Bellavita

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Luigi Pirandello

Bellavita
1928

Personaggi

Bellavita, dolciere
Il Notajo Denora
L'avvocato Contento
La signora Contento, sua moglie
Lo Scrivano dello studio
Clienti dell'avvocato Contento, fra cui: il signor Giorgino

Tempo presente.

      La scena rappresenta un salotto tra la casa e lo studio dell'avvocato Contento. L'entrata è in fondo e dà su un corridoio. Un uscio a destra immette nella casa dell'avvocato. Due usci a sinistra: il primo, in comunicazione con la sala d'aspetto per i clienti; l'altro, con lo studio dell'avvocato. (Destra e sinistra dell'attore.)
      Al levarsi della tela lo Scrivano, giovane vestito poveramente ma con pretese d'eleganza, testa da vetrina da barbiere su un collo stralungo, darà passo al Notajo Denora, grasso, calvo, sulla quarantina, di pelo rossiccio, faccione paonazzo, brozzoloso.

Lo scrivano: S'accomodi qua, signor Notajo.
Denora: (fosco, contenendo a stento l'orgasmo che lo divora). C'è da aspettare molto?
Lo scrivano: Eh, un pochino, temo. Ma corro ad avvertire la signora.

S'avvierà verso l'uscio a destra.

Denora: (trattenendolo). No, lascia! Che c'entra la signora?
Lo scrivano: Per tenerle compagnia.
Denora: Grazie tante! Posso aspettar solo.
Lo scrivano: Me l'ha ordinato il signor avvocato!
Denora: (gridando). E io te ne dispenso!

Poi, frenandosi, pentito.

Non voglio che sia incomodata la signora.
Lo scrivano: No, veda, ho ragione di credere che la signora stessa...
Denora: ... abbia piacere di tenermi compagnia?
Lo scrivano: Sí, perché ha detto...
Denora: ... che vuole ridere anche lei alle mie spalle, ho capito!
Lo scrivano: No, che dice mai, signor Notajo! M'ha detto d'avvertirla subito del suo arrivo. Ma eccola qua.

Entrerà dall'uscio a destra la signora Contento: sui trent'anni, graziosa, nasino ritto, occhi ardenti. Lo Scrivano si ritirerà per il primo uscio laterale a sinistra.

La sig. Contento: Caro Notajo, siamo dunque a questo, eh?
Denora: Per carità, signora, mi lasci stare, o finisce che la faccio davvero la pazzia!
La sig. Contento: (restando). Perché? che le ho detto?
Denora: Niente, m'ha detto; ma la scongiuro di non farmi nessuna domanda! Pensi che se lo studio di suo marito è ora cosí pieno di clienti e se egli tratta adesso i piú grossi affari, lo deve in gran parte a me! a me! - Se io ora chiudo il mio studio di Notajo e pianto qua tutti e me ne vado a seppellire in campagna, il danno sarà anche suo, ecco: pensi questo!
La sig. Contento: Non capisco perché lei mi parli cosí...
Denora: Perché vedo dall'aria con cui è entrata, che anche lei vorrebbe godersi lo spettacolo della mia esasperazione.
La sig. Contento: Ma no, lei mi giudica male, signor Notajo.

Entrerà a questo punto dal secondo uscio laterale a sinistra l'avvocato Contento: vicino ai quarant'anni, magro, tutto gambe, con occhi chiari che si volgono continuamente di qua e di là, come se si sentisse chiamare da tutte le parti, larga bocca sorridente e salivosa, capelli grigi, piuttosto lunghi, irti a spera sulla fronte, aria tra astratta e smemorata.

