Assassino per forza

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ASSASSINO PER FORZA


Commedia in due tempi

di MARC GILBERT SAUVAJON

TITOLO ORIGINALE: «TAPAGE NOCTURNE»

TRADUZIONE  ITALIANA   DI  LIANA   FERRI

Pubblicata su IL DRAMMA n. 238

Personaggi

ARMANDO VARESCOT, 50 anni

FEDERICO VARESCOT, 55 anni, suo fratello

MARIA VARESCOT, 45 anni, sua sorella

GELTRUDE VARESCOT, 43 anni, moglie di Armando

SILVIA VARESCOT, 32 anni, figlia di Federico

ISABELLA SAUVIN, 14 anni, figlia di Silvia e di Gilberto Sauvin

CAROLINA, 22 anni, segretaria di Cipriano

FRANCO VARESCOT, figlio di Federico

GILBERTO SAUVIN, 40 anni, marito di Silvia

STELLA, 27 anni, cameriera

L'ISPETTORE LEGRAND, 45 anni


LA   MORALITÀ   COSTITUITA

DELLA  PROVINCIA FRANCESE

Concediamo pure che il lettore che si accosta a un opera fiutando il titolo cominci a leggere Assassino per forza credendolo un giallo. Il genere è in auge tuttora: e immissioni e ritrovati ne hanno scaltrito l'uso. Tanti che disdegnano letture di libri, visioni di films, conoscenza di commedie, si concedono quando queste portano l'etichetta che impegna alla ricerca del colpevole.

In Assassino per forza il morto di prammatica c'è; ed è addirittura nei primi minuti della commedia. L'assassino non bisogna cercarlo. Viene fuori dal luogo del delitto, ed è una gio­vane che si chiama Carolina che, con voce bianca, dice: « Il signor Verescot è morto. L'ho ucciso io». È vero, credetele! Non cercate intorno, fra i molti personaggi che in quella notte che a Napoli direbbero di « ammuina » appaiono sulla scena, altro colpevole. La commedia, mediante questo suo repentino spalancarsi, presenta d'improvviso il mondo che la popola: è la provincia francese, la rispettabilità borghese, una casata che ha per capo-stipite un capitano d'industria con varia discendenza, la moralità costituita. Un autore di altra età e di altra tempera avrebbe incrudelito su questo mondo con modi di severa indagine, lavorando la plasticità dei caratteri, traendo dalle situazioni argomenti per una qualche tesi. Il Sauvajon, invece, che è uomo del nostro tempo e letterato, usa il modo agrodolce, con dichia­rate propensioni a una critica di costume. Peccato che, prima di lui vi abbia pensato Armand Salacrou con il non dimenticato Archipel Lenoir che fu l'ultima interpretazione, a Parigi, di Charles Dullin. In Italia, Arcipelago Lenoir fu recitato con una eccellente personale inter­pretazione da Umberto Melnati, e riportò vivissimo successo. Assassino per forza, non è che un arcipelago Varescot. Ed ancora, se dovessimo pensare a un libro, diremmo: Clochemerle; ad un film: Il Corvo. C'è in Sauvajon la posizione del francese della capitale che cerca nella provincia il luogo nel quale estendere, ramificare le proprie insoddisfazioni, consegnan­dole a personaggi che possono servire da riscontrabile esempio.

La commedia, in fondo, è la costruzione, ininterrotta per tre atti, di una ipocrisia che quel mondo vuole consumare per non rendere evidente la parte di scabroso che è nel delitto. Sono i residui « interessi creati », la messa a fuoco degli egoismi, delle reticenze, dei camuffamenti di se medesimi, della connivenza e della complicità, fatti efficienti per sopravvivere. Da questo moto di corrosione si salva qualcuno, che per fortuna è un giovane, per finzione letteraria, diremo quasi per la « convenzione teatrale » di lasciare sempre un sopravvissuto quando al tiro bersaglio dell'ironia tutti i fantocci sono stati rovesciati. Che ci sia una inclinazione da parte dell'Autore, a dare un maggior credito a questa salvazione, non stentiamo a crederlo. Glielo ha impedito, però, il corpo stesso della commedia, nella quale sono immessi i corrodenti veleni della critica, dell'ironia e della beffa. Il capovolgimento sarebbe stato solo possibile per mano miracolata dell'arte. Ma questa l'Autore non possiede.

L'invocata catarsi, la libe­razione di cui il lavoro necessiterebbe per liberare e liberarsi dalle ambiguità che propone, non avviene. Non è forse possibile ai moderni. Resta la commedia: una commedia di saldis­sima costruzione, di abilissimo dialogo, di provocantissima lettura e si capisce come abbia interessato per la ripresa, da parte della Compagnia Girola. Ed è giusto che abbia avuto suc­cesso la prima e la seconda volta; a riprenderla ancora, il successo l'avrebbe ugualmente perché, fuor d'ogni considerazione, è teatro, soprattutto teatro.                       

Vittorio Vecchi


ATTO   PRIMO

La stanza di soggiorno dei Varescot a Joillac, presso Limoges. A destra, in primo piano, la porta dell'ap­partamento di Armando e di sua moglie, Geltrude. In fondo, a sinistra, una scala di legno che porta ai piani superiori. Fra la scala e il muro di destra, una porta ad un'anta che dà nello studio di Cipriano Varescot, il nonno. Mobili di vario tipo, ma piut­tosto ricchi, di colore neutro e di aspetto vecchiotto. La sola macchia di colore è fornita da un immenso divano ricoperto di velluto rosso. Un vecchio oro­logio rustico che suona tutti i quarti col carillon di Westminster.  Mentre si alza  il  sipario  l'orologio suona i quattro quarti delle due di notte. Penombra sulla scena. Una lama di luce sotto la porta dello studio di Cipriano. Per un attimo si sente il rumore smorzato di una macchina da scrivere. Poi il ru­more cessa.  Ma subito dopo si ode il rumore di mobili urtati o spostati e all'improvviso il fracasso della caduta di un corpo che precede di una fra­zione  di  secondo un  grido stridente.  Allo  stesso tempo la striscia di luce sotto la porta scompare. La casa si anima. Si ode lo sbattere di una porta, e quella di sinistra che si apre bruscamente per lasciar passare Armando Varescot a piedi nudi e con una camicia da notte che gli arriva alla caviglia.

Armando    (con voce angosciata)  Cosa succede?

(Federico Varescot, appare in pigiama in cima alla scala. Accende la luce girando la chiavetta del com­mutatore che ha a portata di mano).

Federico     Sei impazzito a gridare a questo modo?

Armando    Ma non sono stato io! E' stato qualcun altro... Proveniva dallo studio di papà.

Federico     (scendendo la scala)  Dallo studio di papà?... Sei sicuro?

Armando    Mi è sembrato...

(Uno accanto all'al­tro i due fratelli guardano la porta dello studio).

Federico     Non si sente più nulla...

Armando    Era un grido orribile... Federico...

(In cima alla scala appare Maria Varescot. E' in ve­staglia, discende rapidamente).

Maria          (scendendo)  Ma cosa sta succedendo?

Federico     Anche tu hai sentito un grido?

Maria          Cos'era?

Federico     Armando sostiene  che veniva dallo studio di papà.

Armando    Non sostengo nulla, ho detto che mi sembrava...

Federico     Papà mi aveva avvertito che avrebbe lavorato fino a tardi. Voleva far venire la segretaria.

Armando    E' arrivata verso le dieci. Ho ricono­sciuto il campanello della sua bicicletta.

Maria          Hai sentito se poi è andata via?

Armando    No, dormivo.

Federico     Sono le due passate. Papà deve essere a letto.

Maria          Però non in camera sua: sento sempre, quando traversa il corridoio, la sua gamba rigida...

Armando    Allora è ancora nello studio... Biso­gnerebbe guardare...

Federico     Per carità! L'ultima volta che ci ho provato mi ha tirato addosso il bastone e ieri sera mi ha detto: «Bada che nessuno mi rompa le sca­tole!».

(In questo momento dalla porta di sinistra compare Geltrude. E' in camicia da notte e bigodini).

Geltrude    Armando! Devi essere impazzito per metterti a girare di notte in quell'arnese.

Maria          Tu hai sentito gridare?

Geltrude    (ad Armando)  A piedi nudi, per giunta! E io che ho appena finito di lucidare i parquets!

Federico     Ti si domanda se hai sentito gridare.

Geltrude    Scusami, Federico, ma tocca a me lucidare i pavimenti! Voi ve ne infischiate! No, non ho sentito gridare. Chi è che ha gridato?

Armando    Non lo sappiamo... Io ho sentito un grido...

Geltrude    Non è una buona ragione per bu­scarsi una polmonite. Vado a prenderti le pantofole. (Entra nell'appartamento di sinistra).

(Allo stesso istante in cima alla scala compare Silvia. E' una bella ragazza un po' volgare ma molto seducente. Ha una vestaglia vaporosa e si è truccata e incipriata con cura).

Silvia          (drammatica)    Mio Dio! E' orribile! (Scende. Tutti la guardano).           

Federico     Hai sentito qualcosa?

Silvia          Un grido. Era spaventoso. Sono saltata giù dal letto!

Maria          Ce ne hai messo del tempo per saltare.

Silvia          Scusami, zia Maria, ma mi son dovuta vestire. Sono lo scandalo della famiglia, lo sai: dormo nuda!

Federico     (meccanicamente)  Silvia... Andiamo...

Silvia          Ma insomma. Chi ha gridato?

Armando    Non si sa. Lì per lì mi è sembrato che venisse dallo studio di papà, ma ora...

(Torna Geltrude che porta un vecchio paio di pantofole di feltro foderate di pelo ed un enorme scialle nero di lana).

Geltrude    (ad Armando)  Tieni le pantofole di pelliccia. E mettiti questo sulle spalle! 

(Armando obbedisce mentre la conversazione prosegue).

Silvia          Non era la voce del nonno, quella, ve lo dico io!

Armando    Oh, no! Sembrava una voce di donna.

Federico     La segretaria, allora!

Geltrude    Non capisco perché la segretaria avrebbe dovuto gridare. Eppoi sono le due passate! Sarà andata a dormire da un bel pezzo! Anche Cipriano. Se fossero lì dentro si vedrebbe la luce sotto la porta.

Maria          Papà non è in camera sua.

Silvia          (indicando) Nello studio c'è un divano. Non sarebbe la prima volta che ci dorme.

Federico     E' vero.

Geltrude    Andiamo a letto. Domani devo pre­parare la marmellata.

Armando    Del resto, può darsi che quel grido venisse da fuori... Dormendo... Lo sapete com'è!... Andiamo, Maria.

Maria          Non sono tranquilla... Ho una gran vo­glia di andare a guardare... (Va verso la porta dello studio e gira con delicatezza la maniglia. La porta resiste; Maria si volta) E' chiusa a chiave dall'in­terno.

Armando    Chiude sempre a chiave quando sta lavorando...

Federico     Ma se lavorasse ci sarebbe la luce accesa...

Geltrude    Forse ha chiuso a chiave per non es­sere seccato. E' così scontroso.

Silvia          Se zia Maria lo sveglia, farà una scenata. Lo sapete bene, se si sveglia non si riaddormenta più.

Armando    E' vero. Sarà meglio che...

(Appare Isabella in cima alla scala; indossa la sola giacca del pigiama. Quindi ha le gambe nude fino alle cosce. Tiene le mani in tasca. Ha quattordici anni).

Isabella     Salve! Che succede? Crolla la casa?

Maria          Torna a letto, Bella. Non c'è bisogno di te.

Isabella     (scendendo) Neanche per sogno! Me la voglio spassare. Siete troppo carini conciati a questo modo!

Silvia          Tesoro, hai sentito gridare?

Isabella     Gridare? No, mamma. Chi ha gridato?

Armando    Non lo sappiamo. Dovevi metterti i calzoni del pigiama, tesoro:   prenderai un raffreddore.

Isabella     (ridendo) Non ci sono calzoni, è un pigiama-gonnellina.

Silvia          Pigiama-gonnellina! Gonnellina è femminile!

Isabella     Ma pigiama è maschile.

Federico     Se si resta qui a discutere il sesso dei pigiama,   preferisco   andare  a   dormire.   (Starnuta) Ecco fatto!

Silvia          Che razza di figura stiamo facendo! Re­stiamo qui senza osare bussare, perché lì dentro c'è un vecchio acido che potrebbe svegliarsi.

Federico     (severo) Stai parlando di tuo nonno, Silvia!

Silvia          Oh, di nonni come quelli è meglio...

Federico     Silvia!

Geltrude    (ridendo) Non ha ancora digerito gli schiaffoni che gli ha appioppato la settimana scorsa.

Silvia          (velenosa)  Oh! Falla finita! Se sapessi cosa dice di te!

Geltrude    (furente)  Comunque, non potrà dire che anch'io sono andata a letto col prefetto.

Silvia          Ci mancherebbe altro; non è mica scemo il prefetto!

Maria          (con il solito tono di voce)  Silvia, Geltrude, state zitte!

(Tutte e due tacciono, domate).

 

Isabella     (dolcemente) I Varescot, questa grande e bella famiglia, così strettamente unita... (Maria si volta e le molla uno schiaffone, senza ira né collera. La ragazzina incassa. Non leva neanche le mani dal­la tasca e guarda Maria dritta negli occhi) Brava! Questo è riuscito meglio di quello dell'altra volta.

Maria          (calma)  Se fossi tornata a letto quando te l'ho detto...

Isabella     (con un sorrisetto)  Si dovrebbe sempre darti retta, zia Marì.

Silvia          Senti Maria, non mi va che tu ti per­metta di schiaffeggiare mia figlia. Sono abbastanza vecchia per correggerla da me.

Maria          (fredda)  Sarebbe ora!

Federico     Ma insomma, che facciamo! (Starnu­tisce) Questa volta ci siamo. L'ho preso!

Maria          Torniamo a letto. Papà dorme nello stu­dio. E domani... (A Isabella) Vai avanti, tu.

(Sempre con le mani in tasca, fischiettando, Isabella 'obbe­disce e va verso la scala. Maria la segue. Silvia e Federico chiudono la marcia. Armando e Geltrude vanno verso la porta di sinistra).

Armando    Buona notte, per quanto ne resti poca.

(Nessuno gli risponde. Ma al momento in cui tutti stanno per scomparire, una specie di sordo gemito proveniente dallo studio  li immobilizza.  Tutti  si voltano di scatto e si guardano).

Maria          Questa volta è sicuro. Viene dallo studio. Papa è malato.

(Convergono tutti verso la porta del­lo studio. Ci si ammassano dinnanzi. Si ode un altro lamento. Tutti guardano spaventati).

Armando    (in un soffio)  Non è lui...

(Si odono dei rumori vaghi, poi riappare la striscia di luce sotto la porta).

Silvia (in un soffio)  La luce sotto la porta...

(La chiave gira nella serratura, la maniglia prende a girare con lentezza, lo scricchiolio che provoca è agghiacciante. Poi la porta si apre e Carolina Pellettier appare, titubante, pallida. E' la segretaria, molto carina e molto giovane. Si appoggia allo stipite e fissa i Varescot con uno sguardo da pazza. Ha i capelli sugli occhi, la camicetta stracciata che le la­scia nuda una spalla. Fissa il gruppo con gli occhi vuoti e sbarrati).

Carolina    (con voce bianca)  Il signor Varescot è morto.

(Tutti si guardano senza reagire. Poi fis­sano Carolina, Maria fa bruscamente un passo a-vanti. E' un movimento che deve avere il senso e il peso di un grido non formulato. Anche lei fissa Carolina)

L'ho ucciso io! 

(Carolina crolla a terra svenuta. Tutti gli sguardi hanno seguito la sua ca­duta. Ma nessuno ha fatto un gesto. Sono pietrifi­cati. Poi, senza una parola, si precipitano dietro lo studio, meno Geltrude che si china su Carolina, e Isabella che indugia sulla soglia della porta aperta. Si ode il grido soffocato di Maria).

Geltrude    (decisa)  Isabella, tu no. Vieni qui.

(Isabella si volta a malincuore e va verso Geltrude)

Aiutami a portarla sul divano.

(Isabella obbedisce, sono riuscite a sollevare Carolina e la portano verso il divano dove la stendono comodamente e le met­tono un cuscino sotto la testa).

Isabella     Io vorrei andare a vedere...

Geltrude    (battendo sulle mani di Carolina per farla rinvenire) — Ti interessa? Sei verde di spavento!

Isabella     Non sono più una bambina, zia Geltrude, bisogna che cominci ad abituarmi alla vista dei morti! In questa casa penso che ne dovrò sotter­rare un bel mucchio!

Geltrude    (placida)  Ah, sì?

Isabella     Due zii, una zia, un nonno, papà, mamma, te... A volte me li sogno di notte. Una serie di carri funebri, in fila indiana... Mi sveglio piangendo! E' terribile!

Geltrude    (sollevando il capo di Carolina)  Cerca di sognare qualche altra cosa! Ti capita spesso?

Isabella     Soprattutto quando cucini tu!

Geltrude    (furente)  Falla finita, insolente! Va a prendere la boccetta dei sali nel bagno. Fa presto.

(Isabella sale la scala correndo)

Che razza di vipera quella ragazzina! 

(Si china nuovamente su Carolina e in quel momento Maria, Silvia, Armando e Federico escono dallo studio in silenzio. Silvia e Federico sostengono Armando che si preme la bocca con un fazzoletto. Maria chiude il corteo e chiude anche la porta dello studio. Ci si appoggia contro, a capo chino; Geltrude, inquieta, si fa incontro al gruppo)

Armando, cos'hai?

Armando    Niente... Ho voglia di vomitare...

Geltrude    Fatelo sedere.

(Fanno sedere Arman­do in una poltrona. Geltrude gli prende il fazzo­letto dalle mani e gli asciuga le tempie)

Lo sapevo che ti avrebbe dato la nausea, col fegato che ti ri­trovi!

Silvia          Già... Chi lo dice che i vecchi non hanno sangue nelle vene! Dovresti bere un goccio di grap­pa, zio Armando.

Geltrude    No, no, lascialo in pace!  (Ad Ar­mando) Respira profondamente e  pensa ad altro, ti passerà. Tieni, prendi il fazzoletto...

Armando    E' di Maria.

(Geltrude si volta e porge il fazzoletto a Maria che lo prende senza dire una parola. Geltrude la guarda).

Geltrude    Come? Hai pianto?

Maria          (fredda) Ti stupisce?

Geltrude    Beh, non t'era mai capitato... però in un momento simile... Allora, com'è morto quel povero Cipriano?

Federico     (snervato) Assassinato!

