Benedetto fra le donne

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BENEDETTO FRA LE DONNE

Commedia in tre atti (1927)

di  Ettore Petrolini

da Petrolini – Il teatro

a c. di Giovanni Antonucci

Newton Compton Editori s.r.l – Roma - 1993

Personaggi

Benedetto Buriana

Teodoro Mastica

Elena, sua figlia

Paola Bozzi

Jole, sua nipote

Pietro Pomice

Romeo Lagnoni, suo nipote

Tommaso Mosca

Ginetta, sua moglie

Filippo Pallotta

Romoletto

Matilde, padrona del caffè

Marcuccio, cameriere

Lalletta

Gagliardo Tosti

Cav. Martino Tuzza

Pio, cameriere

A Roma, ieri, oggi, domani.

Nota: La commedia, pure essendo di ambiente romano, non vuole avere carat­teri prettamente dialettali, ed è stampata come io e la mia Compagnia la recitiamo.

L'A.


ATTO PRIMO

Trattoria di campagna. Tavolini apparecchiati. A destra dello spettatore, palazzina con grande arco dove s'intravede la scala per la quale si accede alle sale superiori. Sopra l'arco un finestrone praticabile da dove si affaccerà Elena. A sinistra, sopra un tavolino delle stoviglie e delle posate d'argento. All'alzarsi della tela sono seduti intorno ad un tavolino, Paola, Jole e Filippo che hanno consumato delle bibite.

Filippo      (tirchio, pedante, sornione, tipo mosca cavallina): Io non riesco a capì! M'avete tanto pregato de venì qui con voi e adesso all'improvviso alla signorina Jole j'è venuto un urto de nervi, una smania... pare che stia in castigo!

Paola        (vanesia, viperina, condensato di vita vissuta, sempre giovineggiante): Non è niente... so' cose passeggiere, è l'età... adesso je succede tanto spesso, che io oramai non ce faccio più caso.

Filippo:     Me rincresce tanto, non so che farei per vederla de bon umore! (Con intenzione.) Ce vorrebbe che capitasse da 'ste parti quel simpaticone de Benedetto.

Jole          (vispa, fresca, civettuola, amante del divertimento. Seccata): Che c'entra Benedetto? (Rivolgendosi a Filippo:) E voi fateme el piacere,  risparmiateve queste frustate, che a me de Benedetto non me ne importa proprio niente. E poi lui che ne sa che noi se trovamo qui?...

Filippo:     Eh, no, lo saprà!... Voi ve siete scordata che ieri sera m'avete domandato davanti a tanta gente, se v'accompagnavo qui... Ora figurateve se lui non vedendovi a casa, non s'è informato de tutto!

Jole:         Ma che je preme a lui de me? Io saranno quindici giorni che non ce parlo.

Paola:       Noi semo venute per un altro motivo. Oggi qui c'è lo sposalizio d'una ragazza che conoscemo de vista, ma dico la verità non so dove avrà preso el coraggio de mettese li fiori d'arancio.

Jole:         Zia, che dite?...

Paola:      Dico quello che è. Del resto a noi non ce n'importa niente.

Jole          (a Filippo con interesse) : Allora voi l'avete visto Benedetto? Ciavete parlato?

Paola:       Dio, quanto sei noiosa co' 'sto Benedetto!...

Filippo      (sentenzioso): Eh, la lingua batte dove el dente dole!

Jole:         La bocca parla e dice le parole!

Filippo      (meravigliato della  risposta appropriata):  Brava,  signorina Jole!... Me credevo che piovesse, ma no che diluviasse? E voi, sora Paola, se non me sbaglio, non lo vedete tanto de bon occhio...

Paola:       Me ne fido poco! È inquilino nostro da circa un anno e ho avuto campo de studiarmelo bene...

Jole:         Ma a voi che v'ha fatto? Non ha pagato sempre puntualmente la pigione?

Paola:       Vedrai che fra poco non potrà pagà più nemmeno quella! (A Filippo:) Quei pochi soldi che j'aveva lasciati el padre, in poco tempo se l'è mangiati; non ha mai avuto fantasia de lavorà e adesso, se non me sbaglio, deve sta' proprio con l'acqua alla gola.

Filippo:     Non se direbbe; lo vedo sempre tutto sciccoso, impainato!

Paola:       Se parlasse el sarto!... Tanto è venuto poche volte a cercarlo a casa!

Filippo:     Ma a quel che pare, lui non se ne piglia. È rimasto proprio senza niente? (Cenno espressivo per significare denaro.)

Paola:       No... adesso come entrata, je so' rimasti li dodici mesi dell'anno...

Filippo      (con malignità): Beato lui! E pure fa sempre baldoria, se diverte con le donne... Ieri sera l'ho visto con quel Romoletto che ce va sempre insieme; che tipo è quello lì?

Paola:       Ah, è una bona pezza! E un tipo de quelli che je dicono: «Favorisca in questura!».

Jole          (a Filippo con vivo interessamento, mal reprimendo la gelosia): L'avete visto voi fa' baldoria con le donne?

Filippo:     Ve fa tanta meraviglia? È un giovanotto allegro, je piace el divertimento, va appresso alle donne, fa bene; del resto non ha fatto la corte pure a voi?

Jole:         A me?!...

Paola        (a Jole ironicamente): Ma sì, non fa' la finta tonta, che t'ha girato intorno! Dimme piuttosto che te sei accorta che agiva male. (A Filippo:) Capirete, faceva lo scemo con lei, e poi la notte non veniva a dormì a casa.

Jole          (indifferente): Non c'è stato mai niente de serio; co' me scherzava.

Filippo:     Ma dite la verità, non ve sarebbe dispiaciuto se avesse fatto sul serio.

Jole:         Per carità! Io, con quello squilibrato?

Paola:       E allora, perché ne parli tanto?

Jole:         Perché non ne devo parlà? A me non m'ha fatto niente de male; co' me è stato sempre generoso; se avessi voluto m'avrebbe riempita de regali.

Paola:       Faceva l'obbligo suo; j'hai guardata la biancheria, stirati li vestiti; t'ha pagata!

Jole:         Sì, ma troppo profumatamente, quello che j'ho fatto so' piccolezze.

Filippo      (taglia corto): Eh, ho capito, ho capito... (A voce alta:) Cameriere!

Cameriere (Il solito falso bene educato, entrando:) Comandi!

Filippo:     Quant'è?

Cameriere: Quattro e cinquanta!

Filippo      (paga e per cambiare discorso): Oggi gran movimento?

Cameriere: Contentiamoci...

Filippo:     Dove lo fanno el pranzo de lo sposalizio?

Cameriere: Ma come, il signore non ha visto? Abbiamo le sale superiori, con un salone capace di cinquanta coperti. (Indicando.) Prego... prego... vuol vederlo?... Si accomodi...

Filippo      (vista la situazione imbarazzante, approfitta dell'occasione per allontanarsi e togliersi d'impaccio): Con permesso un momento... (Via con il cameriere.)

Jole:         Io l'ho capita l'antifona! Ma che s'è messo in testa? Che se vorrebbe paragonà con Benedetto? Ha detto tante cose, ma s'è scordato che quando un uomo è stagionato come lui, e cerca una ragazza, diventa come el professore... che accorda la chitarra ma poi la fa sonà all'altri!

Paola        (smargiassa): E che sarebbero 'sti paragoni? Che modo è de parlà? Bada che te dò uno sganassone che te faccio cascà li denti! (Con un buffo tono civile:) Ma guarda un po' che modo di esprimersi!...

Jole:         Che sarà mai quello che ho detto?

Paola        (c.s.): Lo so io, tu volevi dire: che quando l'uomo attempato cerca la donna giovane, diventa come el creditore e el debitore, che uno sospira perché non può avere e l'altro se lagna perché non può dare! Ecco, se almeno avessi detto così era un'altra cosa...

Jole:         Ma quello che dite voi è la stessa cosa... e pure peggio! (Irritatissima:) Comunque sia, diteje che se ha perso li sentimenti vada al manicomio.

Paola:       Ma se non ha proferito parola, pover'uomo!

Jole:         Sì, ma io ho capito tutto quello che non m'ha detto... e che pure voi avete capito meglio di me!

Paola:       Credi a me... non sarebbe stato un cattivo affare.

Jole:         Fatelo voi questo affaruccio si ve piace!

Paola:       Magari! Ma da quell'orecchio non ce sente... Ma chi lo sa? Non è detta l'ultima parola; finché c'è vita, c'è speranza.

Jole:         Adesso va bene! Lavoratevelo voi... Ma guarda un po' che bel progetto! Nemmeno la vergogna! (Via sgarbatamente, da sinistra.)

Filippo      (entrando): Bel salone, bello davvero! (Seguendo Jole con lo sguardo.) Che j'è successo a Jole?

Paola:       Un momento de nervi! (Graziosa e insinuante.) Sor Filippo mio, credo che non sia el caso nemmeno de parlargliene. Me dispiace  tanto... So bene che razza de galantomo siete, e figurateve la contentezza mia de fa' tutta una famiglia! Io posso disporre de me come voglio, ma lei non la posso sforzà... posso sforzarme io!... (Pavoneggiandosi.) Consolateve co' me, che ancora non so' da buttà via...

Filippo      (sorpreso): Ma vedete... fra voi e lei...

Paola        (pronta): Ho capito... scegliere non saprei... (Lo prende sottobraccio affettuosamente e facendogli delle moine escono da destra.)

Cameriere(entra, riordina le sedie, accende una sigaretta e si siede con una certa posa da sembrare un cliente in luogo di cameriere. Gagliardo arriva in fondo) : Bene arrivato e auguri!

Gagliardo(sbafatore di bella presenza:) Grazie, ma io non sono lo sposo!... (Presentandosi:) Gagliardo Tosti.

Cameriere: Quale onore! (Pomposo:) Pio Mancia.

Gagliardo: Pio?...

Cameriere: Mancia...

Gagliardo: Credo di essere arrivato troppo presto; non c'è un cane! (Un cane attraversa la scena.[1])

Cameriere: No, vede, il cane c'è. I modi di dire sono quasi sempre sbagliati.

Gagliardo(guardando l'orologio): Dunque, il corteo nuziale non è ancora arrivato?

Cameriere: C'è qualcuno ma non saprei dirgli se sono invitati. Ad ogni modo manca un quarto alle due, ora fissata per il simposio. È invitato il signore?

Gagliardo: Veramente io sono amico dei coniugi Mosca, intimissimi della sposa, che ho conosciuto anch'io in altri tempi, per una strana combinazione. (Con intenzione:) Non so neanche se la mia presenza le sarà gradita... Lei si trova qui da molto tempo?

Cameriere: Da una settimana, ma dopo questo sposalizio mi licenzio.

Gagliardo: Scusi, non capisco, perché?

Cameriere: Non mi conviene, io sono abituato in altri ambienti. Questa clientela fa schifo!

Gagliardo: Ma lei chi è?

Cameriere: Il cameriere.

Gagliardo(meravigliato e seccato dell'equivoco): Scusi, non immaginavo. È così elegante... Le darò qualche cosa... (Gli consegna il cappello e il bastone.) Tenga, mi faccia il piacere.

Cameriere(sprezzante): Avevo ragione di dirle che la clientela è quella che ho detto? (Via.)

Gagliardo(salutando i coniugi Mosca che entrano seguiti da Martino, Teodoro e da Elena che porta il tradizionale mazzo di fiori d'arancio): Bene arrivati! Auguri vivissimi!

Teodoro(collezionista di strafalcioni, chiamando): Garson!Cameriere! Garsonniere!

Cameriere(entrando): Ai suoi ordini...

Martino   (temperamento di cretino assoluto) : Tutto in regola? Quanto manca?

Cameriere: Se vogliono accomodarsi, in dieci minuti è tutto pronto.

Teodoro:      No, no, volemo accomodasse subito e mangiare tosto. (Cameriere via.)

Martino: Nel frattempo vogliamo fare un giretto per questi ameni luoghi? (A Ginetta:) Che ne dite, signora?

Ginetta    (consorte fedele secondo le circostanze): Meravigliosa idea!

Tommaso(autentica espressione dell'uomo inutile): Io resto qui a leggere un po' il giornale. Vai tu, Ginetta.

Ginetta:   Andiamo, Elena?

Elena        (sposetta di seconda mano, ancora in buono stato nervosissima): Andiamo pure, per quanto io ci tengo così poco!

Teodoro(a Elena): Ma, sì, vai, resta, fa' come te pare, apposta avemo scelto la campagna, per essere liberali e democratici... Andate, andate, esequie esequie a tutti!

Gagliardo: Ma cos'è, un funerale?

Ginetta:   Che hai Elenuccia, sei nervosa? Vieni che ti presento il signor Gagliardo...

Gagliardo: Tosti. Capisco signora, è passato tanto tempo, ma sono sempre quel Gagliardo!

Ginetta:   Ma come, lo conosci?

Elena        (con affettata indifferenza) : Così, di vista.

Gagliardo(con intenzione): Sì, alla lontana, qualche anno fa, è vero?

Cameriere(entra): Pochi minuti e siamo pronti!

(Via, Elena consegna i fiori a Martino ed esce sotto braccio a Gagliardo seguiti da Ginetta e Teodoro.)

Martino   (rimane goffamente in mezzo alla scena con i fiori in mano guardando stupito la sposa che si allontana. Una pausa, poi si fa coraggio e chiama Teodoro, che si avvia con gli altri): Un momento, caro suocero. Vorrei dirvi qualche cosa di una certa importanza.

Teodoro:      Parlate, carissimo genero.

Martino: Elenuccia mi sembra di pessimo umore.

Teodoro:      Ma per carità, è umoristica più di quello che credete.

Martino: Oso domandarvi schiettamente: siete sicuro che in queste nozze, vi sia il pieno consenso del suo cuore?

Teodoro:      Ma che idee bislacche, caro cavaliere! Ma sì, state certo!... Quando avrete meglio conosciuto la temperatura di mia figlia, la potete apprezzà. Dio mio, non è più una primizia, ormai è una donna adultera, sa quello che fa. Capisco, è un po' timida, è una sentimentalona... Tenete calcolo, che sua madre è morta da poco tempo, con l'incefalite metallurgica, e io solo conosco il cuore di quella ragazza... E stata attaccata al capezzolo della madre, finché non ha sentito l'ultimo vagito.

Martino   (riprendendolo): Al capezzale?! Capisco, capisco... Grazie. Dunque posso stare tranquillo?

Teodoro:      Ma tranquillissimo, lillare  e giulivo... V'ho detto, è stata un po' straziata dal dolore e, se capisce, a forza de patiboli e privative, è diventata un po' nervosa.

Martino: Oso farvi un'altra domanda...

Teodoro:      Dite, dite pure...

Martino: Cosa credete, che io sia di suo completo gradimento? Le piacerò fisicamente? Vi ha detto mai nulla?