Contento: Che cos’è, che cos’è, caro Notajo?
La sig. Contento: Io non so! Sono entrata per tenergli compagnia, come tu mi avevi detto...
Contento: Eh, sí, perché purtroppo ho tanta gente di là!
La sig. Contento: Se n'è avuto a male.
Contento: Come, come ?
La sig. Contento: Per un sospetto - mi scusi, caro Denora - non degno di lei.
Contento: Un sospetto ? Che sospetto ?
La sig. Contento: Che vogliamo farci beffe di lui, anche noi!
Contento: Io ? beffe ?
Denora: Non ho detto beffe!
La sig. Contento: Che vogliamo godere dello spettacolo...
Denora: Sí, che ci provate gusto anche voi, insomma, ecco!
Contento: Ma che vi mettete in testa, per amor di Dio, caro Notajo! Come potete immaginare di me una cosa simile?
Denora: Perché è naturale! naturale! Vi pare che non lo capisca! La cosa spaventosa è questa, che lo vedo da me il ridicolo della mia situazione; e mi metterei a ridere anch'io, vi giuro, di qualunque altro - fosse pure mio fratello - a cui fosse capitato questo stesso mio caso! Ora, ch'io debba soffrirne, mentre ne riderei come tutti ne ridono, è cosa... è cosa che mi sta facendo impazzire, ecco: impazzire!
Contento: Ma se ci sono qua io, ora, per servirvi, caro Denora; per togliervi da codesto stato d'animo che mi fa tanta pena, come a tutti coloro che vi vogliono bene e che vi stimano per quel galantuomo che siete! Su, su. Ho già mandato a chiamare quella pittima per liberarvene. Sarà qui tra poco. Per non lasciarvi solo ad aspettare avevo pregato mia moglie...
Denora: Mi scusi tanto, signora ; mi compatisca: sono come ossessionato.
La sig. Contento: Ma sí, comprendo benissimo.
Contento: Lasciate fare a me: vi libererò in quattro e quattr'otto. Appena sarà qui. Che diamine! Ho già dato l'ordine che sia subito introdotto. Voi vi ritirerete di là

indicherà l'uscio a destra

con mia moglie, e gli parlerò io per come siamo intesi.
Denora: Il miglior collegio di Napoli: diteglielo pure!
Contento: Lasciate fare a me! Ho capito tutto. E state tranquillo. A tra poco.

Via per l'uscio da cui è entrato.

La sig. Contento: Io per me credo che non si dovrebbe ammettere cosí subito che il figlio sia vostro. Avanzerei almeno qualche dubbio. L'ho detto a mio marito.
Denora: No, no! Non importa, signora! Anche se non fosse! Ammetto tutto! Accetto tutto!
La sig. Contento: Ma perché - voi capite - se si potesse provare che non è...
Denora: E come provarlo? Non è solo il padre, signora mia, a non poterlo sapere con certezza, neanche la madre può mai sapere di certo se il proprio figlio appartiene al marito o all'amante. Sono tutte presunzioni.
La sig. Contento: Ma dite un po', vi somiglia?
Denora: Dicono. E a me pare di sí, certe volte, e certe altre di no. Non c'è da fidarsi delle somiglianze. Del resto, le dico, non voglio discutere su questo punto. Sono pronto a tutto: adozione, testamento per assicurargli l'eredità. Non ho nessuno. E non m'importa piú niente! Voglio liberarmi di lui, del padre, a qualunque costo! Ma il tasto del denaro per quell'uomo non suona; e sarà inutile toccarlo. Non ha mai agito per tornaconto. Sono disperato appunto per questo.
La sig. Contento: È veramente inaudito!
Denora: (balzando in piedi). Inaudito! Inaudito! E doveva toccare proprio a me di avere da fare con un marito di quella specie!
La sig. Contento: «Bellavita» sarà un nomignolo, m'immagino.
Denora: L'invidia. Passando davanti la dolceria e vedendola sempre piena d'avventori, e la moglie come una signora là al banco, «Eh, bella vita!».
La sig. Contento: La gentaccia, si sa com'è. Ci sono passata anch'io, ieri, davanti la dolceria. Che pena! Quelle belle vetrine bianche, laccate lucide, non si riconoscono piú: ingiallite, scrostate. E che malinconia, quei due veli scoloriti, uno rosa e l'altro celeste, stesi sulle paste secche e le torte ammuffite, davanti al banco! Non ci va piú nessuno. Gliela tenevate su voi, però, quella bottega?
Denora: Io? Ma che! Calunnia, signora! Le dico che arrivava perfino a proibire alla moglie d'accettare da me quel che si dice un fiore. Si pigliava i soldi del caffè, quando ci andavo con gli amici, perché, a non pigliarseli, gli sarebbe parso di dar troppo nell'occhio. Ma sono sicuro che ne soffriva.
La sig. Contento: Non so come si possa spiegare.
Denora: Che vuole spiegare, signora! Certe cose non si spiegano.
La sig. Contento: Come uno possa essere cosí!
Denora: Quando non vogliamo sapere una cosa - si fa presto - fingiamo di non saperla. - E se la finzione è piú per noi stessi che per gli altri, creda pure, è proprio, proprio come se non si sapesse. - E' anche pieno di gratitudine per me.
La sig. Contento: Gratitudine ?
Denora: Sissignora. Per la difesa ch'io presi di lui contro la moglie, fin dai primi tempi del matrimonio.
La sig. Contento: Infermiccio, già! malandato... Non so come poté sposarlo: era anche di buona famiglia, la moglie.
Denora: Caduta in bassa fortuna.
La sig. Contento: Non so che considerazione potesse avere per lui!
Denora: L'accusava di poco discernimento, di poco tatto con gli avventori, anche di goffaggine.
La sig. Contento:.. eh sí, goffo è veramente...
Denora: ... lo dice a me? - Certe scenate! - ora capirà, presa l'abitudine d'andare con gli amici in quel caffè - pacifico come sono sempre stato - ne soffrivo. Mi provai a rimettere la pace, e...
La sig. Contento: ... prova oggi e prova domani...
Denora: Sventure che capitano...
La sig. Contento: Purtroppo. Era tanto bella! Mi pare di vederla ancora, seduta al banco, ridente e sfavillante, col nasino bianco di cipria e quello scialletto rosso di seta a lune gialle sul seno, i cerchioni d'oro agli orecchi e quelle fossette alle guance, quando rideva: che simpatia!

