Barbara

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BARBARA

Commedia in un atto

Di ENRICO RAGGIO

PERSONAGGI

BARBARA

THOMAS CRAWFORD

ARNOLD KING

HARRY BROWN

UN CAMERIERE

Salotto privato in un grande albergo di Parigi

Commedia formattata da

All'alzarsi del sipario sono in scena Barbara, Thomas Crawford, Arnold King. Barbara è una ragazza di ventidue anni. Il bellissimo volto ancora acerbo sprigiona, sotto la violenza del trucco, lampeggiamenti di una natura quasi animale. Da un'alta lampada, che si trova a ri­dosso del divano, scende una calda luce che investe nel suo cerchio l'arruffata capigliatura rossa di Barbara e un bracciale di brillanti che sembra riposare sul petto quasi nudo della gio­vanetto. Il resto della stanza è in penombra. Ai lati del divano sul quale è sdraiata Barbara si trovano i due uomini, anche loro in abito da sera.

Thomas Crawford         - I bauli sono già alla stazione.

Arnold King                 - (a Barbara) Le valigie sonopronte?

Barbara                         - (un po' nervosa) Sì, pronte. Te l'ho già detto.

Arnold King                 - Il programma resta quello stabilito. Se tutto procederà bene, come non dubito, all'una prenderemo l'auto dell'alber­go diretti alla Gare St. Lazare.

Barbara                         - Partiamo con il Pullmann?

Arnold King                 - No. Col diretto. Cinque mi­nuti dopo.

Barbara                         - Passerò una notte disastrosa. Se non ho la cabina non dormo.

Thomas Crawford         - Puoi anche, di tanto in tanto, fare un sacrificio.

Arnold King                 - Un piccolo sacrificio perché scenderemo a Evreux. Nemmeno un'ora di treno.

Barbara                         - Ah, non si va a Cherbourg?

Arnold King                 - No.

Barbara                         - E cosa faremo a Evreux?

Arnold King                 - Lo saprai.

Barbara                         - (alzandosi, inquieta) Insomma, devo sempre viaggiare alla cieca?

Arnold King                 - (secco) Precisamente.

Barbara                         - E, allora, vai meglio rompere il nostro patto.

Arnold                          - (afferrandola brutalmente per il pol­so) Eh?

Barbara                         - (violenta) Lasciami!

Arnold King                 - (lisciandosi il dorso della ma­no) Sai servirti delle unghie. (Ridendo) Brava! (Poi, con ira) Però con noi queste ar­mi non vanno. Ricordalo.

Thomas Crawford         - Calmati, Arnold. Que­sta sera abbiamo bisogno, tutti e tre, del no­stro sangue freddo.

Arnold King                 - Hai ragione, ma cosa vuoi, quel suo contegno m'irrita. Da qualche tempo si è messa a fare l'ambigua. Con noi! Già, te l'avevo detto: lavoreremo, faremo, ci sacrifi­cheremo per lei, e all'ultimo: ingratitudine, piena ingratitudine.

Barbara                         - Io non so cosa ancora pretendia­te da me. Se non vi soddisfo, se non faccio ab­bastanza, mandatemi via. Ma trattarmi come uno straccio, questo no. E' troppo. (Si lascia cadere sopra una sedia in un convulso isterico).

Arnold King                 - (vicino, con voce fredda) Evidentemente esageri. (Sollevandole con l'indice la collana di perle) Questa non è uno strac­cio. (Ride).

Thomas Crawford         - (esorta con lo sguardo il compagno a lasciarla tranquilla) E' una pic­cola crisi di nervi. Comprensibile. L'emozione per quanto deve fare questa sera...

Barbara                         - (sollevando con fierezza la Vesta) Non ho paura.

Arnold King                 - (l'accarezza, dominandola) Così mi piaci. E non avrai, a pentirtene.

Thomas Crawford         - (a Barbara) Arnold mantiene quello che dice.

Barbara                         - (con adorabile volubilità) Catti­vi! (A Crawford) Una sigaretta.

Thomas Crawford         - (porgendole l'astuccio) Prendi.

Barbara                         - (apre l'astuccio, mette fra le lab­bra una sigaretta e si siede sulle ginocchia di Crawford. A King) Un po' di fuoco.

Arnold King                 - (accendendole la sigaretta) Vuoi domarci?

Thomas Crawford         - (prendendola per il men­to) Confessa. Il tuo orgasmo di poco fa ha una sola causa: il rammarico di dover lasciare questo piccolo scrigno (indica la stanza) nel quale tepore, luce, e profumo sembrano un ali­to solo stemperato nel rosa. Oh, certo, il da­masco, i cristalli, i tappeti, hanno un loro fa­scino... (Accarezza la spalliera di una poltro­na) Non è vero?

Barbara                         - (abbandonando la testa sulla spalla di Crawford) Amo le belle cose. Tanto! (Ab­bassa le palpebre).

Arnold King                 - Abbi pazienza. Ti condur­remo in alberghi ancora più raffinati. Del resto, non puoi lamentarli. Ne hai fatta strada da quando ti abbiamo portata via da Londra! Thomas e io volevamo dimostrare ch'era pos­sibile trasformarli in pochi mesi in una donna del gran mondo. E ci siamo, quasi riusciti.

Barbara                         - (saltando giù dalle ginocchia di Crawford) Perché dici ce quasi »?

