berenger fruga nella borsa e Edouard vi getta, sopra la spalla di Berenger,       uno sguardo distratto) Eroe? È colui che osa pensare contro la storia e che insorge contro il      suo tempo. (Forte) Abbasso comare Pipa.

Berenger  (all'uomo)   Lei è completamente ubriaco!

L'uomo       L'eroe combatte il suo tempo, crea un altro tempo.

Berenger  (traendo delle bottiglie di vino dalla borsa dell'uomo)  Bottiglie di vino!

L'uomo                   Mezzo vuote! Non è un delitto!

COMARE Pipa        ...perché la storia ha ragione!

L'uomo   (sospinto da Berenger esclama barcollando e cadendo a terra sul sedere) ... Sì... quando                 la ragione sragiona...

Berenger             E lei è ragionevole, lei, a ubriacarsi come fa? (A Edouard) Ma allora dov'è la                                sua borsa?

L'uomo                    Le avevo ben detto che era la mia! Abbasso comare Pipa!

Edouard   (sempre indifferente e immobile) Come faccio a sa­perlo? Sto cercando, vede bene.

VOCE DELLA FOLLA       Viva comare Pipa! Viva le oche di comare Pipa! Lei cambia tutto, non                                          cambia, cambia tutto, non cambia!

                                               (Scandito).

Berenger              (a Edouard)    Lei è imperdonabile!

L'uomo   (si rialza barcollando)   Abbasso comare Pipa!

Edouard   (a Berenger, piagnucolando)   Oh, lei mi offende! Io sono malato.

Berenger (a Edouard)    Mi scusi, abbia pazienza! Cerchi di capire il mio stato d'animo.

            In questo momento un vecchietto, barbettina bianca, aria ti­mida, vestito poveramente, entra       da destra tenendo, da una mano, un parapioggia e dall'altra un'enorme borsa nera, iden­tica a          quella che aveva Edouard nel secondo atto.

L'uomo  (mostrando il vecchio)  Eccola la sua borsa! Forse è quella.

           

            Berenger si precipita sul vecchio.

Comare Pipa        Se l'ideologia non collima con la realtà, noi proveremo che essa      collima e         tutto sarà sistemato. I buoni intel­lettuali ci appoggeranno. Contro i vecchi miti vi     fabbricheranno degli anti-miti. Noi sostituiremo i miti...

Berenger             Pardon, signore.

Comare Pipa        ... con degli slogan!... e con nuovi luoghi comuni!

Il vecchio     (salutando col cappello)    Pardon, signore, dove si trova il Danubio, per piacere?

L'uomo   (al vecchio)    Lei è per l'eroe?

Berenger  (al vecchio) La sua borsa somiglia a quella del mio amico (lo indica col dito) il signor                   Edouard.

Edouard   (al vecchio) Molto onorato di fare la sua conoscenza

Voce della folla       Viva comare Pipa!

Vecchio     (a Edouard) La via del Danubio, per favore.

Berenger              Non si tratta di via del Danubio.

Vecchio                 Non via del Danubio. Proprio il Danubio.

L'uomo                    Ma siamo a Parigi.

Vecchio     (all'uomo)   Lo so. Sono parigino anch'io.

Berenger              Si tratta della borsa!

L'uomo   (al vecchio) Vuol vedere che cosa c'è nella sua borsa.

Vecchio   Questi non sono affari suoi. Non lo so neppure io. Io sono discreto con me stesso.

Berenger Volente o nolente lei ci farà vedere...

            Berenger, l'uomo e anche Edouard tentano di strappare la borsa dalle mani del vecchio che       vi si oppone, protestando.

Vecchio  (dibattendosi)   Non permetterò!

Comare Pipa        Non ci saranno più profittatori. Saremo io e le mie oche...

            Tutti si buttano e scrollano il vecchio, cercando di prendergli la borsa: l'uomo riuscirà a             impadronirsene per primo; il vec­chio la strapperà dalle mani dell'uomo; Edouard se ne impadro­nirà a sua volta, il vecchio gliela riprenderà. Si può complicare l'azione usando         ancora la borsa dell'uomo che sarà scambiata per quella del vecchio. Delusione alla vista         delle bottiglie, ecc.

Berenger  (a Edouard)   Balordo!   (S'impadronisce della borsa).

            Il vecchio la prenderà di nuovo, l'uomo la riprende dalle mani del vecchio.

L'uomo  (la tende a Edouard)        Eccola.

            Il vecchio la riprende, vuole scappare, lo riacchiappano, ecc. Durante tutta l'azione comare        Pipa continua il suo discorso.

Comare Pipa    ... Io e' le mie oche distribuiremo i beni pubblici. Li divideremo con equità. Ne                                tratterrò la parte del leone per me e le mie oche...

Voce della folla       Viva le oche!

Comare Pipa        ... per fortificare le oche affinché possano tirare con più forza il carro dello                                   Stato.

Voce della folla       La parte del leone per le oche! La parte del leone per le oche!

L'uomo        (gridando verso comare Pipa) E la libertà di critica?

Comare Pipa                    E marciamo tutti al passo dell'oca.

Voce della folla       Al passo dell'oca, al passo dell'oca.

            Si sente una sorta di marcia cadenzata e la folla che grida: « Al passo dell'oca, al passo dell'oca ». Frattanto, il vecchio è riu­scito a fuggire con la sua borsa. Esce di scena a      sinistra inse­guito da Berenger. Edouard che ha accennato a seguire Berenger e il vecchio,   ritorna sui suoi passi e va a sdraiarsi sulla panca tossicchiando. L'ubriaco gli si accosta.

L'uomo   (a Edouard) Non va, eh? Ne beva un sorso. (Vuole of­frirgli del vino della bottiglia                semivuota).

Edouard    (schermendosi)    No, grazie.

L'uomo       Sì, sì, le farà bene. È roba che tira su.

Edouard  Non voglio essere tirato su.

            L'uomo costringe a bere Edouard che continua a schermirsi; cade a terra del vino, anche

            la bottiglia può cadere e infrangersi. L'uomo continua a cercare di far bere Edouard ma             rivolgendosi a comare Pipa.

L'uomo  (molto ubriaco) La scienza e l'arte hanno fatto molto di più della politica per cambiare le      mentalità. La rivolu­zione vera si fa nei laboratori degli scienziati, nello stu­dio degli artisti.         Einstein, Oppenheimer, Breton, Kandinski, Picasso, Pavlov, ecco gli autentici rinnovatori. Essi allargano il campo delle nostre conoscenze, rin­novano la nostra visione del mondo, ci         trasformano. Presto, i mezzi di produzione permetteranno a tutti di vivere. Il problema     economico si risolverà da sé. Le rivoluzioni pubbliche sono risentimenti che esplodono in             modo maldestro. (Prende un'altra bottiglia di vino dalla borsa e ne tracanna un gran sorso)       La penicillina e la lotta contro l'alcolismo sono molto più efficaci dei cambiamenti di      governo.

Comare Pipa  (all'uomo)  Porco! Ubriacone! Nemico del popolo! Ne­mico della storia! (Alla                                folla) Io vi denuncio l'ubria­cone, nemico della storia.

Voce della folla       Abbasso il nemico della storia! Uccidiamo il nemico della storia!

Edouard    (rialzandosi penosamente)   Moriremo tutti. È la sola alienazione seria!

Berenger   (entra, tenendo in mano la borsa del vecchio)    Nella borsa non c'è niente!

Vecchio   (seguendo Berenger)   Me la renda, me la renda!

L'uomo        Io sono un eroe! Io sono un eroe! (Si precipita barcol­lando verso il fondo e sale le                       scale, in direzione di co­mare Pipa) Io non penso come tutti! Glielo dirò!

Berenger   (al vecchio)   Non è la borsa di Edouard, gliela resti­tuisco, mi scusi.

