Autoritratto

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AUTORITRATTO

 


Commedia inedita

di Achille Campanile

[da RIDOTTO n. 3 marzo 1984]

VOCEMASCHILE CHE CANTA - (può essere il disco della canzone)                

Addio, sogni di gloria,                                                                               

addio, castelli in aria!...

Guardo con sordo rancore la mia scrivania,

cerco scacciare ma invano la malinconia!

Addio, sogni di gioventù,

perché non ritornate più?...

ecc, ecc.

CAMPANILE - (urlando) - Basta! Silenzio! La finite, con questa canzone?

VOCE DI DONNA - Perché ti dà fastidio?

CAMPANILE - Sì. Cantate qualche altra cosa.

VOCE CHE CANTA c.s. - (prosegue in sordina) -

Addio, sogni di gloria,

addio, castelli in aria!...

Guardo con sordo rancore la mia scrivania...

CAMPANILE - E insiste!

CAMERIERA - Signor padrone, c'è una signora che desidera esser ricevuta da lei ma non vuol dirmi il nome.                                                                                 

CAMPANILE - Com'è? Bella? Bellissima. Allora falla passare.                              

CAMERIERA - Sempre così. Se fosse stata brutta: "Non sono in casa". (Forte) S'accomodi, signora.                                                                                                   

(Squilli di tromba)

LA STORIA - Permesso? Buongiorno, signor Campanile

CAMPANILE - Buongiorno, signora. Ma con chi ho il piacere...?

STORIA - Permetta che mi presenti: io sono la Storia.

CAMPANILE  -  Oh,  come si mantiene bene.  Così  antica,  e sembra una giovinetta. Fresca come una rosa.

STORIA - Le dirò: io rinasco ogni giorno.

CAMPANILE - Beata lei. E, a che debbo il piacere della sua visita?

STORIA - Ecco, io vorrei che lei mi facesse l'autoritratto del suo lavoro.

CAMPANILE - Niente di più facile: le presenterò un mio lavoro. Ogni lavoro è il proprio autoritratto.

STORIA - Ma io vorrei che lei mi raccontasse anche il suo lavoro.

CAMPANILE   -   Ho  capito.  Be',  s'accomodi.  Questo  equivale  in  parte  a raccontare la mia vita, perché vita e lavoro si identificano. Ma io cercherò di lasciar fuori i casi privati. lo racconterò, qua e là sentirà delle voci, dei canti. Sono le voci e i canti della mia vita.

Senta, senta...

(MUSICA)

Quando son solo

e mi rigiro nel mio letticciuolo,

tanti pensieri tristi,

tanti pensieri allegri,

mi vengono a trovare.

Si può?

È la mia verde età.

Oh, ma favorisca, quale onore!

Permette?

Sera di tramontana

d'un'epoca molto lontana,

favole in cucina,

porte chiuse per le strade,

lampioni che s'accendono

e si spengono col vento e si riaccendono

da soli,

i portalettere e i vecchi cocchieri,

malinconia del tempo che fu.

CORO - I portalettere e i vecchi cocchieri, malinconia del tempo che fu.

CAMPANILE - La prima vocazione che manifestai fu quella dell'oratore.

STORIA - Bravo.

CAMPANILE  - Sì.  M'hanno  raccontato che,  appena venuto al mondo, mi guardai intorno con curiosità e tacqui, come se pensassi. Ma per parecchio tempo non pronunziai sillaba, tanto che in casa temevano che fossi muto. Non piangevo nemmeno. E dovevano darmi sculaccioni ordinati dal medico, perché assumessi un contegno meno impassibile e piangessi, per rafforzare le corde vocali.

STORIA - Bella età. in cui piangere serve almeno a rafforzare le corde vocali.

CAMPANILE - Una sera fui portato alla finestra in braccio alla balia. Era una sera estiva di festa nazionale e la casa affacciava su una grande piazza tutta illuminata per l'occasione. Gli edifizi erano incoronati di fiammelle palpitanti che ne  disegnavano  le sagome su quel cielo trasparente e fiorito delle sere d'estate. Fiammelle erano sui davanzali e tutte vacillavano a un vento leggero e profumato, che gonfiava le bandiere e gli arazzi. Su un palco illuminato suonava con calma una banda, piano piano, coi piatti in sordina, che seguivano passo passo una musica lieve.

(Musica di banda che suona" quasi in sordina accompagnando un coro di voci )

CORO - (cantando) –  Tutte le bande in piazza io lascerò.

suonano verso sera tutte per me.

suonano piano piano per dirmi che

tutte le bande in piazza io lascerò

(Continua la banda in sottofondo)

CAMPANILE - La folla in abiti chiari circolava lentamente, sorbiva gelati, conversava a braccetto in un brusìo carezzevole e sonoro. Alla vista di tutte queste cose, io, che dalla nascita non avevo ancora fatto udire la mia voce, aprii la bocca e imprevedutamente feci: "Béé!...". La casa fu in rivoluzione. "Ha parlato, ha parlato!", si gridava al colmo dell'allegrezza e tutti accorrevano dalle varie stanze, manco avessi fatto chi sa che discorso. Ho dopo molti anni pronunziato conferenze in teatri affollati, perfino in America, con intervento di autorità, di ambasciatori. Ma non ho mai più avuto un simile trionfo con una sillaba sola e credo che con una sillaba sola nessuno al mondo l'abbia mai avuto.  Quello fu uno dei più grandi successi oratorii che la storia possa annoverare.

II

STORIA - A proposito della sua nascita, ha da dire qualche altra cosa, alla storia?

CAMPANILE - Sulla mia nascita potrei parlare per nove mesi di seguito. Ho sentito dire che sono settimino, cioè nato dopo soli sette mesi di gestazione. Ai settimini una credenza popolare attribuisce una specie di seconda vista. Io ci tengo e talvolta ho dato a intendere d'esser nato con un anticipo tale che ancora non avevo le gambe. Sono giunto a descrivere l'emozione dei presenti quando,  qualche mese dopo la mia nascita si vide che cominciarono a spuntarmi le gambe. Ebbene, è arrivato il momento di dire la verità: sono nato con le gambe, signori. Non è vero che esse mi siano venute a una certa età. Le ho sempre avute. Smentisco quello che ho raccontato finora in private conversazioni. Abiuro. Le gambe le avevo fin dal primo giorno.

III

STORIA - Ma veniamo alla scelta della professione.                                             

CAMPANILE  - Quand'ero ragazzo,  i miei genitori  parlavano spesso della professione che avrei dovuto esercitare un giorno. A quell'epoca, s'era convinti che l'avvenire fosse delle scienze esatte e mio padre progettò di destinarmi all'ingegneria; e,  poiché allora si parlava per l'Italia di avvenire sul mare, I all'ingegneria navale, lo udivo questi discorsi e dentro di me ero triste perché non volevo fare l'ingegnere navale. L'idea che un giorno avrei dovuto costruire navi mi riempiva di malinconia. Sapevo di doverlo fare, ma la cosa non mi sorrideva. Mi pareva che mi si stesse preparando una prigione. Pensavo pure che mi sarebbe riuscito molto difficile costruire navi che stessero a galla. E in realtà, se avessi fatto l'ingegnere navale, è quasi certo che le navi da me costruite sarebbero finite dritte dritte in fondo al mare, fin dal momento del varo: da bimbo pensavo con angoscia alla figura che avrei fatto di fronte alle autorità presenti  alla cerimonia,  al danno che avrei causato a coloro che avean commesso l'imprudenza di commissionarmi la costruzione del colosso oceani­co, alla mia confusione mentre la folla si sbandava spoetizzata. Per fortuna il progetto naufragò come le navi che avrei dovuto costruire.

STORIA - Ma lei non aveva una vocazione?

