Avventure con Don Chisciotte

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Avventure con Don Chisciotte 

Commedia in tre atti di Cesare Meano

PERSONAGGI

DON CHISCIOTTE

DELLA MANCIA NANDUCCIO …….anni 23

BUBI........................................... …..… anni 20

MARGHERITA………………………… anni  40

TOTTA....................................... ………anni  24

MIMMA...................................... ………anni 16

CARLETTO …………..………………… anni 40

MARIO....................................... ……….anni 27

NINO........................................... ………anni  20

D'estate, in una cittadina con molte ville e una grande fabbrica di mattonelle, oggi

                     

ATTO PRIMO

Una sala ammobiliata e arredata col gusto dei padri, in una villa. Porte a destra e a sinistra. Nella parete di fondo un balcone. Di là dal balcone, un giardino. Alcune li­brerie. A sinistra una scrivania con un te­lefono. A destra un divano. La notte sta per finire. Poca luce è diffusa dalla lampada della scrivania, alla quale è seduto Nanduccio, in pigiama e vestaglia, assorto su un grande libro. Silenzio. Poi, dalla porta di destra, entra lento, tranquillo, familiare, Don Chisciotte della Mancia. Porta corazza e cosciali. Ha in capo « l'elmo di Mambrino », bacinella di barbiere, come ognun sa. E' armato di spada. Entra e siede dt fronte a Nanduccio, dall'altro lato della scrivania. E Nanduccio non leva neppure lo sguardo, bensì prosegue per qualche istante la lettura, poi chiude il libro e sì rivolge, con estrema naturalezza, al sopravvenuto.

Nanduccio           - Caro cavaliere... finalmente!

Don Chisciotte    - Si, mio giovane amico.

Nanduccio           - La vostra visita è una fortuna per me.

Don Chisciotte    - Speriamo che fortuna sia veramente quella che come fortuna ap­pare.

Nanduccio           - E perché dubitarne?

Don Chisciotte    - Di ciò bisogna sempre du­bitare. La sventura si presenta molto spes­so agli uomini col volto della fortuna, e la fortuna, ancora più spesso, col volto della sventura. Quando Puna o Paltra ar­riva, non si dovrebbe gioire né piangere; ma aspettare, solo e sempre aspettare.

Nanduccio           - Vi trovo assai più esperto di quanto eravate.

Don Chisciotte    - E non dovete stupirvene. Nei quattrocento anni che son passati da... da allora, molti uomini di talento e di cultura mi hanno chiamato al loro fianco, hanno discusso con me su tutti i proble­mi della vita, hanno arricchito la mia sa­pienza. Quell'Unamuno, per esempio... Vi ricordate di Unamuno?

Nanduccio           - Certo. Di lui e di tanti altri. Ma non credo che il vostro giusto pessi­mismo abbia ragione d'esistere, fra noi, per quanto riguarda il nostro incontro.

Don Chisciotte    - Aspettate, aspettate! Per quanto riguarda il nostro incontro, biso­gna temere non solo, come in ogni caso, M leggi immutabili della vita, bensì an­che l'ora del tempo. Questo è l'attimo più temibile del giorno, mio giovane amico. I galli non hanno ancora cantato, e le tenebre antelucane coprono tuttavia la terra col loro carico di sogni, (tranquillo). Nascerà il nuovo giorno, o non nascerà?

Nanduccio           (allarmato) Come?

Don Chisciotte    - Ecco. Gli uomini non pensano mai a questo, che pure è il più piccolo dei grandi pensieri. Non pensano mai che, un mattino, il sole potrebbe non apparire.

Nanduccio           (ha superato l'inquietudine) Gli uomini hanno troppe preoccupazioni, cavaliere, e sono costretti a trascurare pro­prio quelli che dovrebbero essere i loro primi pensieri. Ve Io immaginate un po­veraccio, che non sappia come pagar la pigione, e trascorra la notte pensando: verrà il sole, o non verrà?

Don Chisciotte    - Una pulce tolse il sonno a un condottiero; e una battaglia fu per­duta.

Nanduccio           - Proprio così. Ma non fatemi più pensare all'ora del tempo e alle altre cose altrettanto temibili. Voglio parlare d'altro, con voi, cavaliere.

Don Chisciotte    - Lo immagino.

Nanduccio           - Se sapeste quanti tentativi inu­tili, per trovare un'armonia, un'alleanza, prima della vostra venuta!

Don Chisciotte    - (uno sguardo alle librerie) Qualcuno mi ha preceduto.

Nanduccio           - Certo. L'altra notte, fra gli al­tri, è stato qui Don Rodrigo.

Don Chisciotte    - (sprezzante) Un messere che non vorrei incontrare.

Nanduccio           - Ma, prima, era venuto D'Artagnan.

Don Chisciotte    - (compiaciuto) Un nobile cavaliere!

Nanduccio           - Oh sì! Ma, per me... non ci siamo affiatati. Anzi: posso dire che il bravo moschettiere non mi ha neppure capito. Pensate: quando gli parlai del commendatore... (atti d'insofferenza) ec­co: solo a ricordarmi di lui, mi rattristo e - vedete? - tremo. E' lui che rovina la mia vita; è lui il mio nemico. Lo vedo su di me, continuamente.

Don Chisciotte    - Comprendo, comprendo.

Nanduccio           - Mi par di sentire la sua voce, qualche volta, all'improvviso, quando so­no qui solo. E il suo ghigno... ah, il suo Shigno... sempre davanti a me: tre denti oro, i baffi ispidi, la bocca torta, così... orribile!

Don Chisciotte    - Come comprendo! Nanduccio     - Ebbene, quando parlai a D'Artagnan di quel signore, sapete che cosa fece?

Don Chisciotte    - (aspetta).

Nanduccio           - Rise.

Don Chisciotte    - (indignato) Rise?

Nanduccio           - E sapete che cosa disse? Don Chisciotte (di nuovo aspetta). Nanduccio Disse: «Ah, ah! Anche voi credete di vedere dei tremendi giganti nei mulini a vento! ».

Don Chisciotte    - (indignatissimo, balza in piedi) Nei mulini a vento?

Nanduccio           - Già.

Don Chisciotte    - (agitato, trascinando qua e là la spada) Ah! Dunque anche il no­bile D'Artagnan crede in quella nefanda menzogna propalata dai miei denigratori e confermata, purtroppo, dal cronista della mia vita... si: l'autore di cotesto libro, che raccoglieva ogni menzogna, secondo il mal costume dei cronisti di tutti i tem­pi. Anche il nobile D'Artagnan crede che veramente io abbia combattuto contro pa­cifici mulini a vento, quel giorno che sgo­minai una torma di giganti feroci, fero­cissimi...

Nanduccio           - (sempre alla scrivania) Ricordo, ricordo assai bene.

Don Chisciotte    - (continuando) ...i quali fu­rono bensì mutati in mulini, per l'incan­tesimo di qualche mio nemico, ma solo alla fine dell'avventura, perch'io fossi pri­vato della meritata gloria.

Nanduccio           - Lo so.

Don Chisciotte    - Ah... è intollerabile! (Tor­na verso Nanduccio). Ditemi: verrà an­cora qui il nobile D'Artagnan?

Nanduccio           - Oh, no. Non verrà più. Dopo una simile esperienza... Perché dovrei an­cora occuparmi di lui e dargli modo di venire?

Don Chisciotte    - Perché? Ma perché io possa incontrarlo e dirgli che un cavaliere par suo non deve accondiscendere alle menzogne che ledono il decoro d'un suo confratello e ne sminuiscono la gloria; non deve farsi complice dei vili, degli infimi, di tutta la genia invidiosa e velenosa, che pesa sulla terra come un oceano di fango!

Nanduccio           - (conciliante) Si, si, cavaliere. Nessuno può capirvi meglio di me. Ma ora - vogliate perdonarmi - se voi se­guitate a occuparvi dei vostri fatti perso­nali, non arriveremo a niente. E, d'altra parte, conoscerete pure un luogo ove po­treste incontrarvi con D'Artagnan e dirgli tutto quello che vorrete.

Don Chisciotte    - (risedendo) Si. Saviamente parlate. E cotesto luogo esiste. C'è un cantuccio del Purgatorio... mi ricordo assai tare un giovinetto: e un giovinotto anche abbastanza carino...

Nanduccio           - Margherita! 

Margherita           - Eh! C'è forse da offendersi? Quando ve lo dicono le altre, che siete un bel giovinotto, v'inorgoglite; ma se ve lo dico io... quasi che io, perché vi faccio da cuoca, da cameriera, da governante, non sia una donna... Ma che occhi brutti mi fate! Su, su! Smettetela! Io sono... so­no come una sorella maggiore, per voi - sempre che non vi offenda. E ho il do­vere, dico il dovere, d'usare in favor vo­stro il buon senso che Dio mi ha dato.

Nanduccio           (vorrebbe farla finita, non ne ha la forza, va e viene irritato) Buon senso, buon senso... voi non sapete parlare che di buon senso.

Margherita           - Per rimettere le cose in equi­librio, signorino mio, dato che voi, di buon senso, non ve ne occupate per nien­te. Ora, poi, da quando è cominciata quel­la... quella storia... (Al Cavaliere). Be', si­gnore, vi dirò io come stanno veramente i fatti che il signorino vi ha raccontati a modo suo. E, se vi parrò impertinente, scusatemi. E' tutto perché gli voglio bene, gli voglio molto bene... oh, ma intendia­moci: un bene da - come dicevo prima - da sorella maggiore. Dunque...

Nanduccio           - (interrompendola, perentorio) E s'io non volessi ascoltare le vostre sciocchezze?

Don Chisciotte    - (fermo, inconfutabile) La sciate che parli!

Margherita           - (quasi un inchino) Grazie, si­gnore. Dunque, dicevo, il nostro Nan­duccio...

Don Chisciotte    - Nanduccio?

Margherita           - Eh... lui.

Nanduccio           - Si, si: Nanduccio.

Don Chisciotte    - No. Ferdinando.

Nanduccio           - Se volete...

Margherita           - Nanduccio, dicevo...

Don Chisciotte    - Ferdinando.

Margherita           - Ferdinando, si, s'è innamo­rato - oh, ma come potrebbe innamo­rarsi un ragazzo di quindici anni, benché ne abbia ventitre compiuti - s'è innamorato, dicevo, della signorina Bubi.

Don Chisciotte    - (quasi offeso) Bubi?

Nanduccio           - (sognante) Si. Bubi.

Don Chisciotte    - (c. s.)  Bubi... (Provando) Madonna Bubi... (Si rassegna) Madonna Bubi.

Nanduccio           - Si, si. Mi piace. Madonna Bubi.

Margherita           - (un po' spazientita)  S'è inna­morato, dicevo; e lei, la Bubi...

Don Chisciotte    - Madonna Bubi!

Margherita           - Ma si! Ma sii Però dovreste smetterla con cotesta voglia di scherzare. Mi confondete, m'intimidite, e io... In­somma: la... la ragazza... eh, si capisce: ha lasciato che lui le facesse il cascamor­to; e, magari un pocolino di cuore ce l'ha messo anche lei.

Nanduccio           - Un pocolino?!

Margherita           - Certo. E che credete? Che ci si sia messa con la passione? A quell'età e con le idee che ha pel capo? Ci vogliono ben altre donne (ostentato) per la passio­ne. E poi, e io lo so, voi non siete neppure il suo... il suo tipo, come dicono adesso tutte queste mocciose...

Nanduccio           - Margherita!

Don Chisciotte    - Lasciate che parli!

Margherita           - Grazie, signore. (Riprende). Mocciose, mocciose, mocciose, che vanno in giro coi piedi nudi, le gambe nude, le braccia nude, e si fermano lì solo perché hanno paura della contravvenzione! Dunque, dicevo: la signorina ci stava così così, per giuoco...

Nanduccio           - Ma non è vero!

Margherita           - E’ vero! E, allora, che ti fa il commendatore, che sarebbe il padre della signorina? Fa quello che qualunque pa­dre farebbe, cioè aiuta la figliola a evitare le insistenze del giovinotto, le sue galan­terie...

Nanduccio           - L'hai finita?

Margherita           - E, per far questo, il commen­datore ha anche una ragione sua assai buona. Ed è ch'egli vuole far sposare la Bu... (uno sguardo al Cavaliere, e si corregge) ...la signorina all'ingegnere capo della sua fabbrica di mattonelle.

Nanduccio           (sprezzante) Peuh! Un uomo...

Margherita           - Un uomo?

Nanduccio           - Volgare, volgarissimo: tanto che Bubi, anche se non amasse me d'amo­re, di vero e profondo amore, checché voi pretendiate di sapere, non potrebbe mai tollerarlo. Un uomo spregevole!

Margherita           - Ma no, signorino I Niente af­fatto! E' un uomo che non vale voi, s'in­tende; però, io che son donna...

Nanduccio           - Voi, che siete donna, avete un solo difetto: quello d'essere donna.

Margherita           - E una sola disgrazia: quella di non poter fere a meno di tenere in qualche conto... peuh! gli uomini.

Nanduccio           - Ecco. E ora ci offende!

Don Chisciotte    - Calma, mio giovane ami­co. Primo dovere dei cavalieri è di accondiscendere sempre, con tutta la possibile grazia, alla volontà e, se occorra, al ca­priccio delle dame e delle donzelle.

Margherita                 (lusingata, a Nanduccio) Ah... avete sentito? (Al Cavaliere). Grazie, si­gnore.

Don Chisciotte    - Non dovete ringraziarmi, signora. Di quello che avete detto io terrò certo buon conto, benché... Se sapeste quello che so io! Se capiste quello che io capisco! (Margherita lo ascolta, un po' intimidita dal suo tono e dalla sua voce. Nanduccio è rapito in lui, e così sarà sem­pre, ogni volta ch'egli parlerà). Se foste capace, come me, di superare le fallaci apparenze e di spingere lo sguardo nel profondo, là dove, per gli uomini, è il mistero!

Nanduccio           (a Margherita) Ecco. Hai ca­pito? Nel profondo.

Margherita           - Veramente, in tutto quello che vi ho detto, mi pare che non ci sia dav­vero da andar nel profondo, né da parlar di misteri. Cose di tutti i domi!

Don Chisciotte    - (con accondiscendenza in­sincera) Forse, signora. Noi non vi contraddiciamo: noi vi preghiamo soltanto...

Nanduccio           (interrompendolo e completando il suo pensiero) ...di andarvene per i fatti vostri, (ironico) signora.

Don Chisciotte    - Precisamente. Io volevo appunto dire, in altro modo, la medesima cosa.

Margherita           (risentita) E va bene. Figura­tevi! Conosco i miei doveri alla perfezio­ne, anche se, per eccesso di... di altrui­smo, posso avervi dato ragione di pensare il contrario. (Si avvia verso sinistra). Ci sono ordini per me?

Nanduccio           (impaziente) Andatevene!

Margherita           (umile) Questo lo so già, si­gnorino.