Edouard     Non lo faccia. Pensare contro il proprio tempo è eroi­smo. Ma dirlo, è follia.

Berenger   Non è la sua borsa. Ma allora la sua dov'è?

            Nel frattempo l'uomo è arrivato in cima ai gradini, vicino a comare Pipa.

Comare Pipa   (fa apparire una enorme borsa che non si era vista fino ad ora, la leva in alto)          Discutiamo liberamente! (Dà un colpo con la borsa sulla testa dell'uomo) A me, le mie           oche! Una pastura per voi, mie oche!

            Comare Pipa e l'uomo, lottando, cadono dall'altro lato del rialzo. Si vedrà, durante la scena       che segue, ora la testa di comare Pipa, ora la testa dell'uomo, ora entrambe al tempo stesso,            in mezzo a un baccano spaventevole.

Le voci   (gridano)               Viva comare Pipa! Abbasso l'ubriaco!

            Poi alla fine delle battute che seguono, un'ultima volta, solo la testa di comare Pipa         riapparirà, laida.

Comare Pipa        (prima di sparire, in stile marionetta) Le mie oche l'hanno liquidato.

Edouard               II saggio tace. (Al vecchio) Non è vero, signore?

Berenger   (torcendosi le mani)   Ma dov'è! Ne abbiamo assoluta­mente bisogno.

Vecchio    Dove si trovano i lungofiume del Danubio? Adesso me lo può dire. (Si rassetta gli                      abiti, chiude la borsa vuota, riprende il parapioggia).

            Comare Pipa, colpendo l'uomo con la propria borsa, l'ha invo­lontariamente aperta. Ne sono usciti dei cartoni rettangolari, che sono caduti a terra.

Berenger              Ma eccola là, Edouard, la sua borsa! È la borsa di co­mare Pipa. (Vede i                                         cartoni che sono caduti) Ed ecco i documenti!

Edouard               Crede?

Vecchio     (a Edouard) Ma insomma, ha proprio la mania di cor­rer dietro a tutte le borse. Che                     cosa cerca?

            Berenger si china, raccoglie i cartoni e ritorna alla ribalta, ac­canto a Edouard e al vecchio,       con aria desolata.

Edouard  È la mia borsa che vuol trovare!

Berenger  (mostrando i cartoni)    Non sono i documenti. Sono sol­tanto dei giochi dell'oca!

Edouard   (a Berenger)   È un gioco divertente. (Al vecchio)  Non trova?

Vecchio     Non l'ho più giocato da molto tempo.

Berenger   (a Edouard) Ma di che va cianciando lei? Pensi alla borsa... Alla borsa coi                      documenti. (Al vecchio) Le pro­ve, per arrestare il malfattore!

Vecchio    Ah, è così, bisognava dirlo subito!

            A questo punto la testa di comare Pipa dice la battuta sopra menzionata, apparendo per             l'ultima volta. Subito dopo, si sente il motore di un autocarro, che copre la voce della folla e       anche quelle dei tre personaggi che si trovano in scena e discutono, senza che si sentano,          con molti gesti. Un vigile urbano, che de­v'essere di statura smisurata, appare, con un      bastone bianco, picchiando sulle teste della gente che si trova dall'altra parte del muro e             che non si vede.

Il vigile urbano  (visibile dalla testa alla cintura, picchiando con una mano e con l'altra                         tenendo il fischietto in cui soffia) Circolare, signori, circolare-

La folla  (grida)     La polizia, la polizia!

            Il vigile continua a far circolare; i rumori della folla si atte­nuano via via, poi non si odono           più. Un enorme autocarro mili­tare proveniente da sinistra invade la metà della parte alta del         palco.

Edouard   (con indifferenza)   To', un autocarro militare!

Berenger   (a Edouard)   Non se ne impicci.

            Un altro autocarro militare, giungendo dal lato opposto, riempie quasi l'altra metà del muro        di fondo, lasciando soltanto un breve spazio; il vigile, che resta fra i due autocarri, in alto,   dietro il muro dove si trovava comare Pipa, domina gli autocarri.

Vecchio  (a Berenger)   Bisognava dirlo, che stava cercando la borsa del suo amico, con le prove.                              Io  so dov'è.

Vigile   (dall'alto, fra i due autocarri, fischiando)    Circolare, cir­colare.

Vecchio  (a Berenger)   Il suo amico probabilmente l'ha dimen­ticata a casa sua, quando sono                                    usciti, nella precipita­zione!

Berenger   (al vecchio)   Come lo sa!

Edouard  È vero, avrei dovuto pensarci! Lei ci ha veduti?

Vecchio     Niente affatto. Ma io deduco, è semplicissimo.

Berenger (a Edouard)    Stordito!

Edouard    Mi scusi... Andavamo così di fretta!

            Dall'autocarro militare scende un giovane soldato, con in mano un mazzo di garofani rossi.        Se ne serve come d'un ventaglio. Va a sedersi, col mazzo in mano, in cima all'autocarro, le    gambe penzoloni.

Berenger   (a Edouard)   Vada a prenderla, su, vada a prenderla su­bito. Lei mi fa impazzire. Io       vado ad avvertire il com­missario, che ci aspetti. Si sbrighi e cerchi di raggiun­germi al più   presto. La Polizia centrale è là in fondo. In un'impresa come questa, non mi piace essere solo            per istrada. È sgradevole. Mi capisce.

Edouard     La capisco, è naturale, la capisco. (Al vecchio) Grazie, signore.

Vecchio  (a Berenger) Potrebbe dirmi, adesso, dove si trovo il Lungo-Danubio?

Berenger  (a Edouard, che non si è mosso) Si spicci, non resti lì  impalato. Torni presto.

Edouard   Intesi.

Berenger  (al vecchio)  Non lo so, signore, mi spiace.

Edouard  (si dirige, a passi lentissimi, verso la destra, donde uscirà dicendo, con noncuranza)          Intesi, mi sbrigo. Mi sbrigo. Un momento. Un momento.

Berenger  (al vecchio) Bisogna domandare, bisogna domandare a un vigile!

            Uscendo, Edouard quasi si scontra con un secondo vigile, che appare fischiando, e anche           lui facendo segnalazioni col suo bastone bianco; dev'essere di statura enorme. Magari è         montato sui trampoli.

Edouard     (evitando il vigile che non lo guarda) Oh! Scusi, signor vigile! (Scompare).

Berenger  (al vecchio)  Eccone uno. S'informi da lui.

Vecchio     È molto occupato. Devo osare?

Berenger  Ma si. Sono gentilissimi. (Si dirige verso il fondo dopo aver gridato, un'ultima volta,       all'indirizzo di Edouard)        Si sbrighi!

            Frattanto il vecchio, timidissimo, molto esitando, si dirige verso il secondo vigile.

Vecchio  (timidamente, al secondo vigile) Signor vigile! Signor vigile!

Berenger   (si è diretto verso il fondo, e mette il piede sul primo gradino)  Avanti, presto!

Il 1° vigile  (fra due colpi di fischietto, puntando in basso verso Berenger, il bastone bianco,             perché si allontani)  circolare, circolare.

Berenger È terribile. Che ingorgo di traffico. Mai, mai arriverò.

            (Rivolgendosi ora all'uno, ora all'altro vigile) Per for­tuna, signori agenti, che ci sono loro a         regolare la circo­lazione. Loro non sanno che tragedia sia per me questo ingorgo!

Vecchio  (al secondo vigile)  Mi scusi, signor vigile.

            Per rivolgersi al vigile, il vecchio si è rispettosamente tolto il cappello e ha salutato fino a            terra; il vigile non risponde, si dimena, fa segnalazioni, a cui risponde, egli pure col bastone      bianco, il vigile che si trova come appollaiato dall'altra parte del muro e di cui si continua a   veder soltanto la parte superiore della persona e che fischia energicamente. Berenger si    agita, va verso un vigile, poi verso l'altro.

