Billy il bugiardo

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BILLY IL BUGIARDO

Commedia in tre atti

Di KEITH WATERHOUSE E WILLIS HALL

PERSONAGGI

BILLY

GEOFFREY, il padre

ALICE, la madre

FLORENCE, la nonna

BARBARA, una ragazza

RITA, una ragazza

LIZ, una ragazza

ARTHUR, un amico

 

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena comprende il soggiorno, l'ingresso e parte del giardino della casa di Geoffrey Fisher. È una tipica abi­tazione piccolo borghese, in una città industriale dell'In­ghilterra. Sulla sinistra del palcoscenico si trova il giar­dino, con un piccolo sedile. Dal giardino si entra diretta­mente nell'ingresso dove si trova la scala che conduce alle camere da letto. Dall'ingresso si entra nel soggiorno, dove si svolge gran parte dell'azione. Nel soggiorno, a de­stra, una porta conduce in cucina. La mobilia della stanza si compone di una moquette a tre pezzi e di un pranzo in quercia scura. I mobili sono nuovi ma assai di cattivo gusto, come pure gli ornamenti e gli stucchi di cui è sovraccarico l'ambiente. Sulla mensola del camino, la consueta raccolta di fotografie di famiglia, e sopra, un grande specchio rotondo con borchie d'ottone. Fanno par­te dell'arredamento anche un mobile bar, molto vistoso ma di poco prezzo, un grande televisore e una credenza a due sportelli. All'alzarsi del sipario vediamo Florence Boothroyd sul divano. È la madre di Alice Fisher, una vecchia sull'ottantina, a cui riesce molto difficile assue­farsi alla vita moderna. Parla da sola in continuazione e le sue labbra si muovono sempre anche quando nessuno la sente. Ha l'abitudine di rivolgere la parola agli oggetti. In questo momento sta rovistando in una grossa borsa. La tiene aperta sulle ginocchia e via via ne toglie vari oggetti, li esamina e quindi li posa accanto a sé, sul diva­no. Ne ha già tirati fuori diversi, dei più disparati, e ora tiene in mano il libretto della pensione per la vecchiaia. Si rivolge alla credenza.

Florence                        - Non capisco... Non hanno ancora messo il timbro sul mio libretto... Non l'hanno spedito. Avrebbero dovuto spedirlo la settimana scorsa. Macché, non l'hanno spedito. {Posa il libretto e tira fuori dalla borsa un bigliet­to bianco per gli appuntamenti in ospedale) Neanche qui ci capisco. Il dottor Blakemore? Chi è questo dottor Bla-kemore? Mai visto il dottor Blakemore. Scommetto che è quel negro. Oppure è la dottoressa. Non ci andrò. Martedi? Lo sanno che il martedì non mi muovo. Non ci sono mai andata il martedì. Il dottor Thorpe diceva... (Si ri­corda di essere sola nella stanza. Posa la borsa. Si alza e a passi lenti e pesanti si dirige alla credenza. Cerca di aprire lo sportello di destra ma, trovandolo chiuso a chia­ve, torna alla poltrona e riprende la borsa) È un lazza­rone. E la madre Io incoraggia. Ci passa la vita, dentro quel letto. (Scorge sul divano il biglietto dell'ospedale e lo prende in mano) Quella benda poi che mi dovevano por­tare? (Posa il biglietto) Chissà perché deve sempre tenerlo chiuso a chiave? Non c'è ragione. £ una cosa senza sen­so. E lei... mai che dica niente.

(Dalla cucina entra Alice Fisher, moglie di Geoffrey. È una donna tra i quaranta e i cinquanta. Sia Alice che il marito vengono dalla classe operaia, ma il successo di Geoffrey come proprietario di garage, socialmente li ha fatti salire di grado. Alice tutta indaffarata nei prepara­tivi della colazione sta parlando con il marito che è rima­sto in cucina)

Alice                             - E va bene, fa come credi, Geoffrey. Fa come vuoi. Tanto è inutile che ci metto bocca. Ma io lo so quello che farei. È ancora in debito con te per il lavoro dell'ultima volta... (Traversa la stanza dirigendosi verso l'ingresso e ignorando la madre che le parla)

Florence                        - Chi è il dottor Blakemore? Chi è li dentro? è quello che ci sei andata te?

Alice                             - (è entrata nell'ingresso e chiama verso le scale) È ora di scendere, bello mio! Mica va avanti sai, l'orologio di camera tua! E sono le nove e mezza passate! (Si volta e rientra nel soggiorno)

Florence                        - Scommetto che è quel negro. Scommetto che è lui.

Alice                             - Chi? Blakemore? Credo di si.

Florence                        - Non lo voglio vedere. Non ci vado. Resto a casa.

Alice                             - Se dicono che devi andarci, ci devi andare, mamma, è inutile che protesti. Ci vai e basta. (Geoffrey Fisher entra dalla cucina. È un uomo alto sulla cinquan­tina. Tiene in mano alcune fatture e camminando verso una poltrona, dove si siede, le esamina)

Florence                        - Prima fanno scoppiare quel putiferio sugli autobus. Poi l'Egitto. Poi i Mau Mau. Non mi meraviglio che Eden stia sempre cosi male. E quell'altro, lassù? Bel lazzarone. Secondo me, sarebbe ora che suo padre gli par­lasse. Non so perché lo sopporta. Non capisco perché gli lascia fare il comodo suo.

Geoffrey                       - (alzando gli occhi dalle fatture si rivolge ad Alice. Il suo discorso è sempre carico di invettive e male­dizioni usate anche a sproposito) Tu parli bene Alice, ma non capisci un porco accidente. Non ho scelta, porco cane. Come faccio a rifiutare il lavoro?

Alice                             - Quello che dovevo dire, l'ho detto. Adesso non parlo più. Non c'entro.

Florence                        - Gli lasciano fare quello che gli pare e piace. Io no. Gli starei addosso, io.

Geoffrey                       - Porco cane, dov'è sua signoria?

Florence                        - Glielo direi volentieri a lei. Che si fa menare per il naso... Basterebbe che salisse su con uno strofi­naccio bello zuppo d'acqua e glielo strizzasse sulla faccia. Allora si che salterebbe.

Geoffrey                       - A quello ci vuole una scarica di botte, porco cane.

Florence                        - Si muoverebbe subito.

Alice                             - L'ho già chiamato tre volte.

Florence                        - Eccome si muoverebbe!

Geoffrey                       - Tutti i giorni la stessa musica.

Florence                        - Dovrebbe alzarsi per forza.

Geoffrey                       - Gli lasci fare quello che vuole.

Alice                             - (prende dal caminetto attizzatoio e paletta, va nell'ingresso e chiama di nuovo) Billy! Billy! (Picchia l'at­tizzatoio sulla paletta) È l'ultima volta che ti chiamo. Se vengo su vedi. Lo sai che ore sono? Il tuo uovo è ghiac­ciato, e non te ne cuocio un altro!

Florence                        - Gli lascia fare quello che vuole.

Geoffrey                       - Ma va su. Va su e sbattilo fuori a calci! È tutta poltroneria! (Alice torna nel soggiorno e rimette a posto attizzatoio e paletta)

Alice                             - Intanto però te ne stai li seduto. Ci hai poco da chiacchierare, anche te. Guarda! ancora non hai puli­to qua dentro...

Florence                        - Dovrebbe andare di sopra. Io ci andrei. (Sta riponendo gli oggetti nella borsa e si ferma quando arriva al biglietto dell'ospedale) Questo della benda è un miste­ro. Eppure sono sicura che l'avevo. Dev'essere in casa, da qualche parte.

Geoffrey                       - Qua non si può lasciare niente in giro senza che qualche schifoso le la sposti. Chi è che seguita a to­gliere le fatture da questo vaso? C'è qualche porco schi­foso che le toglie.

Florence                        - Bisognerebbe che stesse attento a chiudere quella finestra tutte le sere. La porta di dietro poi non la chiude mai per bene, col catenaccio. E invece andrebbe chiusa. Ci sono venuti degli altri negri, al posto dove sta­vano i Whitaker. (Billy Fisher comincia a scendere le scale. Ha diciannove anni ed è di costituzione mingherlina. Sul pigiama indossa un vecchio impermeabile)

Alice                             - È lui? Finalmente s'è deciso. Vado a vedere a che punto sta la colazione. (Va in cucina mentre Billy scende l'ultimo scalino. Billy prende sulla porta il gior­nale ed entra nel soggiorno)

Florence                        - Gli lascia fare quello che vuole.

Billy                              - (legge ad alta voce) Imminenti cambiamenti nel Gabinetto.

Geoffrey                       - Ti faccio diventare imminente anche te, por­co cane, se non ti sbrighi ad alzarti la mattina.

Billy                              - Buon giorno padre.

Geoffrey                       - Altro che buon giorno! Qua a momenti è sera! Se credi che tua madre... porca miseria schifa... non abbia altro da fare che prepararti sei volte la cola­zione... ti sbagli!

Florence                        - Gli lascia fare quello che vuole!

Billy                              - (ignorando il padre si rivolge alla nonna con un inchino) Servo vostro, madama.

Geoffrey                       - E piantala con le commedie! Parlo con te, porco cane! Sei una disperazione sei! E per la miseria devi imparare a vestirti decente la mattina prima di scendere.

Florence                        - Bisognerebbe bruciargli quell'impermeabile. Bruciarglielo! Buttarglielo nel fuoco. Allora gli tocchereb­be di vestirsi, che gli vada o no.

Billy                              - Chi dovrebbe bruciare l'impermeabile è il ge­nitore suppongo. E chi dovrebbe vestirsi la mattina penso che sia la mia umile persona. Perché nonna, rivolgi sem­pre i tuoi discorsi alla credenza?

Geoffrey                       - Ehi, ehi, ehi... Con chi credi di parlare, por­co d'un diavolo? Mica sei a spasso con quegli scemi dei tuoi amici! A proposito, a che ora sei rientrato stanotte? Sempre che fosse stanotte, ma è più facile che fosse sta­mattina. (Alice torna dalla cucina)

Billy                              - H'm, con precisione non saprei. Saranno state le undici e mezzo o un quarto a mezzanotte. Buon gior­no, signora madre.

Geoffrey                       - Che undici e mezzo! di pure l'una, porco d'un... Ma mondo cane bisogna che cominci a rincasare appena annotta, lo sai? Mica permetto che proprio tu, alla tua schifosa età, mi rimanga fuori a bighellonare a qualsiasi ora.