CAMPANILE - E come! Adesso ci vengo. Però prima voglio dirle che ogni tanto i miei esprimevano il rammarico che io non avessi la vocazione religiosa. Mia madre mi avrebbe visto volentieri prete, mio padre monaco. A lui, di tendenze mistiche, piaceva immaginare per il figliolo la pace di un piccolo chiostro fiorito. Quanto a me, pensavo che, se fossi potuto diventare cardinale di colpo, la carriera ecclesiastica poteva anche non dispiacermi. Ma seminarista! Parroco! Il Papa può elevare anche un laico alla porpora, pensavo, e chissà che un giorno non veda arrivarmi a casa il cappello cardinalizio. E, da Cardinale a Papa, il passo è breve. Mio padre si entusiasmava all'idea di Montecassino. Mia madre diceva:  "No, un monaco è perduto per Ia famiglia. Meglio prete, che resta nel mondo". "Caso mai,", obbiettava mio padre che aveva una predilizione per il saio, "frate". Io sentivo questi discorsi, non contrariavo mai nessuno, ma dentro di me pensavo: "Sì, frate, non voglio far altro!". Anche perché fin dalla nascita mi ero subito accorto che il mondo è pieno di belle ragazze.

*

*   *

Intanto io dentro di me, sapevo, come una cosa certissima e ovvia, che un giorno sarei diventato scrittore. Dirò di più: scrittore celebre. La cosa non mi faceva nessuno speciale effetto. Mi pareva logica e naturalissima e mi lasciava del tutto indifferente.

(Canto, declamazione, o melologo, ad libitum)

Ero studente, allora,

e andavo ogni mattina

a scuola, sgambettando per le vie della città.

Se quel ricordo sfiora

l'anima mia tapina,

io provo, ripensando al dì che lagrimar mi fa,

un desiderio strano

per quel tempo lontano.

Lo vedo e non ci credo,

lo penso e non mi pare,

ma come ho fatto,

come ho fatto tanto ad invecchiare?

Sebbene non si debba

poi troppo esagerare

con questa storia d'esser vecchi.

lo mi sento di poter dare

filo da torcere a parecchi

e specialmente a queste sirenette

delle cinque parti del mondo.

STORIA - Ma adesso, signor Campanile, veniamo all'opera.

CAMPANILE - Ah, sì.

(sull'aria di Leporello del "Don Giovanni" di Mozart)

Madamina, il catalogo è questo...

STORIA - Ma io non parlo dell'opera lirica, parlo dell'opera sua, dei suoi romanzi, dei suoi libri, delle sue commedie. È di questo che voglio l'autoritratto.

CAMPANILE - Ho capito, ho capito E io questo stavo facendo.

(Intona, c.s.:)

Madamina, il catalogo è questo

dei romanzi che fé' il cervel mio,

un catalogo egli è che ho fatt'io.

ascoltate, guardate con me,

ascoltate, guardate con me!...

VOCE CHE ANNUNZIA - "Ma che cosa è quest'amore?"!

(Stacco musicale)

VIAGGIATORE - (alla stazione, chiamando:) - Facchino!... Facchino!...

FACCHINO - Facchino sarà lei!

VIAGGIATORE - Ma non è lei che porta i bagagli?

FACCHINO - Ah, è per la valigia? Credevo che m'insultasse.

VIAGGIATORE - Le pare!

(Stacco musicale)

VOCE - Giuseppe De Rossi era il cane di casa. Affezionatissimo. Talmente affezionato che, quando il padrone gli dava un calcio troppo forte, lui si metteva a guaire, temendo che il padrone si fosse fatto male al piede.

(Stacco musicale)

LEI - Amore!

LUI - Gioia!

LEI - A che pensi?

LUI - Non te lo posso dire.

LEI - E invece me lo devi dire. A me devi dire tutto, lo sai.

LUI - Non insistere. Lucy. ti prego

LEI - No, dimmi a che pensavi

LUI - Non posso.

LEI - Dimmelo, dimmelo.

LUI - Be', pensavo: sta a vedere che adesso mi domanda a che penso e non so cosa dirle.

(Stacco musicale)

VOCE -     Dove sei, Occhibelli,

coi tuoi biondi capelli?

A chi narri la favola, di',

della gatta mavola?

Guardi con occhi fondi

gli orizzonti lontani,

dove si perdon vani

sogni?, di', non rispondi?

A chi mostri il bel viso?

chi guardi? a chi sospiri?

Ripenso al tuo sorriso

e a tanti miei desiri.

Ho una ferita amara

sempre nel ricordarti,

avemmo torto, o cara,

da tutt'e due le parti.

Vorrei frugar nel tempo

e nel lontano spazio,

per ritrovarti, sazio

non sono, oh, no, di te,

o, fra le reginotte

quella che piacque a me

e che mi fece re

per una notte.

VOCE CHE ANNUNZIA - "Se la luna mi porta fortuna"!

(Stacco musicale)

Squilli di tromba. Musica dell'entrata di Dulcamara nell"'Elisir d'amore".

VOCE DI IMBONITORE CHE ARRINGA LA FOLLA - Rispettabile pubblico, guardate questa penna stilografica. Non macchia, non consuma, non gratta la carta, è della migliore marca ed è garantita per dieci anni. Ebbene, io non ve la dò per cinquecento lire e nemmeno per quattrocento. In un qualsiasi negozio vi sentirete chiedere seicento lire. Ma io non ve la dò neanche per trecento. lo non sono uno dei soliti speculatori, né uno di quei gabbamondo che illudono il prossimo con la parlantina. No, signori. Questa penna io non ve la dò per duecento, né per la tenue somma di cento lire. Vedo già molti di voi che mettono mano al borsellino, credendo che io ceda questa penna al prezzo irrisorio di cinquanta lire. No, signori. lo non chiedo nemmeno trenta lire. Signori, che cosa sono per voi venti lire? Una miseria. Ma io non ve la dò per venti, né per dieci. Attenzione, signori! lo non ve la dò per nove, né per sette, né per cinque lire! lo non ve la dò per niente, perché questa penna è mia e me la tengo io!

(Stacco musicale. Musica di Dulcamara che parte.)

Quanto vuole per tacere?

Un milione.

Continui pure.

(MUSICA)

CANTO -   E tu, Barberina, suonavi il clavicembalo

nella stanza di raso color mandorlo

fiorito, coi ritratti dei nonni che guardavano

dalle lisce cornici ovali d'ebano.

Una vetrata a forma di rettangolo,

fatta di tanti piccoli quadrati,

metteva nel giardino del melàngolo.

Avevi la gonnella a crinolina

e i capelli divisi sulla fronte,

che n'è che n’è di te, mia Barberina?

 

Tra pizzi, tra fiocchi,

tra libri di suore,

tra vecchi balocchi,

non pensi all'amore,

non senti i rintocchi

che segnano l'ore,

lontano dagli occhi,

lontano dal cuore.

ROSA - Lontano dagli occhi, lontano dal cuore!

CANTO -   Voglio vederti piangere,

voglio veder quegli occhi scintillare,

come stelle lucenti sopra il mare.

come fior per rugiada la mattina,

mia Barberina,

non posso vivere,

senza di te.

ROSA - Come il sapone per la barba.

VOCE CHE ANNUNZIA - "Giovinotti, non esageriamo"!         

(Stacco musicale)

VOCE c.s. - Metodo per il giuoco del calcio in versi, o: tutti calciatori in quindici strofe.

VOCE CHE DECLAMA -

Due schiere schierarsi,

cari signori,

d'un pari numero

di giocatori

 

quivi son undici,

undici là,

in questo vedesi

la parità.

Cinque precedono

sul verde smalto,

cui spetta il compito

d'ire all'assalto.

Veloci e rapidi

vengono e van,

"avanti" diconsi

e avanti stan.

Poscia tre seguono

tecnici e scaltri,

che il pallon gettano

agli uni e agli altri;

 

i responsabili

son d'ogni azion,

mediani chiamansi

e tali son.

In varia ipotesi

niun d'essi falla,

se ai primi cinque

getta la palla,

o se pur gettala

dietro di sé,              

dove a raccoglierla

son due, non tre.

Due che si chiamano

ambi terzini

ed al pericolo

stanno vicini;

quando s'approssima

troppo il pallon,

via lo respingono

con precision.