E come Denora, alla descrizione, comincia a piangere con lo stomaco, e poi non trovando i singhiozzi la forza di venir fuori, con un fìottar fitto del naso; e si nasconde gli occhi con una mano.

Povero Notajo, voi l'amavate veramente!
Denora: Sí, signora! E odio quest'uomo perché non gli è bastato avvelenarmi prima l'unico bene della mia vita, m'avvelena ora anche il dolore che provo, d'averlo perduto! E sa come me l'avvelena? Mostrandosene beato! Sí. Come se me lo désse a pascere lui, questo dolore in cui mi vede sprofondato; a succhiare, come una mamma il latte del suo seno al suo bambino! Guardi: sono sicuro che se ora mi vedesse queste lagrime, qua sulle guance, se le verrebbe a bere!
L'odio per questo! perché non me la lascia piangere da solo, come vorrei! Lei capisce, signora, che ho schifo, schifo a piangerla insieme con lui? Venne a trovarmi dopo il funerale, col ragazzo, per dirmi che aveva ordinato due corone di fiori, una per me e una per lui, e che le aveva fatte collocare sul carro, la sua e la mia, accanto. Dice che parlavano.
La sig. Contento: (stonata). Chi parlava?
Denora: Quelle due corone. Cosí accanto. Dice che parlavano. Dovette leggermi l'odio negli occhi. Mi si buttò addosso, arrangolando e piangendo disperatamente, e cominciò a gridarmi che non lo abbandonassi, per carità, e avessi considerazione e pietà di lui, perché io solo potevo compatirlo, io che piangevo per la sua stessa disgrazia Le giuro signora, aveva, nel dirmi cosí, certi occhi smarriti da pazzo, che mi passò la tentazione di tirargli una spinta e mandarlo a schizzar lontano.
La sig. Contento: Non par vero! Non par vero!
Denora: L'ho ancora qua, vivo, nelle dita il ribrezzo di quelle sue braccia magre sotto la stoffa pelosa dell'abito nero ritinto, quando feci per strapparmi dalla violenza con cui volevano aggrapparmisi al collo! E io non so com'è! le cose che s'avvertono in certi momenti! e non si cancellano piú! Lui che mi piange sul petto, io che mi volto verso la finestra della stanza, come per cercare uno scampo; e in quella finestra, signora, la croce delle due bacchette arrugginite sui vetri. Tutta la tristezza di questa mia vita distrutta di vecchio scapolo la vedo in quella croce là, sui vetri sudici della finestra, su quel cielo sporco di nuvole. Ah signora, quella croce, quei vetri sudici, signora, non me li posso piú levare dagli occhi!
La sig. Contento: Ma no, via, povero Denora, calmatevi! Vedrete che mio marito adesso...

interrotta dallo Scrivano che rientra in gran fretta dal primo uscio a sinistra, annunziando:

Lo scrivano:Eccolo qua! eccolo qua!
Denora: (balzando in piedi). E' venuto?
La sig. Contento: Ritiriamoci di qua, noi.