Billy                              - Se non ci vuoi me a bighellonare, chi ci vuoi?

Geoffrey                       - Oh! guarda che non sopporto risposte, eh? T'avverto subito.

Alice                             - Che facevi ieri sera alle nove al Foley Bottoms?

Billy                              - Chi dice che ero al Foley Bottoms?

Alice                             - Lascia stare chi lo dice, che non importa. Fatto sta che c'eri: ti hanno visto. E neanche insieme a quella Barbara.

Florence                        - Bisogna che decida con chi andare in giro.

Geoffrey                       - Ne porta a spasso troppe: una per sera! Porco cane mi sembra una ragazza anche lui!

Billy                              - Chiunque mi abbia visto, digli pure che s'im­picci degli affaracci suoi.

Alice                             - Sono affari nostri. E non farmi lo sfacciato. Ancora sei troppo giovane.

Florence                        - Se viene oggi a prendere il tè, glielo deve dire. Se non glielo dice lei, ci penso io.

Billy                              - Suppongo che chi viene a prendere il tè sia Barbara, e chi glielo deve dire... la genitrice.

Alice                             - Vuoi star zitto? Glielo dirò eccome! inutile che t'agiti. Non sei mai stato serio con quella ragazza: tiri avanti e via. Mi meraviglio che lei ti pigli in considera­zione. Oggi stai con una, domani con un'altra... Ma io lo so come andrà a finire. Finirà che ti pianteranno tutte, ecco come finirà.

Geoffrey                       - Finirà che gli sfascio il grugno, gli sfascio. Non permetto che passi metà della notte fuori casa. Non ha l'età. Aspetti d'aver compiuto ventuno anni, porco cane, per cominciare queste storie. Già gliel'ho detto: o si ficca in testa di rientrare presto la sera, o se ne va ad abitare da un'altra parte.

Billy                              - Forse lo farò.

Alice                             - Non riesco a capire quella Barbara... Come fa a darti retta. Stai per fidanzarti con lei, si o no?

Geoffrey                       - Porca schifa non lo sa neanche lui con chi si deve fidanzare!

 Florence                       - Bisogna che si decida.

Alice                             - (ignorando Geoffrey e Florence) Perché vedi, lei non è come le altre. Quella volta che vi ho visti insie­me, sotto i portici, bè mi è sembrata una figliuola per bene. Non come quella Liz o come diavolo si chiama. Quella sciamannata che ti rimorchiavi... con tutta la gon­nella sporca. L'hai più vista?

Geoffrey                       - Ne vede tante, porco cane, che non sa neanche lui quali.

Florence                        - Bisogna che decida una volta per tutte. Bisogna che decida con chi va in giro.

Billy                              - Non vedo Liz da tre mesi.

Alice                             - Allora con chi eri al Foley Bottoms? Ieri sera?

Billy                              - Con Rita.

Geoffrey                       - E chi è questa dannata Rita?

Florence                        - Deve farlo decidere.

Alice                             - Lo dirò a Barbara oggi. Glielo dirò, sta sicuro.

Geoffrey                       - Non è mai contento di quello che ha. Ecco il suo guaio, porco cane. Mai stato. Fin da quando ha finito le scuole. Fin da quando ha preso quel posto... d'im­piegato. Impiegato in quell'impresa di pompe funebri. Che razza di posto, porco cane!

Billy                              - Può darsi che non ci rimanga per molto.

Geoffrey                       - Può darsi cosa?

Alice                             - Che dici?

Billy                              - Me ne hanno offerto uno a Londra.

Geoffrey                       - (voltando la testa disgustato) E non parlare da scimunito, per Dio!

Alice                             - Come, un lavoro a Londra? E quale lavoro?

Billy                              - (tira fuori da una tasca dell'impermeabile, una busta spiegazzata) Ve l'ho detto: un lavoro a Londra. Scrittore.

Geoffrey                       - Porco cane! Scrittore!

Alice                             - Ma come... scrittore?

Geoffrey                       - Scrittore! se non sa neanche scrivere il suo stramaledetto nome in maniera da leggerlo. E chi te lo avrebbe offerto?

Billy                              - (con orgoglio) Danny Boon.

Alice                             - Danny chi?

Billy                              - (iniziando una lenta, esasperata spiegazione) L'ho detto prima: Boon. Danny Boon. Già l'ho detto. Re­citava all'Empire l'altra settimana. E anche questo l'ave- j vo detto. Sono stato a trovarlo. In camerino. E gli ho portato delle cose mie. Be', le ha lette. Le ha lette e gli piacciono. E ora mi arriva questa lettera in cui mi offre un posto a Londra. Per scrivere testi. Danny Boon. L'at­tore. Ha lavorato anche alla Televisione.

Florence                        - (rivolta al televisore) È sempre boxe. Boxe e mostre di cavalli.

Alice                             - (ignorandola) Danny Boon? Non ricordo di averlo mai visto.

Geoffrey                       - Né te né nessuno. È una nuova balla. Se i l'è inventata lui.

Alice                             - E cos'è questo lavoro?

Billy                              - Te l'ho detto: scrivere testi.

Geoffrey                       - Un'altra delle solite balle che porta a casa. Non è capace di dire due parole senza che ci sia in mez­zo una stramaledetta bugia. Non è andato a raccontare j a quella donna del pescivendolo, che avevano dovuto ta­gliarmi una gamba! Ho forse l'aria di uno che gli hanno tagliato una gamba?

Billy                              - Non eri tu. Era lo zio di Barbara. Capisce tutte 1 storie quello là!

Alice                             - Dovresti piantarla Billy, con le tue invenzioni. Che senso ha all'età tua? Con te non si capisce mai niente. Ormai sei troppo grande per queste cose!

Billy                              - (aprendo la lettera) E va bene: guardate! Ec­covi la lettera. Vuole che vada da lui, a Londra, per metterci d'accordo. Stamattina faccio una telefonata in ufficio e mi licenzio.

Alice                             - Ma no! non si fa cosi Billy. Non puoi cosi di botto precipitarti a Londra!

Geoffrey                       - Che Londra e Londra?! non ci va per nien­te! Saranno loro piuttosto, a telefonarti. Ti metteranno .' alla porta, ti metteranno, te lo dico io. A che ora hai in mente di andare in ufficio stamattina, si può sapere?

Billy                              - Non ci vado in ufficio. Ho il sabato libero que­sta settimana.

Geoffrey                       - Anche la settimana scorsa hai detto lo stes­so. E pure la settimana ancora prima. Ehi! sono tre settimane in fila, lo sai?

Billy                              - Avevo fatto confusione...

Geoffrey                       - Non ho più pazienza con te (Infila le fat­ture in tasca e si alza) Comunque, tu potrai farne a me­no, ma io devo lavorare.

Alice                             - Vai in centro, Geoffrey?

Geoffrey                       - Si, da quelle parti.

Alice                             - Mi dai un passaggio? Vado a fare la spesa.

Geoffrey                       - Te lo dò se non impieghi l'intera giornata a vestirti. È già tardi.

Alice                             - (dirigendosi nell'ingresso) Io sono pronta. Il tempo d'infilarmi il cappotto. (Va nell'ingresso e infila un soprabito che sta appeso all'attaccapanni)

Geoffrey                       - (a Billy) E tu lavati, sudicione. E vestiti. E tieni lontane le mani dal mio rasoio altrimenti ti faccio vedere io.

Florence                        - (alzando la voce) Va" fino in rosticceria? Perché ci sarebbe da ritirare quel pasticcio di maiale per il tè d'oggi.

Alice                             - (rientrando con il cappotto) Ci passo io. (A Billy) La colazione è sul tavolo di cucina. Ormai sarà gelata.

Geoffrey                       - (dirigendosi verso la porta si volta per dare un'ultima frecciata a Billy) Puoi anche lavare i piatti quando hai finito. Senza lasciare tutto a tua madre.

Alice                             - (a Florence) Non starò fuori più di un'oretta, mamma. (Alice e Geoffrey traversano l'ingresso ed escono nel giardino. Billy va in cucina)

Florence                        - Non dovrebbero lasciarmi sola. Non m'ha detto niente per l'uomo delle assicurazioni. Se viene, non so neanche cosa dargli. (Alice e Geoffrey stanno traver­sando il giardino)

Geoffrey                       - (traversando il giardino con Alice) Che cre­di? Arrivo giusto in fondo al viale. Non potevi prendere quello stramaledetto autobus? Non lo capisco. (Mentre Alice e Geoffrey escono dal giardino Billy ritorna dalla cucina con una tazza e una teiera)

Billy                              - Impossibile mangiare l'uovo. È, ghiaccio come il marmo.

Florence                        - Si fa troppo spreco, in questa casa. Tutto ben di Dio che va in malora. Noialtri si, che ci facevano mangiare. Alla sua età non potevamo lasciare niente nel piatto. Se si lasciava qualcosa la mattina te lo rimette­vano davanti la sera. Se c'erano uova, erano uova e ba­sta. E ringraziare Dio d'averle. Ci si doveva contentare di quello che c'era. Pane inzuppato.

Billy                              - (si è seduto e si versa una tazza di tè) Vuoi una tazza di tè?

Florence                        - E se non t'alzavi alle sei di mattina, manco più quello prendevi.

Billy                              - (beve un sorso e fa una smorfia) A Londra, a quest'ora, non si beve il tè: solo caffè. È quello che farò tra una settimana a quest'ora.

Florence                        - E la domenica, eguale: niente poltrire, a letto. Niente. (Billy e la nonna sono adesso ognuno nel proprio mondo di sogni)

Billy                              - Seduto al bar. Espresso. Con una ragazza. Stu­dentessa di scuola d'arte. Cappotto di lana di pecora e unghie sporche. Scoperta la notte prima. Mentre medi­tava il suicidio.

Florence                        - A quei tempi chi aveva un posto se lo te­neva stretto. Perché non ne trovava un altro.

Billy                              - (rivolgendosi alla propria compagna immagina­ria) Cara mia, il diavolo non è mai brutto come si dipinge. Meno d'una settimana fa mio padre era nelle tue condizioni. Voleva ammazzarsi. Tornando in sé dopo l'o­perazione, aveva guardato li, al posto dove dovevano es­serci le gambe. Niente.

Florence                        - Altro che andarsene a sbrendoli a Londra o che so io. Arrivare a Scarborough era già una fortuna.

