Bandiera bianca

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BANDIERA BIANCA

Commedia in due atti

Di V. TENDRJAKOV e K. JIKRAMOV

Traduzione di Milly De Monticelli

PERSONAGGI

NIKOLAJ IVANOVIC PETROV, ingegnere

JARIK, suo figlio, studente

ZIA GUSTJA, detta Gusar

(l'ussaro)

la governante

DMITRIJ VASILEVIC

zio Mitja

NINA, un'amica di Jarik

L'UOMO DEI PAVIMENTI

tifoso di calcio

 

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 Prima che si apra il sipario si ode la voce del commen­tatore sportivo che trasmette una partita di calcio. Una grande stanza nell'alloggio dell'ingegner Petrov. Due por­te: una d'entrata, l'altra che dà nello studio del padro­ne di casa. Un orologio alla parete, un fucile appeso so­pra un tappeto, una solida libreria, il televisore, un ar­madio. L'orologio e la libreria sono antichi, le sedie, il divano, le poltrone, l'armadio moderni, di una certa pre­tesa. L'arredamento darebbe l'idea di una solida agia­tezza e tranquillità di vita, se non fosse sottosopra per le pulizie: tutto è all'aria, le sedie sono ammucchiate una sull'altra. In mezzo al locale sta l'uomo dei pavimenti. Un piede scalzo, l'altro calzato di stivale, un secchio di cera accanto, è appoggiato allo spazzolone. Contempla, immobile, il televisore che trasmette la partita di calcio. Zia Gustja, alta, mascolina, con un abito nero e un faz­zoletto bianco, messo alla maniera delle vecchie ba.be, qualcosa fra la monaca e il soldato, porta fuori della ro­ba, poi ricompare, e scompare. Il figlio di Petrov, Jarik, si sta vestendo vicino all'armadio spostato: si cambia la cravatta.

Voce del cronista          - (dal teleschermo) Il no­stro portiere ha parato il tiro. Il pallone finisce al cen­trattacco Lòbaskin che lo rimanda all'ala destra. Olchò-tin lo passa a Fòmicev. Fòmicev scarta il mediano Markòrovic... Ecco! Ecco!

L'uomo dei pavimenti   - Dai, canaglia! Ha le pezze da piedi dentro le scarpe!

Voce del cronista          - Fòmicev ha tirato. Il numero quat­tro della squadra ospite, intercetta il pallone e lo lancia con forza in mezzo al campo. Il pallone va a finire sui piedi di Slàvinic. Slàvinic, con grazia e agilità, direi con un eccesso di eleganza, scarta il nostro Tjapkin...

L’uomo dei pavimenti  - (brontola) Tjapkin... Ormai è buono per fare sapone!

Voce del cronista          - Slàvinic corre verso il fondo. Si pre­cipita su di lui Maskalènko, Slàvinic passa a Kryz. Kryz a Ràkovic. Ràkovic si difende da Sbitnev e passa a Slàvinic. Goal!

L’uomo dei pavimenti  - (geme) ... per fare sapone!

Voce del cronista          - Avete visto, cari compagni tele­spettatori, che goal! Un tiro forte e preciso nell'angolo destro della porta. Forte e preciso. Risultato: tre a uno in favore degli ospiti. Mancano cinque minuti alla fine della partita. Il pallone viene rimesso al centro.

L'uomo del pavimenti   - Bell'affare! Ci scaviamo la fos­sa con le nostre mani. Tengono nascosto Ljoska Sintzòv! Il miglior centrattacco, l'invidia di tutti!

Gustja                           - Be', adesso basta. Sei venuto per spassartela?

L'uomo dei pavimenti   - Non fanno che dire: bisogna valorizzare l'uomo. Tutte parole: valorizzare. E Ljoska Sintzòv, l'hanno messo sotto processo. Lioska, l'hanno squalificato. E la causa? Una ragazza. Neanche ce ne fossero poche di squinze, perdio. Una dozzina a ogni passo. Se ha fatto il gradasso, bastava una bella stri­gliata a quello stupido. Di femmine ce ne sono a migliaia, di Sintzòv uno solo. Il miglior bombardiere che ci fosse, spaccava le costole ai portieri, col pallone!

Jarik                              - Piangi terra russa, ma sii anche fiera!...

L'uomo dei pavimenti   - Piango lacrime che bruciano. Soffro fino in fondo all'anima. Bene o male, aveva il di­ritto di anzianità. Trent'anni... Non mi rassegnerò mai.

Gustja                           - Già, già... il diritto d'anzianità... Una testa fatta come il pallone che fuori ha la pelle e dentro è vuoto. Cerca di giustificare un bruto, lui. Le capisce, lui, queste cose!

L'uomo dei pavimenti   - Un bombardiere di gran clas­se! Che tiro! E lei, una ragazza! Hanno scambiato la ciambella col buco.

Jarik                              - (senza rivolgersi a nessuno in particolare, troppo occupato di sé) Attraversa la strada col semaforo verde... Non è che un giocatore di calcio e lui crede che sia una grande personalità.

L'uomo dei pavimenti   - Proprio grande, LjoSka Sintzòv!

Jarik                              - Per me grande è solo lo scienziato: un cervel­lo che arricchisce il mondo di conoscenze...

L'uomo dei pavimenti   - Proprio. A ciascuno il suo.

Jarik                              - Soldi in banca ho accumulato, la bicicletta mi sono comprato. Vaneggiamenti! Ma c'è una verità gros­solana. A volte le circostanze giustificano la violenza.

Gustja                           - Hm!

Jarik                              - Se mi chiedessero: assolvere o punire? Rispon­derei: amo la giustizia, ma detesto l'ipocrisia. La vita è crudele. Ai grandi dobbiamo perdonare le debolezze, non li puoi costringere dentro gli angusti limiti del codice borghese. Amo la giustizia, ma non voglio che la gente resti in perdita.

L’uomo dei pavimenti  - (a Gustja) Ecco, madre-supe­riora. Hai sentito! Tre a uno, e siamo in perdita noi.

Gustja                           - (severa e minacciosa) Balla, balla, svergo­gnato! Fino a notte resterai qui a spassartela? (Gustja intanto ha staccato dalla parete il tappeto e il fucile. Col tappeto arrotolato sotto il braccio e col fucile, mar­cia maestosamente verso l'uscita. Jarik, intento a os­servarsi muove un poco le spalle davanti allo specchio. È robusto, bello, vestito senza ricercatezza, ma con gusto e con cura. L'uomo pulisce il pavimento, danza vicino al televisore; la sua testa si gira immancabilmente verso lo schermo, come una girandola verso il sole, per cui la danza dell'uomo appare comica, il ballo di un clown)

Voce del cronista          - Siamo all'ultimo minuto della par­tita. Ripetiamo, risultato: tre a uno in favore della squa­dra ospite. Il pallone esce fuori campo. Gli ospiti rallenta­no il gioco. Tre a uno! L'arbitro guarda il cronometro. Il pallone l'ha Fedòtov che scarta Ràkovic. Tiro angolato verso la porta degli avversari. Troppo tardi!... Troppo tardi!... L'arbitro ha fischiato e la partita è terminata... Dunque cari compagni telespettatori... (Rientra Gustja e spegne seccata il televisore)

L’uomo dei pavimenti  - (sospirando) Una lezione... Una bella lezione. Bisogna valorizzare gli uomini. Non li sap­piamo valorizzare.

Gustja                           - Balla, balla!

Jarik                              - Papà è nello studio?

Gustja                           - Lascialo tranquillo. Una seccatura dietro l'al­tra. Pover'uomo, non lo lasciano mai in pace.

Jarik                              - (duro) La colpa è sua.

Gustja                           - Il pulcino vuole insegnare ai grandi. Non spetta a te giudicare, becco giallo.

Jarik                              - A questo punto ha proprio bisogno di qualche insegnamento.

Gustja                           - Questi professoroni le sparano grosse.

Jarik                              - (dirigendosi verso la porta) Torno subito.

L'uomo dei pavimenti   - Ci sarebbe da spostare l'arma­dio. È un po' pesantuccio, non ce la faccio da solo.

Gustja                           - (a Jarik) Dagli una mano tu.

Jarik                              - Arrivi sempre al momento giusto... fin dall'in­fanzia mi sento sotto tutela... Su, allora! Ma un po' in. fretta. Spingiamo.

Gustja                           - (spingendo anche lei) Il parquet, testa matta! L'hai fregato per niente?

L'uomo dei pavimenti   - Non importa, non importa, sembra lubrificato... Ma c'è un intoppo... oh, un libretto. (Scostano dalla parete la libreria)

Jarik                              - Però c'è una gran polvere. (Prende il libro da dietro l'armadio e lo guarda) "Calandra a vapore Schwartzkopf"... Madre-antichità. "Schwartzkopf. Perché non bicicletta di legno? (Cadono per terra delle carte) Fotografie... (Si siede sui talloni, le raccoglie, e lancia uno sguardo stupido a zia Gustja) Guarda, questo è zio Mitja!...

Gustja                           - (prende una fotografia e dice piano) Si...

Jarik                              - Anche qui, zio Mitja, anche qui... Ussaro, papà non ne parlava mai? Non s'è saputo niente di lui?

Gustja                           - (scuote tristemente la testa) Ormai...

Jarik                              - È. morto? Di sicuro?... Pare che ora ritornino, di là.

Gustja                           - Sarà nel regno dei cieli...

Jarik                              - Eppure ritornano!

Gustja                           - Ormai... Se tornasse avrebbe dato un se­gno di vita...

Jarik                              - (fa passare le fotografie) Zio Mitja... Zio Mitja... tutte tagliate... Neanche una fotografia intera... Tagliato via lo zio Mitja!

Gustja                           - (stupita) È, peccato quello che fai!

Jarik                              - (colpito) Ah!...

Gustja                           - Nascondile di nuovo.

Jarik                              - Ah!... Ma guarda!

Gustja                           - Nascondile...

Jarik                              - E io ancora dubitavo... non credevo... Invece è anche peggio.

Gustja                           - Non spetta a te giudicare.

Jarik                              - Una vigliaccheria! Una vigliaccheria!

Gustja                           - Prima vivi come ha vissuto tuo padre, poi giu­dicherai.

Jarik                              - Gustja, erano i migliori amici. Passavano notti intere a parlare. Io mi ricordo... Mi ricordo tutto. Una santa amicizia.

Gustja                           - Non fai che macinare sciocchezze.

Jarik                              - Mettersi li, di nascosto e ritagliarle con le for­bici, una dopo l'altra, accuratamente; io di qui, lui di li. Io pulito; lui macchiato. Può insozzarmi anche solo la sua vicinanza in fotografia. Comincio a credere possibile tutto: anche che l'abbia denunciato!...

Gustja                           - Finiscila, cucciolo! C'è un estraneo.

Jarik                              - Si, un estraneo... È vero, devo cominciare a te­merla la gente, adesso. Basta sventolare la nostra bandie­ra. Oh, Gustja, come vivere? Come vivere?

Gustja                           - È polvere vecchia, si accomoderà tutto.

Jarik                              - Si accomoderà? Un buonsenso che mi fa venire il vomito.

Gustja                           - C'è un estraneo...

Jarik                              - (all'uomo dei pavimenti) Ah, lo stadio risuona di fischi. Sgombrano il campo. Nasconditi! Abbassa la te­sta, fiero Sikambr!

L’uomo dei pavimenti  - (lavorando) Non so perché, ma ne capitano d'ogni colore. È la vita...

Jarik                              - Ecco, ecco, è la vita. Cammina pure con la tua bandiera. Ne capitano d'ogni colore. Al diavolo! Mi senti­te? Al diavolo! Lo sappiamo tutti. Io me ne infischio.

L'Uomo dei pavimenti - L'anno scorso m'è capitata una seccatura mi hanno operato d'ernia... Gustja         - (interrompendolo) Su, balla! Ti sei fermato.

 Jarik                             - E lui, di la. Le nuvole si addensano sul suo capo innocente... Ora gli porto queste foto... (Si dirige verso lo studio del padre, ma Gustja gli sbarra il passo decisa)

Gustja                           - Torna indietro.

Jarik                              - Lo proteggi?

Gustja                           - Basta, cucciolo, c'è già chi abbaia abbastanza, senza che ti ci metta anche tu.

Jarik                              - Doveva pensarci prima.

Gustja                           - Torna indietro! Non m'importa se vai già al­l'università e studi le scienze. Faccio come facevo una volta: la testa sulle ginocchia e scapaccioni sulle parti molli. (Jarik e Gustja sono uno di fronte all'altra. Jarik tace. Piano, con tono minaccioso) Scapaccioni, Tu mi cono­sci. (L'orologio antico fa un ronzio e batte le ore. Jarik alza le spalle)

Jarik                              - Forse hai ragione. Perché dovrei andare da lui?

Gustja                           - Sei già pronto, va' con Dio!

Jarik                              - Certo... hai ragione, Gustja.

Gustja                           - Va' va'!

Jarik                              - Il figlio di un delatore!... (Ficcandosi le foto­grafie in tasca) Ad ogni caso...

Gustja                           - Va' con Dio! (Jarik esce. Gustja all'uomo dei pavimenti che sta pulendo dietro l'armadio) Esci fuori marmotta, che ti schiaccio. (Sposta da sola l'armadio che avevano smosso in tre)

L'uomo dei pavimenti   - Che donnetta! Mica per niente ti chiamano Ussaro.

Gustja                           - Per battere te, ne ho ancora abbastanza di for­ze, questo è sicuro.

L'uomo dei pavimenti   - Buone per fare lo scaricatore, le tue forze.

Gustja                           - Dovrei anche saper lanciare un pallone in porta?

L'uomo dei pavimenti   - Ha, ha... mi struggerei per un giocatore come te!

Gustja                           - Oh, gente! Vivono di cose inutili, di sciocchez­ze. Uno è invidioso, l'altro ha le ragazze per la testa, il terzo pensa solo al gioco del pallone.

L'uomo dei pavimenti   - E cos'è importante allora? Que­sto secchio? Questo spazzolone? Da quanti anni me li vedo davanti? venti? trenta? Pensa un po', tutta la mia vita l'ho dedicata allo spazzolone. Dopotutto sono anche un uomo vivo, e ho voglia di vivere. Se fossi un po' più giovane e un po' più bello, andrei dietro alle ragazze. Non ho i nu­meri. Oggi, spazzolone, domani spazzolone, e fra un mese ancora, e fra un anno ancora. Gli altri si sbronzano, e io mi tengo indietro, solo un goccio in compagnia. Cosi mi prendo l'abbonamento per lo stadio, ci vado la festa, e do­po il lavoro. Li sono un uomo. E dimentico lo spazzolone, e la mia vecchia, e i bambini e le nuore; un'anima pulita! Un bel passaggio ti allarga il cuore, poi uno perde la palla, e tu gli gridi: ehi! sei buono per fare sapone! Se perde la tua squadra è un dolore, se vince sei felice. Vi­vo... E non vivo soltanto, ma soffro, soffro! Entraci den­tro in questa parola: è detto tutto.

Gustja                           - Ecco, ecco, per che cosa soffrono, per un pal­lone vuoto! Soffrissero per la gente, per l'anima di qual­cuno. Per un pallone c'è un sacco di gente che soffre, per gli uomini, nessuno. Come mai il pallone ha tanta fortuna?

L'uomo dei pavimenti   - Il pallone mi dà gioia, e l'uomo, cosa mi dà? Uno spazzolone in mano.

Gustja                           - Sei un pidocchio, un insetto! Sei sposato, hai figli grandi, hai degli amici, ma nessun sentimento, né da parte tua per loro, né da parte loro per te. Vivi, ti muovi nel mondo, ma sei davvero un pidocchio.

L'uomo dei pavimenti   - Io ti parlo con sincerità, e tu til metti ad abbaiare.

Gustja                           - Dovrei accarezzarti la testa, svergognato?