BERENGER (al primo vigile) Ma faccia in fretta, ho bisogno di pas­sare. Si tratta di una missione             importantissima, sa­lutare.

1° VIGILE  (continuando a fischiare fa segno col bastone a Berenger di circolare) Circolare!

Vecchio  (al secondo vigile) Signor vigile... (A Berenger)  Non risponde. È occupatissimo.

BERENGER  Ah, questi autocarri che non partono più. {Guarda l'orologio) Per fortuna, è sempre        la stessa ora. (Al vec­chio) Domandi, su, domandi, non la mangerà mica.

Vecchio  (al secondo vigile che continua a fischiare)   Signor vi­gile, per favore.

Il 2° vigile  (al primo)     Fa  andare indietro i camion!

            Motori dei camion che però non si spostano. Falli venire avanti. Stessi rumori.

Il soldato (a Berenger) Se conoscessi la città, gli potrei dare io l'in­formazione. Ma non

                        sono di qui.

BErenger (al vecchio) Il signor vigile deve darle soddisfazione. È un onore per lui.

            Parli più forte.

            Il soldato continua a farsi aria, frattanto, col suo mazzo di fiori rossi.

Vecchio  (al secondo vigile) Scusi, signor vigile, mi ascolti, si­gnor vigile.

2° vigile     Che?

Vecchio    Vorrei domandarle, signor vigile, una modesta informazione!

2° vigile  (arrogante)  Momento! (Al soldato) Tu, perché sei sceso dal tuo camion? Eh?

Soldato    Io... io... ma tanto si è fermato!...

Berenger (a parte)  Strano, il vigile ha la stessa voce del commissario. Se fosse lui?

            (Va a guardare più vicino)  No. Non era cosi alto.

2° vigile  (di nuovo al vecchio signore, mentre l'altro vigile continua a dirigere il traffico) Cosa          c'è ancora?

Berenger  (a parte)   No, non è lui. La sua voce non era così dura.

Vecchio  (al secondo vigile)  Il Lungo-Danubio, di grazia, scusi, signor vigile.

2° vigile  (la sua risposta è rivolta al tempo stesso al vecchio signore, al primo vigile e agli     autisti invisibili dei due autocarri: il che scatena, da parte di tutti, un mori mento generale      disordinato che deve essere comico , anche i due camion si muovono) A sinistra! A destra!        Diritto! Indietro! Avanti!

            Il secondo vigile, in alto, che continua a non esser visibili che dalla cintura in su, gira la testa e muove il bastone bianco, « sinistra», «a destra», «diritto», «indietro», «avanti»;      gesti simmetrici di Berenger, dal suo posto; il soldato fa lo stesso suo mazzo di fiori. Il     vecchio signore fa per andare n «ini mi i, poi a destra, poi avanti, indietro, avanti.

Berenger  (a parte)  Quelli della polizia hanno tutti la stessa voce.

Vecchio (ritornando dal secondo vigile) Mi scusi, signor vigile, mi scusi, sono un po' duro     d'orecchio. Non ho capito bene la direzione che mi ha indicato... dove si trova II Lungo-        Danubio, per favore?...

2° vigile  (al vecchio signore) Lei mi prende in giro! Dico, ma scherziamo...

Berenger  (c. s.)  Il commissario era più cortese...

2° vigile  (al vecchio signore) Dai, dai... sciò!... o è sordo, o è scemo... E non rompa le scatole!

            Colpi di fischietto del secondo vigile che si dimena dopo aver scrollato e fatto vacillare il             vecchio signore, che ha lasciato ca­dere il bastone.

Soldato  (sempre sullo scalino o sul tetto dell'autocarro)  Il ba­stone, signore!

Vecchio (raccogliendo il bastone, al secondo vigile) Non si of­fenda, signor vigile, non si       offenda!  (È molto spaurito).

2° vigile (continuando a dirigere l'ingorgo) A sinistra...

Berenger (al vecchio signore, mentre gli autocarri muovono un poco sul fondo, minacciando,          per un secondo, di travol­gere il primo vigile) L'atteggiamento di questo vigile è veramente         indisponente!

1° vigile     Attenzione, cretini!

Berenger  (al vecchio signore)   Eppure è suo dovere esser cortese con il pubblico!...

1° vigile  (ai supposti autisti dei due camion)    A sinistra!

2" vigile  (c. s.)  A destra!

Berenger  (al vecchio signore) ... Questo deve certamente esserci nel regolamento!... (Al      soldato)  Non crede?

1" vigile (c. s.)  A destra!

Soldato  (molto infantile)  Non so... (facendosi aria coi fiori) io, ho i miei fiori.

BERENGER  (a parte) Quando vedrò il suo capo, l'architetto, gliene parlerò.

2" vigile  (c. s.)  Avanti dritto!

Vecchio     Non importa, signor vigile, mi scusi... (Esce a sinistra).

2° vigile  (c. s.)    A sinistra, sinistr'!

            Mentre il secondo vigile dice sempre più in fretta, in modo sempre più automatico: «Diritto!        a sinistra! a destra! diritto! indietro! avanti! ecc. », il primo vigile ripete gli ordini nella            stessa maniera, girando la testa, a destra, a sinistra, ecc., come  un burattino.

Berenger Io ritengo, signor soldato, che siamo troppo educali, c anche troppo timidi, coi                           poliziotti; gli abbiamo dolo delle brutte abitudini, è colpa nostra!

Soldato  (tendendo il mazzo di fiori a Berenger che gli si è arco stato e ha salito un gradino o                      due) Senta che profumo!

Berenger             No, grazie. Non mi servono.

Soldato               Sono garofani, vero?

Berenger              Sì, ma non è questo il punto. Devo assolutamente ( continuare per la mia                                      strada. Questo ingorgo è unii otiti strofe.

2° vigile   (a Berenger; poi va verso il giovane soldato, da cui Berenger si è un po' allontanato)                     Circolare!

Berenger  (allontanandosi dal vigile che gli ha appena dato quest'ordine)  Questi autocarri le                      danno noia anche a lei signor vigile. Glielo leggo in viso. Ha proprio ragione.

2° vigile   (al primo)  Fischia un momento da solo.

1° vigile   (continua la sua azione)   Va bene!

Berenger  (al secondo vigile)... La circolazione è diventata! impossibile. Specialmente quando                    ci sono cose... cose che non possono aspettare.

2° vigile  (al soldato, indicando il mazzo di garofani che questi continua a tener sempre in mano,                  facendosi aria)   Non hai nient'altro da fare che baloccarti con questa roba?

Soldato  (educatamente)  Non faccio niente di male, signor vigile, non è questo che impedisce                    ai camion di fare l'avvia­mento.

2° vigile     Insolente, è proprio questo che frena il motore. (Dà uno schiaffo al soldato che non                     dice nulla, è cosi alto che non ha bisogno di salire gli scalini per toccare il soldato).

Berenger   (a parte, al centro scena, indignato)   Oh!

2° vigile     (strappando i fiori dalle mani del soldato e gettandoli lontano, fra le quinte)                                  Imbecille! Non hai vergogna! Torna sul camion coi tuoi camerati!

Soldato    Sta bene, signor agente.

2° vigile     (al soldato)      Muoversi, muoversi, animale!

Berenger  (allo stesso posto)   Ah, questo è troppo!

Soldato  (risalendo sul camion, aiutato da un pugno del secondo vigile e da una bastonata in                       testa del primo)  Signorsì, signorsì!  (Scompare nell'autocarro).

Berenger         (allo stesso posto)  Ah, questo è troppo!

2° vigile     (agli altri militari che si suppongono nel camion; ma forse si potrebbe vederli sotto                      forma di fantocci o di­pinti su panche egualmente dipinte, dentro al camion) Voi state                 intralciando il traffico! Ci rompete l'anima con quei camion!