Arnold King                 - Perché ci devi dare ancora la prova decisiva della tua seduzione. (Pausa) Vedremo cosa saprai fare questa sera.

Barbara                         - (con una brusca mossa felina) Perché? Credete che, volendo, non possa?

Arnold King                 - Lo puoi. (A Crawford, com­piaciuto) Guarda come si muove! Si direbbe Brigitte Helm. In tutto.

Barbara                         - (con un sorriso) Oh, se mi ci metto la supero. Potrei sentirmi scorrere lungo i fianchi un torrente di gente e non battere ci­glio. Lo credete?

Thomas Crawford         - (ad Arnold King, con un grido di ammirazione) Arnold, hai compiuto il prodigio!... Perché non sono poeta?

Arnold King                 - (sgomentatissimo) Nooo!!

Thomas Crawford         - (proseguendo in un grot­tesco tono lirico) Chi canterà la donna del nostro tempo? (Accarezzando la schiena nuda di Barbara) Non è forse un filtro miracoloso che trasforma in umana bellezza i prodigi mec­canici? Cruda e precisa come una sagoma di acciaio; fosforescente come la luce che vibra nei tubi d'aria rarefatta...

Barbara                         - (saltando al collo di Thomas) Thomas, sei tanto buffo! (il suo riso squilla come un metallo).

Arnold King                 - (battendo le mani) Tregua con le sciocchezze. Veniamo al serio.

Barbara                         - Ai vostri ordini, comandante.

Arnold King                 - Non hai dimenticato niente? Vediamo.

Barbara                         - (va al tavolo di centro eh'è sgom­bro. Apre il tiretto e di mano in mano che estrae gli oggetti li nomina. Thomas ed Arnold le stanno seduti di fronte come se assistessero a un gioco di prestigio) Borsetta... ovatta... flacone... fazzoletto... lettera,         - (mostrandola) busta aperta, indirizzo. (Chiude il tiretto. Tut­ti gli oggetti nominati sono in fila sul tavolo).

Arnold King                 - Benissimo.

Barbara                         - (come, per l'appunto, farebbe un prestigiatore) Apro il fazzoletto. Ci metto dentro l'ovatta. Così. (Eseguisce) Poi il tutto va nella borsetta: divisione destra. In quella di sinistra, invece, metto la lettera. Richiudo.

Arnold King                 - Ci siamo. Ed ora, attenzione. (Suona. Piccola pausa. Entra un cameriere. Al cameriere) Due bicchieri, ghiaccio, vermouth, gin. Uno shaker. (il cameriere esce. A Bar­bara) Non abbandonare mai la borsetta. (Guar­dando l'orologio) Dieci minuti a mezzanotte.

Thomas Crawford         - A mezzanotte e mezza saremo di ritorno.

Arnold King                 - Devi sbrigare tutto in mez­z'ora. Il tempo è sufficiente.

Thomas Crawford         - E' innamorato!

Barbara                         - (con un lampo negli occhi) Lo credete?

Thomas Crawford         - (sentenzioso) Tutti gli uomini che si aggiustano di continuo la cra­vatta davanti a una donna sono innamorati.

Arnold King                 - (al cameriere che entra con un vassoio, indicandogli un tavolo nella parete di fondo) Mettete lì. (// cameriere eseguisce, poi esce. A Barbara) Ricordati: devi farlo bere. Molto. Tu, niente. Ed ora, presto. Dov'è la fialetta?

Barbara                         - (porgendogliela) Eccola.

Arnold King                 - (spezza la fialetta, versa il con­tenuto sull'ovatta) E' un narcotico prodigio­so. Agisce immediatamente. Non lascia tracce.

Barbara                         - E quando sarà addormentato?

Arnold King                 - (nervoso) Eccoti con le tue idiote domande!

Thomas Crawford         - Gli frughi nelle tasche. Prima quelle interne, poi -le altre. Troverai o le chiavi o i brillanti.

Arnold King                 - No. Arriveremo prima noi. In mezz'ora dev'essere tutto fatto. Te l'ho detto.

Barbara                         - E se non trovassi il tempo?...

Arnold King                 - Lo devi trovare. O questa sera o mai. Siamo spiati.

Barbara                         - Da qualche detective?

Arnold King                 - Peggio. Da colleghi di una altra banda. Anche loro hanno sentito l'odore e sono atterrati qui.

Barbara                         - Perché non me l'hai detto prima?

Arnold King                 - Per non impressionarti.

Thomas Crawford         - (ad Arnold King) Sei certo?

Arnold King                 - Ho ricevuto un telegramma. Il nostro servizio informazioni non sbaglia. (Prendendo le mani di Barbara) Buona for­tuna, Barbara. (Fissandola negli occhi) Se fal­lisci il colpo ti rispediamo a Londra; se ci com­prometti lo sai ciò che ti attende. Ma non mancherai. Ho fiducia.

Thomas Crawford         - (lirico) Barbara, do­mani saremo al mare. Chissà che non trovi le parole azzurre di un tempo per cantarti!

Arnold King                 - Non essere assurdo! Andiamo. (Spinge fuori dalla porta Thomas e lo segue).

(Barbara si guarda attorno, cammina agi­tata per la stanza, si ferma davanti a uno spec­chio, si aggiusta i capelli. Poi va al tavolo, apre la borsetta, verifica il contenuto, la ri­chiude. Pronta, ormai, all'attacco imminente ritorna al divano e si sdraia. L'orologio suona la mezzanotte. Subito dopo si sente bussare alla porta).