Billy                              - Solo un vuoto nel letto. Ormai non sarebbe stato mai più Campione del Mondo. Un rottame d'uomo su due gambe di latta, (si solleva adagio sulla sedia e adagio, con sforzo, zoppica per la stanza appoggiandosi pesantemente ai mobili)

Florence                        - (rivolta a Billy) Non ha la testa a posto. (Billy si accorge che la nonna lo osserva e si riscuote) Non dovrei curarmene, ma mi fa pena guardarlo.

Billy                              - (strofinandosi la gamba come spiegazione) Un crampo.

 Florence                       - Bisognerebbe che si vestisse. (Arthur Crabtree entra nel giardino dirigendosi alla porta d'ingresso - ha press'a poco l'età di Billy. Indossa i calzoni di fla­nella, giacca sportiva e camicia a quadri. Suona il cam­panello che squilla nell'ingresso, su -due toni diversi)

Florence                        - (mentre Billy si avvia ad aprire) Non sta bene che vada ad aprire conciato in quel modo. (Billy apre e comincia con Arthur la scenetta consueta, che è il loro modo di salutarsi. Arthur tiene sollevato col brac­cio una lanterna immaginaria e scruta in tenebre imma­ginarie)

Arthur                           - Capo, c'è agitazione nella miniera.

Billy                              - Che vogliono ancora? Sono decisi a scioperare.

Arthur                           - Jonath, non sopportano tuo figlio. Non lo vogliono tra i piedi. È come mettere la miccia accanto al­la polvere.

Billy                              - E invece lo sopporteranno. C'è sempre stato un Olroyd nelle miniere Olroyd e sempre ci sarà.

Arthur                           - Che t'avevo detto? Li senti? Si sono messi in marcia. Vengono qui.

Billy                              - Presto Ned: entra e sbarra la porta. Non dob­biamo dimenticare che la nostra Sally... ha il cuore de­bole. (Entrano insieme e marciano fin nel soggiorno dove scoppiano in gran risate)

Florence                        - Buffonate e chiasso. Peggio che al manico­mio. Chiasso e buffonate. Potrebbero farne a meno, quei due.

Arthur                           - Buon giorno signora Boothroyd.

Florence                        - Meno chiasso e andarsi a vestire.

Billy                              - Vuoi una tazza di tè, Arthur? Sto giusto fa­cendo colazione.

Arthur                           - Vedi 'sto cornacchione. Lo sai brutto bastar­do che a quest'ora tanti di noi hanno già fatto il lavoro d'una giornata?

Billy                              - Allora perché non sei a lavorare?

Arthur                           - Perché non ci sei tu, a lavorare, ecco per­ché non ci sono neanch'io. Perché sono venuto a vedere dov'eri. Sono saltati in aria giù in ufficio. Nemmeno sa­bato scorso ci sei venuto.

Billy                              - Non è il mio sabato libero, oggi?

Arthur                           - Sai maledettamente bene di no.

Florence                        - (alzandosi dal divano) Tutti senza voglia di far niente. Tutti eguali. Vien da star male. (Traversa la stanza e si avvia su per le scale)

Billy                              - Potrei dire che mi sono dimenticato e credevo che lo fosse.

Arthur                           - Ma va' all'inferno! L'hai già detto l'altra settimana.

Billy                              - Dirgli allora che mio nonno s'è dovuto taglia­re una gamba.

Arthur                           - Ma cos'è 'sta cretinata del nonno? Comun­que io non posso dirgli niente. Mica sanno che sono ve­nuto. Ho approfittato dell'intervallo. Pensano che sia an­dato a prendermi un caffè. No, non gli dico proprio nien­te. Già ho avuto abbastanza rogne con la mia vecchia, per colpa tua e delle tue storie schifose. Raccontare a tutti che stava aspettando un bambino. L'ha saputo, che credi? E dice che verrà a parlare a tuo padre.

Billy                              - Accidenti, non può! Giusto ieri sera gli ho det­to che aveva abortito da poco. Credono che sia ancora a letto.

Arthur                           - Ma perché diavolo gliel'hai raccontato?

Billy                              - Non avevo scelta. Mia madre stava per man­dare un regalo al pupo.

Arthur                           - Il tuo guaio, cucciolone mio, è d'essere uno schifoso bugiardo patologico. Stavolta però hai fatto l'ul­tima. Col fatto di non presentarti stamattina, ci sei ca­scato dentro in pieno.

Billy                              - Ne posso sempre uscire. Troverò qualche scusa.

Arthur                           - Altro che scuse, compare. Shadrack t'ha guar­dato i registri.

Billy                              - Quando?

Arthur                           - Stamattina, quando sennò? C'è un deficit di almeno tre patacche. Tutto quel che c'è nel libro è uno zozzo fetente francobollo da tre penny. E lui dice d'averti mollate due sterline e dieci mercoledì, per i francobolli.

Billy                              - All'inferno! È andato pure a guardare nella cassa?

Arthur                           - Prima che uscissi io, no. Perché? ti sei tra­stullato anche con quella?

Billy                              - No, no... Ma non ho il registro in ordine.

Arthur                           - E poi bofonchiava di certi calendari. Non so cosa intendesse.

Billy                              - (andando alla credenza) Lo so io. (Toglie da una tasca dell'impermeabile una chiavetta e apre lo spor­tello di destra. Appena apre, un mucchio di grandi buste cade sul tappeto, seguito da altre cianfrusaglie) Toh bello. Duecentosessanta di quei bastardi.

Arthur                           - Che roba è?

Billy                              - Calendari.

Arthur                           - (va a raccogliere una busta da terra) Che ci fai con duecentosessanta calendari? (Legge sulla busta l'indirizzo) Alla Madre Superiora, Convento del Sacro Cuore         - (Apre la busta e tira fuori un calendario da muro, di grande formato con una illustrazione a colori vivaci raffigurante un gattino e un cane) Shadrack e Duxbury Pompe Funebri... Ma sono della Ditta?! "Gusto, tatto e economia". Guarda 'sto schifoso! Ma dovevi impostarli a Natale!

Billy                              - Si.

Arthur                           - Be', e che ci fanno li nella credenza?

Billy                              - Non mi sono mai bastati i francobolli.

Arthur                           - I soldi della posta, secondo te, farebbero par­te del tuo schifoso salario, vero? (Si china a frugare tra il mucchio di carta sul pavimento) Perché li tieni li dentro?

Billy                              - Ci tengo le mie cose personali.

Arthur                           - (raccogliendo un pacchetto) Personali! Una schifosa benda di garza! (Getta via il pacchetto e prende un foglio di carta azzurra) E questo cos'è?

Billy                              - (cercando di strapparglielo) Ehi, posa! Dammi qua... Sono faccende private!

Arthur                           - (evitando la mano di Billy) Perché diavolo hai scritto a Geoffrey Win?

Billy                              - Non ho scritto io. È mia madre.

Arthur                           - (legge) "Egregio Signore, solo poche righe per farle sapere quanto gradisca ogni giorno la vostra Selezione delle Massaie, che ascolto sempre, anche se ho da fare in quel momento, potrebbe suonare per me Can­zone al crepuscolo?" Capirai; in una gara per le prime dieci! ma che ci ha in testa la tua vecchia? (Legge) "Te­mo che Lei non abbia il tempo di suonare per tutti quelli che Le scrivono ma questa è la mia canzone preferita. Vede, spesso mio marito me la cantava quando eravamo un po' più giovani. Se poi non potrà suonarla, Le sono grata lo stesso. Sua devotissima A. Fisher." E tu perché non l'hai impostata?

Billy                              - Perché mi scocciava (Fa un altro tentativo per afferrarla) Su... dammela!

Arthur                           - (tenendolo lontano) "P. S. Anche mio figlio scrive canzoni, ma non credo che ci siano per lui molte possibilità, visto che non ha studiato. Siamo gente mo­desta."

Billy                              - (afferra la lettera e la butta nella credenza) Modesta sarà lei: io no. (Ficca di nuovo nella credenza tutti i calendari) Hai voglia a cercare di sbarazzartene di questi qua... Già fu complicato portarli fuori dell'uf­ficio.

Arthur                           - E da quanto tempo li tieni li?

Billy                              - Non molto. Prima li tenevo in quella bara, nel­lo scantinato dell'ufficio. Non si riesce a farli fuori questi dannati. Stanno diventando un incubo, accidenti a loro! Ho cercato di bruciarli e non bruciano. Ho cercato di farli a pezzi e buttarli nel gabinetto macché! galleggiano.

Arthur                           - Ormai non conta quello che ne fai. Duxbury t'ha scoperto. Sa tutto dei calendari.

Billy                              - (infilando gli ultimi nella credenza, di cui chiude lo sportello) E va be'... tanto piacere. Per me, può adoperarli pure come carta igienica: me ne frego. Tanto me ne vado. Ho trovato un altro posto.

Arthur                           - Te ne vai?

Billy                              - In mattinata gli telefono e mi licenzio.

Arthur                           - Si, già l'hai detto altre volte.

Billy                              - No, sul serio. Vado a Londra.

Arthur                           - A far che... lo spazzino?

Billy                              - (magniloquente) Spazzino sulla strada della gloria! (Tornando a un tono normale) È quel lavoro per Danny Boon.

Arthur                           - Ma va!

Billy                              - Parola: devo scrivergli i testi. Comincio la settimana prossima.

Arthur                           - Dai dai buffone! Dici proprio sul serio?

Billy                              - Certo! è tutto stabilito. M'ha scritto una let­tera. Chiedendomi di lavorare per lui.

Arthur                           - E quanto ti paga?

Billy                              - Eh! non c'è confronto con quello che piglio adesso da Shadrack e Duxbury... All'inferno tutt'e due!

Arthur                           - Come? compresi i soldi dei francobolli?

Billy                              - Ma che ti frega a te? Si tratta di me, adesso! Straordinario successo! Grandioso Spettacolo Sabato Se­ra! Gran Gala Domenica al Palladium! Autore...

Arthur                           - Parazum Parazum Parazum!

Billy                              - Billy Fisher! Regista...

Arthur                           - Parazum Parazum Parazum!

Billy                              - William Fisher! Produttore...

Arthur                           - Parazum Parazum Parazum!

Billy                              - William S. Fisher!

Arthur                           - Parazum Parazum Parazum!

