Babbo dammi ‘n soldo

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Ambientazione:

Babbo dammi ‘n soldo

Atto unico comico- brillante – fanta-storico

da recitare in piazza

di

Fulvio Barni e Maria Letizia Ceccuzzi

Personaggi:

Due ambasciatori

Due soldati

Capitano Bandinelli

Priore

Introduttore

Onelio: una guardia

Leone: una guardia

Torquato: oste

Palle: garzone dell’oste

Ristoro: fabbro

Ridolfo: calzolaio

Meco: garzone del calzolaio

Mustiola: moglie di Ristoro

Onesta: popolana

Angela: popolana

Giustina: nipote di Onesta

Paolino: figlio di Ristoro

Rosa: popolana

Tubicine (banditore) del Comune

Un ufficiale delle truppe spagnole

Un soldato spagnolo

Gosto: un contadino

Pasquino: un contadino

Un Cerusico (medico)

Situazione.

A Siena e nella Val di Chiana inferiore sono acquartierati gli spagnoli.

I due ambasciatori Cesare Della Ciaia e l’Arciprete Giovanni Venturi, partono alla volta di Siena per promettere ai senesi mille fiorini se impediranno agli spagnoli di acquartierarsi anche a Chiusi.

Lorenzo di Biagio Avveduti Commissario senese, fa credere loro che se avessero inviato alle truppe spagnole un’ingente quantità di vettovaglie, sarebbe stato risparmiato ai chiusini l’obbligo di ospitare i soldati stranieri.

Scena prima: partenza degli ambasciatori.

Alba. Porta Lavinia è chiusa. Le sentinelle russano rumorosamente nella loro postazione in cima alla porta. Arriva il corteo che accompagna fuori le mura gli ambasciatori. Il corteo è composto da:

·2 ambasciatori

·2 servi carichi di polli, prosciutti, salami, una carretta con sopra una botticella ecc.

·1 ufficiale

·2 soldati

·il Priore del Comune

Il priore e gli ambasciatori si fermano a parlare, mentre i servi si avvicinano alla porta ed iniziano sottovoce a chiamare la sentinella.

Priore: Ci raccomandiamo a voi: state attenti, le strade sono insidiose. Il pericolo incombe. Le sorti della città sono nelle vostre mani (accennando alle mercanzie che portano i servi). AssicurateVi che tutto arrivi a chi di dovere. State attenti ai banditi, là verso Torrita.

Andrea di Cesare della Ciaia – 1° Ambasciatore: State tranquillo, conosco personalmente  Messer Lorenzo di Biagio Avveduti. Posso garantire io stesso per lui.

1° servo: Onelio, Leone (sempre più forte) Oneliooooo, Leoneee.

Intanto gli ambasciatori, l’ufficiale e il priore chiamano anche loro alternatamene: sentinelleeee, sentinelleeee.

2° servo a un soldato: Sparigli, delle due una, o le spicchi o le svegli!

Il soldato prende la mira, gli altri si turano le orecchie (qualcuno scoppia un raudo – o quello che è).

Onelio: (come se avesse sentito un rumorino) Ete chiamo?

Ufficiale: Apri questa porta imbecille! Che questi nobili signori devono partire.

Leone: Calma èh! Ora apro. ‘Un c’è mica bisogno di falla tanto lunga. Anzi, ora scendo e v’aiuto a caricà tutta la mercanzia.

Ufficiale: Fermo lì! Resta ‘ndo’ sei, ‘un ti move! (rivolto al pubblico) Se scende lui chissà che gli portamo a’ spagnoli! Le breccule?

Leone: (rivolto a Onelio) Certo ci si po’ fida’ di te! Ieri sera m’hai detto: te dorme tranquillo, che ci so’ qua io.

Onelio: Ma sentite che discorsi! Ora perché dormivo…..se no ‘ndov’ero?

Leone: E’ la quarta volta in una settimana che ci ‘ntoppono a dormi’. O te! Se ci trasferiscono a fa’ la guardia al Passo de le Chiane, vedrai se le famo fini come spaghetti dell’uno.

Si apre la porta. I servi escono con i viveri e si sentono i rumori delle merci che vengono caricate nei carri. I soldati rimangono sulla porta. I nobili continuano i convenevoli di saluto.

Arciprete Giovanni Venturi – 2° Ambasciatore: (rivolto al priore) Si, si, dormite tra quattro guanciali. Messer Lorenzo è uomo timorato. E come se i doni che portiamo fossero nelle mani di Lui (scandito) lassù (indicando con il dito il cielo).

2° soldato: (indicando con la testa in su verso Leone) Aù, allora stamo freschi! Se l’agguanta lui addio i mi’ polli.

Arciprete Giovanni Venturi – 2° Ambasciatore: (che ha capito) Ma no caro, cosa hai capito. Non la sentinella, ma qualcuno molto più in alto.Il Padre Eterno, volevo dire.

2° soldato: A ecco! Allora se se ne interessa lui, qualcosa a Siena forse ci arriva.

Escono dalla porta i due ambasciatori seguiti dalle guardie che la chiudono dietro di se.

Priore: (rivolto all’ufficiale incamminandosi con lui per uscire dalla scena) Comandante. Avremo fatto bene? O era meglio se gli si fosse mandato i mille fiorini d’oro?

Onelio: Sie, chissà ‘ndo le pigliavi.

I due non rispondono. Come se non avessero sentito.

Ufficiale: E’ stata la miglior cosa. Date retta a me. Ai soldati fanno più gola le cibarie dei soldi.

Escono di scena e mentre si abbassano le luci entra l’introduttore.

Introduttore:

Buona sera signore e signori.

Ci troviamo qui, in questa serata settembrina, per rinnovare la consuetudine, interrotta purtroppo in questi ultimi anni, della commedia popolare in chiusino, recitata dalle persone dei Terzieri.

Nella scena a cui avete appena assistito, avete visto il commiato delle autorità cittadine a due nobili che sono partiti, carichi di viveri, alla volta di Siena.

Ma quale è l’antefatto che ha condotto a ciò? E soprattutto, cosa successe dopo?

La storia ufficiale narra che nel 1545, finita la guerra con la Francia, Il Marchese del Vasto, governatore di Milano, inviò una parte delle sue truppe nel territorio senese. Il 22 maggio del 1545, i soldati spagnoli si acquartierarono in Siena e nella Val di Chiana inferiore. E Chiusi, anche in quell’occasione, ebbe la sua triste parte. Invano i Chiusini mandarono come ambasciatori a Siena quei signori che avete visto partire: Andrea di Cesare della Ciaia e l’Arciprete Giovanni Venturi. Li inviarono per promettere mille fiorini ai senesi, se avessero accordato la grazia di impedire agli spagnoli di acquartierarsi anche nella nostra città. Si umiliarono invano. Anzi, furono presi in giro da Lorenzo di Biagio Avveduti, commissario senese, il quale li lusingò che non sarebbero stati obbligati ad alloggiare gli stranieri, se avessero loro somministrato un’ingente quantità di vettovaglie. Ma appena consegnati i doni, gli spagnoli arrivarono a Chiusi: era il 2 giugno e si trattennero fino al 2 ottobre, rendendo inabitabile con le loro devastazioni un quarto della città e come riportano le memorie dell’Archivio Comunale “principiando da porta Lavinia dove è più evidente la maggiore iattura”.

Questo ci dicono le fonti storiche. Ma andò sul serio così?

Noi lo sappiamo, spesso quello che troviamo nei libri non è che una parte della verità: la parte vista dal lato dei potenti.

Siamo convinti però che chi fa veramente la storia il più delle volte è il popolo, e il popolo di Chiusi si ricorda che le cose andarono in un’altra maniera: gli spagnoli arrivarono è vero, ma ci stettero un giorno solo, perché i chiusini ……..ma guardiamo quello che accadde qualche giorno dopo.

Scena seconda: vita di paese

E’ giorno fatto. Aprono le botteghe artigiane e l’osteria. Tutte laterali, la scena è comunque sgombra al centro.

1° bottega. Ciabattino. Il proprietario è Ridolfo. Di bell’aspetto, pottoncello, donnaiolo e furbino, poca voglia di lavorare. Il lavorante, fatto oggetto di continue bonarie vessazioni, è Meco, capisce sempre fischi per fiaschi, più cerca di far bene e più sbaglia.

2° bottega. Situata dalla parte opposta. Fabbro. Il proprietario è Ristoro. Burbero ma simpatico, bercia sempre, è sposato con Mustiola, che quando è in scena lo comanda a bacchetta. Ha un figlio, Paolino, saccente e un po’ rompiscatole, che lo aiuta (!) in bottega.

Osteria. Torquato oste, ha per garzone Palle.

Arriva per primo l’oste con il garzone.

Oste: Leoneee! Come è andata stanotte?

Leone: Che te ne frega! Io co’ l’osti ladri ch’annaffiono il vino ‘un ci parlo!

L’oste e il garzone iniziano a tirar fuori i tavoli e i panchetti. L’oste canticchia.

Arriva il fabbro.

Ristoro: (rivolto all’oste) Dammi un goccino che ne lo stomaco c’ho posto, ‘un’ho fatto manco colazione. Bisogna che mi tiri su.

Leone: Se aspetti di tiratti su con quell’acquetta che ti da lui, stai fresco.

Ristoro: Mi! O te, sei già sveglio?

Arriva in quel momento il ciabattino seguito dal garzone carico di scarpacce vecchie.

Ridolfo: Come sveglio? Veramente lui la notte ‘un dovrebbe dormi!

Ristoro e oste: Buongiorno Ridolfo, buongiorno Mechino.

Leone: Si, tanto so te, che tutte le notti vai a gatta. Io c’ho famiglia.

Mechino: (imbambolato verso Ridolfo) Ma che gatto? O voi ‘un c’avete l’cane?

Ridolfo: (a Meco) Sie e la cana! Camina tira fori l’arnesi e comincia a fa’ qualcosa!

Mechino intanto apre la bottega, Ridolfo rimane all’osteria con il fabbro.

Ridolfo: Leone, si sa niente dell’ambasciatori? So’ tornati?