Berenger  (a parte, nello stesso posto) Io penso che un paese è perduto, quando la polizia                            prende il sopravvento sul­l'esercito... e gli mette le mani addosso.

2° vigile     (voltandosi verso Berenger)  E lei di che s'impiccia? Sono fatti suoi per caso?

BerengerMa io non ho detto niente, signor agente, non ho detto niente...

2° vigile     È facile indovinare quel che passa nel cervello della gente della sua specie!

Berenger Come fa a sapere quello che...

2° vigile     Questo non la riguarda. Cerchi di rettificare i suoi lo­schi pensieri...

Berenger (farfugliando) Neanche per sogno, signor agente, lei s'inganna, scusi, neanche per                        sogno, io non... non avrei mai... Anzi, anzi!...

2° vigile     Prima di tutto, lei cosa fa qui? Faccia vedere i docu­menti!

Berenger (cercando nelle tasche) Ma si, come vuole, signor agen­te... È suo diritto!

2° vigile     (che si trova ora al centro scena, accanto a Berenger che al suo confronto appare,                      evidentemente, piccolis­simo) Forza, più svelto. Non ho tempo da perdere!

1° vigile     (sempre in cima, fra i due camion) Ehi, tu, me lo lasci fare da solo il disingorgo?             (Fischia).

2° vigile     (gridando al primo) Un secondo. Adesso mi sto occupando di questo signorino. (A                     Berenger) Sbrighiamoci. Insomma, questi documenti ci sono o non ci sono?

Berenger (che ha trovato le sue carte) Eccoli qui, signor agente!

2° vigile     (esaminando le carte, poi rendendole a Berenger) Seh... seh... Sono a posto!

            Il primo vigile fischia, agita il bastone bianco. Rombo dei motori dei camion che si scostano       di pochissimo l'uno dall'altro, poi ritornano nella posizione di prima.

1° vigile      (al secondo) Non prendertela. Lo pescheremo lo stesso, alla prima occasione!

Berenger  (al secondo vigile, riprendendo i documenti) Grazie mille, signor agente.

2° vigile     Di niente.

Berenger  (al secondo vigile che si preparava ad allontanarsi) Ora che sa chi sono, e che                             conosce il mio caso, mi permetto» di domandare il suo consiglio, e il suo aiuto.

2° vigile     Non lo conosco, il suo caso.

Berenger  Ma sì, signor agente, via! Lei ha ben capito che io cerco l'assassino. Che altro                             potrei fare in questi paraggi?

2° vigile     Impedirmi di dirigere il traffico, per esempio.

Berenger (senza sentire quest'ultima battuta) ... È ormai possi­bile mettere le mani su di lui, ho                     tutte le prove... Cioè, è Edouard che le ha, me le deve portare, sono nella sua borsa...               Io le ho, in linea di massima... Nell'attesa, devo recarmi alla Polizia centrale, è ancora              abbastanza lon­tano. Potrei essere accompagnato?

2° vigile    (al primo)   Lo senti? Ne ha di pretese, no?

1° vigile   (interrompendo la sua azione; al secondo)  È della ma­lavita? È un informatore?

2° vigile  (al primo) Macché! Ah, questi polli! (Fischia per il traffico).

Berenger    Mi ascolti, la prego, è una cosa veramente seria. Ha visto anche lei. Sono un                                uomo onorato.

2° vigile     (a Berenger) E a lei, di tutto questo, che gliene im­porta?

Berenger  (raddrizzandosi) Scusi, scusi, sono un cittadino, questo mi riguarda, questo ci                              riguarda tutti, siamo tutti re­sponsabili dei delitti che... Insomma, sono un vero                             cittadino.

2° vigile    (al primo)    Lo senti? Che chiacchiera!

Berenger  Glielo chiedo ancora una volta, signor agente. (Al pri­mo vigile) E anche a lei!

1° vigile     (che continua a sorvegliare il traffico) Ma la pianti!

Berenger (continuando, al secondo agente) ...A lei pure: potrei essere scortato fino alla                                polizia? Sono amico del com­missario; dell'architetto!

2° vigile     Altro reparto. Non è mica scemo, vede bene che sono del traffico!

Berenger  (con più coraggio)   Sono amico del commissario!...

2° vigile   (chinandosi verso Berenger, e gridandogli quasi nel l'orecchio ) So-no-del-traf-fi-co !

Berenger  (arretrando leggermente) Sì; sì, ma... però... l'interesse pubblico!... la salute          pubblica!...

2° vigile     La salute pubblica? Ce ne occupiamo. Quando c’è tempo. Il traffico innanzi tutto!

1° vigile     Ma chi è questo individuo?

BerengerUn semplice cittadino, le assicuro...

1° vigile    (fra due colpi di fischietto)   Ha una macchina fotofili fica?

Berenger  Non ne ho, non ne ho... Mi perquisiscano pure. (Ro vescia le tasche) ...Non sono

            un fotografo...

2° vigile  (a Berenger) Sei fortunato a non avercela, ti spaccavo la faccia!

Berenger   Non voglio tener conto della sua minaccia. La salute pubblica è più importante

            della mia persona. Ha ucciso  anche Dany.

2° vigile        Chi è, Dany?

Berenger    L'ha uccisa!...

1° vigile     (fra i colpi di fischietto, le segnalazioni, gli «a destra! a sinistra!») È la sua ganza...

Berenger     No, signore, era la mia fidanzata. Stava per esserlo.

2° vigile    (al primo)  Proprio così. Vuol vendicare la sua ganza.

Berenger     II delitto non deve restare impunito!

1° vigile        Guarda a che punto possono arrivare, di testardaggine! Che roba!

2° vigile    (più forte, ritornando da Berenger) Non ò il mio lavoro, capito? La sua storia non

                            m'interessa. Visto che è tanto in buona con il capo, vada a trovarlo, e non mi

                            rompa l'anima.

Berenger    (cercando di discutere)   Signor agente... Io... io...

2° vigile  (c. s., mentre il primo vigile ride sardonicamente) ... io sono un agente dell'ordine, quindi le ordino di non rompermi l'anima! Lei sa da che parte deve andare... (Gli indica il      fondo, ostruito dagli autocarri) ... Quindi, sloggiamo: la strada è libera!

Berenger     Sta bene, signor agente, sta bene, signor agente!

2° vigile   (al primo, ironicamente)   Lascia passare il signore!

            Come d'incanto gli autocarri si staccano; tutto lo sfondo si è disfatto, lo scenario deve infatti     essere mobile.

            Lascia passare il signore!

            Il primo vigile è scomparso con il muro e gli autocarri; si vede ora sul fondo del palco una          lunghissima via o viale, con, lon­tano lontano, nel sole che tramonta, il palazzo della polizia     cen­trale; un tram in miniatura attraversa la scena in distanza.

            Lascia passare il signore.

1° vigile   (riapparendo e scomparendo con lo scenario che si sta aprendo sopra il tetto di una                      casa, nella via che è ora emersa) Avanti, fili! (Gli fa segno di filare, e sparisce).

Berenger             È appunto quel che faccio!...

2° vigile   (a Berenger)     Antipatico!

            Il secondo vigile a sua volta è sparito all'improvviso; la scena s'è leggermente oscurata.    Berenger ora è solo.

Berenger  (al secondo vigile)   Sarei piuttosto io che dovrei dirlo a lei! Per il momento non ho         tempo di... Ma avrà mie notizie! (Grida ai vigili scomparsi) A-vre-te mi-e no­ti-zie!

L'eco   (risponde)   Mie no-ti-zie...