Sol dieci corrono

in ciascun campo,

ratti qual fulmine,

folgore o lampo.

A calci prendono

tutti il pallon,

con rapidissime

evoluzion.

Ma — sento chiedermi —

forse è un po' fiacco

quei che partecipe

non è all'attacco?

No, che l'undecimo

delle due schiere

la porta vigila

e fa il portiere.

È questi l'unico

— tutti lo san —

che il pallon prendere

può con le man.

Gli altri, se il toccano,

fan tosto fallo

e allor rimettesi

l'oggetto in ballo

da un giocatore

del campo che

è contro quello

che il fallo fe'.

Nel campo notasi

poscia un signore.

che non ha l'aria

del giocatore.

Con l'occhio vigile

segue l'azion.

ma non partecipa

alla tenzon.

Ha giacca e — splendida

cosa a vedere —

ha sopra i tendini

le giarrettiere

Forse è un intruso?

è spettator?

o a caso trovasi

fra i calciator?

 

No, quegli è l'arbitro

 che, tra le schiere,

attento stassene

 tutto a vedere;

che imparte gli ordini

 di quando in quando,

l'inappellabile

 dito abbassando;

che tutti esecrano,

che tutti offendono,

che tutti prendono

a bersagliar:

VOCI DIVERSE - (indignate:) -

—  Arbitro presbite!

—  Sordo e fanatico!

— Venduto!

—  Miope!

—  Cieco!

—  Lunatico!

—  Meticoloso!

—  Iniquo inver!     

—  e fegatoso     

—  filibustier!

—  Tu ci hai tradito!

—  Leva quel dito!

—  Getta il fischietto!          

—  Vattene a letto!

—  Torso di cavolo!                                                          

—  Vattene al diavolo!

—  Facci il piacere,      

—  cambia mestiere!

(Urla di tifosi contro l'arbitro; dal vero.)

VOCE CHE DECLAMA -

Non parla l'arbitro,

non dice niente,

ma udir fa un sibilo

molto frequente.

Se il pallon ruzzola

del campo fuori

vuol dir quel sibilo:

Fermi, signori!

(Ossia: Fermatevi,

or v'ha un inciampo,

perché il calciabile

uscì dal campo;

cioè: Fermatevi,

che v'ha un intoppo:

lungi è lo sferico

dal campo troppo.

Se a caso il toccano

poi con la man,

vuoi dir quel sibilo:

Signori, pian!

(Il che significa:

Campion, t'arresta,

che, se permettonsi

colpi di testa,

colpi di petto,

colpi di piè',

l'uso interdetto

della man è.)

Se al portier prossimo

è il toccator,

il calcio egli ordina

ch'è di rigor.

Talor quel sibilo

val: Fermi un poco;

un v'ha che trovasi

fuori di giuoco.

Se del suo campo

dietro il confin

qualcun fa giungere

il palloncin,

ordina l'arbitro

per punizion

un calcio d'angolo

contro il fellon.

Non sempre il sibilo,

oppur fischietto,

vuol dir che l'arbitro

messo è in sospetto;

talora alludere

non vuole a un fallo,

ma sol comunica

ch'è l'intervallo.

Oppur significa:

Basta, signor,

del giuoco il termine

scoccato è or or.

(Cosa che capita

dopo novanta

minuti, o al massimo.

centocinquanta.)

I  punti valgono

quando il pallon

 dell'avversario

va nel porton.

Allor di giubilo

un grido sol

parte dal pubblico

che grida: "Gol!...".

Ma tu con fisime

anche in quell'or

la gioia intossichi

 del giocator.

VOCI - (c.s.:) -

— Arbitro presbite,

sordo e fanatico,

venduto e miope,

cieco e lunatico,

meticoloso,

iniquo inver

e fegatoso

filibustier,

tu ci hai tradito,

leva quel dito,

getta il fischietto,

vattene a letto,

torso di cavolo,

vattene al diavolo,

facci il piacere,

cambia mestiere!

VOCE CHE DECLAMA -

Il  calcio è lecito

solo al pallon

mentre che vietansi

pugni e ceffon.

Ma spesso capita

per troppo ardor

che i calci corrano

tra i giocator.

Allora il pubblico

dei partigiani

ratto qual fulmine

viene alle mani.

Picchiano giovani,

vecchi e bambini,

gridando: Stupidi,

sciocchi e cretini !

È deplorevole,

ma chi potrà

l'umana vincere

fragilità?

Eppur tu subito

t'adonti e non

sopporti strepiti

delle person.

VOCI- (c.s.:) -

— Arbitro presbite, ecc. ecc.

VOCE CHE ANNUNZIA - "Chiarastella"!

(Stacco musicale)

VOCE - Ci sono paesi selvaggi dove, come monete, s'usano pezzetti d'osso e conchiglie. È una cosa comodissima: si va in trattoria, s'ordina una dozzina d'ostriche, si succhia il contenuto e si paga col guscio.

(Stacco musicale)

ALTRA VOCE - Il bello è, poi, che in quei paesi le ostriche costano un guscio due. Cioè, dodici ostriche si pagano con sei gusci e gli altri sei gusci si portano a casa e si mettono da parte per la vecchiaia.

(Stecco musicale)

VOCE - Del resto, per chi sa ingegnarsi, c'è sempre il modo di risolvere il problema economico. Un mio amico ha avuto un'idea: ha fondato la "Lega dei pedoni contro gli automobilisti", ha riscosso le quote d'iscrizione e ci si è comperata l'automobile!

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "Cantilena all'angolo della strada"!

(Stacco musicale)

VOCE - Un giorno, molti e molti, ma molti anni fa, un tale era uscito senza ombrello, quando s'accorse che veniva giù qualche goccia. "Quasi quasi", pensò "torno a casa a pigliar l'ombrello". Ma poi disse: "Saranno gocce passeggere"; e continuò la strada, perché aveva fretta. La pioggia cominciò a cadere. Quel tale si rifugiò sotto un portone. "Aspetterò che spiova", disse.

(Breve pausa)

Era cominciato il Diluvio Universale.

(Stacco musicale. Effetti di diluvio)

VOCE CHE ANNUNZIA - "L'inventore del cavallo"!Prefazione degli accademi­ci.

(Stacco musicale)

PRESIDENTE - Ecco il professor Poziakoff, un benefattore dell'umanità. Ha inventato il sistema per trasformare, durante i mesi estivi, la bombetta in paglietta. Ed ecco l'illustre accademica signorina Yvonne La Vallière, storica, poliglotta, enciclopedica. Sa tutte le date della storia, financo le più lontane e insignificanti. Signorina, dite una data lontanissima.

YVONNE - Tre aprile del tremila duecento tredici avanti Cristo.

BOLIBINE - È straordinaria!

PRESIDENTE - Purtroppo, ella non sa i fatti che avvennero in quella data: ma le date le sa tutte. Conosce inoltre l'inglese alla perfezione.

MINISTRO - Come me.

YVONNE - Impossibile. Le parole che conosco io, di inglese, non le conosce nessuno.

MINISTRO - Diamine, io posseggo il lessico interamente.

YVONNE - Bene. Prenda la parola "Ndrbl".

MINISTRO - Come?

YVONNE - "Ndrbl". Sa dirmi che cosa significa?

MINISTRO - (contrariato) - Effettivamente, questa parola non la conosco. Che cosa significa?

YVONNE - (con riso beffardo) - Ah, ah! Lo vengo a dire proprio a lei! Lo so solo io, che cosa significa, e, come questa, conosco moltissime altre parole inglesi che nessuno al mondo conosce. S'immagini un po', le parole inglesi che so io, non le sanno nemmeno gl'inglesi!

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "Il povero Piero"! Scena delle lapidi funebri.

(Stacco musicale)

VOCI VARIE -

Qui giace

X.Y.

amico del sindaco,

conoscente del prefetto,

intrinseco del generale Z.

Onorato dalla benevolenza

dell'onorevole V.

Una prece.

(Stacco musicale,

Antonio K! Desti del tu

al presidente del tribunale!

E ci hai lasciato!