Barbara                         - (con un'ombra nella voce) Entrez! (La porta si apre e appare Harry Brown. E' un uomo di trent'anni alto, scarno, abbron­zato. I suoi modi sono un po' impacciati, ma virili).

Harry Brown                 - (sulla soglia) Buona sera, signorina Barbara.

Barbara                         - (stendendo il braccio senza solle­varsi) Buona sera, signor Brown. (Harry Brown le si avvicina e le bacia la mano) Vi ho disturbato facendovi salire a quest'ora?

Harry Brown.                - No. Mi avete detto di ve­nire a mezzanotte e sono venuto. (Guardando l'orologio) A mezzanotte.

Barbara                         - (con tono vellutato) Vi ringra­zio. (Pausa. Barbara non gli ha ancora rivolto lo sguardo).

Harry Brown                 - Avete proprio deciso di partire?

Barbara                         - Sì. Questa è la nostra ultima not­te. (Volge lentamente il capo, lo guarda, gli prende la mano).

Harry Brown                 - (si libera dalla stretta. Poi, con semplicità, replica) Non sono così pes­simista. Ci rivedremo. Ho fiducia. (Pausa).

Barbara                         - (sepolta nei cuscini) Parlate. La vostra voce mi piace. Sa di paesi lontani. E' bella.

Harry Brown                 - Non vi sembra che ci sia troppo fumo nella stanza? Volete che apra un poco la finestra?

Barbara (sollevandosi bruscamente, a mez­zo busto) Se siete venuto per parlarmi del fumo... (Si rigetta giù di peso).

Harry Brown                 - Non volevo contrariarvi. Perdonatemi.

Barbara                         - (mordendo l'orlo del cuscino) Harry! (L'averlo chiamato, per la prima volta, semplicemente Harry, raggiunge l'effetto de­siderato).

Harry Brown                 - ... Signorina Barbara...

Barbara                         - (rovesciando la testa fuori della sponda del divano) Vi vedo fra le ciglia. Questo mi ricorda un gioco che facevo da bam­bina. (Ha gli occhi semichiusi. Aprendo la bocca) Non mi date nulla?

Harry Brown                 - (che ha ripreso il suo domi­nio) Un cioccolatino, se l'avessi.

Barbara                         - (brusca) Ovviamente non cono­scete i miei gusti. A me piacciono le cose forti. (Alzandosi di scatto e andando verso il tavolo di fondo) Prendete un cocktail? Martini e gin: il classico. Ve lo preparo io.

Harry Brown                 - Grazie.

Barbara                         - (mentre prepara la miscela) Du­rante il pranzo vi osservavo. Il vostro sguardo era di continuo sopra quella donna in verde che sedeva al tavolo di fronte. (Piccola pausa) Svedese. Vi piaceva?

Harry Brown                 - Era una bella marchia di colore. Verde e biondo. Stanno bene insieme.

Barbara                         - E posso anche dirvi che mentre attraversava la sala per uscire non osservavate che le sue spalle. (Nel voltarsi di tre quarti sfiora volutamente con la schiena il mento di Brown) Non vi do torto. La parte più interes­sante del corpo di una donna è la schiena. Ed è così rara uni bella schiena. (Offrendogli il cocktail) A voi.

Harry Brown                 - (bevendo) Non è abbastan­za secco. Per me, almeno. Laggiù, dove stavo, si diventa tutti, più o meno, alcoolizzati. (Po­sando il bicchiere sul vassoio) Grazie!

Barbara                         - Un altro?

Harry Brown                 - Più tardi. (Pausa. Guar­dandosi attorno) Non vi annoiate a passare tan­te ore della giornata chiusa qui dentro?

Barbara                         - Adoro i miei cuscini. Sono una serra... un acquario... Non vi sembra? (Si è seduta per terra, a ridosso del divano).

Harry Brown                 - (secco) A me sembra una stufa.

Barbara                         - (indispettita) Aprite, allora, la finestra. Vi servirà per dare aria al cervello.

Harry Brown                 - (avviandosi alla finestra) Meno male...

Barbara                         - (si ricorda di quanto dovrà fare e con precipitazione dice) No... non aprite!

Harry Brown                 - (la guarda un istante e sog­giunge) Sta bene.

Barbara                         - (facendosi improvvisamente suppli­chevole) Harry, non vi voglio così lontano! (Indicando con l'indice teso) Una, due, tre. Tre sedie ci dividono. E' terribile! (Harry Brown non si muove) Avete paura? (Ride).

Harry Brown                 - Oh, questa poi! (E di un balzo /le si siede accanto, sul tappeto).

Barbara                         - (mettendogli un braccio sulla spal­la) Bravo! Adesso siamo buoni compagni. (Pausa) Perché non vi aggiustate la cravatta?

Harry Brown                 - (toccandola) E’ storta?

Barbara                         - No... dicevo così per dire...

Harry Brown                 - ... Signorina Barbara...

Barbara                         - Cosa?

Harry Brown                 - (brusco) Perché avete vo­luto che salissi qui da voi?

Barbara                         - Vi pentite d'esser venuto? (Guar­dandolo con espressione grave, dice lentamente) Non capite niente!

Harry Brown                 - (liberandosi) Avete ragio­ne. Ho un'avversione per le donne complicate. Non le capisco.