           

            Berenger è dunque assolutamente solo sulla scena. Sul fondo, non si vede più il tram in   miniatura. Il regista, lo scenografo, l'elettricista devono far sentire la solitudine di           Berenger, il vuoto che lo circonda, il deserto di questo viale fra città e campagna. Si può far            sparire una parte dello scenario mobile, al line di allargare il luogo scenico. Berenger         dovrà avere l'aria di camminare a lungo, durante la scena seguente. Se non si dispone di un    palco   girevole, Berenger può fare dei passi sur place. Poi si potrà, per esempio, far di   nuovo apparire dei muri, avvicinarli a corridoio, per dare l'impressione che Berenger sta        per esser chiuso in una trappola; la luce non cambierà: è il crepuscolo, con un sole fulvo      che si vedrà, anche quando la scena è larga, al fondo del corridoio che potrà esser formato      dai fondali raffiguranti una specie di via lunga e stretta; è un tempo, un crepuscolo      raggelato.

            Nella sua marcia, Berenger avrà l'aria sempre più inquieta; parte, sur place o no, dapprima       di buon passo; poi, sempre più spesso, si volterà, il passo si farà più lento, esitante;           guarderà, quindi, a destra, a sinistra, e di nuovo alle sue spalle; avrà l'aria, alla fine, di voler fuggire, sarà sul punto di far marcia indietro, si tratterrà a stento; poi, decidendosi    con sforzo, ripartirà in avanti; se le scene non sono mobili e non possono cambiare senza           sipario o senza buio, Berenger può, anche, andare da un capo all'altro della scena, poi   rifare il percorso in   senso inverso, ecc. Dopo di che avanzerà con precauzione,            guardandosi da tutte le parti; tuttavia, alla fine dell'atto, quando l' ultimo personaggio della         commedia farà la sua apparizione - o si farà prima sentire, o si farà sentire al tempo stesso         che apparirà -, Berenger dovrà esser preso alla sprovvista: questo personaggio dovrà     dunque apparire quando Berenger starà guardando da un altro lato. Peraltro l'apparizione             del personaggi dovrà esser preparata da Berenger medesimo: si dovrà sentire la vicinanza         della sua presenza dal crescere stesso dell' angoscia di Berenger.

Berenger  (mettendosi in cammino, per esempio «sur place-, senza spostarsi; e cosi andando           gira la testa dalla par!? degli agenti, nelle quinte di destra, e mostra loro il pugno) Non           posso fare tutto in una volta. Ora mi occupo dell'assassino. Di voi mi occuperò dopo.      (Cammina per due secondi in silenzio, con passo affrettato) Il vostro atteggiamento è           inammissibile! Non è bello denunziare, ma ne parlerò lo stesso al commissario capo, potete star sicuri! (Cammina in silenzio) Purchè non sia troppo tardi!

            Rumore del vento; una foglia morta volteggia.

            (Si rialza il colletto del soprabito) E questo vento, ora, per giunta. E la luce che cala.        Edouard mi potrà raggiungere a tempo? Com'è lento, quel ragazzo! (Va in silenzio; le           trasformazioni dello scenario avvengono mentre Berenger cammina) Bisognerà cambiare      tutto. Per prima cosa, bisognerà cominciare col riformare la polizia... Quella gente è solo buona a insegnarti la creanza, ma quando hai bisogno di loro per davvero... quando si tratta   di essere protetto... ah, loro se ne la­vano le mani... ti piantano in asso... (Si volta) Sono già l        ontani con quegli autocarri... Sbrighiamoci. (Ri­parte) Sì... quando uno ha bisogno di essere   difeso, loro preferiscono lasciar perdere... (Guarda davanti a sé) Devo arrivare avanti notte.           Sembra che la strada non sia molto sicura. È ancora lontano... Non si avvicina... non vado           avanti. È come se camminassi sempre sullo stesso posto. (Silenzio). Non finisce più, questo    

            viale, con questo binario di tranvai... (Silenzio). Ecco però la cinta daziaria, la       circonvallazione... (Cammina in silen­zio) Ho i brividi. È il vento freddo. Si direbbe che ho    paura, ma non è vero. Sono abituato alla solitudine... (Cammina in silenzio) Sono sempre      stato solo... Ep­pure io amo l'umanità, ma di lontano. Non è una colpa, visto che m'interesso    del suo destino. La prova è che agisco... (Sorride) Agisco... agisco... agisco... che suono             strano! E poi forse io corro dei pericoli, per l'uma­nità... e anche per Dany. Pericoli? La    pubblica am­ministrazione mi difenderà. Cara Dany, gli agenti di polizia hanno infangato la    tua memoria. Me la paghe­ranno. (Guarda dietro, davanti, si ferma) Sono a metà strada. Non            proprio. Press'a poco... (Riparte, con passo incerto; camminando, getta sguardi alle sue spalle) Edouard! È lei Edouard!?

L'eco   (risponde)   E-dou- ard... u... ar...

BERENGER  No... non è Edouard! Una volta che sarà arrestato, am­manettato, messo    nell'impossibilità di nuocere, ritor­nerà per sempre primavera, tutte le città saranno ra­diose...       Avrò una ricompensa. Non è questo che cerco. Mi basta aver fatto il mio dovere... Purché         non sia troppo tardi, purché non sia troppo tardi.

            Rumore del vento o grido d'una bestia.

            (Si ferma) Se ritornassi... a cercare Edouard? Andremo domani dalla polizia. Sì, andrò    domani, con Edouard… (Si volta, fa un passo sulla strada del ritorno) No. Edouard mi            raggiungerà di certo, da un minuto all’altro. (A se stesso) Pensa a Dany! Devo vendicare          Dany. Devo impedire il male! Sì, sì, ho fiducia. D'altra parte, sono ormai troppo avanti, fa    più scuro sulla strada di casa. Di qui è più chiaro. La strada della polizia è ancora la più   sicura. (Grida ancora) Edouard! Edouard!

L'eco      E-dou-ard... u... ar...

Berenger     Non si riesce più a vedere se arriva o no. Forse è vicinissimo. Andiamo.            (Riprende la marcia con molta precauzione) Non sembra, ma ne ho fatta di strada... SI, sì...     non si può negare... Non si direbbe, ma vado avanti... Vado avanti... Ci sono i campi arati   alla mia destra e là, la strada deserta... Non si rischiano ingorghi di traffico, almeno, si può      procedere! (Ride).

            L'eco ripete vagamente la risata...

            (Volge il capo, atterrito) Cosa? È l'eco... (Riprendi il cammino) Non c'è nessuno, andiamo...       E là, chi c’è? Là, dietro quell'albero! (Si precipita dietro un all'i spoglio che può forse    apparire sullo scenario in mori mento) Ma no, nessuno...

            Un vecchio foglio di giornale cade dall'albero.

            Aha... Adesso ho paura di un giornale. Che  stupido!   (Scoppia a ridere).

L'eco  (ripete) e... stu... pi... do... (e la risata, deformandoli*)

Berenger        Bisogna che vada avanti... Bisogna continuare! Sotto la protezione    dell'Amministrazione, vado avanti … vado avanti... devo... devo... (Fermata) No. No. Non     val la pena, in ogni modo arriverò troppo tardi. Non è colpa mia, è colpa di... è colpa di... del          traffico, l’ingorgo mi ha fatto far tardi... E soprattutto è colpa di Edouard … dimentica tutto, dimentica tutto, quello là l’assassino ucciderà, forse, questa notte... (Sussulta) devo             assolutamente impedirlo. Devo andarci. Vado. (Ancora due o tre passi in direzione della            supposta polizia) In fin dei conti, è poi lo stesso, visto che è troppo tardi. Qualche vittima di         più, non è molto, al punto in cui siamo!... Andremo domani, andremo domani Edouard e io,      è molto più semplice, stasera gli uffici saranno chiusi, forse sono già chiusi adesso... A che servirebbe... (Grida verso destra, verso le quinte) Edouard! Edouard!!

L'eco       E... ar... E... ar...