Billy                              - Omaggio a W. S. Fisher. "Signor Fisher, a no­me della Televisione Britannica, al servizio di venti mi­lioni di telespettatori, mi riesce assai gradito offrirle sta­sera questo premio che lo riconosce 'Scrittore Televisivo dell'Anno' per il settimo anno consecutivo!"

Arthur                           - (prende un vaso dalla credenza e glielo mette in mano) Ooh... Genio!

Billy                              - (rimette il vaso sulla credenza) Frescacce a parte: aspetta e vedrai.

Arthur                           - (togliendosi dalla tasca dei calzoni una botti­glietta) Queste allora non ti servono più?

Billy                              - Cos'è?

Arthur                           - Pillole di Passione. Quelle che t'avevo pro­messo.

Billy                              - (prendendo incredulo la bottiglietta) Fa un po' vedere (Apre la bottiglietta e fa per ingoiare una pastic­ca) Di che sanno?

Arthur                           - Ehi, vacci piano! Queste ti danno lo strillo!

Billy                              - (rimettendo nella bottiglietta la compressa) Tu come le hai avute?

Arthur                           - Da un amico mio che è stato smobilitato. Le ha portate da Singapore.

Billy                              - Scommetto che sono dannate aspirine.

Arthur                           - Vuoi scommettere? Domandalo all'amico mio, frescone. Domandaglielo.

Billy                              - Quante se ne deve dare?

Arthur                           - Basta una. Un paio di cicchetti al Regal, un sacchetto di patatine e uno di queste: stai a posto. Co­munque, per chi sono?

Billy                              - Per Barbara... (Ripensandoci) All'inferno!

Arthur                           - Che c'è?

Billy                              - C'è che viene qua stamattina.

Arthur                           - Ma non doveva venire nel pomeriggio, per il tè?

Billy                              - (mettendo la bottiglietta delle pillole sulla cre­denza) Ma prima dovevo vederla. Il genitore mi diventa calvo se parla con lei prima che le abbia detto io due parole. È convinta che sia capitano di lungo corso.

Arthur                           - Che??

Billy                              - (andando in fretta nell'ingresso) Su una petro­liera           - (Indica la tazza e la teiera) Portamele in cucina fa il piacere. Torno subito. (Dall'ingresso corre su per le sca­le e sparisce in camera. Arthur prende tazza e teiera e va in cucina. Ritorna e va alla credenza dove prende la bottiglietta delle pillole. Billy appare in cima alle scale con i vestiti in mano. Scende e entra nel soggiorno. Arthur posa di nuovo la bottiglietta sulla credenza)

Arthur                           - A che ora arriva?

Billy                              - Doveva essere arrivata quindici minuti fa. Do­ve sono le pillole?

Arthur                           - Sulla credenza. Non avrai mica intenzione di rifilargliene una stamattina?

Billy                              - Perché no? Il tempo incalza, caro mio. Stasera debbo uscire con Rita.

Arthur                           - E tua nonna, dove la metti?

Billy                              - Oh quella è come morta fino all'ora di pranzo.

Arthur                           - Senti, ormai ho perso traccia della tua schi­fosa vita sessuale. Ma attualmente con chi sei fidanzato?

Billy                              - È quella che si chiama una questione acca­demica.

Arthur                           - Si, ma non sarai fidanzato contemporanea­mente a tutt'e due, Cristo Santo!

Billy                              - Scommettiamo?

Arthur                           - Per Dio! e quale delle due ha lo schifoso anello di fidanzamento?

Billy                              - Eh, questo è il guaio. E in parte il motivo per cui Barbara viene qui adesso. Ce l'ha lei. Ma devo ripren­derglielo. Per Rita.

Arthur                           - E perché?

Billy                              - Perché prima ce l'aveva lei, Rita. Solo che gliel'avevo preso per darlo a Barbara. Ora lo rivuole. Gli ho raccontato che era dal gioielliere, per fissare la pietra. Ma se non glielo rido quella fa un putiferio.

Arthur                           - Prima te ne vai a Londra, meglio è.

Billy                              - (infila la camicia nei calzoni e si mette la giac­ca) Sei sicuro che quelle pillole di passione funzione­ranno con Barbara? Dal collo in giù è un ghiacciaio.

Arthur                           - Non ci hai provato.

Billy                              - Provato? E chi non ci ha provato? Se vuoi provarci anche tu, guarda, accomodati pure. Lei non fa altro che star li seduta e mangiare quegli aranci fetenti.

Arthur                           - Perché ti ci sei fidanzato allora? non lo capi­sco. Cos'è successo con Liz?

Billy                              - Non mi parlare di Liz. Non la vedo da mesi. Se l'è filata a Bradford o chissà dove.

Arthur                           - Ma è pure tornata. L'ho vista io stamattina.

Billy                              - Chi? Liz?

Arthur                           - Già... quella scarruffona. Ci ho sbattuto il naso a Sheepgate. Sporca come sempre. Sarebbe ora che qualcuno le comprasse una sottana nuova. (Vediamo Bar­bara avvicinarsi alla casa. È una ragazza sui diciannove anni, sana e ben piantata, con scarpe a tacco basso e completo di tweed. Porta una grossa borsa)

Billy                              - T'ha detto niente di me?

Arthur                           - Non mi sono fermato. Giusto il tempo di dirle ciao. Non volevo farmi vedere a chiacchierare con quell'uccello scarruffato. (Barbara suona il campanello)

Billy                              - È Barbara. Dove sono le pillole? (Corre alla credenza, prende la bottiglietta delle pillole e se l'infila nel taschino della giacca. Arthur si dirige alla porta)

Arthur                           - Comunque sia me ne devo andare. Quando torno in ufficio mi sparano. A momenti è mezz'ora che sono uscito.

Billy                              - (andando ad aprire) E aspetta due minuti, no? Altrimenti è evidente. Se ti vede che te ne vai per la­sciarmi solo con lei, figurati! salta via come un grillo.

Arthur                           - Ma ho fatto tardi.

Billy                              - Be', il tempo di dirle due parole. (Va nell'in­gresso, apre la porta e fa entrare Barbara) Ciao bella!

Barbara                         - (che usa affettuosità e vezzeggiativi col tono più freddo e indifferente) Ciao passerotto.

Billy                              - (facendole strada) Vieni in salotto.

Barbara                         - (seguendolo) Ciao

Arthur                           - (Arthur le fa un cenno di saluto. Barbara si guarda intorno)

Barbara                         - Che bella stanza! (Va a vedere il mobile bar) Che bel bar!

Billy                              - L'ho fatto io. (Reazione di Arthur)

Barbara                         - Che bravo, il mio tesoro! Non sapevo che lavorassi anche da falegname.

Billy                              - Si, si, tutti i mobili sono opera mia (Una pau­sa, poi buttandosi) Anche il garage. (Barbara si guarda intorno, dubbiosa)

Arthur                           - (tossicchiando) Be', è ora che mi muova, amico.

Barbara                         - Non te ne andrai per me, Arthur.

Arthur                           - No, bisogna che vada in ufficio (A Billy) Ciao, scemo!

Billy                              - Arrivederci.

Barbara                         - Che!... Billy, è in casa tua sorella?

Arthur                           - (si ferma di botto e si volta) Che accidenti di sorella? (Senza farsi vedere da Barbara, Billy gli fa cenno di andarsene. Arthur obbedisce in fretta)

Billy                              - Barbara, sono contento che tu l'abbia fatta questa domanda. Su mia sorella.

Barbara                         - Che c'è?

Billy                              - Siediti cara. (Barbara siede sul divano) Sei ancora dell'idea di venire a prendere il tè, oggi nel po­meriggio?

Barbara                         - Si capisce.

Billy                              - Perché vedi... debbo parlarti.

Barbara                         - Di cosa?

Billy                              - Sai quello che m'hai detto l'altra sera... che mi ami... e che mi ameresti anche se fossi un criminale?

Barbara                         - Ebbene?

Billy                              - Hai detto che avresti continuato ad amarmi anche se avessi ucciso tua madre.

Barbara                         - (sospettosa) E allora?

Billy                              - E allora... mi domando se mi amerai ancora quando avrai sentito quello che debbo dirti. Vedi... tu lo sai che ho un'immaginazione molto... fervida...

Barbara                         - Devi averla no? se vuoi fare lo scrittore.

Billy                              - Appunto. Ed essendo uno scrittore, forse, a volte tendo a lasciarmi trascinare dalla fantasia. Del re­sto tu lo sai     - (Barbara si mantiene fredda e distaccata più del solito) Capisci... il fatto è che se dobbiamo pensare di vivere insieme... con la casetta, il piccolo Billy, la pic­cola Barbara e tutto quanto... be', bisogna chiarire alcune cose.

Barbara                         - Quali?

Billy                              - Alcune... be', alcune di quelle che ti ho raccon­tato. Ho paura.

Barbara                         - Vuoi dire che mi hai mentito?

Billy                              - Proprio mentito, no. Forse ho esagerato un po', alle volte. Sai essendo uno scrittore... Per esempio, quella faccenda di mio padre che è capitano. Su una petroliera.

Barbara                         - Non è su una petroliera?

Billy                              - Non è nemmeno in marina.

Barbara                         - E allora cosa fa?

Billy                              - Si occupa di trasporti.

Barbara                         - E la prigionia durante la guerra? E il tun­nel? La medaglia? Non vorrai dire che erano tutte bugie?

Billy                              - Si. (Barbara gli volta le spalle) Sei in collera?

Barbara                         - No, in collera no. Sono delusa. Sembra quasi che ti vergogni di tuo padre.

Billy                              - Non me ne vergogno. No, no!

Barbara                         - Altrimenti perché raccontarmi che è stato prigioniero in guerra? Che cos'era?

Billy                              - Obbiettare di... (Si trattiene) Macché, un bel niente. Riformato. Gli fa male un ginocchio.

Barbara                         - Quello colpito dalla pallottola?

Billy                              - Già. Un'altra cosa: non abbiamo cani e nem­meno gatti. E i mobili non sono opera mia. Non tutti, almeno.

Barbara                         - Quante altre bugie m'hai raccontato?

Billy                              - Mia sorella.

Barbara                         - Non mi verrai a dire che non hai una so­rella.

Billy                              - L'avevo. Ma è morta. Se hai ancora intenzione di venire a prendere il tè oggi nel pomeriggio, non par­larne. (Barbara rimane per un po' in silenzio, sempre volgendogli le spalle) Tu me la ricordi tanto... Se oggi non verrai, capirò. Non sono degno di te, Barbara. Se vuoi restituirmi l'anello, capirò.