Leone: Macchè tornati, che vo’ sape quando tornono! So’ andati a Siena mica al Goluzzo! Se ‘un si so’ confusi pe’ la strada,  ritorneranno tra ‘na quindicina di giorni, se no anche più!

Arriva Mustiola con due donne, una più giovane Giustina e una vecchia di nome Onesta, nonna di Giustina. Vanno al bottino a lavare i panni.

Mustiola: (rivolta al marito ancora all’osteria) E te! Leggera! Ancora ‘un ti s’è fatto giorno? Cerca di fa qualcosa avanti stasera e di riscote piuttosto, che ne la madia c’è rimasto un capo d’aringa e mezzo cetrolo.

Ristoro sobbalza e si avvicina subito alla sua bottega mettendosi a lavorare.

Ridolfo: (avvicinandosi a Giustina che timidamente rimane in disparte, sottovoce) Giustina! Siete sempre più bella! Quando vi posso vedè da sola?

Onesta: (è più vicina a Mustiola che a Giustina, ma sente e si rivolge sarcastica a quest’ultima) Si, ti vole vede da sola, se lascia a casa quell’altre sette o otto che governa (calcando su governa)!

Giustina: (quasi dispiaciuta) Oh nonna!

Ridolfo: E’ Onesta, io parlavo co’ la vostra nipote, mica con voi.

Onesta: Ho capito, ho capito che parlavi co’ lei. Ma lei è la mi’ nipote e io so’ l’Onesta (battendosi la mano aperta sul petto)

Onelio: E da quando siete onesta? Che io ‘un l’avevo mai sentito di’?

Onesta: Chiacchieri proprio te, che pigliasti moglie perché te la portarono ‘n casa. E se ‘un e sbaglio era già di qualche mese.

Onelio: Va’ a guardà il capello. Se le guardi tutte moglie ‘un la piglieresti mai.

Ridolfo girella intorno a Giustina, facendo il cascamorto. Mustiola e Onesta parlottano degli spagnoli.

Palle: (rivolto all’oste) Padrone, il vino è quasi finito. Che fo, vo’ a piglià l’acqua e la robba, lo famo subito?

Oste: Sta zitto Pallino, per carità, ‘un ti fa’ sentì. Già le dicono poche (dandogli in mano un secchio). Tò, chiappa e và’.

Palle: (si sta allontanando, ha un ripensamento e a voce alta domanda) Padrone?

Oste: Che c’è ora?

Palle: Come avete detto che lo famo oggi? Bianco o rosso?

Oste: Rosso, rosso che va di più.(ripensandoci) Ma che mi fai di’? Leviti da tre passi, camina.

Palle: (di spalle mentre si allontana) Oh! ‘Un ce mica bisogno d’incancherissi tanto. Che l’annaffiate lo sanno tutti ormai.

Mustiola: (a Onesta) Ma ‘un avete sentito di’ niente davero?

Onesta: Dio mi ciechi, se sapevo qualcosa! Ecco le prime parole! Ma siete sicura?

Mustiola: Vi dico che è così e poi fatevelo di’ da Ristoro se ‘un  ci credete. Che tanto lui sta qui tutto ‘l giorno senza fa niente, le raccatta tutte.

Onesta: Ristoro, Madonnina, ma è vero che vengono ‘spagnoli? (quasi contenta)

Ristoro:  Speriamo di no!

Onesta: Perché no, Ristorino, e a chi danno noia? L’ultima volta che ci so’ stati i soldati francesi mi so’ divertita tanto? (gongolante)

Onelio: Si ma allora eri giovane. Ora chi volete che vi rampichi? Manco la lellera.

Ristoro: (rivolto alla moglie) E’, ma quel figliolo ancora dorme? O un veniva a aiutammi?

Mustiola: A aiutatti a fa che? A sta’ senza fa’ niente? Se deve sta qui per andatti  a prende da beve all’osteria, tanto vale che stia a letto, pora creatura.

Onesta: Mustiola, Giustina, stamani se’ presa per Santa Maria del Piano, si va a lava’ ste du’ panni al bottino? Nnamo, via, nnamo, se no famo Pipone.

Giustina saluta Ridolfo e tutte e tre escono dalla porta.

Contemporaneamente entra un contadino, tutto trafelato e sudato per la fatica, che con il suo carretto porta la verdura al mercato.

1° contadino: Si pole?  (posa il carretto e si asciuga la fronte)

Leone: Che c’è ora ? Stamani cominciamo proprio  bene.

1° contadino: So’ Pasquino de la Crocetta, volevo ‘ndà’ al mercato.

Leone: (sporgendosi) Fammi vedé’ che porti.

1° contadino: Ma ‘un eveno detto che la gabella ‘un si pagava più?

Leone: La gabella è stata soppressa, ma  hanno messo  la mancia a la guardia. Camina, mette un pelo d’insalata e du’ cetroli dentro quel paniere e steccia.(Il contadino esegue senza fiatare)

Ridolfo: Ricoprelo bene, che se viene l’ufficiale gliela la da lui la mancia.

Ristoro smette di lavorare e va’ all’osteria per un altro bicchiere e si intrattiene a parlare con l’oste. Osservando la scenetta successiva, il fabbro e l’oste parlottano e ridono.

1° contadino: O Ridolfo, proprio voi, giorni fa vi portai ste scarpe a aggiustà’,  ma ‘un c’è verso di caminacci. Quando le metto mi manca l’equilibrio e se vò’ ‘n salita poi mi pare quasi di ribaltà’ all’addietro. Guardate ‘n po’, fatigli qualcosa.(porgendogliele)

Ridolfo: (le rigira tra le mani e strabuzza gli occhi. Rivolto al garzone mentre una gliela batte nel capo).Guarda che ha’ fatto ‘sto torso, gli ha’ messo e tacchi davanti.(Il contadino riprende il carretto e  se ne và).

Meco: Ma voi mi volete martirizzà. San Meco martire…….

Ridolfo: Sie… e vergine!

Meco: E poi di ‘sta cosa qui la colpa è la vostra.

Ridolfo: e perché sarebbe la mia, sentiamo!

Meco: (piagnucolante) La facesti lunga n’ora, con que le scarpe di Pasquino. Mechino mi raccomando, fallo per bene sto lavoro che quello è noioso. ‘N ci mette tanto tempo che quello paga poco, e i tacchi mettiglieli in cima in cima, ‘un ne sprecà’ tanto cuoio.

Ridolfo: Che ti venisse ‘n colpo, io t’avevo detto ‘n cima ‘n cima ma mica ne le punte. Speravo che doppo tutti ‘st’anni tu l’avessi capito che i tacchi vanno messi sempre di dietro.

Meco: (sempre piagnucolante) A voi ‘n vi contenterà manco ‘l becchino. Se fò ‘n bel paio di scarpe reclamate perché ce’ndato troppo cuoio, se le fò giuste dite che so’ ‘n po’ strette, se le fò verdi le volevi rosse, se le fò rosse le volevi marroni.

Ridolfo: Oh, lillo, famo a capissi. Le scarpe dell’Agnese le dovevi fa’ rosse le facesti verdi, che mi tocco regalalle a la Caterina. Le scarpe della Maddalena le dovevi fa’ marroni, le facesti rosse, che mi toccò regalale a la Santina. ‘N parlamo poi de le scarpe di Gosto.

Meco: E’ no caro, lì evo ragione io. Voi come mi dicesti? Questo è ‘l campione, rifalle uguali uguali, e io le rifeci identiche spiccicate.

Ridolfo: Che ti rivenisse du’ coliche. In  un paio di scarpe nove di zecca, dopo avelle finite, gli ci facesti davanti e da le parti e buchi pé lupini e le patate.

Meco: Oh, ci avete poco da chiacchierà, in quelle che mi dasti c’erono.

Ridolfo: Ma o che c’hai nel capo? Quelle erono vecchie e da buttassi, apposta Gosto gli  aveva fatto e buchi. ‘Nsomma, tutti ‘ste danni che fai, a me chi me le ridà? Bisognerebbe te le levassi da la paga.

Meco: Perché? Secondo voi qualche volta ho riscosso?

Ridolfo: Sta’ zitto, che con me ‘un ci hai mai rimesso!

Meco: E ‘nfatti, l’unica volta che m’avete invitato a mangià a casa vostra, mi toccò di porta ‘l vino e ‘n galletto fregato nel pollaio de la mi’ mamma. E mi ci volle per fagli crede’ che era stata la volpe.

  

Ridolfo: Ora basta, famola corta, lavora e stà zitto. Io c’ho da andà’ via, arrivo quassù, (facendo cenno col capo e piuttosto misterioso)

Meco: ‘N do’ ‘ndate? Da la Giovanna?

Ridolfo: A te che te ne frega. Ma sentite sto ‘mpiccione. Che tanto l’ultima volta che ndai da la Maria, ti dissi che se veniva l’Ortensia gli dovevi di’ che ero ‘ndato a mette a mollo l’cuoio e n’vece gli dicesti che avevo fatto ‘na capatina da la  Artemisia.

Meco: O, m’ero sbagliato, che sarà mai!

Ridolfo: Ah! E me lo misero loro a mollo ‘l cuoio. Se ‘un era pe’ Leone che mi vide corre, capì l’antifona e mi fece nasconde ne la su’ cantina, m’eveno accrocco tutto. Ovvia, io vo’.

Meco: Arrivederci.

Ridolfo: Ah! Meco!

Meco: Dite, sor padrone.

Ridolfo: Se dovesse veni’ l’Angela a cercammi, digli che ‘n ci sarò per tutto ‘l giorno. Inventigli qualcosa, fa’ m po’ te.

Meco: (assorto nel lavoro annuisce) State tranquillo ci penso io.

Ridolfo: (mentre va via) ‘St’Angela m’ha fatto du’ cosi cosi (facendo il verso con le mani) che l’acciacco co’ piedi.

Ridolfo esce dalla scena, entra il garzone dell’oste con il secchio d’acqua e un cartoccio sotto braccio. L’oste preoccupato fa cenno al garzone di aspettare.