Berenger         Non arriverà più. Non è il caso d'insistere. È troppo tardi. (Guarda l'orologio) Il       mio orologio s'è fermato... Pazienza, niente è perduto aspettando... Andrò do­mani, con            Edouard!... Il commissario l'arresterà do­mani. {Fa dietro-front) Dov'è casa mia? Purché mi      rac­capezzi! È per di qua! (Si volta di nuovo, vivamente, e vede, d'improvviso, vicinissimo,            davanti a sé, l'assas­sino) Ah!...

            Naturalmente lo scenario non muove più. D'altra parte non c'è quasi più scenario. Rimane         un muro, una panca. Il vuoto della piana. Vago chiarore all'orizzonte. I proiettori           illuminano i due personaggi con una luce smorta, il resto è in penombra. L'assassino   ghigna. È piccolo, mal rasato, meschino, cappello stracciato in testa, vecchio impermeabile            logoro; ha un occhio solo e questo ha riflessi d'acciaio; volto immobile, come impie­trato;   vecchie scarpe bucate in punta lasciano apparire gli alluci; al momento dell'apparizione,            segnalata dal suo ghigno, si deve trovare in piedi su una panca, per esempio, o su un     muretto; ne scenderà, tranquillamente, e s'avvicinerà, sogghignando ap­pena, a Berenger; e   si noterà allora la piccolezza della sua cor­poratura.

            Un'altra possibilità: non c'è l'assassino. Lo si sente soltanto ghignare. Berenger parla da             solo nell'ombra.

            È lui, è l'assassino! (All'assassino) Allora, è lei!

            L'assassino sogghigna appena. Berenger si guarda attorno, in­quieto.

            Nient'altro intorno che la piana ormai buia... Non è necessario che me lo dica, me ne rendo         conto quanto lei. (Guarda verso la sede della polizia, in lontananza).

            L'assassino sogghigna appena.

            È troppo lontana, la polizia centrale? Ha detto questo? Lo so.

            Ghigno dell'assassino.

            O sono io che ho parlato?

            Ghigno dell'assassino.

            Lei si prende gioco di me! Io chiamo la polizia, l'arresteranno.

            Ghigno dell'assassino.

            Lei dice che è inutile, di qui non mi sentirebbero?

            L'assassino discende dalla panca o dal muretto e s'avvicina, con un'indifferenza terribile,            ghignando vagamente, a Berenger; tiene le due mani in tasca.

            (Fra sé) Quei farabutti di agenti l'hanno fatto apposta a lasciarmi solo con lui. Vogliono far        credere che si tratta solo di un regolamento di conti. (All'assassino quasi gridando) Perché?       Mi dica perché?

            L'assassino sogghigna, alza appena le spalle; è vicinissimo a Berenger; Berenger deve    apparire non solo più alto, ma anche molto più vigoroso dell'assassino quasi nano.

            (Scoppia in una risata nervosa) Oh, ma è ben mingherlino, troppo mingherlino per un      criminale, poveretto! Lei non mi fa paura. Mi guardi, guardi come sono più forte di lei. Con      un buffetto, con un buffetto, posso mandarla a gambe levate. Me lo metto in tasca.      

            Ha capito?

            Stesso ghigno dell'assassino.

            Lei-non-mi-f a-pa-u-ra !

            Ghigno dell'assassino.

            Potrei schiacciarla come un verme. Non lo farò Voglio comprendere. Lei risponderà alle mie      domande. È un essere umano, dopo tutto. Forse ha delle ragioni. Deve spiegarmi, se no non    so che... Lei mi dirà il perché ... Risponda!

            L'assassino sogghigna, alza appena le spalle. Berenger deve es­sere patetico ed ingenuo, e           abbastanza ridicolo; tutta la sua recitazione deve apparire insieme grottesca e sincera,           risibile e patetica. Parla con un'eloquenza che deve sottolineare i luoghi comuni tristemente       inutili e logori che egli mette in campo.

            Uno che fa quel che fa lei, forse lo fa perché... Ascolti... Lei ha impedito la mia felicità,    quella di tanti altri... Questo quartiere così luminoso, che stava veramente per diffondere la       sua luce sul mondo intero... una nuova gloria della Francia! Se le resta ancora un   sentimento qualsiasi per la sua patria... questa gloria avrebbe gettato un riflesso anche su di     lei, avrebbe toc­cato anche lei come tanti altri, avrebbe reso felice pure lei... Doveva             aspettare, non era che questione di pa­zienza... L'impazienza, ecco la cosa che rovina tutto...        Sì, sarebbe stato felice, la felicità sarebbe arrivata fino a lei, si sarebbe fatta più grande, lei    forse non lo sapeva     forse non ci credeva... Aveva torto... Ebbene, è proprio la sua felicità     che lei ha distrutto insieme alla mia e a quella di tutti gli altri...

            Leggero ghigno dell'assassino.

            Lei forse non crede alla felicità. Lei crede che la feli­cità sia impossibile in questo mondo?           Vuole distrug­gere il mondo perché pensa che il mondo sia condan­nato all'infelicità. Non è        vero? È così, no? Risponda!!

            Ghigno dell'assassino.

            Non le è venuto in mente, neanche per un momento, che forse poteva sbagliarsi. Lei è sicuro      d'aver ragione. È orgoglio stupido, da parte sua. Prima di formulare un giudizio definitivo         sulla questione, lasci almeno che gli altri si facciano la loro esperienza. Cercano di          realizzare, praticamente, tecnicamente, qui, su questa terra stessa, la felicità: forse           riusciranno, che ne sa lei? e se non riescono, lei avrà ancora tempo dopo.

            Ghigno dell'assassino.

            Lei è un pessimista?

            Ghigno dell'assassino.

            È un nichilista?

            Ghigno dell'assassino.

            Un anarchico?

            Ghigno dell'assassino.

            Forse non ama la felicità? Forse per lei la felicità è qual cosa di diverso? Mi dica qual è la           sua concezione della vita; qual è la sua filosofia? I principi che la spingono? I fini che si        propone? Risponda!!

            Ghigno dell'assassino.

            Mi ascolti: lei mi ha fatto personalmente il più grande dei mali, distruggendo tutto ciò che...       insomma, In sciamo stare... non parliamo di me. Ma lei ha ucciso Dany! Che cosa le ha            fatto, Dany? Era un essere adorabile, con qualche difetto, certo, era forse un po' ini scibile,     un po' capricciosa, ma il suo cuore era buono r la sua bellezza scusava tutto! Se si dovessero   uccidile tutte le ragazze capricciose perché sono capricciose, o i vicini perché fanno rumore e c'impediscono di dot mire, o il primo che capita perché ha un'opinione differente dalla             nostra, sarebbe stupido, non le pare? I h bene, è quanto lei sta facendo! Non è così? Non è         così?

            Ghigno dell'assassino.

            Non parliamo più di Dany, era la mia fidanzata, lei può obiettarmi che si tratta pur sempre di      una questione personale. Ma mi dica, allora... che cosa le ha fatto l'i il fidale del genio,   l'ufficiale di stato maggiore?

            Ghigno dell'assassino.

            D'accordo, d'accordo... lo so: ci sono persone che detestano le uniformi. Vedono in esse, a         ragione o a torio, il simbolo dell'autorità abusiva, della tirannide, della guerra che distrugge   le civiltà. Bene: non solleviamo questo problema, che forse ci porterebbe troppo lontano;    ma quella donna...

            Ghigno dell'assassino.

            sa bene chi voglio dire, la giovine donna coi capelli rossi che cosa le aveva fatto? Che     ragione aveva di prendersela con lei? Risponda!!

            Ghigno dell'assassino.

            Ammettiamo che lei detesti le donne: forse esse l'hanno tradita, esse non l'hanno amata perché... lei è... in­somma, lei non è molto bello... cosa ingiusta, effettiva­mente, ma non c'è   solo l'erotismo nella vita, superi questo livore...

            Ghigno dell'assassino.