Geltrude    Assassinato! Ammazzato! Che roba! Ma com'è stato assassinato?

Armando    (che sta per piangere) Che impor­tanza può avere?... Cipriano Varescot è morto as­sassinato! Proprio quando si stava per festeggiare il suo ottantatreesimo compleanno!

Federico     (indignato)  E' una cosa ignobile e rivoltante! Impersonava una delle tre più grandi fabbriche di scarpe che ci siano in Europa! E finisce a quel modo! Con la salute che aveva! (Starnutisce due o tre volte) Grazie a Dio, l'abbiamo preso l'assassino!

Geltrude    Preso? Tu non hai preso che un raffreddore!

Federico     E' in mano nostra! (Va verso il divano) E ti garantisco che la pagherà cara, questa carognetta! La ghigliottina, ve lo dico io! La ghigliot­tina! (Con altro tono) Che si aspetta a chiamare la polizia? (Va verso il telefono).

Maria          No! (Federico si ferma di colpo).

Federico     No? Come no? E' stata lei ad ucci­derlo! L'ha confessato! E allora?

Maria          Lascia stare il telefono.

Federico     Ma che ti piglia?

Maria          Prima bisogna farla parlare. Voglio sa­pere tutto.

Federico      Ma lo sai già!

Maria          Voglio sapere il perché.

Silvia          Non capisco che importanza abbia.

Armando    Eppoi la polizia potrebbe stupirsi del lungo ritardo...

Maria          (tagliando corto)  La polizia farà il suo lavoro dopo che io avrò fatto il mio! Di sopra c'è la boccetta dei sali, che si aspetta per andarla a prendere?

Geltrude    Ci ho mandato Isabella. Non so cosa stia facendo! (Fissando  Carolina)  Povera   figliola, che pena che fa!

Federico     Povera figliola!

Geltrude    (placida)  Ha un aspetto pietoso.

Armando    Non l'avevo mai  guardata   bene... Deve essere giovanissima.

Silvia          Avrà perlomeno trent’anni!

Maria          Ne ha ventidue. L'ho vista nascere. E' figlia di un nostro ex caporeparto. Fu papà a pa­gare le spese del parto.

Silvia          Ogni buona azione ha la sua ricompensa!

Federico     Bisognerebbe coprirla. Ha una spalla nuda... (Isabella arriva con la boccetta dei sali).

Geltrude    Ce ne hai messo del tempo!

Isabella     Sono andata a svegliare Stella!...

Geltrude    (prendendo i sali)  Nessuno ti aveva incaricata di andare a svegliare Stella!

Isabella     Le ho detto di fare del caffè caldo per tutti! Vi aiuterà a stare su!

Armando    Buona idea, tesoro. (A Geltrude che sta facendo respirare i sali a Carolina) Allora?

Geltrude    Ha aperto gli occhi!

(Silenzio. Poi Carolina con un piccolo gemito, riapre gli occhi, guarda quei volti chini su di lei mentre Geltrude l'aiuta a sollevarsi)

Ecco. Va meglio?...

Carolina    (in un soffio)  Sì... (China il capo in avanti e si nasconde il viso fra le mani).

Maria          (calma)  E ora parlate! Perché l'avete uc­ciso? Voglio saperlo!  (Silenzio di Carolina) Avete capito?  

(Silenzio di Carolina,  allora Maria  le si butta contro; la solleva con una mano sola e grida)

Avete sentito? Voglio sapere perché?

(Alza la mano come per picchiarla, ma Geltrude gliela afferra al volo).

Geltrude    Maria, beh?

(Un attimo di sospen­sione, Maria lascia Carolina e Geltrude lascia Maria).

Maria          Scusatemi. E ora, parlate, perché l'avete ucciso?

Carolina    Lo dirò alla polizia.

Maria          Lo direte a me. Perché?

Carolina    Leggete,  se sapete  leggere.  Vostro padre l'ha lasciato scritto sulla mia pelle il perché, con le sue unghie...

Maria          (taglia corto)  Un momento. (A Isabella) Tu, torna a letto.

Isabella     Ah, no, no, eppoi, no!

Maria          (dura)  Torna a letto!

Isabella     Uffa!

(Maria la schiaffeggia. Isabella perde l'equilibrio, ma si riprende subito, sfrontata e testarda)

Questa notte è la mia beneficiata, ho capito!

Silvia          (mentre corre verso Isabella e la stringe fra le braccia)  Tesoro! Maria, una volta per tutte, ti  proibisco  nella  maniera  più  assoluta...

Maria          (calma) Deve andare a letto.

Silvia          (a Isabella) — Vai a letto, tesoro... Dammi retta! Sii ragionevole!

Isabella     Poi mi dirai tutto?

Silvia          Ma sì, ti dirò tutto!

Isabella     Va bene! Allora accetto. Me ne vado!

(Guarda Maria sfrontatamente, si infila le mani in tasca e sale la scala fischiettando).

Maria          (a Geltrude) Accompagnala tu, e richiu­dila a chiave.

 

(Geltrude va da Isabella che si ferma sul primo gradino della scala e dice indignata).

Isabella     A chiave? E se scoppia un incendio?

Geltrude    Se  dici   un'altra   parola l'incendio scoppia subito. Fila!

(L'afferra per un braccio e la spinge su; gli altri attendono che siano scomparse).

Federico     (a Carolina)  Avanti. Vorreste farci cre­dere che mio padre, in un momento di collera avrebbe tentato di picchiarvi?

Carolina    Non si trattava di collera.

Federico     Chiamatela come volete! Collera, irri­tazione, impazienza, non ha importanza! Certo, non era molto paziente, e voi lo avrete fatto irritare... sarete stata insolente, e così...

Carolina    (secca)  Il signor Varescot stanotte ha cercato di violentarmi!

(Tutti trasaliscono. Solo Silvia fa un piccolo grugnito ironico).

Maria          (con  reazione  immediata)   Cosa   dite? Papà?...

Armando    (stesso tono)  Mentite! Papà era inca­pace...

Silvia          Lasciatela parlare! Questa figliola dice la verità, è evidente!

Armando    Ma papà stava per compiere ottantatré anni. Non si violenta una donna alla sua età!

Federico     Come nei racconti mitologici!

Silvia          Davvero? E la storia della ragazzina del reparto imballaggio?... quella dell'anno scorso... an­che quello era un racconto mitologico?

Federico     Un momento! Prima di tutto è suc­cesso un anno fa e la ragazzina di cui parli era una sgualdrinella diciottenne che...

Armando    Eppoi, quella là non l'ha ucciso!

Silvia          Mica era scema! In ogni caso più di una volta, nonno ha dato prove precise che portava al­legramente i suoi anni...

Carolina    Mi è capitato spesso di lavorare sino a tardi col signor Varescot. I primi tempi fu cor­retto. Sgradevole, ma corretto. Disgraziatamente non è durato a lungo, ed è diventato sempre più...

Silvia          (ironica)  Gradevole?...

Carolina    Sì...   Mi parlava spesso delle mie gambe... di...  infine di me...  della  mia  persona... Cercavo di riderne, prima di tutto perché non vo­levo perdere il posto, eppoi non sono più una bam­bina e so stare agli urti di questo genere. Silvia — Non si direbbe!

Carolina    (in collera)  Ma ieri sera le cose sono cambiate. Vorrei sapere cosa avrebbe fatto lei, se un vecchio di ottantatré anni le fosse saltato addosso per strapparle la camicetta... Mi son dovuta difendere!

Maria          (a Carolina)  Continuate...

Carolina    Avrei potuto approfittarne, si capisce; parecchie l'hanno fatto, e so che non hanno avuto da lamentarsene.

Silvia          Già... Pagava bene!

Federico     Silvia!

Carolina    Ma io, non ho potuto... Gli sono sfug­gita di mano, ma mi ha riafferrata sulla porta. E' riuscito quasi a buttarmi sul divano.

Maria          Potevate gridare, chiamare aiuto!

Carolina    Non volevo fare uno scandalo!

Silvia          Ci siete riuscita, non c'è che dire!

Carolina    L'ho respinto con tutte le mie forze... ha indietreggiato barcollando... deve aver urtato con­tro un mobile... non saprei...

Armando    Poveraccio, con la sua gamba rigida!

Carolina    E' caduto trascinandosi dietro la lam­pada... ho sentito il colpo... eppoi più nulla... sono svenuta. E' tutto!

(Si porta le mani al viso e si lascia ricadere sul divano piangendo dirottamente. Silenzio. Tutti tacciono. Geltrude rientra dalla porta sotto la scala).

Geltrude    Son passata dalla cucina. Quella fannullona di Stella s'era riaddormentata su una sedia. Gliene ho dette quattro!

Silvia          E Isabella?

Geltrude    Che razza di vipera tua figlia. L'ho dovuta mettere a letto con la forza!

Silvia          Perché non sai come va presa!

Geltrude    E come la vuoi prendere? Graffia, picchia, morde... Guardate le mie mani. Meno male che non è una vipera velenosa. Però ha carattere e temperamento! La piccola ha parlato?

Armando    Altro che!

Federico     Ci ha raccontato una storia inverosi­mile... Pretende che papà avrebbe cercato di... di...

Armando    Di baciarla!

Geltrude    Ho capito!... Diavolo di un Cipriano! Un giorno o l'altro doveva pur finire col...

Federico     Come?

Geltrude    Capitare con una che non ne voleva sapere!

Armando    Sì, ma c'è modo e modo...

Federico     Hai l'aria di non essere affatto indignata! Si direbbe quasi che dài ragione a quella ragazza!

Geltrude    Se Cipriano si fosse comportato bene...

Federico     Bene! Con una sgualdrinella ventenne che vi mette le gambe sotto il naso? Si fa presto a dirlo! Papà era un uomo, un uomo forte e in ot­tima salute! Vuoi forse rimproverarglielo? Ha finito per cedere alle provocazioni insistenti e ripetute di una impiccata viziosa. (Carolina si rialza di scatto).

Carolina    Lei mentisce! Se avessi voluto diven­tare la sua amante sarebbe stato facile! Non avevo che da lasciarlo fare!

Silvia          Eh, già! Tu non ne capisci nulla, papà!

Federico     (a Carolina)  E chi ci dice che non foste già la sua amante? Chi ci dice che non l'ab­biate assassinato per gelosia? O per denaro?... O semplicemente perché ne aveva abbastanza di voi? Eh?... (Sogghigna) Quei signori non avranno che l'imbarazzo della scelta! (Va al telefono e stacca il ricevitore).

Maria          Lascia in pace il telefono.

Federico     Come?

Maria          Lascia in pace il telefono!

(Federico esita, poi riattacca con rabbia).

Federico     Questa poi! Vorrei  che tu mi spie­gassi... Insomma, c'è stato un assassinio, sì o no?

Maria          Non si tratta di questo!

Federico     Oh, no? E di che si tratta, allora?

(Maria non risponde. Federico va verso Carolina).

Maria          Se la polizia vi interrogherà, cosa direte?

Carolina    (sbalordita)  Cosa dirò... Ma la verità, naturalmente...

Maria          Naturalmente...

Federico     (a Maria)  E allora?

Maria          Immagina lo scandalo!  La memoria di nostro padre, la sua vita, la nostra, tutto finirà in pasto agli sfaccendati, ai calunniatori, ai poliziotti, ai giornalisti... Cipriano Varescot assassinato dalla sua segretaria. Una bella faccenda. Cinquant'anni di lavoro, la fine della fabbrica e del nostro nome, soprattutto! Questo non deve accadere!

Federico     Esageri! Sono sicuro che riusciremo a soffocare lo scandalo! Non siamo mica i primi venuti.

Maria          (nervosa)  Non dire stupidaggini. Abbia­mo troppo poco tempo a disposizione!

Federico     (seccato)  Ti garantisco che sussurrando una parolina all'orecchio del presidente del tribunale e spiegandogli la cosa arriveremo certamente a...

Silvia          ...farlo crepare dal ridere!

Federico     (furente)  Silvia, avrò pure diritto di avere la mia opinione personale, no?

Geltrude    Non te la prendere, Federico; lascia fare a Maria.

Federico     Maria! Maria! Bisognerà decidersi a stabilire chi è il capo di casa, ormai, io o Maria?

Armando    (conciliante)  Tu, si capisce, ma per disgrazia; voglio dire che è in seguito a una disgra­zia che...

Federico     (furente)  Ah, sì?... Ebbene, è quello che vedremo. E per cominciare...

(In questo istante, la porta sotto la scala si apre e compare Stella. E' una bella ragazzotta sana e robusta dall'aria placida; porta un immenso vassoio sul quale sono delle pile di tazzine e una enorme caffettiera fumante).

Stella         (a voce alta) — Ecco il caffè.

Federico     (furente) — Levatevi dai piedi!

Stella         (placida) — Beh? Mi hanno detto di por­tare subito il caffè. Eccolo.

Maria          Aspettate un po', Stella. Vi chiameremo.

Stella         E va bene. L'avevo già scaldato, lo ri­scalderò ancora! (Scrolla le spalle, fa un passo per andarsene. Poi si volta) Allora, è vero? Il povero padrone è stato ammazzato?

Armando    (grave) — Sì, Stella.

Stella         (placida) — Questa  poi!  E'  formidabile! (Esce in silenzio).

Federico     Mi domando che cosa si aspetta a cacciar via quell'idiota!

Silvia          E' proprio il momento adatto! Così andrà a spettegolare per il paese!

Armando    Eppoi papà le voleva molto bene.

Federico     (secco)  Lo so. (A Maria) E ora, parla!

Maria          Tu sei il capo di casa!

Federico     Oh, finiscila! Mi sono permesso di dire quello che dovevo dire. Sta a te, ora. Se hai un'idea  migliore della mia...  (Starnutisce un'altra volta) Bisognerà pure che Stella si decida ad accen­dere il calorifero.

Geltrude    Vado a prenderti la vestaglia.

Federico     Grazie, Geltrude...

(Geltrude sale la scala. Maria si volge a Carolina).

Maria          Voi, ora, ascoltatemi bene.

(Carolina si alza).

Carolina    Sì, signorina.

Maria          Voi avete ammazzato Cipriano Varescot. Legalmente, forse, ne avete avuto il diritto. Social­mente, avete commesso un gesto abominevole che non ha scusanti.

Carolina    Ma, signorina...

Maria          (violenta)  Non ne ha! Al diavolo la vo­stra virtù! La baratterei mille volte contro un'ora della sua vita! Era una forza, capite? Un capo! Quando ha aperto gli occhi questo paese era un deserto, una terra morta abbandonata da tutti. Lui l'ha trasformata in un piccolo mondo! Vi ha fatto nascere delle officine, dei laboratori, un popolo, una città! E' questo che voi avete ucciso!

(Silenzio. Maria si volge verso Armando che piange dolcemente asciugandosi gli occhi con la manica della camicia. Gli tende il suo fazzoletto)

 

Tieni, soffiati il naso. (Rivolta a Carolina) Ho finito. Non mi garbano le commemorazioni funebri.   Ma  egli  ci  ha  lasciato qualcosa da difendere e bisognava che voi lo sapeste perché noi tutti dovremo difenderlo insieme!

Federico     Noi?... Chi noi?

Maria          Noi e lei!

Armando    Maria!

Federico     Ma sei impazzita?!

Maria          Che tu lo voglia o no, che io lo voglia o no, che lei lo voglia o no, oramai è dei nostri!

Silvia          Oh! C'è mancato poco!

Federico     Quello che dici è mostruoso! Tu ci chiedi di salvare l'assassina di papà? Mi rifiuto per-sino di pensarlo!

Maria          Ti ripeto che se la verità esplode, salte­remo anche noi! E' questo che vai cercando?

Silvia          Non conoscevo le intenzioni di zia Maria, ma quello che dice è giusto. Vedrai, papà, quando si verrà a sapere che nonno è morto cercando di violentare la sua segretaria, la tua Legione d'Onore te la puoi scordare!

Armando    E la vergogna dove la metti? I sorrisetti della gente... Senza pensare all'ordine del­la fornitura di scarpe per l'Esercito... Il ministro ha un fratello arcivescovo!

Federico     E che può fare l'arcivescovo? Noi sia­mo la sola fabbrica capace di sfornare seicentomila paia di scarpe l'anno!

Maria          Frazioneranno le ordinazioni.

Federico     Dimentichi che sono presidente della Camera sindacale.

Maria          Non lo sarai più!

Silvia          E fatela finita con questa faccenda delle scarpe. Dimenticate che mio marito si presenta alle elezioni fra tre mesi? Povero Gilberto! Conoscete il suo programma! Difesa dei diritti della famiglia francese! Ah, non c'è che dire, casca bene!

(Silenzio. Federico passeggia nervosamente, con le mani nelle tasche del pigiama. Ritorna Geltrude con la ve­staglia).

Geltrude    Ecco la vestaglia, Federico.

Federico     Grazie. (L'infila nervosamente e vol­gendosi a Maria) Bene. Ammettiamo che sia peri­coloso dire la verità. Allora?  Che  proponi?  Che questa ragazza stia zitta, che noi si diventi suoi complici per sostenere la tesi della morte accidentale? E' questo che vuoi?

Maria          No. Non credo sia possibile... Ci proveremo, certo, ma l'ispettore Legrand non è un im­becille.

Armando    Credi che verrà Legrand?

Maria          E' il commissario di polizia di Joillac... chi vuoi che venga, se non lui?

Federico     Tanto meglio. Legrand è un amico di famiglia.

Silvia          (sorridente)  Un amico di zia Maria, so­prattutto... Non è vero, zia Maria?

Maria          Il tuo sorriso è di troppo, ma il resto è esatto. Legrand è un amico. Ma è anche un onest'uomo!

Silvia          Tutto ha una fine!

Federico     (sorridente)  Sono sicuro che arrive­remo a metterci d'accordo. Sta tranquilla... lo farò con garbo... anche se rifiuta non ha il diritto di of­fendersi... non rischio nulla a provarci...

Maria          Rischi un paio di ceffoni!

Federico     (ridendo)  Chi? Legrand? Vorrei pro­prio vederlo alzare la mano su Federico Varescot!

Maria          Sono vent'anni che aspetta l'occasione buona!

Geltrude    Accidenti, che amico di famiglia!

Armando    Senti, Federico, credo che Maria ab­bia ragione... Inutile irritare Legrand, abbiamo già abbastanza guai!

Federico     (offeso) Va bene, va bene... Perfetto! Visto che tutto quello che dico io è ridicolo... (A Maria) Fai di testa tua. Vedremo dove si va a finire! Che piano hai?

Maria          Prima di tutto, devo vedere Franco.

(Stupore generale. Tutti si guardano).

Federico     (sussultando)  Franco?