Oste: Ristoro, ti chiama Mechino. Va’ va’, senti che vole.

Ristoro: (avvicinandosi a Meco) Mi chiamavi?

Meco: Io no, (ha voglia di sfogarsi) ma l’avete visto che ripulita che m’ha fatto anche oggi? E pensà che so’ io che mando avanti tutta la baracca…..

Ristoro: Ma via, Meco ‘un te la piglià. (continuano a parlare sotto voce).

Nel frattempo l’oste ha fatto cenno al garzone di avvicinarsi. Vanno nel retro bottega che deve essere visibile al pubblico, dove si trova un tino con dentro un bastone. La scenetta si svolge quindi fuori dal centro della scena, ma i dialoghi e gli sciacquii prodotti, devono essere uditi anche dal pubblico.

Palle: Padrone, ci so’ passato dallo speziale: questo è per il colore e questo è per il sapore. Però ha detto di sta’ attenti con quello del sapore, che se ce lo mettete troppo, poi piglia di cercone.

Oste: Che vole ‘nsegnà al babbo a fa’ i citti? Ho fatto più vino io ‘n vita mia che tutte le tenute del Bastogi in cinquant’anni di vendemmie! Via, Palle,  butta l’acqua dentro ‘l tino. Ora m’pochino di cotesto, va bene, basta, ora m’pochino di quell’altro (dopo vari sciacquii), ora s’assaggia! (me prende un po’, lo scinaguotta in bocca e poi lo sputa forte) Bono! Stavolta è venuto speciale!

Palle: Padrone, perché lo sputate sempre? Voi ‘un lo bevete?

Oste: E che so’ scemo, ‘un mi voglio mica avvelenà! (prende due bicchiere e esce andando verso Meco e Ristoro) Sentite ‘sto vinello novo che m’hanno portato stamattina.

Leone: Stamani quando? Che carri co’ le botti ‘un so’ passati punti?

Meco e Ristoro: (come se non avessero sentito Leone) Bono! Si sente ch’è d’uva.

L’oste riprende i bicchieri e ritorna verso l’osteria.

Oste: (girato verso il pubblico, come parlando tra se) ‘Sto bugiardo maldicente, tanto un giorno lo spicco! Lo spicco, lo spicco…a voglia te se lo spicco!

2° contadino: (da fuori la porta) Leoneee! Leoneee! Ha aperto ‘l fabbro?

Leone: O che so io ‘l segretario del fabbro? Viecci a vedè da te. Ti sudi?

2° contadino: (entrando con i mano vari attrezzi agricoli) O che hai stamani? Ti prude? (si avvicina alla bottega del fabbro) Bongiorno Ristoro.

Ristoro: Bongiorno. Fammi vedè. Che ti s’è scucito?

2° contadino: ‘Na tasca! Volevo ribatte ‘sto pennato, ‘sta falce, ‘sta vanga, ‘sta zappa e ‘st’accettone…

Ristoro:  Oh! Oh! Piano lillo, ‘ndu secondi m’hai già dato il lavoro d’una settimana.

2° contadino: Ah, le rivolevo pe’ stasera io.

Ristoro:  Uh lillo, pe’ stasera manco se tu mi portassi ‘n oco per regalo!

2° contadino: Un oco sarà troppo! Vi posso portà ‘na coppia di piccioni.

Ristoro: E un fiasco di quello bono.

Il contadino va via. Arriva di corsa Paolino, il figlio del fabbro.

Paolino: Babbo! Babbo! (con la mano tesa) Me lo dai un soldo?

Ristoro: Quattro chiappate ti do. E’ questa l’ora d’arrivà?

Paolino: Dai dammi un soldo.

Ristoro: Leviti, sei sempre a chiede, sei come la tu’ mammaccia. Che so’ io? Il pozzo di San Patrizio?

Paolino: (rassegnato) Va bene, va bene. (fa l’atto di allontanarsi e poi ammiccando) Allora ‘un te lo dico!

Ristoro: Viene qua! (arrabbiato) Che mi devi di’?

Paolino: Quello che il lattaio e la mamma si so’ detti stamattina. Che l’ho sentiti di nascosto.

Ristoro: (incuriosito) E che si so’ detti?

Paolino: (allungando la mano) Te dammi il soldo!

Ristoro: (prende il soldo dalla tasca e lo porge al bambino) Toh! Arpia! Ora dimmelo.

Paolino: (parla con lunghe pause, tenendo sulle spine il babbo che a tratti sollecita) Stamani….quando ha chiamato il lattaio…..la mamma credeva che dormivo….e ‘nvece ero sveglio….allora lui gli ha detto…..

Ristoro: Che gli ha detto?

Paolino: ….Bongiorno Mustiola. E s’è avvicinato….

Ristoro: E la mamma?

Paolino: ….Bongiorno Pietro. E s’è avvicinata…

Ristoro: E poi?

Paolino: E poi erono vicini, vicini e allora lui…..no! ‘Un te lo posso di’ (e fa l’atto di andare via).

Ristoro: (agitato)Viene qua! Ch’è successo poi?

Paolino: …..poi ……erono vicini vicini …..ma il lattaio……si vedeva che ‘un aveva coraggio….e doppo tutt’an tratto gli fa…..

Ristoro: Me lo voi di’ che gli ha detto?

Paolino: (urlando mentre scappa) Mustiola, lo volete un litro o mezzo litro stamani?

Ristoro: (urlando arrabbiato) Ma senti ‘sto delinquente! Che ha ‘nventato pe’ fregammi un soldo. Ma tanto ti richiappo, è sse ti richiappo... Verrai a cena stasera noo! (abbassando la voce) Già un ci sarà niente.

Entra dalla porta una contadina con un cesto di verdura  e va diritta al banco dell’oste.

1° contadina: Sor Torquato, v’ho portato la robba che m’avevi chiesto. Strate tranquillo che è tutta fresca, l’ho colta stamattina appena giorno.

Oste: Brava la mi’ cittina, giusto mi ci voleva. Cominciavo proprio a fa’ ‘l minestrone. Quanto ti devo dà’? Oppure vò’ fa’ a scambio merci? Ti dò ‘n fiasco di vino rosso speciale, fatto di stamani. Mmmmm…… (battendosi una mano sulla fronte) che coglione…… volevo dì’  portato proprio stamattina da Chianciano.

1° contadina: No,no, Sor Torquato, ‘l mi babbo prima di uscì’ di casa m’ha detto: ‘un ti fa fregà’ dall’oste che quello è ‘n mandragolone. Piglia  i soldi e vieni via subito. Fanno 5 scudi (tendendo la mano).

Oste: (mentre prende i soldi e glieli porge) Come ti pare, ma ‘un sai che vi perdete.

Leone: Qualche colica di stomaco si perdono.

1° contadina: Sor Torquato, mi posso riposà’ ‘n attimo a sedé’ qui al tavolino?

Oste: Come se tu fosse a casa tua.

1° contadina: Mille grazie.

Arriva Rosa, ragazza molto spigliata che si diverte a far arrossire Meco. Va diretta da lui.

Rosa: Buongiorno Meco.

Meco: (vergognoso) Oh! Signorina Rosa, Buongiorno. Il signor Ridolfo ‘un c’è, ma dovrebbe tornà’ tra poco.

Rosa: A me mi fate anche voi, (smielata) anzi, è proprio voi che voglio.

Meco: (mentre si alza in piedi e si spolvera il grembiule) Che…. che posso fa’ per voi?

Rosa: (ammiccante) Me la dareste ‘na sistematina?

Meco : (sudando per l’imbarazzo) Ma … io….. veramente……ecco…....così all’improvviso…….

 

Rosa: …….a ste scarpine che domenica ci ho le nozze del mi fratello.

Meco: (tirando un sospiro di sollievo) Aaaah, (tutto contento) ……pe’ le scarpine ‘n ci sò problemi.  (rivolto al pubblico) M’ero bell’e trovato perso.

Rosa: E voi Meco quando la pigliate moglie?

Meco: (comincia ad aggiustare le scarpe) Io moglie la piglierebbi ‘nco ma ‘n ciò n’du tienilla.

Rosa: Come sarebbe a dì’?

Meco: Che ci sa la casa piccina. Si dorme ‘n sette ‘n una stanza.

Rosa: Pigliate ‘n’ altra casa allora.

Meco: E’ già, con quello che mi dà quel pagone di Ridolfo, c’è da scialà.

Onelio (o insieme a Leone): Sciala Meco, t’ho cotto ‘n ovo!

Rosa:  Sentite Meco, tanto che ci siete, me le tingereste anche?

Meco: Certo. Ditemi ‘l colore preciso che volete, perché io, sapé’, fò ‘n po’ di confusione. Ultimamente ‘un né che ci ho chiappato tanto co’ colori.

Intanto rientrano dai lavatoi Onesta, Giustina e Mustiola, in compagnia di Angela, una spasimante di Ridolfo che non è interessato all’articolo.

Mustiola: ‘Nsomma, cara Onesta, voi avete a dì’ quello che vi pare, se dovessero venì gli Spagnoli io ‘un mi sentirei tanto tranquilla.

Onesta: I soldati, cara mia, quando ci hanno da mangià’ e da beve ‘n danno noia. Come si dice, bocca unta ‘n disse mai male di nessuno. Voi che dite, Angela? Coi francesi anche voi, mica vi trovaste male?

Angela: Che dite la mi’ Onestina! Fortuna c’erono loro, che quell’anno col podere ‘un ci si ricavò niente!

Ristoro: (rivolto ad Angela) Pienaste ‘l libretto de la pensione scommetto. Del resto ‘l vostro marito lo dice sempre: i corni so’ come i denti, fanno male quando cacciono, poi ci si mangia!

Angela: A certo! Anche il mi’ marito è de la vostra razza! La voglia di lavora’ vi rivultica.

Mustiola: (rivolta a Ristoro) Oh, te le cerchi come ‘serpi vecchi, ma vedrai che le trovi!

Si ode in lontananza il rullo di un tamburo.

Giustina: Zitte un momento, questo deve esse’ ‘l tubicine che viene a legge una grida.