Barbara                         - (con voluta semplicità) Ma io non sono complicata. Mi piacete, vi piaccio: è semplice!

Harry Brown                 - (come seguendo un suo pen­siero) Curioso: io non conosco ancora il vo­stro volto. E anche il vostro modo di parlare... è proprio vostro? Vi tocco e mi domando se siete vera o artificiale. Come capita con certi fiori.

Barbara                         - (stringendosi a lui) Non sentite il mio profumo? Emana dai caprili. Natural­mente. (Allontanandosi, con tono vibrante) Eppure non tutti gli uomini la pensano come voi. (Con civetteria infantile) Per uno,, poco fa, ero... (Appuntando l'indice nel cavo dell’orbita) Aspettate, voglio ridire esattamente il pa­ragone. Ero come un filtro che trasforma... No, non era così. Un filtro che ridona...

Harry Brown                 - (tagliando corto) Insomma, eravate un filtro.

Barbara                         - E voi, un essere odioso. Ecco quello che siete! (Si alza di scatto e getta con rabbia la sigaretta per terra) E io, stupida a tollerarvi.

Harry Brown                 - Attenta, bruciate il tappe­to. (Raccoglie la sigaretta. Guardandola) Ci sono impresse le vostre labbra. (La depone in un portacenere. Barbara alza le spalle e pas­seggia inquieta per la stanza) Non siate catti­va! Ora sono io a pregarvi di sedere qui. E vi chiedo, per la seconda volta, perdono. E voi non dovete negarmelo perché è tardi e dovre­mo fra poco lasciarci.

Barbara                         - (richiamata alla realtà) Già, è tardi. E noi continuiamo a parlare. (Apre meccanicamente la borsetta).

Harry Brown                 - E, scusate, cos'altro dovremmo fare?

Barbara                         - Non so... Bere! Volete? (Si af­fretta a prendere lo shaker).

Harry Brown                 - Volentieri. A patto che beviate anche voi. (Mentre Barbara prepara il cocktail) Questa mattina sono uscito molto pre­sto. Mi sono spinto sino al Bois de Boulogne. Una leggera brezza, che sembrava rivestire di nuovo le cose, mi accompagnava. E io non sen­tivo più il mio passo. Fischiettavo delle arie inconcludenti, pronunziavo ogni tanto ad al­ta voce una parola: ero felice.

Barbara                         - A voi. (Gli offre il bicchiere).

Harry Brown                 - Grazie. All'improvviso., non so come, mi trovai sul limitare di un via­le così verde, e così silenzioso e fresco, d'ac­quistare profondità marine. In un sedile, lon­tana, c'era una donna intenta a lavorare. Ai suoi piedi un bimbo giocava con la ghiaia. Tutti e due, mamma e figliolo, sembravano ac­cudire con eguale serietà alle diverse occupazioni. Che pace!... Mi sono sentito un intruso.

Barbara                         - Siete scappato?

Harry Brown                 - Al contrario. Mi avvicinai, imbarazzato dal rumore che faceva il pietrisco sotto ai miei piedi, e giunto al sedile anziché proseguire mi sono seduto accanto a quella donna, al bambino.

Barbara                         - (beffarda) Basta, amico! Tutto potevo sospettare, ma che vi deste anche alle avventure da giardini pubblici, questo non lo sospettavo davvero

Harry Brown                 - (proseguendo) La donna sembrò non accorgersi della mia presenza. In quel silenzio non si udiva che un incerto cin­guettìo su nel verde, mentr'io, giù, non pote­vo distaccare lo sguardo, da quelle piccole ma­ni bianche e laboriose che conducevano, con sicurezza, l'ago. E pensavo: ma, dunque, esi­stono ancora donne vestite di semplicità, don­ne che dell'amore non conoscono che le paro­le caste, donne che non hanno paura di rima­nere incinte, che non sono avvelenate dalle droghe e dal trucco, che ignorano la stupida morbosità delle pallide dive dello schermo...

Barbara                         - (contrattaccando rapida e furente) Siete venuto per offendermi? Ne ho abba­stanza delle vostre sciocche parole. Levatevi dai piedi. Basta! (Con rabbia isterica getta per terra un oggetto).

Harry Brown                 - (sorpreso da questo scoppio d'ira) Ma io...

Barbara                         - Vi ho detto di andarvene. Sono stata chiara. Voglio riposare.

Harry Brown                 - (vicino alla porta, molto cal­mo) Sta bene. Buona notte, signora. (Esce).

Barbara                         - (passeggia, con orgasmo, per la stanza. Poi, fermandosi nel mezzo con espres­sione indefinibile, guarda la porta che s'è chiu­sa) E ora?... Se n'è andato! Come farò?... (Non si sa se allude ad Harry o a quello che doveva fare. Dopo poco la porta si schiude e riappare Brown).

Harry Brown                 - Signorina Barbara, non dobbiamo lasciarci così. E' male. (Avvicinan­dosi) Diciamoci addio da buoni amici. (E' in piedi, di fronte a Barbara, e con le dita le. sfio­ra i capelli).

Barbara                         - (alzando lo sguardo verso il giova­ne) Perché mi avete parlato in quel modo?

Harry Brown                 - (ridendo) E chi lo sa? Una improvvisa voglia di predicare. Forse per illu­dere me stesso. Può capitare a tutti. Anche al­le persone più losche.

Barbara                         - Ma voi non lo siete.