Teodoro:      Veramente, con me non s'è mai sbottonata. Ma io penso che mia figlia con voi, ha guardato più alla solidarietà che all'estasi.

Martino: Sarebbe a dire?

Teodoro:      Che tutto al mondo non se po' avé. Quando ce so' molti quattrini, non bisogna guardà, come se dice... l'estasi ossia l'ostetrica;  li quattrini coprono tutte le magagne, ma questa è un'impressione mia perché lei non mi ha mai detto mai niente. Li vostri so' scrupoli, che ve passeranno col convitto insieme. Voi avete promesso de non faje mancà niente, e so' sicuro che quando ve sarete conosciuti a Vicenza, ve vorrà tanto de quel bene, che diventerete trasparente.

Martino: Grazie, grazie m'avete rinfrancato. (Entrano Elena, Gagliardo, Ginetta.)

Ginetta:   Ancora non si mangia? Io ho un appetito!

Gagliardo: Siamo pronti?

Cameriere(entrando): Pronti! Pronti!

Gagliardo(a Elena): Si accomodi, signora.

Elena:       Siete molto compito.

Teodoro:      Al pasto! Al pasto!

Gagliardo: Che siamo al serraglio?

(Tutti si avviano verso la porta di fondo, per salire alle sale superiori.)

Teodoro:      Andiamo, sor Tommaso!

Tommaso: Un momento! Vengo, vengo subito! (Siede vicino al muro tra l'arco e il pilastro e legge il giornale.)

(Da sinistra sbuca Benedetto che lo sbircia altezzosamente e senza parlare, con i soli gesti, l'obbliga ad alzarsi e a cedergli il passaggio tra la sedia e il muro. Dopo l'azione, Tommaso siede allo stesso posto, Benedetto torna indietro e prepotentemente costringe Tommaso a ripetere la stessa azione.)

Benedetto(eternamente sfaticato, scombinato, squattrinato, sfacciato, imbroglioncello per natura, scroccone di professione, pigliacuori di vocazione; le donne non lo amano ma gli girano intorno come vespe per puncicarlo, per dargli quel tanto di emozione e di celebrità da vicoletto, che lo esalta, lo stuzzica, lo appaga. Piange, ride, soffre e si diverte con la sua filosofia logica ed illogica):

Scusi, c'è tanto posto, proprio qui deve sta' seduto?

Tommaso(vorrebbe protestare ma non si azzarda; timidamente ardisce): Scusi, è un invitato lei?

Benedetto: Ma, non so! Adesso vedrò.

Tommaso(con un risolino a fior di labbra): Oh bella, adesso vedrò!... Che tipo!

Benedetto(aggrottando le sopracciglia): Senti un po' chi parla di tipi!...

Tommaso: Scusi perché mi guarda così insistentemente?

Benedetto(sfottente): Guardavo la sua testa! Me la potrebbe prestare, per fare una parte da scemo?

Tommaso: Ma cosa dice!

Benedetto: Niente, dico che lei per il mio temperamento ha vissuto fin troppo.

Tommaso(intimorito se la svigna nella porta in fondo, mormorando): Che strana gente deve circolare per il mondo!

Jole          (entra da sinistra, sorpresa di vedere Benedetto. Ironica): Ah, siete voi? Io credevo che eravate morto; già m'ero data l'anima in pace!

Benedetto: Grazie del pensiero gentile! Piuttosto domando a voi, com'è che ve trovate da queste parti?

Jole:         E voi perché ce siete venuto?

Benedetto: Ah, io so' venuto qui perché ciò un rendez-vous...

Jole:         Che sarebbe?

Benedetto: Un appuntamento in francese, con un amico mio romano, un certo Romoletto.

Jole          (ridendo): Infatti Romoletto è un personaggio importante! Era un disonore per voi dì che ve trovate qui per me?  (Risentita:) Ma quanto so' scema io, a perde el tempo con voi. Dice bene quello: chi non cià li guai se li va cercando.

Benedetto: Ah, lo dice quello. Chi è quello? Sento sempre dì: tu sei come quello, tu fai come quello, diceva quello; e io quello non l'ho conosciuto mai!

Jole:         Quanto siete spiritoso! Aspettate che adesso chiamo mia zia col sor Filippo.

Benedetto: No, per carità, non chiamate nessuno. Non me pare vero de parlà con voi da solo a solo.

Jole:         No, non me va da parlà. Andate pure a fà el mucinella con quella scrofolosa de Giulietta, che non me ne importa proprio niente!

Benedetto: Dio, come siete esagerosa e fulminante; v'accendete per niente!

Jole:         Avete el coraggio de negarlo?

Benedetto: A negà non ce vo' nessun coraggio. Ce vo' coraggio a dì la verità. Ma quello che non posso mandà giù è l'affare del mucinella. Ciò fatto l'amore prima de conosce a voi... ma non j'ho smucinato niente. Riconosco solo che con voi ciò tanti torti, la notte mi indugio a rincasare, molte sere a notte inoltrata...

Jole:         Ma che discorsi so', come parlate?

Benedetto: Parlo l'italiano. Volevo dì che la notte faccio tardi... Poi sò arretrato col fitto, sarebbe come dì che devo paga diversi mesi de pigione...

Jole:         Avete ricevuto lo sfratto? V'è stata chiesta qualche cosa?

Benedetto: No, è vero, tutta bontà vostra... ma ve ricompenserò, perché so' sicuro che da un momento all'altro metto giudizio...

Jole: Scuse magre! Voi, quando avete cominciato a fa' lo scemo co' me, dovevate lascià perde Giulietta e tutte le sgualdrine de vostra conoscenza.

Benedetto: Non v'arrabbiate, non ve fate più cattiva de quello che siete! Calmateve, se non altro, per quel po' de simpatia che c'è stata fra noi... per qualche piccolo ricordo che ce lega!

Jole:         Che ce legava, vorrete dì! Ormai non c'è rimasto che un ricordo assai lontano.  E adesso fateme el piacere, lasciateme in pace, perché tutto passa, finisce, e se scorda...

Benedetto: Sì, lo so pure in francese: tout passe, tout lasse, tout casse. Ma ricordateve che dove c'è stato el foco, ce rimane sempre l'odore del bruciaticcio. Ve giuro che Giulietta con me non cià più niente, è stata una cosa passeggiera, transitoria... Quando me so' accorto che non c'era niente da fa', ho preso una risoluzione; c'erano due strade, o lasciarla, o metteme a lavorà: ho preferito lasciarla.

Jole:         Non credo.

Benedetto: I romani quando dicono una cosa è quella.

Jole:         Ecco la solita storia del romano! Perché è romano, chissà chi se crede da esse! Sarete un omo come un altro.

Benedetto: Non discuto; però fin dal paganesimo, quando li romani pagaveno e parlaveno latino, se un romano diceva: civis romanus sum... l'altro che non era romano si doveva appecoronare. Dunque vedete...

Jole:         Vedo che siete un impostore!

Benedetto: Adesso m'insultate!

Jole:         È sempre poco, perché siete falso, finto e traditore!

Paola        (che ha sentito le ultime parole entrando con Filippo) : Meno male che te nei sei accorta!

Filippo      (a Benedetto, ipocritamente): Oh, guarda chi se vede!

Benedetto: Ecco questi due cipressi! (A Filippo:) Mettetece una bona parola, è un'ora che m'offende.

Filippo:     Voi siete un giovanotto troppo stravagante!

Jole:         Adesso basta, non perdemo più tempo! A lui je piacerebbe da comprometterne de più e poi fa' el finto tonto. (Via a sinistra.)

Filippo:     Ma quando metterete la testa a posto?

Paola:       Mai!... Lui la testa la vo fa' perde all'altri, ma co' noi s'è sbagliato... via... via!

Benedetto(a Paola): Già, perché a voi non ve sarebbe piaciuto! Ricordateve quando aspiravate al mio fisico, quando me volevate costringere all'amore illegale!

Paola        (scandalizzata): Ma non je date retta...

Benedetto: Che bella maniera!... Adesso ve n'andate tutti così, senza dì né asino, né bestia.

Paola:       Bestia! (Via con Filippo.)

Benedetto(vede appoggiato sul tavolino il bastone di Tommaso e in atto di rabbia lo spezza): Porca miseria! (A Tommaso che è rientrato:) Bestia sarà lei!

Tommaso: Io? Signore, lei mi ha rotto il bastone.

Benedetto: Chi gli dà confidenza? De che s'impiccia? Chi lo conosce?

Tommaso: Ma io gli faccio riflettere...

Benedetto: Ionon rifletto mai!

Tommaso: Il bastone...

Benedetto: Cosa m'importa del bastone, che era mio?

Tommaso: Ma signore...

Benedetto: Io non so' un signore, so' un poveraccio.

Tommaso: Lei mi renderà ragione. (Cerca di accomodare il bastone spezzato in mezzo.)

Benedetto(guardandolo): Adesso accomoda le disgrazie? Nemmeno la vergogna a fa' tanto chiasso per un bastonaccio col manico de piombo. Non me ringrazia che gliel'ho rotto? Quello è un bastone che porta scarogna; se non c'era quel bastone lì, non me succedeva quello che m'è successo.

Tommaso(intimorito): Il signore è uno degli invitati, capisco, ha voluto farmi uno scherzo.

Benedetto: Io non scherzo mai, tanto meno con lei che cià una faccia, che è la calamita de li schiaffi. (Fra sé, riandando con il pensiero a Jole:) Come m'ha lasciato! Che figura che ciò fatto, proprio la figura de lo scemo! Che ne dice?

Tommaso(consenziente): Ma sicuro, proprio così, lei ha mille ragioni.

Benedetto: Sicché io so' uno scemo!... E poi badi che la ragione se dà a li matti.

Tommaso: Dio me ne liberi se volevo fare questa allusione, scusi tanto, mi perdoni...

Benedetto: No, mi perdoni lei!

Tommaso: È lei che deve perdonarmi.

Benedetto(dando un pugno sul tavolino): Oh, dico, basta. È lei che deve perdonarmi... così, si vendica!

Tommaso: Perché?

Benedetto: Perché la miglior vendetta è il perdono! (Pausa.) Dunque sopra c'è uno sposalizio?

Tommaso: Già, e il signore è invitato?

Benedetto: Sì, un po'... Veramente vorrei fa' una sorpresa...

Tommaso: Faccia, faccia pure.

Benedetto: Eh lo credo; che per fa', devo domandà el permesso a lei? Come se chiama lei?

Tommaso: Mosca Tommaso.

Benedetto: E che m'importa?

Tommaso(si alza; ha fretta di svignarsela): Permette... E scusi tanto che il manico del bastone era di piombo.

Benedetto: Ah, io non porto rancore!

Tommaso: Grazie. Riverisco signore. (Fra sé, andando via:) Ma che razza di squilibrato a piede libero! (Esce.)

Benedetto: E inutile, io me lascio trasportà da la collera, e non me ricordo più che so' quattordici ore che non mangio. Ciò una fame che me se so' arruzziniti li denti.

Cameriere(entra): Comanda il signore?

Benedetto(finge di non comprendere e gli stringe amichevolmente la mano): Io non ho mai comandato. Veramente non ho appetito... e poi aspetto un amico, decideremo dopo.

Cameriere: Come crede... se vuol passare sopra...

Benedetto: Adesso non me serve niente, caso mai m'occorre chiamerò.  Io amo l'aria aperta...  la campagna...  el  pergolato...  el verde... io sto al verde... vai, vai pure, te chiamo io. Come te chiami?

Cameriere: Pio.

Benedetto: Va bene, io adesso non pio niente.

(Cameriere esce.)

Romeo Lagnoni(il cognome descrive il tipo. Entra; angosciato, timido, supplichevole, si avvicina a Benedetto): Scusi, scusi tanto...

Benedetto(che si trova con le spalle voltate, credendo di rispondere a un mendicante): Dio ce provvede! Non ciò nemmeno un soldo spiccio. (Si volta, lo guarda sorpreso:) Non sei un mendico?

Romeo:     No. Scusi, lei è qui da molto tempo? Mi perdoni sa... ma se non me sbaglio noi se conoscemo.

Benedetto: Sì, me pare... de che rione sei? Non abitavi al vicolo del Sam...

Romeo      (interrompendolo): ...buco!

(Per due o tre volte Benedetto cerca di pronunciare intero il nome della via, ma Romeo sempre glielo impedisce ripetendone l'ultima parte.)

Benedetto(prevenendolo): ...buco! Ma tu non sei Romeo Lagnoni? Non sei stato a scola co' me da li Carissimi?

Romeo:     A la salita de li Zingari, vicino a la Madonna de li Monti.

Benedetto: Che hai fatto sei anni la prima elementare!...

Romeo:     Sì, aspetta... tu te chiami Benedetto...

Benedetto: Buriana! Quanti anni è che non se vedemo... da ragazzini! Poi t'ho perso de vista...

Romeo:     So'stato tanti anni fori... a Mortara.

Benedetto: Dove?

Romeo:     A Mortara, con mio zio.

Benedetto: Me pare che sei un po' stralunato, che t'è successo?

Romeo:     Dimme un po', è un pezzo che stai qui?

Benedetto: Da quando so' arrivato.

Romeo:     Sai niente s'è venuta una coppia de sposi?

Benedetto: Sì, là sopra c'è uno sposalizio...

Romeo      (desolato): Non me so' sbagliato allora, è vero... perfida, perfida! Sei proprio sicuro che sia Elenuccia?

Benedetto: Speramo, cocco mio! Ma che hai? Sei pallido, te senti male? (Con destrezza gli fruga nelle tasche, tirando fuori cose insignificanti, che getta via senza che Romeo se ne avveda.)

Romeo:     Sì, tanto, tanto male!

Benedetto(frugando nelle tasche): Eppure non cià niente... (Volendo significare che non ha trovato denaro.) Ma allora bisogna piglià qualche cosa: un par de tazze de brodo con un ovo sbattuto dentro... In questi casi ce vo' energia e roba da mangià. Cameriere! Cameriere!

Elena        (si affaccia al finestrone, vede Romeo, fa cadere il fazzoletto per avere il pretesto di scendere a raccoglierlo): Ah! È lui! (Si ritira.)

Romeo:     Dio! M'ha visto! Ingrata, spergiura! Amico mio, non m'abbandonà!

Benedetto: No, non t'abbandono fino a che non ho visto bene... come stanno le cose!

Romeo:     Lasciame... lasciame... voglio ammazzarla!

Benedetto(trattenendolo): Aspetta, l'ammazzamo dopo mangiato.

Romeo:     Fammela almeno oltraggià.

Benedetto: Non te compromette, te l'oltraggio io! (Elena appare e raccoglie il fazzoletto.) Hai visto che manovra che ha fatto?

Elena:       Tu... qui... perché sei venuto?