Silvia          (facendo un passo avanti)  Perché Franco?

Maria          Voglio parlargli e basta!

Geltrude    Ma, Maria.

Federico     Franco non c'entra in questa faccenda!

Maria          E' tuo figlio!

Federico     (violento)  Non è più mio figlio! Non porta neanche più il mio nome!

Maria          Perché noi gli abbiamo chiesto di non portarlo.

Silvia          Ma l'abbiamo pagato per questo! E lui ha preso i soldi! Cinquecentomila franchi; uno scherzetto!

Geltrude    Beh, non gli era rimasto altro da ven­dere a quel povero ragazzo!

Federico     Oh,  Geltrude, serba  la  tua  stupida indulgenza per un'occasione migliore! (A Maria) E si può sapere che cosa vuoi da Franco?

Maria          Ma il morto è suo nonno, no?

Silvia          Se ne infischia altamente.

Maria          Forse meno di te.                                  

Armando    Andiamo, Maria; sai perfettamente in quali penose circostanze Franco ha lasciato questa casa, otto anni fa...

Federico     Ha picchiato suo nonno! Mio padre, tuo padre! Riempiendogli la faccia di pugni! (Si ricorda della presenza di Carolina) E voi, se vi az­zardate a ripetere questi discorsi in fabbrica, vi torco il collo!

Carolina    Si rassicuri, in fabbrica lo sanno tutti!

Federico     Come? Cosa? In fabbrica lo sanno?... Questa poi!

Carolina    E' stato il signor Varescot in persona a raccontarlo. Rideva come un matto! «Guardate cosa mi ha fatto quella canaglia», diceva. « Ah! E' un tipo in gamba, mio nipote! ». E mostrava l'oc­chio destro.

Silvia          (sbalordita) Mostrava l'occhio destro? (Ride di gusto, ma smette subito, impacciata).

Federico     Sorvoliamo. (A Maria) Franco  si è sempre rifiutato di confessarci il  vero motivo di quell'alterco. Anche papà ha preferito tacere.  La sera stessa, dietro mio ordine, Franco lasciava questa casa, con l'approvazione di tutta la famiglia. Spero che tu non abbia dimenticato la scena che ci fece in quell'occasione! Vuoi che ti ripeta le sue parole?

Maria          Ho memoria quanto te.

Armando    Franco non aveva che ventidue anni... Paroloni da ragazzo arrabbiato!  Forse, anche noi, siamo stati ingiusti senza saperlo...

Federico     Ingiusti! Ingiusti verso una canaglia che aveva picchiato un vecchio?

Armando    Scusa! Non è stato lui a picchiarlo. Si sono picchiati! Papà non ha subito, ha reagito, e come!

Federico     Si direbbe che ti dispiaccia!

Geltrude    (secca) Non gli far dire cose che non dice. Sta cercando di ricordarvi che si trattava di una scazzottata fra uomini e non di una vile aggressione contro un vecchio impotente. Due Va­rescot che si azzuffano. Santo cielo! E' capitato al­tre volte, e non è il caso di fare tante storie!

Federico     (aspro)  Mi scuserai, ma per me non si deve picchiare il proprio nonno, punto e basta!

Geltrude    Senza contare che, probabilmente, è stato Cipriano a cominciare! Povero Franco, aveva un labbro spaccato! Ma seguitava a sorridere men­tre gli facevo gli impacchi e diceva : « Lo sai, ha ancora un destro potente, il vecchio! ».

Federico     Ho capito, è un eroe! (A Maria) Ti faccio soltanto osservare che, se Franco rimette piede in casa, la famiglia rinnegherà pubblicamente il mio operato, perché fui io a metterlo alla porta quel giorno! E lo feci con la vostra incondizionata ap­provazione!

Maria          Doveva andarsene. Era papà che lo desiderava. Ma ora, papà non c'è più, e il ritorno di Franco diventa indispensabile.

Silvia          Rifiuterà. Lo conosco.

Maria          Lo conosci poco!

Federico     E poi, non si sa nemmeno dove cercarlo.

Maria          Qualcuno lo sa.

Silvia          Chi?

Maria          (sorridendo) Qualcuno che non l'ha mai perso di vista in tutti questi anni e che lo va a trovare di nascosto, ogni tanto, a Joillac o a Limoges... Qualcuno che, non più tardi di stamani, s'è incontrato con lui... Non è vero, Armando?

(Stupore generale. Tutti fissano Armando, che si agita, tossicchiando, apre la bocca per protestare, poi ab­bassa bruscamente la testa).

Armando    Sì...

Geltrude   (a Armando)  Furbacchione!  E mi dicevi che nessuno sapeva niente.

Federico     (esplode)  Magnifico! E così, la mia autorità paterna è stata calpestata dal mio stesso fratello! (Ad Armando) Ti ringrazio!

Armando    Non ti arrabbiare, Federico. Franco ha passato dei brutti momenti!... Era molto infelice... Non voleva che si sentisse abbandonato del tutto... Tu sei il padre e hai il dovere di essere severo, ma io...

Federico     Tu, tu sei un rammollito!

Geltrude    Lui ha un cuore come voi non avete! Un cuore così grande che lo soffoca!

Federico     E, naturalmente, gli davi anche dei soldi?

Armando    Ci ho provato. Ma ha sempre rifiu­tato. Riesce a cavarsela, sembra...

Silvia          Già... ma bisogna vedere come!

Federico     Lo sapremo anche troppo presto! C'è una cosa che mi stupisce; che sia stato in guardina una volta sola.

Geltrude    (rettifica)  Per aggressione e percosse.

Federico     Bella consolazione!

Geltrude    Eppoi, è successo a Cambrai, a mille chilometri da qui...

Federico     Oh, sì, sì... E quando ha venduto il piano di sua sorella era a Cambrai, forse? E quando ha lanciato una bomba lacrimogena nella chiesa dove si celebrava il matrimonio della signorina Brouiìlas? Piangevano tutti! E quando è andato a bussare a soldi da tutti i nostri conoscenti dicendo che era incaricato dalla Croce Rossa? E quando... (Aveva dimenticato la presenza di Carolina e ricor­dandosene di colpo la investe) Voi, siete ancora qui, voi?

Carolina    Oh! vorrei tanto non esserci!

Federico     Se una sola parola di ciò che stiamo dicendo viene riferita fuori di qui...

Carolina    Non dubiti, signore, stia tranquillo.

Silvia          Ormai fa parte della famiglia?!

Federico     Ancora una domanda. Il tuo desiderio di rivedere Franco ha qualcosa a che fare col no­stro di evitare lo scandalo?

Maria          Può darsi. (Ad Armando) Dov'è?

Armando    All'Albergo dei Due Piccioni... E' una locanda sulla strada da Joillac a Bourg.

Maria          Lo so. Il numero del telefono?

Armando    Il 18 a Bourg. (Maria va al telefono, gira la manovella, stacca il ricevitore).

Maria          Pronto?  Ufficio postale? Qui casa Varescot. Vorrei il 18 a Bourg, prego. Urgente... No, resto all'apparecchio...  (Mette la mano sul  ricevi­tore e si volge ad Armando) Che nome ha dato alla locanda?

Armando    Il nostro... Cioè, il suo... Doveva pure riempire la schedina...

Federico     Divertente.  Un Varescot in una lo­canda equivoca, anzi in una casa di appuntamenti...

(Maria porta il ricevitore all'orecchio).

Maria          Pronto? Pronto? Il «Due Piccioni»?... Vorrei parlare col signor Franco Varescot... Varescot, sì...  Inutile che mi racconti storie... so benissimo che è lì... Ebbene, lo svegli!... Gli dica che è da parte di Maria... Grazie. (Tiene il ricevitore all'orec­chio. Tutti tacciono per un attimo).

Federico     Almeno sapessi cosa dirgli!

Geltrude    E' morto suo nonno, no? Mi pare che sia un argomento di conversazione!

Silvia          Eppoi, avremo sempre la risorsa di acca­pigliarci!

Armando    Smettila, Silvia. Si direbbe che non ami tuo fratello!

Silvia          Dopo quello che ha fatto a Gilberto? Grazie tante! Per poco non l'ha ammazzato!

Geltrude    Oh, era per ridere!

Silvia          Per ridere?! Avresti riso, tu, se un im­becille ti avesse imbarcato su un aereo e ti avesse obbligato a lanciarti col paracadute sulla città di Limoges?

Geltrude    Voleva fargli guadagnare tempo. Gilberto aveva tanta paura di arrivare in ritardo al banchetto annuale degli ex-allievi del liceo. Te ne ricordi, Armando?

Armando    (imbarazzato)  Ma sì... Però paraca­dutare il proprio cognato vestito in redingote, alle dodici e mezzo, in piena Limoges, mi pare un po'... un po' troppo moderno, ecco!

Silvia          Mio marito ha avuto un attacco di itte­rizia e, ancora oggi, ogni volta che sente il rombo di un aereo, è preso da un tremito nervoso! E voi vorreste che amassi Franco?

Geltrude    Di solito, ami tutto ciò che tuo marito non ama...

Maria          Silenzio! (Al telefono) Pronto? Sì? Sei tu, Franco?... Sono Maria... Devi venire subito... Immediatamente, Franco... Ma certo, a casa!... Me l'ha detto Armando... ti ripeto che devi venire... E' molto importante... Bene... Vuoi che tuo padre ven­ga a prenderti con la macchina?... Molto bene... Ti aspettiamo... (Riattacca) Sembra che abbia una motocicletta.

Silvia          Gli affari vanno bene, allora!

Armando    Mi fa un certo effetto rivederlo...

Federico     Ma se l'hai visto stamani!

Armando    Rivederlo qui...  in casa nostra...  in casa sua!

Silvia          Un Varescot se ne va, un altro torna. Si potrebbe prendere il caffè. 

(Geltrude va sotto la porta dell'office posto sotto la scala).

Maria          Quanto tempo ci vuole per venire dai « Due Piccioni »a qui in motocicletta?

Federico     Dieci minuti, immagino...

Geltrude    (ha aperto la porta)  Stella, il caffè!

Silvia          E dei  toasts...  (Maria la guarda) No? Niente toasts!

(Maria alza le spalle. Geltrude grida attraverso la porta).

Geltrude    E dei toasts... (Richiude la porta) Che camera gli daremo? Bisognerà pure dargli una camera!

Maria          Riprenderà la sua.

Silvia          C'è lo studio di Gilberto!

Maria          Gilberto sposterà il suo studio. Non ha importanza! Tanto non ci sta mai!

Silvia          Ma sai benissimo che tiene molto a quella stanza!

Geltrude    Per quello che ci fa! Va a fumarci la pipa!

Silvia          E che te ne importa?

Federico     (snervato)  Oh, vi supplico! Un po' di calma! (A un tratto) Maledizione! (Si pianta im­mobile corrucciato, dinanzi al divano di Carolina poggiata la testa alla spalliera. Si è beatamente ad­dormentata).

Silvia          Che c'è?

Federico     (indignato)  Ma guardate un po'! Che razza di sfrontata! Dorme!

Armando    Beh?

Geltrude    Dopo tante emozioni, è naturale!

Federico     (soffocando)  Naturale? Ha assassinato mio padre, sì o no?

Geltrude    Eh, sai, alla sua età...

Maria          Lasciala dormire, Federico... Anche per lei non è finita... Avrà bisogno di tutte le sue forze...

Federico     Splendido! Farei meglio a star zitto!

Armando    Domani bisognerà pensare a cambiare il velluto del divano...

Geltrude    Perché? L'abbiamo cambiata l'anno scorso.

Armando    Ma papà era vivo.

Geltrude    E  con  questo?

Federico     Armando  ha ragione. Nelle  circo­stanze attuali quel divano rosso acceso è illogico.

Geltrude    Federico, sei un  idiota! Vuoi che si ricopra il divano di velluto nero? Non è una buona ragione, perché Cipriano è morto, buttare i soldi dalla finestra.

Armando    Comunque,  Geltrude,  quel  divano rosso...

(Geltrude guarda il divano).

Geltrude    Va bene, gli metteremo una fascia di crespo nero! 

(Compare Stella dalla porta sotto la scala. Reca il solito grande vassoio sul quale ha posto una pila di fette di pane tostato e una va­schetta piena di burro).

Stella         (in lacrime)  Ecco il caffè.

Maria          Metti là.

(Stella va a posare il vassoio sopra una mensola a muro).

Silvia          E non piangere dentro le tazze, fammi la  cortesia.

Stella         (piangendo) Piango perché sono addo­lorata. (Posa il vassoio e comincia a disporre le tazze).

Armando    Va bene, Stella, va bene, lascia stare e calmati.

Federico     Poco fa non piangeva.

Stella         (piangendo) Perché non mi  ero  resa conto. (Versa il caffè) Ma ora sì... Ecco perché pian­go! Povero signor Cipriano, era tanto gentile, quando voleva...

Armando    Noi tutti l'amavamo, Stella.

Stella         (fra le lacrime)  Ma non come me!

Federico     (seccato)  Non come te, d'accordo. La­scia stare la caffettiera e vai a piangere in cucina!

Stella         (piange e versa il caffè)  Ho il diritto di piangere dove mi pare! Non c'è motivo che il signor Federico mi maltratti... per quel po' di tempo che mi resta...

Geltrude    (porgendo una tazza di caffè a Silvia)  Il tempo che ti resta per fare che?

Stella         (posando la caffettiera)  Per prendere il treno...

Geltrude    Cosa?

Stella         (a Maria)  Me ne vado. Restituisco il grembiale alla signorina... L'ho lasciato in cucina.

Federico     Come? Ah, no, ragazza mia, no, eh? Non vorrai piantarci così su due piedi in un mo­mento simile, ci mancherebbe anche questa!

Maria          Abbiamo bisogno di te, Stella.

Stella         Oh, lo so bene che rimpiangeranno tutti, ma non posso restare... Non posso sopportare tutto questo!

Maria          Cosa?

Stella         (in lacrime) Tutto!... Quel povero signor Cipriano stecchito di là nel suo studio... il carro funebre...

Federico     (esasperato)  Hai ragione, hai ragione, è meglio che ti levi dai piedi, con quella faccia idiota!

Stella         (piangendo) Grazie, il signore è troppo buono, lui mi capisce! Partirò alle undici.

Federico     Molto bene. Buonasera.

Geltrude    E fammi il piacere di rimettere in ordine la vecchia camera del signor Franco.

Stella         (stupita, incuriosita)— Vuol dire che il signor  Franco  torna  qui?

Federico     (aspro)  Ti dispiace?

Stella         Torna il signor Franco? (Scoppia in sin­ghiozzi) Non  voglio più andarmene...  non  voglio più... (Si precipita verso la porta dell'office).

Federico     (beve il caffè)  Questo caffè è schifoso!

Silvia          Fa parte del programma!

Geltrude    Prendine lo stesso un po' anche tu, Maria.

Maria          No, grazie.

Geltrude    (prendendo la tazza)  Allora, la tua tazza la dò alla piccola.

Federico     Non vorrai darle anche il caffè a quella ragazza? Sotto i miei occhi! Sotto il mio tetto!

Geltrude    (avviandosi verso Carolina)  E perché no?

Silvia          (posando la tazza sul vassoio) Sarebbe troppo comodo che proprio lei non bevesse questa brodaglia.

 

(Geltrude scuote Carolina per svegliarla. Carolina apre gli occhi e si ricompone, vergognosa di essersi addormentata).

Carolina    Oh, scusino... Mi ero... addormentata?

Geltrude    (sorridendo)  Già. Ecco qua un po' di caffè caldo.  Svelta! Inghiottitelo.

Carolina    No, no... grazie...

Maria          (senza alzare la voce)  Bevete quel caffè!

Carolina    (obbedendo)  Sì, signorina.  (Beve in fretta. Restituisce la tazza) Grazie...

Geltrude    Volete un toast?

Carolina    No, signora, grazie.

Maria          Ora, mia cognata vi condurrà in camera sua. Ci resterete fino a domattina.

Carolina    Io, signorina?

Maria          Avete qualche familiare da avvertire?

Carolina    Vivo sola.

Maria          Benone! Andate  a  dormire. Geltrude, accompagnala!

Carolina    Ma, signorina... La polizia...

Maria          Se la polizia avrà bisogno di voi, saprà dove trovarvi... Ma può anche darsi che non ne abbia bisogno. In tal caso, conto sulla vostra com­pleta discrezione. Avete contratto un grosso debito con noi. Lo pagherete, tacendo!

(Geltrude la con­duce verso la camera di Maria, la porta a sinistra al primo piano. Carolina non reagisce, le due don­ne escono di scena).

Armando    Non ti capisco, Maria. A meno che non ammetta la tesi della disgrazia, la polizia do­vrà pur trovare un colpevole.

Maria          Che me ne importa che trovi il colpevole, purché non scopra il movente.

Silvia          Sei impazzita? Quella ragazza non accetterà mai di falsare la verità. Soltanto dicendola, ha una probabilità di salvarsi.

Maria          Può darsi che non abbia modo di dirla!

Federico     Allora vorresti  inventare  un  altro assassino? E' roba da matti!

Armando    (lamentoso)  Vorrei un altro po' di caffè...

Silvia          (prendendo la caffettiera)  E' freddo.

Armando    Fa lo stesso.

(Silvia lo serve. Maria si è seduta. Federico passeggia nervosamente con le mani dietro la schiena, poi si ferma di colpo).

Federico     Ho capito.  Franco...  Hai pensato a Franco! Mio figlio...

(Si ode il rumore di una mo­tocicletta che si avvicina. Maria si alza).

Maria          C'è poco da scegliere.

(La motocicletta è vicinissima).

Federico     Ti proibisco...

Maria          (alzando la voce)  Sta' zitto!

Armando    (quasi gridando)  Ma, non hai il diritto di farlo!

Maria          (tenendo gli occhi sulla porta)  Che cosa è il diritto?

(Di colpo si fa silenzio. La motocicletta si è fermata. Tutti guardano la porta. Dopo un istante si apre bruscamente. Compare Franco Varescot. E' un giovane alto, di una trentina d'anni, Sottile ma robusto. E' male in arnese, con abiti lisi e scarpe malandate. E' spettinato, ha gli occhi vi­vaci, la bocca dura e mobile che sorride di conti­nuo.  Non è un sorriso  tranquillizzante.  Piantato sulla soglia fissa tutti per un attimo, poi sorride).

Franco        Bello spettacolo! A che gioco giocate?

(Silenzio. Senza voltarsi chiude la porta con una pedata)

Buongiorno!

Maria          Buongiorno.

(Pausa).

Federico     (impacciato)  Buongiorno. (Pausa).

Silvia          (dura)  Buongiorno.