L'uomo dei pavimenti   - Ma guardati un po'. Neanche te, ti hanno coperto di gioie. Hai la vecchiaia davanti e non hai un angolo tuo. Tutta la vita a prendere il pane da mani estranee, ad asciugare gli sputi altrui.

Gustja                           - Sempre più felice di te, caprone. Sei sposato e non sai apprezzarlo. Io avrei voluto sposarmi, non lo nascondo, avrei voluto sposarmi al più presto. Un marito una famiglia, dei figli. A quanto pare non c'è fortuna pi grande per una persona. Invece gli uomini se la sqadravano; ero una ragazza che gli metteva paura: una ragazza col quarantacinque di scarpa che si caricava in spali sacchi di cinque pud. Se la squagliavano, avevano paura che li legassi con la forza. Ma senza il cuore ero io la prima a non volere. Con la forza non si ottiene nessuna fe­licità. Non avendo una famiglia mia, mi sono appoggiata a un'altra famiglia. Dici che asciugo gli sputi altrui? Ma per me non è cosi. Hai visto il giovanotto? Eh?...

L'uomo dei pavimenti   - L'ho visto il giovanotto, non è da buttar via.

Gustja                           - Che figura, che viso, guardalo! Ed è cresciuto senza madre. La madre l'ha messo al mondo e ha reso l'anima a Dio. Neanche una volta ha fatto in tempo a dar­gli il latte. E io ho tenuto l'orfanello nella bambagia. Tutti i medici, ma quelli esperti eh, tutti appena lo guar­davano, alzavano le spalle, impossibile che viva. E adesso è un falco. Fa dello sport, la scuola l'ha finita fra i pri­mi, e ora, all'università, i professori non fanno che lodar­lo. Le ragazze poi gli muoiono dietro, gli muoiono dietro che è un guaio. E dici che non è una gioia per me, non è la mia felicità? E perché, lo sai? Perché non ho sofferto per un pallone ma per un essere umano. Senza di lui, non avrei ragione di vivere. E tu che sei sposato, che hai ti­rato grandi dei figli tuoi, tu, che gioia trovi in loro? Oh, secondo come Ljoska Sleptzov...

L’uomo dei pavimenti - Sintzov.

Gustja                           - Al diavolo! Secondo come tira la palla sei contento o non lo sei più, e nei tuoi figli non trovi nessu­na gioia, anzi, li consideri un castigo di Dio. Te infelice! A chiamarti uomo si incepperebbe la lingua.

L’uomo dei pavimenti  - (irritato) Ma senti che sprolo­quio! Che non ci sia nessuno capace di insegnarti la ra­gione?!

Gustja                           - Insegnarmi? E perché mai un qualsiasi pidoc­chio deve sempre considerarsi più intelligente degli altri, e pretende che mi si insegni? E tu, cosa insegni di bello? Un momento fa biascicavi che Ljoska Svintzov...

L’uomo dei pavimenti - Sintzov. Lo conoscevano tutti...

Gustja                           - Al diavolo! Ha messo sotto i piedi una ra­gazza... Tutta la vita rovinata... Ci hai pensato col tuo cer­vello di gallina? Tutta la vita a raggomitolarsi dalla ver­gogna, tutta la vita rovinata; i ragazzi la eviteranno e lei stessa si sentirà infangata. E tu, chiudi gli occhi, s'arran­gi. Tutto perché lui sa tirare il pallone da far scricchiola­re le costole. Insegnare! Ecco cosa insegni, tu.

L’uomo dei pavimenti - E tu, cos'hai insegnato al tuo signorino? Ricordi? La vita, dice, è crudele. Alla gente grande si perdona tutto, le leggi sono fatte per gli uomi­ni comuni, per me, per te, per il nostro vicino. Sono trop­po strette per i grandi. E Ljoska Sintzov è un grande del calcio. Un giocatore di gran classe! Prima di farla a me falla a lui, la lezione!

Gustja                           - Ma lui è un ragazzo... Da ragazzi non si ap­prezza il buono, il buono sembra noioso. La vita non ha tatto ancora in tempo a beccare nel collo. Tu invece di beccate ne hai avute, sei sui sessanta. Se a questa età un uomo non vuole vedere la colpa a nessun costo, è inutile che si aspetti qualcosa di buono, solo la tomba coperta di muffa aggiusterà tutto.

L’uomo dei pavimenti  - (con un risolino) Che vuoi farci, vivremo da peccatori ma a me questi peccati non fanno né caldo né freddo. (Pausa)

Gustja                           - (guardando con occhio attento e severo l'uomo che lavora) Ma tu sei spaventoso... Più spaventoso di un bandito che per una copeca può liberare l'anima di un passante nel buio di un ripostiglio.

L’uomo dei pavimenti  - (di nuovo lagnoso) In che cosa sono cosi spaventoso?

Gustja                           - Ljoska è meglio di te.

L’uomo dei pavimenti - Si capisce, Ljoska è meglio.

Gustja                           - Oh, che uomo spaventoso sei, spaventoso!... Ecco, ti si incontra, niente di particolare, un vecchio un po' brutto, cortese, non rozzo, con l'aspetto di uno che non fa male a una mosca. E d'un tratto ti si spalancano gli occhi e sei spaventoso! Un bandito ferisce uno sconosciu­to con un coltello, ha bisogno di soldi, comunque non lo fa per gioco. Tu, non ferisci col coltello, non fai violen­za - come potresti canarino pelato - ma te ne infischi, non intervieni a difendere, anzi sei contento: era necessa­rio. Credi che non sia male? Il male, non per lucro, non per interesse, solo per il piacere. Spaventoso... e non fini­sci in prigione, non ti processano, le leggi non ti toccano. E ce n'è molti come te... Spaventoso!

 

L’uomo dei pavimenti - Ma sentila, proprio il tipo che si spaventa, lei!

Gustja                           - Tutti devono spaventarsi, tutti devono stare alla larga da uno come te. Allora, al grande Ljoska gli passerebbe la voglia. E la gente sarebbe più buona.

L’uomo dei pavimenti - Uh, che lingua! Da far invidia a un cane.,. Son proprio tanto marcio che tutti debbano stare alla larga? (Entra Nina senza essere notata)

Gustja                           - Non c'è niente di più marcio! Hai avuto com­passione di quella povera ragazza?

L’uomo dei pavimenti - Compassione, perché? È mia figlia, è una che amo?

Gustja                           - Invece a me spiace, mi si spezza il cuore. An­che se non è mia figlia, e se non l'ho mai vista in faccia, né mai la vedrò. In te non c'è niente di umano! (Si ac­corge di Nina ferma sulla porta) E tu, come sei capitata qui, bellezza?

Nina                              - (timida) C'era la porta aperta.

Gustja                           - Tutto va a gambe levate, in questa casa. (All'uomo) Finisci un po' presto, tiratardi! (A Nina) E per che ragione sei venuta se non è un segreto?

Nina                              - Jarik... c'è?

Gustja                           - Come cercare il vento in un campo. (Pausa)

Nina                              - Lo aspetterò... Posso?

Gustja                           - Aspettare, non è proibito. Ma se fino a stasera non torna?

Nina                              - (piano) Lo aspetterò...

Gustja                           - (con sospetto) E cosa vuoi da lui, caruccia? (Nina non risponde) Di che si tratta? (Nina non risponde. L'uomo dei pavimenti interrompe il suo lavoro e sogghi­gna in maniera molto significativa. Gustja riprende con dolcezza) Non sono un'estranea per Jarik, gli ho fatto da mamma.

Nina                              - (con uno sguardo disperato) No... È meglio che vada. (Non si muove dal suo posto)

Gustja                           - (all'uomo dei pavimenti) Hai finito o no? Vuoi metter le tende?!

L’uomo dei pavimenti - Qui ho finito. (Indica la porta) E lo studio?...

Gustja                           - Un'altra volta... Anzi vieni più tardi. E prendi con te i ferri. Nello studio la finestrina non si chiude e la serratura della porta non funziona.

L’uomo dei pavimenti - Più tardi? Vuoi che venga di notte?

Gustja                           - Fa' un salto, e vedremo. Ma adesso va', togli­ti dai piedi.

L’uomo dei pavimenti - Me ne vado, e con gioia. Come si possa trattare con una come te, non lo capisco proprio!

Gustja                           - Vivono tutti benone e non si lamentano.

L’uomo dei pavimenti - Io non ci resisterei.

Gustja                           - Ci mancherebbe, uno della tua razza! (L'uomo si avvia alla porta raccogliendo le sue cose)

L’uomo dei pavimenti  - (sulla porta, accennando furbesca­mente a Nina) È piovuto qualcosa dal cielo. Mi piace­rebbe proprio ascoltare se la canzone che canterai a lei è la stessa che hai cantato a me.

Gustja                           - Via, satanaccio! (L'uomo esce sogghignando) Siediti, cosa c'è, ragazza? Se sei venuta... È successo qual­cosa? Eh? (La guarda con ansia e resta in attesa. Nina tace) Jarik?

Nina                              - (la si ode appena) Si... (Piange sommessamen­te) È meglio che me ne vada... (Si alza)

Gustja                           - Sta' seduta, sta' seduta. Piangi, se è necessario, e racconta... Dunque Jarik... (Nina attraverso le lacrime annuisce col capo) Ah, mascalzone! Ha promesso di spo­sarti, eh?

Nina                              - No, non me l'ha promesso...

Gustja                           - Non ti ha trattato come doveva? Ah, che, di­sgrazia...

Nina                              - No, è andato tutto molto bene. Tutto!

Gustja                           - E allora? Perché quelle lacrime?

Nina                              - Non mi ha promesso niente ma ora...

Gustja                           - (osservando Nina con attenzione) Da molto?

Nina                              - Due mesi, ormai... (Pausa)

Gustja                           - Non ti sarai sbagliata, ragazza?

Nina                              - (si alza) È meglio che me ne vada... (Gustja tace e si mette a sedere col viso impietrito. Nina, titu­bante, fa due passi verso la porta)

Gustja                           - Aspetta! È inutile fare a nascondino, una volta che una cosa è avvenuta. Siediti. Parliamo un po'... Jarik lo sa?

 29

 Nina                             - Gliel'ho detto un mese fa...

Gustja                           - E lui?

Nina                              - Non ci ha creduto. Ma allora anch'io non ci cre­devo del tutto.

Gustja                           - E poi?

Nina                              - Fin da allora mi disse che... No, è meglio che me ne vada...

Gustja                           - Che cosa ti ha detto? (Pausa) Su, cosa ti ha detto?

Nina                              - (piano) Che è stato un caso...

Gustja                           - Allora non ti ama? Ah, svergognato. Bisogne­rebbe frustarlo!

Nina                              - Un caso... Che fra noi non c'è niente... No, è me­glio che me ne vada. (Pausa. Nina non si muove. Gustja fissa il pavimento)

Gustja                           - Un caso! Ah...

Nina                              - Io vado... quando ci sarà?

Gustja                           - E prima?

Nina                              - Prima, cosa?

Gustja                           - Prima, ti amava?

Nina                              - (con voce appena percettibile) Lo diceva...

Gustja                           - E tu, ci credevi?

Nina                              - (con slancio inaspettato) Io gli ho sempre cre­duto! Sempre! (Pausa. Nina non si muove. Gustja tace)

Gustja                           - (smarrita) Ecco cosa doveva succedere... Ah, mascalzone! È un poco di buono, ragazza.

Nina                              - Non è vero! Questo non lo dirò mai. A nessuno! (Pausa. Gustja tace e scuote la testa)

Gustja                           - Non sei la sola. Ne ha una sfilza di ragazze. Ne ho viste tante, ma te, ti vedo per la prima volta.

Nina                              - (si siede sul bordo del divano e piange) Perché... perché mi dite questo?

Gustja                           - Ah, mascalzone! E adesso? (Pausa. Nina pian­ge) Quanti anni hai?

Nina                              - Diciannove.

Gustja                           - E lui, venti. Ah, mascalzone!... Cosa si può fare?

Nina                              - Non so... Io, sono soltanto venuta per vederlo. Non ne posso più. Ho paura. La mamma non lo sa...

Gustja                           - La mamma non lo sa, neanche parlarne tuo padre...

Nina                              - Papà non c'è. È morto al fronte... (Pausa. Gustja tace. Si alza) Io vado... (Gustja tace, è come impietrita) Arrivederci. (Pausa. Gustja tace. Nina si dirige verso la porta, lentamente, con passo incerto, aspetta disperatamen­te di essere richiamata, di essere trattenuta, di udire an­cora qualche parola. Gustja tace, fissando il pavimento. Nina raggiunge la porta, smarrita e imbarazzata alza gli occhi su Gustja, vede il suo viso irrigidito e, appoggiandosi allo stipite, comincia a singhiozzare) Cosa devo fare? Co­sa si può fare? Non ne posso più! Non posso! Non vivo più!... (Singhiozza)

Gustja                           - (si alza, le si avvicina, le cinge le spalle) Mia cara, e io, credi che sappia cosa ci sia da fare? Vieni pie-colina, sediamoci. Parliamo ancora un po'... (Conduce Ni­na in lacrime verso il divano e la fa sedere) Su calmati, tesoro, calmati! Parliamo un momento a cuore aperto. (Ni­na si stringe come una bambina a Gustja e continua a piangere. Gustja le accarezza i capelli. Una lunga pausa) Hai diciannove anni, lui, quello stupido, ne ha venti... Siete due bambini... Be', supponiamo, vi sposate. Lui ades­so non ti ama, cosa sarà dopo? (Nina si scosta, trattiene i singhiozzi) Io sono vecchia, so cosa vuol dire. Non sono mai stata sposata, ma ho passata tutta la vita nelle fa­miglie. Oh, m'è toccato di vivere in diverse famiglie, e ne ho visto d'ogni colore. È un castigo, un castigo, non è vita, se non c'è amore. Vivono insieme, si tormentano si picchierebbero e vorrebbero dividersi, ma non lo fanno; ci sono i figli. I bambini sono peggio di una catena. È un castigo come l'inferno, ed è cosi tutta la vita, ragazza, tutta la vita. E per la moglie è peggio che per il marito. Lui guarda altrove e se la spassa con altre donne. Fuggì da una vita cosi, ragazza fuggi, salvati! E salva anche lui. Non nascondiamoci la verità.

Nina                              - (non riesce più a trattenersi, si lascia cadere sul divano ed è scossa dai singhiozzi) E dove devo andare?! Andar vìa da mia madre, non posso. Dove?!... È meglio morire! Morire! (Dallo studio compare Nikolaj Ivanovic Petrov. Ha il vestito spiegazzato. L'aspetto sciupato, mala­ticcio)

 Petrov                          - Mi è sembrato di sentir piangere... Gustja, la vetrata si regge su una cerniera sola. Bisogna fare...

Gustja                           - (con voce sorda) Faremo, faremo.

Petrov                           - (vede Nina) Cosa c'è? (Pausa. Nina si siede, si sistema il vestito, si nasconde il viso. Gustja tace. Petrov smarrito guarda prima Nina poi Gustja) Cosa succede? (Pausa. A Nina) E lei?...

Gustja                           - (interviene di malavoglia) Un'amica di Jarik.

Petrov                           - (con dolcezza) Perché piange? Cos'è successo? (Nina si nasconde il viso e non risponde. Pausa) Gustja, cos'è successo, dunque?

Gustja                           - Ormai quel che è successo è successo, è inu­tile nasconderlo. Il tuo caro figlio...

Petrov                           - (comincia a capire; piano spaventato) Qualco­sa di serio?

Gustja                           - Macché, uno scherzo.

Petrov                           - Ogni giorno, una novità! Preferirei non sapere niente.

Gustja                           - (seccata) Ecco da chi ha preso tuo figlio. Anche lui non desidera sapere niente. (Nina piange)

Petrov                           - (smarrito) Da chi ha preso?... (Si siede vici­no a Nina, con dolcezza) Mi racconti tutto.