Harry Brown                 - (fra il serio e lo scherzoso) Adagio, bambina mia. Cosa sapete di positivo sul mio conto?

Barbara                         - Siete il signor Harry Brown, proprietario di miniere al Transvaal...

Harry Brown                 - E con questo? Sono stato io a dirvelo e voi avrete, al massimo, control­lato l'informazione al bureau. Ma cosa non re­gistrerebbero iportieri di un grande albergo! Guai se non chiudessero gli occhi! Questi pa­lazzi correrebbero il rischio di rimanere vuoti.

Barbara                         - Non siate assurdo. Ogni albergo di classe ha i propri agenti segreti...

Harry Brown                 - ... che dovrebbero cacciare le belve che s'annidano in questa giungla. Perché è come se vivessimo in una giungla, Bar­bara. Non provate anche voi la stessa impres­sione? Ci siamo visti e ci siamo mossi l'uno incontro l'altra come esseri primitivi di una foresta. Non sapevamo nulla di noi. L'uomo e la donna, anzi il maschio e la femmina. Ec­co: nient'altro. Di voi appresi l'indispensabi­le: il nome. E per giorni non foste per me che la signorina Barbara. Poi, nemmeno più quella: un numero. Al portiere, al groom domandavo: è rientrato il 134? E voi avrete fatto lo stesso per me. In questo vivaio non siamo che numeri. Come pretendete di conoscermi? (Pausa. Fissandola) Cosa avete? Vi turba quello che dico?

Barbara                         - No... per quanto trovi strane le vostre parole.

Harry Brown                 - Non torturate più quella borsetta. Non l'avete abbandonata un momen­to. (Mettendoci la mano sopra) Contiene qual­cosa di prezioso?

(Ride).

Barbara                         - (sottraendola con vivacità) No... Cosa volete, noi donne non sappiamo separar­ci dalla cipria e dal rosso. Dobbiamo averli sempre sottomano.

Harry Brown                 - Scommetto che contiene anche una lettera. Una borsetta per signora senza una lettera non è più una borsetta.

Barbara                         - (tentando approfittare dell'occasio­ne) Siete un mago. Avete indovinato. (Aprendo la borsetta) Guardate!...

Harry Brown                 - (chiudendole in fretta la bor­setta) No, non voglio vedere. Sono discreto.

Barbara                         - Eppure vi dovrebbe interessare. (Con ancora un tentativo di seduzione) Sono molto amata.

Harry Brown                 - Non lo contesto. (Le pren­de ambo le mani, accosta il viso a quello di lei, vorrebbe darle un bacio e invece dice) Magnifi­che queste perle! (Soppesando la collana) Sono vere ?

Barbara                         - (come se avesse ricevuto una grave offesa) Signor Brown!

Harry Brown                 - (ridendo) Perdonate, ma qui ad ogni cosa che si vede vien fatto di do­mandarsi: è vera? (Sempre ammirando la col­lana) Impeccabili. E poi, una gradazione per­fetta. Un'apprezzabile fortuna. Brava!

Barbara                         - Il merito non è mio.

Harry Brown                 - No, no; c'entra anche il merito vostro. E le portate al collo anche di notte?

Barbara                         - Secondo...

Harry Brown                 - Già, secondo... Ma dovete stare attenta. Dove le custodite?

Barbara                         - (lo scruta con perplessità) V'in­teressa saperlo?

Harry Brown                 - Attenta a quei due signori che vi accompagnano.

Barbara                         - (ridendo) Oh, quelli poi! Sono vecchi amici. Sapete qualcosa sul loro conto?

Harry Brown                 - Forse, o per lo meno non mi convincono. Più di una volta i nostri sguar­di si sono incrociati. Ma il loro ha sempre fi­nito con l'abbassarsi perché ini debbono cre­dere enormemente ricco. (Ridendo) Chissà, invece, che non s'insegna tutti e tre la stessa preda.

BARBARA                  - (perdendo il controllo) Insom­ma, signore, chi siete?

Harry Brown                 - Harry Brown, reduce dal Transvaal dove per otto anni ho brutalmente lavorato. Questa volta parlo sul serio. (Apren­do lo sparato del frak) Ho anch'io il mio mo­nile: guardate! (Le mostra un sacchetto appe­so al collo).

Barbara                         - Dunque, è vero?

Harry Brown                 - Che cosa?

Barbara                         - ... Che lì ci sono...

Harry Brown                 - Tutta la mia fortuna, Bar­bara. Accumulata giorno su giorno.

Barbara                         - E se vi capitasse di perderla?

Harry Brown                 - (con grande semplicità) Non potrei più rialzarmi.

A.RBARA                    - Ma che idea vi è venuta di por­tarli con voi...

Harry Brown                 - Vi dirò: otto anni fa sono partito da Londra e per tutto bagaglio avevo un piccolo sacco. Oh! la miseria più nera, cre­detemi! Ritornando ho voluto che mi accompagnasse un altro piccolo sacco, frutto della mia fatica e delle mie privazioni. Come vedete, un semplice gesto sentimentale. Nulla di più.

Barbara                         - Per me è una grossa imprudenza.

Harry Brown                 - Cosa temete che possa ca­pitarmi? (Facendosi serio) No, sento che Dio non lo permetterebbe. Pensate: a Londra mi aspetta, da otto anni, una piccola donna che mi verrà incontro senza ch'io possa vedere sul , suo caro viso le sofferenze patite nella lunga assenza. Di tanto amore è capace il suo grande cuore! Oh, voi non la conoscete: è la più bel­la, la più dolce donna di questo mondo!