(Stacco musicale)

Qui giace H.Y.

Dette del tu

al Signore.

(Stacco musicale)

Qui giace N.O.

a cui vorremmo poter dire:

Riposa in pace, amico carissimo!

Ma chi oserebbe dare del tu

a un uomo che ebbe

tanta autorità in vita?

(Stacco musicale)

Qui giace L.M.

pilota aviatore

che precipitando a terra

saliva al cielo.

(Stacco musicale)

Qui giace E.F.

vigile del fuoco.

Odiò le pompe.

(Stacco musicale)

Qui giace Piero d'Avenza

cittadino integerrimo

lavoratore indefesso

sposo e padre esemplare

figlio amorosissimo

fratello discreto

cugino soddisfacente

cognato passabile

genero detestabile

prozio tenerissimo

biscugino senza particolare rilievo

nipote insignificante

pronipote modello

suocero insuperabile

amico pignolo

debitore insolvibile

vicino di casa un poco rumoroso

nonno futuro

antenato impareggiabile

morto esigente

Una prece!

A lui i posteri diranno un giorno:

Grazie, arcavolo!

(Stacco musicale)

Qui giace

Piero d'Avenza,

detto il povero Piero,

che è morto lasciando nel cordoglio

la consorte integerrima

il suocero

fulgido assertore dei più nobili ideali

la suocera proba e laboriosa

il cognato, esempio di pazienza e di bontà

gli apprezzatissimi fratelli

l'onorato zio

l'amico De Magisti

di specchiata rettitudine

i solerti e probi Nicoloni

produttori dei rinomati

salami Nicoloni e C.

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "Delitto a Villa Roung"!

(Stacco musicale)

(S'ode improvviso un grido di terrore, lungo, straziante)

VOCE - (grido di terrore:) - Ah!...

ALTRE VOCI - (maschili e femminili; tutte in tono terrorizzato)

—   Che è successo?

—   Zio!

—   Trismegiàn!

—   Morto!...

—   Pugnalato nella schiena!...

(Mormorio di terrore)

OLGA - Bisogna telefonare subito alla polizia.

(Telefona con semplicità, in tono fatuo)

Pronto? Polizia? Squadra Omicidi?... Ah, è lei, ispettore? Che piacere! Qui Villa Roung... Sì, sono io... Non c'è male, grazie, e lei?... Ho piacere. Che mi racconta di bello?... Eh, lo immagino, lo immagino... E i suoi, tutti bene?... Mi fa piacere... I miei, così così... Si vivacchia. Meno il mio ex-futuro genero, che non vivacchia più... Sì, è moracchiato. Assassinato, sì. Pugnalato nella schiena... È quello che dico anch'io: che indelicati! Anzi, volevo dirle: potrebbe mandare un ispettore?... Viene? Grazie infinite.

(Riattacca il ricevitore. Ai circostanti) 

Viene subito. Che cara persona!

CAMERIERA - (annunzia) - C'è l'ispettore di polizia con un agente.

OLGA - Ha fatto prestissimo a venire.

ISPETTORE - (entra seguito dal sergente Mortimer) - Fermi tutti! Nessuno abbandoni la casa. Mortimer!

MORTIMER - (agente) Comandi,

ISPETTORE - Un agente di guardia a ogni uscita della villa.

MORTIMER - Sta bene, capo! (Saluta facendo suonare i tacchi ed esce)

FILIBERTO - C'è una sola uscita.

ISPETTORE - E noi un solo agente abbiamo. Ci sono delle uscite segrete?

FILIBERTO - Che io sappia, no.

ISPETTORE - Meno male. Perché, per le uscite segrete, ci vorrebbero degli agenti segreti. Tutti in casa al momento del fatto?

OLGA - Tutti.

ISPETTORE - E nessun altro?

OLGA - Non c'è nessun altro in casa. La cuoca è in vacanza a Biarritz. Ah, mio caro ispettore, non si può più vivere tranquilli. Da un pezzo in qua non c'è riunione familiare, a Londra, che non sia funestata da un caso del genere: a un certo punto si spegne la luce improvvisamente e poi si trova che è stato assassinato qualcuno dei presenti.

ISPETTORE - Riceviamo continue chiamate per casi del genere. E sapesse che tatto ci vuole, per condurre le indagini in questa specie di delitti! Non avvengono che nelle buone famiglie.

OLGA - Ormai è diventato un giuoco di società: la famiglia si riunisce, viene ucciso uno dei presenti, si chiama la polizia e comincia il giuoco: trovare l'assassino.

FILIBERTO - (puerilmente) - Oh, sì, sì, facciamolo!

OLGA - Che cosa?

FILIBERTO - Questo giuoco!

OLGA - Ma sei matto? Alla tua età!

ISPETTORE - In molte famiglie viene adottato come passatempo per le lunghe serate invernali.

OLGA - E il bello è che, quando si spegne la luce, non c'è mai qualcuno che abbia un fiammifero.

MORTIMER - (rientra) - Capo, c'è il medico.

ISPETTORE - Avanti, dottor Scottles. La solita chiamata.

SCOTTLES - (entrando) Ormai ci sono abituato. Buona sera, ispettore. Buona sera, signori. Immagino che la vittima sia questa. (Esamina la vittima) Già: o pugnale, o veleno. Ancora non si può dire.

ISPETTORE - Come, non si può dire, se c'è il pugnale ancora conficcato?

SCOTTLES - Già, è vero, non ci avevo pensato. Sicuro, sicuro, pugnale senz'altro.   Del   resto,   potrebbe  esserci  anche  il  veleno,  oltre  il  pugnale. (Esamina) già: o suicidio, o delitto.

ISPETTORE - Credo che il suicidio si possa escludere: il pugnale è conficcato nella schiena.

SCOTTLES - Verissimo. A meno che... (Ai circostanti)  La vittima non era contorsionista, per caso?

OLGA - Che io sappia, no.

FILIBERTO - Lo escludo.

SCOTTLES - Allora, niente suicidio. Delitto senz'altro. Buona notte, signori.

OLGA - Buona notte, dottore.

SCOTTLES - Ah, dimenticavo: per ora, fategli un clisterino. (Via)

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "Aeroporto"!

(Stacco musicale)

(Rumori caratteristici di un aeroporto)

ALTOPARLANTE - È in arrivo sulla pista numero quattro l'aereo da Barcellona!

(I rumori passano in sottofondo e poi tacciono, in modo da non disturbare il dialogo)

GIOVINOTTO - E anche lei va a Nuova York?

VECCHIOTTO - (con accento siciliano, o meridionale, se autentico e non sforzato, o artificioso) - Eh, amico mio. è doloroso venire da Nuova York fino in Italia, per rivedere il paese natale dopo trent'anni d'assenza, e ripartire senza averlo visto.

GIOVINOTTO - E perché?

VECCHIOTTO - Perché mia moglie... sì, sì, questa vecchietta accanto a me... s'è ammalata di cuore appena siamo arrivati. E grave. Lei lo sa. Ho faticato per convincerla a tornare a Nuova York prima che muoia. Capirà, da morta il trasporto mi costerebbe molto di più.

GIOVINOTTO - Ah.

VECCHIOTTO - Tanto più che ho già il biglietto per lei.

GIOVINOTTO - Da viva.

VECCHIOTTO - Da viva. Avrei potuto portare le sue ceneri, ma lei è contraria alla cremazione.

GIOVINOTTO - Che idee! E perché?

VECCHIOTTO  -  Lo  sa  lei?  Abbiamo delle discussioni,  per questo.  (Alla vecchietta) Carmela!

CARMELA - (con un grugnito) - Eh!

VECCHIOTTO - Ma perché non vuoi essere cremata?

CARMELA - Non mi seccare!

VECCHIOTTO - (al giovinotto) - Non ci sente da quest'orecchio. (A Carmela) Ma non capisci che per portare le tue ceneri non si spenderebbe niente? Basterebbe una cassettina. Mentre il trasporto del feretro costa un occhio.

CARMELA - (stizzosa) - Non me ne importa niente. lo non voglio essere cremata.