Nina                              - (senza tentare di alzarsi, piano rassegnata) È meglio che me ne vada.

Petrov                           - (insistendo con dolcezza) Io devo sapere tutto.

Nina                              - (abbassando la testa) Le racconteranno... le rac­conterà lei.

Gustja                           - Cosa c'è da raccontare? È di due mesi...

Petrov                           - (scatta in piedi) Ah, cosi... (Va su e giù per la stanza. Pausa. Osservando la stanza ancora sottosopra per le pulizie) Non è molto accogliente, qui... (Bruscamen­te) Lui, lo sa?

Gustja                           - Fai meglio a chiedere se vuole saperlo.

Petrov                           - Cosa pensa? Cosa pensa, canaglia?

Gustja                           - È chiaro che... Ci ha messo un'ora a farsi il nodo alla cravatta e poi è scappato a un appuntamento. Se restiamo ancora un po' a chiacchierare forse fa in tem­po ad arrivarne un'altra.

Petrov                           - (continua a passeggiare per la stanza, si guarda in giro come un animale braccato e scuote le spalle) Non è accogliente questa stanza. (A Gustja) Come hai det­to, ha preso da me?...

Gustja                           - D'accordo, non attaccarti a una parola.

Petrov                           - Da me?... (Si gira con decisione verso Nina) Scusi la mìa domanda un po' brusca, lei lo ama? Le pia­ce molto quel fannullone?

Nina                              - (con voce appena percettibile) Si... molto...

Petrov                           - (riprende ad andare su e giù) Allora deve!... Il diavolo lo porti, deve essere un uomo! Saremo tutti con lei. Scusi, com'è il suo nome?

Nina                              - Nina...

Petrov                           - Con lei, Nina, lo costringeremo a prendere una decisione! Comportati da adulto, comportati da uomo, sii responsabile di te stesso! Lo costringeremo... I suoi geni­tori lo sanno?

Nina                              - Non ho padre e la mamma non deve sapere. (Petrov come se incespicasse, comincia a osservare stupi­to Nina dalla testa ai piedi, con una smorfia dolorosa)

Petrov                           - (riprende a camminare) Però, com'è poco ac­cogliente, qui, oggi. Terribilmente in disordine!... Comin­ciare a vivere da mascalzone. Ha preso da me?... Suo pa­dre non ha cominciato in quel modo. Suo padre ha avuto un inizio severo e pulito. Non ha cominciato rovinando la vita a un'altra persona... (Si ferma davanti a Nina, con solennità) Ho un unico figlio! Lei lo. capisce, mi è caro. Per questo voglio che cresca un uomo vero. Vero, non un manichino. Non l'abbandonerà! Le do la mia parola. Ho ragione, Ussaro?

Gustja                           - Non darle a intendere che le aquile voleranno nel cielo.

Petrov                           - (con rabbia) Deve sposarla! Se lei lo desidera, se lo ama. Sulla pelle degli altri... no, non lo farà!

Nina                              - Vorrei vederlo, ora.

Petrov                           - Certamente. Senza di lei non si decide niente. Venga questa sera. Un po' tardi, verso le dieci o le un­dici. Venga, ci saremo tutti.

Nina                              - Verrò. Grazie. (Si alza) Devo andare.

Petrov                           - Vada. Ma non le dico addio. Dunque, il suo nome è Nina?

Nina                              - Nina... Nina Zabotina.

Petrov                           - Allora l'aspetto. (Accompagna Nina alla porta) Ha un viso buono. Mio figlio è uno sciocco se la lascia sfuggire. Uno sciocco e un imbecille.

Nina                              - (confusa, sorride tristemente, e cerca di asciugare col dorso della mano le tracce di lacrime dal viso) Lei è molto... molto buono! (Esce. Pausa)

Petrov                           - (riprende a misurare la stanza a grandi passi) Anche i suoi occhi sono stupendi... Imbecille e sciocco. Io credo nei visi degli uomini. Un viso è la migliore rac­comandazione. È banale dire lo specchio dell'anima, ma non sono molte, a questo mondo, le cose giuste e vali­de, rese banali? Il professor Aglaev ha il viso da tenutario di una bisca elegante. E, probabilmente, ci sono anche dei bari con visi del genere. (Si rabbuia improvvisamente) Ma devo prepararmi... La riunione... (Quasi con un lamen­to) Ah, fango ovunque... Ma io non permetterò a mio figlio di coprirsi di fango. Non lo permetterò.

Gustja                           - Ma Kolka, sei in te?

Petrov                           - Cosa dici. Ussaro?

Gustja                           - Non sei un ragazzo per decidere di punto in bianco... Devono sposarsi! Uno-due! La faccenda più sem­plice del mondo. Lei ha diciannove anni, luì ne ha venti, lei è disposta ma lui non ne ha voglia. Una simile cate­na al collo a quella età! Il ragazzo comincerà a guardarsi attorno, liti, discordie: per la ragazza, una vita grigia, per lui un castigo di Dio. Non solo distruggi la vita di tuo figlio, ma anche di lei. Li spingi alla rovina, Kolka! Non ne verrà niente di buono.

Petrov                           - Ussaro, sembri sempre aggressiva come un diavolo, e sei invece una persona rara e sensibile.

Gustja                           - Se dici che sono sensibile, dammi ascolto, ca­ro! Hai fatto spreco di promesse, senza riflettere, e spingi la gente nei guai!

Petrov                           - Ma hai visto in che condizioni si trova la ragazza.

Gustja -                         - Ho visto, caro! Ho visto tutto. E sarei anche disposta a pestarlo a sangue, quella canaglia! Non mi sembra però il caso di toglierlo da un guaio per cacciarlo in uno peggiore.. Tu vuoi rovinare non una ma due vite. Non mi sono spiegata abbastanza? Devo ricominciare da capo, testardo? Hai bisogno di un ritornello tu, "C'era una volta un re che disse alla sua serva..."

Petrov                           - Non si deve farli soffrire tutt'e due?! Allora soffra lei sola. Scarichiamo tranquillamente tutto su di lei. Per noi è cosi semplice! Dai, Gustja, addosso a lei! Il nostro signorino creda pure che le mascalzonate possono rimanere impunite...

Gustja                           - Puniscilo! Fagli capire la ragione, inventa qualcosa, ma non gli mettere la catena... Non gettare tuo figlio nelle braccia della ragazza e non trascinare lei... in un inganno...

Petrov                           - Un inganno?... È sufficiente che l'abbia ingan­nata mio figlio.

Gustja                           - Certo... un inganno. Te lo dico fin d'ora... un inganno crudele!

Petrov                           - Ma come?

Gustja                           - E poi il tuo Jarik non è una ricotta, è tuo figlio, va bene, ma non è il tuo schiavo. Se non vuole non lo puoi costringere! Prometti alla ragazza: deve, è obbligato, lo convincerò... e poi allargherai le braccia-Scusa tanto, cara! Dio mi è testimone volevo... ma non mi è riuscito... Un inganno Kolka... un inganno... (Pausa)

Petrov                           - (misura la stanza a lunghi passi) Non è dav­vero accogliente, qui! Eh, le pulizie!... (Pausa)

Gustja                           - (piano, con tristezza) Cerchi sempre di ingan­nare te stesso... e poi toccano a te tutti i guai...

Petrov                           - (sussulta alle sue parole) No, no! Basta con la menzogna! (In piedi in mezzo alla stanza deciso e so­lenne) Non la permetterò.

Gustja                           - Davvero?

Petrov                           - Basta...! Se Jarik si rifiuterà, se la respinge­rà, la prenderò in casa con me, questa ragazza! Si... si!... La prenderò con me! Farò crescere mio nipote.

Gustja                           - Rientra in te! È una ragazza giovane, vuoi farne una vedova in erba? Bella felicità per lei!

Petrov                           - Si cerchi un uomo degno e io non la tratter­rò... ma sarà sempre per me una della famiglia, se lei vorrà...

Gustja                           - E Jarik, via...

Petrov                           - Decida lui.

 

Gustja                           - Mettersi la catena al collo o fuori dai piedi.

Petrov                           - Comportarsi da mascalzone o da persona one­sta, scelga... Hai ragione, non è uno schiavo. È assoluta­mente libero. (Pausa. Passeggiando) Che terribile disordi­ne... come non è accogliente...

Gustja                           - (si alza e gli si pianta davanti) Non lo farai! Non te lo permetterò! Pensi che Jarik sia solo tuo?... L'hai portato in braccio quanto me?... L'hai nutrito tu?... Io l'ho tenuto nella bambagia... Gli ho soffiato addosso... Non sei stato tu il primo a vederlo sorridere e muovere i primi passi. Ero io a reggerlo, con queste mani... Io! Io! Non tu!... Non cacciarlo via... Mi sdraierò sulla soglia e non lo lascerò passare. Dicano quello che vogliono di me: vile, sconsiderata, cattiva... Sopporterò ogni cosa... E tutto per una ragazza... Non accetterò questo baratto... È mio! Mio!...

Petrov                           - Ascolta, Ussaro...

Gustja                           - (continua a gridare senza dargli ascolto) Pen­si che non mi dolga per lei?... Mi duole, invece. Anche a me sanguina il cuore... Ma se la scelta dev'essere cosi netta - lei o Jarik - allora me ne infischio di tutto... Non farla entrare in questa casa! Non rispondo di me... la tormenterò fino alla fine.

Petrov                           - Ascolta, Ussaro...

Gustja                           - Non voglio ascoltare niente!... Non me lo to­glierai!... È mio! È mio!... Ce ne saranno poche di squinze a questo mondo... Sono cattiva... Una strega, ma non lolascerò... È l'unica persona cara che ho. L'ultima mia gioia. Del resto non ho mai avuto altre gioie... Già, tu sei buono, guardati dentro, prima di maledire tuo figlio.

Petrov                           - Non sono buono? Adesso chiunque ha il diritto di accanirsi contro di me. Anche tu! Non sono buono! (Grida) Vorrei che buono fosse mio figlio, non voglio ve­derlo macchiato. Io non ho vissuto abbastanza degna­mente la mia vita e so cosa significhi. Non permetterò che mio figlio sia un lebbroso. Gli voglio bene. Gli voglio bene almeno quanto te. La viltà è contagiosa, e si molti­plica: ci si affonda senza accorgersene. E questo è peggio di una moglie che non si ama, peggio che cadere in di­sgrazia al padre. Glielo impedirò, sarò crudele, sarò in­flessibile. Non ostacolarmi Gustja, non metterti sulla mia strada. In nome di Jarik non ostacolarmi!... (Entra Jarik. Il padre tace. Gustja che durante il monologo del padre si era abbandonata su una sedia tiene le braccia abbando­ nate sulle ginocchia. Lunga pausa imbarazzante. Jarik si avvicina all'armadio scostato dal muro, si toglie la cravat­ ta e comincia a svestirsi. Il padre è in piedi immobile. Tutti evitano di guardarsi in faccia. Petrov guardando da una parte) Jarik, ho bisogno di parlarti.

Jarik                              - Posso fare una doccia?

Petrov                           - (severo) Siediti.

Jarik                              - (freddo) Posso fare una doccia? Sono sudato.

Petrov                           - No, devi sederti!

Jarik                              - Rispetto i tuoi ordini. Ma fuori ci sono trenta­due gradi...

Petrov                           - Jarik!

Jarik                              - (sfilandosi la camicia dalla testa) Si?

Petrov                           - La cosa riguarda te.

Jarik                              - Non lo metto in dubbio, ma permettimi prima di fare la doccia.

Petrov                           - Conosci una ragazza di nome Nina?

Jarik                              - Conosco tre Nine e ognuna di loro si considera ragazza.

Petrov                           - Sei un mascalzone, Jarik.

Jarik                              - Non voglio contraddirti, ma non mi riesce di essere d'accordo.

Petrov                           - Sei un mascalzone, dovresti saperlo... E ora puoi andare a prenderti la doccia.

Jarik                              - (mettendosi a sedere di fronte al padre) A que­sto punto mi sento costretto a chiederti spiegazioni più dettagliate.

Petrov                           - È tanto tempo che conosci Nina?... Nina Zabotina...

Jarik                              - Queste Nine ne hanno molti di vecchi conoscen­ti. Di che si tratta?

Petrov                           - (dopo una pausa) Tra pochi mesi diventerò nonno. (Jarik ha un sussulto) Ti stupisce?

Jarik                              - Non è vero.

Petrov                           - Sei sicuro? (Jarik tace) Arrossisci? Non hai ancora perso la facoltà di arrossire. È una bella cosa.

Jarik                              - Vuoi farmi la morale?

Petrov                           - Perché? Quando c'è già il vaiolo, la vaccina­zione non serve. Troppo tardi.

Jarik                              - Ah, è già un sollievo. Non c'è nulla che mi spa­venti di più di una predica noiosa.

Petrov                           - Un sollievo? Per te, allora, è un sollievo? (Dà un gran colpo sul tavolo) Mascalzone! Un sollievo... In­tanto c'è una persona che ha la vita rovinata! Un sollie­vo! E sorridi anche! Mascalzone!

Jarik                              - (ha uno scatto e si rivolge a Gustja) Gustja, la­sciaci soli. (Gustja non si muove. Resta seduta fissando cupamente nel vuoto) Lasciaci soli un momento.

Petrov                           - Si, Ussaro, per favore! È meglio. (Gustja si alza e si avvia lentamente all'uscita. Giunta alla porta si gira, vuole dire qualcosa, alza le spalle e scompare. Padre e figlio la seguono con lo sguardo, poi si girano l'uno ver­so l'altro) Allora, dammi una giustificazione!

Jarik                              - A te? No!

Petrov                           - Già! Io non ho diritto di giudicarti?

Jarik                              - No!

Petrov                           - Cos'hai?

Jarik                              - Non volevo parlare... Perché?... Non è compito mio educare mio padre...

Petrov                           - Ma ormai che hai cominciato...

Jarik                              - Hai cominciato tu. Tu mi hai dato del mascal­zone. Mi hai rinfacciato di aver rovinato una persona, di averle distrutto la vita. Tu! Ma quanto a persone rovinate e a vite distrutte non hai diritto di fiatare!

Petrov                           - (si avvicina al figlio, lo guarda a lungo in silen­zio e dice piano, addolorato) È una bassezza... Infie­risci su chi è già vinto.

Jarik                              - (con voce sorda) Se fossi un estraneo... Se fossi uno qualunque., forse potrei infischiarmene...

Petrov                           - Non hai diritto di giudicarmi. Non sai niente tu, Jarik. .

Jarik                              - So più di quanto pensi.

Petrov                           - Che cosa?... Dicerie di gente ignobile... Ce n'è tanta.

Jarik                              - Dicerie?... (Prende dalla tasca le fotografie) An­che queste sono dicerie?... Tieni. Ora non è necessario na­sconderle. (Petrov prende le fotografie, si lascia cadere sul­la sedia cambiando espressione del viso e le guarda molto lentamente. Posa le fotografie e si nasconde il viso fra le mani. È curvo, immobile. Lunga pausa. Si avvicina al pa­dre, piano) Papà... (Petrov tace, senza togliere le mani dal viso) Non volevo insultarti... Papà! (Petrov tace e resta immobile) Mi fai tanta pena. Non sei un estraneo. Non sopporti che io faccia del male. Mi dai del mascalzone... Com'è doloroso! Com'è doloroso!...

Petrov                           - (togliendosi le mani dal viso, tranquillo e con voce roca) Siediti.

Jarik                              - (si siede) Allora sono calunnie? Forse, anche queste foto sono un inganno? È successo di tutto. E ora sono pronto a credere a qualsiasi menzogna.

Petrov                           - No, non è un inganno.