Nanduccio           - E non ritornate senza essere chiamata.

Margherita           - Questo lo immaginavo.

Nanduccio           - E non ascoltate alle porte!

Margherita           (sul punto di uscire) Questo... Oh! questo è uno scherzo. Quando mai ho ascoltato?... Oggi siete di buon umore anche voi, signorino. Tanto meglio! Con permesso(Margherita è uscita da sinistra e ha richiuso la porta).

Nanduccio           (indignato) Avete sentito? E, per me, è sempre cosi: incompreso, deriso, beffato. E fossi almeno capace di difendermi!... Ma voi (passaggio) voi non avete creduto, vero?

Don, Chisciotte - Io? Come se non sapessi in quale maniera le grandi verità usano nascondersi sotto banali apparenze, per ingannare i creduli!

Nanduccio           - Dunque, secondo voi...

Don Chisciotte    - Quello che vi ho detto rimane detto, e non può che essere con­fermato. Rapita! Rapita!

Nanduccio           - Ah, che orrore! Rapita! Nel carcere! Con le lacrime... coi carcerieri che contano le lacrime... mio Dio!

Don Chisciotte    - Non è un'avventura sin­golarmente rara. Sempre è esistito qual­che tiranno pronto a rapire e nascondere le dame adorate dai prodi cavalieri, e qual­che vo!ta anche le piccole donne amate dai piccoli uomini incolpevoli. Già: proprio quel Don Rodrigo, che venne a trovarvi, proprio lui: non fece forse rapire da un suo complice innominato la sciagurata Lu­cia Mondella? Vecchia storia sempre eguale! E quella buona donna, quella Margherita... Poveretta! Io sono certo che ella sarebbe pronta a giurare d'aver visto, in questi ventitre giorni, la vostra dama. Il volgo ha sempre bisogno di semplifi­care tutto, di abbassare tutto alla propria misera comprensione, d'impoverire la vi­ta, come il cattivo bevitore impoverisce il vino annacquandolo. E che diremo degli incantatori e dei loro inganni? Altra di­sgrazia dei nobili spiriti, altra infamia tesa contro di noi. Quand'io incontrai, per la prima e unica volta, finora, la mia Dulci­nea, me la trasformarono in una sozza vil­lana, che putiva d'aglio! Inferni, infami!

Nanduccio           - Povera Bubi!

Don Chisciotte    - (come ricordandosi di lui, si scuote e s'inalbera) Povera ancora per poco, Ferdinando!

Nanduccio           (luminoso) Credete?

Don Chisciotte    - Ne sono certo. Noi... Ma non mi avete ancora detto... è bionda o bruna?

Nanduccio           - Bionda, ma d'un biondo che non somiglia a nessun altro biondo.

Don Chisciotte    - (superiore) Non conoscete Dulcinea!

Nanduccio           - Ha gli occhi tra il verde e l'az­zurro.

Don Chisciotte    - (c. s.) Dulcinea li ha tra l'oro e il verde.

Nanduccio           - Ha il corpo slanciato, flessuoso, vibrante..

Don Chisciotte    - (scandalizzato) Il corpo? E voi avete osato guardare il suo corpo?

Nanduccio           - (timido) Oh no! Ma quel poco che... via! qualcosa si vede; e il resto si immagina.

Don Chisciotte    - (c. s.) Tacete! Fra voi e la vostra coscienza preferirei non dover intervenire. Capite?

Nanduccio           - Certo. Alla coscienza baderò io. E vedrete che tutto andrà bene. Però, il vostro aiuto...           

Don Chisciotte    - L'avrete.

Nanduccio           - (contento) Davvero?

Don Chisciotte    - Si. E non potrei in alcun modo negarvelo. Come la mia Dulcinea, anche la vostra... il nome? Com'era il nome?

Nanduccio           - Bubi.

Don Chisciotte    - ...anche la vostra Madon­na Bubi è tolta dai malvagi all'amore nato per servirla e beatificarla... Ah, Ferdinan­do, fratello miol Portando in cuore una stessa passione, noi combatteremo una stessa guerra. E, quando avrò vinto per voi, mi parrà d'aver cominciato a vincere anche per me! Andiamo, andiamo! Con­ducetemi fra i vostri nemici, ch'io possa ascoltare, vedere, lottare, e ancora una volta obbedire all'Iddio, che mi vuole stru­mento della sua giustizia.

Nanduccio           - Si. Ora andremo. Certamente andremo. Ma dobbiamo prepararci.

Don Chisciotte    - (accennando alla propria ve­ste e al pigiama di Nanduccio)  Non ci siamo già preparati?

Nanduccio           - Per Margherita, non per gli altri.

Don Chisciotte    - Forse, per uscire nel mon­do, occorrono ancora altre vesti.

Nanduccio           - Eh... mi pare... Ma non solo altre vesti, per voi.

Don Chisciotte    - Non capisco.

Nanduccio           - Per esempio: il vostro nome.

Don Chisciotte    - (ergendosi, ma senza alba­gia) Don Chisciotte della Mancia.

Nanduccio           - Sì. Ma non posso certo presen­tarvi con cotesto nome!

Don Chisciotte    - (inalberandosi) E dunque dovrei privarmene? Dovrei rinunziare al­la gioia, all'orgoglio di... (Si ripiega, con togata umiltà). No, no: perdonate. Un cavaliere non respinge sacrifici, quando si tratta di servire una buona causa. Io sono pronto a tutto. Come mi chiamerete?

Nanduccio           - (cercando) Non so... in fondo, ha poca importanza... un nome qualunque... come... come Rossi... Rossi Luigi...

Don Chisciotte    - Rossi... Rossi Luigi... Non è particolarmente bello.

Nanduccio           - Ma neppure particolarmente brutto. (Come annunziando). Il cavaliere Rossi Luigi.

Don Chisciotte    - (rasserenato) Ah, cavalie­re... posso ancora chiamarmi cavaliere?

Nanduccio           - Certamente. Però, non crediate che questo sia, oggi, un segno di grande distinzione. Sono tanti a chiamarsi cava­lieri!

Don Chisciotte    - Non importa. L'abbon­danza dei cavalieri gioverà a rendere più sicuro l'incognito.

Nanduccio           - Perfettamente. E ora venite con me. (Verso la porta di destra). Vi darò un abito, un cappello, un paio di scarpe... (Si ferma). Un momento! (Raggiunge ra­pido, in punta dei piedi, la porta di sini­stra: l'apre; spia; richiude). Bene. Questa volta non ha proprio ascoltato. Venite! (Escono di destra Nanduccio e il Cava­liere, e chiudono alle proprie spalle la por­ta. Subito dopo vediamo muoversi la ten­da raccolta da un lato della porta vetrata che immette sul balcone, e di dietro la tenda esce Margherita, cauta; attraversa in punta di piedi; raggiunge la porta per cui i due sono usciti; si dispone ad ascol­tare. Ma ecco, dal giardino, improvvisa, la voce di Carletto).

La voce di Carletto - Nanduccio! Nan­duccio!

Margherita           - (trasale, corre al balcone) Buon giorno, signor Carletto!

La voce di Carletto - E’alzato il signorino?

Margherita           - Si. Salite, salite! (Rientra, cor­re alla porta di sinistra). Che fortuna! Proprio quello che ci voleva... (Apre). En­trate!(Entra Carletto, ragazzone di quaranta unni e anche pia).

Carletto               - Buon giorno, Margherita!

Margherita           - Oh, signor Carletto! Siete ar­rivato al momento giusto.

Carletto               - Volevo invitare Nanduccio a una passeggiata.

Margherita           - Già. Proprio questa mattina!

Carletto               - Perché « proprio questa matti­na»? (Preoccupato). C'è qualcosa di nuo­vo?

Margherita           - C'è... ora vi dirò tutto, e in fretta, prima che tornino.

Carletto               - Tornino? Ha qualcuno con sé?

Margherita           - Sì. Un signore che ho trovato qui quando sono entrata con la colazione: un signore... mah! molto gentile, e anche simpatico, galante; però... insom­ma: vedrete voi. Quello che devo dire è che Nanduccio s'è messo in testa, con l'aiu­to di quel signore, che la signorina Bubi è stata rapita e incarcerata, da una banda di briganti, per ordine del commendatore.

Carletto               (incredulo) Come?

Margherita           - Ma si, si! Rapita e incarcera­ta, perché non possa rivederlo!

Carletto               (non può trattenere il riso) Oh... ma è enorme... rapita!

Margherita           - (ascoltando a destra) Piano, signor Carletto!

Carletto               (continuando) ...come nei film americani! Ah, questa non me l'aspettavo, non la prevedevo davvero... questa...

Margherita           - (interrompendolo, quasi seve­ra) Questa, signor Carletto, non è poi una cosa tanto allegra.

Carletto               (a poco a poco cessa di ridere, e ascolta).

Margherita           - Ma pensateci bene! C'è un buon figliolo che perde il lume di Dio; e quel figliolo (quasi commossa) è... è Nanduccio!

Carletto               (comprensivo) Nanduccio... si... avete ragione... non c'è da .ridere, benché, a tutta prima, una simile fanfaluca... (il riso riaffiora, ma è subito soffocato) ...nien­te, niente: non bisogna ridere; anzi, bi­sognerebbe... Ma chi è quel signore?

Margherita           - E chi lo sa!

Carletto               (pensieroso) Voi l'avete trovato qui, dicevate.

Margherita           - Si. E il signorino mi ha detto ch'era rientrato con lui, stanotte. Però io penso che potrebbe anche essere arrivato dopo. Nanduccio, sapete, ora si alza assai presto, e siede là... (la scrivania).

Carletto               (si avvicina alla scrivania, guarda il grande libro che Nanduccio leggeva).

Margherita           - ...e legge, legge...

Carletto               (senza importanza, guardando il libro) Don Chisciotte...

Margherita           - Ma si! Don Chisciotte o don «chi so io»!... Ah, signor Carletto, io sono inquieta, allarmata. E, se voi non venivate, vi avrei cercato, per pregarvi di parlargli, di spiegargli, e magari di farvi aiutare dalla signorina Bubi, che gli dica una volta per tutte la verità, anche se deb­ba dargli un dispiacere... Eh! (Molta in­tenzione). Troveremmo bene la maniera di consolarlo!

Carletto               (rimuginando) No, no. Bubi non potrebbe fare questo. E forse... non vorrebbe neppure.

Margherita           - (accanita) Già. L'avrei giura­to. E’ di quelle che se li tirerebbero tutti dietro, tutti in fila, auanti uomini ci sono al mondo, dai quindici anni agli ottanta, per poco che lo potessero; e non rispetta­no il loro cuore, non rispettano neppure la loro dignità. Ah, signor Carletto! Vor­rei averla qui con me, a quattr'occhi, quel­la... quella signorina. E sapete che farei? (Azione). Ciac, ciac, ciac...

Carletto               (ha un'idea) Zitta!

Margherita           (ferma) Che?

Carletto               - Aspettate! (Torna alla scrivania. Toglie il ricevitore del telefono. Compone il numero. Margherita lo guarda, senza respiro). Pronto. Sei tu, Mario? Car­letto, si... sono in casa di Nanduccio... Macché! Sempre peggio! Anzi: è per que­sto che d telefono... no... ora non posso raccontarti... non c'è, ma può arrivare da un momento all'altro. Rispondi soltanto a una domanda: ci stai a fargli una bella burla?

Margherita           - (inquieta) Oh... signor Car­letto!

Carletto               (a Margherita) Sssst! (Nel microfono). Una burla innocente, si capisce, per fargli passare la mattana...

Margherita           - (sollevata) Ah, ecco...

Carletto               - Sì?... E domanda a Bubi e agli altri se anche loro sono disposti... bene... io verrò subito da te... No, no! Niente paura! Una burla ci vuole! Se non interveniamo, quello ammattisce del tutto...

Margherita           - Oh Dio, Dio...

Carletto               - Ma si, ti ripeto: ammattisce del tutto... giudicherai, giudicherai quando ti avrò raccontato quello che... (Di destra entrano Nanduccio e il Cava­liere. Sono vestiti da passeggio. Nanduc­cio è senza cappello. Il Cavaliere porta un abito scarso e ha il cappello calcato in testa, con la tesa parallela alla linea delle sopracciglia. Al loro apparire Carletto muta immediatamente tono, e seguita a parlare nel microfono con ostentata tri­stezza, dopo aver fatto un cenno di saluto a Nanduccio). D'accordo, si, d'accordo... in nome della sacra amicizia... si... dirò tutto... si... li salveremo...

Nanduccio           (ascolta preoccupato).

Il Cavaliere          (piano, a Nanduccio) Chi è?

Carletto               (al microfono) Senza dubbio... li salveremo tutti e due... Ah, quella po­vera bambina!

Il Cavaliere          (in allarme) – Attento!

Carletto               (c. s.) Che strazio!... Quando ri­cordo il suo pianto... i suoi gemiti...

Nanduccio           (appoggiandosi al Cavaliere) Mio Dio!

Carletto               (c s.) A fra poco, si... (Depone il microfono, si alza solennemente, e) Nanduccio!

Nanduccio           (correndo a lui, impaziente) A chi parlavi? A chi alludevi?

Carletto               - Aspetta. Ti dirò tutto. Ma.. (Accenna al Cavaliere).

Nanduccio           - Ah, scusa. Ti presento il ca- valier 'Rossi Luigi, un grande, fraterno amico di... di Claudio. Ti ricordi di Clau­dio?

Carletto               (fissando il Cavaliere) Quel ra­gazzo che è finito pazzo?

Nanduccio           (seccato) Si. Ma che c'entra?

Carletto               (c. s.) Niente. Non c'entra niente.

Nanduccio           - E, allora, dimmi con chi par­lavi.

Carletto               (c. s.) Si. Subito. Ma è strano.

Nanduccio           - Niente strano, proprio niente strano. Era un amico fraterno di Claudio. Ti dico la verità. E" posso giurartela.

Carletto               (c. s., e la sua perplessità è sin­cera) Davvero?

Nanduccio           (spazientito) Ma si! Posso giu­rarti che il povero Claudio mi parlava sempre di... del signore, e con una sim­patia, un'ammirazione, un fervore... Sei soddisfatto?

Carletto               (verso il Cavaliere) Certo. Sono soddisfatto; e sono felice di conoscervi, cavaliere.

Nanduccio           (insofferente) E ora...

Carletto               (a Nanduccio) Subito. (Al Cava­liere). Doppiamente felice. E non lo dico per complimento. Anzi... (stretta di mano) ho quasi l'impressione dì avervi già cono­sciuto e di ritrovarvi... o, forse... (come d'istinto, si volta e guarda, sulla scriva­nia, il grande libro; ma subito si scuote). Niente. Sciocchezze!

Nanduccio           - Dunque, smettila di divagare, e dimmi...

Carletto               - Si. Ecco... (Esita ancora). Ma posso parlare davanti al signore?

Nanduccio           - Certo.