 (Questa scena per l'effetto parodistico, deve essere eseguita col tono tragico da marionette.)

Romeo:     Per assistere alla mia infelicità!

Elena:       È dipeso dalla tua lontananza e dalla volontà del padre mio!...

Benedetto: Dove seder degg'io?

Romeo:     Se mi amavi, dovevi avere il coraggio di resistere!

Elena:       Era impossibile! I tuoi viaggi a Mortara... l'ostilità di tuo zio... ho sposato per disperazione! Barbaro!

Romeo:     Scellerata!

Benedetto: Orsù, fate che lo sdegno e l'ira si dissipi!

Romeo:     Fuggi dal mio cospetto!

Benedetto: Orvia, disgombra, dileguati, partiti e lungi vanne!

Elena:       Addio, incostante! (Si avvia.)

Romeo:     Un attimo! Un istante!

Benedetto: Alt! (Elena obbedendo al comando si volta di scatto facendo una piroetta.)

Romeo:     Ch'io ti rimiri ancor perfida e bella...

Benedetto: Nol niego è bella, ma pur tu sei vago...

Romeo:     Che so', io?

Benedetto: Vago... leggiadro... frescone!

Elena:       Addio... Ho fatto il mio dover, son fuor d'impaccio.

Romeo:     E sviluppato il nodo!

Benedetto: E sciolto il laccio.

Voci dal salone: La sposa!... Vogliamo la sposa!

Benedetto: Fuggi, fuggi o sei perduta... Nemmeno il ciel salvar ti può!

Elena:       Vattene... dimenticami... ti scriverò!... E voi, signore, non lo lasciate in balìa di se stesso... non l'abbandonate!...

Benedetto(abbracciandola sfacciatamente): Per carità, e chi lo lascia più? È l'unico amico che m'è rimasto!

Ginetta    (d. d.): Elenuccia!

Elena: Dio! Mi chiamano!... Vengo! (Via.)

Benedetto(per destare Romeo che è rimasto con gli occhi sbarrati nel vuoto come intorpidito, gli dà uno scapaccione): Lagnoni, obliala! Pure tu, sei poco scemo, te ne vai a Mortara, quella s'è creduto ch'eri morto! Hai sentito, ha detto che scrive, dunque la cosa te se mette meglio che se la sposavi. Adesso non fa' el bighimeo; loro stanno a mangià e noi famo altrettanto! Non ave' paura, ce so' io, ho promesso de non abbandonarti e non t'abbandono. Adesso pensamo a mangià, se non altro per faje dispetto.

Romeo:     Sì, hai ragione, me voglio stordì... ordina vino, vino!

Benedetto: Ma el vino solo a digiuno fa male, ce penso io! (A voce altissima:) Cameriere! Cameriere!

Cameriere(entrando): Comandano i signori?

Benedetto: Beato chi te vede! Sai quanto tempo è che te chiamo? Da prima della guerra!

Cameriere: Perdonino, sono solo, e oggi per l'appunto c'è una ressa tale!... Che cosa posso servire?

Benedetto: Porta subito un litro de vino, el pane e l'antipasto. Io poi, strada facendo, te dico el resto. (Cameriere via. )

Romeo:     Dio! Che spasimo! Non me sarà possibile mangià. Non ho proprio fame!

Benedetto: Eh! lo so', la fame tua è un'altra. Adesso tu mangi un antipasto de gelosia, una minestra de dolori, un arrosto d'affanni, el pane de la pazienza, el vino lacrima Christi e al resto ce penso io.

(Cameriere entra portando il pane, un litro di vino, antipasto di prosciutto e olive; Benedetto dopo avere sciacquato il suo bicchiere con un dito di vino, invece di gettarlo lo versa nel bicchiere di Romeo e glielo riempie con il vino del litro, quindi tranquillamente si mette a mangiare.)

Romeo      (al cameriere): Sopra hanno finito?

Benedetto: Pasta asciutta per due, poco cotta.

Romeo:     Lei dove sta?

Cameriere: In cucina.

Romeo:     La sposa?

Cameriere: No, la pasta asciutta...

Romeo:     Ioparlavo della sposa.

Benedetto: E lui della pasta asciutta! (Al cameriere:) Poi, che altro ce sarebbe?

Romeo:     Chi c'è vicino a lei?

Cameriere(rispondendo a Benedetto): C'è un pollo in padella con broccoletti di rapa.

Romeo:     Vicino alla sposa?

Benedetto: Ma no, vicino alla pasta asciutta. E allora porta tutto insieme, poi formaggio e un pacchetto de sigarette Giubek morbide.

Cameriere: I frutti li vuole?

Benedetto: Come no? Me so' mangiato el capitale, e vòi che non me mangio li frutti? (Cameriere via.) Andiamo, su coraggio, non sospirà! Vòi una fettina de grasso de presciutto?...

Romeo:     Non me sarà possibile mandà giù un boccone!

Benedetto: Non fa niente, me sacrificherò io per te. Intanto tu raccontame la sventurata storia dei tuoi amori.

Romeo      (drammaticamente): È un'infame, un'ingrata, una spergiura!

(Cameriere torna per cambiare i piatti.)

Romeo:     Sopra hanno finito?

Cameriere: C'è ancora il dolce, frutta, caffè e liquori.

Romeo:     E lei mangia?

Cameriere: Sì, gli avanzi di tutti!

Benedetto: Hai capito, se mangia l'avanzo de tutti!

Cameriere: Perdono, il signore parlava della sposa e io credevo volesse alludere a me. Per la verità le dirò che la signora ha mangiato di buon appetito. (Via.)

Romeo      (piagnucoloso): Hai sentito, ha mangiato de bon appetito!

Benedetto: Ma se capisce, che te credi, perché tu non hai fame, pure l'altri stanno a digiuno?

Romeo:     Hai raggione, me voglio stordì, voglio dimenticà a ogni costo! Damme da bere.

Benedetto: Oh, bravo, così me piaci! Quella è una donna che non merita niente, è stata concepita co' la malizia nascente e il pudore moribondo, è un'ingorda, una gargantona! Mentre tu stai qui dilaniato dal dolore, lei mangia, beve... e non basta, hai sentito el cameriere ha detto che se mangia pure l'avanzi de tutti... In che tempi che vivemo! C'è la crisi della bontà e dell'amore! Gira pel mondo un'avarizia schifosa... Non c'è più fratellanza, non c'è più riconoscenza! Se qualcuno te presta qualche soldo, lo rivò... Fra amici, fra fratelli, questo non dovrebbe esiste. Quello che è dell'uno dovrebbe essere pure dell'altro... L'amicizia dovrebbe esse una cosa santa, leale, comme quella d'Oreste e Pilade! Che te credi che Oreste ha detto qualche volta a Pilade: t'ho prestato cinquanta lire, ridammele?... Ah, no, caro mio, io queste cose non l'ho mai lette nei libri de storia! Vie' qua, fatte coraggio, bevi, pigliate una bella sbornia e lascia perde Elena, perché fu la causa della distruzione dell'impero Troiano.

Romeo:     Hai ragione; ma come conosci bene la mitologia! Elena sacerdotessa di Diana...

Benedetto: Sorella di Clitennestra...

Romeo:     Figlia di Giove...

Benedetto: Regina di Sparta...

Romeo:     Rapita da Teseo...

Benedetto: E poi dai fratelli Castore e Polluce...

Romeo:     Sposò poi Menelao, Re di Sparta...

Benedetto: E non contenta di Menelao, se fece rapì da Paride, che se la portò a Troia.

Romeo:     È vero! Ma come le sai tutte 'ste cose?

Benedetto: L'ho lette sul Nuovissimo Melzi parte scientifica.

Romeo:     Damme, damme da bere, me voglio ubbriacà.

Benedetto: Te ubbriaco io, non ave' paura!

Romeo      (beve): Dio, me gira la testa! Non ne posso più, ho bisogno d'aria... de terra... de moto...

Benedetto: Come te vie' in mente el terremoto?!

Romeo:     Non resisto più, portarne via!

Benedetto: Aspetta un momento... Accidenti che poca fermezza de carattere ciài! Che sei una creatura?

Pietro      (secco, energico, sentenzioso. L'uomo che non deroga, entrando): Non mi sono ingannato, lo sapevo di trovarti qui, sciagurato!

Romeo      (confuso): Ziomio, siete venuto fino qui?

Pietro:     Sì, sono venuto per farti rientrare in te stesso, anima di pasta frolla.

Benedetto: Ha ragione.

Pietro:     Chi è questo signore che mi dà ragione?

Romeo:     Un amico mio carissimo, siamo stati a scuola insieme, ci siamo rivisti dopo tanti anni... E tanto affettuoso, m'ha tenuto compagnia fino adesso.

Benedetto(alzandosi complimentoso): Ho capito, lei sarebbe el zio de Mortara?

Pietro:     Per servirla.... (Presentandosi:) Il banchiere Pietro Pomice.

Benedetto: Ah, lei è Pietro Pomice... el banchiere?! Allora avrà conosciuto mio padre.

Pietro:     Non saprei... chi era?

Benedetto: Tranquilla Buriana...

Pietro:     Banchiere?

Benedetto: Sì, ciaveva el banco al mercato de la Madonna dei Monti.

Pietro:     Che banco?

Benedetto: Di abbacchio, polli e carne congelata. Prego, si accomodi, posso offrì qualche cosa, senza complimenti... So' proprio contento d'avé fatta la conoscenza de lo zio de l'amico mio inseparabile! (Vedendo Romoletto che entra:) Oh, guarda chi c'è! (Lo trae in disparte e sottovoce rapidamente:) Questi ciànno quattrini... Romeo, te presento un altro amico carissimo, Romoletto del Cedro, detto Patalocco: fisico, matematico, laureato in legge.

Romoletto(aspirante in vagabondaggio, laureato in trucchi, ripieghi e gherminelle di ogni genere): Sì, due volte, anche da ragazzo.

Benedetto(sottovoce): Sta' zitto, non dì scemenze! (Presentando:) Il signor Pietro Pomice, zio del compianto amico qui presente... (A Romeo:) Vedrai che bel tipo... con questo se divertimo. Vogliamo fà un bel pokerino in quattro... vogliamo prende qualche cosa?

Pietro      (sdegnoso): Vi ringrazio, ho i minuti contati e debbo partire per Mortara.

Benedetto: Ma che Mortara! (A Romeo:) Adesso che fai, scappi, dài soddisfazione a quella donna che t'ha trattato come una ciavatta. Lasci almeno che suo nipote se prenda una rivincita con l'infida Elena.

Pietro      (c. s.): Io mi oppongo al di lei modo di vedere; sono giusto appunto venuto per evitare scene disgustose. Romeo, ti prego, saluta.

Benedetto(preoccupandosi per il pagamento del conto): Allora chiamo il cameriere! (A voce alta:) Cameriere!

(Esce a destra in cerca del cameriere, anche Romoletto si allontana a sinistra chiamando il cameriere.)

Pietro:     Questi tuoi amici non mi piacciono... La tua debolezza mi fa pietà. Vieni via, sii uomo, rendi a quella donna disprezzo per disprezzo.

Romeo      (risoluto): Hai ragione zio, andiamo!

Pietro:     Bravo, così mi piaci! (Esce con Romeo, che nella fretta di partire prende il cappello di Benedetto.)

Cameriere(entra con Benedetto e annotando sul taccuino): Dunque: due coperti, antipasto, pasta asciutta...

Voce         (d. d.): Cameriere!

Cameriere: Eh, un po' di pazienza! Perdoni signore, un momento. (Via.)

Benedetto(a Romoletto che rientra): Dove so' andati?

Romoletto: Eccoli laggiù, montano sull'automobile. (Suono di tromba di auto.) Senti?

Benedetto(cade sopra una sedia): Oh Dio, so' rovinato! E adesso come se fa a pagà el conto? Tu ciài qualche soldo?

Romoletto(frugandosi nelle tasche): Io per adesso non ciò niente.

Benedetto: Allora ciài quello che ciavevo io prima!

Romoletto: Ero venuto qui sperando de rimedià qualche cosa.

Benedetto: Aiutarne tu in qualche modo!

Cameriere(attraversando la scena): Perdoni signore, due minuti e porto il conto.

Benedetto: Fai pure con tranquillitudine!

Romoletto: E adesso?

Benedetto: Senti, qui non te conosce nessuno... tanto la faccia ce l'hai, dici che sei un brigadiere de Pubblica Sicurezza e che io so' ricercato da la polizia; me domandi le generalità, me perquisisci, me vòi portà in Questura e così se la svignamo tutti e due. Me raccomando, fa' bene la parte... che vòi che sia, è una cosa da niente, fai una bona azione e se salvamo.

Romoletto: Sì, ma bada questa è una parte difficile è più difficile del gioco de la patacca, perché questi mica so' burini! Ma guarda un po', si che parte da boia me fai fà! (Adocchia due cucchiai sopra un tavolo e li mette uno da una parte e uno dall'altra, nelle tasche laterali dei pantaloni.)

Benedetto: Ahò, e adesso che fai, sottrai, involi?

Romoletto: Non m'hai presentato come matematico? El matematico chi è? È un omo ingegnoso che trova la roba, prima che el padrone se la perda. Perché 'sti cucchiai non se potevano perde?

Benedetto: Sì, sì, fa come te pare! Ma guarda che so' d'argento... basta che famo a mezzo!

Romoletto: No, no, niente a mezzo, ognuno per conto suo, arancete da te, se no te lascio in libertà.

Benedetto(a denti stretti): Ho capito, hai ragione tu, basta che m'arresti! (Sottovoce:) Ecco il cameriere... Fa bene la parte, cambia voce, parla cispadano...

(Entra il cameriere.)

Signor brigadiere, sono dispiacente, ma non le posso dire nulla.

Romoletto(burbero e con spiccato accento meridionale): Va bene, va bene, è quello che vedremo...

Cameriere: Dunque, dicevamo: pollo in padella... frutta... il caffè lo prendono?

Benedetto: Sì, un cafferino.

Cameriere: Uno? E gli altri signori?

Benedetto: Si sono avvantaggiati, mi precedono... (Chiamando il cameriere in disparte; misteriosamente:) Ma che è successo qualche cosa?

Cameriere: No, perché?

Benedetto: Ah, niente! Ma sai com'è, ho visto lì el brigadiere Pallamolla...

Cameriere: Ah, quello è un brigadiere?

Benedetto: De li più terribili, quelli co' l'appendicite! Perché è venuto qui?

Cameriere: Ma io non so!

Benedetto(premuroso di svignarsela): Per favore, c'è qui un gabinetto da toeletta? Vorrei darmi una sciacquata alle mani. (Il cameriere presenta il conto.) Il conto me lo presenti quando ritorno... così te lo pago.

Cameriere(sospettoso): Si accomodi al primo pianerottolo, porta destra.

Benedetto: Grazie. (Via.)