Jarik                              - (brusco) Avresti fatto meglio a mentire. (Pausa)

Petrov                           - Ascolta... Tenterò di raccontarti tutto e di spie­garlo anche a me stesso. Non l'ho mai raccontato a nes­suno... Neppure io ci ho mai pensato con chiarezza... Ascolta... (Lunga pausa. Petrov è assorto) Hai degli amici?

Jarik                              - Si. Li conosci tutti.

Petrov                           - (con amarezza) Tutti... Significa che hai dei compagni, non degli amici.

Jarik                              - Ritieni che d'amici non se ne possa avere più d'uno?

Petrov                           - Si... Come la moglie, come la ragazza che ami veramente. Veramente... E vale anche di più, un amico... Molti vivono con le mogli senza amicizia, nella menzo­gna. Molti non hanno fiducia nelle ragazze che frequen­tano...

Jarik                              - Allusioni, invece della morale?

Petrov                           - L'amico è una cosa rara. L'amicizia maschile non si basa sull'affinità di caratteri. Ma su un impegno comune. Si, si... Quando due credono che il loro lavoro possa rovesciare il mondo. Nient'altro... (Pausa)

Jarik                              - Era cosi per te e lo zio Mitja?

Petrov                           - Si... (Pausa) Ci uni la passione per la nostra macchina. Tu lo immagini cos'è questa macchina per fare le strade?

Jarik                              - (serio) Fin da bambino l'ho immaginato.

 

Petrov                           - No. Non lo immagini. E come potresti? Per immaginare la nostra macchina bisogna conoscere la Rus­sia, aver percorso in lungo e in largo le sue strade... Ma ho visto i trattori, i potenti trattori capaci di attraversare le paludi, impantanarsi impotenti sulle nostre strade. Le macchine si invischiavano sulle strade come mosche sulla carta moschicida... Se vedrai una strada infangata da non poter sollevare i passi ricorda che è cosparsa d'oro. E la nostra macchina lavorava a un chilometro all'ora. Un chilometro all'ora. Velocità cosmica.

Jarik                              - È vero che il progetto della macchina era inte­ramente tuo? Lo zio Mitja ti ha aiutato solo in alcuni dettagli.

Petrov                           - No, non è vero. (Pausa)

Jarik                              - Ma tu lo dicevi.

Petrov                           - Mentivo...

Jarik                              - Bene. Mentivi all'istituto. Ma io ti ho sentito dire, qui, la stessa cosa.

Petrov                           - Già temevo...

Jarik                              - Me o Gustja?

Petrov                           - Temevo potesse trapelare che a casa dicevo una cosa e all'istituto un'altra.

Jarik                              - E mentivi! A me! La persona che ti è più vici­na. (Pausa)

Petrov                           - è difficile che tu possa capire...

Jarik                              - (scaldandosi) Capire! Capire! Capire! Sei co­stretto! Devi! Ma non puoi! Non sei abbastanza grande! Sei uno stupido! Basta! ! ! Pro-fes-sore! È sempre il tuo aspetto importante e la tua voce calma...

Petrov                           - Vuoi ascoltare tutto per ordine o devo smet­tere?

Jarik                              - D'accordo, ascolto. (Pausa. Jarik tace, Petrov pensa)

Petrov                           - L'aspetto importante, la voce calma... Dmitrij lo hanno preso in novembre, di notte, il 13... E il 12 tra noi vi era stata una discussione... Il progetto era quasi pronto, ma mancava una cosa molto importante... Dmitrij propose una soluzione originale... Ma... ci fu una discus­sione... (Pausa. Sospirando e guardandosi intorno) Ma co­me mi danno ai nervi queste pulizie. Tutto per aria, come dopo una perquisizione. E cosi poco accogliente... (Pausa) La mattina all'istituto mentre salivo le scale incontrai l'as­sistente Zinocka, una persona garbata e fiduciosa... Mi vide, incespicò, si agitò e tornò indietro di corsa... Capi­sci, indietro per non salutarmi. (Pausa) Ero l'amico inti­mo di un "nemico del popolo", forse di un agente di informazione straniera. L'amico intimo, le stesse idee-Tutti erano convinti che mi avrebbero tolto di mezzo. E anch'io ero convinto. (Pausa) Ricordi, la sera mi mostrasti il tuo primo aereo-modello.

Jarik                              - Ricordo. L'avevo portato con me dal palazzo dei pionieri. Sul filobus me lo tenevo sopra la testa per paura che me lo schiacciassero.

Petrov                           - E come me lo mostravi, ricordi?

Jarik                              - Ricordo. Mi davi qualche consiglio prezioso.

Petrov                           - E il campanello, in quel momento, lo ricordi?

Jarik                              - Il campanello? No, non ricordo... Era venuto qualcuno?

Petrov                           - Era venuta da Gustja a chiedere dei fiammi­feri la cameriera dei vicini... Questo suono non lo dimen­ticherò mai. (Pausa) Io continuavo ad andare all'istituto, tenevo le mie lezioni, stavo in laboratorio e il progetto era fermo. Un chilometro all'ora, velocità cosmica. In un giorno, in due turni, sedici chilometri di nuove strade. Per quasi due anni ho trascurato il progetto e in questo tempo, in due stagioni, la nostra macchina avrebbe potu­to asfaltare tanta strada quanta ce n'è da Mosca a Vladi­vostok. Il progetto era fermo. Una notte mi venne un'idea. Trovai la soluzione che non eravamo riusciti a trovare insieme. Senza falsa modestia una soluzione eccellente di cui sono fiero. Puoi credermi.

Jarik                              - Ti credo.

Petrov                           - Il progetto era fermo. Era stata portata a ter­mine ogni cosa perfettamente, ogni cosa, mancava solo una parola... indovini?

Jarik                              - Il nome dell'autore?

Petrov                           - Si, il nome di uno degli autori. Ma la macchi­na era necessaria. Il progetto era fermo e non c'era spe­ranza di smuoverlo finché questo nome, sette lettere, re­stava nell'intestazione. E io ero certo che Dmitrij si sarebbe infuriato se l'avesse saputo: il progetto era fermo a causa di sette lettere. Un chilometro all'ora velocità co­smica. Le macchine americane, in confronto, erano tarta­rughe in gara con cavalli arabi. Un chilometro all'ora... Tolsi il suo nome, lasciai solo il mio, mi impossessai del progetto. (Pausa)

Jarik                              - Continua...

Petrov                           - Poi, non fu come ora si insinua... Immagino quello che raccontano di me. Cosa raccontano?

Jarik                              - (con un nodo alla gola) Papà... Ora ti accusa­no... Ti accusano di aver denunciato zio Mitja.

Petrov                           - (lentamente con voce sorda) È una calunnia... Una calunnia infame!

Jarik                              - Ma tu sei intervenuto?... (Pausa) Sei interve­nuto?...

Petrov                           - (incerto) Si. (Pausa)

Jarik                              - Contro di lui? (Pausa) Sei intervenuto contro di lui?

Petrov                           - Non era possibile fare altrimenti.

Jarik                              - (con crescente paura) E tu sei stato un suo delatore?! (Pausa. Piano) Dunque, è vero?... (Pausa)

Petrov                           - (stanco) Ascolta il seguito... (Si fa assorto. Pau­sa) Ascolta, e capirai. Non intendo mentire... Basta con la menzogna, in cui ho sempre vissuto. (Pausa) Ormai sono finito... Alcuni erano dispiaciuti per me ma temevano di dimostrarlo; altri ritenevano che non fossi pericoloso, che non potessi nuocere...

Jarik                              - Nuocere?... A chi potevi nuocere? In che modo? (Pausa)

Petrov                           - Esiste, Jarik, un particolare genere di perso­ne... Gente che si trova molto a disagio fra gli altri. Capisci? Gente che vuole essere grande, illustre, e non ha qualità per distinguersi. Probabilmente questa gente è mol­to infelice. Si, infelice... Vive nell'eterna paura che un altro gli tagli la strada, che un altro arrivi prima... Jarik, io non sono mai stato cosi. (Pausa) Questa gente la temo... È sempre pronta a dare battaglia. È impietosa... Non era­vamo i soli, io e Dmitrij a pensare alla macchina. L'idea era nell'aria. Io ho alzato la testa, ho presentato il pro­getto sepolto, ho tagliato la strada a qualcuno, e cosi han­no iniziato la loro battaglia. Jarik, mi è toccato lottare, vincere o soccombere insieme al progetto sul quale io e Dmitrij abbiamo passato gli anni migliori della nostra vita. (Pausa. Petrov riflette. Jarik lo guarda con ansia)

Jarik                              - Allora?

Petrov                           - Questa gente non ha né onore né coscienza. Ti prende sempre di mira nel punto più delicato. E ha colpito nella nostra amicizia.

Jarik                              - Possibile che ce ne fosse tanta di gente cosi, all'istituto?...

Petrov                           - Tanta?... No. Solo uno si è levato contro di me. Uno col suo seguito e ha mirato nel vivo. Mi hanno rinfacciato l'amicizia con uno accusato di tradimento, con un nemico, un agente. Difendermi significava espormi al tiro diretto.. E chi aveva voglia di sostenermi...

Jarik                              - Come chi? E la macchina?... Tutti gli altri sa­pevano come era importante...

Petrov                           - Lo sapevano...

Jarik                              - Vigliacchi!

Petrov                           - Non gli faccio una colpa.

Jarik                              - Perché sei come loro!

Petrov                           - Se fossero intervenuti in mio favore invece di giovare avrebbero nociuto. Non hai conosciuto quei tempi, eri troppo piccolo. Un'opposizione collettiva, che sorgesse in difesa di un elemento nemico, l'unirsi in gruppo era un grave rischio.

Jarik                              - E hai cominciato a lottare da solo?

Petrov                           - Si.

Jarik                              - Come?

Petrov                           - Bisognava non lasciarti colpire nel vivo.

Jarik                              - Cioè ripudiare lo zio Mitja?

Petrov                           - (cupo) Dovevo vincere. Per il progetto, per il nostro grande lavoro, mio e di Dmitrij. Mi consideravo il suo rappresentante a pieni poteri.

Jarik                              - Per tradirlo?...

Petrov                           - Sono intervenuto contro di lui.

Jarik                              - In che modo? (Pausa) In che modo?... Voglio saperlo! Voglio saperlo!    - (Pausa) Perché taci?

Petrov                           - Ti ho detto abbastanza. Continuare a interro­garmi è una crudeltà.

 

Jarik                              - Dunque non vuoi essere sincero fino in fondo. Dunque nascondi qualcosa.

Petrov                           - Come sei giovane, come sei stupido, non ti rendi conto che sei crudele, crudele fino al sadismo... Ti prego, non farmi più domande.

Jarik                              - Non potrò vivere dopo il tuo silenzio. Non farò che pensare. È meglio dire tutto altrimenti mi verranno pensieri terribili.

Petrov                           - È difficile immaginare di peggio. Jarik       - (sbalordito) Fino a questo punto! (Pausa) E puoi tenerlo nascosto a tutti?

Petrov                           - Tutti sanno. Non c'è più niente da nascondere. Io sono intervenuto contro di lui più di una volta. In questi lunghi cinque anni ci sono state una quantità di riunioni, quasi ogni volta ho dovuto fare delle dichiara­zioni contro di lui. Si, si. Con accanimento. Se vuoi, ascol­ta. Ho detto che Dmitrji era un intrigante, che non ha dato nessun contributo al progetto, che mi nuoceva. Dice­vo mostruose idiozie. Cose barbare e assurde. Ho comin­ciato con poco ma hanno preteso molto da me. Mi hanno portato all'esasperazione, aspettavano. Io scoppiavo, non ce la facevo più. Non potevo fermarmi, non potevo. Ogni volta aumentavo le calunnie. Una volta fui preso dalla paura. Insultavo Dmitrji, lo calunniavo e avevo le sue lettere, le fotografie in cui comparivamo insieme. E se le avessero trovate?... Ho distrutto le lettere e ho tagliato la sua immagine da tutte le fotografie. Volevo vincere la mia battaglia! Volevo che la nostra macchina vivesse e lavorasse... Poiché l'hai preteso ti ho detto tutto... (Pausa)

Jarik                              - Non riesco... Non riesco a capirti!

Petrov                           - Non l'ho fatto per vile egoismo. Volevo che la nostra macchina vivesse.

Jarik                              - Non riesco... (Pausa) Scusa... Io vado... (Si alza, si dirige lentamente verso la porta affranto, curvo)

Petrov                           - Aspetta... (Jarik si ferma e alza sul padre uno sguardo spento e cupo) Non è finito.

Jarik                              - Non è finito! C'è ancora qualcosa!

Petrov                           - Devi sapere tutto. E poi... deciderai.

Jarik                              - (con tono di supplica) Non riesco...

Petrov                           - Siedi. (Lunga pausa. Petrov è assorto; Jarik aspetta) Cinque anni è durata la guerra. Nessuno...

Jarik                              - Capisco...

Petrov                           - È poco probabile che torni.

Jarik                              - In questo tempo ti hanno affidato il laboratorio, sei diventato una personalità di primo piano all'istituto.

Petrov                           - Non tanto importante quanto il mio rivale.

Jarik                              - Chi è?

Petrov                           - (senza prestargli ascolto) Non tanto importan­te... Ora sono cambiati i tempi e anche lui è cambiato. "Oh, infinita varietà di mutamenti di un viso gentile..."

Jarik                              - Come il tuo del resto. Non te la prendere... Hai un viso gentile.

Petrov                           - Sei generoso, figlio mio.

Jarik                              - Proprio tu parli di generosità!

Petrov                           - Tu vorresti lo scandalo! Lo scandalo non ser­virà a nulla! Il nostro progetto è di gran lunga il migliore. Non solo il migliore, ma di gran lunga! E lui se n'era reso conto... Non paragonarmi a lui...

Jarik                              - Chi è?

Petrov                           - Non gli sfugge niente, può valersi di tutto. Ora si serve delle voci sulla riabilitazione di Dmitrji... Ri­tengono che io l'abbia quasi cacciato nella fossa... Prodi­giosi mutamenti... Ha dimenticato quello che aveva detto lui contro Dmitrji, ma ricorda molto bene le cose che ho detto io. Ha sollevato una campagna contro di me.

Jarik                              - Chi è?

Petrov                           - Tre giorni fa sedeva a questa tavola, accanto a te, nostro ospite.

Jarik                              - Chi, Gàloékin?

Petrov                           - Il docente Gàlockin.

Jarik                              - Possibile! Quel pagliaccio, quell'essere striscian­te, quel grazioso bellimbusto, lui, il tuo avversario?

Petrov                           - No, lui è uno dei galoppini, è un piccolo inter­mediario.

Jarik                              - È Aglaev?

Petrov                           - Si, Aglaev col suo gruppo di costruttori.

Jarik                              - Prima di metterti a tavola con quel grazioso Gàlockin eri rimasto a lungo nel tuo studio con un'aria preoccupata.

Petrov                           - Mi proponevano di arrendermi alla grazia del vincitore, di alzare bandiera bianca...

Jarik                              - Come?

Petrov                           - Riconoscere il loro progetto, e ritirare il mio. In una parola uscire di scena.

Jarik                              - A questo punto?

Petrov                           - In questo modo riavrei una verginità.

Jarik                              - E dopo una cosa simile il grazioso Gàlockin è rimasto al nostro tavolo ancora un'ora a scoprire i denti e a raccontare aneddoti. E tu, non l'hai gettato dalle sca­le. Tu, gli sorridevi?

Petrov                           - Cosa potevo fare?... È un pezzo che sorrido quando ho voglia di mordere. Che fare?...

Jarik                              - Avrai alzato bandiera bianca... (Pausa)

Petrov                           - No. Dopo tutto quello che è successo... No!

Jarik                              - Ma il tuo progetto si affermerà? (Pausa)

Petrov                           - (fra sé) Mi coprano di calunnie, mi caccino dall'istituto... Non alzerò bandiera bianca. Mi trascineran­no nel fango... Hanno il coltello per il manico.