Barbara                         - (scoppiando a ridere) La vostra amante?

Harry Brown                 - (semplicemente) Mia ma­dre. (Pausa) Non ridete più?

Barbara                         - (scuotendosi) Vi ascolto.

Harry Brown                 - (da questo momento il dialo­go si svolgerà sommesso e a piccole pause) Come ritroverò la mia casa?

Barbara                         - Abitate?

Harry Brown                 - Tottenhahr Road.

Barbara                         - E io Warren Street. Eravamo vi­cini.

Harry- Brown               - La mia è una vecchia casa con una scala ripida e buia e su, in alto, due scalini rotti che mi facevano sempre incespica­re quando entravo. Otto anni! Ci saranno an­cora. Ma questa volta non incespicherò perché il mio passo è mutato.

Barbara                         - Dalla mia finestra si vedevano gli alberi di Regents Park.

Harry Brown                 - Anch'io li vedevo.

Barbara                         - Chissà quante volte ci saremo incontrati senza saperlo.

Harry Brown                 - Forse. Uscivo tutte le mat­tine alle sette con un carrettino. Ma già, Lon­dra è piena di ragazzi che girano per le strade spingendo un carrettino.

Barbara                         - E cosa facevate?

Harry Brown                 - Vendevo frutta secca d'in­verno e cocco fresco d'estate. Seguivo le sta­gioni. Volete vedere come servivo il cocco? (Prende un bicchiere e, tenendo alto lo sha­ker, ci versa il contenuto) Così. Bevete. Ah, no, non dovete rifiutare la bevanda del piccolo ra­gazzo! (Barbara prende il bicchiere e beve) Brava!... No, non asciugate le labbra col faz­zoletto, ma col dorso della mano come faceva­no le ragazze lungo il Tamigi, in quelle sere d'estate.

Barbara                         - (asciugandosi le labbra col dorso della mano) Sciocco!

Harry Brown                 - Il Tamigi! Quel caro, vec­chio fiume! Ci facevamo compagnia. Io vende­vo la mia frutta e lui trasportava delle grosse nuvole lontano.

Barbara                         - Io, invece, andavo sovente a pas­seggiare sotto ai platani. Che profumo! (Pausa).

Harry Brown                 - Fra poco imboccherò quel­la stessa piccola strada grigia di un tempo e ve­drò una finestra illuminata e dietro mia madre che mi aspetta, come allora.

Barbara                         - Perché mi dite proprio ora que­ste cose?

Harry Brown                 - Il discorso ci ha condotti a parlarne. Un puro caso. Vi dispiace?

Barbara                         - No... ma io devo avere la for­za... (Stringe nervosamente la borsetta, poi l'apre ed estrae a caso il fazzoletto che tiene nel pugno sollevato in aria).

Harry Brown                 - (guardando il fazzoletto) Cosa fate? Piangete?

Barbara                         - (combattuta) No. (Piccola pausa. Poi, d'improvviso, quasi brutalmente, a bassa voce, avvicinando il suo volto a quello di Har­ry) Sapete che anch'io ho venduto la frutta?

Harry Brown                 - Nooo! (Poi, con un lampo) Vediamo se dite la verità: a quanto vendevate le susine?

Barbara                         - (con grazia adorabile) Le spagno­le o le francesi?

Harry Brown                 - (stringendola con felicità) Barbara!

Barbara                         - (svincolandosi) Datemi da bere. Presto! (Beve d'un fiato il bicchiere che Harry le ha offerto).

Harry Brown                 - Siete pazza a bere in quel modo?! Ubriaca.

Barbara                         - E ora, Harry, fatemi un favore. (Staccandosi la collana) Prendete queste perle. Me le restituirete domani mattina prima ch'io parta.

Harry Brown                 - Perché?

Barbara                         - Non domandate. Voi stesso mi avete detto ch'è pericoloso...

Harry Brown                 - Ma io non posso...

Barbara                         - (un poco ebbra) Non contrariate­mi. Consideratelo un capriccio. Sì, un capric­cio che m'è venuto bevendo d'un fiato quel bicchiere. (Gli mette in tasca la collana) Nel coricarvi le metterete sotto il cuscino. Toccan­dole, nel sonno, vi sembrerà di avermi vicina. Un altro sorso! Me lo negate? No! Dopo sarò buona... Sempre. Ve lo prometto. (Beve. All'improvviso si sentono le note di un jazz che accompagnerà, a tratti, l'azione sino alla fine) Sentite? Giù hanno cominciato a ballare.

Harry Brown                 - Cosa avete, Barbara?

Barbara                         - Sono felice! (Si abbandona nel­le braccia di Harry).

Harry Brown                 - Non vi ho mai vista così.

Barbara                         - Anch'io, Harry. Anch'io. E' tan­to bello!

Harry Brown                 - Barbara! (Accarezzandole i capelli) Mi par di vedere la vostra testolina rossa, arruffata, dietro al banco!

Barbara                         - Nessuna mi superava nel gridare.

Harry Brown                 - (frugandola) E dopo?...

Barbara                         - Cosa?

Harry Brown                 - Come avete fatto a diven­tare quella che siete?

Barbara                         - (mettendogli una mano sulla bocca) Zitto!... Zitto!...