Cameriere: Brigadiere, prende qualche cosa?

Romoletto(toccando le posate che ha in tasca): Grazie, ho già preso! Dopo, caso mai. Senta, è la prima volta che quel bel mobile... (alludendo a Benedetto)... viene in questo ambiente?

Cameriere: Sì, e non le nascondo che ha il contegno un po' strano. Era con un altro amico agitatissimo, poi ho visto anche un altro figuro... Non riesco a capire perché siano spariti così improvvisamente!

Romoletto: Eh, eh, la lepre quando sente l'odore del cane... Ma con me, non scappa!

Cameriere: Speriamo di no, perché io debbo esigere ancora il conto.

Romoletto: Lei faccia conto di niente; me ne incarico io, stia tranquillo!

(Via dal fondo, con il cameriere, entrano Elena, Martino e Teodoro.)

Elena        (guardando in giro nervosa): Romeo non c'è più... Vigliacco.

Martino   (chiamando in disparte Teodoro): Non vi sembra che il contegno della mia signora, sia un po' strano?

Teodoro:      Dio, come siete meticoloso! Ma lasciala in pace... e poi in tutti i casi, c'è sempre la separazione locale.

Martino: Grazie del rimedio, siete molto amabile, ma io vi confesso che sono sbalordito.

Gagliardo(entrando, ad Elena): Auguri e figli maschi! Ci rivedremo al battesimo.

Elena:       Per carità, detesto i bambini.

Martino: Ma perché parli così, Elenuccia mia? L'amore materno è la provvidenza del genere umano.

Elena: Scusami, hai ragione. Dicevo così perché tu non sai che io sono molto ammalata, ed un bambino non potrei allattarlo!

Teodoro: Lo darai a la latitanza. Allora perché ce so' le balie?

(Entra Ginetta, che sorride e ascolta compiacentemente le parole di ammirazione che le rivolge Benedetto).

Elena:       Eh no, credimi, è preferibile non avere figli!

Martino: Ma perché?

Elena:       Cari miei, le precauzioni non sono mai troppe; una vedova senza figli, si rimarita più facilmente.

Teodoro:      Giusto, non ci avevo pensato!

Martino   (fissa Benedetto e quindi si rivolge a Tommaso): Ma chi è quel signore che parla con la vostra signora?

Tommaso: È quel marrano che mi ha rotto il bastone!

Benedetto(a Ginetta): Scusi l'ardire signora, chi è Paride?

Ginetta: Paride? Che io sappia, qui non c'è nessun Paride.

Benedetto: Volevo dire, il marito della bella Elena!?

Ginetta    (ridendo): Ah, Ah! Carina questa!... Lei signore è straordinario!

Benedetto: Lei è straordinaria: capelli d'oro, occhi di zaffiro, labbra di rubino, denti di perle, collo di alabastro...

Teodoro(a Tommaso): Sorvegliate vostra moglie, andate a far valere la vostra autorità per la pubblica sicurezza di tutti!

Tommaso(risoluto a Benedetto): Lei si permette di parlare con la signora, e non sa che io sono...

Benedetto(pronto): Uno scemo! Ma che colpa ciò io se la signora preferisce la conversazione mia a quella sua?

Tommaso(a Ginetta): Tu mi fai fare certe figure...

Ginetta    (irritata): Che ti meriti.

Martino   (a Benedetto): Siete un impudente! Voi vi permettete di parlare con delle signore senza la regolare presentazione.

Teodoro: Già, quello lì, parla senza la rappresentanza... io ce rimango stitico!

Gagliardo: Con quale ardire vi siete intromesso? Chi siete?

Benedetto: Io non lo so! E lei chi è?

Gagliardo: Iosono...

Benedetto: Uno sbafatore regolare, io so' occasionale.

Gagliardo: Il vostro linguaggio è abominevole! Badate come parlate.

Benedetto: Parlo come mi pare!

Teodoro: Cosa sono queste eruzioni?

Benedetto: M'ha preso pel Vesuvio?

Tommaso(protestando): Quest'individuo mi ha avvelenato la giornata! Ma chi ce l'ha mandato? (Romoletto entra, squadrando tutti dall'alto in basso.)

Benedetto: Nessuno, ce so' venuto per conto mio. (Guardando Ginetta:) Ho visto un raggio de sole!... E poi ho mangiato, ho bevuto bene e domani ce rivengo. (Al cameriere:) Sì, ce rivengo, così te pago pure el conto d'oggi.

Romoletto(avanzandosi, rivolto a Benedetto): Lei non faccia tanto il gradasso; prima deve aggiustare i conti con me.

Cameriere: Bravo, bravo signor brigadiere. (Meraviglia di tutti.)

Tommaso: Ah, c'è un brigadiere?! E quello che ci voleva.

Romoletto: A lei, ci puzza il benestare, qualche mesetto di confino non gli farà male, che mestiere fa?

Benedetto: Signor brigadiere, io so fa' tutto: vado a piedi, in carozza, in bicicletta, in automobile... so' ride, so' piange, so' bono a beve, a mangià, a dormì, a fumà, a litigà, a corre, a stà fermo e a fà li giochi de prestigio.

Martino: Ma scusate, cosa c'entrano i giochi di prestigio?

Benedetto: Sì, faccio pure li giochi de prestigio. Me piace perché se fatica poco e se po' fa' qualunque imbroglio senza andà in galera. Signor brigadiere, tanto io sto a sua disposizione, me permette de fa' un giochetto de prestigio pe' convince tutti che non dico bugie!

Tutti:        Ma sì, brigadiere, glielo permetta!

Benedetto(prende due cucchiai sulla tavola): Come vedono, questi so' due cucchiai che metto uno in una tasca e uno nell'altra. (Sbirciando  sott'occhio Romoletto come per dirgli: adesso ti arrangio io:) Niente a mezzo... volevo dire niente in mezzo. (Nasconde i cucchiai nelle tasche dei pantaloni e rivolgendosi a Martino:) E adesso ripeta con me: uno... due... e tre!

Martino: Uno... due... e tre!

Benedetto: I cucchiai so' spariti!

Tutti         (increduli): Eh, spariti!

Martino   (incuriosito): E dove sono andati?

Benedetto: So'passati nelle tasche del brigadiere... Prego, guardino pure signori, sembra incredibile ma è così!

Romoletto(livido di rabbia per l'astuta vendetta di Benedetto, estrae le posate e le consegna al cameriere, quindi irritatissimo): Imbroglione, delinquente, cosa sono queste buffonate, come ti permetti questa confidenza?

(Fra la meraviglia di tutti trascina via Benedetto in malo modo, assestandogli qualche scapaccione.)

Sipario


ATTO SECONDO

Interno di un caffè di terzo ordine di un rione popolare di Roma. In fondo a sinistra un bancone con sopra una macchina da caffè espresso, e uno scaffale con bottiglie varie di liquori. In prima linea a destra un tavolo ricoperto di un tappeto verde preparato per il giuoco delle carte. All'alzarsi della tela sono in scena Ginetta e Marcuccio.

Ginetta    (come se continuasse un discorso): Posso fidarmi di voi?

Marcuccio(cameriere dalle gambe arcate, i ginocchi piegati, e le scarpe piene di piedi dolci): Speriamo!

Ginetta:   È certo che verrà il signor Benedetto?

Marcuccio: Questa è la centrale elettrica, con la diramazione de tutti l'affari sui; aspetti un momento, fra poco sarà qui.

Ginetta:   Per carità, mi sono azzardata fin troppo. Tenete, pagatevi il liquore, il resto è per voi. Mi raccomando, è cosa importantissima. Ditegli così: caso mai vedesse Tommaso che non parli, perché ieri sera fortunatamente non lo ha riconosciuto. Non appena posso, ripasserò per sentire la risposta e penserò a voi. Io scappo.

Marcuccio: Perdoni signora, ma la commissione la devo fa' da parte de chi?

Ginetta:   Ah, giusto, ditegli che è venuta l'amica della sposa... lui capirà. (Esce.)

Marcuccio: Altro imbroglio da mette nel repertorio. Quello lì me fa' vedé li sorci verdi.

Filippo      (entra): Chi è quella che è uscita?

Marcuccio: È quella che prima era entrata!

Filippo:     Bravo, hai fatto 'sta scoperta!

Marcuccio(irritato): È una forestiera.

Filippo:     Ma è possibile che non sai da dove vié?

Marcuccio: Ma sor Filippo mio, voi siete el presidente onorario de l'attacca bottoni.

Filippo:     Dentro 'sto caffè, non ce metterò più piede. (Sedendo presso un tavolino a sinistra.) Adesso portame una birra e per piacere dimme che ora è?

Marcuccio: La birra non è venuta e l'orologio mio è fermo... al Monte de Pietà da diverse settimane.

Filippo:     Qui non c'è caffè, non c'è birra, non c'è ora! Allora che me pòi da'?

Marcuccio: Ve posso da' l'indirizzo de un altro caffè. qualunque imbroglio senza andà in galera.

Filippo:     T'ho domandato che ora è, perché ciò un appuntamento qui co' la sora Paolina e la nipote... ah, eccole!

Paola        (entrando con fole e sedendo vicino a Filippo): Dunque rimanemo d'accordo così, quando volete venì la camera è libera. Oggi, grazie a Dio, s'è mandato pure a piglià certa biancheria che c'era rimasta.

Filippo:     Allora lunedì de quest'altra settimana. Però non vorrei che per causa mia...

Paola:       E che l'avemo mandato via noi? Un giorno litigò con Jole e se ne andò dicendo che dentro casa nostra non ciavrebbe messo più el piede! E vero?

Jole          (irritata): Sì, è vero, è vero!...

Filippo:     Ma dove sarà andato!

Paola:       Forse all'albergo del coraggio!

Filippo:     E chi paga?

Paola:       Pagherà el zio, un fratello de la madre che sta a Ancona, e già so' tre volte che je manda li soldi pel viaggio.

Filippo:     E perché non ce va?

Paola:       Gliel'ho detto tante volte pure io, ma sapete che m'ha risposto? Che è meglio esse disperati a Roma, che milionari a Ancona.

Filippo:     È perché non je va da lavorà! Certo che 'sto zio non lo cercherà mica per faje fa' la vita che fa qua.

Jole          (irritatissima): Me pare de sta' dentro una bottega de sartore! Qui se cuceno, se taglieno li panni, se fanno li cappotti come se niente fosse; ma che lo mantenete voi?

Paola:       Lo vedi come te dài la zappa su li piedi? E poi dici che non te ne importa niente! E invece oggi me sei venuta appresso co' la speranza del vederlo... e come te ce sei bene accomodata, el rossetto su le labbra, el nero all'occhi; che hai paura che non je piaci?

Jole:         No, ve sbagliate, je piaccio e assai, e ve dico che se n'è andato da casa, perché non sò voluta scappà con lui!

Paola:       È un bel vigliaccone!... Scappà co' lui... così te levava l'unico patrimonio che t'è rimasto!

Jole:         No, perché dopo m'avrebbe sposata.

Filippo:     Beata voi! Io conosco el valore di certe promesse!

Jole          (con calore): E io conosco el valore de certe cose! Ho venticinque anni e non voglio fa' la muffa. (A Filippo:) E voi impicciateve  de l'affari vostri! Me so' pentita d'una cosa sola, de non aveje dato retta. (Via.)

Filippo:     Non me credevo che quella ragazzina arrivasse a 'sto punto! È una cosa scandalosa...

(Marcuccio si presenta con un bicchierino di rabarbaro ed un bicchiere di acqua con anice.)

Se non me sbaglio, io non t'ho ordinato niente.

Marcuccio: Sì, ma io ho sentito e così ho portato a voi un bicchiere de rabarbaro e a la sora Paola un bicchiere d'acqua con uno schizzetto d'anice. Giacché venite qui a fa' 'ste giostre, almeno pigliate qualche cosa!

Paola:       Sì, avete ragione, non ciò pensato.

Marcuccio: E allora ho fatto bene a pensacce io. (Si allontana.)

Filippo      (alludendo a fole): Cià fatto fa' una bella figura!

Paola:       Ah, ma non avete paura che non succede niente. Non è mica una stupida; avete visto quand'è el momento, che risposte che sa dà? Io la conosco bene, è una lima sorda... se sapeste de che è capace quella lì!... Per dì bugie poi non la passa nessuno, figurateve ha superato a me! Io la rimprovero ma dentro de me la compatisco, perché le so' ste cose; un bon cristiano te se leva subito da la mente, ma quando disgraziatamente la donna s'imbatte con un mascalzone, la cosa diventa seria. Jole, però, cià la testa a posto e se così non fosse, come avrebbe potuto resiste a l'assalti de quel vassallone? Ma che j'avrà dato a intende?

Filippo:     Eh, ve lo dico io... J'avrà detto: tu prima scappa da casa, poi te farò vedé che omo so' io, metterò giudizio, lavorerò... (a voce alta:)... pago quello che devo pagà...

Marcuccio(avvicinandosi): Due lire!

Filippo:     Chi t'ha chiamato?

Martino: Ma non avete detto: pago quello che devo pagà?

Filippo:     Sì, sì, tiè...

Marcuccio(contando il danaro) : Questa è una lira e mezza, ce manca mezza lira!

Filippo:     Tienila per mancia.

Marcuccio: No, non c'è de più, ce manca mezza lira...

Filippo      (pagando la differenza): Ecco la mezza lira. El fatto è che qui dentro non ce se po' venì più, el caffè me l'andrò a piglià dove lo pigliavo prima!

Marcuccio: Bravo! Andatelo a piglià dove l'avete preso sempre! (Via.)

Paola:       Basta, me ne vado, è meglio che non la lascio sola, non se sa mai!

Filippo:     Io resto qui ancora un momento, pure nell'interesse vostro, perché se adesso capita Benedetto, voglio vedé se posso pescà qualche cosa!

Paola:       Non sarebbe male... è meglio sta' in guardia. (Esce.)

Lalletta(scherzo di natura, diciottenne, sguaiata, strilla come un'aquila, non si capisce se è bambina, ragazza o maritata; la tromba del cortile. In qualsiasi discussione l'ultima parola è sempre la sua. Entrando): Ah! sor Marco, ha detto mamma se me fate el piacere de metterne due caffè con un goccio de mistrà qua dentro al cuccume, ma sbrigateve, perché si se sveglia el mi padrigno, chi lo sente! Oggi dovemo fa' el bucato; chi cià tempo de fa' el caffè!?...

Marcuccio: Li soldi te l'ha dati?

Lalletta: No, ha detto che passa lei, così ve paga pure quel fiasco de vino.

Marcuccio(servendo): Eh, va bè... ma almeno riporteme el fiasco voto.

Lalletta: Eh, sei matto... va a guardà un fiasco!... (Esce.)

Filippo:    Chi è quella?

Marcuccio: È la figlia de Nena.