Jarik                              - Ma ora la ragione è dalla tua parte.

Petrov                           - È sempre stata dalla mia parte, altrimenti perché mi sarei comportato cosi?... È la mia maledizione! Ero per la verità e mi è toccato mentire. È la mia male­dizione! È cosi facile schiacciarmi. E con me, schiacciare la verità.

Jarik                              - Ma la verità finisce sempre col venire a galla.

Petrov                           - Come un annegato. Troppo tardi. (Pausa) È facile capitare su un terreno melmoso, ma è difficile tirar­sene fuori. Capisci, Jarik? Una vigliaccheria ne genera un'altra. È la mia maledizione! Dovevo agire diversamen­te. Come? Non lo so, ma in modo diverso, senza conces­sioni. Una trappola... È l'eredità che ti lascio. Si, un'ama­ra, una spaventosa eredità, ma non posso darti altro, Ja­rik. Tu devi servirtene. Jarik, gettare nella disperazione una ragazza, è una vigliaccheria. Hai vent'anni, solo ven-t'anni. E io ho bisogno di credere che davanti a me non c'è soltanto buio, che il futuro non è senza speranza. Il mio futuro sei tu. Tu devi vivere in modo diverso! Non togliermi questa fiducia, Jarik. Mi senti? Non togliermi l'ultima speranza! (Jarik si alza, gira lentamente intorno al tavolo e torna a sedersi al suo posto. Abbassa la testa sempre di più) Non voglio costringerti. Ho fiducia in te, più di quanto ne abbia in me stesso... Jarik, cosa hai? (Jarik piange) Perché?... Non devi... (Jarik non risponde) Tu sei solo all'inizio e tutto può aggiustarsi... (Jarik pian­ge. Pausa. Guardando nel vuoto) Ricordo che a cinque, a dieci anni amavi ripetere: "Quando sarò grande..." Sarò... Il futuro, quello che ci sta davanti, le cose felici... E gli adulti restano bambini... Prima dicevano: "Andrò in cielo, in paradiso, dove c'è la beatitudine". Ora il paradiso l'han­no spostato sulla terra. Non sulla terra di oggi, ma su quella del futuro... Vorrei davvero che dopo di noi si vi­vesse meglio. Dopo di noi il cielo pulito. Come ho bisogno di credere che sarà cosi. Anche se non mi sarà dato di vederlo... E costruiranno le strade... Faranno presto a co­struirle, un chilometro all'ora, ora sembra incredibile... Il cielo pulito... È strano, mi perdo in chiacchiere. Tante chiacchiere e non posso piangere. Forse in questi anni non ho pianto neanche una volta. È strano, mi sono abituato alle avversità... Mi piace sognare di strade, di belle strade, mi piace dimenticare quello che è successo oggi... E non posso piangere... (Pausa. Jarik è chino sul tavolo, Pe­trov cammina su e giù per la stanza in silenzio, entra Gustja a sistemare le seggiole)

Gustja                           - (a Jarik) Cos'hai? (Jarik tace. A Petrov) Cosa sei andato a raccontargli?

Petrov                           - Niente, Ussaro, niente... Lascia perdere.

Gustja                           - Sempre lascia perdere... lascia perdere... Si tormentano uno con l'altro, lascia perdere... Tanto è lui che piange! Tu non cacci una lacrima.

Petrov                           - (guarda dalla finestra) Io non posso piangere... E sono un terribile chiacchierone. Parlo, parlo, voglio giu­stificarmi...

Gustja                           - Si tormentano uno con l'altro... Oh gente! Non c'è pace. (Si avvicina a Jarik che piange, gli circonda le spalle, gli si siede accanto e gli accarezza i capelli)

Petrov                           - (va avanti e indietro, sussulta, guarda l'orologio) È ora... E Aglaev ha la faccia del baro... (Si guarda in­torno come un cane braccato) È poco accogliente, qui, oggi. Com'è tutto in disordine!... (Si dirige alla porta. L'orologio alla parete fa un ronzio e batte una volta)

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa stanza. Ogni cosa è al suo posto, solo alcuni particolari - il tappeto da terra arrotolato, una pila di libri sulla poltrona, un paletot invernale col collo di astra­kan buttato sulla spalliera di una sedia - sono ancora in disordine. Gustja stringendo fra le braccia il cuscino del divano e il fucile con un'aria di estrema meraviglia e di smarrimento entra in scena camminando all'indietro. Sul­la porta si muove un uomo con un vago imbarazzo, con un sorriso incerto. Indossa un abito di brutto taglio con larghi calzoni, il nodo della cravatta è troppo largo, fuori moda. Le scarpe gialle, quasi color canarino. Nell'insieme ha un'aria provinciale da modesto impiegato. Il fucile e il cuscino cadono dalle mani di Gustja, lo sconosciuto li raccoglie, posa il cuscino sul divano, appoggia il fucile contro la parete. Sempre con lo stesso sorriso imbarazzato guarda Gustja impietrita. Gustja fa un passo avanti, si abbracciano; separandosi si guardano con stupore.

Gustja                           - Tu, vivo? Mitka...

Zio Mitja                       - (ride) No, è solo il mio spirito!

Gustja                           - (con esclamazioni piagnucolose tipiche delle don­ne di campagna) Figlio mio benedetto! Pena mia! Croce mia!... Sei un po' invecchiato, capirai, quanti anni sono passati.

Zio Mitja                       - (ride) Tu invece non sei cambiata neanche nell'abito, mi sembra... Ricordi?... (Canterella sotto voce) "Nessuno fa motto davanti all'Ussaro. L'Ussaro non mi la­scia varcare la soglia..."

Gustja                           - Signore! Cattivaccio mio! Come vuoi che non ricordi! Vuoi qualcosa da mangiare Mitenka? Una tazza di tè, dopo il lungo viaggio.

Zio Mitja                       - (mettendosi a sedere) Familiare, feroce ri­chiamo, mangiare! (Si guarda intorno) Una casa diversa, un altro arredamento, il televisore, l'armadio, le poltro­ne... Il fucile invece è un vecchio inutile amico. Il fucile con cui non è mai stato tirato un colpo... (L'orologio fa un ronzio e comincia a battere. Assorto) Non sia l'orolo­gio a indicare il tempo, ma il tempo a muovere onesta­mente l'orologio... Più di undici anni... Loro sono passati e io sono rimasto fermo.

Gustja                           - Non fai che scherzare, giochi alla maniera del vecchio Mitenka. Non farti coraggio, non farti coraggio, ti vedo dentro, è stato duro.

Zìo Mitja                       - Ho superato le difficoltà.

Gustja                           - Oh, non farti coraggio! (Lo osserva dalla testa ai piedi) E sei vestito pulito, non di vecchie cose rattop­pate.

Zio Mitja                       - E perché? Perché un ingegnere minerario dovrebbe andare vestito di vecchie cose rattoppate?

Gustja                           - Ma come, hai una qualifica?

Zìo Mitja                       - Da un pezzo sono libero, riabilitato, reinte­grato nel partito.

Gustja                           - Ma qui correva voce che non fossi più tra i vivi. Libero da un pezzo, non hai neanche mandato no­tizie.

Zio Mitja                       - Quando stavo dietro il filo spinato ho scrit­to approfittando di qualche occasione. Non ho ricevuto risposta. Una volta mi tornò indietro una lettera: Trasfe­rito.

Gustja                           - Già, abbiamo cambiato casa.

Zio Mitja                       - Poi ho smesso di scrivere. Volevo incon­trarlo. Sapere tutto a viva voce.

Gustja                           - Sapere? Ti sono arrivate delle voci?

Zio Mitja                       - (elusivo) Il mondo è pieno di voci, ma non si deve credere a tutte. Tre volte hanno rimandato la mia licenza. Ora me l'hanno concessa. Sediamo Ussaro. Racconta, come ve la passate?

Gustja                           - Bene.

Zio Mitja                       - (col tono di Gustja) Oh non farti corag­gio! Non farti coraggio!... (Pausa)

Gustja                           - Andrò a preparare la tavola.

Zìo Mitja                       - Resta. C'è tempo. (Pausa)

Gustja                           - (evitando di guardarlo) Mitja...

Zio Mitja                       - Cosa c'è, Ussaro?

Gustja                           - Lo sai che sono contenta di vederti?

Zìo Mitja                       - Lo so.

Gustja                           - E sai che ti voglio bene, cattivaccio!

Zio Mitja                       - So anche questo.

Gustja                           - Nel mio letto non ho cessato di piangere per te una sola notte.

Zio Mitja                       - Ti credo Ussaro! Ti credo!

Gustja                           - E sai che preghiera rivolgo ora a Dio davanti a te?

Zio Mitja                       - Che mi venga appetito.

Gustja                           - Non scherzare... Prego che tu ti alzi, finché non c'è nessuno e te ne vada con la benedizione di Dio. (Pausa. Piano) Va' via Mitja! Croce mia, è necessario!

Zìo Mitja                       - Gioca a carte scoperte, Ussaro!

Gustja                           - Hai detto, per scherzo. Non sono io, ma il mio spirito... ed è vero... È come se tu fossi stato inghiot­tito dalla terra, ma il tuo spirito è rimasto. Uno spirito cattivo, Mitja, malvagio. Non ha fatto che perseguitarci, senza speranza. Signore, Signore! Concedi un po' di se­renità a Kolka. Basta, Signore! Cosi è troppo! La gente ci guarda come lupi, non c'è pace in famiglia. Hai esage­rato, Signore!

Zio Mitja                       - Gustja, lascia che lo spirito cattivo diventi un uomo buono.

Gustja                           - Non hai potere sugli spiriti, ormai...

Zìo Mitja                       - Lo cacceremo insieme, da un pezzo biso­gnava farlo...

Gustja                           - So mio caro, so che non sei venuto col coltello nascosto nella tasca...

Zio Mitja                       - Niente occhio per occhio... vuoi dire?

Gustja                           - So tutto, ma è meglio per te andartene. Tu metti paglia sul fuoco. C'è già abbastanza fumo e cenere anche senza di te, soffochiamo. Meglio che tu te ne vada.

Zio Mitja                       - Non chiudere gli occhi quando cade una pietra. Non diventa più morbida.

Gustja                           - La tua presenza non porterà nulla di buono. Lo sente il mio cuore. Jarik ti vedrà...

Zìo Mitja                       - Chi?

Gustja                           - Si, Jarik. Non lo ricordi? È in discordia con suo padre e tutto a causa del tuo spirito.

Zio Mitja                       - Jarik? Il ragazzino?

Gustja                           - Era un ragazzino ma si è buttato fuori. È più alto di te di mezza testa. Fa l'università.

Zio Mitja                       - Davvero?! "Salute, giovane stirpe scono­sciuta!" Io non vado via di qui, devo vedere Nikolaj, devo parlare con lui, devo sapere. Ho aspettato undici anni. Non osare scacciarmi.

Gustja                           - Come vuoi, come vuoi. Non posso trascinarti per il bavero.

Zio Mitja                       - E ci sarà un'altra musica, non una musica funebre. Parliamo un po', magari di Jarik. È più alto di me di mezza testa? Non ci credo.

Gustja                           - È una bellezza, lo guardi, quel dannato, e ti senti sciogliere. Senti Mitja, non ho mai avuto paura di nessuno nella mia vita, ma di lui ho paura.

Zio Mitja                       - In che modo?

Gustja                           - Te e Kolka, col mio cervello incolto, non sem­pre vi capivo, col cervello no, ma con la mia anima vi ho sempre visti con chiarezza. Ma l'anima di Jarik è chiusa per me come col chiavistello. È cattivo o è buono? E se fai tanto di indovinare ti entra il gelo fin nelle ossa.

Zio Mitja                       - Già, la gioventù... Chissà quanto tempo è passato da quando si diceva la stessa cosa di me. Il tem­po è volato e non me ne sono accorto. Anch'io Ussaro, an­ch'io davanti a un giovane di oggi mi arrendo, anch'io non riesco a coglierne il fondo.

Gustja                           - Non fa meraviglia.

Zio Mitja                       - Eterna incomprensione! Fin dall'impero di Goróch i vecchi si lamentano dei giovani: è la fine del mondo, dicono... Ma il mondo c'è sempre.

Gustja                           - Cosa succedesse nell'impero di Goróch, il Si­gnore lo benedica, non so, non c'ero. Ma lui, quel poppan­te, sembra non veda il dolore e guarda le cose come per assaggiarle, come per annusarle.

Zio Mitja                       - Ecco, eterna incomprensione... Qualche tem­po fa vennero alla miniera, da Mosca, due giovani appena usciti dall'università, bravi ragazzi, niente da dire. Hanno saputo della mia sorte e cosa pensi, che se ne siano di­spiaciuti?

Gustja                           - Aspettati qualche cosa da loro!

Zio Mitja                       - Si sono indignati! E con chi? Con me.

Gustja                           - La gente ha incominciato a nascere con una pietra al posto del cuore.

 Zio Mitja                      - Una pietra? Oh no, il cuore ce l'hanno! Gli dicono "non denigrate la nostra realtà" e loro: "No­stra? No, non è la nostra realtà, ma la vostra. Con noi questo non si ripeterà".

Gustja                           - Lo volesse Dio.

Zio Mitja                       - Lo volesse Dio... E anche loro sperano in Dio.

Gustja                           - Loro? In Dio? La gioventù d'oggi?

Zio Mitja                       - In Dio, nella cibernetica. Non si ripeterà. Per loro, s'intende, è chiaro, non ci sono dubbi. Ma la vita, Gustja, quella grande vita che chiamano storia, ha l'abitudine di ripetersi, anche se con qualche variante, an­che se in abiti diversi, in nylon invece che in tela, con le bombe atomiche invece che con la spada. Ma si ripete, diavolo! Odiosa abitudine, che annienta la dignità del­l'uomo. La vita sembra sogghignare, non mi hai domi­nato, non mi hai imbrigliato, non sei abbastanza potente, uomo. Io sarei disposto a inchinarmi fino a terra davanti a questi giovani e bravi ragazzi...

Gustja                           - Fallo. Sono fieri, amano l'adulazione.

Zìo Mitja                       - Sarei disposto a inchinarmi se sapessero il segreto per evitare il ripetersi delle cose. Se lo sapessero, ma non lo sanno. No-o. Ne hanno solo il desiderio, nien-t'altro, ma di desiderio ne ho d'avanzo anch'io. Loro sono più ignoranti di me. Sono indifesi! Gridano: "Tutto quel­lo che è avvenuto prima di noi, è da cancellare! Non ci crediamo! Non vogliamo saperne!" L'eterno impulso alla giustizia e nessun insegnamento dai nostri errori... Mi so­no messo a filosofare, Gustja, scusami.

Gustja                           - Ci sono abituata. Il mio Kolka si lagna spes­so come te.

Zìo Mitja                       - (mettendosi a ridere) Si lagna? Mm... Ha l'aria di un lamento? Può darsi... (Suonano alla porta)

Gustja                           - (si alza) Deve essere Jarik che torna. Il lupo delle favole. (Va ad aprire)

Zìo Mitja                       - (solo, guardandosi in giro) Tappeti... non ce n'erano... È sparito lo spirito austero di un tempo... È sparito, ed è comparso il mio... (Prende un libro e lo guarda) "Calandra a vapore Schwarzkopf". (Rientra Gustja insieme a Nina)

Gustja                           - (a Nina) Che fretta hai avuto, piccolina mia? Ti avevano pregato di venire più tardi.

Nina                              - Ho bisogno di vedere Jarik. Ho bisogno, subito. Prima che arrivi suo padre.

Gustja                           - Quell'aria da santarellina, ma... sa quel che vuole... Ad aver troppa fretta si rischia di rimetterci.

Nina                              - (afflitta) Perché mi offende? Non ho intenzione di guadagnarci niente.