VECCHIOTTO - (al giovinotto) - È irremovibile. L'idea della cremazione gliela prospetto sotto i più rosei colori, ma non le sorride affatto. (A Carmela) Non sentiresti niente.

CARMELA - Non m'interessa. Fatti cremare tu, se vuoi.

VECCHIOTTO - Guarda questa coppia d'indiani che arriva. Da loro si fanno cremare tutti. Adesso te lo faccio dire da lui. (Chiama) Signor indiano, scusi.

INDIANO - (accento esotico) - Dire.

VECCHIOTTO - Lei farsi cremare?

INDIANO - (stupito) - lo, Perché?

VECCHIOTTO - Dico: dopo morto.

INDIANO - Ah, no.

VECCHIOTTO - E perché? In India usare, no?

INDIANO - Altro che! Certi paesi non soltanto bruciare morti, ma per dare funerali maggior pompa, aggiungere anche viventi a bruciamento. Esempio, vedova o vedovo.

VECCHIOTTO - Bè, questo forse essere esagerato.

INDIANO - Lusso gran signori.

VECCHIOTTO - Sì, ma io non approvare. lo studiato fondo questione. Presso i Greci, in omaggio al defunto, ci si poteva al massimo far tagliare i capelli al momento della cremazione. Fino a questo potrei arrivarci. Ma... Ma mettermi anch'io sul rogo, no.

INDIANO - Adesso usanza cremazione passata moda India. Giovani oggi preferire divoramento avvoltoi.

VECCHIOTTO - Ma va!

INDIANO - (come pregustando squisiti piaceri) - Anch'io appena morto pronto per avvoltoi. Molto meglio.

GIOVINOTTO - Specialmente per avvoltoi.

VECCHIOTTO - Ma per carità! Volete paragonare la cremazione col farsi divorare dagli avvoltoi? Carmela, la cremazione è una cosa pulita... igienica...

CARMELA - Non me ne importa niente.

VECCHIOTTO - (all'Indiano) - La sente? Non vuol farsi cremare.

INDIANO - Allora farsi divorare avvoltoi.

CARMELA - Non le rispondo nemmeno, guardi. Si faccia divorare lei.

INDIANO - (raggiante come si trattasse d'una ghiotta prospettiva) - lo sì. E anche mia moglie. ((Alla moglie) È vero, Apocatra?

INDIANA - (raggiante, come il marito) - lo sì. Maaratrù.

VECCHIETTA - E io no. Né cremata, né divorata, (facendo il verso) Maaratrù.

VECCHIOTTO - (all'Indiano) - La sente? Vada a ragionare con un tipo simile. Ma scusi, signor indiano, se sua moglie morisse qui, o in America, lei la riporterebbe fino in India, solo per offrirla in pasto agli avvoltoi?

INDIANO - Per forza.

VECCHIOTTO - Ma scusi, in questo caso, sarebbe perfino meglio far venire gli avvoltoi qui o addirittura comperare degli avvoltoi, tanto più che non avrebbe spese per il loro vitto. Scusi, vado a comperare due fiori da portare a mia suocera, rimasta a Brooklyn.

INDIANO - Viva.

VECCHIOTTO - Beninteso, ma anche lei un poco sofferente, grazie a Dio. Voleva venire con noi in Italia ma io...

INDIANO - Soltanto cremata.

VECCHIOTTO - È vecchia, c'è poco da fidarsi. Con permesso.

ALTOPARLANTE - È in partenza dalla pista numero otto l'aereo per New York...

(Rumori tipici di aeroporto)

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "Agosto, moglie mia non ti conosco".

(Stacco musicale)

—   Andrea!

—   Papà!

—   Piove ancora?

—   Non lo so.

—  Come non lo sai, se stai alla finestra?

—   Cade molta acqua dal cielo, papà, ma non so se sia pioggia.

—   E che vuoi che sia, figlio mio! Almeno non ti far sentire quando dici queste cose.

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "La moglie ingenua e il marito malato".

(Stacco musicale)

INFERMIERE - (al signore che dorme) - Ehi, signore, si svegli, che deve prendere il sonnifero!

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "La spagnola"!

(Stacco musicale)

SEBASTIANO - (alla cameriera) - Luisa, hai preparato il mio bagaglio?

LUISA - Sì, signore. La valigia è pronta.

SEBASTIANO - Hai messo le mutande?

LUISA - Sì, signore.

SEBASTIANO - Quante paia?

LUISA - Uno.

SEBASTIANO - Ti avevo detto di prepararmi una valigia per quindici giorni.

LUISA - Ah, credevo che il signore mi domandasse se m'ero messa le mutande. Sì, nella valigia ne ho messe per due settimane.

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - "Viaggio di nozze in molti"!

(Stacco musicale)

PRESENTAZIONE

— Permette? Sono il cavalier Fischietti. E lei?

— Io no.                                                                                    

(Stacco musicale)

STORIA - E adesso, signor Campanile, se la sentirebbe di consegnare alla Storia la fortuna del suo teatro?

CAMPANILE - La fortuna del mio teatro, signora, è varia e in certi momenti ha assunto caratteri addirittura drammatici.

STORIA - Il che, trattandosi di teatro, non guasta.

CAMPANILE - Vi dirò per prima cosa che ho scritto finora circa duemilacento-ventotto lavori teatrali, di cui una decina in tre atti, una cinquantina in un atto, un numero imprecisato di scene e scenette varie, duemila circa in due sole battute e una tragedia in cinque atti.

STORIA - Naturalmente, alla storia interessa soprattutto la tragedia.

CAMPANILE - La tragedia in cinque atti e per di più in versi, intitolata "Rosmunda", la scrissi a undici anni quando facevo la prima ginnasiale e la portai a scuola perché la leggessero i miei compagni. Fu un successo clamoroso. Poche tragedie sono state gustate quanto lo fu la mia da quel pubblico di giovanissimi. Bisogna anche dire che i ragazzi sono solidali col compagno di scuola che scrive qualche cosa, di extra scolastico. Se ne sentono orgogliosi, come fossero un po' tutti autori di essa. Durante la lezione di latino, il quadernetto di "Rosmunda" serpeggiava fra gli scolari come una saetta. Conteso a calci negli stinchi sotto i banchi da quegli amatori della poesia tragica. Talché, a un certo punto il professor Di Lauro, che nel volto perennemente immobile soleva muovere di continuo gli occhi a destra e a sinistra, come azionati dal tic tac di un orologio, messo in sospetto da quell'armeggio, scoprì il corpo del reato e chiese di averlo. Mentre egli sfogliava il quadernetto leggendo qua e là, spiavo la sua fisionomia per cogliervi le impressioni, in uno stato di trepidazione che si capirà riflettendo che per la prima volta la mia tragedia affrontava un giudizio critico autorevole. Quand'ecco che un certo punto, lungi dal fremere o rabbrividire, o dar segno di quei sentimenti che di solito suscita il genere tragico, il professore cominciò a ridere sotto i baffi. Poi mi restituì il manoscritto: "Se studierai, disse, un giorno scriverai delle tragedie serie."

STORIA - Non s'ingannava.

CAMPANILE - Poiché in quei giorni si rappresentava la tragedia omonima di Sem Benelli, la mia ebbe l'avventura d'essere declamata nel salotto letterario di Lucio D'Ambra, dove convenivano belle signore e scrittori, tra cui Pirandello, non ancora autor di teatro e mio padre. E fu perfino in parte pubblicata da un giornaletto di pettegolezzi letterari. Una scena specialmente godé d'una certa popolarità; quella in cui il feroce re longobardo, tra i clamori del simposio, porgendo a Rosmunda il teschio del di lei padre ucciso, le diceva:                          

Bevi Rosmunda                                                                                                 

nel teschio tondo                                                                                              

di tuo papà                                                                                                        

re Cunimondo.                                                                                                   

Al che. la regina rispondeva con molta buona grazia:

Caro Alboino,

bere non posso

tutto quel vino                                                                                                    

dentro quell'osso.