Filippo:     Quella che je morse el marito?

Marcuccio: Non lo so se je dava li morsi... so ch'è morto.

Filippo: E de che male è morto?

Marcuccio: Dice, che je tirarono una sincope all'improvviso.

Filippo: Una sincope l'hai presa per una selciata?

Lalletta(dalla strada a voce alta): Brutto cane rinnegato, ciài pure el coraggio de fatte vede da 'ste parti?

Benedetto(d. d.): Senti Lalletta, esse bona...

Lalletta(c. s.): So'bona a rompete la testa!

Romoletto(d. d.): E piantatela, che adesso famo radunà la gente!

(Marcuccio va a curiosare sulla porta del caffè, Filippo lo segue.)

Filippo:     Ma che succede?

Marcuccio: È quel benedetto ragazzo de Benedetto.

Filippo:     Benedetto chi lo leva dalla circolazione!

(Benedetto entra, seguito da Romoletto che cerca di calmare Lalletta, fermatasi sulla porta del caffè in atteggiamento minaccioso).

Lalletta: Te lo credevi da divertitte co' me, ma non ce sei riuscito! Lo sa tutto el vicinato che io so' una ragazza onesta.

Benedetto: Embè, se t'hanno tirato fori la chiacchiera che sei onesta, te la vòi piglià co' me?

Lalletta(furiosa): Non fa' lo spiritoso, che te sfascio el cuccumo in faccia!

Benedetto: Senti che frasario... el cuccumo!

Lalletta: E come se dice?

Benedetto: El bricco, la caraffa!

Lalletta(ironica): Che spiritoso! Ma ricordate che non è finita, se t'incontra el mi padrigno caschi fino. Imbroglione, chiacchierone, mascalzone, fanfarone! (Esce.)

Filippo: Va tutto a gonfie vele?!

Benedetto(furioso): È inutile: dove ce siete voi, me succede sempre qualche incidente!

Romoletto(estraendo dalla tasca un biglietto da cinquanta lire) : Lascia perde! Dimme piuttosto che ce famo co' le cinquanta lire. Le cambiamo?

Benedetto: No, senti le cinquanta lire non so' né mie, né tue, se le giocamo a Yécarté. (Siedono al tavolo da giuoco.)  Mettele qui, senza rivincita, o tutte mie o tutte tue...

Romoletto: Marcuccio, porta un mazzo de carte!

Benedetto: E a me un marsala e quelli cosi de cioccolata co' le mandorle, come se chiamano?

Marcuccio(portando le carte): Li baci.

Benedetto: Sì, li baci... Così, quando sarò morto e sotterrato, rammenterai li baci che m'hai dato...

Filippo      (fra sé): Stanno in quattrini, qualcuno piange! (Si avvicina ai giocatori.) Disturbo?

Benedetto: Ad oltranza!

Romoletto: A me, no.

(Filippo si siede vicino a Benedetto.)

Benedetto(guarda in cagnesco Filippo, finge di mischiare le carte, già preparate in modo da far vincere due punti a Romoletto): Propongo.

Romoletto: Quante?

Benedetto: Tutte.

Romoletto: Il re! (Segna il punto del re.) Attù... tutto per una piccola cuori, ce l'hai?

(Benedetto guarda Filippo e fa i debiti scongiuri contro la iettatura, toccando spesso le gambe di ferro del tavolino. Romoletto segna il secondo punto.)

Te sei salvato!

Benedetto: Altro che salvato, so' cascato sopra un monte de vetri... (Si alza:) Sor Filippo, permettete, fateme el piacere... (Lo invita ad alzarsi e lo conduce ad un altro tavolino in disparte e consegnan­dogli un bicchiere di acqua:) Quando ho sete ve chiamo.

Filippo     (al primo momento rimane sconcertato, ma poi timidamente si riavvicina, deponendo il bicchiere sul tavolo dei giuocatori): Io me metto a sede qui vicino a Romoletto e non parlo più.

Romoletto(di pessimo umore per le carte che ha distribuite Benedetto): Propongo.

Benedetto: Non possumus... gioca... il re... (Segna un punto.) Quest'altro re... attù, attù, e picche... ho fatto volo, segno tre punti.

Romoletto(sbirciando male Filippo): Ammazzale che carte schifose! Sor Filippo, fateme el piacere tirateve più in là...

(L'obbliga ad alzarsi e lo sospinge dalla parte di Benedetto, questi con uno scatto è in piedi e poggiando la sua testa contro il petto di Filippo, gl'impe-disce di avvicinarsi. Pausa. Romoletto tornando a sedere.)

Ce vorrebbe a perde una partita così!...

Benedetto: Per un punto che ciò de più, già piangi?

Romoletto: Ma l'hai viste che carte schifose! Mica m'importa de perde, ma non c'è soddisfazione a perde così. Perdere è niente, è la maniera come perdi!

Benedetto: Chiunque gioca e perde, deve fa' 'sta lagna!

Romoletto(distribuendo l'ultima volta le carte): Che vorresti dì, che non l'ho persi male li tre punti?

Benedetto: Ma se capisce, quello che perde, perde sempre male, apposta vince bene quello che vince... so' discorsi inutili. (Accorgendosi di avere delle pessime carte, si affretta a dire:) Propongo.

Romoletto(trionfante): Non posso, gioca... il re. (Lo segna.)

Benedetto(ricorrendo a tutti i mezzi del giocatore sfortunato): Bada che giochi d'autorità.

Romoletto: Loso, non fa niente.

Benedetto: La slungo.

Romoletto: No, perché el punto lo faccio io de sicuro... E un miracolo se te salvi.

Benedetto: Te dò vinti la metà.

Romoletto: No, se non ciài attù, fo' due punti. Tre e due cinque, ho vinto. (Prende le cinquanta lire.)

Benedetto: Che scalogna! Non c'è proprio soddisfazione a perde così.

Filippo:     Ma tanto voi siete fortunato in amore!

Benedetto: So' fortunato in tutto e giacché lo volete sapé, so' pieno de quattrini!

Filippo:     Ne dite poche de bugie!

Benedetto: Ionon dico mai nemmeno la verità, figurateve se dico le bugie! (Investendolo:) Pallonaro, sputasentenze, ultravischioso, corvattaro, soldi a interesse. (Gli scioglie il nodo della cravatta.) E adesso andatevene a casa, a fa' el nodo a la cravatta, strozzino, spilorcio e piagnone!

Filippo:     Ma quando m'avete visto piange?

Benedetto: Sempre! (A Romoletto:) Questo piange quando el fumo je va via dal camino, piange quando se lava, perché l'acqua je se ne va dentro al buco, la sera s'addorme con li palloncini in bocca, così la mattina quando se sveglia li trova abbottati e non ha perso fiato. Io ciò una soddisfazione sola, che a 'st'arpagone non gli ho chiesto mai un soldo in prestito, e sai perché?

Romoletto: Perché?

benedetto: Perché so' sicuro che non me l'avrebbe dati.

Filippo      (ipocritamente): Che ne potete sapé voi?

Benedetto: Allora ve piglio in parola, prestateme cento lire e ve ne restituisco cento e dieci a la fine del mese.

Filippo:     Se ciavessi cento lire, le darei proprio a voi!

Benedetto: Che ve credete che non sarei bono a restituirle?

Filippo:     Lo credo; ma è certo che dicono...

Benedetto: Che dicono?

Filippo      (sentenzioso): Voce di popolo, voce di Dio!

Benedetto(accalorandosi): Questo è un proverbio che ha fatto tanto de quel male al mondo perché è falso, perverso e maligno. Lo mettono in giro tutti li tipi ghignosi come voi per poi adoperarlo a proprio vantaggio. Per una certa regola vostra, li quattrini miei so' sempre stati de tutti, e se l'avessi dati a interesse al cinquanta per cento come fate voi, oggi sarei un signore, avete capito signor beccamortissimo?!

Romoletto(per schernire maggiormente Filippo): Sor Filippo, adesso basta, va bene che non ciavete peli su la lingua ma el troppo è troppo, tutto cià un limite. Gli avete detto tutto quello che avete voluto e lui zitto, ma adesso v'approfittate un po' troppo!

Filippo:     Eh sì, pigliateme per il bavero, ma io dò importanza a le parole, a secondo de la bocca da dove escono, e ricordateve che grazie a Dio, c'è sempre Regina Coeli.

Benedetto: E voi ricordateve che grazie a Dio, c'è sempre el Policlinico.

Filippo:     Va bene, va bene... addio Regina Coeli... (Si avvia.)

Benedetto: Addio Policlinico e polmonite tripla!... E quando morite fateve chiude dentro una cassa de risparmio.

Filippo: È meglio che me ne vada... (esce borbottando).

Marcuccio: Ve devo fa' un'ambasciata simpatica, è venuta l'amica della sposa...

Benedetto: Che t'ha detto?

Marcuccio: Che state tranquillo, perché ieri sera non v'hanno riconosciuto.

Romoletto: Ma ancora non la pianti con quella?

Benedetto: Iol'avrebbe già piantata, ma sai com'è fatto el mondo, a la gente più boierie je fai e più te s'affeziona. El bello è che adesso me s'è affezionato pure el marito, perché je piace come fò li giochi de prestigio. Uno de 'sti giorni je fò sparì la moglie!... (Vedendo Matilde che sta per entrare:) Zitto, ecco la sora Matilde.

Romoletto: Ancora non te bastano l'impicci, adesso attacchi co' la sora Matilde?

Matilde   (donna stagionata, di temperamento ultra vertiginoso; esercisce il caffè più per uso e consumo proprio che per gli avventori): Buon giorno, signor Benedetto, vi hanno dato il caffè? (Rivolgendosi a Marcuccio:) L'hai fatto fresco?

Marcuccio: Lo sto facendo... appena bollono li fondi glielo porto.

Benedetto: Li fondi te li metti a li calzoni. Ho preso adesso un marsala con qualche pasta.

Matilde(a Benedetto): Io vado un momento di là e torno.

Benedetto(corteggiandola esageratamente): Tornate, vi aspetto... spero che dopo vi lascerete pastafrollizzare un po'!...

(Matilde via nel retrobottega.)

Romoletto: Che tenerume! Aveva pensato pure al caffè fresco.

Benedetto: Se volessi, me darebbe pure el zabaione caldo. (Chiamando:) Marcuccio, vòi levà questi residui?

Marcuccio(guardando l'unica pasta rimasta nel piatto): E questa non ve la mangiate?

Benedetto(prende il piatto con la pasta e mostrandolo a Marcuccio): Te voglio fa' sentì quanto so' giusti li proverbi, questa te la lascio come pagamento.

Marcuccio: Scusateme, ma non ve capisco.

Benedetto: Non se dice che una la paga per tutte?

Marcuccio(ridendo prende il piatto e lo va a deporre sul bancone): Ho capito.

benedetto: Ma no, vié qua, scherzavo. Paga Romoletto.

Romoletto: No, non fa scherzi, io ciò da cambià cinquanta lire.

Matilde(che nel frattempo è rientrata): Non vi incomodate Benedetto, faremo tutto un conto.

Romoletto(ironico): Ma sì, farete a sconto!

Matilde: Tanto c'è segnata qualche altra sciocchezza.

Benedetto(abbracciando Matilde, che compiacentemente lascia fare): È un pezzo che consumo, ma poi me metterò in regola.

Matilde: Ma non dite sciocchezze, tutta la bottega mia è a vostra disposizione.

Romoletto(non nascondendo il suo disagio): Basta, io ve levo el disturbo.

Benedetto: Ma no, pòi pure restà, tanto te consideramo come una persona de famiglia.

Romoletto: E apposta me ne vado, tanto c'è Marcuccio... uno solo basta, lo regge lui!

Benedetto: Che?

Romoletto: El moccolo! (Benedetto e Matilde ridono.)

Matilde: No, io vado via subito, oggi ho tante cose da fare. (Romoletto esce.) Oh, finalmente vi si può parlare, non siete mai solo, state sempre con gli angioletti!

benedetto: Che volete, quando uno cià la mente fissa sopra una cosa, non vede che quella, non pensa che a quella!

Matilde: Quella cosa, si chiama Jole!

Benedetto: Tutto finito! Vi giuro che non ce penso più.

Matilde   (insinuante) : E adesso a chi pensate?

Benedetto: A nessuno, sento solo una gran simpatia per voi.

Matilde: E sapete pure che siete contraccambiato, ma spieghiamoci bene, io non voglio fare da comodino a nessuno. Con me bisogna agire sul serio, e vi dico che se qualcuno si prendesse l'ardire di divertirsi con me, sbaglierebbe; non per niente porto sempre una rivoltellina nuova di zecca!

benedetto: Ho capito, in caso la mia persona servirebbe per esperimentare la rivoltellina nuova di zecca. Io però ancora non ho preso nessun impegno... vale a dire, che non so' ancora diventato el tiro a bersaglio.

Matilde: Beninteso, però ci tengo a farvi capire come la penso.

Benedetto(canzonatorio) : Ci tengo anch'io.

Matilde: Oggi restate a pranzo con me?

Benedetto: Non so', però nei riguardi de la rivoltellina, il pranzo non costituisce impegno!

Matilde: Ah, si capisce, avete tutto il tempo di pensarci. Basta, io vado per certe ordinazioni e torno subito, certamente vi ritrovo. (Chiamando:)  Marco, senti cosa prende il signore. (Abbracciando voluttuosamente Benedetto:) Addio, mascalzone mio!

Benedetto: Stringimi, sciupami... anemizzami! (Matilde esce.) Quant'è bella, quando ride, con la bocca se mozzica le orecchie!

Romoletto(entrando): Meglio de così non te potrebbe andà, sei proprio fortunato in amore!

Benedetto: Quanto sei scemo, ma come non t'accorgi che questa è la parodia dell'amore? Questa è una disgrazia, la fortuna non è per me, so' troppo mascalzone!

Romoletto: Sicché confessi da esse pure un mascalzone?

Benedetto: Sì, ma un mascalzone mal riuscito, apposta non so' fortunato. Lo sai che se fossi un mascalzone perfetto, ciavrebbe tutte le qualità per distinguerne da le persone per bene? E salvate da le persone per bene, specialmente quelle che se fanno el casellario da persone per bene. Ma io non me posso distingue, perché quello che impedisce al mascalzone d'arriva a un grado de perfezione è la mancanza de quattrini... perché co' li quattrini e col dono de natura de non sapé lavorà, pòi diventà un mascalzone de gran classe. Io invece, adesso, come mascalzone me sento una ciavatta, perché non ciò nemmeno un soldo in saccoccia. Prèsteme quelle cinquanta lire che hai vinto e dimme che so' un mascalzone se te le rido...

Romoletto: Avevi cominciato tanto bene e poi hai finito con una buffonata.

Benedetto: Hai ragione, ma la buffonata è un tocca sana della vita, sapessi quante cose se accomodano con una buffonata.