Gustja                           - (confusa) Ma va...!

Nina                              - Pensa che mi sia facile venire qui?

Zio Mitja                       - Offendi, Gustja? Cosa sento! Tu, capace di offendere qualcuno?

Gustja                           - (alza le spalle) Qui gira tutto come una ruota e senza volere finisci col mostrare denti da lupo.

Nina                              - Adesso comunque mi comporti, penseranno tutti male di me.

Zio Mitja                       - Mia cara, non le creda, lei non ha denti da lupo. È una cara, vecchia elefantessa. Ha un aspetto pauroso, ma non sopporta neanche l'odore del sangue. È un'amica di Jarik, vero?

Nina                              - (piano) Amica?... No, non mi è riuscito... Ho bisogno di vederlo, solo di vederlo e di dirgli due parole. Non voglio altro...

Gustja                           - Te lo darei, ma non c'è... Mica l'ho nascosto sotto la gonna.

Zio Mitja                       - Si segga. Cercheremo di star calmi. Jarik, è probabile che torni presto. Anch'io vorrei vederlo un momento. (Nina si siede e tace)

Gustja                           - (a zio Mitja) Già che ti sei fermato ti infor­merò di tutto. E un carosello la nostra casa, Mitja, un ca­rosello. Questa ragazza, a esser sinceri, Jarik l'ha offesa.

Nina                              - Non mi ha offeso Jarik, non ho mai detto questo.

Gustja                           - E allora perché sei venuta? Mica per parlare del tempo e della pioggerellina di ieri?

Nina                              - Sono venuta a dire che lei ha ragione.

Gustja                           - In che senso?

Nina                              - Quando sono uscita di qui, ho pensato a ciò che aveva detto... Non sono venuta per lamentarmi...

Gustja                           - Anche se ti lamenti non è poi un gran pec­cato.

 35

 Nina                             - Non sono venuta per lamentarmi!... Perché?... Perché mai la gente cerca il colpevole come se fosse la cosa più importante, come se servisse trovare il colpevole per sistemare tutto? E perché mi guardano di traverso, sono io la colpevole? E di che? Me lo spieghi!

Gustja                           - Dio ti benedica! Non faccio una colpa a te. Cosa dici!

Nina                              - Dunque, la colpa è di Jarik?

Gustja                           - Questo non glielo manderò a dire. Be' non servirà a cancellare la disgrazia, ma il naso glielo cacce­rò dentro.

Nina                              - Ma neanche lui è colpevole! E non si provi a fargli una colpa. È accaduto cosi. Solo a una cosa non posso credere: è stato un caso? Vorrei che me lo dicesse lui. Lui non mente, è franco. Se è stato un caso... Non mi serve l'amore per forza. L'ho capito; lei, aveva ragione.

Gustja                           - Chi lo sa se avevo ragione. Certo è che l'orsa ha una gran pena per il suo orsacchiotto. Anche se è co­stretta a gettarsi contro il tridente per difenderlo. Ma ci sarà poi una gran giustizia, nel tridente?

Nina                              - Ma anch'io saprei difenderlo...

Gustja                           - Mia cara, allora aspetta che questo stupido apra gli occhi, aspetta, chissà che d'un tratto non capisca.

Nina                              - Non aspetto niente!... Ma no, ho detto una bugia... certo che aspetto... Ma allora, aspettare uno da una parte e una dall'altra? Si capisce, non cesserò mai d'aspettare. Ma io sono venuta per decidere prima che il papà di Jarik ritorni. Perché non lo spinga. Solo Jarik deve decidere. Solo lui... Mi basta vederlo. Per l'ultima volta, poi me ne andrò. E senza lamentarmi. Non mi la­menterò con nessuno, non c'è ragione... Me ne andrò. (Una pausa penosa. Zio Mitja ascolta in disparte)

Gustja                           - Ma adesso, vedi, non voglio che te ne vada.

Nina                              - Perché?

Gustja                           - Perché, amarezza mia, non si incontra ad ogni angolo di strada una come te. Questo, a quello stu­pido, non gli è passato neanche per la testa.

Nina                              - Si può incontrare di meglio. Gustja {a zio Mitja) Tu hai mai incontrato una ra­gazza cosi?

Zio Mitja                       - Si.

Gustja                           - E quando mai?

Zio Mitja                       - Due anni fa.

Gustja                           - Verso i cinquanta, quando ormai la vita se n'è andata?

Zio Mitja                       - (triste) Sono un po' in ritardo. Ho i ca­pelli bianchi e comincio adesso a vivere. Ho quaranta-sette anni, mia moglie ne ha trenta, mia figlia, uno. Certo, incontrarla a vent'anni sarebbe stato meglio...

Nina                              - Vorrei vederlo... (Con angoscia) È un mese che non lo vedo. Un mese.

Zio Mitja                       - Anch'io è un bel pezzo che non le vedo, un bel pezzo.

Gustja                           - Non sta più nella pelle. E poi?

Nina                              - Verrà presto? Dovrò aspettare ancora molto?

Gustja                           - Sta' quieta, cara, o stai tanto male con noi? Passare la vita, dicono, non è come attraversare un cam­po. Il campo, se è brutto tempo, non lo attraversi se non vuoi infangarti, ma la vita...

Zio Mitja                       - Sono convinto che non è poi cosi difficile passare attraverso la vita senza infangarsi.

Gustja                           - Io invece ho smesso di crederci.

Zio Mitja                       - Ti sei forse sporcata, tu?

Gustja                           - Chi lo sa?

Zio Mitja                       - E io? Non sono rimasto pulito?

Gustja                           - Non insuperbirti e considerala una fortuna.

Zio Mitja                       - Mm... Può darsi... Nessuno ci crederebbe: come nella vecchia storiella ebraica. C'è da ridere, ma ho avuto fortuna... Ancora non è chiaro cosa sia la fortuna. Considerarsi un uomo senza magagne, probabilmente è già una fortuna. (A Nina) Anche lei è di questo parere?

Nina                              - Non so. Non ci ho pensato.

Zio Mitja                       - Non ha mai pensato alla fortuna?

Nina                              - L'unica fortuna per me sarebbe di vivere accan­to a Jarik. E anche...

Zio Mitja                       - E anche?...

Nina                              - Mentre venivo qui pensavo a questa casa. Il padre di Jarik è molto buono, lei (indica Gustja col capo) anche è buona, e tanto buono sa essere pure Jarik! Vi­vere in mezzo a gente cosi... c'è niente di meglio?

 

Zio Mitja                       - S-si... (Si muove per la stanza) Vivere tra gente buona e essere buoni. Probabilmente è quello a cui, alla fin fine, tende la gente.

Nina                              - (piano) Ma Jarik dice che è un filisteismo bor­ghese.

Zio Mitja                       - Strano. Molto strano... (Va su e giù) Non è solo Jarik a paragonare la bontà, che è la base della condotta umana, al filisteismo borghese, che è egoismo, patologia sociale!

Nina                              - Non si tratterrà fuori?...

Gustja                           - Chi lo sa, piccolina. Aspettiamo.

Nina                              - Ho tanta voglia di vederlo!

Gustja                           - Verrà, tesoruccio, presto sarà qui... Parleremo un po' e chissà che a quello stupido non gli si aprano gli occhi. Forse Mitja, il tuo arrivo può essere propizio. Forse manderemo via lo spirito cattivo, forse verranno dei nipo­ti e io li curerò. Signore, Signore! Dà alla gente un po' di serenità. Non a me, non a me. Quando intorno a me la gente è felice, non mi occorre altro. (Entra Jarik, con guanti e occhiali da motociclista. Zio Mitja è il primo ad accorgersene)

Zio Mitja                       - Amen! L'apparizione del messia! (Jarik si ferma sbalordito, piantando gli occhi addosso allo zio Mi­tja, Nina balza in piedi e vorrebbe corrergli incontro ma si decide a non farlo) Vieni qui, giovane iddio! Avevamo un gran bisogno di te.

Jarik                              - Lei?

Zìo Mitja                       - Credo proprio di si.

Jarik                              - (si toglie i guanti e li butta su una sedia) Ed è tornato in questa casa?

Zio Mitja                       - Mi era vietato?

Jarik                              - Vorrei darle un consiglio...

Zio Mitja                       - Ti ascolto.

Jarik                              - Giri al largo da questa casa, giri al largo come da una baracca infetta, come se ci fosse la peste.

Zio Mitja                       - Perché? Tanta antipatia per me, qui? Non me n'ero accorto.

Jarik                              - Una volta, si. Ma ora non dubito che qualcuno striscerà sulla pancia per ottenere le sue grazie.

Zio Mitja                       - Chi? Chi mi aveva in antipatia e ora vuole ottenere le mie grazie? Tu?

Jarik                              - Io, no! A me fa piacere si e no di vederla.

Zio Mitja                       - Si e no, cioè ti è indifferente?

Jarik                              - (con un tono infantile) Zio Mitja, le cose ci vanno molto male! Molto! Lei ci deve coprire di di­sprezzo.

Zio Mitja                       - Di disprezzo? Con una ragazza cosi gra­ziosa in casa...

Jarik                              - (a Nina) Sei qui? Ti cercavo.

Nina                              - (spaventata) Me?

Jarik                              - Volevo parlarti...

Nina                              - Tu?... Di cosa, Jarik?

Jarik                              - Se l'avessi saputo... Ma adesso. Adesso la cosa non è tanto importante.

Nina                              - Jarik, cosa c'è di più importante?

Jarik                              - Ah, come sei perspicace! Lui è la cosa più im­portante. (Indica lo zio Mitja. Pausa)

Zio Mitja                       - Sei sicuro di non sbagliarti?

Jarik                              - No. Lei in casa nostra, è una bomba! Deve succedere qualcosa, qualcosa di spaventoso...

Zio Mitja                       - Tu mi metti paura, scappo davvero.

Jarik                              - Una catena di conseguenze.

Zio Mitja                       - È inutile prevenire le cose. Gustja   - (battendo sulla spalla di Nina) Non serve aver fretta, ragazza. Ora ci sono tutti. C'è tempo, parleremo ancora. È meglio lasciarli soli. Mitja schiarirà le idee a questo dromedario. Vieni con me.

Nina                              - (senza togliere gli occhi di dosso a Jarik, smarri­ta) Dove?

Gustja                           - In cucina. Abbiamo un ospite oggi. Bisogna preparare qualcosa. Mi aiuterai.

Nina                              - (con un sospiro di sollievo) Bene. (Segue Gu­stja) Un mese senza vederci e adesso mi cercava...

Gustja                           - Si aggiusterà tutto. Ora ne sono convinta... È una grande fortuna che sia capitato Mitja. Chissà, spe­riamo in Dio! (Gustja e Nina escono)

Jarik                              - Ci hanno offerto graziosamente la possibilità di restare a tu per tu.

Zio Mitja                       - Approfittiamone. Siediti.

Jarik                              - Una conversazione tra uomini?

 36

 

Zio Mitja                       - Vedremo se sei abbastanza maturo. Dun­que, perché devo evitare la vostra casa?

Jarik                              - Non tenda la mano a mio padre.

Zio Mitja                       - E a te?

Jarik                              - Cosa, a me?

Zio Mitja                       - Mi permetti di tenderla, a te?

Jarik                              - Se lo desidera. L'ombra di mio padre scivola anche su di me.

Zio Mitja                       - Capisco. Sei un ragazzo pulito. Tanto pu­lito che l'ombra di un altro può macchiarti.

Jarik                              - Be', non sono un santo, ma, se ho anch'io qual­che colpa, non va al di là del lecito, come si dice.

Zio Mitja                       - Del lecito? Ma questo lecito, l'hai stabili­to tu?

Jarik                              - Non solo io, la gente.

Zìo Mitja                       - Chi è questa gente che ha stabilito fin qui si può arrivare, più in là, no?

Jarik                              - Se non fosse per mio padre, non mi puntereb­bero il dito addosso, non mi rinfaccerebbero... Se non fosse per mio padre... È la sua vicinanza che mi fa sen­tire sporco.

Zio Mitja                       - Che bravo figlio e che indegno padre! Come mai ti ha messo in una simile situazione?

Jarik                              - Me?

Zìo Mitja                       - Si, si, proprio te.

Jarik                              - Perché mi ha fatto studiare con i suoi soldi, mi ha comperato i libri, la radio, la macchina fotografi­ca, la motocicletta...

Zio Mitja                       - Davvero mostruoso da parte di un padre!

Jarik                              - Ma i soldi puzzano. I soldi di mio padre puz­zano di marcio. Non per caso lei, l'hanno cacciato al freddo e mio padre è rimasto all'istituto, non per caso in questo tempo ha avuto la cattedra e dirige il labora­torio, un posto caldo e uno stipendio consistente!...

Zio Mitja                       - E ha anche osato comperarti una motoci­cletta con questo stipendio? Che indecenza!

Jarik                              - Ognuno adesso ha il diritto di segnarmi a dito: "Ecco il figlio di Petrov, quello là, ... eccolo, con la sua motocicletta rossa!" Ma io non potevo davvero sospettare a cosa dovevo...

Zio Mitja                       - La tua motocicletta rossa... Già, è duro da sopportare.

Jarik                              - Mio padre ha agito in maniera ignobile! Non sono parole, è un fatto. Agli occhi di tutti sono un paras­sita di mio padre, il suo complice, il suo alleato, la pera marcia dello stesso albero.

Zio Mitja                       - Dunque, anche tu, ora hai giudicato tuo padre e te ne tieni lontano?

Jarik                              - Non è tanto semplice.

Zio Mitja                       - Si capisce altrimenti dovresti andare in metrò... Toglierti quella giacca all'ultima moda, quella cravatta, quelle scarpe a punta. Mi rendo conto...

Jarik                              - Se sarà necessario mi toglierò tutta questa ro­ba di dosso.

Zio Mitja                       - Ma tu speri che non ce ne sarà bisogno. Maledicendo tuo padre, a malincuore, sopporti l'ingiusto disonore, le accuse, le calunnie. Sopporti tutto con la di­gnità di un uomo.

Jarik                              - Me ne andrò da casa. Pianterò tutto. Ho deciso.

Zìo Mitja                       - A questo punto? In che disagio ti ha messo tuo padre! Adesso capisco perché lo detesti tanto. Pian­tare tutto, anche la tua motocicletta rossa!

Jarik                              - Basta con l'ironia. La so fare anch'io. Si, dete­sto mio padre, ma non per me, per lei.

Zìo Mitja                       - Davvero? Allora mi sono sbagliato!

Jarik                              - Ha cancellato il suo nome dal progetto e se n'è appropriato.

Zio Mitja                       - Già... Tutto qui?

Jarik                              - L'ha rinnegato! Ha affermato pubblicamente che lei era un ingegnere incapace, privo di talento, che gli metteva i bastoni fra le ruote, ostacolandolo nel lavoro.

Zio Mitja                       - Già... Curioso...

Jarik                              - L'ha denunciato come nemico del popolo. E questa delazione l'ha fatta più di una volta, e non a caso. Molte volte. Per molti anni.

Zio Mitja                       - Mm... Curioso...

Jarik                              - Adesso è arrivato il momento. Lo considerano un delatore, un ladro, un usurpatore del lavoro altrui. Del suo lavoro. E proprio all'istituto dove per tanti anni ha prosperato.

 

Zio Mitja                       - Per questo ti sdegni tanto! Se non lo accu­sassero, scorrazzeresti con la coscienza tranquilla sulla tua motocicletta.

Jarik                              - Mio padre non mi ha messo al corrente delle sue imprese. Io non sapevo niente.

Zìo Mitja                       - Curioso...

Jarik                              - Non ci crede? Vuole ancora giustificare mio padre? Lo ammiri pure! (Si toglie dalla tasca un pacchet­to e lo mette sul tavolo)

Zio Mitja                       - Cos'è?