Indicherà l'uscio a destra.

Venite.
Lo scrivano: Sissignora, perché l'avvocato m'ha detto di farlo passare in questa stanza.
La sig. Contento: Andiamo, andiamo.
Denora: L'ammazzerei! L'ammazzerei!

Via con la signora per l'uscio a destra. Lo Scrivano uscirà dall'uscio in fondo per rientrare in iscena, poco dopo, seguito da Bellavita. - Bellavita, magrissimo, di una magrezza che incute ribrezzo pallido come di cera, con gli occhi fissi aguzzi spasimosi, sarà parato di strettissimo lutto, con un vecchio abito peloso, ritinto or ora di nero, e una fascia pur nera di lana, girata attorno al collo e pendente coi lunghi pèneri davanti e dietro.

Lo scrivano: Accomodatevi qua, caro Bellavita. L'avvocato verrà subito.

Via per il primo uscio laterale a sinistra. Bellavita resterà in piedi, immobile, spettrale in mezzo alla stanza, per un lunghissimo tratto; poi volgerà il capoverso l'uscio da cui è uscito lo Scrivano e sospirerà; starà ancora in piedi un altro momento; infine, di nuovo sospirando, sederà in punta a una seggiola presso a un tavolinetto. Poco dopo dal secondo uscio laterale a sinistra entrerà l'avvocato Contento.

Contento: Caro Bellavita! Eccomi a voi.
Bellavita: (alzandosi di scatto, alla voce). Pregiatissimo signor avvocato!

Ma subito, colto da vertigine, si recherà una mano sugli occhi e si sorreggerà con l'altra al tavolinetto.

Contento: (sorreggendolo). Oh Dio, Bellavita, che è?
Bellavita: Niente, signor avvocato... La gioja. Come ho sentito la voce... Mi sono alzato di furia, e... Sono tanto debole, signor avvocato! Ma niente, ora è passato.
Contento: Povero Bellavita, sí, lo vedo, siete molto deperito. Sedete, sedete.
Bellavita: Prima lei, per carità!
Contento: Sí, ecco: io seggo qua. Dunque, vi ho fatto chiamare per risolvere - o meglio - per finir di risolvere una situazione, diciamo, penosa e delicata.
Bellavita: Che situazione? La mia?
Contento: Eh, sí, la vostra, quella del ragazzo e quella del Notajo: penosa e delicata, caro Bellavita. La... la come si chiama... la disgrazia che avete patito... sí, dico... s'era purtroppo incaricata di risolvere codesta situazione d'un colpo - brutalmente - con un taglio netto - dolorosissimo - ma sotto un certo punto di vista - direi: chirurgico! - Voi non avete voluto... - Comunque, veniamo a noi.
Bellavita: Sissignore. Perché io

si tocca la fronte con un dito

sa? anche di mente mi ... mi sono un poco indebolito. Di tutto codesto discorso che lei ora ha avuto la bontà di tenermi, non ho capito nulla
Contento: Ecco ecco. Statemi a sentire. Sarà un gran sollievo per voi, caro Bellavita. Un gran sollievo, di cui avete bisogno: lo vedo. Urgentissimo. Come del pane.
Bellavita: Sissignore. Non mangio, non dormo piú da tanti giorni. Seduto dalla mattina alla sera su uno di quegli sgabelletti di ferro del caffè.
Contento: Dunque, sí... ecco...
Bellavita: Come se non fossi piú io, sa?
Contento: Lo vedo, lo vedo!
Bellavita: Come se un altro m'avesse preso per le braccia e messo a sedere lí accanto a un tavolino, come un fantoccio.
Contento: Ora discorriamo...
Bellavita: (gli fa cenno con la mano di aspettare un po'). Abbia pazienza. Non m'arrivano.
Contento: (stonato). Che cosa non v'arriva?
Bellavita: Le parole, signor avvocato, se lei mi vuol parlare cosí subito. Sono... sono come insordito, intontito. Mi lasci riprendere un po'. Non parlo piú con nessuno da tanto tempo! Ora che ho questo bene... Ah che giornate passo, signor avvocato, che giornate passo, seduto lí nel caffè, accanto al tavolino! Sul tavolino faccio cosí col dito: un dito di polvere ; non c'è piú altro che polvere nel caffè!
Contento: Eh, paesaccio di vento, il nostro! Porta la polvere da per tutto.
Bellavita: E le mosche? Mi mangiano vivo le mosche. Me le sento ronzare anche nel cervello. Alzo la mano a cacciarle, quando già se ne sono andate via. E sto seduto con le spalle al banco per non vedere, lí su quel banco, la bilancia rimasta con un peso d'ottone su uno dei piatti, dell'ultima vendita che fece la buon'anima, d'un chilo di confetti all'avvocato Giumía.