Carletto               - E anche davanti a Margherita?

Margherita           (pronta) Certo!

Nanduccio           - No. Questo no.

Margherita           - Ho capito, ho capito. E me ne vado molto volentieri. E non ascolterò alle porte, signorino, (verso sinistra) non ascolterò alle porte!(Marherita esce da sinistra, dopo un ul­timo sguardo furtivo a Carletto. Appena ella è uscita, Nanduccio si fa accanto a quest'ultimo. Il Cavaliere rimane in di­sparte, tranquillo).

Nanduccio           - Dunque?

Carletto               (tono e atti caricaturalmente dram matici) Quello che sto per dirti ti parrà enorme, spaventoso...

Il Cavaliere          - A meno che tutto ciò non ci sia già noto.

Carletto               - Non è possibile.

Nanduccio           - Parla, parla!

Carletto               (un soffio) Bubi... (Qualche cen­no vago).

Nanduccio           (eccitatissimo) Bubi?

Il Cavaliere          (a Nanduccio) Giovane ami­co mio, la sorte vuole aiutarci. Quello che altro non era se non un nostro sospetto, una nostra intuizione ispirataci da qual­che buon genio, diventa ora una realtà...

Carletto               (lo ascolta interdetto).

Il Cavaliere          (continuando) ...per delazio­ne di qualcuno che sa tutto.

Nanduccio           - (smaniando) Ma tutto che cosa?

Il Cavaliere          (a Carletto) Rapita e incar­cerata, vero?

Carletto               (li guarda ancora tutti e due, bat­te le palpebre, inghiotte, poi, come in un sospirò) Sì

Nanduccio           - (su e già per la stanza, smanian­do) Oh... oh... (Offre una sedia a Carletto). Siediti, Carletto... (Di nuovo su e già). Oh... oh... (Offre una sedia al Ca­valiere). Sedetevi, Cavaliere!

Il Cavaliere          (obbedisce).

Carletto               (prima di obbedire a sua volta av­vicina una terza sedia) Siediti, Nanduccio! (E siede al proprio posto).

Nanduccio           - (prende posto con gli altri due).

Carletto               (misteriosissimo) Questa notte, non ho potuto chiudere occhio. Il rimorso!

Nanduccio           - Ma tu che c'entri?

Il Cavaliere          - Lasciate che parli!

Carletto               (continuando) Il rimorso!... Due giorni or sono venne da me...

Nanduccio           - Chi?

Carletto               - Non posso svelare il suo nome. Venne e disse: anche tu devi essere dei nostri, pena...

Il Cavaliere          (appassionandosi al racconto)...la vita.

Carletto               - Ecco: la vita. Allora io mi levai in piedi, così... (esegue) mi posi una ma­no sul cuore, così... e domandai: di che si tratta...?

Il Cavaliere          (c. s. ) ...in nome di Dio?

Carletto               - Sicuro. In nome di Dio. E lui, quello di cui non posso svelare il nome, con una voce irridente, demoniaca: bisogna che Bubi sia rapita all'amore di Nanduccio! Nanduccio Ma perché, poi? Perché?

Il Cavaliere          - Lasciate che parli!

Carletto               - Si. Lasciami parlare, Nanduccio caro! Se no, togli risorse al mio discorso. Capisci? Quel « perché » dovevo dirlo io: lo dissi io anche allora. Perché? E lui, quello di cui non posso svelare il nome, con la voce sempre più irridente, sempre più demoniaca: perché questa è la volontà di chi può avere, in tale argomento, una volontà.

Nanduccio           (senza voce) Il commend...

Carletto               - Zitto! Non nominarlo, non allu­dere a lui! In questo momento, io tradisco la fede che dovetti giurargli.

Nanduccio           - Ah, perché tu hai dovuto...

Il Cavaliere          - Quali domande ingenue, Fer­dinando! Esiste forse alcun mezzo di violenza, corporale o spirituale, che non ven­ga usato dai nostri nemici?

Nanduccio           - (a Carletto) E dunque tu...

Carletto               (che stava guardando il Cavalie­re, si scuote, si riprende) Io?... ah si... (ritrova il filo dell'invenzione). ...io e, con me, tutti gli altri...

Nanduccio           - Gli altri... chi?

Carletto               (sempre in piedi) Sssst! lo e, con me, tutti gli altri, fummo così costretti a obbedirgli...

Il Cavaliere          - Schiavi delle forze oscure.

Carletto               - Precisamente: schiavi delle forze oscure. Oh, Nanduccio! La banda... (più che mai misterioso) ...noi!

Nanduccio           - (balza in piedi) Voi!

Il cavaliere           (a Carletto) Dunque la vo­stra non è una delazione, ma (anche lui in piedi) una confessione!

Carletto               (china il capo) Si! (Pausai. Noi, i tuoi amici, Nanduccio, noi l'abbiamo imbavagliata (spia sul volto di Nanduc­cio l'effetto delle proprie parole) legata, portata via, distogliendo gli occhi pietosi dal suo viso in lacrime, soffocando nel cuore... nel cuore... (trovato) le urla della nostra amicizia, che invano si ribellava!

Nanduccio           (come prima) Oh... (su e già per la stanza, poi). Siediti, Carletto! (Di nuovo su e già). Oh... sedetevi, cavaliere! (E ancora su e già).

Il Cavaliere          (siede).

Carletto               (che già s'è seduto) Siediti, Nan­duccio!

Nanduccio           - (tornando al suo posto) E' stato l'altr'ieri?

Carletto               - Si. Fino all'altr'ieri era chiusa in casa.

Nanduccio           - E tu hai aspettato due giorni, prima...

Carletto               (con finto dolore) Nanduccio! Non devi rimproverarmi. Devi anzi lodare la mia coscienza e quella di Mario... si: dianzi telefonavo a lui. Anche lui ha avuto la crisi di coscienza; anche lui, eniesta notte, non ha potuto chiudere occhio. E ora abbiamo deciso di sacrificare noi stessi all'amicizia che abbiamo per te. (Solenne). Io t'ho detto tutto, Nanduccio: e oggi ti condurremo dove Bubi è... è prigione, perché sii tu, se lo vorrai, a liberarla!

Nanduccio           (emozionato) Io... io... a libe­rarla! E tu mi domandi se lo vorrò? Ah, Carletto! Se pure dovessi...

Il Cavaliere          (a Carletto) Signore! (il Ca­valiere s'è levato in piedi. Il tono della sua voce ha fatto ammutolire Nanduccio e Carletto. E ora i due amici lo guarda­no, immobili). Cadere nelle branche del demonio, cedere alla tentazione del ma­le, avvilirsi alle perverse azioni, cpando ciò avvenga per inevitabile coercizione, è prova dell'umana debolezza, si, ma non dell'umana perfidia. E però io non posso farvi colpa di quanto fu da voi confessato. Né questo basta, signore: perché togliersi dalle infernali tenebre sotto il solo stimolo della coscienza, e adoprarsi a rimediare il mal fatto e a risollevare gli ingiustamente colpiti, è prova di nobiltà purissima, di cristallina onestà, di animo veramente cavalleresco. Per l'innocenza dimostrata nel male e per la forza dimo­strata nel bene, io posso, dunque, contem­plarvi adorno delle più preziose virtù, si­gnore, e assicurarvi della mia ammirazio­ne, della mia devozione, della mia frater­nità. (Passaggio). Per che ora è fissato il convegno?

Nanduccio           - Ecco... si... il convegno!

Carletto               (è tuttavia fisso nel Cavaliere, non risponde).

Nanduccio           - Il convegno, Carletto!

Carletto               (si scuote, ma non si riprende) Il convegno... ah... il convegno... (Sincero). Povero Nanduccio!

Il Cavaliere          - Non è mai povero il cava­liere cui si offre il destro di raddrizzare il torto che gli fu fatto e di conseguire il bene che gli fu negato.

Carletto               - Ah... certo, certo... (di nuovo lo sguardo gli corre al grande libro, e di nuovo egli si stacca da un pensiero che lo turba) . Ma no! Che idiota!

Nanduccio           - E perché?

Carletto               - Perché... perché non ho deciso di venire prima, ecco. (Si è ripreso). E allora...

Nanduccio e II Cavaliere - Il convegno!

Carletto               (come per una congiura) Nella mia villa, quando i campanili avranno sonato...

Il Cavaliere          - ...la mezzanotte.

Carletto               - Naturalmente: la mezzanotte. (Riprende il tono di mistero). Ma vi pre­go, vi supplico! Segretezza assoluta! Do­vete entrare per il piccolo cancello che c'è da un lato del parco, di là dalla boscaglia di nocciòli. Ti ricordi, Nanduccio?

Nanduccio           - Si, si, i nocciòli.

Carletto               - E, appena entrati, attraverserete la boscaglia, ma senza seguire la viottola.

Nanduccio           - Si, si: la viottola. Cioè, no: non la viottola.

Carletto               - Ed entrerete nel padiglione che è accanto al canile. Ti ricordi, Nanduccio?

Nanduccio           - Si. Accanto al canile. Pluto mi conosce. Non abbaierà.

Carletto               - Non abbaierà. Oltre quella so­glia, mi troverete. E non mi troverete solo.

Nanduccio           - Si... e poi?

Carletto               - Poi vedremo tutto, compiremo tutto, e... te l'ho già detto: sarai tu a liberarla!

Nanduccio           - (pianto in gola) Io... si... io... oh, Carletto! (Abbraccia l'amico).

Carletto               - (risponde con sincera commozione all'abbracciò) Nanduccio! (Lo trattiene tra le braccia, lo guarda negli occhi, quasi paterno). Nanduccio!

Nanduccio           - (un po' scosso) Ebbene?

Carletto               - (c. s. ) Caro... caro Nanduccio...

Nanduccio           - (c. s.) Caro... caro Carletto...

Carletto               (come se volesse dire ben altro) Caro... piccolo Nanduccio!

Nanduccio           (sempre più a disagio) E va bene! Caro... grosso Carletto. Ma si può sapere che vuol dire cotesta maniera di guardarmi, di sorridere?

Carletto               (sempre tenendolo stretto) Non lo capisci?

Nanduccio           - No... o, forse... non so... mi pare che potrei capirlo, ma...

Il Cavaliere          (che finora li ha guardati con muta disapprovazione, muove un passo avanti, e interloquisce, come sempre, pe­rentorio) Signore!

Nanduccio           - (di scatto si volta a guardarlo). Il Cavaliere (a Carletto) A stasera.

Carletto               (abbandona Nanduccio) Ah... si. E' giusto. (Ancora uno sguardo a Nanduccio, poi un cenno di saluto). A stasera! (Verso sinistra, Carletto è uscito. Nanduccio muove qualche passo, come per inseguirlo).

Nanduccio           - Carletto!... Carletto! (Si arresta perplesso).

Il Cavaliere          (dopo averlo scrutato) Si di­rebbe... ma forse è un inganno...

Nanduccio           - Che?

Il Cavaliere          - Sulla soglia della grande im­presa, voi avete paura.

Nanduccio           (sincero) Ma no! Che dite? Niente paura! Piuttosto... emozione, si, tanta emozione. Vedo che è giorno fatto, eppure mi sembra di sentirmi ancora ad­dosso la notte. E voi, proprio voi, qui con me... (Si scuote, corre a un armadio). Su, su! Bisogna reagire! (Toglie dall'armadio una bottiglia di liquore). Bisogna essere forti, agili, risoluti. (Al Cavaliere). Vo­lete?

Il Cavaliere          - No.

Nanduccio           - E io si, invece, io si! (Toglie dall'armadio anche un bicchiere, e beve più volte). Questo mi dà forza. Come se avessi dormito, mi fossi riposato... ah... benissimo... è miracoloso... in pochi atti­mi, sembra impossibile, mi fa rivedere tutto chiaro, fermo... non più quel giro­tondo di pensieri, d'immagini, eli volti... Bubi, Cadetto, Mario... Pensate, cavalie­re: cominciavo a dubitare di tutto: per­fino che voi foste voi... ma adesso... adesso... (Con esaltazione). Ah! Quel commen­datore l'avrà da fare con me, l'avrà da fare con me! Tutte le lacrime che Bubi ha versate dovranno moltiplicarsi per mille ed essere versate dai suoi occhi!

Il Cavaliere          (secondandolo con fervore) Si, si... dai suoi occhi!

Nanduccio           - Tutti i gemiti usciti dal tenere petto di lei dovranno moltiplicarsi per diecimila...

Il Cavaliere          - Centomila!

Nanduccio           - Duecentomila!... e prorompere dal suo torace di vitello.

Il Cavaliere          - Bufalo, bufalo!

Nanduccio           (l'esaltazione cresce) Bufalo! E anche il dolore mio egli dovrà patire: la mia attesa, la mia ansia, la mia tristezza, la mia angoscia... Cavaliere, ascoltate!

Il Cavaliere          - Vi ascolto!

Nanduccio           - Dinanzi al mondo intero, io giuro...

Il Cavaliere          (suggerendo) ...sulla mia fede di cavaliere...

Nanduccio           - Sulla mia fede di cav... (Romba un aeroplano, come se passasse poco sopra la casa. Nanduccios'interrom­pe, sorride).

Il Cavaliere          - Che è?

Nanduccio           - Il postale di Monaco. (Corre al balcone, guarda in alto). Com'è bello! Venti uomini che volano.

Il Cavaliere          - Venti uomini che...?

Nanduccio            (rientrando) Volano, volano. Ma per voi... dev'essere un po' sorpren­dente.

Il Cavaliere          - Sorprendente? (Crolla le spal­le). Le solite diavolerie. Anch'io ho vola­to, con Sancio, sul Clavilegno. Piuttosto, terminate il vostro giuramento.

Nanduccio           (non troppo fermo sulle gambe) Ma no, cavaliere! Lasciate andare! (An­cora un bicchiere). Non ricordo nemmeno quello che volevo dire; e ora... solo più una cosa (si tocca il petto) qui dentro: una gran voglia di rivedere Bubi, la mia Bubi... Usciamo, usciamo, cavaliere! Io non posso più rimanere qui.

Il Cavaliere          - Sono pronto.

Nanduccio           - Andremo per la campagna. E' così bello, oggi! (Vanno verso una delle porte di sinistra).

Il Cavaliere          - Si. E piaccia a Dio che l'em­pireo di tutti i nobili cavalieri si degni di vegliare su di noi!

Nanduccio           - Ecco... si... l'empireo.». Venite, venite! Stasera la vedrete anche voi. Quant'è carina, se sapeste, quant'è carina! (Sulla soglia). Passate, cavaliere! (Escono).

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

Una stanza terrena, architettata e arredata col gusto attuale. Nella parete di fondo si apre su un giardino una grande porta. Nelle pareti laterali sono altre due porte, una per parte, che immettono in altre stanze. Il giardino è invaso dal chiarore lunare. La stanza è illuminata da un lampadario. Ap­poggiata allo stipite della grande corta, e rivolta verso il giardino, è Bubi. Veste un chiaro e succinto abito estivo. Fuma. Quasi subito, di destra, entra rapida Mimma. E' an­cora una bambina. Porta tre tovaglioli.