Si avvicina il rumore di tamburo fino ad entrare in scena il tubicine ed un tamburino. Si piazzano al centro di fronte al pubblico.

Leone: Ecco porta disgrazie mì’. Ora ci mancavi voi, così semo tutti.

Tubicine: (rivolto ad Leone) Te comincia a stà’ zitto e lasciaci lavorare.

Onelio: E chi vi tocca. Auuuuu!

Tubicine: (aprendo il rotolo della pergamena) Popolo di Chiusi.

Ristoro: (battendo ‘l martello sopra l’incudine) Ma quale popolo, se saremo rimasti si e no ‘n dugento, dugencinquanta  ‘n tutto ‘l paese. (tutti i presenti annuiscono in un brusio malcelato).

Tubicine: Allora la famo finita? (mentre da uno sguardo minaccioso in giro) Considerata la possibilità………..

Leone: Che le zanzare ci finiscono di magnà’ tutti.(comiziante).

Tubicine: Ma possibile che ogni volta che vengo quaggiù dovete fa ‘ste versi?

Oste: (ivolto al tubicine) Forza, fatela meno lunga e ‘ndate avanti.

Tubicine: (schiarisce la voce) Dicevo…….

Onesta: Io, mì’, se vengono i soldati Spagnoli, proprio bene.

Tubicine: Onesta, ‘un vi ci mettete anche voi per piacere………. Considerata la possibilità che gli ambasciatori………..

Leone: Magnino tutti i polli e i prosciutti……..(sempre comiziante).

Tubicine: Basta, me ne vò! Tanto ‘un vi meritate niente!

Giustina: E fatelo parlà’ Santo Dio. O che siete!

Tubicine: Grazie Giustina, siete una cara ragazza. (rispiegando la pergamena) Considerata la possibilità che gli ambasciatori siano di ritorno………………..

Angela: (rivolta ad Onesta vicino a lei) Se vengono ‘spagnoli davero, è la volta che compro ‘na casina qui in paese.

Tubicine: (rivolto a tutti, incazzatissimo) Che vi venisse ‘n colpo a quanti siete! Delinquenti! Farabutti! (disperato) ‘Un avete pietà manco per chi lavora!

Ristoro: Allora! (mostrando un martello pesante e brandendolo verso i presenti che si scansano) Lo fate parla’ si o no!

Tubicine: (rispiegando la pergamena) Considerata la possibilità che gli ambasciatori siano di ritorno portando seco buone notizie………………..

Meco: Messer tubicine, scusate,  potreste ricomincià da capo che ‘n ho capito bene?

Tubicine: ‘Ste cose succedono altro che a la Cimina! (rivolto al tamburino) Gnamo! si va a falla da ‘naltra parte. (se ne vanno).

Leone: Si, si, ‘ndate a falla da’n’altra parte che è meglio! Qui ce n’è gia abbastanza d’avello che viene su da Chiane!

Ristoro: Certo che è ‘ncazzereccio ‘l tubicine. ‘Un gli si pole di’ niente.

Mustiola: Madonnina come è permaloso.

Palle: Signorino aiutatici! Quanto la fa cascà dall’alto, ora perché sa legge in un pezzo di carta. Io da grande voglio fa’ proprio ‘l tubicine.

Rosa: Anche voi Meco però, a dirgli di ricomincià’ da capo. Era tre o quattro volte che ci provava.

Meco: Oh! (alterato e a voce alta) Se ‘un avevo capito ‘n avevo capito, mica l’ho magnato.

Angela: (come vedendolo ora) Mi! Meco! Proprio te! Ridolfo ‘n dov’è?

Meco: (titubante e confuso) Boh! Che vi devo di’? Qualcosa ha ‘nfarfugliato, ma ora ‘un me lo ricordo. (indicandogli un panchetto) Spettatelo, prima o poi ritornerà….

Ritorna Ridolfo e vede Angela seduta vicino a Meco.

Ridolfo: (rivolto al pubblico) Mi! (indicando Meco e Angela) Quando dici ‘na cosa a lui è come di brutto al cane. (rivolto a Meco) E’ te, sciorno! (battendo sulla spalla di Meco che sobbalza) Ma io che t’avevo detto?

Meco: (confuso giustificandosi) E’ arrivata all’improvviso, mica ce l’ho fatta a prepara’ un discorso.

Ridolfo: (a presa in giro) Ha’ ragione Mechino, ‘un è mica facile mette ‘nsieme tre parole!

Angela: Ridolfo, ti volevo….

Ridolfo: Zitta un momento, che devo di’ ‘na cosa a ‘ste genti. Oh che gl’avete fatto al tubicine anche stavolta? Che l’ho trovato quassù ‘n cima che diceva ‘na fila di litanie! Certo ‘n vi si po lascià mai soli. Che poi ‘un vi doveva mica di’ niente di strano…. se fosse venuto per qualcos’altro, lo potrei capì. Ma per questo……..

Gli altri lo guardano tutti attenti e incuriositi.

Meco: Perché padrone, voi lo sapete che ci doveva di’?

Palle: Ora vòi fa’ ‘l curioso. Lo potevi fa’ chiacchierà quand’era qui. Che è ‘ndato via per colpa tua.

Meco fa l’atto di tirare una scarpa a Palle, poi ci ripensa, il bambino gli fa uno sberleffo.

Ristoro: Ridolfo, ‘n ci tenete ne le spine, se lo sapete diticelo.

Anche gli altri insistono: Ridolfo parlate.

Ridolfo: Io ‘un vi direi niente. (si atteggia e guarda Giustina) Ve lo dirò giusto perché si! Io il tubicine l’ho sentito al Domo, che lì l’hanno fatto parlà, senza fallo tribbola’ tanto……e diceva…..(pomposo più del tubicine)

….Popolo di Chiusi….Può darsi che arrivino i soldati spagnoli a Chiusi. Però ….siccome gli s’è mandato là un carro pieno di (elencando con le dita) polli, capponi, conigli, oci, nane, prosciutti, salami, capocolli, salsicce e fiaschi di vino……

Onelio: Cala, cala se voi vende la somara.

Ridolfo: (come non avesse sentito) Può darsi che stiano ‘ndo so’!

Ristoro: E quel borioso ci doveva dì’ questo e basta?

Ridolfo: Lui l’avrebbe fatta più lunga, ma ‘l discorso era questo.

Leone: (mettendo una mano sulla fronte a mò’ di benda e guardando in direzione della strada che viene da Siena) Oh! Oh! fermi, fermi, boni tutti. Maremma impestata, che polverone vedo laggiù verso la piana.

Ridolfo: Come ‘n polverone?

Leone: Secondo me so’ omini  a cavallo.

Meco: (mentre continua a lavorare a capo basso) E vengono verso Chiusi?

Leone: A me mi sa di si. E potrebbero esse’ soldati, vedo luccicà’ qualcosa. Qualcuno vada subito a chiamà’ ‘l capo guardia.

Tutti corrono vicino alla porta

Ridolfo: Meco, svelto và’ a chiamà’ ‘l capitano Bandinelli e digli di scapicollassi alla porta.

Meco: Sie, ora chissà ‘n do’ lo trovo ‘l capo guardia.

Ridolfo: A ballà  a la Bussola! Camina sciorno, ‘n do’ sarà ‘l capo guardia a quest’ora, ‘n fortezza nel su’ alloggio noo.(Meco va via borbottando brollo, brollo) Te, Palle, và’ a rintraccià ‘l tubicine per Chiusi e digli che avverta ‘l sor Priore di venì giù subito anche lui.

Palle: Obbedisco! (fa il saluto militare e parte di corsa)

Onesta: Stà’ a vedé’ che gli Spagnoli arrivono davero (fregandosi le mani).

Mustiola: Ora almeno sarete contenta? E’ tutto ‘l giorno che aspettate ‘ste Spagnoli.

Ristoro: Io dico che ‘un possono esse gli Spagnoli, con tutto quel ben di Dio che gli s’è mandato.

Leone: A me mi sa ‘nvece che è proprio per quello che vengono. Ora chissà che gli damo , le chelle?

Oste: Io aspetterei a preoccupammi. Potrebbero esse’ i soldati che vengono a dà’ ‘l cambio alla guarnigione della Fortezza.

Leone: E’ te, Torquato, comincia a preoccupatti, perché ora che le vedo bene so proprio soldati e d’una razza che ‘un ho mai visto.

Rosa: Quanti so’? Tanti?

Leone: (che non sa contare) Un pochi davanti e ‘n pochi dietro.

1° contadina: Si va bene, ma ditici la quantità, il numero.

Leone: Quelli davanti so’ meno, quelli di dietro so più.

Giustina: Leone, ma voi ‘un contate?

Leone: Lamicittina, Io ‘un conto niente manco a casa mia. Giusto quando so solo.

Mustiola: Ma almeno fatici ‘n esempio. Tanto per rendisi conto di quanti so’.

Leone: Ma, che vi devo di? ….Grosso modo….saranno quante la gente che chiama Sciancichino quando miete.

Onesta: Uh allora ho capito! Quello ‘l podere è piccino, saranno massimo quindici o sedici.

Ridolfo: Meno so’ e meglio è! Voi comunque costassù, controllate la situazione e tienitici informati. (guardando la strada e passeggiando nervoso) O quanto ci mettono a arrivà quelli del concone? O ragazzi, è sempre così: quando le vòi ‘un le trovi mai! Quando ci cercono loro per le tasse, a noi ci trovono sempre, o come mai?

Rientra Palle a passo svelto.

Palle: Ridolfo, ‘l tubicine e ‘l sor priore arrivono subito.

Ridolfo: Bravo palle. Chissà quell’altro scemo ‘n do’ sarà ‘ndato?

Ristoro: Eccolo, eccolo Meco.

Ridolfo: L’hai avvertito ‘l capo guardia?

Meco: A me ‘un m’è riuscito di trovallo.

Ridolfo: Ma almeno l’ha’ lasciata ‘n’imbasciata ‘n fortezza?