Franco        Il ghiaccio è rotto.

(Geltrude rientra da sinistra, si ferma e guarda)

Ci mancava anche la brava zia Geltrude! Buongiorno, zia Geltrude!

Geltrude    Buongiorno, canaglia, come va?

Franco        (sorridendo)  Basta guardarmi!

Geltrude    (guardandolo)   Beh,  non  c'è  male. Un po' dimagrito.

Franco        Sono a regime. (Esamina tutti ancora una volta. Pausa. Prende le sigarette in tasca) Si direbbe che abbiate finito di spengere un incen­dio...  Nonno è a letto?

Maria          E' morto.

(Franco sussulta. La guarda, rimette lentamente il pacchetto in tasca).

Franco        Quando?

Maria          Poco fa.

Franco        Come?

Armando    Eh... uh... una...

Silvia          Una disgrazia...

Franco        (colpito)  Ah... poveraccio! (A Maria) Ti ringrazio di avermi avvertito così presto... E' in camera sua?

Maria          Nello studio. 

(Istintivamente Franco si volta verso la porta dello studio).

Franco        Posso?...

Maria          Ma certo... 

(Franco va verso la porta. L'apre ed entra. Nessuno si muove, non si guar­dano neanche, non fiatano.  Franco ricompare col viso duro e contratto, li fissa).

Franco        M'avete preso per un  idiota?  Ha  il viso graffiato, il colletto strappato. C'è stata una lotta.  E' un  delitto?

Maria          Sì.

Franco        Chi l'ha ucciso?

Maria          Tu!

(Franco non reagisce, sorride. Prende di nuovo il pacchetto delle sigarette, ne prende una, l'accende, cercando uno zolfanello nel taschino e sfregandolo contro lo schienale di una poltrona. Geltrude tossicchia innervosita dal suo gesto).

Franco        Divertente! (Butta il fiammifero) Co­mincio a vedere chiaro. Prenderei un po' di caffè.

Armando    E' freddo.

Franco        (si versa il caffè. Alza la testa verso gli altri)  Alla vostra salute, benché non ne abbiate bisogno! (Beve, fa una smorfia) Si vede che Stella è sempre in forma! (Vuota lo stesso la tazza e la riposa) Dunque, sono stato io ad uccidere il nonno?

Maria          Devi essere stato tu.

Franco        Vuoi che resti in famiglia? O devi sal­vare qualcuno?... Avanti, sputa!

Federico     Un momento!... Tengo a dichiararti, che io non c'entro per nulla in questa proposta! E neppure tua sorella!

Geltrude    Io la sento ora per la prima volta.

Armando    Ho già detto a Maria che disap­provo in pieno. Tengo a ripeterlo davanti a te.

Franco        (guarda Maria)  Dunque, è la zia Ma­chiavelli che ha fatto tutto da sola? Che cervello fino.

Maria          Bisogna che  tu  ti  accolli  questo  cri­mine, è la sola risorsa che ci resta!...

Franco        La sola che cosa?

Maria          La sola possibilità di sopravvivere!

Franco        Accidenti! Scomodiamo i nobili senti­menti!  (Scuote la cenere sul tappeto).

Geltrude    Metti la cenere nella ceneriera.

Franco        Scusa, zia Cenerentola, ma sono molto emozionato da questo ritorno in «famiglia»! 

(Va verso la consolle e con gesto meccanico senza guar­dare, prende un portacenere che è sempre stato in quel punto, poi va a sedersi su una poltrona con la ceneriera in mano, guarda Maria)

 

Chi è che ha fatto il « colpo »?

Maria          La sua segretaria!

Franco        Gabriella?

Maria          Questa si chiama Carolina.

Franco        L'onore è salvo! Mi sento meglio, continua!

Maria          Papà e la ragazza lavoravano spesso sino a tardi, ieri l'aveva fatta tornare per dettarle un pro­memoria per l'aggiudicazione di una importante for­nitura per l'esercito che siamo sul punto di ottenere.

Federico     Centoventicinquemila paia di scarpe!

Franco        (accennando)  Tanto di cappello!

Maria          Ce ne eravamo andati a letto come al solito, quando, verso le due, abbiamo udito un grido e ci siamo alzati. La porta dello studio si è aperta, la segretaria è comparsa annunciando che tuo nonno era morto perché lei lo aveva ucciso.

Franco        E perché?

(Silenzio imbarazzato. Maria stessa è incerta per un lungo momento. Poi guarda intorno gli altri come per chiedere soccorso).

Maria          Non lo ha ucciso con premeditazione; si è ribellata al tentativo del nonno di violentarla. Il nonno è caduto malamente. Ora sai come è morto papà. Una morte disonorante. Una morte che compromette tutto! Rovina tutto! La sua vita, la sua opera, il suo ricordo, il suo nome! Non vogliamo questa versione della sua morte!

Franco        E contate su di me per fornirvene una più accomodante?

Federico     Più presentabile... Dio solo sa quello che sto soffrendo, Franco, non ho dimenticato che sei mio figlio!

Franco        Bella cosa, la memoria!

Federico     Maria ha ragione. Tu solo puoi evi­tarci il peggio. S'intende, noi ti faremo avere i mi­gliori avvocati che ci siano... Il signor Balbin Latour, per esempio... Accetterà certamente.

Silvia          (ironica)  Con  gioia!  Franco è stato  il primo amante di sua moglie!

Federico     Ah, già, è vero... Ebbene, allora... Il signor Duplantin. E' considerato uno dei migliori...  (Inquieto) Non hai mai avuto a che fare con Duplantin?

Franco        Gli ho venduto dei francobolli.

Federico     Ahi!...

Franco        Veri.

Federico     (respirando)  Bene!

Franco        (sospirando)  Da giovani, si è stupidi!

Federico     Il signor Duplantin, assumerà la tua difesa. Se occorre prenderemo anche il giovane avvocato Martinet... Se ne parla molto. E' molto quotato e influente... Insomma, faremo tutto nel mi­gliore dei modi... Eppoi ci saranno le nostre testi­monianze,  s'intende!

Franco        Alzate la destra e dite: « Lo giuro! ».

Silvia          I parenti dell'accusato non fanno giuramento!

Federico     Non mentiremo... dichiareremo sem­plicemente che eri venuto da tuo nonno per... per esempio, per chiedergli i conti che ti doveva alla tua maggiore età e che non ti aveva mai voluto rendere...

Franco        Neanche tu, del resto.

Federico     Avete discusso... Legalmente, tu eri nel tuo diritto... Ma papà non ha mai avuto un carat­tere facile... si è arrabbiato, ti ha minacciato... forse picchiato! Tu l'hai respinto...  ed è caduto!  Ecco. E' un assassinio, ma accidentale... E non ha carat­tere infamante... (A Maria) Credo di aver interpre­tato il tuo pensiero?

Maria          Sì.

Franco        (distratto) La caduta ha provocato la morte. Niente premeditazione. Circostanze attenuanti. Un anno di prigione.

Silvia          Almeno!

Franco        Grazie.

Maria          Non rischieresti molto, e noi saremo tutti uniti per sostenerti. L'imbroglio è facile. In paese si sa che hai lasciato la casa otto anni fa in seguito a una scenata col nonno e si sa anche che era un uomo molto autoritario... violento... a volte persino brutale...

Franco        (sorridendo)  E  da cinque minuti sul suo scrittoio ci sono anche le mie impronte digi­tali... Tutto perfettamente congegnato...

Maria          Mi rendo conto che ti facciamo una pro­posta che può sembrare abominevole...

Franco        (sorridendo)  Piuttosto schifosa...

Maria          O  tu,  o  noi!   Noi   tutti!   E  Dio  mi  è testimonio che non sto difendendo il nostro denaro, ma il nostro amor proprio...  Me ne infischio dell'ordinazione   dell'esercito,   della   Legione   d'onore di  tuo  padre  e  dell'avvenire  politico di  Gilberto! Il nome. Il nostro nome!

Franco        Il vostro nome!

Federico     E il tuo! Sei un Varescot!

Franco        (candido)  Io? Mi avete dato cinquecento­mila franchi per rinunciarci!

Maria          Sei tu ad avere il coltello dalla parte del manico. Scusami Franco, sono molto stanca.

(Silenzio. Franco guarda la sigaretta che gli si sta consumando fra le dita. Sorride).

Franco        Essere o non essere l'assassino del pro­prio nonno? Duecentomila paia di scarpe, i voti di mio cognato, la Legion d'onore di mio padre, da un lato... e dall'altro? Niente! Il povero Franco!...

Silvia          Inutile dirti che non saremo ingrati...

Franco        Davvero?...

Silvia          Una volta finita questa prova, prenderemo tutte le disposizioni necessarie per farti una vita comoda... non qui, si intende, non in questa casa... Ma altrove. All'estero, per esempio. Non sarai da compiangere, te l'assicuro...

Franco        (ridendo)  Ecco la tanto attesa parola! Dopo l'eroismo, la mangiatoria! Ti riconosco, fami­gliola mia! (Getta il mozzicone per terra, lo schiac­cia col piede, e si ficca le mani in tasca) Per me, potete crepare!

Federico     Franco!

Geltrude    Bravo!

Silvia          Trucchi! Per far salire il prezzo!

Franco        (guarda Silvia)  Quanto tempo è che non hai preso un paio di ceffoni, sorellina?

Geltrude    Una  settimana  fa,  e  solenni!   Ba­stano per quindici giorni.

Franco        Peccato! E ora, buonasera a tutti! (Va alla porta).

Maria          E' la tua ultima parola?

Franco        (voltandosi)  Ci tieni tanto a sentirne un'altra?

Maria          Ma è una ragazzina, Franco...

Franco        Chi?

Maria          Quella che andrà in  prigione  al  tuo posto!

Franco        Al mio posto?

Maria          Ha ventidue anni.

Franco        Ne prenderà uno.

Maria          Tu, non rischi niente.  Noi otterremo l'assoluzione. Ma per lei è diverso. Non faremo un solo gesto per salvarla!

Franco        Stai recitando un melodramma?

Maria          Se stesse per annegare, forse, rischieresti la pelle per salvarla.

Franco        E' un'altra cosa. (Sorridendo) Hai finito? Non hai altre corde al tuo arco?

Armando     Non   insistere,   Maria...   E'   troppo penoso.

Silvia          Non ci butteremo in ginocchio davanti a lui, eh?

Franco        (divertito)  Eh, eh... E chi lo sa? Tutti i Varescot ai miei piedi... In tal caso, non so se resisterei... Chi comincia?...

Federico     (furente)  Levati dai...

Maria          Vattene, Franco! Geltrude, sveglia quel­la ragazza, bisogna farla finita.

(Franco guarda incu­riosito mentre Geltrude va verso la porta. Ma que­sta si apre prima che ella vi sia giunta e Carolina compare).

Carolina    Inutile. Non dormivo.

Maria          (a Carolina)  Allora, sapete già tutto?

Carolina    No, signorina. (Guarda Franco) Vor­rei che se ne andasse da qui senza rimorso, signore. Si è cercato di addossarle un assassinio di cui tengo ad assumermi tutta la responsabilità. Non ho mai chiesto la pietà di nessuno. Lei è stato molto gentile.

Franco        Ma per carità...

Carolina    (a Maria)  Vorrei che si telefonasse subito alla polizia.

Maria          Telefonate voi stessa.

(Pausa. Carolina esita; guarda il telefono)

Joillac, numero quattro.

(Nuova esitazione di Carolina, quasi impercettibile. Tutti la guardano, salvo Maria che guarda Franco. Carolina gira la manovella. Porta il ricevitore all'orecchio).

Carolina    Ufficio Postale?... Vorrei il...

Franco        (si avvicina rapidissimo. Prende il ricevi­tore e spinge in là Carolina per parlare lui)  C'è uno sbaglio, signorina... Scusi tanto, dorma pure!

(Riattacca. Sorride, si volta verso Maria)

Va bene. Accetto. Scaltra, la zia Maria!

Maria          (dolcemente)  Grazie, Franco.

Federico     Grazie, figliolo...

Geltrude    Grazie, imbecille...

(Carolina li ha guardati uno per uno. Poi si volge a Franco).

Carolina    Non la capisco... che cosa significa?

Franco        Significa che sono un cretino! Torni a dormire e sogni d'oro!

Carolina    (che capisce)  Cosa? Ma sono io la colpevole!

Franco        Mi spiace, ma i Varescot si ammazzano fra di loro, mia cara.

Carolina    E lei crede che io potrò sopportare una cosa simile? Che un altro venga punito al mio posto?

Franco        Punito? Ma neanche per sogno! Ot­terranno l'assoluzione.  Hanno  tutti l'interesse  ad ottenerla... Eppoi, mi adorano, tutti quanti! Avanti, ragazzina, a letto e pensa ad altro.

Carolina    No!  Aspetterò la polizia e parlerò! Dirò che...

Franco        (secco)  Chiudi il becco! Lasciaci lavare i panni sporchi in famiglia, capito? E non pren­dermi per un eroe. Gliela faccio pagare cara!

Carolina    Lei mentisce!

Franco        Ho bisogno di denaro. Mi lasci fare.

Carolina    (che lo ha sempre fissato intensamente)  Non la credo... non la credo.

Franco        Ho tanti di quei pasticci che al fresco debbo finirci lo stesso. Tanto vale...

 

(Carolina lo guarda ancora un attimo, poi si volta senza dire una parola e ritorna in camera. La porta è sbattuta con violenza)

E' molto graziosa, la piccola!

Federico     (severo)  Franco, lascia che ti dica che il tuo magnifico gesto ci procura un'emozione pro­fondissima!  Non lo dimenticheremo mai!

Franco        Sicuro, cinque milioni!

Federico     Cinque milioni. Cosa?

Franco        Cinque milioni in contanti, prezzo di favore!

Silvia          Potresti adoperare termini meno umi­lianti. Credi di venderci una motocicletta?

Federico     Ti dò la mia parola, che non ci rifiu­tiamo di trattare un giusto compenso al tuo sacri­ficio. Ma cinque milioni... Cinque milioni... Dove diavolo vuoi che li prendiamo?

Franco        (freddo)  Cinque milioni a testa, si capisce.

Federico     (sussulta)  Cosa? Come? A testa? Sei impazzito?

Franco        Cinque milioni tu, cinque Gilberto e Silvia, cinque zia Maria... non voglio un soldo dallo zio Armando. E' il mio invitato d'onore.

Armando    Ma no, Franco! Tengo a partecipare anch'io...

Franco        Tienti i tuoi soldi!

Armando    Ma perché?

Franco        Da te non mi divertirebbe!

Federico     Ascolta, sii ragionevole!  Sai quanto abbiamo dovuto investire per modernizzare lo sta­bilimento? Quello di Joillac? Più di quaranta mi­lioni! Abbiamo fatto venire dall'estero duecento cuci­trici elettriche, altrettante tagliatrici, altrettanti sup­porti. Senza contare che si è dovuto rifare tutto il reparto imballaggio.

Franco        Mi vuoi commuovere! (Guardando l'oro­logio) Vi dò due minuti!

Federico     Ti ripeto che così ci rovini!

Silvia          E' un ricatto!

Franco        E che vi aspettavate? Dei fuochi d'arti­ficio? Dunque, sì o no?

Maria          Sì.

Federico     Maria!

Maria          (a Franco) Sbrighiamoci a farla finita. Vorrai tutte le carte in regola, naturalmente! Non ci sarà tempo per redigerle. La mia parola ti basta?

Franco        La tua parola? Sì. C'è dell'altro, zia Maria. Voglio anche la Boutiere.

Maria          (lentamente)  La Boutiere?... Vuoi anche quella?

Armando    (con rimprovero)  Franco...

Geltrude    E perché?... E' una capanna nel bo­sco. Non vale nulla! Sai bene quanto ci sia attac­cata Maria. C'è nata.

Franco        Voglio la Boutiere.

Maria          Te la dò.

Silvia          Se fossi un uomo gli romperei il muso!

Franco        Telefona a tuo marito!  (Silenzio, sor­ride) E ora è fatta. Potete andare a letto.

Federico     Andare a letto? Deve venire la poli­zia... Sarebbe più conveniente...

Franco        Ho ancora qualche dettaglio da regolare con zia Maria. Voi pagherete, non c'è più bisogno della vostra opera. Buonasera..

Federico     Ma...

Franco        Vi sveglieremo per la girandola finale. (Si guardano). 

(Pausa).

Federico     Bene...  Del resto, abbiamo tutti bi­sogno di riposare. A più tardi, Franco.

Armando    A fra poco, ragazzo mio.

Geltrude    Non   vuoi  che  ti  faccia  fare  un caffè caldo?

Franco        (sorridendo)  Grazie.  Mi basta quello che ho preso!

Geltrude   Allora, abbracciami...   (Si  abbrac­ciano)  Non mi abbracci più come una volta...

Franco        (duro) Mancanza di  esercizio...  Buo­nasera.

(Vanno nei loro rispettivi appartamenti. Ar­mando e Geltrude verso la porta di sinistra. Federico e Silvia al primo piano. Salgono la scala)

Devo fare delle scuse a Gilberto.

Silvia          Non è possibile!

Franco        Sì, mi sono dovuto buttare col paraca­dute anch'io. L'anno scorso, in Africa... E' molto gradevole. Ho pensato molto a lui.

Silvia          Meglio di niente.

(Monta uno scalino, Geltrude apre la porta della sua stanza).

Federico     (sulla scala)  Franco... (Franco lo guar­da, gli altri anche) Inutile che ti dica quanto mi dispiaccia che la nostra conversazione si sia svolta in una atmosfera... così penosa... Comunque, voglio ringraziarti dell'immenso servizio che ci rendi...

Franco        (freddo)  Il servizio è compreso.

(Non c'è altro da dire. Tutti escono di scena e Franco e Maria restano soli. Maria si è seduta in una pol­trona. Ha appoggiato la testa allo schienale e tiene gli occhi chiusi. Franco affonda le mani in tasca e la guarda mettendosi a fischiettare. E' un gesto che somiglia a quello di Isabella. Silenzio).

Maria          (dolcemente)  Se hai voglia di piangere, sei libero di farlo.

Franco        Voglia di piangere, io? Lo credi sul serio?

Maria          Sì.

Franco        Non ne ho voglia! Ho voglia di gridare per quanto mi disgustate e per lo schifo che mi faccio. Ecco.

Maria          E' la stessa cosa.

(Franco scrolla le spalle. Accende una sigaretta).

Franco        E' sempre Legrand, il poliziotto di Joillac?

Maria          Sì.

Franco        Oh, sono contento di rivederlo... Se è possibile non lo chiamare subito. Vorrei proprio dormire un paio d'ore prima di andare sulla paglia.