Mimma                - (entrando) Ecco i tovaglioli... (Si ferma). Oh... e dov'è Totta?

Bubi                    - (volgendosi svogliatamente) Non so. E' agli ordini di Carletto, anche lei. (Iro­nica). Oggi comanda Carletto.

Mimma                - (verso la porta di sinistra, chiaman­do) Totta! Totta!

La voce di Totta  - Eccomi!

(Entra di sinistra Totta: spavalda, impe­tuosa, talvolta quasi sgraziata, ma piacen­te e sicura d'esserlo).

Mimma                - (a Totta) Ho preso i tovaglioli.

Totta                    - (mostrando una fune) E io ho tro­vato la fune.

Mimma                - (impressionata) Oh., e perché la fune?

Totta                    - E perché i tovaglioli?

Mimma                - Già. Nemmeno tu hai capito quello che vuol fare Carletto.

Totta                    - Nemmeno io.

Mimma                - E tu, Bubi?

Bubi                    - (distratta) Che?

Mimma                - Tu sai quello che vuol fare Car­letto?

Totta                    - Bubi? Figurati! Bubi sa una cosa sola: che un bel giovinotto, a quanto si dice, è impazzito d'amore per lei. E le basta. Non vedi?

Bubi                    - (sprezzante). - Già. A te, questo, non farebbe nessuna impressione.

Totta                    - A me? (Le si avvicina, tese le dieci dita). Senti, Bubi! Le vedi queste dieci dita? Bene: non basterebbero a contare tutti i bei giovinotti che mi hanno detto: oh... Totta... Tottuccia... sono pazzo di voi...

Mimma                - (sempre impressionata) - Davvero?

Bubi                    - L'hanno detto. E tu credi a quello che gli uomini dicono?

Totta                    - Perché tu no, vero?, tu non credi.

Bubi                    - A quello che dicono, no. Credo a quello che fanno.

Totta                    - E quello che fanno vale spesso an­cora meno di quello che dicono. Ehi gli uomini! Mentitori, commedianti, imbro­glioni, truffatori...

Mimma                - (c. s. ) Anche truffatori!

Totta                    - (a Mimma) Vedrai, vedrai! Ma che li tieni a fare cotesti tovaglioli? Non ti ha detto dove metterli, Carletto?

Mimma                - Niente! Non mi ha detto niente! (Venendo dal giardino, appaiono alla grande porta Carletto e Mario, buon ra­gazzo gagliardo. Si fermano sulla soglia e si voltano a riguardare un punto del giardino).

Mimma                - Oh, Carletto! Dove li metto questi tovaglioli?

Carletto               - (a Mimma) Aspetta. (A Mario). Si. Puoi lasciarla là. Ma prima di farli salire, dovrai condurli un poco per il giar­dino.

Mario                   - Naturalmente.

Carletto               - E, durante il viaggio - mi rac­comando - molti cambiamenti di mar­cia, molto acceleratore a vuoto, e un po' di velocità lungo il viale.

Mario                   - S'intende.

Carletto               - Oh, bene. Dunque... (Si fa avanti seguito da Mario).

Mimma                - Ma si potrebbe sapere...?

Carletto               - (a Mimma) Dammi i tovaglioli. (Si caccia nelle tasche i tovaglioli, poi, a Totta) E la fune?

Totta                    - Eccola, comandante!

Carletto               - Grazie. (Intasca anche la fune). E Nino? Non è ancora tornato?

Totta                    - Non ancora. Sta cercando la lanter­na e la catena.

Bubi                    - (ironica) Già. La catena!

Mimma                - E perché la catena, Carletto? E perché la lanterna?

Carletto               - Perché, perché... Ora saprete tut­to, e capirete tutto. (Entra di sinistra Nino - miope, molto gentile, un po' timido - portando una piccola lanterna elettrica e una pesante ca­tena da pozzo).

Nino                    - (entrando) Ecco fatto, Carletto! Ca­tena e lanterna!

Carletto               - Fammi provare. (Prende la ca­tena, la scuote provocando il maggior ru­more possibile). Benissimo! Ottimamente! (Si caccia in tasca la lanterna; d'istinto cerca di fare altrettanto con la catena; poi corre a nasconderla sotto una sedia).

Mimma                - Ma perché quel rumore, Carletto? E perché quella lampadina?

Carletto               - (facendosi al centrò) Silenzio! Tutti intorno a me.

Tutt                     - (obbediscono).

Bubi                    - (molta sufficienza) Ora sentiremo la grande corbelleria.

Carletto               - (irritato) Sicuro! La grande cor­belleria! Ma per mandare al diavolo una corbelleria ancora più grande, e molto meno divertente.

Bubi                    - (c. s.) Credi?

Totta                    - Oh, smettila con coleste arie, Bubi!

Carletto               - Ben detto. Basta con le arie!

Mario                   - Abbasso le arie di Bubi!

Totta                    - Abbassooooo!

Bubi                    - Ih, che chiassol Vi sembra proprio il caso? Non mi sono mai data delle arie, io!

Totta                    - Però sei sempre stata la più grande civetta della comitiva.

Bubi                    - Tutta bontà mia. Con una comitiva come questa...

Totta                    - Ma sentitela! Bontà sua! E tu (con intenzione) che ne pensi, Nino?

Nino                    - (timidissimo) E che c'entro io?

Totta                    - Ma va! Ha portato a spasso anche te, per un armo, come un cagnolino.

Nino                    - Come un cagnolino, poi...

Bubi                    - Non darle retta,

Nino                    - (A Totta) E tu smettila! Comincio a essere stufa.

Carletto               - (che finora ha aspettato, sbuffando, di poter parlare) Ah! Cominci a essere stufa! Proprio te! E di che cosa?

Bubi                    - Di tutta questa tua storia, se vuoi saperlo.

Carletto               - Ma ci stai o non ci stai alla burla?

Mario                   - (lasciando la macchina) Siamo arri­vati. Svelto, Nanduccio, svelto! E anche voi, cavaliere!

Nanduccio           - (scendendo) La benda, la ben­da!

Mario                   - Ancora per poco: pochi minuti. Non abbiamo che da attraversare un giar­dino. Venite!

(Nanduccio alla destra e il Cavaliere alla sinistra di Mario, condotti per il braccio da questi, escono. L'automobile sparisce. Di nuovo, per pochi istanti, ombra e si­lenzio. Poi rivediamo la stanza di prima e, sulla porta di fondo, fissi al giardino, Carletto, Nino, Bubi, Totta, Mimma, co­me li abbiamo lasciati).

Nino                    - (senza voce, reagendo allo sbalordi­mento) Ci è cascato in pieno!

Carletto               - (è esterrefatto; seguita a guardare il giardino; si stringe nelle spalle).

Mimma                - Ma com'è possibile?

Totta                    - Chissà! Potrebbe anche aver finto di credere, per essere lui a burlare noi.

Mimma                - Carletto!

Carletto               - (si scuote) Eh?... Ma è incredi­bile! E' pazzesco!

Nino                    - Pare anche a me.

Carletto               - (si asciuga la fronte) Mah! Ora bisogna concludere. Poi vedremo tutto. E capiremo... forse. A te, Bubi!

Bubi                    - (anche lei molto perplessa, distratta) Che?

Carletto               - Tocca a te. Svegliati!

Bubi                    - Che cosa devo fare?

Carletto               - Come? Hai dimenticato?

Bubi                    - Ah... no, no... ricordo.

Carletto               - (dispone una sedia a sinistra, in prima quinta) Siediti qui. (Toglie di ta­sca la fune). Incrocia le mani dietro lo schienale.

Bubi                    - (già sulla sedia) Aspetta. (Specchietto e rossetto).

Carletto               - Ma lascia stare! Sei bellissima, sei sfolgorante.

Bubi                    - (ripone specchietto e rossetto) Scemo!

Carletto               - (curvo dietro la sedia) Dammi le mani.

Bubi                    - (obbedisce) Si... Piano! Mi fai male!

Carletto               - Scusa.

Totta                    - Non darle retta! Le solite... (la guar­da e tace, stranamnete preoccupata).

Bubi                    - (umile a Totta) Che volevi dire?

Totta                    - Niente, niente. Scherzavo.

Carletto               - (toglie di tasca la lanterna elettri­ca, l'affida a Nino) Prendi, Nino, e piaz­zala.

Nino                    - Si. (Accende la lanterna e la colloca per terra, in modo che il raggio cada su Bubi).

Carletto               - (guardando Bubi) Oh... aspetta... (le arruffa i capelli) ecco... così... e ora il bavaglio. (Toglie ai tasca il terzo tova­gliolo).

Bubi                    - Piano! Attento al rossetto! Non spor­carmi!

Carletto               - (imbavagliandola) Sta tranquilla. Non guasterò la pittura.

Mimma                - (tutt'a un tratto, impressionata) Oh Diol

Totta                    - Che c'è, bamboccia?

Mimma                - C'è che... Ma non vedi Bubi?

Totta                    - Ebbene?

Mimma                - E non ti fa uno strano efletto? Come se...

Totta                    - Come se... come se... (ma anche lei è un po' turbata). Pensi ancora al Terrore di Chicago, tu!

Mimma                - Oh no, Totta! Ma è come se... co­me se fosse proprio vero.

Totta                    - Finiscila! Vuoi farmi diventare una oca come te?

Carletto               - Ecco fatto. (A Totta e a Mim­ma). Voi due uscite. Io vi raggiungerò subito con Nino, appena saranno arrivati. Via!

Totta                    - e Mimma   - (via da sinistra, guardando ancora Bubi).

Carletto               - (si fa sulla soglia di sinistra, verso il giardino; cerca con lo guardo; poi spe­gne il lampadario).

Bubi                    - (imbavagliata, legata, sta a capo chino, come se fosse compresa, anche troppo, della sua parte).

Carletto               - (a Bubi) Ricordati della tua par­te, Bubi!

Bubi                    - (non risponde).

Carletto               - (avvicinandosi a lei) Hai capito, Bubi? Ti ho detto di ricordarti della tua parte.

Bubi                    - (farla attraverso il bavaglio) Ah... si­ma ascolta, Carletto.. avvicinati...

Carletto               - (inquieto, si curva su di lei) Che c'è, ora?

Bubi                    - Fino a quando non vi chiamerò, non entrate!

Carletto               - E perché?

Bubi                    - Così. Voglio così.

Carletto               - E va bene. Faremo così. Ma si direbbe che anche tu voglia inquietarmi, voglia farmi pentire d'aver...

Nino                    - (che guardava il giardino) Zitti!

Carletto               - (un soffio, a Bubi) Attenui (Carletto e Nino si fanno in disparte, a destra, senza rumore. Sulla soglia di sini­stra, arrivando dal giardino, appaiono, nella solita disposizione, Nanduccio, il Cavaliere e Mario. Entrano. E subito, alle loro spalle. Nino chiude furtivamente la porta, in modo che la stanza piombi nell'oscurità, senz'altra luce oltre quella della lanterna puntata su Bubi).

Mario                   - Eccoci.

Nanduccio           - (ansioso) Dove?

Mario                   - (misterioso) Dove tu desideravi es­sere.

Nanduccio           - Ma allora... (chiaro) qui c'è Bubi!

Mario                   - Aspetta. Bisogna far aprire una por­ta... (accentuato) quella porta.

Nanduccio           - E come potrai fare aprire quel­la porta?

Mario                   - Tutto è preparato, Nanduccio. (Un cenno a Carletto).

Carletto               - (ha tolto la catena di dove l'aveva nascosta, e ora la scuote rumorosamente).

Nanduccio           - Oh... Avete sentito, cavaliere?

Il Cavaliere          - Ho sentito.

Carletto               - e Nino (escono in punta di piedi, per la porta di sinistra).

Mario                   - (guidando verso destra Nanduccio e il Cavaliere) Avanti. Venite avanti. Co­sì. E ora vi toglierò la benda.

Nanduccio           - Si, si: la benda.

Mario                   - Ma voi dovrete ancora stare con gli occhi chiusi per un momento. Conterete fino a dieci con gli occhi chiusi.

Nanduccio           - E perché?

Mario                   - Perché quello che ha aperto la porta deve sparire, e io... io devo lasciarvi. Me lo promettete?

Il Cavaliere          - Si.

Nanduccio           - Si.

Il Cavaliere          - Staremo con gli occhi chiusi e conteremo...

Nanduccio           - ...fino a dieci.

Mario                   - Siete pronti?

Nanduccio           - e i Cavaliere Pronti.

Mario                   - (rapidamente li sbenda, poi, sui passi di Carletto e di Nino, esce furtivo).

Nanduccio           - e il Cavaliere Uno, due, tre, quattro, cinque, sci... (Continuano a con­tare, ritti e rigidi, con gli occhi chiusi. Bubi, dal suo posto, li guarda). ...sette, otto, nove, dieci...

Nanduccio           - (con gli occhi ancora chiusi) Cavaliere!

Il Cavaliere          - (gli occhi aperti, ma fissi in avanti) Ebbene?

Nanduccio           - (quasi tremando) Ora... dovrei aprire gli occhi.

Il Cavaliere          - Certo.

Nanduccio           - Si... certo... (ancora un'esita­zione; poi apre gli occhi, batte le palpe­bre, si guarda intorno, vede Bubi, ha un grido) Oh... Bubi! Accorre a lei, si vol­ge al Cavaliere) Era vero, cavaliere, era verol

Il Cavaliere          - Ne dubitavate ancora ?

Nanduccio           - (accanto a Bubi, intorno a lei) Bubi, oh, Bubi... Mio Dio!(Scioglie il bavaglio). Cavaliere, il bavaglio! (Scioglie la fune). Mio Dio! Cavaliere! L'avevano le­gata alla sedia!

Bubi                    - (recitando) Si... ahimè!... legata alla sedia... e questa fune... che male questa fune!

Nanduccio           - Povera, povera Bubi! Tutta so­la in questo buio, col bavaglio, con la fune... Alzati, muoviti!

Bubi                    - (agisce) Ahi!

Nanduccio           - (massima emozione) Ti faccio un po' di massaggio?

Bubi                    - Non occorre... oh, finalmente! (Si adagia su un divano a sinistra).

Nanduccio           - (s'inginocchia per terra, accanto a lei) Finalmente, sì! Povera Bubi! E il tuo Nanduccio, che non sapeva nemmeno dove tu fossi, e pensava a te giorno e not­te, e avrebbe corso a piedi mezzo mondo, per ritrovarti.

Bubi                    - (c. s.) Caro.

Nanduccio           - (sorpreso) Come hai detto?

Bubi                    - (c. s.) Caro.

Nanduccio           - Cavaliere! Avete sentito?

Il Cavaliere          - (ritto a destra, volgendo le spal­le ai due) No. Non sento e non guardo più nulla. La vostra felicità non deve es­sere profanata da testimoni.