Romoletto: Sicché sei pure un buffone?

Benedetto: Sì, ma sto in bona compagnia, semo in tanti!

Romoletto: Ma vattene va, ce so' pure le persone serie.

Benedetto: Secondo che serietà, ce so' tanti tipi de serietà. C'è una serietà veramente seria e che noi non conoscemo, c'è una serietà che mette paura e c'è una serietà buffa.

Romoletto: E come sarebbe a dì?

Benedetto: Sarebbe a dì, che ce so' tanti che diventano buffi quando fanno sul serio e viceversa. E poi guarda li ragazzini che so' naturali, quando vedono una persona seria, o hanno paura o se mettono a ride. E non hai mai sentito dì: s'è presentato serio, serio, che cià fatto tanto ride... quant'era buffo!...

Romoletto: Adesso non capisco più niente!

Benedetto: È lo stesso, non è obbligatorio capì!

Romoletto: Me pari un matto!

Benedetto: Altra qualità che me distingue dall'uomo savio... (Preoccupato nel vedere entrare Jole.) Adesso vedrai che la cosa diventa seria o  buffa.

Jole          (a Benedetto:) V'ho portato questo espresso che è arrivato a casa nostra.

Benedetto: Posta? (Apre la lettera e dopo aver guardato il timbro:) Vie' da Mortara, è Romeo, scrive che arriva a Roma. (Legge:) «So d'inviarti i lamenti di un cuore spezzato... perdona il mio delirio, ma credimi, il mio cervello è in tumulto, il mio cuore schiantato, l'animo esacerbato... perdonami l'improvvisa partenza, domani sarò a Roma.» (Esagerando nel bel parlare, con l'evidente intenzione di esasperare Jole:) E voi giacché siete stata così bene amabile e sì (rutile di recarmi questo plico, caso mai quell'individuo dovesse per ventura venirmi a cercare nella mia vecchia magione, fatemi il piacere d'informarlo che io ora mi deposito qui.

Jole          (mal contenendo la rabbia): Quanto siete grazioso. Ma a questo ce penserà mia zia, perché io non so' né la servitora, né la burattina vostra. C'è voluto el coraggio mio a venì pure qui, adesso che siete diventato l'amico de la caffettiera! Ve ce manca da metteve a bruscà el caffè!... Io so' venuta qui con un altro scopo...

Benedetto: Come sei sottile! Sentiamo lo scopo.

Jole:         Non fate lo spiritoso, perché all'occorrenza io so' tipo da metteve un ditino nel naso e un altro dentro un orecchio e dopo ve porto in giro come manicotto.

Benedetto: Perché ve volete sporca' le mani? So' sempre raffreddato!

Jole:         Apposta ve venite a scaldà dentro a 'sto caffè! Che siate scannato voi e quella allampanata... non rispondete?

Benedetto(a Romoletto): E tu non je dici niente?

Jole:         Ma guarda che faccia da impunito, traditore!

Benedetto: Cambiare non è tradire, è un'arte... arte varia! Del resto voi non m'avete voluto da' nessuna soddisfazione...

Jole:         Già, scappà con voi... bell'affare che facevo!

Benedetto: L'affari boni se capiscono quando se so' fatti, no prima, se no tutti diventerebbero affaristi. A voi non v'è piaciuto e avete avuto  la libertà de fa' come ve pare, e adesso me pare che sarebbe ora de farla finita!

Jole          (scattando): Ah sì, così tu accomodi le cose? Ma tu me conosci poco, tu non sai de che pasta so' fatta io! Oramai quello che succede, succede... persa per persa, ma tu non devi più avé la faccia da comparì... (Mostra una piccola bottiglia piena di liquido) Vedi, questa non la lascio mai.

Benedetto: Ma che fai, t'avveleni?

Jole:         Sì, m'avveleno, ma prima te voglio sfigurà! (Fa per versargli il liquido in faccia.) Questo è vetriolo!

Benedetto(impaurito si copre la faccia con il tappeto verde che era sul tavolo): Aiuto, m'ha accecato l'occhi!

Romoletto(energicamente trattiene Jole, cercando di toglierle la bottiglietta): Ma che siete impazzita?

Benedetto: Levategliela, levategliela, che m'ha sfregiato!

Marcuccio(cercando di trattenere Jole): State bona, dateme 'sta boccetta!

Jole:         No! (A Benedetto:) Brutto vigliacco!

Marcuccio: Annamo, sora fole, che volete finì in galera! (Riesce a toglierle la boccetta.)

Romeo      (entrando): Che è successo? Dove sta Benedetto?

Marcuccio(consegnando la bottiglietta a Romeo): Tenete e state attento perché è vetriolo!

Romeo:     Io so' tutto un vetriolo!... (Prende la bottiglietta, la depone sul tavolo e si accascia sopra una sedia sconsolato.)

Benedetto(getta il tappeto sopra una sedia, si stropiccia gli occhi, guarda  stralunato  Romoletto  e  indicandogli il  tappeto  verde) Dimme un po', lo vedi tu quel tappeto?

Romoletto: Io sì!

Benedetto: E io no!

Jole:         Questa volta te la sei scampata, ma ricordate che non è finita!

Benedetto(tranquillizzato perché a Jole è stata tolta la bottiglietta) Finalmente te rivedo, Jole mia... tu non sai quanto te voglio bene!

Jole:         Ma sta' zitto, impostore, che tanto non m'incanti più...

Benedetto(piagnucoloso): Perdoname, Jole mia! Fa' la carità a un povero cieco... d'amore per te!

Jole          (aggressiva): Ma finiscila 'sta commedia, perché me fai rabbia.

Benedetto(risoluto): E allora lascieme perdere. (Dà un colpo a Jole. Pausa.)

Jole          (per nulla avvilita per l'atto manesco di Benedetto, anzi con esagerato languore): Amore! Amore mio, fammeli sentì li rimproveri) tuoi deliziosi!

(Meraviglia di tutti; indifferenza di Romeo.)

Benedetto(appassionato): Perché devo rimproverarti, amore mio infinito?

Jole          (indispettita): Adesso basta, che te credi de pigliamme pure in giro? (Dà uno spintone a Benedetto.)

Benedetto(esasperato): Guarda, che se non la finisci, te dò uno sganassone che vai dall'altra parte. (Percuote ancora Jole.)

Jole          (compiacendosi delle percosse): Non t'ho mai voluto bene come adesso! Benedetto... Benedetto!....

Benedetto: Benedetto il tuo santo nome! Jole, Jole mia, damme un bacio!

Jole:         Due, tesoro mio! (Finiscono per abbracciarsi e baciarsi dopo questa alternativa di carezze e percosse, insulti e tenerezze.)

Marcuccio: Ma queste so' cose da matti!

Romoletto(protestando): Ma che ciavete presi pe' li zimbelli vostri?

Romoletto (tragico): Insensati! Abulici! Amorfi! Nelle schermaglie d'amore, tutto ciò che avete udito è spaventosamente logico! Così potessi fa' io con Elena... L'amore è una pazzia, amare ed esser logico, non è a nessun concesso!

Benedetto: Com'è logico! Lui è scemo e ha capito meglio de tutti cos'è l'amore. (A Jole:) Perché l'amore in conclusione lo sai che è? Non posso vivere sempre con te... non posso sta' lontano da te... E noi adesso avemo condensato in un attimo, quello che due persone che se vogliono bene, lo fanno in un mese.

Jole:         No, pure in un anno.

Benedetto: Embè, adesso volemo ricomincià?

Romeo: Giusto, tremendamente giusto!

Jole:         Tesoro mio, adesso me ne vado contenta. Dopo passa a casa che t'aspetto.

Benedetto: Dico due parole a 'sto piagnone e vengo subito.  (Abbraccia Jole che poi esce, quindi rivolgendosi a Romeo:) Scusame tanto Romeo, ma tu sei proprio l'inviato speciale de le disgrazie.

Romoletto(chiamando in disparte Benedetto): Ricordate che 'sto Marco, deve sempre pagà quel conto.

Benedetto: Apposta so' rimasto qui, figurate se non me lo ricordavo. Tu intanto inventa qualche cosa, che io adesso lo tasto, lo ponzo...

Romoletto: Ho trovato! (A voce alta:) Però con tutta 'sta confusione, te sei scordato che io t'ho dato mille lire.

Benedetto(assecondando immediatamente la richiesta di Romoletto, si fruga nelle tasche): Già è vero, tu me ne devi da' novecento, te devo cento lire; te le darò.

Romoletto: No, no, famme el piacere dammele subito, perché io non ciò nemmeno un soldo spiccio.

Benedetto(estrae dalla tasca la lettera consegnatagli da Jole e la spiegazza fra le dita, in modo da farne sentire il fruscio, a Romeo che è sempre con lo sguardo fisso nel vuoto:)

Io pure ciò cinquecento lire... famme el piacere valle a cambià.

Romoletto: Ma dove voi che vado a quest'ora!

Benedetto(deciso a Romeo): Damme un momento cento lire, te le ridò subito.

Romeo      (estrae dalle tasche dei pantaloni due biglietti da cento, ne consegna uno a Benedetto): Tieni, non la rivedrò mai più!

Benedetto: Eh, pe' cento lire te metti a piange! Che vòi che scappo?

Romeo:     Ma no, parlavo d'Elena! Che m'importa de le cento lire, chi ce guarda a li quattrini?

Benedetto(gli toglie risoluto anche l'altro biglietto): Allora te ce guardo io.

Romeo:     Ma tu devi aiutarmi a rintracciarla, devo mette fine a 'sto spasimo...

Romoletto: Adesso ricominciamo?! Marcuccio, porta tre cognac.

Marcuccio: E chi paga?

Benedetto(indicando Romeo con l'indice della mano destra): Vedi mano!

Romeo(ossessionato da un'idea fissa): È necessario che io riveda Elena a ogni costo!

Benedetto: È doloroso... ma non la vedrai più, perché è partita.

Romeo      (tragicamente) : Tanto peggio per lei, la mia determinazione è presa; dovrà scontare tutto con un rimorso atroce... me ne vado sotto terra! La mia fossa dev'essere il suo terrore, il suo spettro! Voglio vederla pazza di rimorso. Sopra quale base fondai l'edificio della mia speme?

Benedetto: Ma a noi che ce ne preme?

Romeo:     Sopra qual nave caricai la merce dei miei affetti? Sopra qual campo seminai il grano dell'amor mio?... Per poi vedere una spiga che riluca...

Benedetto(con enfasi): Quando il sole ci soggioga, lascia pur che il mondo dica, viva ognor la bionda spiga!...

Romoletto: Ma questa è la battaglia del grano!

Marcuccio(portando i tre cognac): E se ciài ancora un grano de cervello, bevete 'sto cognac, cocco bello!

Romeo: Ma che cognac! (Afferra la bottiglietta.) Questo me l'ha mandato la provvidenza. (Beve. Tutti spaventati accorrono per cercare di levargli la bottiglietta.)

Benedetto: Per carità Romeo, che fai, te ubbriachi de vetriolo? Romoletto fa' presto, chiama una vettura!

Romeo:     No, rispettate la volontà di un moribondo, immortalo l'amore!

Benedetto: Che stoicismo, altro che Muzio Scevola!

Romeo      (dopo una lunga pausa): Ma io non sento niente! Ma perché non spiro? Perché m'è negato el piacere de soffrì? (Versa il resto del liquido sul palmo della mano.) Ma perché non brucia? Perché non bolle la pelle?

Marcuccio: Perché è acqua!

Benedetto: E acqua? Brutta truffaldina, brutta impunita, che buggeratura che m'ha dato! Credevo d'esse salvo dal vetriolo e invece so' come Mosè, me so' salvato da le acque! M'ha truffato, m'ha defraudato!

Romeo:     Ma allora io cosa dovrei dire? Il defraudato, la vittima, sono io!...

Benedetto: È vero, 'sto poveraccio doveva morì e invece per causa mia è costretto a campà. Perdonami Romeo, cià truffati a tutti e due. (Sull'aria Oh mio carino tu mi piaci tanto.)

Jole, perché non m'hai ridotto a male?

Son sano e salvo e non so come sia?...

Romeo:     Senza Elenuccia mia viver che vale!

Romoletto e Marcuccio(guardando Romeo): Lui preferiva stare in agonia.

Benedetto: Meglio sarebbe che m'avesse sfregiato, io sarei cieco, lui morto avvelenato. Tutto è finito come una parodia, scoppia di rabbia e tu... di gelosia. (Contemporaneamente all'ultimo verso cantato da Benedetto.)

Romeo:     Io non vedrò mai più Elena mia!

Romolettoe Marcuccio: Per questi due ce vo'... l'infermeria!

(Romeo piange dirottamente e perché le lagrime siano più abbondanti, ha una peruccia di gomma piena di acqua, nascosta in un fazzoletto.)

Benedetto(sull'aria dell'Elisir d'amore): Una furtiva lagrima!...

Sipario


ATTO TERZO

Camera modestissima. Letto alla parete destra, comò alla parete sinistra, tavolo in centro, un attaccapanni, ecc. Nel fondo, loggetta che guarda in un cortile adattato a giardinetto estivo, dove c'è un'osteria. Una finestra accanto alla loggetta; la comune a sinistra. All'alzarsi del sipario Benedetto e Romoletto sono seduti intorno al tavolo.

Romoletto: Credi pure, non ciò un centesimo in saccoccia, con l'ultime due lire ciò comprato un pacchetto de sigarette, vòi fumà? (Porge il pacchetto di sigarette a Benedetto.)

Benedetto(sta scrivendo delle lettere): Sì, dammene la metà. (Prende il pacchetto delle sigarette ne estrae cinque e le appoggia sul tavolo, una sesta l'accende e fuma.)

Romoletto: Ma quante te ne sei prese?

Benedetto: La metà, non lo vedi? (Contando le sigarette che sono sul tavolo:) Una, due, tre, quattro, cinque!

Romoletto(indicando la sigaretta che Benedetto fuma): E questa?

Benedetto: Questa non conta... me la fumo!?

Romoletto: Sicché non te vòi move da casa? Eppure se uscissi un momento, so' sicuro che rimediamo come sempre. Inventiamo  qualche cosa...

Benedetto: Non posso, adesso ciò la responsabilità d'una donna. Ho già scritto due lettere, una a mio zio e l'altra a Cencio l'Avvocatino chiedendogli almeno la metà de li soldi che gli ho prestato! E poi se zio me manda li quattrini, parto subito.

Romoletto: Dove vai?

Benedetto: In Ancona.

Romoletto: Che vai a fà?

benedetto: Ma sai a Ancona non me conosce nessuno, me posso mette a lavorà tranquillamente. Qui a Roma so' troppo conosciuto, che direbbe la gente? Ce vo' poco a rovinasse una reputazione.