Meco: Io so’ arrivato lì e al soldato gli ho detto: (scandendo) Per quello che ho capito dovrebbero arrivà da un momento all’altro ‘Spagnoli a Porta Lavinia. ‘N dov’è ‘l capo guardia?

Ridolfo: E lui che t’ha risposto?

Meco: Prima l’aveva ‘n bocca ‘n frate, ora ‘n lo sò.

Ridolfo: (mettendosi le mani nei capelli) Come si fa a fidassi di te. ‘Nsomma come è ‘ndata a finì’?

Meco: Io so passato anche quassù da’ frati, a San Franceso, e gliel’ho domandato.

Ristoro: No! E che t’hanno detto?

Meco: Ma ‘n ci vai Mechino a fa’ ‘n sonnello ‘l giorno? Co’ sto caldo ti farebbe bene. E hanno chiuso ‘l portone. Io però, se ve l’avessi a dì’, ‘n ci ho capito niente.

Ridolfo: Speriamo che ‘l soldato sia meno rincoglionito di te e che gli e lo dica al capitano. E’ Ristoro…caso mai ‘n arrivasse, ci riandate voi, su ‘n fortezza, a cercallo eh?

Ristoro: Va bene, state tranquillo.

Entrano in scena a passo veloce il tubicine seguito dal priore.

Tubicine: (facendo ampi gesti con le braccia) Fate largo, fate largo, scansativi! Fate posto al sor priore!

Meco: (rivolto a chi gli è più vicino) Ma a chi lo dice: fate largo scansativi? Che qui siamo quattro gatti.

Ridolfo: Eh Mechino, questa è gente che si deve da’ sempre importanza.

Priore: Dove sono questi benedetti soldati spagnoli, che qui non vedo nessuno? Sentinella, se mi hai fatto disturbare per nulla, ti farò dare trenta frustate nelle chiappe! Non è che hai scambiato un folto gruppo di mietitori per dei soldati?

Leone: Sentite sor priore, con tutto il rispetto eh!, io sarò anche strullo, ma ‘un ho mai visto i contadini miete’ di corsa e per giunta ‘n mezzo alla strada!

Priore: (rivolgendosi a Ridolfo) Ridolfo, voi che pensereste di fa’?

Ridolfo: A me lo dite, sor priore? Se erono scarpe ve lo potevo anche di’…..sentite ‘po l’ufficiale.

Meco: Si, si, le scarpe del signor ufficiale so’ pronte.

Ridolfo: Mechino per piacere ‘un confonde la fiera, che qui i lazzi ‘un so’ belli.

Entra di corsa l’ufficiale (se ci sono anche due soldati è meglio). Nel frattempo, arrivano a gruppetti i curiosi, che parlottano tra loro e domandano ai presenti (che è successo…chi arriva… ecc.ecc.)

Ufficiale: Prendo io in mano la situazione! (sguainando la spada) Ricacceremo gli spagnoli al di là del mare (con tono mussoliniano).

Tutti i presenti: (battendo le mani) Bene, bravo!

Ufficiale: Spezzeremo le reni alla Spagna!

Tutti i presenti: (battendo le mani) Bene, bravo!

Ufficiale: Perché è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende!

Tutti i presenti: (battendo le mani) Bene, bravo!

Ristoro: (a chi gli è vicino) Fermelo che ha preso via!

Ufficiale: Tutti gli uomini validi, si muniscano di schioppo, polvere e piombo. Le donne accendano i fuochi e mettano a bollire l’olio.

Tutti i presenti: (battendo le mani) Bene, bravo!(iniziando a spostarsi nella scena per fare quello che gli è stato richiesto).

Ridolfo: (alzando le mani come per calmare la folla – urlando per farsi sentire) Fermi, calma, boni!

Allora (enumerando con le dita) ‘ schioppi, s’un ce l’avete voi ‘n fortezza, un saprei proprio ‘ndo’ trovalli; la polvere s’un si piglia quella giù pe’ la strada del Rielle, quella da sparo ‘un ci sa davero;

però…..però….al posto del piombo si potrebbero addopra’ i noccioli de le ciliegie;… ma ‘un ci chiedete l’olio! E siccome (a questo punto Ridolfo si trova tra l’ufficiale e il priore) tra ‘l canchero e la rabbia (indicando alternativamente l’ufficiale e il priore) la differenza è poca e di tutt’e due i mali si more, ho deciso che prendero io (solenne) il comando delle operazioni belliche!

Tutti i presenti applaudono, anche il priore e l’ufficiale.

Priore: Capitano Bandinelli, meglio di così ‘un ci poteva andà.

Ufficiale: Avete ragione, se vogliono fa’ da soli, lasciamoli fa’. Certo, quando però si saprà a Siena, non faremo un gran figurone.

Priore: Potremo sempre dire che si sono impossessati delle armi e che ci hanno cacciati. I senesi crederanno a noi, mica ai popolani.

Si avviano per uscire di scena.

Ufficiale: Di questo statene certo. Ma ora voi, sor priore, dove vi nasconderete?

Priore: Ora vado a casa. Attacco i cavalli al calesse. Carico bagagli e famiglia e vado a Montepulciano da mia sorella. Almeno lì sarò sotto la protezione dei Fiorentini. Invece voi che farete?

Ufficiale: Vado in fortezza, metto in licenza i soldati e andrò su in montagna, a San Cassiano. Arrivederci e buona fortuna, signor priore.

Priore: Buona fortuna anche a voi capitano.

In questo frattempo Ridolfo, prima confabula con Ristoro e Torquato poi sembra distribuire vari compiti ai curiosi sopraggiunti che escono di scena.

Oste: Leone, ‘ndove so’ arrivati?

Leone: Allora sei di bossolo! T’ho detto che con quelli che annaffiono ‘l vino e fanno beve quei chimpetti come fai te alla gente, io ‘un ci parlo.

Ristoro: (quasi scocciato, con tono di rimprovero) Leone, è l’ora di falla finita. La situazione è grave e ‘un è più ‘l tempo di ruzzà. Qui c’è bisogno di tutti. Dicci piuttosto do’ so’ arrivati.

Leone: So vicini, peròsi so’ fermati e so’ scesi da cavallo.

Ridolfo: Meglio, ci sa più tempo per preparassi.

Leone: (come se stesse facendo la telecronaca) Ora sò ………. Grossomodo……..(ci pensa un pochino) verso le Fontanelle, tra la casa del Caciotti e il villaggio dei vigili urbani. La maggior parte stanno a gambe larghe accostati al greppo, qualcuno s’è accovacciato……………

Ridolfo: Basta, basta, ‘un’ la munge tanto, s’è capito. (poi rivolto all’oste) Torquato, v’è chiaro ‘l vostro compito?

Oste: Certo.

Ridolfo: O ’ncominciate a fa’ qualcosa su, che tra poco ci sa più da fa’ che da dì’. (l’oste e il garzone vanno nel retro bottega e cominciano a stegamà). Ristoro, venite qua, (Ristoro s’avvicina) ‘ndate a cercà du’ òmini e fateli venì’ qui, e poi tanto andate ‘n su, parlate anche col Cerusico, ditegli della nostra idea e di tenessi pronto. Poi (gli parla nell’orecchio e appena finito Ristoro parte, poi si rivolge alle donne) voi, Mustiola, Giustina  e Rosa  sparite alla svelta dalla circolazione e nascondetevi. ’Ste spagnoli avessero l’ideacce, ‘n si sa mai.  Portate con voi anche Domenica (contadina seduta all’osteria) che ‘un è ‘l caso di mandalla a casa sola. Prima però aspettate un momento che mi date ‘n mano. Voi, Onesta, Angela………

Onesta: ‘Un cominciamo perché io via ‘n ci vò. Voglio proprio vedé’ come so fatti ste Spagnoli.

Onelio: Volevi dì’: voglio senti come so fatti.

Onesta: Chiude sto sbrencio sotto ‘l naso, torso.

Angela: A me da qui ‘un mi manda via manco Domine Dio.

Ridolfo: No, no, vi volevo dì’  rimané…………….più tardi ci potreste fa comodo. Intanto voi Onesta ‘ndate qui, subito fori la porta e……………..(anche a lei parla nell’orecchio) appena fatto le date su a Leone, ma fate ‘na corsa. Meco, vieni qua, te fa’ na volata ‘n fortezza, prima che soldati se la squagliono e fatti da’…………(anche a lui parla nell’orecchio) e anche te le porti su a Leone.         (Meco corre via veloce). Te Angela, doppo che ci hai aiutato a sistema’, piglia quel paniere (indicando il paniere delle tangenti di Onelio) e fa’ finta di vende al mercato.

Leone: Porta sù, porta sù, ma si po’ sapé’ io che devo fa’?

Ridolfo: Te lo dico io che devi fa’. La robba che ti da l’Onesta la tiri di sotto proprio mentre passono gli Spagnoli, (fiori o volantini) e a quella che ti porta Meco gli dai foco appena so’ passati. (fuochi d’artificio)

Leone: Ridolfo,’n mi mette di mezzo che ci ho poco andà’ ‘n pensione. Quelli ci hanno lo schioppo mica trappole.

Ridolfo: (finge di non sentire Leone) Qua, donne, pigliamo que’ tavoli dell’oste e le banche e mettemoli qui nel mezzo, forza, sbrigamoci che so a le porte co’ sassi.

(appena sistemato il tutto le donne escono di scena).

Leone: O Ridolfo.

Ridolfo: Che c’è. (Il dialogo avviene mentre sistemano i tavoli)

Leone: Io ho paura………….

Ridolfo:  Si, de la gatta gnuda. Smettela scemo, o che soldato sei?

Leone: No, volevo dì’, io ho paura che sta bucata ‘n ci verrà bianca.

Ridolfo: Senti stà’ zitto e cerca di ‘un portà scarogna. Vedrai te se avanti notte gli Spagnoli ripiglieno ‘l su’ traicche e telono a tutta gallara a la volta di Siena.

Leone: Ma! Sarà anche come dici te, io però ci credo poco.