Jarik                              - Semplici fotografie di famiglia in una piccola versione artistica.

Zio Mitja                       - (le osserva. Il suo viso prima rabbuiato si ri­schiara a poco a poco) Dove le abbiamo fatte?... A si, nel giardinetto davanti all'istituto. Ricordo, ricordo... Que­sta a un pic-nic. Qui dovrebbe esserci tuo padre, e da questa parte, si vede anche di spalla, Saèenka Vasileva. Sasenka l'ha tagliata. Ah, mascalzone! Avevo più motivo io di stare con lei, molto più di tuo padre... La spiaggia di Jalta! Che tempi, sapessi! Che tempi splendidi. Abbia­mo lavorato anche a Jalta. Cominciava appena a prendere forma il progetto, eravamo ottimisti... Sai, tuo padre aveva una bella testa. A Jalta io "ero affascinato da lui come uno stupido. Naturalmente non lo davo a vedere... Che tempi! Guarda, guarda! Portavo il ciuffo, e fumavo la pipa... Allora ero convinto che solo il progresso tecnico rendesse felice l'umanità. Ma cantavo anche le canzonette di Isabella Jureva: "Sasenka, ricordi i nostri incontri".

Jarik                              - Vorrei farle notare che le fotografie sono state tagliate e che papà non risulta con lei. No, non c'era, non vi conoscevate neanche.

Zio Mitja                       - Si, sono state tagliate... Un vandalismo!... Queste stesse fotografie mi scomparvero durante la per­quisizione. (Triste) Una fatica inutile, tagliarle.

Jarik                              - Non la indigna? Mi permetta di stupirmi!

Zìo Mitja                       - Mi indigna, amico...

Jarik                              - E...

Zio Mitja                       - Tuttavia lo perdono.

Jarik                              - Come vuole il vangelo: se ti percuotono una guancia offri anche l'altra.

Zio Mitja                       - Io mi calavo nella miniera a tremila chilo­metri da qui, tu gli vivevi accanto ma eri troppo occu­pato con la tua motocicletta. A entrambi è facile giudi­care, ma è difficile capire perché sia accaduto. Il progetto era fermo e le macchine affondavano nel fango delle stra­de; e poi, gli sguardi infidi, e lo spirito cattivo... Tu credi negli spiriti?

Jarik                              - Evangelisti! Piccoli Cristi! Ho capito tutto! Adesso ho capito tutto! Troppo facile perdonare la viltà! Vi trascinavano nei lager e voi, i buoni, perdonavate. Vi costringevano con le armi puntate ad abbattere le foreste, e voi perdonavate. Vi mettevano al muro e voi morivate gridando: "Viva Stalin"! Perdonavate, vi rassegnavate, stringevate le mani ai vostri delatori. Voi non siete ancora morti, siete vivi, e con voi è viva ancora la rassegnazione. Una rassegnazione viscida, ignobile, senza principio! Vo­lete trascinarci indietro? Non ci riuscirete. Non ve lo permetteremo!

Zio Mitja                       - (alzandosi e dirigendosi verso Jarik) Senti­mi! Pensi davvero che voglia tornare indietro? Non cre­derai che possa dimenticare le baracche dietro il filo spi­nato, i numeri sulla schiena, il violinista girovago che ogni giorno piangeva vicino alla cucina... Che perdoni tut­to, e non condanni all'anatema!?

Jarik                              - All'anatema? Scusi ma non me n'ero accorto.

Zio Mitja                       - E non potevi accorgertene perché non sai togliere la schiuma per arrivare al fondo. Non ne hai l'abitudine. Resti alla superficie!

Jarik                              - Pensando molto, lei, che cosa ha ottenuto?

Zio Mitja                       - Sai chi mi ricordi adesso?

Jarik                              - Chi?

Zio Mitja                       - Il giudice istruttore che mi interrogava.

Jarik                              - Non mi sembra lusinghiero.

Zio Mitja                       - Non è lusinghiero, ma è cosi. Lo vali, ra­gazzo. Anche quel giudice mi buttò là, quando seppe che leggevo e mi spremevo sugli stenogrammi dei congressi del partito: "Pensavi, ma che risultati hai raggiunto?" Già, il risultato che ho raggiunto è di essermi trovato da­vanti a lui. Era un uomo sazio, con gli occhi rossi, rossi perché il vampiro è attivo solo di notte, dorme poco. E mentre guardavo quegli occhi rossi di animale, mi prende­va non paura, il che sarebbe stato un male da poco, ma indifferenza per me stesso e ripugnanza per tutto il mon­do. Per questo forse l'umanità si è alzata su due gambe, ha imparato a pensare, per apparire, nel secolo del cosmo e dell'energia nucleare, cosi strettamente imparentata a questa scimmia parlante, alla quale è preclusa la facoltà di penetrare, di riflettere? Capisci, priva del pensiero, pri­va di questa prerogativa!

Jarik                              - Non trovo nessuna analogia.

Zio Mitja                       - Ma chi gridava adesso come un gallo "non perdono"!? Gridavi senza rifletterci. Perdonare significa avere piena coscienza, significa capire, significa pensare. Pensare! E a te è precluso com'era precluso al giudice. Perfetta analogia. Rientra in te, ragazzo, non ti mette pau­ra questa analogia?

Jarik                              - Come osa parlarmi cosi! Noi non perdoniamo cose diverse.

Zio Mitja                       - Si, diverse. Ci mancherebbe... Dal momento che la situazione si è invertita. Ma non condurrà col tem­po, la stessa sostanza, a risultati simili? (Pausa)

Jarik                              - A lei è facile perdonare. Lei è una vittima.

Zìo Mitja                       - Che abbiano arrestato me, è un fatto ca­suale. Potevano arrestare lui. E allora io avrei dovuto decidere se eliminare il suo nome, o seppellire il pro­getto. E se lo avessi fatto... Che ne pensi, l'avrei fatto?

Jarik                              - Non so.

Zio Mitja                       - Cancellare un nome, solo un nome o affos­sare tutto... Affossare tutto, capisci?

Jarik                              - Ammettiamolo, ma poi lei non sarebbe interve­nuto alle riunioni per accusarlo.

Zìo Mitja                       - No! Se avessi cancellato il suo nome dal progetto non avrei potuto fare altrimenti. Avrei giocato secondo le regole.

Jarik                              - Secondo le regole della viltà.

Zio Mitja                       - Come vuoi.

Jarik                              - A lei è facile perdonare. Lei è la vittima, ma io... Io sono suo figlio. Non solo la vittima, ma il suo beneficato. Non ho diritti... sono costretto a essere severo.

Zio Mitja                       - Severo? Lodevole da parte tua, ma perché severo con lui e non con te stesso?

Jarik                              - Auto-perfezionamento morale, vero?

Zìo Mitja                       - (pensoso) O siamo stati noi a spiegarvelo con tanta abilità o l'avete capito per conto vostro, ma voi, ragazzi d'oggi, siete tenacemente convinti che questo "per­fezionamento morale" sia semplicemente un atteggiamento di geniali gentiluomini di un tempo invasati di cristiane­simo, imitatori di Tolstoj. (Pausa) Un atteggiamento. In questi giorni hai pensato alla ragazza?

Jarik                              - Oggi non ho fatto che cercarla, per tutta la cit­tà. Col sangue alla testa, come si dice.

Zio Mitja                       - Come mai? Hai resistito un mese intero senza vederla.

Jarik                              - Ho saputo che... Insomma una complicazione...

Zio Mitja                       - Allora hai avuto paura?

Jarik                              - (brusco) No!

Zio Mitja                       - Si tratta di un grande amore?

Jarik                              - Grande amore?... No.

Zio Mitja                       - Non lo è stato?

Jarik                              - Be', se pure c'era qualcosa, è finito in niente. Ma ero anche disposto a sposarla.

Zio Mitja                       - Ma guarda, senza amore, per nobiltà?

Jarik                              - Voglio andarmene da questa casa-

Zio Mitja                       - Ah capisco. Ti occorre una compagnia. Re­stare solo al mondo ti fa paura, la ragazza ti è devota, ti ama, è una soluzione. Lo pensavo anch'io che non fosse per nobiltà. (Pausa)

Jarik                              - Sa che i suoi insulti mi sollevano? Qualche vol­ta si ha bisogno di sentirsi ingiusti. (Pausa. Entra Nina con un grembiule da cucina, ha un piacevole aspetto di donna di casa. Dispone la tovaglia sul tavolo)

Zìo Mitja                       - (guardandola) Non riuscirò mai ad abituar-mici.

Jarik                              - A cosa?

Zìo Mitja                       - (indicando Nina) A questo.

Jarik                              - Non vedo niente di speciale.

Zio Mitja                       - È naturale. A te, ogni sera, hanno prepa­rato la tavola. Ci sei abituato.

Jarik                              - Tutti ci sono abituati.

Zio Mitja                       - Non tutti. Sette anni ho passato fra gente strappata a forza dalle famiglie. Sette anni fra gente sen­za casa, senza parenti, come dannata. Una donna che gli preparasse il pasto la sera, dolce consuetudine dell'umani­tà, a loro pareva un bene impossibile. (Pausa)

Jarik                              - Nina, ti sta bene la parte di padroncina di casa.

Nina                              - Non scherzare, Jarik.

Jarik                              - Lo dico davvero.

Zio Mitja                       - Una donna che ti prepara il pasto la sera... Vorrei trovare le forze per gridare a tutti: "Gente, apprez­zatelo, questo piccolo bene: vivete sereni. In fondo è cosi semplice, cosi facile".

Nina                              - Jarik, ho bisogno di parlarti, solo un minuto.

Jarik                              - Non adesso, non in questo momento. Dopo, do­po, ancora non so cosa dirti.

Nina                              - Sarò io a parlare. Tu puoi tacere, capirò tutto anche dal tuo silenzio.

Jarik                              - Non adesso. Prepara la tavola. E io ti sto a guardare... Ora ho proprio voglia di un po' di calma, della mia calma noiosa di tutti i giorni. Se è possibile, per il momento, sospendiamo ogni spiegazione, Nina.

Zio Mitja                       - Nikolaj, si tratterrà fuori molto?

Jarik                              - (seccato) Che bisogno c'è di rammentarlo.

Zio Mitja                       - Dovrà pur venire.

Jarik                              - A me invece, dopo le sue considerazioni sui sen-zacasa e senzafamiglia, piacerebbe giocare in una famiglia tranquilla e beata. Prima disprezzavo questa sorta di be­nessere.

Zio Mitja                       - Perché non conoscevi l'inquietudine. (Entra Gustja)

Gustja                           - (guarda soddisfatta Nina) Abbiamo una nuova padroncina...

Zio Mitja                       - Una donna che ti prepara il pasto la sera...

Gustja                           - Signore! È tutto il giorno che mi scapicollo, ed è ancora tutto in disordine. I libri sulla poltrona. Il paletot d'inverno, qui. E il tappeto arrotolato... Jarik di­stendi il tappeto che io vado a metter via il paletot. (Uscen­do, incespica nel fucile appoggiato contro al muro) Oh, questo dannato. Anche lui fuori posto. (Esce col paletot)

Jarik                              - Si, si, facciamo ordine. Il tappeto... (A zio Mitja) Mi aiuti. Ecco, cosi. Una donna che ti prepari il pasto la sera... Sentimentalismi... No, no, Nina, tu occupati delle tue faccende, facciamo da noi. Qui è pulito, accogliente, e nel complesso, noi, non siamo gente cattiva. Cosa ci occorre ancora?... Ecco fatto! (Jarik passa con finta solen­nità sul tappeto) Ora ci sono i libri da sistemare. (Prende il primo libro della pila) "Calandra a vapore Schwarzkopf". (Si rabbuia) Possono stare li... non danno nessuna noia.

Nina                              - (avvicinandosi a Jarik) Jarik... (Jarik tace) Ja­rik, ascoltami...

Jarik                              - Ti ho già detto, dopo...

Nina                              - Ma fra poco sarà qui tuo padre. Dobbiamo par­lare prima che arrivi.

Jarik                              - Per preparargli una piacevole sorpresa?

Nina                              - Dobbiamo prendere una decisione senza di lui.

Jarik                              - Ma chi mai può decidere qualcosa a questo mondo? Io? Lui? Nessuno. (A zio Mitja) Neppure lei, an­che lei è impotente. La gente fa solo finta di dirigere la propria vita, ma è spinta dalla corrente, guazza, e con­serva una stupida aria indipendente. Menzogna! Ci trasci­ni pure la corrente, non possiamo mica opporci. Ascolta, Nina, è inutile prendere delle decisioni, è inutile mettere in chiaro una faccenda sgradevole. Non serve a niente. Lascia che ci trascini la corrente. Chissà che ci porti su una spiaggia piena di sole, allora sorrideremo. Su una spiaggia piena di sole, oppure in un gorgo; non nuotare con le tue fragili braccia, e non costringermi a nuotare...

Zìo Mitja                       - (facendo passare i libri fuori posto, canterel­la parodiando Isabella Jureva) "Mai e in nessun luogo c'è gioia nella vita"...

Jarik                              - Il più saggio degli eroi, Oblomov! Dà molti punti a Hegel e a Spinoza!... Se ne stava disteso su un sofà unto. Si lasciava trascinare nella sua sozza barca dove arrivano tutti, alla tomba.

Zìo Mitja                       - (continua a canterellare) "Sasa quante ca­rezze nella vita. Come scorrono gli anni inavvertiti"...

Jarik                              - Ecco, ecco, in che epoca la cantava? Tre anni prima che nascessi. Nel trentasette! "SaSa ricordi i nostri incontri"... Oggi io sono disposto a chinare il capo davanti alla saggezza di Oblomov. Corichiamoci su un fianco e galleggiamo! A quanto pare ti sposerò, Nina. Mi coprirò di lardo, porterò un pigiama a strisce, poiché le vestaglie non sono di moda, non farò che contemplare la donna che mi preparerà il pasto, la sera. La contemplerò e mi la­gnerò per la gastrite. Ti sposo, Nina!

Nina                              - E io non voglio.

Jarik                              - Vorrai, vorrai. "La libertà è una schiavitù scel­ta di proprio gusto". Niente dipende da te, è il destino, il "fatum", l'inesorabile!

Zio Mitja                       - Dio.

Jarik                              - Chiedo scusa se non ho menzionato un perso­naggio tanto importante. (Entra in fretta Gustja)

Gustja                           - È arrivato Kolja. (Tutti guardano la porta. Entra Petrov, indugia un secondo sulla porta, poi lenta­mente e con passo fermo si dirige verso zio Mitja. Sono uno di fronte all'altro. Zio Mitja è il primo a tendere la mano. Per un attimo la sua mano resta sospesa nell'aria, Petrov è incerto, e improvvisamente lascia cadere il capo sulla spalla di zio Mitja, e resta immobile. Zio Mitja gli batte affettuosamente sulla schiena)

Petrov                           - (staccandosi a fatica si lascia cadere su una se­dia) Ti aspettavo, Mitja...

Zio Mitja                       - Mi avevano seppellito!

Petrov                           - Ti aspettavo lo stesso... Tutti questi anni... Ne­gli ultimi tempi soprattutto. (Pausa) Non mi credi?... Si capisce... Non credermi, ma io devo parlarti. Ho molte, molte cose da dirti. Non ti nasconderò niente. Senza di te ho dimostrato di non saper vivere... (Pausa) Fai bene a tacere. Con te mi era facile tutto. Perfino ora... Taci e ascolta, sarà una lunghissima confessione.

Zio Mitja                       - È proprio necessaria?

Petrov                           - Non vuoi ascoltare? Allora perché sei venuto, perché sei entrato in questa casa? Sono certo che vuoi sapere.

Zio Mitja                       - In parte ho già saputo.

Petrov                           - Ah...

Zìo Mitja                       - In parte...