STORIA - Bene, sentiamo l'intera scena rappresentata.                                            

(Titoli e didascalie vengono letti)

ROSMUNDA

Tragedia in cinque atti in versi

La scena si svolge nel salone della reggia di Alboino. All'alzarsi del sipario, sono seduti alla tavola il feroce re longobardo con alla destra Rosmunda e a sinistra Fruento, pessimo consigliere. Tutt'intorno seggono vociando cortigiani, guerrieri parassiti buffoni ecc. ecc.

FRUENTO  -  (pessimo consigliere si curva sull'orecchio di Alboino e gli sussurra un pessimo consiglio)

Quando verranno i vin

falla bere là dentro,

o mio caro Alboin!

ALBOINO -

Ben pensato, Fruento!

CORO DI COMMENSALI –

Viva Alboino,

re longobardo,

che beve il vino

e mangia il lardo.

Noi tutti in coro

lo ripetiam:

Viva coloro

dove mangiam,

viva coloro

dove beviam!

(Entrano i coppieri coi vini)

ALBOINO - (mesce il vino nel teschio di Cunimondo e lo porge a Rosmunda)

Bevi Rosmunda,

nel teschio tondo

di tuo papà

re Cunimondo.

ROSMUNDA-

Caro Alboino

bere non posso

tutto quel vino

dentro quell'osso.

ALBOINO -

Bevi Rosmunda,

lo vuole il re.

ROSMUNDA -

Ahimè!, ahimè!

Caro Alboino

non amo il vino,

mi dà alla testa.

ALBOINO -

Ma oggi è festa.

Bevi ti dico,

di questo vino

bevine almeno

un gocciolino.

ROSMUNDA -

Te lo ripeto,

non posso bere

tutto quel liquido

senza bicchiere.

ALBOINO -

A far bisboccia

sì, non ti va

nella capoccia

del tuo papà?

ROSMUNDA -

Visto che il vino

come ognun sa,

mi dà allo stomaco

l'acidità?

ALBOINO - (l'afferra e la costringe a bere con la forza)

Tracanna, orsù!

ROSMUNDA - (bevendo suo malgrado)

Glu, glu, glu... glu!

Ecco fatto il voler vostro

brutto mostro.

Oggi bevuto ho

dentro il paterno vaso

domani mangerò

di mio marito il naso.

(Stacco musicale)

CAMPANILE - Dopo questa tragedia, passai un lungo periodo di inattività, dal punto di vista teatrale, finché intorno al millenovecentoventi cominciai a scrivere le "Tragedie in due battute", di cui la prima in ordine cronologico fu:

LE DUE LOCOMOTIVE

PERSONAGGI: LA PRIMA LOCOMOTIVA - LA SECONDA LOCOMOTIVA

La scena si svolge in una stazione. Nota bene: a quell'epoca i treni andavano a vapore e perciò le locomotive emettevano fumo. Le due locomotive attaccate ai rispettivi treni stanno una vicina all'altra su due binari paralleli. All'alzarsi del sipario la Prima Locomotiva comincia a fumare e si volge alla seconda:

LOCOMOTIVA - (alla seconda) - Le dà fastidio il fumo?

LOCOMOTIVA - Per carità, s'immagini, fumi pure. Fumo anch'io.

(Stacco musicale)

CAMPANILE - Questa tragedia non venne mai rappresentata. Ritengo che, se lo fosse stato, non sarebbero mancati i fischi. Quelli delle locomotive, beninteso. Trascorsero due o tre anni, durante i quali continuai a pubblicare tragedie in due battute, delle quali ecco qualche saggio:

IL CONTADINO E L'ASINO

All'alzarsi del sipario il Contadino sta bastonando l'asino, che non si muove.

CONTADINO - È mezz'ora che sto bastonando quest'asino e non si decide a camminare.

ASINO - Benedetto uomo, poteva dirmelo subito. lo credevo che mi bastonasse per farmi star fermo.

(Stacco musicale)

DORMITORIO PUBBLICO

La scena si svolge alla porta d'un dormitorio pubblico per mendicanti. All'alzarsi del sipario il mendicante, rincasando, s'avvicina alla portinaia che èsulla porta.

MENDICANTE - (al portiere) - Scusate, è venuto per caso a cercarmi il miliardario americano Rockfeller?

PORTIERE - No, signore.

MENDICANTE - Ah, benissimo, perché mi sarebbe sembrato molto strano che venisse a cercarmi.

(Stacco musicale)

LA LUNA E IL LAGO

PERSONAGGI: LA LUNA E IL LAGO

All'alzarsi del sipario la Luna sorge dai monti e si specchia nel Lago

LUNA - (specchiandosi) - Dio, come sono pallida stasera!

LAGO - Sfido io, sempre con questa vita notturna! Prendi esempio dal sole, che si corica al tramonto e all'alba e su.

(Stacco musicale)

RITARDATARIO

IL CAPUFFICIO - (all'impiegato che arriva con un'ora di ritardo) Come si permette lei di arrivare in ufficio con un'ora di ritardo?

L'IMPIEGATO - Piano piano, non sono in ritardo, anzi sono in anticipo, perché non vengo per oggi, vengo per domani. Per oggi ero già venuto ieri.

(Stacco musicale)

CORTESIA

In un salotto. Un tale accingendosi ad accendere una sigaretta si volge ai presenti:

—   Le dà fastidio il fumo?

—   No.

—   E a lei?

—   Nemmeno.

—   A nessuno?

—   A nessuno.

—   Allora non fumo.

(Stacco musicale)

Due s'incontrano per la strada:

—   Ciao, carissimo. Dove vai?

—   All'Arcivescovado, e tu?

—   Dall'Arcivescovengo.

(Stacco musicale)

CAMPANILE - Continuando a scrivere tragedie in due battute, aspettavo che qualche impresario le mettesse in scena, ma nessuno si presentava. Finché un giorno venne al teatro Margherita di Roma una compagnia creata per rappresentare balletti e brevi scene. Il capocomico, Piero Mazzuccato, mi chiese di rappresen­tare una mia tragedia in due battute. Si trattava di scegliere. Quella delle locomotive, no per la storia dei fischi; a quell'epoca non si sapeva ancora che gli americani usano i fischi come applausi e purtroppo non si seppe per molti anni ancora.

Quella dei due microbi, nemmeno, perché il pubblico, invece di binocoli, avrebbe dovuto portare in teatro i microscopi. "La stella in imbarazzo" avrebbero richiesto l'uso del telescopio. "Il pollo innamorato" "II pesce un po' stupido". "L'ippopotamo", nemmeno a pensarci. Dopo lunghe riflessioni, mi decisi per "Colazione all'aperto".

È questa una tragedia in due battute. Un povero diavolo affamato s'è comperato due fette di salame e un panino e va a sedersi su una panchina pubblica per godersi in pace le gioie di questo pranzetto e se lo prepara amorosamente spaccando il panino, disponendo le fette a regola d'arte in modo da coprire più spazio possibile e pregustando la colazione in cui ha investito ogni suo avere. Al momento di addentarla, poiché è una persona educata  si volge a uno sconosciuto che siede sulla stessa panchina leggendo il giornale e gli dice, come s'usa: "Vuol favorire?". L'altro alza gli occhi dal giornale, vede ora per la prima volta il panino e: "Grazie", afferra il panino e ne fa un sol boccone, mentre cala il sipario.

L'effetto di questa tragedia è affidato molto alla lunga e meticolosa preparazio­ne del panino imbottito fatta a scena muta, prima delle due semplici battute (tre parole) a cui si riduce il dialogo. Il resto si vede.

La compagnia inscenò questa tragedia con ricchezza di mezzi: fece fare uno scenario apposito, ordinò i costumi e affidò le parti a due fra i migliori elementi della compagnia. Il trovarobe provvide del vero salame di ottima qualità e un autentico panino. Venne la sera della rappresentazione. Premetto che da una settimana Roma era tappezzata di grandi manifesti che annunziavano: "«Tea­tro Margherita » - Colazione all'aperto di Achille Campanile - novità assoluta!"