Ridolfo: (Rivolto verso l’osteria) Palle, vieni qua di corsa che ti mando a fa ‘na faccenda. (il garzone si avvicina e anche a lui parla nell’orecchio)

Leone: (mentre Ridolfo da istruzioni al garzone) Io pagherei a sapè che saranno oggi tutti ‘ste ‘mbiascicamenti nell’orecchi.

Ridolfo: Hai capito bene?

Palle: (mentre va via di corsa fuori porta)  E che so’ Meco.

Ridolfo:  Torquato, a voi vanno pizzicato ste giorni le zanzare?

Oste: Ah! ci ho certi bullettoni che ‘n vengono manco a chi ci ha la peste!

Ridolfo: Ottimo!

Oste: (lo guarda arrabbiato) Ma come sarebbe a dì ottimo?

Ridolfo: Doppo ve lo spiego.

Le donne hanno fatto, salutano i presenti e se ne vanno.

Ritorna Ristoro.

Ristoro: Io ho fatto, la robba è lì dietro (indicando in un punto fuori scena).

Ridolfo: Bene, ora speriamo che arrivi anche Meco con quell’altra  robba. Ah! L’òmini l’avete trovati?

Ristoro: Si,.si, ho rinciampico Gosto e Pasquino, tanto dovevono ripassà’ di qui pe’ ‘ndà’ via.

Arriva anche Meco. Ha in mano una balla con dentro della roba.

Meco: Ecco la robba, (scotendo la mano) ma per falli capì’ mi c’è voluto.

Leone: Sarà stato ‘l contrario.

Ridolfo: Portela su a Leone. No spetta un momento. Te ce l’hai addosso i pizzichi di zanzara.

Meco: Ah! (posa la balla e fa ‘l verso con le mani) Bestie così. (e porta la roba a Leone)

Ridolfo: Perfetto!

Rientra l’Onesta.

Onesta: Fatto, ho dato tutto a Leone.

Ridolfo: Bene.   Ristoro, via, voi ‘ndate a preparavvi e fate alla svelta. Appena tornate vò io. (Ristoro va)  Oste, Quanto ci avete?

Oste: Si po’ dì’ che è pronto.

Ridolfo: Bene, ‘ndate di là da Ristoro, ve lo dirà lui che dovete fa’, e fatelo senza tanti versi. (minaccioso) Ci semo capiti! Meco, Meco, quanto ci hai?

Meco: (apre la porta e entra) Arrivo, arrivo, eccomi. Madonnina! ma ‘n ci avete un minutino di pazienza è, o che siete!

Ridolfo: E’ giusto ora ‘l momento d’avé’ pazienza mì’!. Forza, va’ là ‘ e fa’ quello che ti dice Ristoro senza tante sguerguenze. (Meco va via brontolando). (rivolto a Leone) Leone, che mi dici?

Leone: O che ti devo dì’ ‘l mi cittino. Ti dico che sò bell’e gonfio e ‘nvece s’è cominciato ora.

Ridolfo: Nòe, nòe, volevo sapè che fanno Spagnoli.

Leone: O lillo, ma se’n ti spieghi, mica so ‘ndovino. Sò sempre li fermi e girellono.

Ridolfo: Meglio! Appena ripartono a la volta nostra chiama, ‘n fa ‘l coglione.

Onelio: Mmmmmmm……………. Che nanna oggi.

Ridolfo: Onesta, voi sapete ballà’?

Onesta: O questa ora, che domanda sarebbe, guardate che con me ‘un attacca.

Ridolfo: (Serio) Onesta, forza, ditemi se sapete ballà’, o si o no.

Onesta: Certo che so ballà’. Quand’ ero ne’ mi’ cenci ero richiestissima a le feste.

Ridolfo: Basta, basta così, ‘un mi serve altro.

Rientra il garzone dell’oste.

Palle: Ridolfo, tutto a posto, stanno già a salì sù da Leone.

Ridolfo: Bravo Palle, te si che sei ‘n omo(Palle ritorna a stegamà’).

Leone: (non rivolto verso il pubblico ma a delle persone che stanno salendo su da lui)

Ma che fate? ‘N do’ ‘ndate? Mica ci s’entra tutti  quassù. Ora fatimi cascà’ sapé’. Auuh! Io mica cel’ho con voi, con quello sciorno che v’ha mandato a chiamà.

Ridolfo: Zitto Leone, fagli posto e aiuteli piuttosto. Guarda di sistemalli ‘n qualche modo.

Onelio: Ci mancava anche sonatori ora. (suoneranno l’inno spagnolo oppure la marcia trionfale)

Rientra Ristoro vestito da Capoguardia. (fa finta di essere l’ufficiale).

Ristoro: Come sto Ridolfo? Posso andà’? (facendo un giro su se stesso pavoneggiandosi)

Ridolfo: Budelli! Che signorone che siete. Sembrate ‘l cane d’un ricco.

Ristoro: Ma voi ‘n ci andate a cambiavvi?

Ridolfo: Volo, fò ‘n quattro balletti. (esce di scena)

L’onesta è nei pressi dell’osteria

Ristoro: Onesta, ma voi perché ‘n siete andata via? E’ pericoloso restà’ qui. I soldati approfittono sempre delle donne.

Onesta: La vostra bocchina dicesse’l vero.

Ristoro: (scherzoso rivolto a Angela) Angela preparati, che eccoli.

Angela: Preparativi voi piuttosto, che ‘un siete mai pronto!

Leone: (senza capire chi è l’interlocutore) Ci stai fermo o ti butto di sotto. Pesticchia, pesticchia, o che pesticchi, la tu nonna.

Ristoro: Leone, Onelio, stàte calmi, che loro so’ di più. V’avessero a fa’ come ‘l riccio al serpe.

Ritorna Paolino, figlio di Ristoro.

Ristoro: Paolino, chi cerchi?

Paolino: (guarda in giro del padre e a colpo d’occhio non riesce a vederlo, poi lo vede. Rimane esterefatto) O come ti sei vestito? Se ti vede la mamma sentirai che lecche. (indicando i vestiti) co’ vestiti boni al lavoro! A me mi sa che ‘n ci chiappi più.(battendo l’indice sulla testa)

Ristoro: Camina che la tu mamma lo sa, va via o cavo la cigna. (fa l’atto di togliersi la cinghia)

Ma sentite sto moccicoso quante ne sa.  Che sei venuto a fa?

Paolino: (mentre scappa) La Mamma m’aveva mandato a vedé’ se lavoravi. Ma ora glielo dico sa’ che sgallettavi tutto ricutinato co’ l’Onesta ‘nvece di fa’ qualcosa.

Ristoro: Delinquente! Rovina famiglie.

Ridolfo: (arriva anche lui cambiato) Che succede, con chi ce l’avete?

Ristoro: Con quel torso del mi’ figliolo.

Ridolfo: (pavoneggiandosi anche lui) Mi sembra che mi stia bene. (lui fa finta di essere il priore)

Onesta: Io ‘un ho capito che vi siete messi nel capo. Speriamo bene.

Leone: Oh! Oh! Ripartono, si mòvono, vengono ‘n su.

Ridolfo e Ristoro: (urlando) Torquato, Meco, allora, semo pronti. Forza.

Tutti e due con voce fuori campo.

Oste: Eccoci, s’arriva o che bociate.

Meco: (piagnucolante) Me lo porgeva ‘l sangue d’ ‘un venì’ al lavoro stamani. Era meglio se mi davo malato.

Entrano in scena.

Onesta: O Madonnina quanto siete brutti!

Meco: Se lo sa la mi’ mamma mi sdoga.

Oste: (rivolto a Ridolfo) L’ho fatto giusto perché m’avete detto che è pel bene della patria.

Ridolfo: Voi Torquato mettetevi vicino all’osteria e fate la padrona. Te Meco spolvera i tavoli, aggiusta le panche , ‘nsomma  fa finta di esse ‘na cameriera. Ristoro, Ma Gosto e Pasquino ‘ndo’ so?

Entrano in quel momento.

Gosto e Pasquino: Eccoci, Eccoci. Che si deve fa?

Ridolfo: Che avevi paura d’arrivà’ troppo presto? Te Gosto, mettiti lì ‘n bottega mia e fa finta d’aggiustà le scarpe e te Pasquino fruzzica coll’arnesi di Ristoro. Deve sembrà ‘n paese normale.      (poi da istruzioni sottovoce ai due di quello che dovranno fare ad un suo segnale) Ci semo capiti? Quando dico: Viva la Spagna.

Gosto e Pasquino: Va bene, ‘ndate tranquillo

Leone: (con voce strozzata come se volesse parlare sottovoce ed invece urla)  O voi, mi sentite?

Ridolfo: Mica siamo sordi. Che c’è?

Leone: So’ qui sotto. Davanti alla porta. Confabuleno fra se, ma ‘un mi riesce capì’che dicono.

Ristoro: Per forza, parlono spagnolo.

Angela: (ricomponendosi) Oddio Madonnina, preparamoci.

Si sentono due o tre colpi forti battuti sulla porta.

Ridolfo: Onelio, Onelio,(sottovoce) digli chi va là.

Onelio: Chi va là?

Voce dietro la porta: La fuerza.

Leone: O, ha detto la fuerza, che vol’ dì?

Ridolfo: La fuerza, vol dì la forza.

Leone: (guardando al di là della porta) Allora aprite da voi se siete la forza.

Voce dietro la porta: Buenos dias hombre.(sempre dietro alla porta)

Leone : Ah l’ombra si. Viene a sentì quassù che c’è. C’è ‘n sole che ti stempia.

Ristoro: Leone, falla finita e falli entrà.

Leone: E che gli dico, chi lo sa parlà’ lo spagnolo.

Meco: Basta mette le esse ‘n fondo a le parole.

Ridolfo: Zitti tutti, basta. (quasi urlando) Adelante amigos.

Si apre la porta e entrano gli spagnoli. Per primo entra un ufficiale seguito da quattro soldati che si fermano appena subito dopo la porta.

Ufficiale: Se puede?

Ridolfo: Entre por favor, adelante, adelante. (lo invita ad entrare)

Ufficiale: Con mucho gusto.