Barbara                         - (volgendosi verso di lui) Non prendertela troppo adesso. Ti perdono.

Billy                              - (fa per baciarla) Cara...

Barbara                         - (scostandosi) Però mi devi promettere...

Billy                              - Che non ti dirò più bugie? (Barbara fa cenno di si) Non te ne dirò mai più. Mai mai più. Prometto... Cara, c'è una sola cosa. Ho una nonna.

Barbara                         - Ti credo.

Billy                              - Soltanto che... non è cieca. Non sta molto be­ne, però. È di sopra. Dorme. Forse dovranno tagliarle una gamba.

Barbara                         - (baciandolo) Poverina...

Billy                              - (dirigendosi rapido al mobile bar) Vuoi bere?

Barbara                         - No, adesso no passerotto.

Billy                              - (apre il bar) Un po' di porto. Per festeggiare.

Barbara                         - E va bene. Ma poco poco.

Billy                              - Ho voltato una nuova pagina, mia cara! (Senza farsi scorgere da Barbara, versa il porto nel bicchiere e fa cadere in quello di Barbara una delle famose pillole. Poi, con i bicchieri in mano va a sedersi accanto a lei sul divano)

Billy                              - Ecco il tuo, amore.

Barbara                         - (sorseggiando il porto) Parliamo di qualcosa di carino.

Billy                              - Parliamo della nostra casetta.

Barbara                         - Ho si! Ho visto una stoffa meravigliosa per le tende del soggiorno. Sul serio, ti piacerà da morire! È una specie di turchese con degli schizzetti tanto carini a forma di bicchiere di vino.

Billy                              - S'intona col tappeto giallo?

Barbara                         - No, ma sta benissimo con quelli grigi.

Billy                              - (prendendola fra le braccia) Cara, come ti amo!

Barbara                         - (sciogliendosi dall'abbraccio) Anch'io.

Billy                              - Mi ami davvero? Veramente e profondamente?

Barbara                         - Certo che ti amo.

Billy                              - Non vedi l'ora di diventare mia moglie? (Bar­bara prende dalla borsa un arancio e per tutto il dialogo seguente lo sbuccia e comincia a mangiarlo)

Barbara                         - Ci penso ogni minuto della giornata.

Billy                              - Tesoro... (Tenta di nuovo di baciarla senza riu­scirvi) Non innamorarti mai di nessun altro.

Barbara                         - Parliamo della nostra casetta.

Billy                              - (fingendo un tono di voce sognante) Che dire della nostra casetta?

Barbara                         - Il giardino. Parlami del giardino.

Billy                              - Avremo un bellissimo giardino. Con rose e nar­cisi e un bellissimo praticello verde con un'altalena per il piccolo Billy e la piccola Barbara. E d'estate pranzeremo li sul prato, vicino al laghetto.

Barbara                         - Credi che sia prudente avere un laghetto? E se i pupi ci si avvicinano troppo e ci cascano dentro?

Billy                              - Ci costruiremo intorno un muro. No... no, nien­te laghetto. Avremo un vecchio pozzo. Un vecchio pozzo di mattoni da cui attingere acqua. Sarà il nostro pozzo dei desideri. Lo sai quello che desidero io?

Barbara                         - (scuote la testa) No.

Billy                              - Dimmi prima quello che desideri tu.

Barbara                         - Oh io desidero che siamo sempre felici. E che ci amiamo sempre. E tu?

Billy                              - Meglio che non te lo dica.

Barbara                         - Perché, passerotto?

Billy                              - Ti potresti arrabbiare.

Barbara                         - Perché dovrei arrabbiarmi?

Billy                              - Non lo so. Potresti pensare che sono troppo... focoso (Spia il viso di lei ma non vi scorge traccia di turbamento) Barbara?... pensi che sia male se due per­sone... sai, si desiderino.

Barbara                         - No, se sono veramente innamorati.

Billy                              - Come noi due.

Barbara                         - (incerta) Si.

Billy                              - Credi che sia male se io... se io ti desidero?

Barbara                         - (brusca e decisa) Credo che prima ci si deb­ba sposare.

Billy                              - (posando una mano su un ginocchio di Barba­ra) Amore...

Barbara                         - Billy, ti senti bene?

Billy                              - Certo. Perché?

Barbara                         - Guarda dov'è la tua mano.

Billy                              - Tesoro, non posso nemmeno toccarti?

Barbara                         - (con un'alzata di spalle) Non so... mi pare indecente.

Billy                              - Tu come stai?

Barbara                         - Sto benissimo.

Billy                              - Cosa senti?

Barbara                         - Cosa sento? Sono... contenta.

Billy                              - Non ti senti... che so... turbata?

Barbara                         - No.

Billy                              - Finisci di bere.

Barbara                         - Un momento (Apre la borsa e gliela offre) Prendi un arancio. (Billy le strappa la borsa e la scara­venta a terra. Tutti gli aranci rotolano sul pavimento)

Billy                              - Te e i tuoi maledetti aranci!

Barbara                         - (con rimprovero) Billy!... Caro!

Billy                              - (appoggiandole la testa sulla spalla) Scusami cara. Ma ho avuto una mattinata terribile.

Barbara                         - Perché? che è successo?

Billy                              - Niente. Il solito. La famiglia eccetera. Solo che m'è venuto un mal di testa...

Barbara                         - Mi dispiace, passerotto. Dovresti andare dal medico.

Billy                              - Ci sono andato. Medici. Specialisti. Tutto quel­lo che hanno saputo darmi è... una benda di garza. (Bar­bara senza scomporsi, si lecca le dita) Sai, amore, credo che anche tu lo senta... il desiderio. Nell'intimo.

Barbara                         - (osservando disgustata le proprie dita) Oh... che pasticciona!

Billy                              - Puliscile sul cuscino (Di scatto si alza: ha un'idea) Se no puoi andare di sopra. Nel bagno.

Barbara                         - Grazie. (Prende la borsa e va nell'ingresso salendo le scale. Billy prende il bicchiere di lei e va al mobile bar dove li riempie di nuovo tutt'e due. Prende poi le pillole di passione e ne mette due nel bicchiere di Barbara. Ci pensa un po' e poi di scatto rovescia l'intero contenuto della bottiglietta nel bicchiere. Sta ammirando la propria opera quando suona il telefono nell'ingresso. Posa allora il bicchiere sul tavolo e va a rispondere al telefono nell'ingresso)

Billy                              - Si, casa Fisher. Desidera? (Il tono immediata­mente cambia) Ah buon giorno signor Duxbury. No, ec­co, mi rincresce ma mi è capitato un incidente. Stavo proprio per uscire e venire in ufficio quando mi sono scottato un braccio con l'acqua bollente. Ho dovuto far­melo fasciare... Ah, se è per quello c'è una spiegazione semplicissima, signor Duxbury. Vede, tante cifre non so­no state ancora registrate... Ho un mio sistema perso­nale... No, io no, signor Duxbury. Bene, stia certo che po­trò darle una spiegazione semplicissima... Come? Lunedì mattina? Si, naturalmente ci sarò. Senz'altro. Grazie, si­gnor Duxbury. Grazie della telefonata. Arrivederci. (Posa il ricevitore e per un po' rimane li assorto e avvilito. Ma subito si rianima e nell'immaginazione si rivolge al suo principale con tono del tutto diverso) Guardi Duxbury, non c'è bisogno di perdersi su. queste miserie. Appena avrò puntualizzato il mio accordo con il signor Boon, mi metterò in comunicazione con lei. (Rialza il ricevitore) Pronto, Duxbury?... Temo che la risposta sia "no". Piena­mente d'accordo. L'idea di una società presenta i suoi vantaggi, ma francamente ho altri interessi. Si, con mol­to piacere investirei nella sua azienda, ma purtroppo mi manca il tempo di occuparmi del lato amministrativo... Oh, d'accordo, è una proposta concreta... Garantito! Con­divido, signor Duxbury. Com'è che dice sempre lei... "Bi­sogna tenere i piedi per terra." Eh, non è questione di scendere sulla terra, vecchio mio! Alcuni di noi appar­tengono alle stelle. Buona fortuna, signor Duxbury... e mi scriva! (S'interrompe appena vede apparire Barbara sulle scale e quando lei gli passa davanti per entrare nel sog­giorno, eccolo buttarsi, in un'altra fantasia) Bene, dotto­re. Se la gamba si deve tagliare, bisogna tagliarla. (Riag­gancia, poi guarda assorto in direzione del soggiorno) Non si tratta di scendere sulla terra, signor Duxbury (Breve pausa) Alcuni di noi, signor Duxbury, apparten­gono alle stelle! (Avendo cosi riacquistata la fiducia in se stesso, entra nel soggiorno e con il bicchiere di porto in mano va verso Barbara)

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Lo stesso ambiente. Nel pomeriggio dello stesso giorno. È pomeriggio inoltrato e in casa Fisher hanno appena ter­minato di prendere il tè. Alice va e viene dalla cucina, sparecchiando. In onore di Barbara hanno tirato fuori il migliore servizio da tè, sebbene Florence si sia ostinata a volere la sua solita tazza da un litro. Uno strano silen­zio è caduto sulla stanza, in parte per la rivelazione, da parte di Barbara, del recente fidanzamento suo con Billy; e in parte per l'ostinazione di Florence ad attardarsi sulla tazza del tè. Difatti Florence è l'unica rimasta a tavola. Geoffrey è andato a sedersi in disparte, su una sedia, e Barbara sta sul divano. Nell'ingresso Billy è impegnato in una conversazione telefonica e ha chiuso la porta del soggiorno per non farsi sentire)

Billy                              - Rita, ascolta un minuto... No, sta a sentire quello che dico io. L'anello è dal gioielliere. Certo che è al sicuro!... Ma che senso ha venire qui adesso? Non ce l'ho qui. Te l'ho detto, è dal gioielliere... Rita!... (Posa il ricevitore) Accidenti! (Prende di nuovo il ricevitore e forma un numero)

Barbara                         - (nel tentativo di rompere il silenzio) Si capi­sce che non abbiamo ancora fissato la data né niente. (Breve pausa) A sposarci non ci penseremo per un bel pezzo.

Geoffrey                       - (dopo una pausa) E come farete a tirare avanti? in due? Lui non avrà mai una dannata lira in tasca!