            Ma il bambino, il bambino, che le ha fatto? I bambini non sono colpevoli di niente! Non è          vero? Lei sa di chi voglio parlare: del piccino che lei ha gettato nel la­ghetto con la donna e      l'ufficiale, poverino... i bambini sono la nostra speranza, non si deve torcere un capello a un            bambino, è l'opinione generale!

            Ghigno dell'assassino.

            Forse lei pensa che la specie umana è malvagia in sé e per sé. Risponda! Lei vuole punire la        specie umana anche nel bambino, in ciò che essa ha di meno impuro... Noi potremmo     dibattere pubblicamente, in contraddit­torio, questo problema, se vuole, glielo propongo!

            Ghigno e alzata di spalle dell'assassino.

            Forse uccide tutta questa gente per bontà! Per impe­dire loro di soffrire! Lei ritiene che la vita     non è che sofferenza! Forse vuol guarire la gente dall'ossessione della morte? Lei pensa, altri          l'han già pensato prima di lei, che l'uomo è l'animale malato, che tale sarà sempre,       nonostante tutti i progressi sociali, tecnici o scientifici, e lei vuole probabilmente praticare       una sorta di euta­nasia universale? Ebbene, è un errore, è un errore. Ri­sponda!

            Ghigno dell'assassino.

            Se, in ogni modo, la vita non conta, se è troppo breve, la sofferenza dell'umanità sarà breve        anch'essa: che soffrano trent'anni, quarant’anni o dieci anni di più o di meno, che cosa può         importarle? Lasci soffrire In gente se tale è la loro volontà. Li lasci soffrire per il tempo che     vogliono soffrire... In un modo o nell'altro, passerà: qualche anno non conta poi molto,    avranno tutta l'eternità per non soffrire più. Li lasci morire da sé, presto non se ne parlerà        nemmeno. Tutto si spe­gnerà, tutto finirà spontaneamente. Non precipiti gli avvenimenti: è             inutile.

            Ghigno dell'assassino.

            Ma lei si mette in una situazione assurda: se lei crede di essere un benefattore dell'umanità             distruggendoli, lei sbaglia, la cosa è idiota!... non teme il ridicolo? Ehi' Risponda a questo!

            Ghigno dell'assassino; gran risata nervosa di Berenger; poi, dopo avere osservato per    qualche istante l'assassino:

            Vedo che questo non la interessa. Non ho messo il dito sul problema vero, su ciò che la agita             profondamene. Mi risponda: detesta la specie umana?

            Ghigno dell'assassino.

            E perché? Risponda!

            Ghigno dell'assassino.

            In questo caso non perseguiti gli uomini col suo odio, è inutile, e fa soffrire anche lei, fa             male odiare; li disprezzi piuttosto, sì, io le concedo di disprezzarli, hi allontani da loro, vada       a vivere fra le montagne, si faccia pastore, ecco, vivrà in mezzo alle pecore, ai ami.

            Ghigno dell'assassino.

            Neanche le bestie ama? Non ama niente di tutto  ciò che è vivo? Neppure le piante?... Ma le       pietre, il sole, le stelle, il cielo azzurro?

            Ghigno e alzata di spalle dell'assassino.

            No. No, io sono uno stupido... non è possibile dete­stare tutto. Crede che la società sia     malvagia, che non si possa correggerla, che i rivoluzionari siano idioti?

            Alzata di spalle dell'assassino.

            Ma mi risponda dunque, mi risponda! Aah! Il dialogo non è possibile con lei! Senta, io   perderò le staffe, stia in guardia! No... no... devo conservare il sangue freddo. Devo capirla.      Non mi guardi così col suo occhio d'ac­ciaio. Le parlerò francamente. Un momento fa, avevo         l'intenzione di vendicarmi, vendicare me e gli altri. Vo­levo farla arrestare, farla        ghigliottinare. La vendetta è stupida. La punizione non risolve nulla. Ero furente contro di         lei. Ce l'avevo a morte con lei... dal momento che l'ho veduta... non subito, non in quello            stesso at­timo, no, ma in capo a qualche istante, io la... è ridi­colo dirlo, lei non mi crederà,           eppure io devo dirglielo... sì... lei è un essere umano, apparteniamo alla stessa specie,    dobbiamo capirci, è nostro dovere... in capo a qualche istante io l'ho amata, o quasi... perché   siamo fratelli... e se io detesto lei, devo detestare anche me stesso...

            Ghigno dell'assassino.

            Non rida: sono cose che esistono, la solidarietà, la fra­tellanza umana, io ci credo, non rida...

            Ghigno, alzata di spalle dell'assassino.

            ... Ah... ma lei è un... lei è soltanto un... mi ascolti bene. Noialtri siamo i più forti, io stesso          fisicamente sono più forte di lei, povero minorato, essere squallido! In più, ho la legge dalla   mia parte... la polizia!

            Ghigno dell'assassino.

            La giustizia, tutte le forze dell'ordine!

            L'assassino c. s.

            Non devo, non devo lasciarmi trascinare... mi scusi...

            L'assassino c. s.

            (Si asciuga la fronte) Lei si padroneggia meglio di quanto non riesca io... ma mi calmo, mi          calmo... non si spaventi... D'altra parte lei non sembra spaventato... Voglio dire, non ce            l'abbia con me... ma lei non ce l'ha con me, neanche... no, non è questo, non ci sono... Ah, si,   sì... forse lei non lo sa: (fortissimo) Cristo è morto sulla croce per lei, ha sofferto per lei,        l'ama!!! Lei ha certo bisogno d'essere amato, lei pensa di non essere amato!

            L'assassino c. s.

            Le do la mia parola d'onore che i Santi versano lacrime per lei, torrenti, oceani diluirne. Lei        ne è bagnato dalla testa ai piedi, è imposte che non si senta in triste di queste lacrime!

            L'assassino c. s.

            Non sogghigni più. Non mi crede, non mi crede!... Se un Cristo non le basta, io impegno            solennemente a far salire sui calvari, solo per lei, e a farli crocifiggere, per amor suo, eserciti       disalvatori!... Si devono trovare, li troverò! Vuole?

            L'assassino c. s.

            Vuole che il mondo intiero si perda per salvarla, perché lei abbia un istante di felicità, un            sorriso? Anche questo è possibile! Io stesso sono pronto ad abbracciarli, a far parte dei suoi         consolatori; medicherò le sue ferite, perché lei ne ha, non è vero? Lei ha sofferto, non è        vero? Continua a soffrire? Ho pietà di lei, lo sappia. Vuole che lavi i suoi piedi? Vuole delle        scarpe nuovo, dopo? Lei ha orrore del sentimentalismo ingenuo. Si, ho capito, non si può         prenderla per i sentimenti. Non vuole essere invischiato nella tenerezza! Ha paura di essere truffato! Lei ha un temperamento diametralmente opposto al mio. Gli uomini sono tutti fratelli, si capisce, sono dei simili che non si rassomigliano sempre. C'è però un punto            comune. Deve esserci un punto comune, un linguaggio comune… Quale? Quale?

            L'assassino c. s.

            Ah, lo so, ora, lo so... Vede, faccio bene a non dispe­rare di lei. Possiamo parlare il           linguaggio della ragione. È il linguaggio che le conviene. Lei è un uomo di scienza, non è   vero, un uomo dell'età moderna, è vero? Ho indovinato, un cerebrale? Lei nega l'amore, lei   du­bita della carità, son cose che non entrano nei suoi cal­coli, e crede che la carità sia un        inganno! Non è cosi? Non è così?

            L'assassino c. s.

            Non l'accuso. Non la disprezzo per questo. In fondo è un punto di vista che può reggere, ma,     detto fra noi, eh via!: qual è il suo interesse in tutto questo? Il suo interesse? A cosa può           servirle, a lei? Uccida la gente, se vuole, ma in ispirito... fisicamente la lasci vivere.

            Alzata di spalle, ghigno dell'assassino.