Leone getta i fiori su di loro, e fa partire i fuochi d’artificio. Parte anche la musica. Gli spagnoli rimangono di stucco e sembrano bloccati: Si guardano intorno come per capire che sta succedendo.

Ridolfo: (dopo finito il trambusto gli va incontro) Quièn es ella?

Ufficiale: El comandante Joaquin Navarro Perez Conte de Oliveira.

Ridolfo: Encantado de conoscerla.

Ufficiale: E….. quièn es ella?

Ridolfo: El comandante del pueblo de Chiusi. (mentre gli da la mano) Ridolfo D’Agnoluccio conte de la Cimina e Barone de la Pietriccia. (sottovoce fa un gesto soddisfatto con il braccio) Tièh!

Ufficiale: Muy bien, estoy contento.

Ridolfo: (invitando Ristoro ad avvicinarsi) Puedo presentarle El segnor Ristoro di Giovanmatteo, conte dell’asso di Picche, marchese del camposantovecchio e barone di Francaville. Comandante de la fuerza militare?

Meco: (rivolto a Onesta) Mica lo sapevo che Ridolfo e Ristoro erono conti.

Onesta: Meco, sta zitto, smettela.

Meco: Io boh! Che ti devo dì’, un lavoro come quest’anno ‘un s’era visto mai!

Ristoro: (rivolto a Ridolfo) E ora che gli dico?

Ridolfo: Ditigli, encantado de conoscerla.

Ristoro: Encantado de conoscerla.

Leone: Potete parlà’ ‘n pochinino più forte che da qui ‘n si sente ‘na………...’n si sente niente.

Ufficiale: Encantado. (poi facendo segno verso Leone) Qué ha dicho el soldato?

Ridolfo: Nada, nada, es simpatico.

Ufficiale: Bien, quisiera decir dos palabras al pueblo de Chiusi.

Ridolfo: (rivolto a tutti i presenti) Zitti tutti e ascoltate che ora vole di due parole al popolo di Chiusi. Avete sentito voi, lassù.  (rivolto ad Leone) Doppo venitimi a dì’ che ‘n avete capito sa’.

Onelio: Basta che parli forte!

Ridolfo:  (rivolto ai presenti) portategli un banchetto. (rivolto ai presenti) E se voi cercherete di ‘un fa’ casino proverò a fa’ la traduzione di quello che dice.

Ufficiale : Pueblo de Chiusi, gracias, muchas gracias.

Ridolfo: Popolo di Chiusi, grazie, tante grazie.

Ufficiale: No habriamos venido, pero en quanto hemo visto la comida que nos habeis preparado, nos hemos dicho: partimos de pronto, adonde estaremos melyor que allì?

Ridolfo: Noi non saremmo voluti venire, ma quando abbiamo visto tutto quel ben di Dio che ci avete portato ci siamo detti: partiamo subito, dove si sta meglio di lì?

Leone: Toh! Che v’avevo detto, manco fossi stato strego!

Onelio: Tanto noi semo la quercia del posatoio, noo!

Ufficiale: Me he quedado sorprendilo de la vuestra hospitalidad. No lo habrìa nunca creido. Nosotros, soldados espanoles, hemos venido para invadir vuestra ciudad, Vosotros nos habeis acogido con amistad.

Ridolfo: Sono rimasto stupefatto della vostra accoglienza, non avrei mai creduto. Noi, soldati spagnoli che siamo venuti per occupare la vostra città, siamo stati accolti come vecchi amici.

Ufficiale: Desde hoy, esta ciudad serà nuestra casa. Si os comportais bien, nosotos haremos lo mismo.

Ridolfo: Da oggi in poi questa città sarà anche la nostra casa. Se voi vi comporterete bene anche noi faremo altrettanto.

Ufficiale: Pero si intentais de encianar nos, usaremos la fuerza y serà peor para vosotros. Buena suerte.

Ridolfo: Ma non tentate di fare i furbi, altrimenti saremo costretti ad usare la forza e sarà peggio per voi.  Buona fortuna. (scende dal banchetto)

Ridolfo : Comandante, ora che vi siete spiegato voi, fatimi spiegà anche a me (salendo a sua volta nel banchetto): Soldati spagnoli! Ho sentito poco fa per bocca del vostro capo, che siete stati trascinati a Chiusi dalla voglia di mangiare ancora ochi, nane, prosciutti e capocolli. Scordativeli!

Tutto quel ben di Dio, s’è racimolato solo per non fare brutta figura di fronte alle altre città della Repubblica Senese.

Leone: Noi i poveri si fanno a casa nostra.

Ridolfo: Quello che vi abbiamo mandato era tutto quello che ci si aveva. Se avete pensato che Chiusi fosse stata una città ricca ed opulenta…….. ebbene vi dico: vi siete sbagliati! La malaria imperversa in tutto l’agro chiusino, il paese e le campagne sono ormai quasi disabitate. Gli ultimi due o tre polli rimasti li abbiamo fatti cucinare all’oste per darvi il benvenuto. Purtroppo dopo la cena di stasera, dovrete dividere con noi solo quelle povere cose che ci sono rimaste: du’ peli d’insalata, du’ cetroli, qualche sarda e qualche aringa.

Leone: La miseria vole ‘l su’ sfogo.

Ridolfo: (rivolto al comandante che gli è vicino) Ho parlato in italiano perché siccome è gia da tempo che siete in Italia, sono sicuro che mi avete capito. E poi………… noi siamo a casa nostra. Bisognerà che v’adattate. (Scende dal banchetto)

Ora accomodiamoci tutti a tavola e………… se per voi non ci sono problemi, gradirei che anche i vostri soldati sedessero insieme a noi.

Onelio: E noi quassù che  famo? ‘L cane di Betto! Almeno portateci ‘n goccino.

Ridolfo: (rivolto verso l’osteria) Palle. Portigli su ‘n boccale di vino, almeno stassero zitti.

Palle va fuori della porta e poi rientra.

I curiosi accorsi a questo punto se ne vanno.

Ufficiale: Muy bien  signor priore. (rivolto ai soldati e facendo cenno con le mani) Adelante, Adelante. El signor priore ve invita a comer.

Ristoro: Sediamoci che le donne intanto ci portano da bere.

Scena del banchetto e del ballo spagnolo

In scena c’è una tavola imbandita con seduti a mangiare i soldati spagnoli. Li servono Onesta e Meco e Torquato vestiti da donna, che fanno con loro “le smorfiose”. Al desco sono seduti anche Ridolfo e Ristoro (vestiti il primo da priore ed il secondo da ufficiale), che intrattengono in conversazione gli spagnoli con fare di lusinga.

Si siedono tutti: L’ufficiale Spagnolo è al centro e ha alla sua destra Ridolfo e a sinistra Ristoro.Poi i soldati. Meco, Torquato e l’Onesta cominciano a servire le portate.

Ufficiale: Muy bonite este muchache. Como se chiamano?

Ristoro: Meca e Torquata.

Onesta: E io che so’ concio?

Ristoro: Scusate Onesta, ero distratto. Poi c’è l’Onesta che è la nonna de le segnorite.

Onesta : (con un inchino e un grosso sorriso) Encantada el mio ufficial.

Ufficiale: Felicidades. Muy hermosa.

Ridolfo: (rivolto all’ufficiale) Ve gustano  le muchache?

Ufficiale: Mucho, mucho. Ma Onesta è un po’ tardona.

Onesta : (tra se e se) Sarò anche tardona, ma se ci si mette a contà le battaglie, sa’ quante l’ho fatte più di lui.

Ridolfo: (con una mano davanti alla bocca e sottovoce) Se volete approfitta’, fatelo. Ci stanno.

Ufficiale: Mas se puede remediar una torta!

Ristoro: E’! E’! Signor ufficiale spagnolo, Il priore poco fa vi ha detto che ‘un c’è rimasto più manco l’occhi per piange, ora voi volete anche una torta. ‘Un mi sembra bello.

Ridolfo: Ristoro fatimi ‘l piacere state zitto, voi lo spagnolo ‘un lo conoscete. Una torta significa  uno schiaffo.

Ristoro: (che è rimasto male) Si sarà meglio.

Ufficiale: Voi signor priore dove avete imparato ad ablar spagnolo.

Ridolfo: Dovete sapere che io sono stato fidanzato per tre anni con una muchacha  spagnola di nome Carmencita. E……. tra le tante cose che mi ha insegnato c’era pure lo spagnolo.

Meco: (che vuol apparire raffinato sta servendo l’ufficiale) Lo aggradisce ‘n ticchino?

Ufficiale: No ho entendito, non ho capito.

Ristoro: Ha detto se lo volete ‘un po’.

Ufficiale: Oh! Si , muchas gracias. (e intanto con la mano da dietro cerca di toccarla)

Meco: (interrompe di servire e fa uno scatto) O Ridolfo, a me mi sa che mi tocca ‘l culo.

Ridolfo: E te ritocchiglielo.

Meco: Sie, così ‘un la famo più finita.

Torquato: Comandante. La volete ‘na coscettina? (con la voce cantilenante)

Ufficiale : Gracias, anco el bocconcin del prete se se puede. (e prova a  toccare pure lui. Poi rivolto a Ridolfo) Avevate ragione voi. Ci stanno!

Ridolfo: Che vi dicevo! Voi datemi sempre retta che vi troverete bene.

E intanto Ridolfo e Ristoro riempiono in continuazione il bicchiere dell’ufficiale. L’Onesta si cura dei Soldati servendoli e  facendoli bere molto. Ricompare Paolino, figlio di Ristoro. Arriva sempre di corsa.

Paolino: Babbo, babbo ‘n do sei. (guarda in giro e non lo  vede)

Ristoro: so’ qua, che voi? Scusatemi comandante dell’Oliviera.

Ridolfo:  Si, capooperaio al mulino dell’olio. Comandante Joaquin Navarro conte de Oliveira.

Ristoro: Ma sie, ora mi metto a falla lunga così per chiamallo.

Ridolfo: E allora chiamatelo solo  comandante.