Romoletto: Speramo in tuo zio, perché dall'Avvocatino ce spero poco. L'ho visto ieri sera che andava al tabaren, starà in quattrini. Quello è un giovanotto de core, tutto quello che non piace a lui, lo dà all'altri.

Benedetto: Hai ragione, l'ho conosciuto tardi. Dice el proverbio: ama il prossimo tuo come le zanzare. Credi pure, a non fà del bene, non avrai mai male, perché a chiunque fai un piacere, se non te diventa nemico, per lo meno t'invidia.

Romoletto: Dunque non esci, vói proprio mette giudizio? Allora me ne vado. (Si avvia per uscire.)

Benedetto: E pure tu vedi de mette giudizio, lascia perde 'sta vita d'intemperanze e di bagordi.

Romoletto: Ma che me metto a fà adesso con questo caldo.

Benedetto: Prendi l'appalto dell'ombra dell'alberi de Villa Borghese!... Mettete a lavorà.

Romoletto: Capirai ciò perso l'abitudine, non lavoro più da quando è morta mia madre!

Benedetto: Già, me l'hai detto; tua madre morì de parto quando sei nato tu!

Romoletto: Te saluto. (Esce.)

(Benedetto va alla finestra e guarda in basso. Rumore di piatti e bicchieri.)

Voce di un cameriere: Pronto!... Una trippa al sugo e mezzo litro asciutto!

Benedetto: Ma guarda un po' el destino, se ce lo sapevo che qui sotto a un'osteria non ce venivo! Oggi poi co' questi chiari de luna, è proprio el supplizio de Tantalo!

(Prende un paio di pantaloni che sono su di una sedia, ne accomoda bene la piega, poi va verso il letto, alza il materasso e fa per mettere i pantaloni sulla rete. Non soddisfatto cerca un posto dove si possano meglio stirare e tenendo i pantaloni per la cintura in modo da farli sempre cadere a piombo, va al comò, apre il primo cassetto vi infila la parte superiore dei pantaloni e lo richiude; nel terzo cassetto fissa le estremità dei pantaloni, poi apre il cassetto di mezzo tirandolo fino a che i pantaloni non rimangono tesi.)

Paola (d. d.): È permesso?

Benedetto: Questa cià più coraggio de Garibaldi (Sgarbatamente:) Avanti!

Paola       (entrando): A la grazia!

Benedetto: Qui c'è la crisi de la grazia, semo tutti sgraziati! Jole non c'è.

Paola:      Lo vedo, ma credevo che era già arrivata, perché la sora Nanna mi ha detto che l'ha incontrata per via Alessandrina.

Benedetto: È andata da un'amica sua che j'aveva da consegnà certo lavoro. (Sospettoso:) E la sora Nanna a che ora l'ha vista?

Paola:       Non so de preciso, ma saranno state le due e mezzo o le tre. Ma ve levo l'incomodo, perché m'accorgo che la compagnia mia non v'è gradita.

Benedetto: Sono della vostra opinione! Dopo quello che è successo, c'è voluto el coraggio vostro a venì qui.

Paola:       Basta, levo el disturbo, me ne vado. (Si alza da una sedia e si siede sopra un'altra.)

Benedetto: Sì, ma quella è una sedia, non è la porta. Me ne vado, me ne vado e state sempre a fà la muffa qui. Ma adesso me ne vado io, perché devo impostà due lettere urgenti.

Paola:      Quanto siete grazioso! Non ve se po' dì, tirate in là... Ma che odorino che c'è dentro casa vostra, che ha fatto de bono da mangià, Jole?

Benedetto: L'erba medica! Volete favorì co 'noi?

Paola:       Che belle maniere che ciavete! Chi ve l'ha imparata l'educazione?

Benedetto: Da me... so' autodidatta. Adoperà l'educazione con voi, e come mette una cardenia dentro un vaso da notte. L'educazione con voi non serve a niente, perché lo sapete più che bene che oggi non avemo potuto fa' da mangià, e sapete pure che l'odore non vie' da qui dentro, vie' dall'osteria che sta qui sotto. Ma se capisce, me fate tutto 'ste domande da finta tonta, per famme capì che non so' bono « mantene' vostra nipote. Ma ve sbagliate, io e Jole se volemo bene e male che va mangiamo l'odore che vie' su dall'osteria col contorno de senza niente. E poi è questione de giorni, perché intanto parto, so' già d'accordo con Jole, che appena ricevo li quattrini da mio zio...  

Paola:       Ve li mangiate un'altra volta!

Benedetto: Se capisce, così poi me piglio el lusso de sta' a digiuno, per sentì le malignità vostre.

Paola:       Avete finito? M'avete dato tutto 'sto contentino e io invece ve giuro che ho parlato senza malizia. Potreste esse un po' più gentile con me! Del resto avete finito per fa' come ve pare, ve siete presa una ragazza che è una perla!...

Benedetto: Sì, ma ce siete rimasta voi, che siete l'ostrica!

Paola:       Ma scusate, che fastidio ve dò? Diteme piuttosto che siete troppo sospettoso... el sospetto è fratello carnale de la gelosia! Oggi chissà che ve gira per la testa e ve la volete sfogà con me!

Jole          (entrando rivolgendosi a Paola): Voi qui? (Benedetto indifferente si mette il cappello.) Come, adesso te ne vai?

Benedetto(accigliato) : Sì, vado a impostà due lettere e voglio vedé se posso riscote certi soldi. Del resto noi se vedemo così de rado... poi te lascio in bona compagnia, te lascio con il Piave...

Paola:       Che c'entra il Piave?

Benedetto: Non la sai la canzone... il Piave mormorò... Figùrate adesso, quando so' uscito che mormorazione. (Via.)

Paola:      Già state a 'sto punto?

Jole:         È arrabbiato con me, ma non ha tutti li torti, perché pure io... (Riprendendosi:) No perché non je voglio bene, ma pare un destino, da diversi giorni tutto congiura contro de lui.

Paola:       Ma come parli? Che t'è successo?

Jole:         Oggi so' stata a casa de Bianca, che m'aveva promesso certo lavoro; se vedeste che appartamento gli ha messo su l'amico suo!

Paola        (ironica): Eh, t'ho capito!

Jole          (pentita di aver detto troppo): Ah, niente de male, ma involontariamente se pensa a tante cose!

Paola: Eh già, se poi se fanno li confronti, vie' fori el peccatuccio de pensiero!

Jole: Avete ragione. Poi è stata tanto gentile, m'ha offerto paste, cioccolatini e caramelle. Paola: Basta, non me dì altro, con Benedetto te dò tempo de stacce insieme un altro mese!

Jole:         No, questo non lo dite nemmeno pe' scherzo perché io a Benedetto  je voglio bene assai; ma certo è che senza quattrini se vive male. Ma non ve credete non gli ho fatto torti, grazie a Dio ciò la coscienza pulita.

Paola:       Ma se vai avanti de 'sto passo, te se sporca presto. Insomma, se pò sapé che t'è successo?

Jole          (misteriosamente): Sentite, l'altra settimana, quando venni a casa vostra, ve ricordate, ve dissi che avevo litigato con Benedetto perché ero stata fori de casa quattr'ore, da le due a le sei. Me la scampai per miracolo a forza d'invenzioni.

Paola:       E dov'eri stata?

Jole:         A fa' una passeggiata in automobile con Bianca, l'amico suo è un signore distintissimo che m'hanno presentato come l'ingegnere...  adesso non me ricordo el nome. Eh, l'automobile fa passà per la mente certe cose! Siamo arrivati fino a Monterotondo e al ritorno quell'ingegnere m'ha detto tante belle cose... parole che non avevo sentite mai!

Paola:       E non t'è successo altro?

Jole:         Ve lo giuro, voglio troppo bene a Benedetto, ma ho capito che pure quando se vo' bene a uno, non te dispiace un altro!

Paola:       Questo lo sapevo prima de te. E oggi l'hai rivisto 'st'ingegnere?

Jole:         No, oggi so' stata da Bianca. Credeteme, uscì da quella casa e venì qua dentro, te vengono certe idee!...

Paola:       E allora lascia perde Benedetto... che t'ha sposato?

Jole:         Ah, ma se potesse poveretto, me sposerebbe.

Benedetto(inaspettato, appare sulla soglia della porta e interrompe il dialogo di fole e Paola. Compreso il loro disagio fischietta il motivo del «silenzio» militare): Adesso silenzio? Io non ce so' andato a impostà le lettere, so' rimasto giù al portone aspettavo la vostra libera uscita.

Paola        (sfottente): Eravate de guardia!?

Benedetto: Anzi de sentinella, perché me pare che ve l'ho fatto capì bene, che alle visite vostre... (marcando:) ...non... ci... ten... go... Ve lo dico sotto metafora, avete capito el doppio senso?

Paola:       Me s'hanno da rompe le gambe se metto più li piedi qui dentro! Sentì tutte 'ste mortificazioni senza ragione... Sì, senza ragione, perché non se diceva niente de male!

Benedetto: Già, non ve conoscessi a tutte e due! (A Jole:) Adesso dimme subito, così senza pensacce, che dicevi a tu' zia?

Jole:         Niente!

Benedetto: Niente è troppo poco. Come avete passato 'sto tempo, a dì niente? Come se non lo sapessi che tua zia è la mormorazione perpetua!

Paola:       Secca la lingua mia se v'ho nominato!

Jole:         Ma perché pensi sempre male? Non ha detto niente, anzi se ne voleva andà, so' stata io a pregarla de famme un po' de compagnia.

Paola:       Ma sì, me ne vado... Bonasera.

Jole:         Bonasera e scusate tanto!

Benedetto: Arrivederci... e pure si non se vedemo più, speriamo che la disgrazia non sia successa a me!

Paola        (esageratamente dolce:) Bonasera Benedetto!... (Via.)

Benedetto: Bonasera un accidente!

Paola        (rientrando all'improvviso): In faccia! (Esce.)

Benedetto: Meno male che l'ha sentito, così non è andato sprecato. Quella donna fi è proprio el malaugurio mio! (Getta rabbioso il cappello che Jole indifferentemente raccoglie e mette sopra il tavolino.) Vedi come sei, ciò quel cappello solo... (facendo una riflessione)  ...e l'hai raccolto senza daje un'assestatina. Basta un piccolo dettaglio pe' dimostrà l'affetto.

Jole:         Scusame, non ciò pensato.

Benedetto: Un'altra volta pensace. (Prende il cappello, fa per appoggiarlo sulla spalliera di una sedia, ma volutamente lo lascia cadere in terra; si volta, Jole lo raccoglie premurosa, lo spolvera delicatamente e lo mette sull'attaccapanni. Benedetto la sbircia sott'occhio e ironicamente mormora:)

Che belle soddisfazioni che me levo!...

Jole          (affettuosissima): Ma che hai? T'è successa qualche disgrazia?

Benedetto: M'è successo che io so' proprio la calamita de la sfortuna! Oggi dovevo riceve una risposta per certi quattrini, ma se a quest'ora  non s'è visto nessuno vedrai che tutto è andato a monte.

Jole          (con un sospiro): Pazienza, me credevo peggio! Te la vòi piglià per questo?

Benedetto: Già, ma bisognerebbe mangià, che mangiamo a rate mensili? Non sai che l'appetito è l'unico affronto che non sopporta lo stomaco? Se ero solo rimediavo come sempre, perché io con una sigaretta e un bicchiere d'acqua sto a posto, ma penso a te, non hai fame?

Jole          (distrattamente): Io per niente, ho mangiato tanti dolci.

Benedetto(sorpreso): Dove?

Jole:         A casa de Bianca. (Cerca di evitare gli sguardi di Benedetto.)

Benedetto(sospettoso): A casa de Bianca? Che Bianca cià una pasticceria?

Jole:         Non te l'avevo detto che andavo da lei? Adesso perché fai queste ironie?

Benedetto: Sento volà per l'aria certe bugie...

Jole:         Sicché tutto quello che dico, so' bugie?

Benedetto: Me so' bastati 'sti pochi mesi per conoscete bene!

Jole          (irritata): Bè, tanto meglio!

Benedetto: Non me risponde così, che è peggio per te.

Jole:         Pure peggio de così?

Benedetto: Senti, non fa' l'idiota che è meglio!

Jole: Ecco, l'idiota... tu non sei bono che a insulta la gente, e dicevi che mettevi giudizio!

Benedetto(minaccioso): Ho paura che lo perdi tu el giudizio! (Prende Jole per un braccio.) Hai capito?

Jole:         Sì, ho capito, ma lasciame, me fai male!...

Benedetto: Non è vero, te tengo come una farfalla. Dimme dove sei stata.

Jole:         Da Bianca.

Benedetto: Quasi mezza giornata?! Dalle due alle sei, sempre da Bianca?

Jole:         Sempre.

Benedetto(scattando): Tutto falso, da la prima a l'ultima parola. T'hanno visto a le tre per via Alessandrina.

Jole:         Chi te l'ha detto?

Benedetto: Ah, non te basta che t'hanno visto, vòi pure sapé chi me l'ha detto?

Jole:         Embè, che c'è de male a passà per via Alessandrina?

Benedetto: Per andà a casa de Bianca, che ragione c'era de passà da lì?

Jole          (pronta): Volevo vedé el Foro d'Augusto!

Benedetto(sconcertato): Ma te poteva venì in mente una bugia più scema? Adesso t'interessi d'antichità, t'interessi de scavi, de archeologia... ma la verità non la vòi dì...

Jole          (supplichevole): Sfido, tu me rimbambisci... non so più quello che te devo risponde!

Benedetto: Ah, so io che te rimbambisco? Sei tu che me fai perde er cervello con tutte 'ste commedie. (La scuote fortemente.) Adesso basta, dimme dove se' stata.

Jole:         Me fai male! Lasciarne, te dico tutto.

Benedetto: Parla, fa' presto, una parola appresso all'altra, non aspettà l'invenzioni, tanto non m'incanti.

Jole          (si guarda il polso, spiagnucola): Dio che male che m'hai fatto!... Domani ciavrò tutti lividi!

Benedetto: Hocapito, non me vòi risponde. Piangi, te disperi, spiagnucoli, te guardi li lividi che non t'ho fatto e intanto col cervello peschi, perché ancora non t'è venuta la bugia madre!

Jole          (ingenua): Vòi proprio sapé dove so' stata? (Felice di aver trovato.) Appena so' uscita da casa, ho incontrato un'amica mia che m'ha voluto per forza portà a casa sua, a famme vede certi cagnoletti appena nati.

Benedetto(stupito, sbarrando gli occhi): Oh, Dio... li cagnoletti! A quelli davvero non ce pensavo; era meglio el Foro d'Augusto! Je so' venuti in mente li cagnoletti e m'ha detto li cagnoletti, se je venivano in mente le formiche, me diceva le formiche. Tu me fai venì le lucertole a due code nel sangue... (Tragicomico:) Me voglio buttà da la finestra! (Si avvia alla loggetta.)