Nanduccio           - Grazie. Che buon amico! E dunque ripeti quel che dicevi, Bubi.

Bubi                    - (distratta, guardando il Cavaliere) Caro.

Nanduccio           - Ancora, ancora!

Bubi                    - Si, caro.

Nanduccio           - Oh, Bubi, Bubi mia! Ma sai che questa è la prima volta ch'io posso stare così vicino a te? E l'ho tanto so­gnato, questo momento, l'ho tanto aspet­tato. E dovevamo guadagnarlo con tutto questo dolore. Bubi... Bubi... Tace, col viso appoggiato alle mani di lei, e a poco a poco si abbandona a un pianto silenzio­so, tranquillo).

Il Cavaliere          - (sempre in disparte) Amore, dono di Dio se v'è cosa mortale che possa meritare questo nome, per te solo noi ri­troviamo il Paradiso, che per te abbiamo perduto, per te solo possiamo talvolta ces­sare d'essere uomini senza morire. E ora tu fiorisci accanto a me, ma non per me, fiorisci timido e trepido, in quest'ombra che ti protegge, e tutte le mie nostalgie si riaccendono, tutti i miei sogni riaprono le ali a nuovi liberi voli. Ma verrà anche per me l'ora bella, l'ora grande, l'ora sen­za confronti. Anche accanto alla mia soli­tudine palpiterà una cara vita. Anche per me una voce trasognata mormorerà pa­role di tenerezza. Anche per me due ma­ni adorate...

Bubi                    - (di scatto) No! Basta! Basta! (Si alza agitata).

Nanduccio           - Bubi! (Cade a sedere per terra e vi resta).

Bubi                    - Basta con tutto questo! Non posso più resistere! Non è più un giuoco, non è più uno scherzo. Nanduccio! Tu pian­gevi! E, ancora adesso, tu piangi!

Nanduccio           - Per la gioia d'averti ritrovata, liberata...

Bubi                    - (insofferente) E dunque non hai an­cora capito!

Nanduccio           - (rialzandosi) Ma perchè ti agiti così? Ora che sono arrivato...

Bubi                    - E dove sei arrivato, tu?

Il Cavaliere          - (intervenendo) Povera dama! Ancora vi travaglia l'incubo della vostra disgrazia.

Bubi                    - (quasi gridato) Macche incubo! Mac­che disgrazia! Siete voi due l'incubo. E’ questa la disgrazia, e non quella che voi credete. Nanduccio! E' stata una burla!

Nanduccio           - Di che parli?

Bubi                    - (c. s.) Tutto, tutto una burla! Il rapi­mento, il carcere, il vostro viaggio: una burla che doveva finire tra le risa, ma su­bito, perché tu non dovevi credere, tu do­vevi ribellarti fin dal principio: era così assurdo, così puerile... Oh, Nanduccio! Una burlai Per farti passare la mattana

Nanduccio           - (non ancora cosciente) Bubi(Accorre a lei).

Il Cavaliere          - (anch'egli accorre a Bubi) E' impazzita! Il terrore l'ha fatta impazzire!

Nanduccio           - (affettuoso) Calmati, Bubi! Ora usciremo di qua. Ti cureremo.

Bubi                    - (liberandosi dai due, furibonda) Ah si, eli? Mi curerete! Sono io che devo es­sere curata, vero?

Nanduccio           - (come coi pazzi) No. Non te. Hai ragione. Hai tutte ie ragioni. Perdo­nami!

Il Cavaliere          - Perdonatelo!

Bubi                    - Ah, è troppo, è troppo! (Corre alla porta di fondo; l'apre; riaccende il lam padano). Guardate!(La stanza si riempie di luce. Nanduccio quasi barcolla. Il Cavaliere non batte ciglio). Ecco! Questo è il castello dove siete arrivati con quel viaggio; questo è il carcere dove io ero prigioniera; si: la casa di Carle ito, di quel bullone di Cadetto, vecchio, pelato, pan­ciuto, e somaro come un ragazzino. E la porta, la porta del carcere... ecco! Racco­glie la catena, la scuote). Senti? Come a teatro, al teatro dei pupi, quando s'apre il castello dell'orco. E, dietro quella porta, c'è Carletto, c'è Mario, c'è Nino, e Totta, e Mimma: tutti pronti a entrare qui, ap­pena li chiamerò, per fare una bella gaz­zarra intorno a te, Nanduccio, e festeg­giare la tua guarigione! Oh! Hai capito, ora, hai capito?

Nanduccio           - (lento, smarrito, si abbandona su una sedia).

Bubi                    - (calmandosi) Si. Hai capito. Final­mente. Ma che fatica! Quasi quasi, perde­vo anch'io la tramontana. Anzi: l'avevo già perduta. Ma ora basta. Vero? E tu non rattristarti, Nanduccio, non offenderti; e non dar colpa a me. Io (sincera) io non volevo, io esitavo. Te lo giuro. Forse pre­sentivo... Ma poi non ho voluto contrad­dire gli altri, anche perché mi piaceva ve­dere come sarebbe finita, e...

Nanduccio           - (si alza; si avvicina alla grande porta; guarda il giardino)

Bubi                    - Ma che cosa fai? Dove guardi?... E perché non mi rispondi?... Nanduccio! Parlo a te, sai? Nanduccio! (Spazientita). Oh be', senti: se non ti scuoti, li chiamo, perché vengano ad aiutarmi loro, a modo loro... Nanduccio!

Il Cavaliere          - (improvviso, quasi violento) Signora!

Bubi                    - (si volge a lui, indispettita) Ah già: ci siete ancora voi.

Il Cavaliere          - Signora!

Bubi                    - Ebbene?

Il Cavaliere          - Se un nobile cavaliere po­tesse ardirsi d'interrompere una dama nel corso del suo parlare, io vi avrei inter­rotta fin dalle vostre prime parole, e avrei evitato al mio giovane amico di ricadere ancora una volta nella triste miseria dei suoi dubbi.

Nanduccio           - (si è voltato; ascolta).

Il Cavaliere          - (continuando) < Ma io sono qui, per sua e vostra fortuna!

Bubi                    - Veramente, io non ho ancora capito che cosa ci stiate a fare, qui, signor... si­gnor cavaliere. Ora poi... E' finito tutto. Non vedete? E io aspetto solo che Nanduccio ci faccia una bella risata...

Il Cavaliere          - (interrompendola) La farà, la farà, statene certa: la più bella risata della sua vita. E anche voi riderete con lui. E anch'io. Ma non per quello che voi credete sia accaduto, bensì per quello che avete detto. (Umano). Siete una pic­cola, giovane donna ignara, che la vita, finora, ha appena sfiorata. Ma io non pos­so lasciarvi nelle tenebre che vi avvilisco­no, non posso e non devo, perché a voi è rivolto il nobile amore d'un amico che mi è caro, e perché, nella vostra fragilità così bisognosa di luce, di guida, di soste­gno, mi chiamate irresistibilmente a ser­virvi.

Nanduccio           - (ascolta con crescente rapimento).

Bubi                    - (guarda ora l'uno ora l'altro, imbaraz­zata) Ma... Nanduccio, potresti anche dirmi chi è questo signore, dove l'hai co­nosciuto...

Il Cavaliere          - E che v'importa di questo? Ciò che importa è là. Vedete?

Bubi                    - Dove?

Il Cavaliere          - (addita Nanduccio) Sul volto di lui. Alle vostre parole quel volto s'era fatto pallido, spento, a poco a poco con­sumato da una desolazione senza limiti e, forse, senza speranza. Ed ecco - lo vedete - alle parole mie ha ritrovato la sua luce, il suo sorriso... (Movendo verso Nanduccio, in atto di protezione affettuo­sa). Oh, mio giovane amico! Al di là di quello che vedono i vostri occhi e odono i vostri orecchi, voi scorgete di nuovo la verità!

Nanduccio           - (con abbandono, con pace) Si.

Bubi                    - (tormentata) Ma di quale verità par­late?

Il Cavaliere          - La verità è una sola.

Bubi                    - Questo lo so. Questo ce lo insegnava il professore di filosofia, e ci diceva che quando Pirandello parla a modo suo della verità, intende... le apparenze della verità.

Il Cavaliere          - Perfettamente. Pirandello io lo conobbi assai bene. Egli sapeva meglio di tutti ciò che intendeva, anche se molti, ancora oggi, non l'hanno capito.

Bubi                    - Intanto non mi dite qual'è la verità, per noi.

Il Cavaliere          - Non certo quella che voi ave­te raccontata.

Bubi                    - (sinceramente stupita) No?

Il Cavaliere          - Voi avete raccontato ciò che avete veduto.

Bubi                    - E non basta?

Il Cavaliere          - Non serve. (Pausa). Anche per voi, signora, la verità si è nascosta sotto visibili apparenze mendaci. A voi è parso di non essere stata rapita; e, invece, lo siete stata: rapita, crudelmente rapita all'amore del mio giovane amico e alla vita che con lui vi aspettava. A voi è par­so di non essere stata incarcerata; e, inve­ce, lo siete stata; e, se non giungevano in tempo, dal carcere ove entrò la vostra giovinezza, che come tutte le giovinez­ze è un seme dal quale si può attende­re qualunque fiore, anche il più raro e il più bello, sarebbe uscita la vostra ma­turità rassegnata, inutile, opaca, di donna qualunque. A voi è parso che noi non viaggiassimo, per arrivare a liberarvi; e, invece, viaggiavamo, viaggiavamo in un deserto misterioso, attraverso tenebre grevi di dubbi, mentre vane paure ci persegui­tavano. A voi pare tuttavia che questa sia la casa di dove siamo partiti; e, invece, non è quella, anche se a quella somiglia, non è quella! E ve lo dico con gli occhi aperti, vedete?, ve lo dico guardandola e confrontandola con l'altra: non è quella! E neppure potrebbe esserla, se ora ci tro­viamo in essa così diversi da come era­vamo prima di attraversare quel deserto di tenebra, prima di ritrovarvi e di con­quistare, per lui, una felicità senza pari, e, per me, un nuovo ardore di nostalgie, una nuova ricchezza di sogni e di desi­deri.

(Una pausa. Nanduccio non ha distolto gli occhi dal volto del Cavaliere, neppu­re per un attimo. Bubi è palesemente in­quietata da un nascere di pensieri nuovi, o forse soltanto dal formarsi di una cu­riosità che la diverte. E si avvicina a Nan­duccio).

Bubi                    - Nanduccio!

Nanduccio           - Cara, hai sentito? Ora tutto è di nuovo limpido, di nuovo bello.

Bubi                    - Bello? Non so. Ma certo, a sentir lui... Parla con tanta sicurezza, con tanta fede. Dice cose che, a tutta prima, sembrano assurde, ma poi, invece, trovano una loro ragione, una loro... non so come spiegar­mi... Oh, Nanduccio! Dev'essere una cosa meravigliosa potergli credere.

Nanduccio           - E tu non hai che da credergli, Bubi, come me.

Bubi                    - Si. Come te. Mi piacerebbe. E quasi mi pare che vi riuscirei. Passaggio). No, no: non è possibile.

Nanduccio           - Perché?

Bubi                    - (pianissimo) Sono dietro la porta.

Nanduccio           - (tranquillo) Chi?

Bubi                    - (c. s.) Carletto, Nino, Mario, Totta, Mimma...

Nanduccio           - (noncurante) E tu chiamali, se vuoi.

Bubi                    - (decisa) Si. Hai ragione. Li chiamo. Non si può rimanere cosi... (Esita).

Nanduccio           - Così... come?

Bubi                    - (guarda Il Cavaliere impassibile) Non so più, Nanduccio.

Nanduccio           - E non li chiami?

Bubi                    - (verso sinistra) Si. Subito.(Si arre­sta). No. Non voglio. Forse... non ci sa­ranno neppure. (Quasi una paura). Nan­duccio! E se, veramente, non ci fossero?

Nanduccio           - (calmo, accennando alla porta di sinistra) Guarda!

Bubi                    - (si avvicina in punta di piedi alla por­ta, trattenendo il respiro, si arresta con la mano sospesa sopra la maniglia, si volta a riguardare il Cavaliere, poi Nanduc­cio; infine, dopo una lunga esitazione, ri­nunzia, come presa da un nuovo pensie­ro) No, no. Non voglio guardare. Prefe­risco così. Non sapere. Poter credere... o non credere... mi piace... (Al Cavaliere, con una timidezza gentile). Cavaliere...

Il Cavaliere          - (premuroso) Signora?

Bubi                    - Voi dicevate che questa casa non è quella dov'eravate prima, non è la casa di Carletto.

Il Cavaliere          - Infatti...

Bubi                    - (puerile) Ma allora quel giardino non è il suo, non e quello che ho visto mille volte.

Il Cavaliere          - No.

Bubi                    - E, dunque, al di là da questo giardi­no... Cavaliere!

Il Cavaliere          - Signora!

Bubi                    - Che c'è di là da questo giardino?

Il Cavaliere          - (semplice) Il mondo.

Bubi                    - E che c'è nel mondo?

Il Cavaliere          - Ci sono le cose che esistono, e quelle che vedono i nostri occhi.

Bubi                    - E voi, quando camminate - ditemi - fra quali cose passate?

Il Cavaliere          - Fra quelle che esistono.

Bubi                    - E ne siete certo?

Il Cavaliere          - Quanto basta per la mia pa­ce e per la mia gioia.

Bubi                    - (ripete assorta) Quanto basta per la vostra pace e per la vostra gioia... (Con improvvisa allegria). Nanduccio, andiamo via, usciamo con... col signore. Vuoi?

Nanduccio           - Certo. Ed è proprio quello che desideravo, Bubi. Uscire con te, dalla tua prigione, e andare via, chi sa dove, sotto la sua guida.

Bubi                    - Però, non andremo tanto lontano, vero? Una passeggiatina soltanto, così, per capriccio. A meno che poi non ci piaccia, invece, andare lontano, molto lontano...(Ride). Mi sento allegra, così allegra... Da­temi il braccio, cavaliere!

Il Cavaliere          - (le porge la mano, tenendola alta).

Bubi                    - (sempre più divertita) Oh... sembrate un cavaliere antico. Guarda, Nanduccio: mi porge la mano come un cavaliere di quelli veri. Ah, ah! Mi diverto, mi diverto proprio tanto. Vieni, Nanduccio!

Nanduccio           - (molto sereno) Si, cara.

 Bubi                   - (la mano destra in quella del Cava­liere, e la sinistra al braccio di Nanduccio) Così. Uno per parte. I miei due ca­valieri: uno all'antica, e uno alla moda. Andiamo?

Il Cavaliere          - Si, dama. E, questa volta, senza gli occhi bendati.

Bubi                    - (andando verso il giardino) Senza... (un'indecisione, e l'allegria sembra cede­re) ...senza gli occhi bendati... (volge lo sguardo alle proprie spalle, verso la stan­za, verso la porta dietro la quale sono gli amici; poi si scuote; ride di nuovo, e) An­diamo, andiamo! (Escono nel giardino, attraversano il chiarore della luna, spari­scono).