Strizza orribilmente tutta la faccia magra per mettersi a piangere; cava un fazzoletto nero dalla tasca, e se lo porta agli occhi.

Contento: Capirete che, seguitando cosí, caro Bellavita, non passa un mese, ve n'andrete a raggiungere la buon'anima!
Bellavita: Magari! Se non ci fosse Michelino!
Contento: Oh! - Ecco! - ci siamo. - Michelino. - Vi ho fatto chiamare...
Bellavita: (subito, con apprensione). - ... per Michelino?
Contento: M'immagino che debba essere un gran pensiero per voi codesto ragazzo.
Bellavita: Se lo vedeste...
Contento: Già! - rimasto ormai senza madre...
Bellavita: ... come s'è ridotto anche lui, povera anima di Dio, in pochi giorni... Io non so fare altro che piangere, piangere, piangere...
Contento: E dunque, benissimo! Ho da farvi una proposta, caro Bellavita.
Bellavita: Una proposta? Per Michelino?
Contento: Appunto. Da parte del Notajo.
Bellavita: E che proposta ?
Contento: Lasciatemi dire.
Bellavita: Ma scusi, ha sentito il bisogno, il signor Notajo, di ricorrere...
Contento: ... io sono il suo avvocato.
Bellavita: ... tanto peggio!
Contento: ... ah, ma m'intrometto soltanto come amico!...
Bellavita: ... volevo dir questo! - di ricorrere ad amici, per una proposta che riguarda Michelino? Non poteva farla a me direttamente?

Agitandosi.