Petrov                           - Cosi mi hanno preceduto... Raccontarti tutto, rovesciarmi come un guanto, era l'ultima cosa che mi rimanesse da fare per te.

Zìo Mitja                       - Hai finito il progetto?

Petrov                           - Si.

Zìo Mitja                       - (vivacemente) Sai, io ho trovato un'altra disposizione per gli organi di alimentazione. Ricordi le discussioni?

Petrov                           - Ricordo.

Zio Mitja                       - Avevi ragione. La mia proposta era un'idio­zia. L'ho scoperta nella baracca, quand'ero malato. Mi è venuto improvvisamente. Un'intuizione, diavolo!

Petrov                           - Installare il miscellatore verticalmente e au­mentare la velocità di rotazione...

Zìo Mitja                       - (colpito) E come lo sai?...

Petrov                           - M'è venuto cosi... un'intuizione... Ma io ho rinunciato a questa soluzione.

Zio Mitja                       - Hai rinunciato?

Petrov                           - Ho fatto diversamente: ho installato due ma­nicotti idrici e un dosatore automatico. Quello che sogna­vamo.

Zio Mitja                       - Non osavamo neanche sognarlo.

Petrov                           - Tuttavia ci sono arrivato. Ma c'è un parti­colare...

Zio Mitja                       - Cosa? Qualche inconsueta complicazione?

Petrov                           - No, al contrario, una semplificazione.

Zio Mitja                       - Parla!

Petrov                           - È una faccenda lunga. Non posso... Scusami, ora non è la macchina che mi turba.

Zio Mitja                       - Ma io ti tirerò fuori tutto! D'accordo, non ora. Quando sarà il momento. Ussaro! Jarik! Signorina Nina! Guardatelo! Non capita spesso di incontrare un genio. Sono rari come diamanti nei giacimenti di carbon fossile. Guardatelo! Ma non ti sbagli, Nikolaj?

Petrov                           - Su questo, no. Ora sarai costretto a credermi.

Zio Mitja                       - Ti credo.

Petrov                           - Io e te siamo riusciti a creare una bellissima macchina.

Zio Mitja                       - Tu, amico. Tu, diavolo! Io sono stato escluso.

Petrov                           - Avrei voluto chiamarla con un nome solenne. Un nome che la valga... Tutta la vita le ho dedicato.

Zio Mitja                       - Non aver rimpianti per la vita.

Petrov                           - No, per la vita non ho rimpianti. (Pausa) Ricordi come c'impantanammo col camion sulla strada per Suchie Blintzy.

Zio Mitja                       - Ricordo, ricordo... Avrebbe dovuto passarci la provinciale. Ora l'hanno già costruita.

Petrov                           - Successe di notte...

Zio Mitja                       - Si, di notte, la luna spuntava e il fango ti si appiccicava addosso. Sembrava che la terra si fosse spaccata, e la strada fosse la ferita, e il fango le viscere della terra.

Petrov                           - E noi stavamo nella cabina del camion...

Zio Mitja                       - Rassegnati ad aspettare il mattino...

Petrov                           - Ricordi cosa dicevi allora?

Zio Mitja                       - Qualcosa di patetico.

Petrov                           - Te lo posso ripetere parola per parola e sono passati quindici anni. Dicevi, Mitja: dev'essere bello ave­re molti soldi e godersela; dev'essere bello essere illustri e vedere le proprie fotografie sui giornali e sentire pro­nunciar il proprio nome con rispetto.

Zio Mitja                       - Possibile? Ero molto ambizioso.

Petrov                           - Non sei mai stato ambizioso. Dicevi ancora: non ho bisogno né di denaro né di fotografie sui giornali, sarei disposto a barattare la mia vita in cambio di una sola ora... Quella in cui la nostra macchina sarebbe scivo­lata sulla strada lasciandosi dietro un asfalto nero, liscio come la pelle di una negra. Una strada di velluto. Un'ora contro tutta la vita. In quest'ora la nostra macchina avreb­be fatto un chilometro. (Pausa)

Zìo Mitja                       - Ricordo.

Petrov                           - Ecco, anch'io ero disposto a barattare la mia vita per quell'ora. Non mi credi?

Zio Mitja                       - Certo che ti credo.

Petrov                           - Mio figlio non mi crede.

Jarik                              - Sulle orme di zio Mitja sono disposto a credere.

Petrov                           - E io ti sono grato. Ma a nessuno interessava la mia vita, Mitja, pretendevano ben altro. (Pausa)

Zìo Mitja                       - (piano) Che mi rinnegassi.

Petrov                           - E non solo questo. (Pausa)

Zio Mitja                       - Capisco.

Petrov                           - Sono arrivato a calunniarti, come se... Una porcheria! È difficile dire.

Jarik                              - Sapremo capire.

Zìo Mitja                       - Coraggio! Mi terrò forte!

Petrov                           - Ho detto che eri uno sciocco, impreparato... che proponevi...

Zio Mitja                       - Cosa?

Petrov                           - Una cosa pericolosa e assurda... di rinunciare alla stabilizzazione del terreno.

Zìo Mitja                       - Come? Ma è una cosa persino ridicola. Chi poteva crederci.

Petrov                           - Eri un sabotatore, un nemico, nessuno rìse. Ci credettero.

Zìo Mitja                       - Ma gente come Oskùrenko? Oskùrenko mi conosceva. Vede un metro sotto terra, quello, è come una scheggia che s'infila dappertutto. Avrebbe dovuto prender­ti e dirti: "Non dire menzogne".

Petrov                           - Mi ha preso e me l'ha detto.

Zio Mitja                       - Ah, lo vedi?

Petrov                           - Ma tardi.

Zìo Mitja                       - Cioè non durante la riunione, dopo?

Petrov                           - Otto anni dopo... Oggi... Mi ha preso e me l'ha detto... Solo oggi, Mitja. (Pausa)

Zio Mitja                       - E cosa ti rinfacciano, adesso?

Petrov                           - M'hanno già rinfacciato tutto. È la fine.

Zio Mitja                       - Ma cosa ti hanno rinfacciato?

Petrov                           - Che mi sono indegnamente appropriato del progetto, che sono stato un delatore, un calunniatore, che ho usato i sistemi più ignobili...

Zio Mitja                       - E cosa rischi?

Petrov                           - Non rischio più niente, è già tutto finito.

Zio Mitja                       - Ma ti hanno minacciato.

Petrov                           - Si: dimissione dall'istituto, espulsione dal par­tito, e pubblicazione sugli organi ufficiali... (Pausa)

Zio Mitja                       - Sai cosa ti dico?

Petrov                           - Cosa?

Zio Mitja                       - Vadano al diavolo!

Petrov                           - Non capisco.

Zio Mitja                       - Al diavolo! Respira a pieni polmoni! Di­mentica, anch'io cercherò di dimenticare...

Petrov                           - Non è possibile, Mitja.

Zio Mitja                       - Bella sortita! Liberiamoci del passato. Mettiamoci a tavola e beviamo come un tempo.

Petrov                           - Ti sembra cosi facile?

Zio Mitja                       - E cosa dovrei fare, respingerti e correre da quelli che si mettono adesso a schizzare saliva? A tavola, vecchio confusionario! Beviamo!

Petrov                           - C'è un altro progetto-

Zio Mitja                       - Di chi?

Petrov                           - Di Aglaev.

Zio Mitja                       - Possibile che sia meglio del nostro?

Petrov                           - Non è peggio di quelli americani.

Zio Mitja                       - Ma del nostro, del tuo?

Petrov                           - È peggio. Ma non poi tanto.

Jarik                              - Ma tu dicevi, papà, che è come paragonare una tartaruga a un cavallo arabo.

Petrov                           - Infatti. Ma lavorerà non peggio di altre mac­chine.

Zio Mitja                       - Ma come? Scambiare un'aquila con un cu­culo. Una scarpa con una ciabatta? Eh, no, il diavolo mi porti! Non finirà cosi. Dammi un foglio.

Petrov                           - Perché?

Zio Mitja                       - Scriveremo.

Petrov                           - Cosa? A chi?

Zio Mitja                       - Una dichiarazione. A loro, all'istituto.

Petrov                           - Non è possibile.

Zio Mitja                       - Un foglio di carta!

Petrov                           - Non è possibile.

Zio Mitja                       - Scriverò che tolgo la mia firma. Che sono io a toglierla. Dichiaro che ho lavorato poco per il proget­to, cosi poco che non posso considerarmene autore.

Petrov                           - Questo non è vero!

Zio Mitja                       - è vero. Immagino come l'hai rimaneggiato. Il progetto è tuo. C'è solo una piccola parte di mio...

Petrov                           - La base è comune.

Zio Mitja                       - La base non è ancora la cosa finita, le fon­damenta di una casa non sono ancora la casa. Tu hai portato l'edificio fino al tetto. Il padrone sei tu. Ora sten­deremo una dichiarazione, e la porterò io stesso, la spun­terò. Una tartaruga e un cavallo arabo! Un chilometro all'ora! Dunque, dov'è questa carta?

Petrov                           - Aspetta.

Zio Mitja                       - Ti tormenti ancora la coscienza? Oh! ba­sta! Il progetto è tuo di fatto. Io l'ho abbandonato da un pezzo. E un pezzo che non sono più ingegnere stradale. Undici anni fa ho cominciato a fare il minatore. Mi è andata bene, e sono diventato ingegnere capo. Non ho bisogno di comparire come ideatore di una macchina che costruisce strade. Tranquillizzati, Kolja.

Petrov                           - No. Aspetta.

Zìo Mitja                       - Devo dire anch'io la mia. Mi è tanto facile farlo. Hai trovato la carta, Jarik?

Jarik                              - Eccola. (Gliela porge)

Petrov                           - (mette una mano sul foglio che Mitja ha posato sul tavolo) Non è possibile... assolutamente... (Pausa)

Zio Mitja                       - Perché?

Petrov                           - È inutile.

Zio Mitja                       - Spiegati!

Petrov                           - Due ore fa io stesso ho rinunciato al mio pro­getto... (Pausa)

Zio Mitja                       - Non capisco.

Petrov                           - Ho rinunciato. Ho riconosciuto la superiorità del progetto di Aglaev.

Jarik                              - (spaventato) Bandiera bianca?

Zio Mitja                       - Non capisco.

Petrov                           - È stato tutto definito e firmato. È tardi.

Jarik                              - Bandiera bianca! Bandiera bianca! Cos'hai fat­to?! (Petrov tace. Nina è spaventata e smarrita. Gustja scuote la testa, affranta)

Zio Mitja                       - Ripeti! (Petrov tace)

Jarik                              - Bandiera bianca! Non è possibile!

Zìo Mitja                       - (balzando in piedi afferra per il petto Petrov) Tu menti! Non l'hai fatto! Non ci credo! (Petrov tace. Mitja lo scuote) Hai mentito! Avanti, dillo!

Jarik                              - (disperato) Bandiera bianca...

Zìo Mitja                       - (lo scuote esasperato) Non ci credo! Non ci credo! Allora?...

Petrov                           - (liberandosi dalle mani di Mitja, debolmente) È strano... (Breve pausa)

 

Zìo Mitja                       - (grida) Ma parla, perdio!

Petrov                           - È strano... Adesso mi credono solo quando mento. La verità non è fatta per me... (Pausa)

Zìo Mitja                       - (smarrito) Ti metti a fare il buffone? Rien­tra in te!

Petrov                           - È la mia maledizione-

Zio Mitja                       - Ti aiuterò. Mi senti? Ti aiuterò.

Petrov                           - Sono stanco...

Zio Mitja                       - Non ti commiserare!

Petrov                           - Mi è indifferente. Sono stanco... mi avrebbero disonorato, diffamato, cacciato dal lavoro...

Jarik                              - Vile! Vile!... Bandiera bianca!...

Petrov                           - Disonorato, messo sotto i piedi, e per che cosa?

Zio Mitja                       - Ti aiuterò! Riprendi il sopravvento! .

Petrov                           - Per che cosa, Mitja?... Il disonore, e il nostro progetto... non lo accetterebbero lo stesso. In un modo o nell'altro, non sarà il nostro. A che scopo, allora? Sono stanco. Dovunque ti giri, trovi l'assurdo. E io voglio un po' di pace, sono stanco, starò meglio senza tanto rumo­re... senza il disonore.

Zio Mitja                       - Sei ridotto cosi... Con la tua testa...

Petrov                           - Se avessi saputo... Non sapevo che saresti ricomparso. Ti ho aspettato, ma non sei arrivato in tempo. È stato troppo lungo l'assedio!

Zio Mitja                       - Cosa possiamo fare, ora?...

Petrov                           - E non sapevo che mi avresti perdonato... Non credevo... Ho smesso di credere a qualunque cosa, Mitja. (Pausa)

Zìo Mitja                       - (si sistema la giacca) Basta! Ti ho perdo­nato tutto... ma questo... Questo... mi dispiace... Gustja, addio. Jarik... e anche a lei, Nina... (A Petrov) Questo, non posso! (Si dirige all'uscita. Suona il campanello. Zio Mitja se ne va, compare l'uomo dei pavimenti con una borsa di tela incatramata)

L’uomo dei pavimenti - Mi ha urtato con tanta violenza che per poco non finisco per terra. (Dà un'occhiata ai pre­senti. A Gustja, piano) Non è il momento? (Gustja non risponde. Lunga pausa)

Jarik                              - Cosa sei nato a fare? Non sei riuscito a niente, non lasci niente dietro di te, altro che una pozzanghera.

Petrov                           - (piano) Lascio un figlio.

Jarik                              - Ah, già! Un figlio e una pozzanghera. Perché la razza non si estingua, e perché il fango non si prosciughi... (Petrov, senza rispondere, va nel suo studio con passo stanco e lento) Non voglio essere suo figlio. Non voglio continuare questa razza. Essere un altro, diverso da lui! Vivere in un altro modo, respirare un'aria diversa! (A Nina) Andiamocene! Corriamo via di qui. Lo vedi com'è qui. Vedi che gente? Non mi abbandonerai? Se mi ami... Scappiamo lontano, per non tornare mai! A Bratsk! Nel lontano Oriente! Corriamo senza fermarci, fino all'oceano. Nina, verrai con me?

Nina                              - (piano) Dove vorrai.

Jarik                              - Non mi paragoni a mio padre? No, vero? Tu credi in me. Credi? Dimmi, credi?

Nina                              - Non so, Jarik... Ma verrò con te.

Jarik                              - Nina, credimi, credimi, ho bisogno di questo. Starò sempre con te. Sempre. Tutta la vita.

Nina                              - Non so...

Jarik                              - Nina, tu devi, devi...

Nina                              - Chi sa, forse mi lascerai... Ma verrò.

Jarik                              - Nina, non parlarmi cosi. Non hai diritto. Sei l'unica persona che mi rimanga, sei fedele, sei devota. Non ho più nessuno. Ho solo te. Noi ce ne andremo. Fino all'oceano. O nelle steppe vergini, fa Io stesso. Via, all'aria aperta! (L'abbraccia e le accarezza i capelli. Nina si strin­ge contro di lui. Pausa. Sulla porta sta l'uomo dei pavi­menti. Dall'altra parte Gustja. Silenzio. Nel silenzio, im­provvisamente si ode un colpo, come uno sparo. Rumore di vetri. Jarik sobbalza, guarda il tappeto appeso alla pa­rete) Il fucile!... (Si lancia verso la porta dello studio) Papà!!... (Dallo studio esce lento e curvo Petrov)

Petrov                           - Volevo aprire la vetrata... S'è rotta... lo dice­vo che andava aggiustata la cerniera... (Pausa)

L’uomo dei pavimenti  - (contento) L'aggiustiamo subi­to... in un momento... E tutto funzionerà come prima, an­che meglio... (Gustja prende il fucile appoggiato al muro, in terra e con aria stanca va ad appenderlo al suo posto)

 

FINE