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

Uno spiazzo in cima a un colle, in una campagna triste. Un vecchio albero con poche foglie. A pie' dell'albero un cespuglio. Lon­tano, all'orizzonte, una fila di colli nebbiosi. Il tramonto è da poco finito. La luce è an­cora viva, ma assai pallida, fredda. Di lon­tano giunge il suono d'una radio: musica di canzonette sentimentali. E una voce di donna canta. Bubi dorme distesa sull'erba. Nanduccio è seduto presso il capo di lei, e la guarda. Il Cavaliere ascolta inquieto la musica lontana, e va e viene per lo spiazzo, puntando spesso gli occhi verso l'orizzonte.

Il Cavaliere          - (seguendo un suo pensiero, con un breve riso) Come il buon Sancio: proprio come il buon Sancio!

Nanduccio           - Avete parlato?

Il Cavaliere          - Si. ho detto che siete pro­prio come il buon Sancio.

Nanduccio           - Pensate ancora al nostro viag­gio, alla mia diffidenza...

Il Cavaliere          - No. Penso a quello che avete detto dianzi, quando io mi sono sorpreso all'udire questa musica. « Le solite diavo­lerie, cavaliere - e avete crollato le spalle - è la... la... ».

Nanduccio           - (sempre guardando Bubi) La radio.

Il Cavaliere          - Ecco: la radio d'una locan­da, in quel casale rosso che abbiamo su­perato venendo.

Nanduccio           - E infatti...

Il Cavaliere          - Infatti?... Giovane amico mio, che importa che questa musica sia originata da un mezzo a voi conosciuto, familiare? I segreti della vita e del mon­do si rivelano assai spesso coi fatti che naturalmente accadono. Tutto sta nel sen­tire, nel comprendere. E io ora vi dico che questa musica e questa voce, dovunque e comunque nascano, sono il segno i un'avventura misteriosa, che noi non possiamo testimoniare. Vi dico che quel casale rosso non è la locanda che credia­mo d'aver vista passando, e che in questo momento... (S'interrompe, guarda con so­spetto Nanduccio). Mi ascoltate?

Nanduccio           - (semplice) No.

Il Cavaliere          - (con bonario rimprovero) Ah, non mi ascoltate! E dunque avete già dimenticato che, se ora godete la sovruma­na felicità di vegliare sul vostro amore, è solo perché mi avete ascoltato e creduto.

Nanduccio           - Non l'ho dimenticato, cavalie­re. Ma in questo momento - scusatemi - ho altro da pensare.

Il Cavaliere          - Non occorre che vi scusiate. Comprendo anche troppo bene. Il vostro mondo dorme sull'erba di questo prato.

Nanduccio           - Il mio mondo? E' un pensiero veramente bello. Ma per me... Molto più semplice, quello che penso io, cavaliere! Guardate: tutti i miei desideri di carezze (sospende una mano sul viso di Bubi) so­no beatificati dalla certezza di poter essere esauditi, solo che io lo voglia.

Il Cavaliere          - Si. Solo che lo vogliate. (Tri­ste). E così me ne rimarrò di nuovo sen­za compagni, io, il modello degli sfortu­nati, il bersaglio dell'avversa fortuna, me ne rimarrò solo col mio tormento e i miei sogni (va verso il ciglio dello spiazzo) ad ascoltare questa musica... questa voce... (ascolta, col viso al cielo, per qualche istante, poi, d'improvviso) O anime degli invitti cavalieri, assistetemi!

Nanduccio           - (tranquillo) Che c'è?

Il Cavaliere          - (agitato) Non avete udito? Le parole del canto! Dicevano: ti aspetto, ti aspetto e ti sogno... E mi è parso che risonassero dentro di me, nel mio cuore, come se in questo immenso cielo avessero volato per cercare proprio il mio cuore. Oh, mio giovane amico! (Quasi senza vo­ce) Era lei. Era Dulcinea che suggeriva quelle parole, perché io le udissi. Ti aspet­to, ti aspetto e ti sogno... (Appassionato). Ancora, ancora! (Torna verso il ciglio dello spiazzo). Voglio ascoltare ancora...   (Silenzio; la musica non s'ode più; e Il Cavaliere           - si rattrista). No. Non c'è più.

Nanduccio           - (senza intenzione) Fine della trasmissione.

Il Cavaliere          - (sedendo in disparte, scorato) Che avete detto?

Nanduccio           - Piccole parole che si dicono fra gli uomini.

Il Cavaliere          - Non parlate degli uomini! Mai il mondo è bello come quando si può scordare, anche solo per un attimo, la loro presenza!... Ma perché quella voce non canta più? Proprio ora che cominciavo a capire, che stavo per illuminare questo mistero, e forse...

Nanduccio           - (rapido, un gesto e) Sssst! (Bubi si sveglia. Apre gli occhi e si guar­da intorno, come per ritrovarsi).

Nanduccio           - (premuroso) Bubi!

Bubi                    - Non cantano più. Che peccato! Ap­pena è cessato il canto mi sono svegliata. Ed era così bello!

Il Cavaliere          - (si avvicina con inquieto inte­resse) Che cosa?

Bubi                    - (non si capisce se racconti un sogno o inventi una favola) Quella casa rossa, che abbiamo vista passando... credevo fos­se l'osteria dei Merli Bianchi, e invece...

Il Cavaliere          - (quasi ansioso) Invece?

Bubi                    - (è rimasta in ginocchio sull'erba) Era un castello meraviglioso, con sette torri, tante bandiere sulle torri...

Il Cavaliere          - (incantato) Oh... (a Nanduc­cio). Avete sentito?

Bubi                    - (continuando c. s.) E, dalla porta del castello, passando sopra il ponte, uscivano tante donne vestite di veli rosa, lunghi lunghi, che strascicavano per terra. E sali­vano verso di me, mentre una, davanti a tutte, cantava.

Il Cavaliere          - (c. s.) Una davanti a tutte?

Bubi                    - Si. Io ero ritta sotto quest'albero, ve­stita di rosso, come Beatrice.

Il Cavaliere          - Sì, sì: Beatrice.

Bubi                    - E dovevo parure con una scorta di cavalieri armati d'argento.

Il Cavaliere          - (sempre più interessato) Che arma servivano quei cavalieri?

Bubi                    - (non capisce) Come?

Il Cavaliere          - Sullo scudo, non avevano un'impresa?

Bubi                    - Aspettate... mi pare... Un'aquila! Un'aquila verde!

Il Cavaliere          - Un'aquila verde? E' un'in­segna che ho già incontrata. Ma voi non avete visto in volto nessuno di quei cava­lieri?

Bubi                    - Ho visto quello che li comandava. E l'ho riconosciuto.

Nanduccio           - Ero io, vero?

Bubi                    - No. Era lui.

Il Cavaliere          - Naturalmente.

Nanduccio           - (un po' deluso) E io? Che fa­cevo io?

Bubi                    - Tu? (Maliziosa). Tu correvi a quel castello.

Nanduccio           - (scontento) Correvo a quel ca­stello?

Bubi                    - Ma subito ritornavi qui, dove io ti aspettavo.

Nanduccio           - Ah... ritornavo subito qui...

Bubi                    - Certo. E portavi - oh, Nanduccio! - portavi un grande cesto pieno di vivande, di pane, di bottiglie, di frutti perchè io avevo fame.

Nanduccio           - Avevi fame?

Bubi                    - Ed era vero. Tanto che anche ora che fame, Nanduccio!

Nanduccio           - Vuoi che scendiamo a quel ca­stello?

Bubi                    - Oh no! Non voglio muovermi. (Siede sull'erba). Sto troppo bene qui.

Nanduccio           - (rassegnato, alzandosi) E allora...

Bubi                    - (civettuola). Si, Nanduccio. Come dianzi. Tu vai e torni. Corri, corri! La tua Bubi ha tutta la fame d'un giorno intero di camminata per la campagna.

Nanduccio           - (si avvia) Si, cara. Ma... (Esita, guarda il Cavaliere).

Il Cavaliere          - (che stava in disparte, molto pensieroso) Andate tranquillamente. Veglierò io su di lei.

Nanduccio           - Grazie. Vado subito. (Qualche altro passo, e di nuovo si ferma). Ti piace il pollo arrosto?

Bubi                    - Meglio che niente.

Nanduccio           - Bene! (Qualche altro passo an­cora, e una nuova esitazione). E...

Bubi                    - Che cosa?

Nanduccio           - (umile) Un salutino.

Bubi                    - Certo.

Nanduccio       - (torna sui propri passi, rapido, bacia Bubi sulla bocca, leggermente).

Il Cavaliere          - (volta le spalle per non vedere).

Bubi                    - (a Nanduccio) E ora... via!

Nanduccio           - (contento) Si. (Ed esce da si­nistra).

(Bubi è ancora seduta per terra. Guarda non senza malizia Il Cavaliere che va e viene, coi modi d'una sentinella. Pausa. L'ombra della sera comincia, assai lenta­mente, a salire dalla terra),

Bubi                    - (dopo una pausa) Cavaliere...

Il Cavaliere          - (su e giù) Son qui, signora.

Bubi                    - E che fate, lì?

Il Cavaliere          - Monto la guardia, fedelmen­te, secondo il dovere che mi sono assunto.

Bubi                    - Già. E seguitate a recitare la parte deIl Cavaliere antico.

Il Cavaliere          - (ambiguo) Se così vi pare...

Bubi                    - Ma io penso che potreste montare la guardia anche sedendo accanto a me.

Il Cavaliere          - (galante) Si? E voi mi conce­dete di sedere accanto a voi?

Bubi                    - (tentatrice) Vi invito a farlo.

Il Cavaliere          - (sedendo accanto a lei) Oh, grazie, grazie! E - perdonate - poiché siete cosi generosamente disposta verso di me, mi concedereste pure una domanda?

Bubi                    - (c. s.) Ma siete proprio un tipo stra­no, voi. Anche dianzi, mentre comandavate quei cavalieri vestiti d'argento, con l'aquila verde sullo scudo...

Il Cavaliere          - Ecco: appunto. Volevo do­mandarvi... Dianzi, non c'era un'altra donna, qui, oltre voi?

Bubi                    - Tante donne. Tutte quelle che arri­vavano in due file dal castello, coi veli rosa.

Il Cavaliere          - No... dico: un'altra princi­pessa.

Bubi                    - (lievemente lusingata) Ah... un'altra principessa... oltre me... Non so. Ma forse erano tutte principesse, quelle donne. Cer­to erano belle, e sorridevano proprio come le principesse... (esegue) così: un sor­riso che pareva dipinto sulle facce.

Il Cavaliere          - (come a se stesso) No, no: non è possibile!

Bubi                    - Che cosa non è possibile?

Il Cavaliere          - (desolato) Quello che pen­savo.

Bubi                    - Lo dicevate anche dianzi.

Il Cavaliere          - (con interesse, ma senza viva­cità) Si?

Bubi                    - Si. Io mi ero avvicinata a voi, così... (contro il fianco del cavaliere; e spia il volto di lui, che resta impassibile) proprio così; e vi parlavo; vi facevo un lungo discorso molto grazioso... press'a poco... ec­co... (non c'è più dubbio: Bubi inventa una fiaba). Oh, cavaliere! Io non so che cosa sia accaduto, oggi, ma certo questo giorno non somiglia a nessun altro. Pen­sate: io non ricordavo affatto d'avere un vestito rosso, come questo, e ora me ne trovo vestita, e mi piace. Poi... ecco... quando camminavo per la campagna, con voi e con Nanduccio, io non credevo a quello che dicevate, ma mi divertivo a fingere di credere; e ora, invece, vedo pro­prio tutto quello che voi vedete. (Sguardi di qua e di là, atti intesi a dar l'illusione che proprio in questo momento ella veda le cose di cui parla). Il deserto, quel de­serto grigio che regge, come isole, i ca­stelli abitati dalle misteriose principesse. I nemici nascosti dietro i tronchi degli al­beri. Il gigante, quel terribile gigante, che sta come crocifisso contro la rupe, per non farsi scorgere. E quelle corse di spettri, nel vento che solleva la polvere. E quella nuvola che ha preso la forma d'una rosa, una grande rosa, e pare che si sfogli... Tutto, tutto come vedete voi. E sento an­che le voci misteriose, nell'aria... (Improv­visamente mondana). Cavaliere, non vi stupisce tutto questo?

Il Cavaliere          - (per cui non c'è nulla di più naturale) No.

Bubi                    - (un po' delusa) E non vi fa piacere?

Il Cavaliere          - (accondiscendente) Certo. Mi fa piacere.

Bubi                    - (incoraggiata) E allora ricambiate il piacere rispondendo a una mia domanda.

Il Cavaliere          - Se sarà possibile...

Bubi                    - Da quanto tempo siete in questo paese?

Il Cavaliere          - Non so. Non ricordo. Mi pa­re d'esservi stato sempre.

Bubi                    - Non vi ho veduto mai.

Il Cavaliere          - Non mi avete mai incontrato.

Bubi                    - Forse. (Una pausa). E Nanduccio? Lo conoscete bene? Proprio come... (Tace, ascolta). Aspettate! (S'ode il rumore di un'automobile che si avvicina. Bubi si alza, accorre al ciglio dello spiazzo, guarda e vede).

Bubi                    - Sono loro! (Indispettita) Proprio adesso. Che seccatori! E vengono da questa parte. Nascondiamoci, cavaliere, na­scondiamoci! Non voglio che mi trovino. Venite! Dietro quel cespuglio!

Il Cavaliere          - (netto). - No.

Bubi                    - Perché?

Il Cavaliere          - Io non mi sono mai nascosto.

Bubi                    - Via, via! Rinunziate alla parte del Cavaliere antico, per il momento! E datemi retta! Se troveranno voi, rimarranno qui, e finiranno per trovare anche me. (L'automobile si è fermata a pie' del colle. S'odo­no voci concitate). Ecco... si son fermati-

Voci                    - Buuuuubi! Nanduuuuuuccio! Uhu! Uhu!

Bubi                    - Mi chiamano... Venite! Venite!

Il Cavaliere          - E' un comando?

Bubi                    - (l'ha afferrato al braccio, per trarlo verso il cespuglio) Ma si! E' un comando!

Il Cavaliere          - Eccomi.

Bubi                    - (andando al nascondiglio) E tacerete, vero?

Il Cavaliere          - Tacerò. (Dietro il cespuglio sparicono Bubi e il Cavaliere. Le voci già udite si avvicina­no. Ed ecco arrivare da destra Totta).

Totta                    - (arrivando) Qui non c'è nessuno.

La voce di Carletto- Aspetta.

Totta                    - E' inutile che saliate.

La voce di Carletto     - Prova a guardare la campagna.