Florence                        - Ai miei tempi neanche c'erano queste vendite a rate. O pagavi subito o non ti davano niente. Un sistema che non mi piace. Non piaceva nemmeno a lui. Imbrogli e ruberie, ecco cos'è. (Alice torna dalla cucina e mette su un vassoio le tazze sporche. Prende anche il tazzone di Florence) Non ho finito. (Alice le rimette da­vanti il tazzone. Billy esasperato posa il ricevitore. Poi lo riprende e forma un altro numero. Alice torna in cu­cina con il vassoio)

Barbara                         - Pensavamo di prendere un cottage a Devon.

Geoffrey                       - Che Devon e Devon! Porco cane, quello ci starà sempre tra i piedi! Altro che Devon!

Florence                        - Non aveva nessuna necessità di aprire quel­la scatola di salmone. Non l'hanno quasi toccata.

Barbara                         - Io non ci credo nei fidanzamenti lunghi. Ma non m'importa di aspettare.

Geoffrey                       - Fino allo stramaledetto giorno del giudizio aspetterai, per quello svitato! Ancora non si è fatto la barba.

Alice                             - (affacciandosi dalla cucina) Sbrigati mamma. Sto aspettando te.

Florence                        - (borbottando piano fra sé) Lo sa che non bisogna farmi fretta. Perché lo fa?... non la capisco. (Sul­la stanza incombe un altro silenzio carico di imbarazzo)

Billy                              - (concitato al telefono) Arthur? Senti, mi devi aiutare. Devi fermare Rita prima che venga qui... Be', va a casa sua. È partita in tromba dietro l'anello. E ce l'ha ancora Barbara... Macché! È rimasta come uno stocca­fisso. Te l'avevo detto che erano aspirine!... E non star li a biascicare... Dacci un taglio! (Scaraventa giù il ri­cevitore)

Florence                        - (che per tutto questo tempo ha seguitato a brontolare tranquilla tra sé alza ora la voce rivolgendosi alla credenza) Sempre la stessa storia, all'ora del tè. Sbrigati, sbrigati, sbrigati. Non hanno nessun riguardo. Lo sa che non sto bene.

Barbara                         - (con educazione, a Florence) Billy me l'ha detto che lei è stata male.

Geoffrey                       - Non dar retta a quello che dice lui! O rin-cretinirai anche te, porco cane! (Billy apre la porta ed entra nel soggiorno. Geoffrey al figlio) Ma che fai? tele­foni e telefoni... a momenti ci diventi te, un dannato tele­fono! Chi era poi?

Billy                              - Arthur.

Geoffrey                       - E che accidenti voleva?

Billy                              - Niente.

Geoffrey                       - Per volere niente, ce n'ha messo del tempo!

Alice                             - (entrando dalla cucina) Come sta sua madre?

Billy                              - (va al caminetto) Bene... Tutto considerato.

Barbara                         - La mamma di Arthur? era malata?

Geoffrey                       - Almeno cosi è venuto a raccontarci lui, por­co cane!

Billy                              - (a disagio, strofinando i piedi davanti al caminet­to) Era un po' pallida, ma ora sta bene.

Geoffrey                       - Se un giorno o l'altro non ti sbatto in testa un po' di cervello a te... E sta dritto! e tira fuori quelle mani dalle tasche! Vuole anche sposarsi, vuole...

Florence                        - Dovrebbe cucirgliele. Con ago e filo. Cucir­gliele.

Geoffrey                       - Ti toccherà di schiarirti le idee, allora. Ec­come!

Florence                        - Un ago e una gugliata di filo nero. Cosi la smetterebbe di tenerci le mani. Cucirgliele e via.

Alice                             - Mamma, ancora non hai finito? Perché non te lo vai a bere vicino al fuoco? Vorrei sparecchiare.

Florence                        - (si alza e si avvia adagio verso il caminetto) Non posso fare su e giù, ogni cinque minuti. Lo sa che non mi fa niente bene. E il fuoco è troppo forte. Lui lo carica e lo carica finché qua dentro diventa una fornace. Io non ci resisto.

Alice                             - (finendo di sparecchiare la tavola) Puoi dire quello che vuoi mamma, ma a me piace mettere a posto e via. Almeno dopo non ci si pensa più.

Barbara                         - Devo darle una mano, signora Fisher?

Alice                             - Grazie Barbara. Non capisco perché il nostro Billy non possa lavare i piatti una volta tanto.

Geoffrey                       - Se non si lava neanche lui, porco cane! fi­guriamoci i piatti!

Barbara                         - (si alza e va in cucina) Non importa... (Bar­bara e Alice vanno in cucina. Billy attraversa la stanza e va a sedersi sul divano. Goeffrey si alza. Segue un silenzio imbarazzante. È un primo tentativo di contatto tra Billy e il padre)

Geoffrey                       - Non che dica gran che... Dove hai detto che lavora?

Billy                              - Da Turnbull e Mason. A Sheepgate.

Goeffrey                       - Ah si.

Billy                              - Stenodattilografa.

Geoffrey                       - È di buon appetito eh. Ti costerà mantener­la. Porco cane! che fetta di pasticcio s'è pappata!...

Billy                              - Abita a Cragside. Nel quartiere nuovo.

Geoffrey                       - Sarà bene che rimanga a Cragside se mangia in quel modo. Quando poi comincia a far sparire quegli aranci, chi la ferma? Si vede che ne ha bisogno, ragazzona com'è. Ha proprio le ossa grosse.

Billy                              - Si.

Geoffrey                       - (dopo una pausa) E cosi pensi di sposarti.

Billy                              - Si, ci penso.

Geoffrey                       - Comunque, sia, ti sei fidanzato.

Billy                              - Già.

Geoffrey                       - Almeno così dice lei. Tu non ne hai mai parlato.

Billy                              - No, stavo per farlo.

Geoffrey                       - Non ti sembra un po' da scemi?

Billy                              - Be', non saprei...

Geoffrey                       - Voglio dire, alla tua età. Sei ancora un ra­gazzo. Non sei ancora in età da pensare a prender moglie.

Billy                              - Mica c'è fretta.

Geoffrey                       - No, ma un giorno ti dovrai decidere.

Billy                              - Si.

Geoffrey                       - Dico, mica potrai seguitare come hai fatto fino adesso. Spassandotela con tutte quelle ragazze.

Billy                              - Lo so. Me ne rendo conto.

Geoffrey                       - Ora non hai più te solo da pensare. Non capisco perché non potevi aspettare ancora un po'... E perché non ci hai informato... me e tua madre.

Billy                              - Te l'ho detto: avevo in mente di farlo e poi...

Geoffrey                       - Non è che... che l'hai messa nei pasticci, ve­ro? Voglio dire... tutto a posto per quel verso?

Billy                              - No. Si capisce! (Da' un'occhiata al padre e per un attimo si ha la sensazione che riusciranno a sta­bilire un'intesa fra loro)

Geoffrey                       - Bah... meno male! Lei pare ammodo. C'è solo il fatto di non avercelo detto, ecco.

Billy                              - Già.

Geoffrey                       - Ma adesso dovrai cominciare a pensare al matrimonio. Fare delle economie e compagnia bella.

Billy                              - C'è tempo.

Florence                        - Ecco, quel salmone lei non l'ha nemmeno assaggiato. Lo sapevo. Non l'ha assaggiato nessuno. Mette fuori troppa roba. Sai a quanta gente farebbe comodo... Glielo dico sempre io. (Billy fa un gesto d'impazienza)

Geoffrey                       - Non credo che sia bene mettersi in mezzo, per carità! Tu hai preso la tua decisione. Non vorrei che domani venissi a dirmi che sono stato io a farti mandare tutto a monte.

Billy                              - Vedi papà, non è cosi... semplice. In realtà io non ho ancora deciso nulla.

Geoffrey                       - Peggio di noi non comincerete di sicuro. Io e la mamma. Non avevamo niente... neanche un soldo per far ballare un cieco. Eppure... ci siamo arrangiati.

Billy                              - Non è di quello che mi preoccupo. È che la de­cisione non l'ho ancora presa.

Geoffrey                       - (cambiando subito tono e tornando all'atteg­giamento battagliero) Ebbe, la devi prendere, porco ca­ne! Subito. Prima che lo faccia lei per te.

Billy                              - Ma vedi, papà...

Florence                        - (interrompendolo) Io gliel'ho detto quel che c'era da dire. Gliel'ho detto, a lei, che non ti sposi prima dei ventuno anni.

Billy                              - Un momento nonna...

Florence                        - (ignorandolo) Poi... fate pure come volete. Quando v'accorgerete di non farcela, però - gli ho detto - non precipitatevi da me. No - gli ho detto - dovrete sbrigarcela da voi.

Billy                              - (esasperato) Cristo! stai un po' zitta?

Geoffrey                       - (perdendo completamente il controllo) Cosa? (Afferra Billy per la camicia) Che hai detto?... Eh? Cosa hai detto?

Billy                              - (spaventato ma ribelle) Ho semplicemente fat­to notare...

 Geoffrey                      - (urlando) E parla come si deve porco cane quando parli con me! Un momento fa era un'altra musi­ca eh? Che hai detto a tua nonna? Eh?... Che le hai detto?

Alice                             - (entrando dalla cucina) Ma cos'è questo chias­so? (Indica la cucina) Non vi ricordate chi c'è di là?

Geoffrey                       - Me ne frego chi c'è e chi non c'è! Servirà a farglielo conoscere. Perché glielo dirò io... (Lo scuote) È un cafone! Ecco cosa sei... Cafone Cafone Cafone...

Alice                             - Eh... ma basta tirarlo... Ha la camicia pulita...

Geoffrey                       - (lasciando la presa) Gliela faccio venir pu­lita io la camicia, prima d'aver finito con lui!

Alice                             - Insomma cosa ha fatto?

Geoffrey                       - Anche quelle dannate orecchie gli pulisco, porco cane... Guardatelo! con le sue maledette penne sti­lografiche e le scarpe scamosciate, porco cane!... Be', sta­sera non esce. So io dove le impara le belle maniere. Re­sta in casa stasera e anche domani sera!

Billy                              - Senti papà...

Geoffrey                       - Non sento niente, porco cane! Senti qui e senti qua! E sbarazza pure quella credenza di tutti gli sporchi libri e immondezze o quello che sia che ci stanno dentro. Prima che li scaraventi dalla finestra con te die­tro!