Maria          La tua camera è pronta. Lo riceverò io, Legrand. Forse riuscirò a fargli accettare la tesi della morte accidentale. Sarebbe la soluzione migliore.

Franco        E la più economica.

Maria          La meno scandalosa. Ci tieni tanto ad essere accusato di omicidio?

Franco        Per quindici milioni, sai? (Scuote la ce­nere) Quel poveraccio di Legrand è capace di chiu­dere un occhio e inghiottire la tua storiella addo­mesticata. (Ride).

Maria          (neutra)  Va' a riposare, Franco.

Franco        Povero Legrand...   (Schiaccia la siga­retta) Cascare proprio su una Varescot! (Va verso la scala e si volta) Tu rimani?

Maria          (con un'occhiata allo studio di Cipriano) Bisogna pure che qualcuno resti. Geltrude mi rim­piazzerà più tardi, vado a vestirmi.

Franco        Sei un brav'uomo, zia Maria.

Maria          Me l'hanno già detto.

(Franco sale qualche gradino, poi si volta).

Franco        Naturalmente, puoi tenerti la Bouterie. Non la voglio. E' stato solo per caricare la dose.

Maria          Lo so. Grazie, Franco.

Franco        Ma per i soldi è un'altra faccenda. Mi servono. Vendono l'albergo dei Due Piccioni: è un ottimo affare. Eppoi, sarà facile vederci, è vicino... (Ride) Come mi trovi.

Maria          (calma)  Ignobile!

Franco        Sono soddisfatto di me. (Finisce di sa­lire la scala, e sparisce fischiettando).

(Si ode sbattere la porta. Maria si alza, va verso lo studio, apre, entra).

ATTO  SECONDO

La stessa scena. Quattro ore dopo. Prima che si alzi il sipario si ode, come al primo tempo, l'oro­logio che suona. Sono le sette. Al levarsi del sipa­rio Maria è addormentata su una poltrona a sini­stra: è vestita e dalle sue mani aperte posate nel grembo è scivolato un libro che giace a terra. Dopo un istante Stella entra dalla porta che conduce nell'office, va verso Maria, la scuote.

Stella         Signorina... signorina...

(Maria si sveglia bruscamente).

Maria          Che ore sono?

Stella         Le sette. Sono suonate ora. C'è il signor Legrand.

Maria          (si alza)  Devi dire il signor commissario Legrand.

Stella         Va bene, è di là. Gli ho detto che andavo a vedere...

Maria          Non ha parlato con nessuno? (Stella scuote il capo) Non gli hai detto nulla? (Stesso gesto di Stella) Non aveva l'aria sorpresa? (Stella fa cenno di no) Bene. Fallo entrare qui. Hai comin­ciato a pulire il corridoio?

Stella         Lo sto facendo.

Maria          Quando avrai finito passa l'aspiratore nelle stanze superiori. Mia cognata non ha tempo, e non dimenticare di mettere a bagno la biancheria.

Stella         (urtata)  La biancheria? Non vorrà che mi occupi della biancheria in una giornata simile!

Maria          (secca)  E perché?

Stella         Ma, non so... Il signore è morto.

Maria          Questo non ti impedisce di fare il bucato.

Stella         Oh, ma allora non cambia nulla!

Maria          Fai entrare il commissario Legrand!

(Stella sospira e va verso la porta di fondo.  Si volta prima di uscire).

Stella         E il signorino Franco? Sta bene?

(Maria non risponde. Stella esce. Maria va rapidamente verso uno specchio e si accomoda i capelli. La porta di fondo si apre, Maria si volta di scatto, un po' troppo bruscamente. Legrand entra. E' un uomo di una cinquantina d'anni, solidamente costruito e dal viso rude. La sua origine paesana si rivela in ogni suo gesto. E' mal vestito, i pantaloni hanno le ginocchiere, la giacca è costellata di macchie, le scarpe sono polverose, la cravatta è viale annodata e il colletto è troppo stretto. Ciononostante, è un uomo seducente che non manca di un certo tono. Guarda Maria sorridendo. Richiude dolcemente la porta sempre seguitando a guardarla).

Maria          Buongiorno, Legrand.

Legrand      (andando verso di lei)  Buongiorno, Maria.

(Si stringono la mano).

Maria          Mi deve scusare se l'ho fatta venire così presto. Chissà che accidenti mi avrà mandato!

Legrand      Oh, non è più presto del solito. Sarei dovuto arrivare un'ora fa, ma ho avuto una panne uscendo da Joillac. La mia caffettiera ci teneva a festeggiare la sua maggiore età. Ha fatto ventun anni ieri. (Siede).

Maria          (in piedi)  Stanco?

Legrand      Ho passato la notte a Limoges. C'era il banchetto annuale della polizia.  Il nuovo pre­fetto aveva preparato un discorso coi fiocchi. Ci ha detto che siamo le colonne della società... Si è bevuto molto per cercare di dimenticarlo...

Maria          A che ora si è coricato?

Legrand      Non sono andato a letto! Devo avere una grinta... Anche lei non scherza.  Ha dormito male?

Maria          (in piedi)  Molto male.

Legrand      Alla nostra età, ce ne accorgiamo subito.

Maria          Una tazza di caffè?

Legrand      Grazie.  Lo conosco  il  vostro caffè.

Maria          Preferisce un bicchiere di vino rosso? Non cerchi di umiliarmi.

Legrand      Non voglio nulla.  Per essere felice mi basta la sua presenza.

(Si mette la pipa in bocca e l'accende con cura. Maria siede).

Maria          Si sarà chiesto perché l'ho fatta venire qui.

Legrand      Probabilmente perché avrà bisogno di me. Furto di scarpe o qualcosa del genere.

Maria          (si decide) Lei mi è amico, Legrand?

Legrand      No, di certo!

Maria          No?

Legrand      Io l'amo!

Maria          E allora?

Legrand      Sono venticinque anni che l'amo, Maria, e circa quindici che mi disgusto.

Maria          E come fa?

Legrand      Come posso! Penso a lei. L'aspetto, la spio, faccio la figura dello scemo del villaggio... La domenica arrivo per primo in chiesa, per ve­derla entrare, ed esco sempre per primo, per ve­derla uscire. Divertente, vero?... Un tipo che vo­lesse scrivere la mia biografia se la caverebbe con due date e il suo nome in mezzo. E vorrebbe an­che che le fossi amico. Lei chiede troppo!

Maria          Le giuro che ha scelto un brutto mo­mento per farmi la corte!

Legrand      Non so che farci! Ma non serve a niente. Non ho la minima speranza e sono infelice. E il buffo è che anche lei, Maria, non è felice, e il tempo passa. Passa per tutti e due!

Maria          Legrand!

Legrand      Legrand! Legrand! No, eh!

(Si alza)

Cosa vorrebbe farmi credere, Maria? Che la scan­dalizzo? Le mie confidenze la disgustano? E per­ché le provoca? Oh, non con le parole, si capisce! Ma con dei piccoli, abili trucchi! Dei vestiti nuovi, dei sorrisi, dei profumi, degli sguardi, dei silenzi! E' la sua maniera di fare all'amore? Ma almeno, non mi prenda per un imbecille!

Maria          Avrei fatto meglio a dirle subito perché l'ho fatta venire. Le avrei evitato quest'uscita tanto ridicola! Papà è morto!

Legrand      Tanto meglio! Se lui non fosse esi­stito, lei sarebbe mia moglie da vent'anni!

Maria          No.

Legrand      E' riuscito a schiacciare anche lei co­me ha fatto con tutti gli altri: Federico, Armando, Geltrude, Silvia. Non cambia nulla che sia morto! Lei, da sola, non ha neanche più la forza di respirare.

Maria          Io! Sempre io!

Legrand      Del resto me ne infischio! E' morto a ottantatré anni! Non amava nessuno e nessuno lo  amava! Neanche lei, Maria!

Maria          Papà era al disopra dell'amore!

Legrand      Conosco il ritornello! Il grande, l'im­menso Cipriano! Povero operaio a vent'anni, impe­ratore del cuoio a cinquanta. Bravo! Varescot, l'uo­mo che calza le cinque parti del mondo!... Com­preso il povero Legrand! (Si guarda le scarpe) E male,  per giunta!

Maria          (paziente)  Quando avrà finito...

Legrand      Io ho finito! E anche lui! E non era il caso di  farmi venire alle sette di mattina per darmi la notizia! E' una buona notizia, ma poteva aspettare!

Maria          Se mi permettesse di dire una parola...

Legrand      Vuole sapere cosa mi disse il giorno che sono andato a chiedergli la sua mano?

Maria          E'  andato  a  chiedergli la  mia  mano?

Legrand      Come un vero cretino!

Maria          Povero Legrand!

Legrand      Mi disse :   « Allora, gendarme, ti vor­resti pappare una Varescot? ». E rideva.

Maria          (glaciale) — E ha rifiutato?

Legrand      Rideva troppo. E ora, vado a dormire. Lo rivedrò in chiesa, se il curato lo farà entrare. Già... dimenticavo che è stato lui a regalare le cam­pane! Buongiorno, Maria, le faccio le mie condoglianze.

Maria          Resti. La sua presenza mi è necessaria.

Legrand      E perché?

Maria          Papà non è morto di morte naturale!

Legrand      No?... Ah! E' troppo bello! Si è rotto il muso?

Maria          (secca)  E' stato vittima di una disgrazia.

Legrand      E' caduto per le scale?

Maria          No. Nel suo studio. Questa notte, verso le due.  Ha urtato contro il caminetto.  Ha perso molto sangue. Credevo che date le circostanze ci volesse la  constatazione della polizia.

Legrand      Sì e no...  Nel caso un  medico può bastare... (La guarda) E' strano che abbia pensato prima alla polizia.

Maria          Ho pensato a lei.

Legrand      Sì... sì... E' stato rimosso il cadavere?

Maria          No.

Legrand      Anche questo è strano... Perché?

Maria          Papà era morto. Ho chiuso la porta a chiave. Credevo di aver fatto bene.

Legrand      Molto bene... In generale la gente non pensa a tutte queste cose... Ma grazie a Dio, lei non perde la testa! Era solo quando è morto?

Maria          Sì. La sua segretaria l'aveva lasciato verso mezzanotte. Ora è qui. La vuole vedere?

Legrand      La conosco, grazie. Una bella ragazzina. Va in motocicletta?

Maria          Cosa?

Legrand      C'è una motocicletta davanti al portico...

Maria (dopo una breve esitazione)  E' di Franco.

Legrand      Franco?... E' ritornato?... Quando?

Maria          Stanotte. Vuole dare un'occhiata nello studio?

Legrand      Naturalmente.

Maria          L'accompagno.

(Prende la chiave. La por­ta dell'office si apre e compare sulla soglia Stella, con l'aspirapolvere).

Stella         Venivo per spolverare.

Maria          Noi andiamo di là. Hai portato le colazioni?

Stella         Non tutte. Ho due braccia sole!

Maria          Per quel che fai sono sufficienti. An­diamo, Legrand.

(Escono di scena, chiudendo la porta alle loro spalle. Stella attacca l'aspirapolvere a una presa. Comincia a passare la spazzola sul pavimento, mentre canticchia. Dalla porta della sua stanza compare Franco, che sorride guardando Stella. Quando lei si volta e lo vede, lascia l'aspi­rapolvere).

Stella         (felice) Signor Franco!

Franco        (dandole la mano)  Buongiorno, fedele ancella!

Stella         (felice)  Signor Franco!  (Gli stringe la mano) Che impressione rivederla! Dopo otto anni! Aspetti che fermo questa macchina. (Stacca il con­tatto) Rivedendola, sono rimasta senza fiato!

Franco        Non sapevi che ero ritornato?

Stella         Sì, ma mi ha scombussolato lo stesso, come per la fine del povero signor Cipriano! Chi l'avrebbe detto? Un uomo che si beveva ancora i suoi due litri al giorno!... (Confidenziale) Sembra che sia morto per una spinta... Ma non so proprio chi possa essere stato!... Non mi dicono mai niente a me!

Franco        Sono stato io!

Stella         Lei? (Lo guarda sbalordita) Oh, signor Franco! (Ride) Scherza! Ha gli occhi che ridono!

Franco        Si sbagliano! Sono stato proprio io. Un gesto disgraziatissimo!

Stella         Ma se era già morto quando lei non era ancora arrivato! L'avrei vista quando sono en­trata a portare il caffè!

Franco        Ero in camera di zia Maria.

Stella         Allora è stato lei? Ma come è successo? E' orribile!

Franco        Ci stavamo picchiando!

Stella         Ancora? Che famiglia! E si picchiavano per la stessa Faccenda dell'altra volta?

Franco        No. Faccende di soldi!

Stella         E' più brutto! Se la ricorda la prima volta? Che paura ne ebbi. Aspetta un po', gridava il signor Cipriano, aspetta un po' maledetto spor­caccione! Ti insegno io ad andare a letto con la serva! E bang e bing! Giù colpi di bastone! Fino a quando lei gli fece un occhio nero!

Franco        (sorridendo)  E lui mi dette un cazzotto che mi fece ruzzolare dalle scale! A settantacinque anni, era un bel colpo.

Stella         Gliel'avevo detto di andarsene prima di mezzanotte. Era l'ora del signor Cipriano! Ma lei, niente! (Sorride) Erano bei tempi! E quando lei se n'è andato non è stato divertente, glielo dico io!

Franco        Ah, sì?

Stella         (malinconica)  Non ho più visto nes­suno! Il signor Cipriano mi teneva il broncio. Stavo per cercarmi un altro posto! Eppoi, piano piano, tutto si è aggiustato... E ora, ecco che anche lei è qui... (Poi ricordandosi) Oh, Dio! M'ero scordata! Quel Legrand è arrivato! Bisogna che scappi, signor Franco! Presto! Presto! Passi dalla cucina!

Franco        Grazie. Ho deciso di andare in prigione.

Stella         Cosa? Un Varescot in prigione! Que­sta poi! Lei sarà il primo!

Franco        Bisogna pure che sia qualcuno a comin­ciare! Però, ti vorrei chiedere un piacere.  Ascol­tami. Può darsi che durante il processo tu venga chiamata a testimoniare. Il presidente ti domanderà senza dubbio di ripetere quello che sai di nonno, di me, delle nostre storie di famiglia, eccetera.

Stella         Allora, ne sentirà delle belle!

Franco        Appunto! E' per questo che voglio che tu non parli! Non sai niente. Non dirai niente. Soprattutto per quello che riguarda il motivo della mia lite col nonno. Bocca chiusa. Farai l'idiota!

Stella         Bene, signor Franco. Cercherò. Ma perché?

Franco        Credo che al nonno non avrebbe fatto piacere che si sapesse...

Stella         Sì, signor Franco. Ma non si immagina che effetto mi fa, pensare che quel sudicio gen­darme... (Scuotendo il capo) Sento che romperò qualcosa... (Cambiando tono) Ma ora, devo andare a pulire le altre stanze...

Franco        Brava Stella! Eri l'angelo del focolare!

(La porta di fondo si apre e Geltrude compare. E' vestita di nero e porta un vassoio con una tazza dì caffè e latte e due brioches).

Geltrude    Ebbene, Stella? Non hai ancora finito?

Stella         Proprio ora, signora Geltrude. Stavo andandomene.

Geltrude    (posa il vassoio sulla tavola) Vai a fare il salone ora. Sbrigati. Il personale della fab­brica invierà certamente una deputazione per  il povero signor Varescot! Bisogna che tutta la casa sia in ordine per le undici!

Stella         Per le undici? (Esce brontolando).

Geltrude    Una vera talpa quella ragazza! Beh, ragazzo mio, sei riuscito a dormire un poco?

Franco        Ma benone!  Il  sonno di  chi ha la coscienza tranquilla!

Geltrude    (urtata) Oh, Franco! (Rendendosi conto) Con tutti i vostri imbrogli non capisco più dove sia la verità... Su, mangia.

(Franco si siede e fa colazione)

Maria è di là col commissario. Ha telefonato al dottor Lapiau. Ho i nervi scoperti, figliolo mio! Quel Legrand che fruga ovunque masticando la pipa; Maria, pallida da far paura, le camere ancora da rifare alle sette del mattino... E Armando che non ha una sola cravatta nera!

Franco        Vi ho procurato un sacco di noie.

Geltrude    (si siede)  Neanche una cravatta nera! Mi domando a cosa pensi! Ora è andato a Limoges con la macchina, ne approfitterà anche per portare a casa Gilberto.

Franco        (mangiando) Ecco, cosa mancava alla mia felicità. Gilberto!

Geltrude    Silvia mi aveva detto di chiamarlo al telefono. Ce n'è voluto per trovarlo! Sta for­mando i suoi Comitati elettorali nei villaggi dei dintorni. Quando gli ho detto del tuo povero nonno... avresti dovuto sentirlo! Ha detto persino una parolaccia!

Franco        Eh, sai... il dolore...

Geltrude    Non  essere troppo aspro. Forse è stato proprio Cipriano che non ha saputo meritare le nostre lacrime. Vedi, il dolore dei vivi è la ricom­pensa dei morti. Mangia ancora una brioche.

Franco        Grazie. E' meglio che non mi abitui male.

Geltrude    Sì... Almeno se quella storiella della disgrazia funzionasse.

Franco        Perderei di colpo quindici milioni.

Geltrude    (guardandolo)  Povero figliolo, quanti sforzi fai per cercare di essere cattivo.

Franco        (aspro)  Non ti fare troppe illusioni. Sono cattivo. (Si alza) Se non lo fossi diventato sarei morto. E' stata una trasformazione spontanea, colpa delle scarpe sfondate, delle notti all'aperto, dei giorni senza pane. Forse, cominciò la sera che fui cacciato di casa e piombai di colpo nella mi­seria. Comunque, è fatta. E non mi rompere le scatole con la grandezza d'animo! Ho avuto la grana e me la tengo.

Geltrude    (placida)  Hai ragione! (Si alza) Non vuoi altro?

Franco        Grazie. L'amministrazione penitenziale penserà al resto.

Geltrude    Tuo padre e tua sorella vorrebbero vederti per cinque minuti. Accetti?

Franco        Hanno bisogno di un lasciapassare?

Geltrude    C'è anche qualcun altro che avrebbe piacere di parlarti... La piccola, sai?

Franco        Quale piccola?

Geltrude    (con un sorriso benevolo) — L'assassina.

Franco        Perché?... Le interessa tanto vedermi?

Geltrude    Credo che abbia visto ben poco, quella poveretta. Allora?

Franco        Va bene. Il signor Franco Varescot, riceve.

Geltrude    (guardandolo) — Ma credo che sare­sti più presentabile con la cravatta. Vuoi che te ne dia una di Armando?