Barbara                         - Sono gli uomini a volerci così.

Harry Brown                 - (accarezzandola) Una gat­tina dicevate essere... (Ridendo) Anzi, un filtro! Però, prima, quando raccontavate la Vostra pas­seggiata al Boia de Boulogne, vi avrei, dalla rabbia, coperto di baci.

Harry Brown                 - Barbara! (La stringe a sé e la bacia con passione).

Barbara                         - Amore! (Accarezzandogli la fron­te) Volevo essere sicura di questo. Mi basta.

Harry Brown                 - Domani partiremo assieme. Torneremo a Londra risalendo il Tamigi.

Barbara                         - (sommessamente) Il Tamigi... L'ombra verde dei platani...

Harry Brown                 - Compreremo una piccola casa di mattoni...

Barbara                         - Non dire più nulla!

Harry Brown                 - (quasi cullandola nelle sue braccia) Piccola donna fatale!

Barbara                         - (staccandosi con vivacità) Lascia­mi. Sono pazza! E io che ho bisogno,dei miei nervi... (Guardando l'orologio) Dio, che ora abbiamo fatto!

Harry Brown                 - Non è poi tanto tardi.

Barbara                         - ... Ma domani partiamo. Dovrò alzarmi presto. Sono tanto stanca! (Con grande tenerezza) Perché partiremo assieme, non è vero?

Harry Brown                 - Certo.

Barbara                         - Allora, senti. M'è venuta un'idea. (Corre febbrile al piccolo scrittoio) Telegrafo a una mia amica a Londra per informarla che ritorno. Potrà esserci utile. E tu sarai tanto buono da spedire il telegramma. (Ha preso un modulo, e mentre scrive) Non consegnarlo al bureau. Va' tu stesso al telegrafo. E' più sicu­ro. E poi parte prima. Intanto io mi spoglio e quando fra mezz'ora tornerai, potrai salire ad augurarmi la buona notte;. (Consegnandogli il telegramma) Ecco, prendi. Dammi ancora un bacio e corri. (Lo bacia con passione) Basta, basta; scappa, tesoro.

Harry Brown                 - Come vuoi. A fra poco. (Esce).

Barbara                         - (chiude la porta, attenua la luce nel' la stanza, prende la borsetta e, venendo nel centro, l'apre risoluta) Ed ora, Barbara, in vo­lo! (Aspira il narcotico, butta il fazzoletto per terra e si getta sul divano. Dopo una breve pau­sa, alzandosi a mezzo busto, con timore quasi comico) Oh, Dio, che non faccia effetto? (Si passa una mano sulla fronte, poi presa da una leggera vertigine si riabbandona supina. Con tono infantile, quasi di preghiera) Buon Dio, ti ringrazio. Mi sento leggera, sollevata in alto... Ritorno dov'ero... lontano!... lontano... (Si as­sopisce. Si sente in lontananza la musica del jazz. Lunga pausa. Poi si bussa con discrezio­ne, e ripetute volte, alla porta).

Arnold King                 - (schiudendo la porta) Barba­ra... Barbara... (Non sentendo rispondere en­tra risolutamente) Dove sei? (Si guarda attorno, vede Barbara e le ci avvicina rapido) Non fare la scema! (Scuotendola) Alzati! (Vedendo che Barbara non si muove, si curva e l'esamina) Possibile!! (Si avvia per uscire quando la por­ta si apre ed entra Thomas Crawford. Prenden­do per il polso Thomas) Vieni a vedere! (Lo ac­compagna al divano).

Thomas Crawford         - Dorme?

Arnold King                 - Anestizzata. Incredibile! (Raccogliendo il fazzoletto) Ecco il fazzoletto.

Thomas Crawford         - Lui l'ho visto un mo­mento fa. Attraversava in fretta il salone.

Arnold King                 - Dove andava?

Thomas Crawford         - Non lo so. Ti ho detto che l'ho visto attraversare il salone.

Arnold King                 - Dovevi seguirlo.

Thomas Crawford         - Non potevo immagi­nare...

Arnold King                 - No, no, è assurdo. Qui sotto c'è tutta una commedia. (Avvicinandosi violen­to a Barbara) Ora la sveglio io! (Scuotendola) Barbara! Credi di farcela?

Thomas Crawford         - Non gridare. Può scop­piare uno scandalo.

Arnold King                 - Me ne infischio. Non tollero che mi si prenda in giro. Barbara! (A Thomas) Dammi un po' d'acqua. (Thomas gli porta un bicchiere) Assicurati che la porta sia chiusa. (Thomas va alla porta).

Thomas Crawford         - E' chiusa.

Arnold King                 - (mentre spruzza dell'acqua sul viso di Barbara) Sei straordinario! Siamo sta­ti giocati da questa sgualdrina, e tu niente: non ti scomponi.

Thomas Crawford         - Scusa, cosa dovrei fare?

Arnold King                 - Zitto! Si sveglia! (Forte) Barbara!

Barbara                         - (agitandosi) Che c'è?... Chi mi vuole ?...

Arnold King                 - Non fare smorfie. Alzati! (Barbara apre un occhio, riconosce i due uomini, lo richiude).

Barbara                         - (rigirandosi sul fianco) Lascia­temi!... Voglio riposare.

Arnold King                 - (sollevandola per la vita) Ah, no, cara, questa volta non ti riaddormenti.