Billy                              - Che c'entra? Che noia ti danno? (Barbara ap­pare sulla porta della cucina e rimane li incerta)

Geoffrey                       - Si, mi danno noia. E mi dai noia anche tu!

Alice                             - (Piano) Non riesco ancora a capire cos'abbia fatto.

Geoffrey                       - Risponde a sua nonna! Se è questo che gli hanno insegnato alle scuole superiori, allora son contento d'essere uno stramaledetto analfabeta, sono! A ogni modo con lui ho chiuso. Una valigia sa dove trovarla. E se vuo­le andarsene a Londra, ci vada pure, porco cane!

Alice                             - (con vivacità) Non ci va per niente, invece!

Geoffrey                       - Ho chiuso con lui. Se ne può andare.

Alice                             - Ma non se ne va!

Geoffrey                       - Se ne va. Può far fagotto. Fuori!

Alice                             - Non se ne va. No, non se ne va. Non se ne va.

Billy                              - (cercando di interloquire) Sentite, potrei...

Geoffrey                       - (interrompendolo) Sempre cosi, da quando ha cominciato a lavorare. Si lamenta di questo, si lamen­ta di quello: e per l'uovo bollito e per qualche altro acci­dente. E bisogna comprargli i fiocchi d'avena speciali per­ché in quello stramaledetto pacco c'è uno stramaledetto sottomarino di plastica. Schizza l'acqua per tutta la cuci­na, alla sua età! Be', è ora che si tolga dai piedi. Per me, ne ho abbastanza. Se ne vada pure!

Alice                             - E invece non se ne va! Stammi a sentire, Geof­frey; non ha abbastanza anni da andarsene solo a Lon­dra o dove che sia.

Geoffrey                       - Però ne ha abbastanza per fidanzarsi, vero? Almeno crede di averli. Per quello è abbastanza cresciu­to, si, e anche abbastanza scemo!

Alice                             - Ma se l'hai detto anche tu. Che non riflette. Che gli saltano certe idee...

Geoffrey                       - Be', se ne può andare. Con lui ho chiuso.

Alice                             - Oh no, non se ne va. Finché ci sono io non se ne va!

Barbara                         - (che sta fissando Florence) Signora Fisher...

Geoffrey                       - (ignorandola) Porco cane gli ci vorrebbe un po' di naja, gli ci vorrebbe.

Alice                             - (fuori di sé) Già! e ci vorrebbe anche a te, por­co d'un...

Barbara                         - Signora Fisher, mi pare che la nonna di Billy non stia affatto bene... (Alice Geoffrey e Billy si vol­tano a guardare Florence che sta mezza riversa sulla sedia)

Alice                             - (accorrendo presso di lei) Visto che avete fat­to?...

Geoffrey                       - (a Billy) Sarai soddisfatto adesso. Le ha preso un altro colpo.

Alice                             - Che lo rimproveri a fare, Geoffrey? L'uno vale l'altro intanto. E non startene li impalato... Portami i sali.

Barbara                         - (venendo avanti) Posso esserle utile, signora Fisher?

Alice                             - No... non è niente. È solo che invecchia... Ci pensa mio marito.

Geoffrey                       - (che sta frugando nei cassetti della credenza) Ma succede un po' troppo spesso ora, porco cane! Si può dire che ogni quindici giorni ce n'è uno di questi di­vertimenti!... È una cosa senza capo né coda!

 

Alice                             - Be', che ci può fare, poverina? Mica è colpa sua.

Geoffrey                       - Deve andare da quel dannato dottore, porco cane! Ecco cosa deve fare. A costo di portarcela io, deve farsi visitare.

Alice                             - Non vuole.

Geoffrey                       - Ma che scherziamo? se è negro che male c'è. (Frugando in un altro cassetto) E fammi il piacere di tenerli nello stesso posto questi sali. Quando servono non si trovano mai.

Alice                             - (dando colpetti sui polsi della madre) Presto Geoffrey... Presto...

Florence                        - (che intanto lentamente è tornata in sé, comin­cia a borbottare, piano) Glielo avevo detto del fuoco. Lo caricano troppo. Sento caldo e poi sto male. Loro non ci pensano. Sempre a farmi fretta per il tè...

Alice                             - Su mamma, ora stai bene...

Geoffrey                       - (che finalmente ha trovato la bottiglietta dei sali, traversa la stanza, la dà a sua moglie) Porco cane ne ha bisogno di questi dannati sali, si o no?

Alice                             - (prendendo la bottiglietta) Sarà meglio di si... (Apre la bottiglietta e la mette sotto il naso della madre)

Florence                        - Piume...

Geoffrey                       - Non è in sé lo vedi? Vaneggia, porco cane...

Florence                        - Dovrebbe far bruciare un po' di piume... La­sciate perdere i sali. Mi danno la bile.

Alice                             - Sta buona mamma. (A Geoffrey) Meglio por­tarla di sopra. Qui fa troppo caldo.

Geoffrey                       - Altro che freddo sentirà, porco cane, se non va dal dottore. Poi chi va di mezzo siamo noi che la dob­biamo sopportare.

Barbara                         - Vuole che vada a prenderle un bicchier d'ac­qua?

Alice                             - Non ha bisogno di bere. Si riprenderà subito.

Geoffrey                       - Le capita troppo spesso, ti dico. A momenti è tutte le settimane. E sempre di sabato, porco cane. Non si riesce neanche a prendere il tè in pace.

Alice                             - E non darle addosso: la fai star peggio. Piut­tosto aiutami a portarla a letto.

Geoffrey                       - (passa un braccio dietro le spalle di Florence e l'aiuta ad alzarsi. In tono brusco ma compassionevole) Andiamo. Ma', fatti portare... Pesa una tonnellata, porco cane! Ingrassa, per una che non mangia niente. (A Flo­rence) Sei ingrassata, lo sai?

Alice                             - Non startene li senza far niente Billy. Dà una mano a papà.

Geoffrey                       - (pilotando Florence verso la porta) Per ca­rità non glielo chiedere. Sarebbe capace di lasciarla ca­dere dalle scale.

Alice                             - (avvicinandosi per aiutarlo) Tu poi non gli dai mai fiducia... (Tutt'e due sorreggendo Florence escono nell'ingresso e cominciano a salire le scale)

Florence                        - Dovrebbero mettermi un letto qui abbasso... Ci sono troppe scale... Potevano prendere quella villetta...

Geoffrey                       - Piano... piano, figliola... Abbiamo tutto il tempo...

Florence                        - (seguita a borbottare piano tra sé. Non tutto si capisce ma proprio mentre stanno entrando nella camera da tetto giunge, chiara, questa frase) Sono tutti questi negri... (Giù, nel soggiorno, tra Billy e Barbara un silen­zio pieno d'imbarazzo. Billy con aria distratta prende la borsa della nonna e ci guarda dentro. Esamina il conte­nuto e tira fuori una vecchia carta annonaria)

Billy                              - Guarda... conserva ancora la carta annonaria.

Barbara                         - M'ero accorta che non stava bene. Anche mentre prendevamo il tè. Me n'ero accorta, ma non mi andava di dirlo.

Billy                              - (dopo un po') Lo crederesti che ha viaggiato per tutto il mondo? Lo crederesti?... Parigi, Vienna, Cairo...

Barbara                         - (incredula) Chi? tua nonna?

Billy                              - Mio nonno era nel Corpo Diplomatico. Prima che gli tagliassero la gamba. Parlava sette lingue, lo sai? Hanno girato dappertutto.

Barbara                         - (decisa a ignorare questa dichiarazione, non cre­dendone una parola) Passerotto credi che sia piaciuta a tua mamma?

Billy                              - È stato nove anni nella Legione Straniera.

Barbara                         - Penso dovremmo andare d'accordo. È meglio, sai. Quando le famiglie sono unite. Perché non gli avevi detto che eravamo fidanzati?

Billy                              - Stavo per dirglielo. Gli hai fatto vedere l'anello?

Barbara                         - (esaminandosi l'anello) Certo. Lo faccio ve­dere a tutti. È cosi caruccio... Ma non sarò contenta fin­ché non gli avrò messo la fede... vicino.

Billy                              - Cara... (Prendendole la mano) Mi vorrai sem­pre bene?

Barbara                         - Lo sai di si.

Billy                              - (con le dita sull'anello) Però continuo a dire che è troppo largo, questo anello. Perché non vuoi che te lo faccia restringere?

Barbara                         - (togliendogli la mano) Secondo me non è lar­go. E poi voglio prima farlo vedere a tutti.

Billy                              - Be', poi non venirti a lamentare se lo perdi. Mamma ha detto che mentre lavavi i piatti a momenti ti si sfilava. Scusa, con due giorni è fatto. E poi te lo ter­rai per sempre. (Romantico) Per l'eternità.

Barbara                         - Amore...

Billy                              - Su, ti decidi? Dammelo. Mercoledì lo riavrai.

Barbara                         - No, non me lo toglierò mai. Mai e mai.

Billy                              - E dammi un po' quest'anello! (Fa per strap­parglielo)

Barbara                         - Billy!

Billy                              - (allontanandosi, disgustato) E va bene, fa co­me ti pare! Ma non dire che non ti avevo avvertito. (Ve­diamo Rita avvicinarsi alla casa traversando il giardino. È una ragazzetta piccola e bionda sui diciassette anni: ma veste in modo da dimostrare di più. È dura, volgare, e la­vora in un bar)

Barbara                         - Ora sei in collera. Non essere in collera, pas­serotto. Ci starò attenta. Non lo perderò. (Rita suona il campanello)

Billy                              - Un momento... (Va nell'ingresso e apre la por­ta) Rita!

Rita                               - (venendo avanti, minacciosa) Dunque tu sa­resti...

Billy                              - (interrompendola) Un momento! (Le sbatte la porta sul muso e riattraversa l'ingresso per andare a par­lare con Barbara) Un momento! (Chiude la porta del sa­lotto)

Alice                             - (apparendo in cima alle scale) Chi è, Billy?

Billy                              - Un momento! (Apre la porta d'ingresso ed esce nel giardino, chiudendosela alle spalle. Nel soggiorno in­tanto Barbara ha tolto dalla borsa un arancio e comincia a sbucciarlo. Le luci del soggiorno si abbassano e si accen­dono quelle nel giardino) Ciao Rita.

Rita                               - (la sua conversazione consiste soprattutto di frasi fatte ed espressioni raccolte nei convegni amorosi serali con soldati dell'aviazione americana) Toh! guarda chi striscia fuori dal formaggio!