Franco        Ma no! In prigione la tolgono.

                     (Entra Isabella)

Isabella     Zio Franco!

Franco        (voltandosi)  Isa!

(Ella corre verso di lui. E' vestita di nero. Gli si butta al collo)

Buon­giorno, viperetta!

Isabella     Sono contenta di vederti, zio Franco. Mamma me lo aveva proibito, ma io disobbedisco sempre, lo sai. Stai bene?

Franco        Sì.

Isabella     Aspetta! Ti ho portato qualcosa! (Esce dalla porta di sinistra e ritorna subito portando una ciotola di caffè latte e due brioches) Tieni! Sono sicura che non ci aveva pensato nessuno!

Franco        Ma sai, non ho fame...

Isabella     Bevi almeno il caffè e latte per farmi piacere! Ci ho messo un bel po' di zucchero!

Franco        (fa una smorfia)  Benone. (Eroicamente inghiotte il caffè e latte e restituisce la tazza) Ottimo.

Isabella     Nasconditi le brioches in tasca, le mangerai in  prigione.

Franco        Buona idea. (Eseguisce) Come fai a sapere che andrò in prigione?

Isabella     Stanotte, mamma ne parlava con il nonno Federico. Ha detto anche : « Pensa che per la stessa somma sarebbe andato a Cajenna. E' un duro ». Che significa?

Franco        Tua madre è deliziosa. Significa che non mi può soffrire.

Isabella     Mamma ha detto che mi picchierà di santa ragione se non dico al commissario che sei stato tu a dargli una spinta e ad ammazzare il vec­chio Cipriano. Ma non è vero!

Franco        Non discutere. Devi ubbidire a tua madre e basta!

Isabella     E' la signorina Carolina che ha dato una spinta al nonno! Pare che la volesse violen­tare! Che cosa significa esattamente?

Franco        Se insisti, significherà una buona sculacciata.

Isabella     Beh, guarderò nel dizionario.

(Bussano timidamente alla porta di fondo. Appare Caro­lina. E' vestita come la sera prima ma porta una blusa di Maria. Esita sulla soglia).

Carolina    Oh, scusi! Disturbo... La signora Geltrude mi aveva detto...

Franco        Ma avanti! Avanti!... (A Isabella) Isa, se tu fossi così gentile di...

Isabella     Sì, zio Franco. Vuoi che vada ad ascoltare dall'altra porta per sentire cosa dicono nello studio?

Franco        Benone. Grazie tante!

Isabella     Ti rivedrò vero?  Non  andrai mica in prigione senza salutarmi?

Franco        Ci mancherebbe altro. Fila!

Isabella     A fra poco, zio Franco. (Va verso la porta, guarda Carolina) E' carina, vero?

Franco        No! Levati dai piedi! 

(Isabella ride e se la squaglia chiudendo la porta. Franco guarda Carolina e con freddezza dice) 

Non  è vero.  Sei molto carina!

Carolina    (interdetta)  Grazie.

Franco        Non è merito mio. Che hai da dirmi?

Carolina    Ecco... (china il capo e tace).

Franco        Siediti.

Carolina    Volevo ringraziarla!

Franco        (secco)  Grazie.

Carolina    (animandosi)  Oh, non così... non così... stupidamente... con altre parole che avevo pensato... che mi erano venute spontanee... ma lei mi ha guardato ed io... (Scuote il capo) Le chiedo scusa...

Franco        (sorridendo)  Hai dimenticato il tuo di­scorsetto?... Caro salvatore, oggi è la tua festa... Credi, sarebbe una seccatura. Non hai obblighi. Le prigioni sono state inventate per i tipi come me... Sono un duro, io!

Carolina    Ho una grande vergogna e una grande paura...

Franco        Sono due sentimenti contrastanti. Non ci aggiungere anche la gratitudine! Del resto, io ti privo di una grande popolarità negli ambienti mondani... ma sì! Saresti stata assolta fra gli ap­plausi dei giurati e il tuo grazioso volto di eroina sarebbe comparso sulle prime pagine dei giornali ed avrebbe fatto migliore impressione del mio. Non ho la faccia di un innocente.

Carolina    (dolcemente)  Perché parla come lui?

Franco        Come chi?

Carolina    Le stesse parole che feriscono... lo stesso desiderio di fare del male... di avvilire tutto... gli stessi occhi...

Franco        Ma di chi stai parlando?

(Carolina tace e china il capo. Franco fa un fosso verso di lei)

Di mio nonno?

Carolina    (accenna)  Sì...

Franco        Allora, trovi che gli somiglio?

Carolina    Sì...

Franco        Grazie... non mi manca proprio nulla! (Pausa) Gli somiglio tanto?

Carolina    (guardandolo)  Non sempre...

Franco        Meno male!

Carolina    Gli somiglia quando è cattivo. Poco fa, era identico a lui...

Franco        (ironico)  T'ha fatto una certa impressione, eh?

Carolina    (scoppiando  in  lacrime)  Oh!  Basta! Basta! (Cade su una sedia, la testa fra le mani).

Franco        (la guarda, scuote il capo e si avvicina a lei)  Non piangere, su... mi metti  addosso il complesso di inferiorità e ti giuro che non  è il momento adatto! (Le solleva la testa) Lacrime vere! Devi essere una povera sciocca, cara Caterina!

Carolina    (piangendo)  Carolina...

Franco        Ah, già... Non hai il fazzoletto?

Carolina    No...

Franco        Aspetta... (Ne cava uno di tasca e le asciuga gli occhi) E' la prima volta in vita mia che faccio di questi servizi... Beh, va meglio?

Carolina    Sì...

Franco        Seguito a rassomigliargli?

Carolina    Oh, no...

Franco        (con gesti precisi seguita ad asciugarle gli occhi)  Non so perché, ma mi sento più tranquillo... Eppoi vorrei che tu conservassi un buon ricordo di me... Poco fa ero un po' irritato... eppoi sei entrata tu... ci sono momenti nei quali la bel­lezza di un volto troppo puro... mi dà ai nervi...

(La guarda, lascia cadere il fazzoletto sul tavolo, prende fra le sue mani il viso di Carolina e ci si china su)

Non sei mai stata la sua amante?

Carolina    (dolcemente) Mai...

Franco        Neanche di qualcun altro?

Carolina    No, di nessuno...

Franco        (lentamente)  Eppure, se un tipaccio come me te lo chiedesse con dolcezza...

(Carolina tace. Franco sorridendo dice piano)

Idiota!... 

(Attira a sé il viso di Carolina e le loro labbra si toccano leggermente proprio mentre bussano alla porta. Carolina si alza di scatto, tremante. Franco sorride).

Carolina    (sconvolta)         Franco...

Franco        (a Carolina)      Fila da quella parte...

(Apre la porta di sinistra. Carolina lo fissa supplichevole).

Carolina    Franco...

Franco        (quasi tenero)    Vattene... Sei troppo stu­pida!

(La spinge dentro e richiude. Bussano)

Avanti!

(La porta di fondo si apre e compare Federico as­sieme a Silvia: tutti e due in nero, Silvia elegan­tissima, Federico molto corretto).

Federico     Sono io, Franco.

Franco        Lo vedo.

Federico     Temevo che... tu temessi fosse la polizia...

Franco        La polizia non batte con le nocche ma coi pugni. Buongiorno. (A Silvia) Accidenti! Tu sì che porti bene il lutto! Guardandoti, viene voglia di morire!

Silvia          (fredda) Buongiorno...

Franco        Buongiorno, cara.

Federico     Hanno pensato a portarti la colazione?

Franco        Sì, sì... Parecchie volte. Grazie.

Federico     Eri solo? M'è sembrato che...

Franco        Non ero solo.

Silvia          E' carina quando piange?

Franco        Chi?

Silvia          La ragazza che ha dimenticato il tuo fazzoletto sulla tavola.

(Franco va a prendere il suo fazzoletto e lo ficca in tasca, seccato).

Franco        Sempre in perfetta efficienza, eh sorellina?

Federico     Non... Non credi che potremmo ab­bracciarci, Franco?

Franco        Credi veramente che si potrebbe?

Federico     (impacciato)  Proviamo.

Franco        (gentile)  Ma certo, papà...

(Si abbracciano. Franco si volta verso Silvia con le braccia tese)

Funziona benissimo, lo sai?...

Silvia           (abbracciandolo)    Riesci  ad  essere  esa­sperante, mio povero Franco.

Franco        (ironico)  Su, su, non  ci  inteneriamo!

Federico     (con  dolore)   Io vivo delle ore tre­mende. La morte di papà... la presenza della poli­zia in casa nostra... sono sconvolto...

Franco        Privilegio degli  onesti!

Federico     (febbrile)    Ho  cercato  di parlare  a Legrand, ma ha rifiutato di ricevermi... E che ter­mini ha usato!... Intanto è arrivato il dottor Lapiau e si sono rinchiusi in salottino... lasciando quella povera Maria a mangiarsi il fegato. (Si lascia ca­dere su una sedia) Darei tutto quello che posseggo, te lo giuro, per sapere che cosa si sta architettando...

Franco        Scherzi?

Silvia          Oh, ti prego, conserva la tua ironia per gli estranei e pel tuo pubblico... Mi domando di che cosa sei fatto! La sorte di un'intiera famiglia sta per essere decisa e stai lì a sorridere e a fare bravate! Non ti voglio bene, lo sai già, ma forse riuscirei a volertene se ti avessi visto piangere una sola volta.

Franco        Ti assicuro che ho pianto... Una volta, per il freddo! Ed ero solo! (A suo padre) Zia Geltrude mi ha detto che volevi parlarmi.

Federico     Sì. (Si alza) Abbiamo pensato che sa­rebbe stato bene mettere in carta lo schema dei nostri accordi di ieri... (Si leva di tasca un foglio di carta bollata) Sta' sicuro che abbiamo cercato di usare una forma che non offendesse né noi, né  te.

Franco        Hai fatto tutto per bene.

Federico     Regolarmente. Non siamo stati noi a mettere le cose un piano commerciale, figliolo. Sei stato tu! Oh, non è un rimprovero, credimi!

Silvia          Questa carta ti dà tutte le garanzie pos­sibili. E' firmata da papà, da me, da Maria e vale quindici milioni... Riconosci che sei ben pagato?

Federico     Non abbiamo voluto che tu andassi... infine, che tu partissi, se dovrai partire... senza avere tutte le garanzie possibili.

Franco        (irritato)  Preferite che stia sotto contratto?

Silvia          Ma si può sapere che vuoi? Cosa desi­deri? Dillo, una buona volta!

Franco        (gridando)  A che serve? Non sei fatta per capirlo! Cosa desidererei? Niente! Semplice­mente che qualcuno mi tenda la mano e mi dica: « Sei venuto, Franco. Grazie. Ho bisogno di te ». Non è molto, come vedi, un gesto e una parola.

Federico     Franco, figlio mio, se avessi saputo...

Franco        Ah, già, ecco! Bisognava saperlo! Evi­dentemente è un'idea che non potrebbe venire a chiunque! Oh! E finiamola, va benissimo così!

(Tende la mano) Si può dare un'occhiata a questo poema in prosa? (Federico gli dà il foglio) « Fra i sottoscritti... » (A suo padre) E' commovente... (Ten­de il foglio a Silvia) Mettilo nel tuo portacipria. Me lo restituirai quando esco...

Silvia          (riponendo il foglio)  Ti fidi di me, ora?

Franco        Sì! Ma non mi piacciono le sdolci­nature. (Nervoso) Ma che diavolo sta fabbricando quel Legrand! Vorrei farla finita!

Federico      Non ti innervosire. Non tarderà.

Franco        Naturalmente sarò giudicato a Limoges?

Federico     Naturalmente.

Franco        I volontari dovrebbero poter scegliere la loro Corte di Assise!

(La porta in fondo si apre e compare Armando, in nero, con cappotto e cappello).

Armando    Ah, siete qui! Buongiorno... (Va ad abbracciare Franco) Come va, non sei troppo nervoso?

Franco        Affatto.

Silvia          Non hai portato Gilberto con te?

Armando    (levandosi il cappotto)  Ha voluto pas­sare prima dal suo studio. Prenderà la sua auto. Io, non ho potuto aspettare... Non resistevo... ap­pena ho comprato la cravatta... Come la trovi?

Silvia          Nera.  

Armando    E' questo che conta! Stella mi ha detto che Legrand è qui e che ha fatto convocare Lapiau.. Non son riuscito a cavare una parola di bocca a Maria.

Federico     Maria  non  sa  niente.  Nessuno  sa niente. Bisogna aspettare...

Armando    A Limoges la gente sa già tutto...

Federico     Cosa?

Armando    E' sbalorditivo come le notizie vo­lano... Più di venti persone mi hanno fatto le con­doglianze... Papà se ne andrà circondato dalla sti­ma generale... A proposito, Chambon 'mi ha pre­gato di telefonargli il testo della partecipazione...

Silvia          Mi domando che cosa ci potremo mettere...

Federico     Quello che ci si mette di solito... il nome dei componenti la famiglia...

Silvia          Anche quello di Franco?

Armando    E perché no? E' vero, mio Dio. Que­sto non l'avevamo previsto.

Federico     Già. (A Franco) Cosa ne dici?

Franco        Beh, non posso mica fare tutto io!

Armando    Credo che sarà meglio non nominare nessuno e...

(E' interrotto da Legrand, Maria e Geltrude che entrano dalla porta di fondo. Franco sor­ride con difficoltà e si ficca le mani in tasca).

Legrand      Mi scuso se ci ho messo tanto tempo... Il dottor Lapiau non la finiva più... Buongiorno Armando... Buongiorno Silvia... Eccoti qua, brutto tipaccio! Come va?

Franco        Benone. Lei è ingrassato.

Legrand      E' il mio modo di far carriera. Da dove vieni?

Franco        Da qua e da là. I viaggi servono a for­mare i giovani.

Legrand      Non sempre. A questo proposito vor­rei raccontare la storia di una motocicletta. (A Fran­co) C'era una volta un giovane imbecille.

Franco        La conosco già, grazie.

Legrand      Anche la polizia di Limoges la conosce.

Federico     Senta, Legrand, ho l'impressione che divaghi. Le sue storie di motociclette non interessano nessuno!

Legrand      L'opinione del venditore di Bordeaux e dell'acquirente di Tolosa è ben diversa. (A Fran­co) Lo sai il nome che si dà a questo piccolo trucco?

Franco        L'ho fatto solo per mettere in rodaggio la macchina.

Legrand      Ma ora basta, sistema in fretta questa faccenda!

Federico     Non si preoccupi di queste sciocchezze, provvederemo noi!  Il solo problema  che ci inte­ressa, è di ben altra importanza. Ha visto papà?

Legrand      Con molta attenzione.

Armando    E' orribile, vero?

Legrand      Dopo morto non è certo diventato più bello!

Federico     Sì... E' stato vittima di una tremenda disgrazia...

Maria          (neutra) Il commissario pensa che non sia una disgrazia.

(A questo tutti sono emozionati. Guardano Legrand).

Legrand      E' un assassinio. Non può essere scam­biato per un incidente. Qualcuno ha pestato sul vecchio Cipriano e lui è andato a finire nel ca­minetto. La morte è avvenuta fra mezzanotte e le tre. Del resto, credo sia inutile che vi stia a raccon­tare queste cose. Le sapete già.

Federico     Lei ha le prove di quello che afferma?

Legrand      Ne ho anche troppe! Il viso porta se­gni di lividure e di graffi che non lasciano dubbi, benché una mano pietosa si sia data molto da fare per cancellarli... Deve aver avuto una notte molto agitata, mia cara Maria!... E le segnalo che gli uo­mini si abbottonano la giacca sempre da sinistra a destra.

(Silenzio generale. Federico e Armando guar­dano macchinalmente la loro giacca).

Federico     Bene. Che cosa farà?

Legrand      Il mio mestiere: arresterò l'assassino.

Silvia          Lo faccia pure, ma con cortesia! Lei deve tutto a mio nonno, egregio commissario, dal posto che ha alle scarpe che porta!

Legrand      (placido)  Vuole che me le tolga?

Armando    Andiamo... sono sicuro che il nostro amico Legrand non voleva dire... le parole hanno sviato il suo pensiero.

Legrand      Se questa versione le fa piacere... si ac­comodi... E ora, vorrei che quello o quella che ha fatto fuori Cipriano, confessi e ci eviti un sacco di noiose formalità.

Federico     Crede che sia uno di noi?

Legrand      Maria non si sarebbe data tanto fasti­dio per nascondere il crimine di un estraneo!

Silvia          (ridendo nervosamente)  E se fosse pro­prio lei, commissario?

Legrand      Ci ho già pensato. Non è lei.

Franco        Sono io.

(Silenzio. Legrand si è voltato verso Franco).

Legrand      Truffa e assassinio. Vai forte, amico!

Franco        (freddo)  Non mi piace stare inattivo.

Federico     Non è un assassinio! Non c'è stata premeditazione. E' accaduto per disgrazia, per imprudenza!

Armando    Un gesto disgraziatissimo!

Geltrude    Eppoi, se non fosse stato Cipriano a cominciare...

Silvia          Franco non ha fatto che difendersi!

Federico     Era nel suo diritto!

Armando    Non voglio dire che abbia avuto ra­gione, ma papà ha fatto male a minacciarlo.

Federico     E picchiarlo!

Geltrude    Con il bastone!

Legrand      Ho capito. E' Cipriano che dovrebbe finire in Corte d'Assise! Ma non ci riusciremo, or­mai! Lei non dice nulla, Maria?

Maria          La ritengo abbastanza intelligente per arrivare da solo a una conclusione che salta agli occhi!

Legrand      Grazie per la fiducia! (A Franco) Avanti, racconta!

Franco        E' molto semplice... (Legrand si siede) Ne avevo abbastanza di fare una vita miserabile e di inventare un sacco di trucchi che finivano re-golarmente per non approdare a nulla... Allora, un bel giorno mi sono detto che era troppo stupido ti­rare la carretta quando ci si chiama Varescot e si ha una famiglia miliardaria!

Federico     (sorride)  Esageri, al solito.

Franco        Eppoi, la famiglia mi doveva, alla mia maggiore età, dei conti che mi sono stati resi molto, ma molto approssimativamente.

Legrand      Avanti...

Franco        Ecco, ho deciso di venire a trovare il nonno; era un rischio, lo sapevo. Otto anni fa, il nostro ultimo incontro non era stato molto cordiale come ben sa, ci eravamo scotennati un po'!

Legrand      A proposito, non si è mai saputo il perché.