Jole:         Per carità, aspetta, senti...

Benedetto: Non sento niente, me butto da la finestra. Domani devi legge sul giornale... un uomo s'è ucciso per bugie ascoltate! (Dopo questa comica finzione, torna al tavolo e si siede.) M'arrendo... hai vinto tu.

Jole          (dolcemente): Ma sai com'è? Ce so' andata, perché m'avevano detto che a vede li cagnoletti appena nati porta fortuna!

Benedetto: Come bugia de chiusura non c'è male!

Jole          (prendendo il sopravvento): Ce lo sapevo che me dicevi così, ecco, perché non te volevo dì niente! Così so' passata per via Alessandrina e me so' fermata a vede li scavi, poi so' andata a casa de Bianca e ce so' stata fino alle sei. Io t'avrei detto tutto, ma subito che tu non me dài tempo de parlà... tu non me credi mai... tutto quello che te dico io so' bugie! Tutto quello che faccio io so' commedie!

Benedetto: Basta, non me dì più niente, lasciamo le cose così.

Jole          (supplichevole): Ma perché non me credi?

Benedetto: Ma come te posso crede?! Solamente se penso a la boccetta del vetriolo e invece era acqua, acqua semplice. Almeno ciavessi messo uno schizzetto d'anice! Ma lo sai che una donna che t'inventa una commedia de 'sto genere, te lascia un'impressione peggio che se avesse fatto sul serio?!

Jole:         Sicché era meglio se te sfregiavo? Se te sfiguravo?

Benedetto: Non dico questo, ma li fatti non cambiano, tu rimani sempre una commediante. Vedi, pure la spia qualche volta facendo la spia, fa una bona azione, ma rimane sempre una spia; ha fatto magari una buona azione ma io non me fido, così come non me fido de te! (Man mano va raddolcendosi.) Dimme tu come posso stà tranquillo. Mettece poi che attraverso 'sto momento de disperazione,  a forza de debiti so' diventato come le stelle, non me se vede che de notte. Non ciò che una speranza, cambià cielo per cambià fortuna. Ma poi dove lo trovi un cielo come quello de Roma?

Jole:         Mica è detto che dovemo stà sempre fori de Roma, se saremo boni a fà un po' d'economia ce torneremo!

Benedetto: Non parlà d'economia, che voi fà l'economia dell'economia? Adesso ce vorrebbe che mio zio me mandasse li soldi del viaggio!

Marcuccio(d. d.): È permesso?

Benedetto: Avanti!

(Marcuccio entra, ha una lettera in mano.)

Marcuccio: Scusateme, non v'ho più visto e allora ho detto: fammelo andà a trovà. Poi ciò pure da consegnarve una lettera.

Benedetto: Fosse l'Avvocatino che me manda li soldi!

Marcuccio: Non ve voglio illude, la lettera è de la mia padrona e dice, che roba segnata non è roba regalata!

Benedetto(disilluso): Domani passerò da lei.

Jole: Ah, passi da lei? E io che so' la burattina tua? Che te dovrei dì adesso?

Benedetto: Non fa' commedie, perché tu hai capito de che se tratta! Sai pure che de la sora Matilde non me ne importa niente, ma te conosco, adesso vòi piglià la palla al balzo, per mettete al paro de quel diluvio de bugie che m'hai raccontate.

Jole:         Sì, ma non ce devi andà.

Benedetto: Va bene, e tu non andà più da li cagnoletti. (A Marcuccio:) Dì pure alla sora Matilde che 'sti quattrini non li può perdere.

Marcuccio: Come?

Benedetto: Fino a che li tengo io non li può perdere. Glieli manderò.

Marcuccio: Quando?

Benedetto: Quando tu li vieni a prendere, che io te li dò, che tu l'hai presi perché io te l'ho dati, così glieli porti e lei li riceve.

Marcuccio: Scusateme tanto se ho dovuto fa' 'sta parte antipatica, e auguri... (Esce.)

Benedetto: Bonasera. (Pausa.) Magari fosse giusto el valore de le parole! Altro che auguri, un'altra disillusione! (Prende lo specchio sul comò, si accomoda i capelli. ) Adesso poi, m'è scoppiato un mal de testa!...

Jole          (affettuosa): Subito che quando t'arrabbi diventi un ossesso, cambi persino de fisionomia!

(All'osteria hanno acceso la luce elettrica, dei riflessi rischiarano il fondo della scena.) Benedetto(irritato): Tutte le fortune!... Lo vedi, qui sotto mangiano!

Jole: Non ce guardà, non ce pensà, perché te martirizzi così? Ieri sera non mangiavano lo stesso?

Benedetto: Ma ieri sera avemo mangiato pure noi!

Jole:         Embè, che je fà?! (Lo guarda negli occhi, gli si avvicina, l'abbraccia e lo bacia.) Benedetto mio, quanto te voglio bene!

Benedetto: A chi vòi più bene, a me o al Foro d'Augusto? (Sparita ogni nube; affettuoso, le guarda il polso. ) T'ho fatto male assai?

Jole:         Ma no, è stata più la paura che m'hai messo! Sta' sicuro però che da oggi non succederà più niente.

Benedetto: Ma no per paura, perché chi fa bene per paura, niente vale e poco dura.

Jole:         No, mica paura de te, ho più paura de me!

Benedetto: Ma non c'è ragione, se è vero che me vòi bene.

Jole:         Tanto!

Benedetto(vorrebbe baciarla ma si trattiene): È inutile, l'amore senza li quattrini, te vié tutto sbrozzoloso! (Va alla finestra e guarda nel giardinetto, quindi sconsolato:) E qui sotto seguitano a mangià! Volemo uscì a fa' due passi?

Jole:         Vai tu, io resto a casa.

Benedetto: Nemmeno per sogno! Se tu sei contenta che io resto a casa, io so' più contento de te.

Jole:         Te senti più male? Te dòle più la testa?

Benedetto: No, ma vedi, ciò una cosa che vié non se sa da dove, me la manda non se sa chi, m'è nata non se sa come, me ce vorrebbe non so che cosa e non so mandarla via, non so in che maniera... ma che sarà?

Jole:         L'amore! E te fa sta' tanto male?

Benedetto: Sì, ma è un male che vorrei me durasse sempre. E adesso per fa' passà la fame se mettemo a letto, così domattina se svegliamo presto e in qualunque maniera se parte da Roma.

Jole:         E come fai a partì da Roma senza quattrini?

Benedetto: E che per partì servono li quattrini? Basta el treno. Ricorrerò a qualche vecchia invenzione.

Jole:         E che fai?

Benedetto: Adesso te lo dico io; montamo ne lo scompartimento e quando vie' el controllore te faccio aprì la borsetta per cercà el biglietto, questo naturalmente non c'è perché tu te lo sei perso prima de comprarlo. Io te dirò che sei stupida, distratta, tu cerchi per terra, io volto li cuscini guardo dapertutto, tu sbirci male el viaggiatore che ce capita vicino e intanto arrivamo a Ancona, se mettemo fermo stazione in deposito. Mando un biglietto a mio zio e speriamo che venga e ce svincoli. Vòi che sia tanto cane da abbandonacce?

Jole:         Faccio tutto quello che vòi.

Benedetto: Allora spògliate.

Jole:         (si toglie il vestito e indossa una vestaglia.)

Benedetto(amaramente, togliendosi il colletto) : Però è la prima volta, è vero Jole?

Jole:         De che?

Benedetto: Che se va a letto senza cena.

Jole          (con un sorriso buono e con infinita dolcezza): Ma che sciocchezze, che m'importa? Io invece so' tanto contenta. (Gli va incontro.)

(Nel frattempo due suonatori ambulanti, un violino e una chitarra, dall'osteria sottostante attaccano un valzer.)

Jole:         Senti, senti che bellezza!

Benedetto: Non me pare... è fuori tempo!

(Si siede vicino al tavolo mortificato, fole gli si avvicina e lo accarezza. Benedetto la guarda teneramente e come se riandasse con il pensiero all'inizio del loro idillio, l'abbraccia e accenna a due o tre passi di valzer. Fa per darle un bacio ma al momento preciso si sente la voce di un cameriere.)

Voce di un cameriere: Una porzione di capretto, con piselli al prosciutto!...

Benedetto(si ritrae): Non te pòi mangià un pezzo de pane in pace. (Va alla finestra e investe il cameriere, urlando:) Non potresti ordinà  un po' più sottovoce? Noi avemo mangiato adesso e quando se sta a pancia piena, a sentì solo el nome de le pietanze te fa venì la nausea. (Si siede avvilito.) È inutile so' proprio disgraziato! (E qui la commedia potrebbe terminare. Benedetto si alza, va al proscenio  e rivolgendosi al pubblico:) La commedia potrebbe anche terminare qui, tra il patetico e il drammatico, il dolciastro e l'oleografico.  Insomma tutti quei vecchi mezzi, ai quali il pubblico ancora abbocca facilmente, fattarelli che accadono nel teatro e non nella vita. Ma temendo che questo non incontri il favore di tutto il pubblico, che io mi lusingo di mandar via soddisfatto, avrei diversi e svariati finaletti per tutti i gusti... a serie. Alla commedia aggiungo la ingiustamente dimenticata farsa, e con il vostro benevolo consenso svolgo il secondo finale. (Rivolgendosi a Jole:) Rispògliati!

Romoletto(entrando affannato): Ah Benedetto... ho incontrato Cencio l'Avvocatino, m'ha dato le cinquecento lire che j'avevi prestato! 

(Porge a Benedetto cinque biglietti da cento lire, che questi afferra immediatamente e incredulo guarda. )

Benedetto: E dove siete stati fino adesso? (Consegna il danaro a Jole.) Sei contenta?

Jole:         Sì, ma io te volevo bene pure senza quattrini.

Benedetto: Questa è un'altra bugia. (Prendendo l'atteggiamento del melodista, canta:)

Giuoca l'amore giuoca

e si trastulla,

l'amor senza quattrin

non vale nulla... non vale nulla!

(Al pubblico:) E questo è un finale da caffè concerto. Terzo finale.

Paola        (d.d.): È permesso?

Benedetto: Ancora questa, come finisce male!

Filippo      (entra seguito da Paola): È permesso? Sor Benedetto, voi tempo fa m'avete detto prestateme cento lire, eccove le cento lire e senza interesse, pagherete una cenetta e siamo in pace.

Benedetto(prendendo il biglietto con molta diffidenza): Ma questo è un miracolo! Ma che è successo, siete stato a Lourdes?

Paola:       Gli avete toccato el core!

Benedetto(guardando Paola e Filippo): Ma che bella coppia che siete! Se succede 'sto connubio, che belli figli primaverili che ve nasceranno!? Quarto finale.

Romeo      (lugubre, con una corona mortuaria sotto il braccio): Sono venuti a dirti addio!

Benedetto: Dove vai?

Romeo:     Vado a defungermi, vado a tumularmi! (Siede affranto.)

Benedetto: Bel titolo di commedia: L'uomo che tumulò se stesso[2].

Marcuccio(entra correndo): 'Sta volta ve la porto bona la notizia. (Mostrando a Benedetto una lettera:) È venuta un'assicurata indirizzata a voi, valore dichiarato, lire millecinquecento.

Benedetto(stupito): Ma è possibile?

Marcuccio: Ma come, non ce credete? C'era pure el sor Filippo quando è arrivata, anzi s'è garantito lui, se nò el postino nemmeno la lasciava. (Rivolgendosi a Filippo:) Ma come non gliel'avete detto?

Filippo      (sornione): Me ne so' scordato.

Benedetto: Volevo dì che era tanto generoso! Sapeva che ce n'avevo millecinquecento, apposta me n'ha offerte cento. (Mostrando le cento lire avute da Filippo.) Con queste ce faremo una cenetta, e 'sta volta ve giuro che pagate voi!

(Marcuccio consegna la lettera a Benedetto che l'apre e ne estrae un biglietto da mille lire e uno da cinquecento. Non crede ai suoi occhi tanta è la gioia.) So' proprio mille e cinquecento lire! Quinto finale.

(Elena entra, è vestita a lutto. La scena che segue va recitata con il tono melodrammatico del vecchio teatro.)

Romeo:     Tu?

Elena:       Io!

Romeo:     Qui?

Elena:       Qui!

Romeo:     Perché?

Elena:       Per te!

Romeo:     Pe' me?

Elena:       Per te!

Tutti:        Per lui?!

Benedetto: Per noi! (Rivolgendosi al pubblico:) Per voi!...

Romeo      (a Elena): Perché sei in gramaglie?

Benedetto: È stata sempre grama!

Elena:       Quell'infelice è morto con i calcoli al fegato!

Benedetto: Già, era un contabile, avrà fatto male i suoi calcoli. (Indicando Elena:) Una disgrazia per lei... (Volgendosi a Romeo:) ...una fortuna per te. I calcoli del marito hanno fatto bene a li calcoli tuoi! (Elena piange.) Coraggio, non vedi che piange la salma e attende il salmone? (Incoraggiandolo:) Fatti avanti, che la piazza è vacante, abbracciala dunque marito supplente! (Li getta uno nelle braccia dell'altro.)

Tutti:        Evviva gli sposi!

Benedetto(al pubblico): Evviva gli sposi, potrebbe essere un altro finale. Migliaia di commedie, nella vita e nel teatro terminarono con un evviva gli sposi. Qui di sposalizi ne abbiamo due... (Indicando Romeo:) L'autunno... (Indicando Pippo:)... e l'inverno.

Paola:       Ma quando parti da Roma?

Benedetto(guardando Jole) : Quando so' finiti li quattrini.

Filippo:     Ma quando la finite 'sta commedia?

Benedetto: Adesso...

Col coretto piano piano

perché il pubblico decida,

tutto qui è Petroliniano

fatto sol perché si rida.

Sia qual vuolsi brutta o seria,

la commedia è ben da poco

io non cerco la materia,

la ragion la curo poco.

Non c'è niente di profondo

tutto è vecchio come il mondo,

c'è qualche attimo vivace

qualche cosa di mordace.

Benedetto a voi s'affida,

tutto è buon perché si rida,

ma non rido delle gonne

le considero colonne. (Due volte.)

Tutti:        Sarai vecchio come Aronne

seguirai sempre le gonne.

Benedetto: Dico bene?

Tutti:        Bene dice,

Benedetto fra le donne

Tutti:        Dice bene Benedetto

Benedetto dice ben

Benedetto fra le donne,

finché vive, lui sarà!... (Due volte.)

Fine


[1] Citazione della sintesi futurista di Francesco Cangiullo, «Non c'è un cane», che regolarmente suscitava le reazioni violente del pubblico, il quale si riteneva, non a torto, preso in giro dalla «trovata» dell'autore.

[2]