STORIA - La parola d'ordine, insomma era: tutti al Margherita!

CAMPANILE - Quella sera, rimasi ad aggirarmi nei pressi del teatro, provando quelle pene che ogni autore novellino ben conosce e che si sogliono chiamare "Il divino tormento dell'arte".

L'indomani, sfoglio i giornali con ansia, vo alle rubriche teatrali. Non c'era niente circa il mio lavoro. Stupefatto, m'informo e che vengo a sapere? La mia "tragedia", a causa della brevità, era passata inosservata. Molti, giunti a teatro con qualche minuto di ritardo, l'avevano perduta per intiero, i fortunati che erano stati puntuali, non avevano afferrato la "trama" perché non immaginava­no che il dialogo si riducesse alle due sole battute: "Vuol favorire?" "Grazie". Cosicché, alzatosi il sipario, non avevano prestato grande attenzione alle prime battute, riservandosi, come suole avvenire, di mettersi ad ascoltare dopo qualche battute di preparazione e, poiché le prime battute erano anche le ultime, avevano visto con sorpresa ridiscendere quasi subito il sipario.

Qualcuno pensò che si fossero rotte le corde che lo sostenevano, qualche altro suppose un errore del macchinista e tutti aspettarono che si ricominciasse. E invece venne fuori un balletto. Cosicché posso dire che il mio primo lavoro teatrale fu rappresentato per molte sere davanti a grandi folle, senza che nessuno lo vedesse né l'udisse.

(Stacco musicale)

STORIA - Ma ci parli un po' della sua famosa commedia in tre atti "L'amore fa fare questo e altro", che suscitò tanti clamori.

CAMPANILE - Fu rappresentata circa trent'anni fa. I tempi erano forse immaturi. Il teatro era allora pieno di commedie serissime e spesso barbose. Figurarsi una commedia come la mia, in cui si vedeva un padre che, per far studiare il figlioletto ribelle, faceva vestire un professore da bambino, che giocasse con lui. Vengono a rapire il figlioletto e per isbaglio rapiscono il professore vestito da bambino e da questo momento la commedia è tutto un caleidoscopio di avventure del professore vestito da bambino, che vince perfino un concorso di bellezza infantile, per camorra, è poi costretto a vestirsi da bandito, viene arrestato e condannato al taglio della testa, commutato poi nel taglio dei capelli, ecc. ecc. Il professore era nientemeno Vittorio De Sica e con lui recitavano Giuditta Rissone. Donadio, la Chillini, Melnati, Checco Rissone. Sibaldi, Pina Renzi ecc. Regia di Guido Salvini. La prima rappresentazione fu data al teatro Manzoni di Milano, che era allora il più importante d'Italia. Teatro gremito, non un postovuoto, decine di persone in ogni palco, il loggione stipato. S'apre il sipario e, nel silenzio succeduto ai clamori della pubblica impazienza, s'odono le prime battute.Ma che avviene? Non siamo ancora alla quarta battuta, che scoppia un uragano di applausi, seguito subito da una tempesta di fischi e urla.

È il pubblico che contrasta. Ci sono due partiti, l'uno di tifosi entusiasti che applaudono freneticamente e l'altro di oppositori che per reazione ruggono indignati. Da questo momento non si sente che clamor di battaglia, che cresce al   secondo  atto.   A  un  certo  punto  anche  gli  oppositori  cominciano  ad applaudire freneticamente. Salutare resipiscenza? No. Hanno visto in un palco Pirandello e Nicodemi: i due famosi commediografi, e li applaudono per fare una dimostrazione contro di me. Si grida: "Viva Pirandello! Viva Nicodemi!". I due vegliardi s'affacciano dal palco e s'inchinano ripetutamente. È uno dei maggiori successi della loro carriera. lo mi faccio alla ribalta e dico al pubblico: "Scusate, ma c'è un equivoco: l'autore sono io". Il teatro veniva giù. Durante il terzo atto, gli attori,  invece di dire le battute della commedia, conversavano degli affari propri; tanto, nei clamori non si sentiva nemmeno una parola.  Finito l'atto, cala il sipario, ma la folla non si muove dal teatro e continua a battagliare. Vogliono l'autore. Che mi vorranno fare, in nome del cielo? L'impresario, più morto che vivo, mi spinge fuori dal sipario dicendomi: "Faccia una conferenza".

Una conferenza? In mezzo a un simile caos? Davanti a un pubblico che pareva una gabbia di belve feroci durante un incendio? Alla fine feci cenno di voler parlare. A poco a poco la tempesta si placò e successe un silenzio di tomba. Allora sorrisi benevolmente al pubblico e dissi:

"Se siete buoni, ve ne facciamo risentire un altro pezzetto".

E mentre la folla urlava, fu riaperto il sipario e gli attori bissarono il finale. Scene selvagge avvennero in tutte le altre città dove fu rappresentata la commedia. Il terzo atto non fu mai sentito, avrei potuto risparmiarmi la fatica di scriverlo. A Torino una parte del pubblico cantava inni goliardici per non far sentire la commedia, un'altra parte del pubblico cantava altri inni goliardici per non far sentire i canti avversari. I carabinieri di servizio litigavano fra loro, perché alcuni erano pro e altri contro. L'indomani spettatori venivano a trovarmi in albergo, a mostrarmi lividi, occhiali rotti e ferite per dimostrarmi la loro solidarietà, dimostrata in pugilati a teatro.

STORIA - Mi pare che in questa commedia anche lei recitava?

CAMPANILE - Sì, facevo la parte di un bandito che suona la fisarmonica e poi viene decapitato. Parte difficilissima poiché non tanto la decapitazione, quanto il suonare la fisarmonica era per me una vera tortura. Si potrebbe dire che, piuttosto di suonare la fisarmonica mi sarei fatto tagliare la testa, se nella commedia non avessi dovuto affrontare entrambe queste prove. In certe città l'impresario, avido d'incassi, stampava sui manifesti: "L'autore parteciperà alla rappresentazione suonando la fisarmonica, strumento nel quale è maestro".

STORIA - Ci furono altri episodi drammatici?

CAMPANILE - La commedia fu rappresentata anche in America, anche in Africa, davanti a pubblici di colore. A Roma, essendoci in teatro ministri e gerarchi, ci furono una decina di arresti fra i tumultuanti pro e contro. Condotti in gattabuia,  gli arrestati furono fatti denudare e vennero tolte loro fin le stringhe delle scarpe per tema che in un momento di sconforto tentassero di togliersi la vita. Cosa a cui non pensavano nemmeno lontanamente. Ma è una misura abituale. Comunque, pensate al dramma di uno che va a teatro e poi si trova in gattabuia completamente nudo.

Fu a Roma che gli attori, colti da panico, al secondo atto sospesero la rappresentazione della mia commedia e ne recitarono un'altra. Cosa senza precedenti nella storia del teatro.

Questa mia commedia è per me legata al ricordo di una buona azione. La compagnia era povera, con le altre commedie del repertorio non faceva una lira, soltanto con la mia riempiva inverosimilmente il teatro, raddoppiando e triplicando i prezzi. Ma c'era il pericolo d'essere linciati. Che cosa escogitarono, allora? Davano la mia commedia l'ultimo giorno facendo un incasso fenomena­le e poi scappavano. Andavano avanti con le altre per quindici venti giorni, boccheggiando dalla fame. L'ultima sera davano la mia commedia: pienone strabocchevole, file d'automobili, fiumane di gente, tutti allegri, tutti contenti, tutti guadagnavano: quelli erano fischi d'oro. Poi si spegneva la luce e cominciava la sarabanda infernale del pubblico. Ricordo che da Como prendemmo il treno immediatamente dopo l'ultima battuta. Nei caldi scompartimenti luminosi ci dividemmo il bottino, eravamo già quasi arrivati a Milano e gli spettatori in teatro continuavano ancora a tumultuare, a scambiarsi insulti sanguinosi, a tendere i pugni verso il sipario dietro il quale non c'era più nessuno.

STORIA - Adesso ci ha incuriositi. Ci farebbe sentire un pezzettino di questa sua commedia?