Franco        (freddo)  No, non lo si è mai saputo. Sono arrivato qui verso l'una e mezza. La porta del parco era aperta, d'estate sta sempre aperta. Nonno era solo. Mi ha ricevuto come un cane in chiesa...

Geltrude    Aveva un maledetto carattere...

Franco        Un quarto d'ora dopo mi è saltato ad­dosso. Da principio mi sono limitato a parare i colpi, ma lui si è scatenato e ci ha dato dentro... e io ho finito per perdere la bussola, ecco.

(Silenzio. Tutti guardano Legrand che scuote lentamente il capo).

Legrand      (alzandosi)  Ho capito. Mi racconti il resto, Maria.

Maria          Papà ha gridato; almeno ci siamo sve­gliati credendo di udire un grido.  Erano le due. Quando siamo arrivati, Franco usciva dallo studio e ha detto:  «Nonno è morto!». Nient'altro.

Legrand      Eravate tutti là?

Maria          Tutti.

Legrand      Anche Gilberto?

Silvia          Non è rientrato ieri sera...

Legrand      E Stella?

Maria          E' arrivata molto tempo dopo, è stata Isa a svegliarla perché ci preparasse del caffè caldo.

Legrand      Tutti. La segretaria era rientrata a casa sua?

Maria          Verso mezzanotte, credo. Papà le aveva chiesto di tornare l'indomani mattina alle sei.

Legrand      Che mestieraccio! Vive sola, vero?

Maria          Credo di sì. Farebbe bene a interrogarla direttamente.

Legrand      Già fatto. Grazie. Geltrude, vuole an­dare a cercare Isabella e Stella, la prego.

Geltrude    Stella? Ha ben altro da fare in que­sto momento.

Legrand      Va bene, la vedrò più tardi. Isabella, allora.

(Geltrude esce. Legrand distrattamente gioca con la sua pipa).

Federico     (angosciato)  Vorrebbe... portare via Franco, subito?

(Legrand non risponde. Va verso Franco che è seduto sul tavolo con le gambe pen­zoloni).

Legrand      Fammi vedere le mani!

Franco        Vuol mettermi già le manette?

Armando    (agitato)  Franco, figlio mio, è per il tuo bene!

Legrand      (a Franco)  Non mi porto dietro le ma­nette quando vado in casa di amici. E m'accorgo che è uno sbaglio. E prima che tu mi rompa il muso, ne dovrà passare del tempo.

(Franco gli mostra le mani; Legrand le prende, le rigira, le lascia andare)

Ti rosicchi ancora le unghie!

Franco        (mettendosi le mani in tasca)  Che gliene importa?

Legrand      E' una brutta abitudine... (Guardandolo a lungo) Metri uno e 68, 70 chili. E' così?

Franco        Lei ha un'anima da bilancia automatica! E allora?

Legrand      Sei il più grande idiota che abbia mai visto!

(Si volta. Geltrude rientra. Spinge Isabella avanti a sé).

Geltrude    Eccola! (A Maria) Stava svitando i rubinetti del bagno... (A Isabella) Se ti ci riprendo, vedrai.

Legrand      Vieni un po' qui, Isabella.

(Isabella con passo deciso gli si pianta davanti)

Alla prima bugia che dici, ti prevengo che ti schiaffo in prigione!

Isabella     (contenta)  Con lo zio Franco?

Legrand      Coi topi! Eri qui, ieri sera?

Isabella     (recitando)  Nonno ha gridato verso le due di notte, sono discesa con gli altri, ho visto zio Franco uscire dallo studio, e dire: « Nonno è morto. L'ho ammazzato». E' tutto.

Legrand      Va bene. Primo premio di recitazione!

Isabella     L'ho già avuto l'anno scorso!

Legrand      (furente)  E se ti dessi una bella sculacciata?!

(Isabella fa un passo indietro e guarda sua madre).

Silvia          Il commissario scherza, tesoro.

Isabella     Oh, bene!

Legrand      Te ne puoi andare... Vattene!

(Isabella non si muove)

 

Hai capito?

Isabella     Se mi tocchi ti mordo!

Maria          Vattene, Isabella!

(Isabella guarda bene in faccia Legrand, si mette a fischiettare e se ne va. La porta si richiude).

Legrand      Una vera Varescot! Andrà lontana! Vipera!

Federico     La prego, Legrand, faccia pure il suo dovere, ma ci risparmi i suoi giudizi.

Maria          Tutti desideriamo farla finita al più pre­sto. Franco è pronto!

Franco        (sorridendo) Tutto sistemato, si va?

Legrand      No, non si va! Vacci solo, se vuoi, ecco le chiavi!

(Stupore generale).

Franco        Non capisco... cosa le piglia?... Ho con­fessato, no?

Federico     Lei cerca un colpevole, questi si offre spontaneamente, e lei sembra esitare... In verità, commissario...

Legrand      Non esito. Rifiuto!

Maria          (con voce strozzata)  Rifiuta di arrestare Franco?

Legrand      Sarebbe bene che la finiste di pren­dermi per un imbecille, tutti quanti siete!... (An­dando verso Federico) Lei crede che avrei accettato di marcire per quindici anni in un commissariato di provincia per arrivare a dover inghiottire i vo­stri pasticcetti? Davvero? No, mio caro, neanche per sogno!

Federico     Non le permetto di chiamarmi « caro », e la prego di mantenere le distanze! Papà è stato ucciso! Reclamo semplicemente l'arresto del colpevole!

Legrand      Su questo siamo d'accordo!

Franco        Confermo le mie dichiarazioni. Se lei rifiuta di tenerne conto andrò a costituirmi al com­missariato centrale di Limoges!

Legrand      Ascoltami, pezzo di idiota! Sono sicurissimo che non sei stato tu a far fuori Cipriano! Non hai unghie, e quindi non hai potuto graffiarlo, e se la metà dei colpi che ha ricevuto fossero stati sferrati da un tipo come te, il nonno avrebbe la mascella spappolata. Ti basta?

Armando    L'ha colpito leggermente, si capisce!

Legrand      (a Franco) — Vuoi altre precisazioni? E' stata una donna. Sì. Una donna ha liquidato l'il­lustre Cipriano Varescot. E non un atleta. E ora va a riprendere la tua motocicletta e non mi rom­pere le scatole.

(Pausa. Nessuno sa che dire).

Maria          Una donna? Allora, quale donna?

Legrand      Qualsiasi, meno lei! Non so ancora quale scandalo si sia cercato di soffocare, ma vi as­sicuro che non si riuscirà a soffocarlo!

Armando    Andiamo, Legrand! Lei frequenta da tanto tempo la casa, è quasi un amico di famiglia!

Legrand      Non si tratta di questo. E' il blocco Varescot che voglio distruggere e tutto ciò che rap­presenta di forza cieca e malvagia. Una famiglia, questa? No! Una famiglia è fatta di amore! Cipriano non ha fabbricato che dei mostri a sua   immagine e somiglianza. Io, figlio di una guardia campestre, ho deciso di abbatterla! E vi garantisco che non sono né geloso né anarchico!

Silvia          (scatenata)  Lo sappiamo! E' innamorato! Si vuol vendicare di non aver potuto mettere Maria nel suo letto! Ecco la verità! (Indicando Maria) Tutto questo perché ho una zia di quarantadue anni che è vergine!

Federico     (sussultando)  Silvia! Tu insulti Maria!

Maria          Spero di no. Eppoi non è un segreto!

Armando    (a Federico)  Non essere ridicolo! Non c'è niente di disonorevole in questo!

Geltrude — Lo credo bene! Al mio paese si dice che porta fortuna!

(In questo momento la porta di fondo si apre e compare Gilberto Sauvin. E' il ma­rito di Silvia, notaio a Limoges. Quarantaquattro anni. Ha la pancetta nascente del signore che ha fatto carriera. Vestito con ricercatezza, meticoloso, con una spilla alla cravatta. Tiene sotto il braccio una elegante busta di cuoio).

Silvia          (con un grido)  Gilberto!

 

(Corre a lui, lo abbraccia, indica Legrand con un gesto da grande tragica)

Quest'uomo ci sta sputando addosso!

Gilberto    (assorto)  Sì, sì, me ne occuperò su­bito, mia cara.

(Va a stringere la mano a Federico) Buongiorno, mio caro Federico.

(Passa ad Armando) Buongiorno, Armando, credi che...

(Bacia Maria) Co­raggio, Maria.

(Bacia Geltrude) Che perdita, mia buona Geltrude.

(Stringe la mano a Legrand) Buon­giorno, commissario, grazie per essere venuto. (Si volge a Franco) Franco. Figliolo caro! (Va verso di lui, lo prende affettuosamente per le spalle) Lascia che ti dica che perdono il tuo disgraziato e purtroppo mortale gesto, così come te l'hanno perdonato tutti gli altri, e come i giudici te lo perdoneranno do­mani! Saremo là a sostenerti durante il tuo dolo­roso calvario. Abbracciami!

Franco        Ma è andato a monte!

Gilberto    A monte? Ma che vuoi dire?

Franco        Il mio calvario...

Gilberto    Come? Se voleste aver la bontà di spiegarmi...

Federico     Il commissario Legrand rifiuta di arrestare Franco.

Gilberto    (stupefatto)  Rifiuta? Ah, questa poi... (A Legrand) Ha confessato, no?

Legrand      Sì, certo. Ma io ho le mie idee, molto chiare.

Franco        Certi indizi lasciano supporre al com­missario che si era sul punto di commettere un errore giudiziario.

Gilberto    Come? saresti innocente?

Franco        Sì, credo di sì.

Gilberto    (perdendo terreno)  Bene... allora... dal momento che il commissario... (Si raschia la gola) non insisto...

Legrand      Sarebbe inutile, signor Sauvin, hanno già insistito loro! Non mi presto al vostro gioco, a nessun costo!

Gilberto    E' nel suo diritto... (Si raschia la gola)  Suppongo che segua un'altra pista!

Maria          Il commissario pensa che si tratti di una donna.

Gilberto    (colpito)  Una donna?... Guarda... Di­vertente! E' piuttosto raro che delle giovani donne assassinino dei vecchi, no?

Legrand      E' lei che dice trattarsi di una giovane donna! Comunque, Cipriano Varescot era uno di quei vecchi prodigio che si assassinano volentieri a tutte le età.

Gilberto    Sì, sì, naturalmente... questo cambia tutto... Suppongo che non ci resti che lasciarle pro­seguire la sua inchiesta. Se ha qualche domanda da farmi...

Legrand      Non mi serve una sua deposizione.

Silvia          Avresti potuto venire prima.

Gilberto    Ho dovuto cambiarmi e passare dallo studio. Dove è il grammofono?

Silvia          Il grammofono?

Gilberto    Sì. Cercatelo.

Federico     Pensi che sia indispensabile proprio in questo momento? La presenza di un simile strumento.

Gilberto    (secco) Ho qualcosa da farvi sentire.

Armando    (gentile) — Più tardi, Gilberto. Un'altra volta.

Gilberto    Oh, vi prego.

Geltrude   Bene,   vado.   (Uscendo)  Anche   il grammofono!... col morto qui vicino! (Esce).

Maria          Spero che vorrai darci qualche spiegazione!

Gilberto    (apre la cartella)  Come avrai capito, si tratta di un disco... eccolo... (Toglie dalla busta un grosso involto con molti timbri di ceralacca) Mi è stato consegnato circa due anni fa dal vecchio Cipriano nelle condizioni che vedete... (Volta e rivolta varie volte il disco per farlo vedere bene) debita­mente sigillato con le iniziali di Cipriano Varescot.

Federico     Non capisco il perché.

Gilberto    Se mi lasci parlare, lo saprai... Una delle due facce dell'involucro porta la seguente scritta di mano del defunto : « Registrato da me stesso il 21 maggio 1952 a Limoges  (piccolo raschiamento di gola disapprovatore) ...tanto per divertirmi un po'... ».

Federico     L'ha scritto lui?

Gilberto    Esattamente. E' firmato e la firma è legalizzata.

Armando    Allora è il suo testamento?

Gilberto    I testamenti registrati su disco non sono riconosciuti validi, salvo circostanze eccezio­nali. Questo qui è depositato al mio studio da molto tempo. Suppongo che si tratti di una specie di mes­saggio, indirizzato da Cipriano ai membri della fa­miglia.

(Si interrompe perché Geltrude sta rien­trando. Dietro di lei si introduce anche Isabella. Nessuno se ne accorge. Sono tutti presi dall'attesa).

Geltrude    (col grammofono)  Dove lo metto?

Gilberto    Qui. Grazie. Ci penso io.

(Geltrude depone il grammofono).

Geltrude    (ad Armando)  Allora, che cos'è?

Armando    Un disco che papà aveva fatto incidere...

Geltrude   (buttandosi fra le braccia dì Armando) Ancora la sua voce! Mio Dio! Non ci lascerà mai in pace!

Gilberto    Vi prego... Come stavo dicendovi... (Riprende il disco) C'è una dichiarazione firmata, non legalizzata questa volta, però autentica.

Silvia          Non ti puoi sbrigare?

Gilberto    (secco)  La scrittura non lascia alcun dubbio, è di mano di Cipriano. Ecco. (Legge) « Esi­go che questo disco sia ascoltato subito dopo la mia morte da tutti i membri della famiglia, compresa Stella, ed esclusa Isabella, se non sarà maggiorenne all'epoca della mia morte ».

Maria          (senza voltarsi)  Hai capito, Isabella? Vai in camera tua.

Isabella     Oh, no, voglio sentire cantare il nonno!

Gilberto    Bada, Isabella, te le suonerò di santa ragione. Conto fino a tre.

Legrand      E' troppo!

Gilberto    Uno... due...

Isabella     (prudente)  Bene, papà. (Va alla porta e si volta) Aspettate che sia grande e... 

(fa il gesto di chi dà uno schiaffo ed evita a sua volta un cef­fone che sta per allungarle Armando. Apre la porta e se ne va).

Armando    Mi dispiace di non averla presa!

Federico     Non la pigli mai!

Gilberto    Maria, ti prego di chiamare Stella. La sua presenza è necessaria.

(Maria suona il campanello)

Quanto a lei, mio caro commissario...

Legrand      La prego, faccia come se io non ci fossi.

Gilberto    Ma c'è! Sono desolato di insistere, ma la sua presenza qui non è né richiesta né desiderabile.

Maria          Può darsi che abbia il diritto di imporcela.

Legrand      E non solo la mia, anche quella di Carolina Pellettier.

Federico     Come?

Gilberto    Si tratta di un messaggio strettamente riservato alla famiglia! Che lei esiga di sentirlo, mi sembra già una indelicatezza ed una mancanza di tatto eccezionali...

Legrand      (calmo)  Non mi vanto di essere un uo­mo di mondo.

Gilberto    Così, lei osa imporci la presenza di una ragazza che... (Tace bruscamente. Breve pausa, poi riprende) Non è nulla per noi! Una estranea, una intrusa, una impiegata!

Legrand      Una persona sospetta, signor Sauvin. Mi dispiace! (A Geltrude) Cara Geltrude, visto che è lei a fare le commissioni, la prego...

Geltrude    Sì, sì, ho capito. (Esce).

(Pausa).

Gilberto    Perfetto! Rimetteremo l'audizione di questo disco a un altro momento.

Legrand      Quando vorrete. Comunque, io l'ascolterò subito.

Gilberto    (solenne)  Cedo alla forza.

Franco        Come? Tu? Un vecchio paracadutista?

Gilberto    (prende il disco)  Ora aprirò questa busta davanti a voi... Vogliate constatare che è per­fettamente chiusa. (Mostra l'involucro).

Silvia          (nervosa)  Ti prego! Parli come un prestigiatore.

Gilberto    Sono un pubblico ufficiale... (Strappa con cura la busta) Ecco... (Posa il disco sul piatto del grammofono) Forse bisognerà cambiare la puntina....

Stella         (entrando)  Desiderano qualcosa?

Maria          No, ora sentirete un disco.

Stella         Un disco? Ma io ho da fare...

Maria          Dovete restare qui. Mettetevi in un an­golo e state zitta!...

(La porta si apre e compare Geltrude con Carolina).

Legrand      Signorina Pellettier, non ricorda un di­sco che Cipriano Varescot avrebbe registrato circa due anni fa?

Carolina    Un disco? Nossignore. Ricordo di aver preso, tanto tempo fa, un appuntamento con una ditta di riproduzioni sonore a Limoges. Posso andarmene?

Legrand      No, resti.

Gilberto    Ci siamo tutti? Ora metterò in moto il grammofono.

Disco Cipriano (stentoreo)  Ebbene, miei ca­rissimi, vedete? Il vecchio rompiscatole è morto!

(Risata sgradevole e secca del morto. Armando scoppia in singhiozzi e si soffia il naso)

Dio solo sa se avrei voluto seppellirvi tutti, ma non ci riuscirò mai! Gente solida i Varescot! Perciò sarete tutti riuniti per ascoltare questo disco! Vi vedo, come se foste davanti a me! Armando, naturalmente, piagnucola...

Federico fissa la punta delle sue scarpe. (Federico sussulta. Era vero)

Maria sta dritta come una statua di pietra, i pugni chiusi per non gridare... (Maria allenta i pugni. Riso del vecchio)

E gli altri, tutti gli altri!

La bella Silvia che tormenta la sua collana... (Silvia si leva le mani dal collo) Geltrude con le grosse mani sulle ginocchia. (Geltrude leva le mani dalle ginocchia)

Gilberto con una spilla da cravatta...

Quella brava stupidona di Stella che si succhia il pollice... (Stella si leva il dito di bocca)

L'amico Franco, con le mani in tasca! (Franco leva le mani di tasca)

Il vecchio cervo è morto, e i cani aspettano! (Riso di Cipriano).

Legrand      Vecchio porco!

Disco Cipriano — Ebbene, non aspetterete a lun­go! Fra qualche giorno mio genero, il notaio, vi leg­gerà il testamento del vecchio Cipriano, ma mi sec­cherebbe di vedervi tirare il collo fino ad allora. Siediti Maria! Mi stanchi!

(Maria si siede senza dire una parola)

Vi chiederete chi ho scelto per succedermi. Perché è tutto mio, tutto quanto! Le fabbriche, le macchine, le terre, i titoli, i conti in banca! E' tutta proprietà di Cipriano! E' così che si costruisce una famiglia, ragazzi! Una sola frusta per tutti i cavalli! Non c'è che da aspettare per sapere a chi lascerò la frusta.