            Ah, sì, sarebbe una contraddizione comica, a parer suo. Idealismo, pensi un po'! Lei invece         vuole una filosofia pratica, lei è un uomo d'azione. Benissimo. Ma a che cosa può portarla   questa azione? Qual è il suo scopo finale? Si è posto il problema dei fini ultimi?

            Ghigno e alzata di spalle un po' più accentuati dell'assassino.

            È un'azione semplicemente sterile, estenuante, insom­ma. Non le procura che        preoccupazioni... Anche se la polizia chiude gli occhi, il che avviene nella maggior parte dei    casi, perché mai tanti sforzi, tanta fatica, piani d'azione complicati, notti d'agguato spossanti... il di­sprezzo degli uomini? A lei fa lo stesso, forse. La sua messe è la loro paura;       è vero, è qualche cosa. Bene, ma che se ne fa della paura degli altri? Non è un capi­tale. Non       la sfrutta nemmeno. Risponda!

            Ghigno dell'assassino.

            Aspetti, lei è povero, vuole del denaro? Posso procu­rarle lavoro, una buona posizione... No.       Non è povero? Ricco? Aah... beh, né ricco né povero!...

            Ghigno dell'assassino.

            ... Capisco, non ha voglia di lavorare: e allora non lavorerà. Mi prenderò cura di lei, o,     magari, siccome anch'io sono povero, mi ingegnerò, ci quoteremo, ho amici, ne parlerò       all'architetto. E lei vivrà tranquilla mente. Andremo al caffè, al bar, le presenterò delle            donnine allegre... Il delitto non rende. Non commetta più delitti, e sarà ripagato. Quel che le    dico è perfet­tamente sensato!

            Ghigno dell'assassino.

            Accetta? Risponda, su, risponda! Non capisce l'ita­liano?... Senta, sto per farle una           confessione straziante. Anch'io, sovente, dubito di tutto. Non lo ripeta a nes­suno. Dubito       dell'utilità della vita, del significato della vita, dei miei valori, e di tutte le dialettiche. Non so   a che cosa afferrarmi, forse non esiste né verità né carità. Ma in questo caso, sia filosofo: se     tutto è vanità, se In carità è vanità, anche il delitto non è altro che vanità... Sarebbe stupido          da parte sua se, sapendo che tutto è solo polvere, desse pregio al delitto, perché sarebbe da             pregio alla vita... Sarebbe prendere tutto sul serio...ecosì, eccola in piena contraddizione           con se stesso. (Riso nervoso) Eh? È chiaro, è logico, eccola servita. In questo caso, lei fa            pena, è un povero di spirito, un povero diavolo da quattro soldi. Logicamente si ha diritto di         ridere di lei! Vuole che si rida di lei? Di certo no. Lei ha certamente amor proprio, il culto        della sua intelligenza. Non c'è cosa più seccante dell'essere stupido. E’ molto più        compromettente dell'esser criminale, anche la follia ha una sua aureola. Ma esser stupido?           Essere un cretino, chi può accettare una cosa simile?

            Ghigno dell'assassino.

            Tutti la segneranno a dito. Diranno: Hah! hah! hnh!

            Ghigno dell'assassino; Berenger è sempre più visibilmente ni rotta.

            Ecco là l'imbecille, eccolo là! Hah! Hah! Hah!

            Ghigno dell'assassino.

            Lui uccide la gente, si prende un mal di pancia incre­dibile, hah! hah! hah!, e non ne         approfitta, tutto gra­tis... Hall! Hah! Vuole che dicano cosi, che la prendano per un imbecille, per un idealista, un illuminato che « crede » a « qualche cosa », che « crede » al delitto, idiota. Hah! Hah! Hah!

            Ghigno dell'assassino.

            ... che crede al valore del delitto in sé. Hah! hah! (Il riso si spegne di colpo) Risponda! È            quanto si dirà, si... se resterà gente per dirlo... (Si torce le mani, le giunge, implora, s'inginocchia davanti all'assassino) Non so più che cosa dirle. Abbiamo certamente avuto         dei torti nei suoi riguardi.

            Ghigno dell'assassino.

            Forse non ne abbiamo avuti affatto.

            Stesso ghigno.

            Non so. Forse è colpa mia, forse è colpa sua, forse non è colpa né mia né sua. Forse non c'è        colpa di sorta. Quel che lei fa è forse male, o forse bene, o forse né bene né male. Non so           come giudicare. È possibile che la vita del genere umano non abbia alcuna importanza, e         quindi neppure la sua scomparsa... Forse l'intero uni­verso è inutile e lei ha forse ragione a         volerlo far saltare in aria, o almeno sbocconcellarlo, creatura per creatura, pezzo per       pezzo...; e forse non deve farlo. Non so più niente, io, non so più niente. Forse lei è         nell'errore, forse l'errore non esiste, forse siamo noi nell'errore di volere esistere... Si spieghi.          Che ne pensa? Non so, non so.

            Ghigno dell'assassino.

            L'esistenza è, secondo certuni, un'aberrazione.

            Ghigno dell'assassino.

            I motivi che lei invoca non fanno altro, forse, che mascherare le ragioni vere che lei         nasconde a se stesso inconsciamente. Chissà! Facciamo tabula rasa di tutto questo.        Dimentichiamo le sciagure che ha già causato...

            Ghigno dell'assassino.

            Siamo d'accordo? Lei uccide senza ragione, e in que­sto caso, la prego, senza ragione io la           supplico, sì, si fermi... Non c'è ragione per farlo, naturalmente, ma appunto perché non c'è          ragione di uccidere o di non uccidere la gente, si fermi. Lei uccide gratuitamente,          gratuitamente risparmi. Lasci stare la gente, la lasci vi­vere stupidamente, li lasci tutti, e anche i poliziotti, e anche... Me lo prometta, s'interrompa almeno per un mese... la supplico,         per una settimana, per quarantott'ore, che si possa respirare... Lei accetta, vero?...

            L'assassino ghigna appena, trae dalla tasca, molto lentamente, un coltello con una grande           lama che brilla, e ci gioca.

            Canaglia! Furfante! Imbecille mostruoso! Sei più turpe di un rospo! Più feroce di una tigre,        più stupido di un asino...

            Leggero ghigno dell'assassino.

            Mi sono inginocchiato... sì, ma non è per implorarti...

            L'assassino c. s.

            ...È per mirare meglio. Io sto per abbatterti, poi ti calpesterò sotto i piedi, ti schiaccerò,   putredine, ca­rogna di iena! (Trae dalle tasche due pistole, le punta sull'assassino che non            muove di un centimetro) T'am­mazzerò, tu pagherai, continuerò a sparare, poi t'impic­cherò, ti   farò in mille pezzi, getterò le tue ceneri all'in­ferno con gli escrementi da cui provieni, vomito    del cane rognoso di Satana, criminale cretino...

            L'assassino continua a giocare con la lama del coltello; leggero ghigno; immobile, alza   appena la spalla.

            Non guardarmi così, io non ti temo, ludibrio della crea­zione... (Mira senza sparare          sull'assassino che è a due passi, non muove, ghigna e solleva il coltello adagio adagio) Oh...      quanto è debole la mia forza contro la tua fredda determinazione, contro la tua crudeltà          senza mercè... e che può fare anche il piombo contro l'energia infinita della tua ostinazione?            (Sussulto) Ma ti coglierò, ti coglierò... {Poi, di nuovo, davanti all'assassino che tiene il             coltello levato, senza muovere, ghignando, ab­bassa lentamente le due vecchie pistole d'altri        tempi, le depone a terra, china il capo, poi, in ginocchio, a testa china, con le braccia     penzoloni, ripete, balbetta) Mio Dio, non si può fare niente!... Che cosa si può fare?... Che          cosa si può fare?...

            L'assassino, ghignando appena, gli si avvicina adagio.

                                                          

Sipario.