CAMPANILE - Volentieri, purché non facciate cagnara anche voi.

STORIA - Oh, no! Ormai sono passati trent'anni, i tempi sono cambiati.

VOCE CHE ANNUNZIA - "L'amore fa fare questo ed altro".  Entrata del professor Battilocchio!

(Stacco musicale)

LEONORA - Papà, occorre chiamare il professore per Carletto.

ALVAREDO - È quello che farà il mio segretario. (Chiama) Capperino.

CAPPERINO - Comandi.

ALVAREDO - Chiamate un professore di matematica.

CAPPERINO - Un professore! E dove si trova un professore?

ALVAREDO - No so proprio.

LEONORA -  Diamine,  non vi  riconosco più.  Dove volete che si trovi, un professore? In pallone?

CAPPERINO - No certamente, signorina.

LEONORA - E dunque! Sforzatevi un po' la mente, si trova... si trova...

CAPPERINO - A... a... a... a...

LEONORA - (suggerisce) - All'università!

CAMERINO E ALVAREDO - (come se ci fossero arrivati loro) - All'università!

LEONORA - Benissimo. Vedete che, con un po' di sforzo, ci siete arrivati. Bisognerebbe chiamare il professor Battilocchio, un celebre professore. Certo lo conoscete di fama.

ALVAREDO - (a Capperino) - Conoscete questo professore?

CAPPERINO - Guardi, signor Alvaredo, tutto mi si potrà dire, meno che io non conosca il professor Battilocchio.

ALVAREDO - Ma. insomma, l'avete mai sentito nominare?

CAPPERINO - Se l'ho sentito nominare? Almeno dieci volte al minuto. Pensi che a casa ho una macchina che m'è costata milioni e che ripete il nome del professor Battilocchio a rapidità vertiginosa. Quando voglio sentirlo dolcemente, la  faccio  andare  piano  e  allora  odo  ripetermi  come  una  dolce musica: Battilocchio... Battilocchio...

ALVAREDO - Ma sapete chi è? 

CAPPERINO - Non so altro che questo. Ricordo che, quando feci l'esame di laurea, il professore, che voleva favorirmi, mi disse: "Dica quello che sa". Lo dissi: "So chi è il professor Battilocchio". "E dica questo", fece l'esaminatore. Passai a pieni voti. Un'altra volta fui testimonio in un processo. Il giudice mi chiama: "Lei che cosa sa?" "So chi è il professor Battilocchio". "Benone, dica tutto, allora". Spifferai ogni cosa e l'imputato fu assolto.

ALVAREDO - Ma in conclusione, chi è questo professor Battilocchio?

CAPPERINO - Mai sentito nominare.

ALVAREDO -  (disgustato) - Capperino, voi non sapete mai niente. Siete spoetizzante.

LEONORA - Basta, Capperino, ora da bravo, telefonate all'università e riferiteci la risposta.

CAPPERINO - (telefona) - Pronto? Università? C'è un professore?

LEONORA - (ansiosa) - Che cosa rispondono?

CAPPERINO - Rispondono: "Quanti ne vogliono". Che debbo dire? Quanti ne vogliono?

ALVAREDO - (pensa) - Uno.

LEONORA - Sì, sì, basta uno.

CAMPERINO - (telefona) - Ne vogliamo uno. Ma che venga subito. È una cosa urgente. Lo possono mandare subito?

LEONORA - (ansiosa) - Che dicono?

CAPPERINO - Dicono che lì c'è a tutte le ore del giorno e della notte un professore di turno per le chiamate urgenti.

ALVAREDO - È vero. Ora l'istruzione funziona benissimo. In tutte le università c'è un'automobile pronta a partire coi professori sopra.

CAPPERINO - Come i pompieri.

ALVAREDO - Né più né meno. Ma ora, da bravo, dite che vanga qua un professore.

CAPPERINO - Domandano che cosa vogliamo farne. Che ne vuol fare?

ALVAREDO - E non lo sapete? Lezioni di matematica.

CAPPERINO - (telefona) Lezioni di matematica. Ma subito, ha capito? Che corra. Come?... Oh, che contrattempo!

LEONORA - Che succede, in nome del cielo?

CAPPERINO - Dice che per il momento non c'è un professore di matematica e se va bene lo stesso un professore di latino.

ALVAREDO - Ma sì, ritengo di sì.

CAPPERINO - Sì, è vero? (Telefona) Allora sì. Come? Battilocchio? Benone! Ma che venga immediatamente. È una cosa della massima urgenza. Un caso gravissimo. Che corra. Prenda un tassi. Non c'è un minuto da perdere. A Villa Alvaredo.

ISABELLA - (cameriera entra e annunzia) C'è il professor Battilocchio.

ALVAREDO - Che passi subito. S'accomodi, s'accomodi, signor professore!

(Musica)

BATTILOCCHIO - (entra e canta con l'impeto di una stella del varietà)

lo sono il professore

di greco e di latin,

insegno a tutte l'ore

le regole ai bambin,

son detto anche il terrore

di tutti i ragazzin,

ma sono il professore

di greco e di latin.

Laureato,

diplomato,

son di scienza un pozzo fondo,

l'erudito più profondo

che si sia veduto al mondo.

La grammatica è il mio forte,

sono i verbi dolci spassi,

mi diletto di sintassi

giorno e notte, notte e dì!

(Intermezzo e giro del professore. Nota bene: il ritornello, da "laureato, diplomato...", è accompagnato, oltre che dall'orchestra, da colpi di grancassa e piatti, come un pezzo da baraccone).

ALVAREDO - (piano a Capperino) Capperino, che ve ne pare di questo professore?

CAPPERINO - (piano) La verità, proprio la verità?

ALVAREDO - La sincera verità.

CAPPERINO - Se vi debbo dire, a me ha fatto un'ottima impressione. Mi pare una degna persona, un'austera figura di studioso.

ALVAREDO - È quello che pensavo anch'io.

BATTILOCCHIO - (intona la seconda strofa, c.s.)

lo sono un pedagogo,

di scienza un luminar,

mi reco in ogni luogo

le regole a insegnar,

sui palinsesti sfogo

la brama d'imparar,

che sono un pedagogo,

di scienza un luminar!

Laureato,

ecc. c.s.

diplomato,

(Stacco musicale)

VOCE CHE ANNUNZIA - Commiato!

(a bassa voce) Per oggi, beninteso.

VOCE CHE DECLAMA -

Già le foglie degli alberi

cominciano a ingiallirsi,

quanto ciò mi dispiaccia

è cosa da non dirsi!

Era un albero verde,

s'ergea diritto al cielo.

tra poco lo vedremo

nudo, stecchito al gelo.

E tutti quei progetti

che sorrideano a maggio?

Ahi, non uno è rimasto,

mi vien meno il coraggio.

Come i giorni s'infilano

l'uno appresso dell'altro!

Chi, ne vuol far tesoro

dev'esser molto scaltro!

Ma il giorno declina ed è l'ora,

signore e signori, d'andare;

c'è ancora un viaggio, c'è ancora

un'ultima strada da fare.

Farò col mio passo sommesso

dell'isola tacita l'erta.

La luna vicino al cipresso

imbianca la strada deserta.

(Musica)

CANTO -

Sulle strade del mondo stasera

infiorate di lampioncini

gialli rossi arancione turchini

comincia una festa, una festa per me!

Sulle rive del Bosforo ardente,

pescatori che tiran le reti,

fanno canti leggeri e discreti

ed i pesci stan quieti ed aspettano me.

Sui giardini del principe Sahva

profumati di gelsomino

c'è una luna sottile sottile

che brilla un pochino soltanto per me.

Sulle sponde del Mississippì

c'è un'amazzone al galoppo,

che singhiozza, ma è piccola troppo

per fare l'amore, l'amore con me.

Perché, poi, mentre è notte quaggiù,

in America è mattina,

e la povera cara piccina

ha le gambe per aria e la testa all'ingiù.

Perché poi. mentre è notte quaggiù,

ecc. ecc.

F I N E