Ristoro: Va bene. Da capo. Scusatemi comandante, (facendo sempre il raffinato) ma sono desiderato da mio figlio. (come un orco) Che c’è! Sei sempre a rompe  i corbelli………. Si po’ sapé’ che vòi.?

Paolino: Te oggi mi sa che le cerchi. La mamma è du’ volte che mi manda a vede’ che facevi. ‘Na volta t’ho trovato all’Osteria che facevi ‘l ganzino coll’Onesta, ora ‘nvece ti s’è messo bello bello a tavolino a magnà come ‘no sfondo. A  me mi sa che stasera la mamma quando torni a casa ti sdoga.

Ristoro: Caviti, camina, caviti da tre passi. Tò, chiappa ‘n soldo e và’.

Paolino: (saccente) Tienteli i tu’ soldi, degno membro di questa società corrotta. Al più tardi stasera sarai inchiodato dalle tue responsabilità

Ristoro: Io boh! Co’ ‘sto fregno ‘n ci ho ricavato niente.

Ufficiale: Che grinta! Vieni, bel nigno, avvicinati, como te chiami?

Paolino: Perché lo voi sapè?

Ufficiale: Perché certamente avrai un bel nome.

Paolino: E ‘nvece no.

Ufficiale: Ma tu dimmelo lo stesso.

Paolino: Dammi un soldo e te lo dico.

Ridolfo: Paolino ora basta, ‘un esse’ maleducato. Và a casa, camina.

Ufficiale: (che ha messo una mano in tasca e porge un soldo a Paolino) Tieni! E ora dimmi come ti chiami.

Paolino: (mentre prende il soldo e se ne và) Mi chiamo svegliacoglioni.

L’ufficiale resta impietrito e non sa più che dire.

Ridolfo: ( si alza in piedi con il bicchiere in mano per un brindisi):

Questo vino e buono ed è fatto con rari infusi……..vero Torquata?

Evviva i soldati spagnoli e la nostra Chiusi.

Applausi dei presenti

Leone: Vorrei fa un brindisi anch’io.

Ristoro: O sentiamo via.

Leone: Vino vinello, sei forte e sei bello,

peccato che l’oste briccone ti faccia con l’acqua e ‘l bastone.

Torquato: (ritorna per un attimo con la voce da uomo) Tanto ‘n giorno lo spicco, ha’ voglia te se lo spicco.  (poi continua a servire il vino e fa a volte cenni d’intesa al fabbro ed al ciabattino).

1° soldato spagnolo: (rivolto a Meco vestito da donna che porta un vassoio, prendendolo per un braccio) Vieni qua bella biondina!

Meco: (con la voce in falsetto, svincolandosi) Madonnina, ma per chi m’avete preso, so ‘na ragazza per bene io.

Onesta: (facendo scudo con il proprio corpo) Lascia sta’ la mi’ nipote, che è ‘na creatura. Se bisogna che una di noi si sacrifichi, (con gesto plateale) allora mi sacrifico io!

1° soldato spagnolo: (ritraendosi) Io veramente……gli volevo chiedere un po’ di vino…

Onesta: Oh! Stasera ‘un ne ‘mbrocco una!

 

Torquato: Pronti! Palle, porta ‘n po’ di quello novo speciale de la riserva del mi’ babbo.

Palle: (a bassa voce rivolto all’oste) Eh Torquata…..

Torquato: Ete ‘l mi’ cittino, ‘un ti piglia’ tante confidenze. Ormai per stasera giusto perché si….

Palle: (sempre sottovoce) Guardate, mi sa che ‘l colore di ‘sto vino è ‘ndato ‘m po’ giù, che fo lo rincalzo?

Torquato: Si , ma ‘n ti fa’ vedè’.

Palle ritorna all’osteria cambia il boccale e ritorna in scena. 

Torquato: (serve il vino al capitano spagnolo facendo un cenno a Ridolfo e Ristoro) So’quasi cotti (ammiccando verso gli spagnoli).

Capitano spagnolo: Che è cotto?

Ridolfo: Quell’arrostino che gira ne’ lo spieto….

Capitano spagnolo: Buono l’arrosto (crollando sul tavolo).

Ristoro: Oh Ridolfo, mi sa che si pole comincià che questi l’hanno  bell’ avuta.

Capitano spagnolo: (tirandosi su) Avuta? Che cos’è avuta?

Ridolfo: No avuta! N’a bevuta! (riempiendo nuovamente il bicchiere del capitano) Ci vole ‘n altra bevuta (alzando il bicchiere)

Ristoro: Comandante ci faccia lei un brindisi.

Ufficiale: (ci pensa un po’, dato gli evidenti segni di ubriachezza, poi alza il bicchiere) Brindo a Chiusi, paese della cuccagna, evviva la Spagna, evviva la Spagna.

Applausi dei presenti.

Ridolfo: (rivolto verso l’alto di Porta Lavinia) Musica musicanti!

Onesta: (si avvicina all’ufficiale e lo invita a ballare) Comandante, facciamoci questo Flamenco.

Ufficiale: Con mucho gusto, muchaca hermosa.

E cominciano a ballare un flamenco. Due soldati spagnoli invitano anche Torquato e Meco e ballano anche loro. Si avvicina Angela che inizia a ballare con Ridolfo e Ristoro.

Leone: Ditimi voi se in una situazione così ci si po’ mette a ballà’. Ma che ci avete nel capo.

Palle, che esce dall’osteria, accennando un po’ di passi di flamenco.

Ridolfo: (Ridolfo sembra essere preso dalla foga) Viva la Spagna.

Immediatamente Gosto comincia a lamentarsi steso per terra, lo segue da lì ad un attimo anche Pasquino steso per terra anche lui e fanno finta di avvolgersi dai dolori. Si ferma la musica e tutti si precipitano a soccorrere i due.

Ridolfo: Che è successo? State male? Ferma la musica! Che vi sentite?

Leone: Si potrebbe da’ la colpa al ‘l vino di Torquato, ma loro ‘un hanno bevuto.

Ristoro: Palle, corre a chiamà’ ‘l Cerusico. Tanto lo sai ‘ndo’ sta, vero? Sta subito qui dietro.

Palle: Si, si, lo so, volo.

Onesta: A me mi sembra ‘na cosa grave e pericolosa.

Meco: Ora che ci ripenso anche io mica stò tanto bene.

Ridolfo: Sta zitta Meca ‘n ti rimette a fa’ la scema proprio ora.

Torquato: S’ha fagli nusà ‘un po’ del mi vino?

Leone: Si! Così le finite d’ammazzà.

Torquato: (molto incazzato con Leone prende una scarpa e gliela tira) Maldicente che ‘n sei altro, Tanto ti spicco, ti spicco, ti spicco…ha’ voglia te se ti spicco!

Angela: Madonnina, a vede’ du’ omini così per terra, mi fa ‘n effetto!

Ridolfo: Camina effetto! Falla finita che ‘l momento è grave.

Ristoro: Io manco le toccherei, fosse ‘na malattia ‘nfetta. Mi sembra di vedegli qualche bullettone.

Ufficiale: (guardando le braccia di Gosto, o di Pasquino) Maledicion sembrano proprio bubboni.     ( si alza e fa un passo indietro)

Palle: ( di corsa) Eccolo, ecco ‘l Cerusico.

Cerusico: Via, via, scanzatevi, fate largo che può esse’ pericoloso. Voi! (rivolto ai soldati Spagnoli)  datemi una mano a spogliarlo( O Gosto o Pasquino).

Ufficiale: ( ferma i suoi soldati) No, fermi, està pericoloso.

 

Ridolfo: V’aiuto io, che ’un ho paura.(armeggiano un po’ e scoprono il petto)

Cerusico: (come tra se e se) E’ inconfondibile, non ci sono dubbi, non può essere altro.

Ristoro: ‘N ci tenete ne le spine che po’ esse’. E’ ‘na malattia grave?

Cerusico: C’è nessuno di voi che ha addosso bubboni come questo? (indicando un punto del corpo del paziente)

Meca:  (tira su una manica e rivolto al Cerusico) Mirate qui che bestie!

Torquata: (anche lui si scopre una parte) Come questi volete dì’?

Cerusico: Fate vedé’. (ha un sussulto, si mette a gridare e scappa) E’ la peste, è la peste, scappate, scappate.

Ufficiale: (concitato ai suoi soldati) Vamos, vamos ombre! (i soldati impauriti radunano le loro cose e fanno l’atto di scappare) La peste….

Ridolfo: Comandante, ma dove andate?

Ristoro: ‘N fate ‘l coglione che ‘l tempo l’avete. Venite qua tirate via.

Ufficiale: Esto paese ès maldito. Si ritorna a Siena, adios, adios.

I militari se ne vanno e chiudono la porta. I presenti rimangono in silenzio ascoltando per essere sicuri che gli spagnoli sono andati via. Dopo qualche secondo:

Ridolfo: Leone, che vedi di lassù?

Leone: Oh che voi che veda: è notte! Però un si sente bulica’ più niente, per me so’ già all’Arbia.

Meca: Sor padrone, mi posso anda’ a cambia’?

Ridolfo: (sarcastico) No, Mechina, viene qua. Sei tanto bellina, voglio fa’ un ballo con te.

Leone: Oh, boni, boni. Sento traspigge…

Tutti si allarmano, bloccandosi impauriti, Pasquino e Gosto si sdraiano nuovamente in terra e i presenti si dispongono intorno a loro.

Voce fuori dalla porta: (sottovoce) Leone, Onelio.

Leone: Mi sa che è uno di casa (rivolto ai presenti).

Onelio: Chi è (guardando fuori dalla porta)?

Voce fuori dalla porta: so’ Dolfo. Apre.

Onelio: E’ aperto.

Dolfo: (entra concitato) E’ tutto apposto, è tutto apposto. M’hanno mandato avanti a davvi la notizia: s’è consegnato tutta la robba e doppo lunghe trattative i nostri bravi ambasciatori hanno strappato la promessa che gli spagnoli (trionfale) non verranno a Chiusi.

Si spenge la luce.

Tutti: (urlando) Ma vaffanc………(inizia la musica).