(Nuovo riso di Cipriano che termina con un cavernoso e cupo colpo di tosse. Alla fine si sente che ripiglia fiato)

Tu, Federico, dopo tutto, sei il più vecchio. Ti presenti anche bene... Hai persino la Legion d'Onore... Ma non basta! Sei troppo stupido, Federico. Ti lascerò le mie terre di Joillac, 250 ettari! Così potrai portare gli stivali!... (Federico fa un passo avanti) Sta' zitto! (Federico rincula)

Il secondo è Armando... Arman­do il tenero... Bravo tipo! Un broccolo! Sarebbe un bello scherzo! Tireresti le cuoia dopo una settimana! (Ridacchia) Rassicurati, non sono tanto pazzo da lasciare i miei beni a un tipo che voleva fare lo scultore... (Riso sprezzante) Ti feci passare la voglia a forza di pedate, d'accordo, ma ti è pur sempre ri­masto addosso qualcosa di quelle stupidaggini! Avrai le mie tre fattorie di Bourganeuf e il castello! Ecco! Almeno, Geltrude avrà da fare a pulire e lustrare tutto! (Riso di Cipriano).

Armando    (in lacrime)  Grazie, papà...

Disco Cipriano Non piagnucolare, Maria! Ecco, c'è mancato poco che almeno quella diventasse come volevo io... Un piccolo sforzo ancora e diventava un maschiaccio! (Ride) Povero Legrand! (Ride) Senza contare che quell'asino non riuscirà mai a fare un passo avanti.

Maria          (si alza di scatto e con un grido)  Papà...

Disco Cipriano  Zitta Marietta... Ma neanche tu avrai le mie fabbriche Maria! Ci vuole un ma­schio! Le donne, fuori della cucina o della camera da letto, non servono a nulla! Ti darò i miei immo­bili di Joillac e di Limoges, le vigne di Saint-Estèphe, le azioni del canale di Suez, e la proprietà di Partissac, confinante con la Bouterie. Un bel po' di roba, eh? Quanto a te, Silvia, sta' tranquilla, avrai tanti gioielli, piccola canaglia,  da  trasformarti in una vetrina ambulante. Comunque, quando penso che non sei stata capace neanche di regalarmi un nipotino! Idiota, avresti potuto sbrogliartela un po' meglio tra Gilberto e il tuo prefetto, no?

Gilberto    (furente)  Basta, mi pare che basti.

Disco Cipriano  Avanti, Gilberto, ho scherzato, vi regalo il mio ritratto, quello che sta nell'ingresso!

Gilberto    Canaglia!

(Il disco è terminato).

Legrand      Signor Sauvin, volti il disco.

Gilberto    Mai. Che crepi!

Legrand      E' già fatto! Volti il disco.

(Gilberto obbedisce).

Disco Cipriano  Ancora una parola: non ralle­gratevi troppo! Tutto quello che vi ho promesso ve lo dò soltanto in godimento. Un altro ve lo darà, forse, sul serio. Quando e come vorrà. Se vorrà. A lui lascio tutto, le officine, le macchine, il denaro, la mia forza, il mio orgoglio, il mio nome! Tutto! Tutto ciò che ho fatto io, col mio lavoro, e che gli rimetto. Hai capito, vero, Franco? E levati le mani di tasca!

(Stupore generale. Franco si leva ancora le mani di tasca e fa un passo verso il grammofono)

A te, sì! Tu sei il solo che mi somigli, sei della mia razza, tu! E ti ho cacciato di casa perché tu cono­scessi quello che ho conosciuto io, perché ti tem­prassi nella miseria come si tempra il ferro rovente con l'acqua fredda. Tu sei mio figlio, Franco! Il mio vero figliolo. Hai dei muscoli, un cervello, e soltanto quel po' di cuore che basta per vivere. L'ho sempre saputo. Ne ho avuto la prova la sera che ci siamo azzuffati. Te ne ricordi? Accidentaccio! Si an­dava a letto tutti e due con Stella!

Federico     Cosa? (A Stella col braccio teso) Vi caccio via di casa!

Stella         Oh, signor Cipriano, non è bello quello che fa!

Federico     Via, via... Canaglia! Prostituta!

Disco Cipriano (in collera)  Quando la finirai di urlare, Federico? Sta' zitto. Stella se ne andrà quando vorrà. E le lascio 500.000 franchi. Tocca a te, ora, Franco! Stringi i pugni e serra i denti. Sii quello che sono stato io. Il padrone! Vedrai com'è bello... Buona fortuna, ragazzo. Addio a tutti!

(Pausa lunga. Franco guarda tutti e tutti guardano lui).

Maria          Inutile dirti che gli ordini di papà saranno obbediti. Da ora in poi, tu sei il nostro capo, Franco.

Armando    E ne sono felice, mio caro... anche tua zia.

Franco        Sì. Grazie, zio Armando.

Geltrude    (dandogli la mano)  Permettimi di rallegrarmi con te. Dio solo sa se Cipriano era insopportabile, ma sapeva quello che faceva.

Silvia          (fredda)  Bravo, Franco! Ti ha reso bene la  tua scazzottata!

Federico     (commosso)  Sono fiero di te, figlio mio!

Legrand      (sorridendo)  Il gregge si riforma. Le pecorelle hanno ritrovato un caprone.

Silvia          Ora potrebbe anche andarsene, mi sembra!

Legrand      Un momento! (A Franco) Andiamo, Franco?

Maria          (straziata)  Legrand!  (Lo prende per le spalle) Non farà una cosa simile!... Franco in pri­gione! Ma è impossibile, ora...

Legrand      Perché? Fino a poco fa non avevo che un assassino. Ora ho un assassino e il movente... Ha  ucciso  per  ereditare  più  presto...

Maria          Ma non poteva saperlo!

Legrand      Bisognerà provarlo!

Maria          (disperata)  Lei  lo sa  che Franco non c'entra.  L'ha detto lei  poco fa!

Legrand      (calmo)  Posso essermene dimenticato.

(Maria si allontana).

Silvia          E le sue famose prove? I graffi, i pugni sul viso? Ritira tutto?

Legrand      Non  si  scaldi.  Vedrà  che   tutto  si aggiusta.

Federico     Lei è un ignobile individuo.

Stella         Scusino, me ne posso andare io?

Federico     (urlando)  Più presto ve ne andate e meglio è!...

(Stella esce placidamente)

Legrand, par­liamo fra uomini... Vuole del denaro? Lo prenda.

Legrand      Non il suo denaro.

Maria          (a Federico)  Vuole la nostra rovina! Fran­co è innocente, e lo sa! E ora profitta delle sue confessioni! Perché finalmente potrà sfogare il suo odio di imbecille fallito!

(Legrand la guarda, poi si volge a Franco).

Legrand      (calmo)  Andiamo!

Carolina    (decisa)  Sono io che ho ucciso Cipriano Varescot!  

(Bruscamente si fa silenzio.  Legrand si è voltato verso Carolina).

Legrand      Finalmente! Ce ne ha messo del tempo!

Carolina    Lo avrei confessato subito se...

Legrand      Se non l'avessero pregata di tacere. E ora confessa perché non sopporta l'idea che un bel giovane si sacrifichi per lei... (Sospira) M'inte­ressa una cosa sola: perché?

(Pausa. La bomba sta per scoppiare. Carolina guarda Franco).

Carolina — Da due anni mi rifiutava qualsiasi aumento. Stanotte mi sono arrabbiata. L'ho minac­ciato di ricorrere ai sindacati. Lui ha cercato di buttarmi  fuori dalla  stanza.  Mi sono difesa,  ho resistito. E' tutto.

Legrand   —  Magnifico! Ancora una lezioncina recitata a memoria!

Carolina —- Giuro che è la verità!

Legrand      Ah, sì! E va bene! Avanti, andiamo! Vedrai  che cosa  significa liquidare un eminente industriale per ottenere un aumento di mille fran­chi! Ti costerà caro, il massimo della pena! (A Franco)  Anche tu sei d'accordo?

Franco        (sorridendo)  E va bene, eccola, allora, la verità!

Carolina    No, Franco!

Franco        (a Legrand) Nonno s'è sentito montare il sangue alla testa, ed è saltato su Carolina per violentarla. Lei ha cercato di difendersi come ha potuto.  Cala la tela.

Legrand      (sorridendo)  Ecco, così va molto meglio!

Maria          Ora siamo in mano sua.

Legrand      Sono venticinque anni che aspetto que­sto momento! Ed è Cipriano che me lo regala! Sono ripagato di tutto!

Federico     E allora vada a raccontare questa in­famia nelle vie e nelle piazze, ridicolizzi la fami­glia che ha fatto nascere e vivere questo paese! Se ne vada... Se ne vada! Che aspetta?

Legrand      Aspetto che abbia finito di abbaiare!

(A Franco) Sei tu che deciderai tutto. Ascoltami bene. Lo sai di che cosa è fatta la tua famiglia?

Maria          (rigida)  Noi ne siamo i soli giudici!

Legrand      E' fatta di malvagità e di miseria.

Maria          (violenta)  Ma che stia zitto! Fatelo tacere!

Legrand      Guarda come ha paura! Ha indovi­nato... Cipriano Varescot, era un mostro, e forse un pazzo. Col suo orgoglio e con la sua forza. Ecco i suoi crimini! (Indicando) Si chiamano Federico, Armando, Geltrude, Silvia, Maria. Giorno per giorno ha strappato loro tutto ciò che ne fa­ceva degli esseri umani, tutto, persino l'anima! E sono diventati quello che voleva lui, le pietre di un monumento dedicato alla sua gloria!

Federico     Franco, devi imporgli di tacere!

Legrand      Federico è stato ammaestrato a colpi di frusta. Voleva fare il militare, credo, ma Cipriano aveva paura di non avere abbastanza figli. Bisognava che il maggiore entrasse nelle sue spor­che fabbriche. E c'è entrato! Vedi che ne è rimasto? Ben poco!

Federico     Franco, insulta anche te.

Legrand      Poi s'è occupato di Armando, che so­gnava di tagliare statue nella pietra! Invece si è fatto tagliare le gambe a colpi di frusta e ha smesso di sognare! Come quell'altro! Domandagli se dico bugie! Domanda a Geltrude, quante notti ha pas­sato a piangere, povero disgraziato!

Armando    (dolcemente)  Legrand, la supplico, basta!

Legrand      Cipriano aveva ormai due buoi attac­cati al suo aratro ed ecco che gli nasce Maria! Una figlia! Catastrofe! Sembra che si sia ubria­cato per tre settimane! Non apprezzava che i ma­schi! Le donne servivano solo per portarsele a letto! Ma le figlie degli altri, s'intende! La sua non ci doveva andare mai!

Maria          Legrand, se è vero che mi ama, deve tacere.

Legrand      Trovò allora un altro trucco... Comin­ciava ad essere un signore molto stimato... Preferì addomesticarla con la dolcezza! Appena ha imparato a leggere e a scrivere si è messo al lavoro. A ven­ticinque anni aveva vinto. Era una morta. E ne ha fatto la sua schiava preferita. La vestale!

Maria          Non la perdonerò mai, mai!

Legrand      E seguita ad esserlo, vede? Non par­liamo di Silvia, lei è nata col gusto della servitù. Si è contentato di metterla nel letto di un notaio. Gli uomini di legge, sono la nobiltà del contadino...

Silvia           (furibonda)     L'ammazzerò!

Gilberto    (trattenendola)  Gliela farò pagare io!

Legrand      Le presentazioni sono finite...

Franco        (a Maria) E' vero? E' vero quello che ha detto, Maria? Guardami, è vero?

(Maria tace e fissa nel vuoto).

Legrand      Se non fosse vero, da un pezzo mi avrebbe strappato gli occhi. (A Franco) Dirai che questi non sono affari miei. Potrei risponderti che quel porco di tuo nonno era un bandito e i ban­diti sono affar mio! Ebbene, no! Quello che fac­cio, lo faccio solo per amor di pulizia. Eppoi, an­che per vendetta!

Silvia          Finalmente una parola che somiglia alla verità!

Legrand      Eh, sì! Mi vendico di una vita man­cata e di una carriera rovinata! Ero partito con l'in­tenzione di arrivare molto in alto, bastava che an­dassi a Parigi! Ma così avrei perso Maria, capisci? Maria, che quel vecchio squalo teneva inchiodata qui. Ho preferito aspettarla. Ed eccomi commis­sario di polizia di terza classe a cinquant'anni! An­che questo è opera di Cipriano! Me l'aveva detto: « Gendarme, vi farò crepare qui! ».

Silvia          Il posto dove creperete non interessa nessuno!

Legrand      Ed ora, ecco il mio ricatto: vattene, pianta tutto, e sto zitto! L'industria della calzatura piangerà il suo grande uomo... Accetta di rimpiaz­zarlo e faccio un tale can-can che lo sentiranno fino in Cina, senza contare che mi rimorchio la ragaz­zina e le faccio dare il massimo della pena! Scegli!

Federico     Non merita neanche di essere ascoltato.

Silvia          Caccialo come un cane rognoso!

Maria          (a Legrand)  Era questo che voleva?

Legrand      Voglio che nessuno segua le orme di Cipriano Varescot. Questo voglio: con i Varescot basta!

Franco        Il nonno è morto. Cos'è che le fa cre­dere che io rifarò il male che ha fatto lui?

Legrand      Gli somigli. Preciso e perfetto. Non te l'hanno mai detto? (Franco guarda Carolina) Il vecchio non si è sbagliato! Tu sei il suo vero figliolo! E anche loro lo sanno! Hanno già riconosciuto il pugno del padrone!

Franco        Gli somiglio davvero tanto?   (Guarda suo padre).

Federico     Ma è ridicolo!

Legrand      Sei identico. Hai la sua violenza e il suo orgoglio, il suo gusto del comando e la sua durezza. Lui ti ha offerto il resto. Ma non ci de­vono essere due Cipriani!  Prenditi  questa  ragaz­zina e andatevene lontani da qui! Vuoi che anche lei finisca come tua madre?

Franco        Cosa vuol dire? Mia madre?

Federico     E' un diffamatore! Conosci la verità sulla  morte della  povera  mamma!  Non  era  mai stata molto forte. Era nevrastenica, soggetta a vertigini, e una sera, mentre stava sulla terrazza fu presa da malore e...

Legrand      Si è uccisa!

Federico     Lei mente!

Legrand      E' lei che mente! Così come a suo tempo mentì il dottor Senison! Credo che avesse dei debiti di gioco! E suo nonno. Tua madre si è uccisa, quando ha capito che cosa sarebbe stata la sua esistenza! Cipriano Varescot era il suo vero padrone, com'era il padrone dei suoi figli. Ne vuoi una prova? Guarda Armando! Lui era il solo che le volesse bene!

(Franco guarda Armando che si è lasciato cadere su una sedia e nasconde il capo fra le mani).

Armando    (piano)  Forse ha ragione, vattene Franco!

Geltrude    Anch'io ero come tua madre, faresti bene ad andartene!

Maria          Non li ascoltare... Rimani! Tu cambierai tutto.

Franco        Non sarò quel tipo d'uomo!

Maria          Ti aiuterò io ad essere diverso! Cosa diventeremo senza di te? Sì, ha ragione, papà era un mostro, sì, noi siamo stati una famiglia senza amore e senza gioia, sì, sì! Ma ha pur sempre fatto grandi cose! Scuole, paesi, ospedali, case, tutto un paese che ha vissuto del suo lavoro e del suo sforzo! E questo è quanto ho amato in lui! Tu non hai il diritto di abbandonarlo! Resta!

Franco        Prima di Legrand qualcun altro mi aveva detto che gli somigliavo... nei suoi occhi c'era la paura e il pianto...

Carolina    Franco!

(Gli si getta sul petto. Franco la chiude fra le sue braccia e la stringe a sé).

Franco        Addio, zia Maria!

Maria          Franco!

Silvia          Vile!

Federico     Imbecille!

Franco        (dolcemente)  Addio,  papà...

Maria          Resta, Franco, resta insieme a lei, che governi e regni su questa casa, che sia lei la nostra padrona!  Accettiamo  tutto...   tutto!...

Franco        Addio, Varescot! (Va verso la porta con Carolina fra le braccia) Grazie, gendarme!

Legrand      E  vattene  lontano! Molto lontano!

Franco        Non mi ritroveranno mai più!

(Escono. Pausa. Maria cade su una sedia).

Maria          (piano)  Abbiamo perduto tutto!

Federico     Ci resti tu, Maria... Armando è qui, ed io anche...

Maria          (scuotendo il capo)  Tutto è perduto...

Geltrude    Lui sarà felice...

Maria          (guarda nel vuoto)  Felice...

(Bussano alla porta, nessuno risponde. La porta si apre ed entra Stella).

Stella         Scusino. E' la delegazione della fab­brica. C'è anche il direttore del giornale...

Maria          (si alza in silenzio)  Bisogna andare.

(Senza una parola tutti vanno alla porta e Maria chiude il corteo).

Legrand      Potete dir loro che Cipriano è morto per una disgrazia...

(Tutti si sono fermati un attimo, ma nessuno si è voltato. Anche Maria sta per uscire. Legrand chiama)

Maria.

(Maria si volta. Lo guarda)

E' finita, Maria...

Maria          Lo so...

Legrand      Non lo sai ancora. Maria, è finita! Cipriano è morto soltanto da un minuto... E io ho compiuto l'assassinio... Il mio assassinio... vi ho liberati  tutti...

Maria          (scuote  il capo)  Non   perdonerò mai.

Legrand      Ora rientro a casa mia e ti aspetterò. Ora so che verrai. Prima o poi... se vuoi vivere non hai altra scelta... Anche per te,  finalmente, vivere vorrà dire cercare di essere felice... Per quel po' di tempo che ci resta, io sarò la tua felicità...

Maria          Che cose la felicità?

Legrand      Io e te... a qualsiasi costo!

Maria          Io e te?... Povero Legrand... Sono vent'anni che dura questo io e te!

Legrand      Perché hai tanto cercato di rimanere bella?

Maria          Per vivere... E forse anche per te; avevo bisogno di questo amore... (Scuote il capo) Troppo tardi!

Legrand      Proverò il contrario, se vorrai...

Maria          Non verrò mai!

Legrand      Verrai. E ti metterai quel vestito gri­gio col colletto chiuso, e quella sciarpa di seta che ti leghi attorno alla testa nei giorni di pioggia...

Maria          Mai!

Legrand      A presto, amor mio...

(Maria lo guarda. E' la prima volta che Legrand le dice quelle parole, Si raddrizza, apre la bocca per parlare... Ma Legrand sorride e allora Maria china il capo, si volta ed esce lentamente. La porta rimane aperta. Pian­tato sulle gambe divaricate Legrand cava la pipa di tasca, prende anche la busta del tabacco, ci im­merge dentro le dita e ha un'espressione sognante, rapita, mentre sorride piano con le labbra dischiuse).