(Totta guarda la campagna; e arrivano da destra Carletto, anelante per la salita compiuta, e Mario, Mimma, e Marghe­rita, impressionatissima)

Totta                    - (guardando lontano) Oramai si ve­de poco.

Carletto               - (anche lui guardando) Già. Non si vede quasi più nulla.

 Margherita          - (si è seduta in disparte) Oh Dio, Dio! Non si vede più nulla.

Mario                   - Sarebbe stato meglio rimanere ad aspettarli.

Carletto               - Per questo ci sarà sempre tempo. Ma non fare cotesta faccia spaurita, Mim­ma!

Mimma                - Io?

Totta                    - (a Mimma) Lascialo dire! Lui ce l'ha tranquilla, la faccia!

Carletto               - Certo. Tranquillissima. E perché non dovrei averla tranquilla? Bubi e Nanduccio hanno fatto una passeggiata. Non c'è niente di male a fare una passeggiata, anche se la passeggiata è un po' lunga, un po' strana, e in compagnia d'un tale che... si: potrebbe anche essere leggermen­te matto.

Margherita           - Oh Dio! Matto!

Carletto               - (seguitando, con lo stesso finto to­no di tranquillità) L'importante è che non lo sappia l'ingegnere.

Totta                    - Eh! L'ingegnere conosce

Bubi                    - per quella che è.

Carletto               - Lo dici tu. E invece bisogna met­tersi d'accordo; bisogna raccontargli che... ecco: siamo andati a passeggio tutti in­sieme, e... (Passaggio). Ma no! La cosa non è tanto semplice.

Margherita           - Oh Dio, Dio!

Carletto               - lo... (tace, pensieroso).

Totta                    - Tu?

Carletto               - Niente. Non so più. Mi pareva d'aver capito qualche cosa...

Totta                    - Ma era un'illusione.

Carletto               - Già.

Totta                    - E io, che ti credevo diventato intel­ligente!

Carletto               - Smettila, smettila! Non ho vo­glia di scherzare.

Mimma                - E allora che si fa?

Carletto               - Mah!

Margherita           - Oh Dio, Dio! Quel povero ra­gazzo...

Mimma                - Proviamo a chiamare ancora.

Tutti                    - (rivolgendosi in ogni direzione) Nanduuuuuccio! Buuuuubi!

Margherita           - Signoriiiiino!

(Arriva, dalla stessa via degli altri, Nino).

Nino                    - Vi sgolate per niente. Io vi dico che non vogliono farsi trovare.

Margherita           - Oh Dio! Anche questo, ora.

Totta                    - Certo. E’ tutto il giorno che cerchia­mo di qua e di là, che chiamiamo da tutte le parti. Non possono mica essere volati vial

Nino                    - E poi vi ripeto che era Nanduccio.

Margherita           - Chi? Chi era Nanduccio?

Nino                    - Quel tale, che andava verso la trat­toria e che, appena ha visto l'automobile, si è buttato per i campi. Ne sono sicuro.

Carletto               - E come puoi esserne sicuro?

Nino                    - L'ho riconosciuto, l'ho riconosciuto perfettamente. Voi guardavate altrove. E, quando vi ho avvertiti, era già sparito.

Margherita           - Sparito! Era sparito!

Mimma                - Ma come può essere sparito, Nino?

Nino                    - Be', insomma: io comincio ad averne abbastanza.

Mario                   - Anch'io. E vi faccio una proposta. Andiamo alla trattoria. Una bella cenerta, e, dopo la bella cenetta, una bella serata danzante.

Margherita           - Oh Dio! E quel povero ra­gazzo...

Totta                    - Benissimo. Io sono d'accordo con Mario, una volta tanto. Cena, ballo e alle­gria. Bubi e Nanduccio        conoscono la stra­da di casa. E torneranno da soli. Non sono certo due pupi! Andiamo, andiamo! E vieni anche tu, Mimma! E sta tranquil­la. Tutto finirà bene: proprio come nel Terrore di Chicago. Prende al braccio Mimma, si avvia con lei verso destra). Ah, che bamboccia, che bamboccia! Andiamo! Nino e Mario (seguono Totta e Mimma, escono dietro loro a destra).

(Le voci s'odono ancora, Carletto, rima­sto solo con Margherita, appare sempre più perplesso, e Margherita sempre più emozionata. L'ombra si fa densa).

Margherita           - (timida) Cerchiamo ancora noi due, signor Carletto!

Carletto               - Mah! Vedremo, penseremo... In­tanto venite anche voi, Margherita. Verso destra). Andiamo con gli altri. Una pic­cola cena, poi...

Margherita           - Ma io non ho fame, signor Carletto.

Carletto               - Neppur io, Margherita.

Margherita           - (trepida) Io... io gli voglio be­ne, al signorino Nanduccio.

Carletto               - (un po' commosso) Lo so, lo so che gli volete bene.

Margherita           - Come se fossi...

Carletto               - (con malizia affettuosa) Una sua sorella maggiore.

Margherita           - Tale e quale, signor Carletto.

Carletto               - (accondiscendente) Tale e quale, si. Ma ora andiamo.

Margherita           - (seguendolo verso destra) E, dopo cena, quando gli altri balleranno, torneremo a cercare.

Carletto               - Ecco, si. Dopo cena. Ma che buffa storiai

(Sono usciti anche Carletto e Marghe­rita. S'odono ancora voci, per qualche istante: poi il rumore dell'automobile che si allontana. E Il Cavaliere esce circospet­to di dietro il cespuglio).

Il Cavaliere          - (piano, a Bubi ancora nasco­sta) Non c'è più nessuno. Potete uscire.

Bubi                    - (uscendo a sua volta) Si. Ma che pre­mura d'uscire. avete avuto! Forse stavate molto male, rannicchiato accanto a me, là dietro.

Il Cavaliere          - (sincero) Ero in ansia per voi. Temevo che vi scoprissero.

Bubi                    - Io, invece, non ascoltavo nemmeno quel che dicevano. (Si fa sul ciglio, guar­da lontano, forzando gli occhi nell oscu­rità).

Il Cavaliere          - Ma che cosa guardate? Te­mete che i vostri nemici ripassino?

Bubi                    - (riavvicinandosi a lui) Ho guardato se tornava Nanduccio.

Il Cavaliere          - (bonario) Avete fretta che torni.

Bubi                    - No.

Il Cavaliere          - (non capisce) No?

Bubi                    - (tutta intenzioni) Ho fretta di parlare ancora un poco con voi... sola con voi... prima che torni.

Il Cavaliere          - (c. s.) Sola con me?

Bubi                    - (fissandolo) Si.

Il Cavaliere          - (ancora un'esitazione, poi, sor­ridendo) Ho capito.

Bubi                    - (un piccolo movimento verso di lui).

Il Cavaliere          - Volete domandare a me qual­cosa che lo riguarda. Forse c'è qualche aspetto della sua anima che vi sfugge. Forse avete qualche dubbio sulla purità del suo amore. Parlate, parlate pure.

Bubi                    - (delusa) Bene. Avete proprio capito tutto. Perfettamente.

Il Cavaliere          - E dunque...?

Bubi                    - Dunque... (Di nuovo qualche passo verso il ciglio, qualche sguardo nell'om­bra, poi, risoluta, affronta il Cavaliere). Che cosa pensate di me, cavaliere?

Il Cavaliere          - (sempre in contrasto, sincera­mente, con le intenzioni di lei) Non mi permetto di pensare nulla di voi.

Bubi                    - (cominciando a spazientirsi) Ve lo per metto io. Anzi, per non perdere tempo, ve lo comando, senz'altro

Il Cavaliere          - (c. s. sorride).

Bubi                    - E perché sorridete?

Il Cavaliere          - Perché vedo ancora una volta la vostra cara fragilità.

Bubi                    - (spera d'essere capita) Si? (Incorag­giante). E in che cosa la vedete? Nel mio desiderio di sapere quel che pensate di me?

Il Cavaliere          - (c. s.) Naturalmente. Voi te­mete di non apparire abbastanza bella agli occhi dì Ferdinando...

Bubi                    - Come?

Il Cavaliere          - ...e volete ch'io vi rassicuri.

Bubi                    - (di nuovo delusa) Ah ecco... già... ca­pite sempre meglio!

Il Cavaliere          - (c. s.) Ma è inutile che io vi parli in cotesto senso. Quello che potrei dirvi non servirebbe. Vi basti il suo modo di parlarvi, di guardarvi, e la sua pena sincera per quello che avete sofferto. Non dovete dubitare del suo amore.

Bubi                    - (ironica) Meno male! Questo mi con­sola. E ne avevo proprio bisogno.

Il Cavaliere          - Beata voi, che potete essere consolata così facilmente!

Bubi                    - (c. s.) Beata, si, beatissima...

Il Cavaliere          - E ora non avete altro da chiedermi, prima che lui ritorni?

Bubi                    - (ancora un tentativo) Veramente, quello che vi ho chiesto finora... o, meglio, quello che avete (rilevato) creduto vi chiedessi, non era...

Il Cavaliere          - (ancora nella sua irriducibile ingenuità) Forse la vostra domanda ave­va un senso nascosto.

Bubi                    - (di nuovo sperando) Ecco: appunto.

Il Cavaliere          - Avrei dovuto dubitarlo su­bito.

Bubi                    - Ma siete ancora in tempo.

Il Cavaliere          - Naturalmente.

Bubi                    - (c. s.) Oh, ma ce n'è voluta! E allora ?

Il Cavaliere          - Allora... (Esita; si arrende). No. Non so quale senso nascosto avesse la vostra domanda. E non posso rispon­dervi se non come vi ho già risposto.

Bubi                    - (scattando) Ah! E' assurdo!

Il Cavaliere          - Che cosa?

Bubi                    - Non ci credo, non ci credo, non ci credo!

Il Cavaliere          - (smarrito) Ma come?

Bubi                    - (senza più freno) Non credo voi tanto stupido come volete apparire, né me tanto brutta come dovrei essere per giustificarvi!

Il Cavaliere          - Giustificarmi?

Bubi                    - Certe cose gli uomini le capiscono an­che quando non vogliamo fargliele capire, caro il mio cavaliere! E, se occorre, se le inventano!

Il Cavaliere          - (ha capito, si porta le mani al volto) Oh...

Bubi                    - (continuando, accanita) E non hanno neppure bisogno di occasioni così ben com­binate...

Il Cavaliere          - (con sincera ribellione) Ta­cete!

Bubi                    - ...con la notte che scende... l'ombra... la campagna... e nemmeno un cane che possa vedere! Basta assai meno, caro il mio cavaliere! E, a noi ragazze, resta soltanto la fatica di trattenerli, di fermarli in tem­po, anziché quella di spingerli, di spinger­li, come se volessimo portarli alla ghigliot­tina!

Il Cavaliere          - Tacete!

Bubi                    - E ora volete anche fare lo scandaliz­zato, lo spaventato... Povero inegnuo! Po­vero innocente! Povero bambinino!

Il Cavaliere          - (in un crescendo di dolorosa insofferenza) Tacete!

Bubi                    - Niente affatto! Vi ho già detto che non vi credo, e ora vi dico che voglio ca­pire, capire tutto. Non mi sono forse ac­corta dei vostri occhi puntati su di me, continuamente, per tutto il giorno, e con quello sguardo... quello sguardo che usa­no con noi eli uomini e che... so io quel che significar E dunque rispondetemi: è vero o non è vero che mi avete sempre guardata, in faccia e non solo in faccia, infischiandovi di Nanduccio?

Il Cavaliere          - (china la fronte) Si. E' vero. Confesso il mio peccato, e ve ne chiedo perdono: ai vostri piedi. (S'inginocchia).

Bubi                    - Oh, come siete noioso! Alzatevi, al­zatevi!

Il Cavaliere          - (obbedisce).

Bubi                    - E, piuttosto, rispondetemi ancora una volta, e senza mezzi termini: perché mi avete guardata in quel modo, se poi...?

Il Cavaliere          - (profondo, accorato) Vi ho guardata perché il mio cuore me lo im­poneva.

Bubi                    - E dov'è dunque andato a perdersi, da mezz'ora, il vostro cuore?

Il Cavaliere          - (c. s.) Non da mezz'ora si è perduto, ma da sempre. E appunto per questo m'imponeva di guardarvi, e anche ora me lo impone.

Bubi                    - Non capisco, non capisco!

Il Cavaliere          - (lento, significativo) Guardar­vi, ma... non per vedere voi.

Bubi                    - (perplessa) Come? Guardare me... non per vedere me?

Il Cavaliere          - Non avrei voluto parlarvi così. Ma, poiché voi mi avete ingiusta­mente giudicato, e ora mi negate la vo­stra amicizia, devo dirvi tutto, tutto.

Bubi                    - E, dunque, avanti!

Il Cavaliere          - (esitante, incerto, quasi umi­le) Quando vi guardo...

Bubi                    - Ebbene?

Il Cavaliere          - ...io non vedo voi.

Bubi                    - E che cosa vedete?

Il Cavaliere          - Vedo con più chiarezza quel­lo che sogno sempre (a poco a poco acca­lorandosi) con gli occhi chiusi e con gli occhi aperti, vegliando e dormendo; perché voi mi suggerite quell'immagine: rare volte per somiglianza, molto spesso per contrasto.

Bubi                    - Ma che cosa dite?

Il Cavaliere          - (come se non l'udisse) Gli occhi sono quasi somiglianti; anche il collo; (il suo termine di paragone, natu­ralmente, è Bubi) invece la bocca è del tutto diversa; e la linea delle spalle è solo un poco simile; come pure le braccia delle gambe non posso dir nulla, poiché le sue - mi sia perdonato il pensiero - non ho mai osato immaginarle.

Bubi                    - Ma di chi parlate?

Il Cavaliere          - E di chi volete che parli? Di lei: della mia dama.

Bubi                    - (illuminata, benché ancora incredula) Ah... la vostra dama! E dunque voi guar­date me pensando a lei.

Il Cavaliere          - A lei.

Bubi                    - Non è una galanteria verso di me.

Il Cavaliere          - E' il più profondo omaggio ch'io possa fare a una donna: voi o un tra.

Bubi                    - (c. s.) E allora, per tutt'oggi, mentre io pensavo che... si, insomma: vi piacesse guardarmi, voi... per quell'altra, vero? E anche dianzi, quando eravamo dietro il cespuglio, e io vi stringevo una mano, per... perché avevo paura che mi scopris­sero, anche allora voi pensavate a...

Il Cavaliere          - Si. Anche allora. Come sem­pre. Pensavo che fosse lei a stringere la mia mano, e il cuore mi languiva di te­nerezza.

 Bubi                   - (con insofferenza crescente) Oh, ma è veramente un omaggio magnifico, da parte vostra, un omaggio che mi riempie d'orgoglio, di piacere...

Il Cavaliere          - (serio) Lo credo.

Bubi                    - (erompendo, ma senza alzare la voce) Oh via, via! Siete esasperante, insopporta­bile, ridicolo! Vi ho forse fatto insuper­bire, incuriosendomi di voi? Ma questo non ha nessuna importanza, caro il mio cavaliere! Lo sapete che siete vecchio co­me mio padre e, mio Dio, proprio niente, niente bello?