Oh, Dio, signor avvocato...
Contento: Non v'allarmate, non v'allarmate prima di sapere di che cosa voglio parlarvi!
Bellavita: Ma sissignore che m'allarmo! M'allarmo perché, se il signor Notajo è ricorso a lei...
Contento: ... ma io sono anche amico vostro...
Bellavita: Grazie, signor avvocato - che amico, no! - troppo onore - lei m'è padrone! - Ma vede? io... Io - ecco - appassisco - appassisco...
Contento: Ma no! ma su! che diavolo! statemi a sentire!
Bellavita: Oh Dio, mi pare che lei ora mi voglia levare anche l'aria da respirare...
Contento: ... proponendovi il bene del vostro ragazzo?
Bellavita: ... a nome del signor Notajo?
Contento: Che gli ha voluto sempre un gran bene questo non potete negarlo, e seguita a volergliene!
Bellavita: (con gli occhi all'improvviso ridenti di lagrime). Ah sí? ah sí? E perché, allora, scusi...
Contento: (parando le mani per trattenerlo). Lasciatemi dire, in nome di Dio! Il Notajo Denora vi propone di mettere il ragazzo in collegio, a Napoli.
Bellavita: Il ragazzo? a Napoli?
Contento: Nel primo collegio di Napoli.
Bellavita: (con tanto d’occhi). E perché?
Contento: Oh bella! Per dargli una migliore educazione.
Bellavita: A Napoli
Contento: Assumendosi lui, s'intende, tutte le spese; purché voi acconsentiate a separarvene.
Bellavita: Io? Ma che dice? Io, dal ragazzo?
Contento: Eh già...
Bellavita: Separarmi? Signor avvocato, che dice?
Contento: È la proposta del Notajo.
Bellavita: Ma scusi, perché?
Contento: Ve l'ho detto, perché.
Bellavita: Ma il ragazzo qua studia; va bene a scuola; e il Notajo lo sa! Mandarlo a Napoli? E io? Ah, ma dunque non vuole piú tenere conto di me il signor Notajo?
Contento: Chi ve lo dice?
Bellavita: Senza il ragazzo io morrei, signor avvocato! Sto morendo io, signor avvocato, sto morendo di crepacuore, abbandonato cosí da tutti senza sapere perché! Ma che male ho fatto io al signor Notajo da essere trattato cosí, non solo da lui, anche da tutti i suoi amici?
Contento: Io v'ho trattato sempre bene...
Bellavita: E perché non si fa piú vedere al caffè?
Contento: Oh bella, perché non ha tempo.
Bellavita: Non è vero, mi perdoni! Prima l'aveva.
Contento: E ora non l'ha piú!
Bellavita: Ora che io sono rimasto cosí stroncato dalla disgrazia? Ma se mai qualcuno, tra me e il signor Notajo, può aver rimorso d'aver fatto male all'altro, quest'uno, signor avvocato, non sono certo io! E ora, per giunta, mi vorrebbe levare il ragazzo?
Contento: Se non mi lasciate finire!
Bellavita: Che vuole finire! Lei non doveva neanche provarsi a cominciare, mi scusi. Lasci sfogare me, signor avvocato! Non è vero niente, sa, non è vero niente che gli sta a cuore l'educazione di Michelino. No! - È altro! - E io lo so, che è! - Ma come? Mi parla di spese, lui? Osa parlare di spese - a me - lui? - E quando mai ho ricorso a lui per mantenere il ragazzo come un figlio di signori? Io, coi miei soli mezzi! io! E finché campo, ci penserò sempre, io, glielo dica! - Non posso mandarlo a Napoli. Quando anche potessi, non vorrei. Perché mi fa dire questo da lei il signor Notajo? Ha forse creduto che gli portassi il ragazzo per averne qualche cosa?
Contento: Ma no! Non fate adesso sospetti indegni, non dico del Notajo, ma di voi stesso!
Bellavita: Ma scusi, e perché, allora? Non vuole piú vedere neanche il ragazzo? Me, da un pezzo non mi vede piú! - Sospetti indegni, lei dice?
Contento: Indegni, indegni, e assurdi!
Bellavita: Che assurdi, no! Ho compreso, sa? ho compreso bene che le mie visite non erano piú accette al signor Notajo! Mi sono stretto, cosí, coi denti il cuore per non farlo gridare, e non mi sono piú fatto vedere da` lui. Mando dentro lo studio Michelino, e io mi metto a sedere zitto zitto nell'anticamera - sa che c'è quella bussola di panno verde con l'occhio in mezzo? là accanto. Quand'uno piange, signor avvocato, il naso gli viene di soffiarselo forte; ebbene, sa come me lo soffio io? piano piano, per non disturbare e non farmi sentire da lui! Ma capirà che, piú faccio cosí, e piú m'intenerisco io stesso di questa mia delicatezza cosí male ricompensata! Non vorrei piangere e piango di piú, per forza! Mi sto sfacendo, mi sto sfacendo in lagrime, io, signor avvocato!