Barbara                         - (fregandosi gli occhi e guardando attorno) ...Siete voi?

Arnold King                 - Siamo noi e ci spiegherai...

Barbara                         - Cosa devo spiegare?... Dormi­vo)!... Non ricordo; niente...

Thomas Crawford         - (esortandola) Devi ri­cordare. Sforzati !

Arnold King                 - (irritato, a Thomas) Mettici anche il tono paterno. E' proprio il caso! (A Barbara) Poche parole! Parla!

Barbara                         - (sbadigliando) Dio, che sonno! (Si ributta sul divano).

Arnold King                 - Ho, capito. Ci vogliono altri mezzi. (Alza la mano).

Thomas                         - (fermandolo) Qui la colpa non è sua. E' del narcotico. Vuol dire che era buono.

Arnold King                 - A questo ci doveva porta­re! (Risollevando Barbara) Senti, ragazza! O parli o non rispondo più di me stesso»

Barbara                         - Un momento, (indugia qualche secondo per riprendere dominio su se stessa) Vi dirò tutto... Ecco: il signor Brown è venuto puntuale: eravate appena usciti...

Thomas Crawford         - L'abbiamo visto en­trare.

Arnold King                 - Non interrompere  - (A Bar. bara) Continua.

Barbara                         - Prima abbiamo discorso di tante cose. Del Transvaal, del Bois de Boulogne...

Arnold King                 - Salta. Vieni al solido.

Barbara                         - Tutto prometteva bene. Gli ho of­ferto il cocktail. Ha bevuto.

Arnold King                 - Anche tu. Non negare. Si sente. E poi?

Barbara                         - E poi... poi aperto la borsetta... l'ho richiusa... sono tornata a riaprirla...

Arnold King                 - Vuoi canzonarci?

Barbara                         - Nooo... Vi dico questo per dimo­strarvi che ho più volte tentato. Ma lui mi fis­sava con certi occhi... certi occhi...

Thomas Crawford         - Che occhi?

Barbara                         - Non so... Poi cominciò a fare del­le allusioni, delle strane domande, e a parlar­mi, a parlarmi... Sentivo di perdere, per quan­to lottassi, sempre più terreno. Contro la mia stessa volontà, mi disarmava. E cosi, quando aprii per l'ultima volta la borsetta, lui ci si buttò sopra, mi strappò il fazzoletto, lottammo...

Arnold King                 - E poi?

Barbara                         - Non ricordo più nulla.

Arnold King                 - (alzandosi) Mal combinata, cara. Non la beviamo. Credevi di farla franca, tu e il tuo spasimante, non è vero? Ebbene, ti prometto, che lo riacciufferemo il tuo giova­notto. Te ne do parola. E in quanto a te, ti fa­remo pagare cara questa sconcia commedia. Baldracca!

 Barbara                        - (con un grido) Ah! (Toccandosi il collo) Non ho più la collana!

Arnold King                 - C'è dell'altro?

Barbara                         - Me l'ha rubata! E' stato lui.

Thomas Crawford         - (chinandosi) Ti sarà caduta. (Scostando il divano) Sarà qui sotto.

Arnold King                 - (prendendo violentemente Bar­bara per il polso) Ragazza, non mentire. Do­ve l'hai nascosta?

Barbara                         - Ti giuro che non l'ho nascosta. Cercala, frugami... Lasciami, mi lai male!

Arnold King                 - (lasciandola) Maledizione!

Barbara                         - Ora ricordo esattamente tutto. Prima di perdere i sensi ho sentito le sue dita -sul collo, E' stato lui. Ne sono certa.

Thomas Crawford         - (ad Arnold) Bisogna denunziarlo.

Arnold King                 - Un momento. Non eccitiamo­ci. Ragioniamo. (A Barbara) Dicevi che ti ha fatto delle strane domande, delle allusioni...

Barbara                         - Sì. Mi ha detto che vi aveva in­contrato in altri luoghi. Che eravate sue vecchie conoscenze...

Thomas Crawford         - (ad Arnold) Che sia...

Arnold King                 - (non troppo sicuro) Che ti salta in mente?

Thomas Crawford         - Potrebbe darsi... Non ti hanno telegrafato...

Arnold King                 - No...no… sarebbe assurdo....       

Thomas Crawford         - E, allora, denunziamolo.

Arnold King                 - (dopo un momento di riflessio­ne) Impossibile.

Thomas Crawford         - Perché?

Arnold King                 - Denunziato il furto, la cosa va in mano della polizia. Vi saranno interrogatori, dovremo mostrare le nostre carte. No. Non è possibile.

Barbara                         - (con voce d'angelo) Arnold ha ra­gione.

Arnold King                 - C'è poco da dire. Quell'uomo ci ha messi nel sacco. (A Barbara) Maledetta! Dovresti... Ebbene, sì. Ti piantiamo qui. Te la sbrigherai da sola per il conto dell'albergo e per tutto. Riacciuffala la tua collana! E se ti ritro­viamo, e se parli... Guai a te! (A Thomas) Vie­ni! (Esce con violenza seguito da Thomas).

Barbara                         - (rimasta sola, stenta a credere che sia vero quanto è accaduto. Si guarda attorno, si tocca. Fuori la musica riprende più forte. Con un piccolo grido allegro) Sola, sola, sola... con lui! ! (E si mette a saltare e a ballare per la stanza mentre si chiude il sipario).

FINE