Il Cavaliere          - (luminoso) E' bella lei an­che per me.

Bubi                    - Ah! Anche per voi! Ma allora (ride) dev'essere proprio una meraviglia, uno splendore, una fata, un angelo...

Il Cavaliere          - (con uno slancio improvviso) Si, si, si! Meraviglia, splendore, fata, angelo... Voi, voi e tutte le altre donne non siete che ombre, accanto a lei: ombre tristi, informi, smarrite. (Ispirato). Ella cam­mina, e i cieli si curvano sopra di lei per guardarla e vegliarla...

Bubi                    - (indietreggia contenendo l'ira).

Il Cavaliere          - (sempre più alto il tono, più vibrante la voce, più teso l'atteggiamen­to) Ella caria, e le voci della terra tac­ciono perché lei sola sia udita. Ella sorri­de, e le tenebre fuggono. Ah, non da un castello di uomini ella è uscita, per cam­minare nel mondo, ma dalla reggia della poesia; e solo le parole dei poeti sapreb­bero dire com'ella sia, nel suo corpo e nel­la sua anima, accordo d'ogni armonia di bellezza e di bontà. (Entra da sinistra Nan­duccio, recando un grande cesto. Resta fermo al fondo, con gli occhi fissi sul Ca­valiere, rapito dalle sue parole. E l'insof­ferenza di Bubi  - cresce). Che è il vostro povero viso a confronto col suo, se non quello che è un triste fiore di proda ac­canto a un fiore di giardino imperiale?

Bubi                    - Benissimo!

Il Cavaliere          - (c. s. senza tregua) Che sono i vostri occhi a confronto coi suoi, se non quello che è il fuoco d'un bivacco sotto la marea bianca del plenilunio?

Bubi                    - Sempre meglio!

Il Cavaliere          - E altrettanto dovrei dire per la vostra bocca, per la vostra voce, per le vostre mani, per i vostri capelli...

Bubi                    - Perfetto! Squisito!

Il Cavaliere          - ...e anche per il vostro corpo...

Bubi                    - Ah, questo, poi! Ne sapete tanto!

Il Cavaliere          - Ne so quanto la vostra veste generosa mi regala...

Bubi                    - Insolente, insolente!

Il Cavaliere          - ...e ciò basta a farmi sorri­dere pensando - mi sia perdonato - al corpo di lei... Siete voi forse riuscita a far sì che un uomo dimentichi il mondo per voi? Ed ella è riuscita a questo. Avete voi forse potuto spingere un uomo a volare senz'ali, a spaziare nelle altezze più pure, a sfiorare la soglia divina? Ed ella ha po­tuto far questo. Siete voi forse capace di condurre un uomo a confondere la vita con la morte, e a superare ogni viltà, ogni paura, ogni debolezza? Ed ella è capace di questo. Ah, per chi la conosce non esi­ste più alcuna donna, non esiste più alcun pensiero d'amore, che non sia per lei, alcun desiderio né alcun sogno che non siano dedicati a lei! E voi (più basso) voi avete potuto credere che io, io che l'amo, vi guardassi come vi guardano gli altri uomini; voi avete potuto pensare che an­ch'io... ah, permettete che mi scordi per un attimo di tutte le cavallerie, e mi ab­bandoni a questa voglia di riso, che mi vince, mi travolge... (Una risata larga, piena, crescente).

Bubi                    - (inviperita) No!

Nanduccio           - (ride anche lui, dapprima timi­damente, poi liberamente).

Bubi                    - Basta! Basta! (Aggredisce Nanduc­cio, gli strappa il cesto). E tu butta questo cesto. Via! Così! (Butta il cesto, che si ro­vescia sull'erba: pani, frutti, bottiglie, piatti, bicchieri, involti). E ora vieni!

Nanduccio           - (tende verso il Cavaliere, che ancora ride) No... aspetta... Cavaliere!

Bubi                    - Lascialo starei

Nanduccio           - (c. s.) Ditemi ancora...

Bubi                    - Ah no, eh? Mi pare che possa ba­stare! Vieni, vieni con me. Subito! Raggiungiamo Cadetto e gli altri. Hanno la macchina. Ce ne torniamo a casa. E do­mani - ascoltami bene, Nanduccio sto per dirti quello che hai sempre voluto ti dicessi - domani parleremo a mio padre, e... voglia o non voglia, capisci?, voglia o non voglia, ci sposeremo, noi due, ci spo­seremo quasi gridato) Nanduccio!

Nanduccio           - (come ricordandosi di lei, la guar­da) Che?

Bubi                    - Andiamo, andiamo!

Nanduccio           - Ma... così no, Bubi!

Bubi                    - Che c'è, ora?

Nanduccio           - C'è che... (imbarazzatissimo, sempre guardando il Cavaliere) bisogna pensare... non si deve precipitare una de­cisione in questa maniera... ora io non so che cosa tu hai pensato mentre io correvo al castello...

Bubi                    - Alla trattoria dei Merli Bianchi!

Nanduccio           - Non so che cosa hai pensato. Ma io non ho pensato nulla, e ora... così all'improvviso...

Bubi                    - Non sei capace tu, d'essere felice al­l'improvviso?

Nanduccio           - (puerile) Certo. E' bellissimo, meraviglioso. Dopo tanto che aspettavo, e sognavo di te, e non vivevo più senza di te. Ma ora... è presto detto « voglia o non voglia », è presto detto...

Bubi                    - (è lei, a sua volta, che non capisce) E sarà ancora più presto fatto: poiché lo voglio io.

Nanduccio           - (faticosamente) Ma saranno dif­ficoltà, ansie, pericoli... e poi, forse, pentimenti.

Bubi                    - (un guizzo) Come? (Gli occhi fissi nel viso di Nanduccio). Che hai detto? (Le due mani al suo bavero). Hai detto pentimenti!

Nanduccio           - (c. s. e sempre sguardi ai Cava­liere) Perdonami, Bubi. Ma affrontare tanti malumori, fors'anche tante traversie, per...

Bubi                    - Per mei

Nanduccio           - Per te, naturalmente. Ma tu... Eh, potrei anche essermi illuso...

Bubi                    - Come?

Nanduccio           - ...averti prestato troppe... trop­pe qualità, e... Dio mio! Hai pur sentito quello che ha detto... lui!         (Accenna al Ca­valiere, che si è seduto al fondo, come se fosse solo).

Bubi                    - (si stacca d'un balzo) Ah si, si, si! L'ho sentito! E ho anche sentito quello che hai detto tu! E sai che cosa rispondo? Che ne ho abbastanza di tutti e due. Perché siete due buffoni, voi, con le vostre fisime, le vostre principesse, le vostre av­venture, i vostri castelli, e tutte le corbel­lerie a cui ho finto di credere (crescendo di esasperazione e di violenza), si, ho finto di credere, perché mi piaceva passare una giornata diversa dalle altre, e mi divertiva Pidea di vedere quel bel tipo (il Cavaliere) sospirare un poco per me, a modo suo. Ma ho sbagliato, ho sbagliato tutto, e non mi sono divertita per niente!

Nanduccio           - (ascolta indifferente).

Bubi                    - Ah, che cialtroni! Che imbecilli! Ma ora basta. Ora vi lascio a sognare le vostre bellezze, le vostre meraviglie, e me ne va­do con gli altri, a divertirmi, a ridere, a ballare, a... a fare quello che mi garberà, con chi mi garberà! (Verso sinistra, ra­pida).

Nanduccio           - (come per convenienza) Si... e io verrò più tardi...

Bubi                    - (sul punto d'uscire sì volta) Eunuchi! (Bubi sparisce, Nanduccio rimane un at­timo interdetto. Pausa).

Il Cavaliere          - (olimpicamente calmo) Che ha detto?

Nanduccio           - (timido) Mi pare che abbia det­to « eunuchi ».

Il Cavaliere          - (un riso sommesso).

Nanduccio           - Si, si. Ridete. Fate bene a ri­dere.  (Cammina, si agita). E' una scioc­ca, una pettegola, un'impertinente.

Il Cavaliere          - (non senza ironia) Dimenti­cate la cavalleria, anche voi.

Nanduccio           - Non importa.

Il Cavaliere          - Ed è col cuore che la giudi­cate in cotesto modo?

Nanduccio           - Si: col cuore. E sono pronto a ripeterlo, a gridarlo. Sciocca! Pettegola! Impertinente!

Il Cavaliere          - E fra poco correrete a rag­giungerla.

Nanduccio           - (colpito) Fra poco... (Passag­gio). No.

Il Cavaliere          - (incredulo) No?

Nanduccio           - Non correrò a raggiungerla.

Il Cavaliere          - (c. s.) Davvero?

Nanduccio           - O almeno... non correrò fra poco... e forse neanche... Ma lasciamo sta­re i presagi! Quello che dovrà essere sarà. Ora - perché non dovrei dirlo? - ora non mi dispiace affatto che se ne sia an­elata; anzi: mi sento sollevato, allegge­rito, pacificato. Oh, amico mio! Ecco... (Esegue). Mi fermo e taccio. Penso a lei. Ebbene: non la rivedo, non la ricordo; è sparita; non esiste più; o, forse, è lontana, molto lontana, insieme con tutti quegli altri, e con quel loro mondo piccolo, stu­pido... Anche oggi, d'altronde, durante tutto il giorno, da quando l'abbiamo ritro­vata e liberata, io gioivo, vibravo... ma era come se rappresentassi quello che per tanto tempo avevo sognato e immaginato. Mi capite, vero? Mi capite?

Il Cavaliere          - Vi capisco meglio ora di quando non vi abbia capito mai.

Nanduccio           - (sedendo al fianco del compa­gno) Quando sono arrivato, dianzi, e mi sono fermato ad ascoltarvi, è stato da quel momento che... che Bubi è partita per quella lontananza...

Il Cavaliere          - Lo so.

Nanduccio           - ...e io ho cessato di rappresen­tare quei sogni, e sono tornato sincero.

Il Cavaliere          - Lo so.

Nanduccio           - (dopo una breve esitazione, a bas­sissima voce) Parlavate di Dulcinea.

Il Cavaliere          - (quasi pauroso) Si.

Nanduccio           - Ma ne parlavate in un modo... Possibile che voi, a quanto si racconta, non l'abbiate mai veduta?

Il Cavaliere          - Non l'ho mai veduta. O, me­glio, non l'ho mai veduta davanti a me, come vedo voi e vedevo quell'altra. Non ho mai veduto il suo corpo buttare ombra sulla terra calpestata da me. Questo av­verrà, per la mia beatitudine, un giorno... forse un giorno non lontano. Ora... io chiudo gli occhi e, come sempre, la vedo.

Nanduccio           - (impressionato, senza voce) Ora? In questo momento?

Il Cavaliere          - (gli occhi chiusi, il viso rivolto al cielo) Si.

Nanduccio           - (esitante) E non potreste dirmi quello che vedete?

Il Cavaliere          - (dopo una pausa, con voce trepida) Ha sollevato le palpebre sugli occhi dorati; mi guarda con una dolcezza pacifica, tenera; le sue labbra si aprono piano, si staccano umide e rosse dai denti che luccicano... Oh, Dulcinea! I tuoi denti sono petali di gelsomino; la tua bocca è bagnata dal sangue dolce delle melagrane. E perdona se, per lodarti, rubo ai poeti d'oriente la parole degne di te, (Di quan­do in quando la radio si fa riudire: mu­siche di danza, languide e non vili. Al­l'orizzonte balugina l'alba lunare). Dulci­nea, tu mi sorridi, finalmente! Tu sollevi le tue mani - sembrano ali di colombe candide - sollevi le tue mani fino al tuo collo, e lo accarezzi piano, guardandomi... Si: comprendo: è una promessa; è una promessa che le tue mani esprimono an­che oltre i miei timidi desideri, scenden­do lungo Torlo della scollatura, sul tuo petto che il respiro solleva. Ma perché ti avvicini di più? Vuoi forse ch'io tenti di respirare, in questo buon odore di terra e di erbe, il profumo dei tuoi capelli? (Pausa). Ah, vuoi parlarmi! Nanduccio (quasi sgomento) Vuol parlarvi?

Il Cavaliere          - (deluso, ma senza ira) Perché l'avete spaventata con la vostra voce?... E’ sparita.

Nanduccio           - Sparita? Mi dispiace, mi di­spiace veramente!

Il Cavaliere          - No. Non addoloratevi. Fra poco tornerà.

Nanduccio           - Ma... poiché ora non c'è.., di­temi... (La musica continua. All'orizzonte sale una grande luna rossa, fumosa). Sie­te proprio sicuro che un giorno la incon­trerete in realtà?

Il Cavaliere          - Perfettamente sicuro.

Nanduccio           - E sarà come la sognate?

Il Cavaliere          - Certo.

Nanduccio           - (sempre più timido) E... ditemi ancora una cosa... ma non ridete di me!

Il Cavaliere          - Che volete sapere?

Nanduccio           - (cauto, cercando le parole) Dul­cinea... Dulcinea avrà pure qualche sorella... o, almeno, ci sarà pure qualche don­na che le somigli e che possa essere, per me, quella che lei è per voi...

Il Cavaliere          - Voi credete che questo sia possibile?

Nanduccio           - Sì.

Il Cavaliere          - Allora sarà così.

Nanduccio           - (rapito) E dimenticherò il mon­do per lei?

Il Cavaliere          - Si.

Nanduccio           - E - come dicevate? - volerò senza ali, spazierò nei cieli, sfiorerò la soglia divina?

Il Cavaliere          - (con profonda convinzione) Si.

Nanduccio           - Confonderò la vita e la morte?

Il Cavaliere          - Si.

Nanduccio           - Oh Dio... (Una pausa). Mi par già di vederla.

Il Cavaliere          - E’ possibile.

Nanduccio           - (gli occhi chiusi, il viso rivolto al cielo, come dianzi il Cavaliere) Mi viene incontro, come se arrivasse dal fon­do del prato. Cammina lentamente, con un passo lungo ed eguale. E' vestita di bianco. Ha i piedi nudi nei sandali, come gli angeli. Somiglia a un angelo: un gran­de angelo biondo, calmo. E non ha nulla delle donne che ho conosciute; anzi: è diversa da tutte; è proprio quella che le altre non riuscivano a essere... Oh, cava­liere! Come ho fatto bene a seguirvi!

Il Cavaliere          - Si. Ma non parlate più. La luna sale. Vedete? L'ora è propizia ai no­stri sogni. E io vorrei ritrovare il mio.

Nanduccio           - Non parlerò più.

Il Cavaliere          - Ciascuno per se.

Nanduccio           - Sì. Ciascuno per se.

(Si sono adagiati supini, l'uno a fianco dell'altro. Così rimangono, immobili, co­me se dormissero. E la luna continua a salire).

FINE