Contento: Alle corte, oh, alle corte! Lasciatemi dire una buona volta, caro Bellavita, ciò che debbo dirvi, e facciamola finita!
Bellavita: Ecco, sissignore, parli: io sono qua.
Contento: Vorrei pregarvi, dato che non è tanto facile - come sto vedendo - la parte che debbo sostenere davanti a voi, vorrei pregarvi di fare di tutto per intendermi senza costringermi a dire troppo - ecco - e questo, per un riguardo a voi sopratutto!
Bellavita: A me ? Per carità, non mi spaventi, signor avvocato! Mi dica subito che cos'è accaduto!
Contento: Ma non è accaduto nulla, benedett'uomo! Ciò che doveva accadere, è già bell'e accaduto, mi pare!
Bellavita: La disgrazia, lei dice ?
Contento: Appunto! E dovreste mettervi ormai il cuore in pace!
Bellavita: E come, signor avvocato ?
Contento: Ma sí, farci la croce, e non parlarne piú!
Bellavita: Io? Ia croce?
Contento: Non dico mica di non piangere piú, per vostro conto, la moglie che v'è morta. Piangetela quanto vi pare! Dico per la vostra... - come debbo chiamarla? - re... remissione, ecco, remissione che ha dell'inverosimile, caro Bellavita, nei vostri rapporti col Notajo.
Bellavita: Remissione ?
Contento: Sí, ma che pesa; pesa come un incubo, rendetevene conto!
Bellavita: Che vuol dire remissione, scusi? Non capisco.
Contento: Cercate di capirmi, santo Dio!
Bellavita: Che gli ho portato sempre rispetto ?
Contento: Ecco, già! troppo!
Bellavita: Troppo rispetto?
Contento: E che vogliate seguitare a portargliene!
Bellavita: Non vuole piú?
Contento: Non vuole piú!
Bellavita: Gli pesa? A lui?
Contento: Ma sí, perché il legame, capirete, sussisteva, ed era sopportabile, caro Bellavita, finché era viva la buon'anima di vostra moglie; ma ora che purtroppo vostra moglie non c'è piú - abbiate pazienza! - volete che il Notajo seguiti a rimanere legato a voi dal dolore comune, dal lutto comune per la perdita di lei?
Bellavita: E perché no?
Contento: Ma è ridicolo, scusate!
Bellavita: Ridicolo?
Contento: Ridicolo! Ridicolo! Non so come voi stesso non ve ne accorgiate!
Bellavita: E gli pesa ? A lui ?
Contento: Se la morte ha sciolto il legame, caro Bellavita! Cercate di comprendere! - Il dolore, se il Notajo lo ha (e lo ha!)...
Bellavita: ... ah, lo ha?
Contento: ... ma sí che lo ha! lo ha! - e il lutto, se vuole portarlo (e lo porta, nel cuore) - non c'è piú ragione, siamo giusti, che lo abbia e lo porti in comune con voi!
Bellavita: Perché teme il ridicolo? Ho capito! Io lo rispetto, e lui teme il ridicolo! Lui che per piú di dieci anni mi ha reso lo zimbello di tutto il paese, ora teme il ridicolo. - Lui!
Contento: Capirete, certe situazioni...
Bellavita: Capisco, Capisco. E non può immaginarsi quanto me ne dispiaccia, signor avvocato! - Ah! vuole disfarsi per questo di me e di Michelino?
Contento: Ma non disfarsi!
Bellavita: Allontanarsi: allontanare il ragazzo, a Napoli; e io - passargli accanto, fingere di non vederlo o di non conoscerlo piú, è vero? perché la gente non rida se gli faccio di cappello... - Ho capito, ho capito. - Bene, signor avvocato: gli dica, la prego, che quanto ad andare a trovarlo a casa io non andrò piú a trovarlo, né solo né col ragazzo; va bene? - Ma quanto a rispettarlo, eh! quanto a rispettarlo - mi dispiace - ma non posso farne a meno, glielo dica.
Contento: Come sarebbe a dire?
Bellavita: Eh, rispettarlo. Me lo può forse proibire? L'ho sempre rispettato, quando il rispetto poteva costarmi avvilimento e mortificazione; e vuole che ora, proprio ora, cosí d'un tratto, non lo rispetti piú? Non è possibile, signor avvocato! - Per forza, sempre, lo rispetterò: glielo dica.
Contento: Ah come allora, per dispetto?
Bellavita: No, che dispetto! Mi scusi: me l’insegna lui, ora, il mezzo di vendicarmi, e vuole che io non me ne approfitti?

A questo punto, dall'uscio a destra irrompe su le furie il Notajo Denora, seguito dalla signora Contento.

Denora: Ah tu vuoi dunque vendicarti cosí?
Bellavita: Io no, signor Notajo! Non l'ho mai voluto, io!
Denora: L'hai detto or ora all’avvocato
Bellavita: Ma perché lo vuole lei ora, signor Notajo! Io voglio rispettarla, com'ho sempre fatto; e nient'altro!
Denora: Per vendicarti, ora, però!
Bellavita: Nossignore! Per me è rispetto! Lo fa diventare lei ora una vendetta, perché vorrebbe impedirmelo!
Denora: Se non lo voglio piú!
Bellavita: Lei non lo vuole piú, ma io glielo voglio portare, scusi!
Denora: Ah sí ?
Bellavita: Mi dica lei come farei a non portarglielo piú. Gliel'ho sempre portato...
Denora: (fremendo). Ti prendo a calci, sai, Bellavita!
Bellavita: Forza, signor Notajo. Me li dia; me li piglio!
Denora: Bada, Bellavita, che te li do davvero!
Bellavita: Me li dia, me li dia! Le dico che me li piglio, e la ringrazio per giunta!
Denora: Ah sí, mascalzone ?

E gli si lancia contro, furente.

E allora tieni! tieni! tieni! Pezzo di canaglia!
Contento: (parandolo). No, per carità! Che fate, Notajo!
Bellavita: Forza! forza! Me li lasci dare! Me li piglio! Non vado cercando altro! E non basta qui, anche per la strada me li deve dare! Forza! Calci! E lo ringrazierò, pubblicamente!
Denora: (levando il bastone). Levatemelo davanti, per la Madonna, o l'accoppo! l'accoppo!

Escono dal primo uscio a sinistra, attratti dalle grida, sette o otto dei clienti dell'avvocato Contento, tra cui il signor Giorgino.

I clienti: Che cos'è? che cos'è? - Che avviene? - Il Notajo? - Con Bellavita?
Il sig. Giorgino: (premuroso, a Bellavita). Ti piglia a calci?
Bellavita: Sí, vede? perché voglio rispettarlo, mi piglia a calci!
Denora: Non è vero! Vendicarsi vuole! vendicarsi!
Bellavita: E di che? Di tutto il bene che gli ho sempre voluto? Testimonii tutti, se non è vero!
Denora: Sí, sí, ma è stata appunto questa la tua vendetta, cane!
Bellavita: Il bene che le ho voluto, per tutto il male che m'ha fatto?
Denora: Sí, sí! M hai tutto insozzato col tuo bene!
Bellavita: Per il ridicolo che gliene è venuto? - Ah che sollievo! Ah che sollievo, signori miei! Posso ridere! posso ridere! Ho pianto tanto! Ora posso ridere! Ridere e far ridere tutti con me del pianto che ho fatto finora per questo ingrato! Ah, che sollievo!
I clienti: Ma perché? - Che dice? - È impazzito?
Bellavita: La vendetta, la vendetta nuova di quanti siamo mariti ingannati! Non capite? C'è anche lei, qua,, signor Giorgino?

Tutti scoppiano a ridere.

Il sig. Giorgino: Io, che dici?
Bellavita: Sí, venga, venga avanti! Anche lei! Venga, signor Giorgino!
Il sig. Giorgino: Io, c'entro io, mascalzone?
Bellavita: Eh via, signor Giorgino, lo sanno tutti!
Il sig. Giorgino: (furente, scagliandosi). Sanno? Che sanno? Pezzo di farabutto!
Bellavita: Eh sia! Non faccia finta di non saperlo! Sente? Ridono tutti! E lo sa anche lei, via! Cervo! cervo come me! Ma non ne faccia caso, ché non è niente! Si vuole vendicare? - Veneri, veneri, si metta a venerare, a incensare davanti a tutti, l'amante di sua moglie; ecco, guardi come faccio io qua col signor Notajo guardi, guardi! Cosí! Riverenze, scappellate
Denora: (furibondo). Smettila, smettila, Bellavita, o t'ammazzo!

Si scaglia, ma è trattenuto.

Bellavita: Sí, sí, m'ammazzi, m'ammazzi! Riverenze, scappellate!
Denora: (divincolandosi). Lasciatemi! lasciatemene andare, o l'ammazzo davvero!

Lasciato, Denora se ne scappa tra le risate generali.

Bellavita: Ecco, vedete, se ne scappa! Ridete, ridete! Cosí, tra la baia di tutti! E ora gli corro dietro; e per tutte le strade, inchini, riverenze, scappellate, fino a non dargli piú un momento di requie! Vado dal sarto! Mi ordino un abito da pompa funebre, da fare epoca, e su, dritto impalato dietro a lui, a scortarlo a due passi di distanza! Si ferma; mi fermo. Prosegue; proseguo. Lui il corpo, ed io l'ombra! L'ombra del suo rimorso! Di professione! Lasciatemi passare! Esce, buttando indietro questo o quello tra i lazzi e le risa di tutti.

TELA