Billy                              - Salve. Scusami se non ti faccio entrare...

Rita                               - Ma vatti a nascondere o mettiti in naftalina.

Billy                              - Siamo allagati figurati. Si sono rotte le tuba­ture.

Rita                               - Mi prendi pure in giro. Che ho, la sveglia al collo?

Billy                              - Ma che c'è cara? qualcosa che non va?

Rita                               - Sentilo, il Signore Zozzeria! Non venirmi a fare l'innocente, lo sai cos'è che non va. Credevo che mercoledì sera fossi andato da tuo zio.

Billy                              - Ci sono andato infatti. Da mio zio Herbert.

Rita                               - E invece no, perché t'hanno visto. T'hanno vi­sto al Gaumont. Col braccio intorno a una ragazza che mangiava arancie.

Billy                              - Non è possibile che m'hanno visto. Ero da mio zio Ernest a giocare a monopoli.

Rita                               - (facendogli il verso) Da mio zio Ernest a giocare a Monopoli!... Sei uno schifo bugiardo. Sei merda e basta. Uno schifoso ecco cosa sei! E dov'è il mio anello?

Billy                              - Mi fa piacere che me lo chiedi perché stamatti­na ho chiesto al negozio e m'hanno detto che forse ci vor­rà un'altra settimana.

Rita                               - (di nuovo facendogli il verso) Un'altra settima­na... Sei peggio che merda. Mi fai schifo.

Billy                              - Ma è perché non possono aggiustarlo qui. Deb­bono mandarlo a Bradford. Hanno tre lavoranti malati.

Rita                               - (gli fa ancora il verso) Tre lavoranti malati. E naturalmente dovranno tagliare le gambe a tutt'e tre. A sentire te, tutti si fanno tagliare le gambe. E un'altra co­sa, credevo di dover venire qui a prendere il tè oggi nel pomeriggio. Per conoscere la tua degna madre.

Billy                              - Si cara, ma è successo che mia nonna si è am­malata. Giovedì scorso. E hanno dovuto metterla a letto.

Rita                               - Be', vengo lo stesso a conoscere la tua degna madre. Mica ci ho scritto in fronte "Cretina". O mi ridai indietro quell'accidente d'anello o vengo subito a trovare quell'accidente di tua madre.

Billy                              - (cercando di calmarla) Ssss... cara.

Rita                               - (alzando la voce) E quell'accidente di tuo padre. E quell'accidente di tua nonna! (In un frenetico tentativo di calmarla, Billy la stringe fra le braccia e la bacia. Lei risponde automaticamente, con passione animalesca. Si staccano) Sei un mascalzone con me, Billy. E non lo dico per scherzo. (Alza di nuovo la voce) Voglio indietro l'a­nello. Anche mio padre vuole sapere dov'è. Crede che sia­mo fidanzati, lo sai?

Billy                              - Tu una volta hai detto che non volevi sposarmi.

Rita                               - Non raccontare balle. Ho detto solo che non vo­levo vivere in uno schifoso villino in quello schifo di Devon, ecco.

Billy                              - Vivremo dove vuoi, cara. Non importa niente, basta che stiamo insieme.

Rita                               - Allora, puoi riportarmelo stasera?

Billy                              - Si capisce che te lo porto. Se è questo che vuoi... (La bacia di nuovo) Cara cara cara...

Rita                               - (respingendolo quando lui cerca di stringerla) Ehi... tieni a posto le mani!

Billy                              - Cara, dimmi che non sei in collera...

Rita                               - (facendogli il verso) Dimmi che non sei in col­lera... Cambia disco che l'abbiamo già sentito. E restitui­scimi l'anello.

Billy                              - T'ho detto di si. Te lo prometto. Andrò giù al negozio e stasera te lo riporto: quando andiamo a balla­re eh?

Rita                               - Farai bene... o scoppierà un putiferio. Non vor­rei essere nei tuoi panni se si presenta mio padre. E lo farà, che credi? E non se ne starà a chiacchierare in giar­dino - (Billy la bacia ancora) Avanti! Mettiti il cappotto e vallo a prendere subito.

Billy                              - Arrivederci a stasera, cara.

Rita                               - Ma che arrivederci a stasera? Tra mezz'ora i negozi chiudono. Ci vai adesso. Su, va a prendere il cap­potto. Cosi mi accompagni fino alla fermata. Avanti, scu­cito... non star li a pigliar le mosche.

Billy                              - Ora non posso.

Rita                               - Perché? chi te lo impedisce?

Billy                              - Ho bisogno di andare in bagno. C'è dentro mia madre.

Rita                               - Be', intanto m'incammino. Tu mi raggiungi do­po... va bene? (Rita s'incammina adagio verso il fondo del giardino e esce. Billy entra in casa. Mentre traversa l'in­gresso le luci si spengono nel giardino e si accendono nel soggiorno. Barbara sta finendo adesso di mangiare l'a­rancia)

Billy                              - Lo sai?!... Una zingara m'ha letto la mano.

Barbara                         - Ho avuto il tempo di mangiare un arancio intero, mentre ti aspettavo.

Billy                              - Dice che c'è una maledizione su di me.

Barbara                         - Tua madre non è ancora scesa. E nemmeno tuo padre.

Billy                              - Proverò disgrazie e sofferenze, ma dopo un lun­go viaggio, le cose cominceranno a mettersi bene. Lo sai che portava sulla schiena un bambino come una pelle­rossa?

Barbara                         - Credi che stia meglio; tua nonna? (Billy va a sedersi sulla poltrona)

Billy                              - Chi? Ah... la nonna. Si, certo. Solo che si è presa questa malattia rara... Stanno provando su di lei una medicina nuova.

Barbara                         - In principio pareva che le pigliasse una spe­cie di colpo. Me ne sono accorta quando tu stavi liti­gando con tuo padre.

Billy                              - L'hanno provata solo tre volte, questa medicina. Una volta col presidente Eisenhower, poi col Duca di Windsor e ora con la nonna.

Barbara                         - Senti... non c'è da meravigliarsi se poi tuo padre s'arrabbia!

Billy                              - Che vuoi dire?

Barbara                         - Be', con tutte le balle che inventi... non mi stupisce che alla fine perda la pazienza.

Billy                              - Oh non gli badare...

Barbara                         - Billy?...

Billy                              - Che c'è?

Barbara                         - Cosa stava dicendo tuo padre?... Di te che andavi a Londra?

Billy                              - Cosa diceva? Non l'ho sentito.

Barbara                         - Quando ti rimproverava perché avevi risposto alla nonna. Quando ti ha preso per la camicia. Ha detto "Se vuole andarsene a Londra, ci vada pure..." E ha be­stemmiato.

Billy                              - Lo so. L'hanno richiamato già due volte alla polizia, per il linguaggio che tiene.

Barbara                         - Sì ma che intendeva?

Billy                              - Di che? del fatto d'andare a Londra?

Barbara                         - Si.

Billy                              - Eh... c'è dietro una storia molto interessante...

Barbara                         - Sul serio Billy, è importante per noi. Ora devi pensare anche a me.

Billy                              - (si alza e va verso di lei) Ma è proprio per te che lo faccio.

Barbara                         - Come sarebbe?

Billy                              - (sedendosi presso di lei e prendendole una mano prima di addentrarsi in una nuova fantasia) Non è chia­ro? Come possiamo continuare a vivere in questo modo?

Barbara                         - (automaticamente libera la mano e prende un altro arancio dalla borsa) Che vuoi dire passerotto? In quale modo?

Billy                              - In un'atmosfera... cosi. Credi davvero che po­tremmo essere veramente felici... qui dentro? Felici sul serio, capisci?

Barbara                         - Dove?

Billy                              - In questa casa. C'è l'ombra di mio padre su questa casa. Un uomo amaro, Barbara.

Barbara                         - (si accomoda meglio per sbucciare l'arancio) Ma perché? Per cosa?... Che c'è?

Billy                              - E geloso. Ogni volta che mi guarda vede le proprie speranze e il fallimento delle proprie ambizioni.

Barbara                         - Tuo padre?

Billy                              - Anche lui ha avuto i suoi sogni, un tempo. E ora non può sopportarlo... di vedermi sull'orlo del suc­cesso. Anche lui voleva diventare scrittore.

Barbara                         - Questa è un'altra delle tue balle...

Billy                              - Non ti chiedo di credermi. Le prove sono qui... in questa casa.

Barbara                         - Prove? Come sarebbe... prove?

Billy                              - (indicando la credenza) Tutto là dentro.

Barbara                         - Cosa?

Billy                              - Va e guarda tu. Nella credenza. (Barbara si al­za e va alla credenza. Tira la maniglia. La credenza, non si apre)

Barbara                         - È chiusa a chiave.

Billy                              - (con intenzione) Già.

Barbara                         - E la chiave dov'è?

Billy                              - Dio solo lo sa. Avevo quattro anni, quando è stata chiusa a chiave. E da allora non è stata più riaperta.

Barbara                         - (tornando vicino a Billy) Ma cosa ci sarebbe dentro?

Billy                              - Speranze! Sogni! Ambizioni! Il lavoro di tutta una vita... di un uomo deluso. Barbara, dovrebbero esserci quaranta o cinquanta romanzi non pubblicati, in quella credenza. Tutti sullo stesso tema amaro.

Barbara                         - (quasi convinta) Be', mica tutti si può essere geni.

Billy                              - Forse no! Ma lui s'è messo in croce, in questo tentativo. Notte dopo notte li, a quel tavolo, masticando la penna. E quando le parole non gli venivano, si sfoga­va con noi.

Barbara                         - Ma la storia di andare a Londra? E la nostra casetta a Devon?

Billy                              - Sempre a sud è, Barbara. (Alice esce dalla ca­mera da letto al piano di sopra e comincia a scendere le scale) Potremmo vivere nella New Forest. Farci una ca­setta li... una casetta da boscaioli... in una radura.

Barbara                         - Ma avrei paura... A vivere in una foresta.

Billy                              - (cingendola con un braccio) Con me vicino? No, non avresti paura. (Si alza imbarazzato quando Alice entra nella stanza. Alice ha l'aria un po' preoccupata. Si dirige verso la cucina parlando quasi a se stessa)

Alice                             - Sembra che riposi. (Entra in cucina. Segue un breve silenzio: si avverte un certo imbarazzo tra Billy e Barbara. Poi Barbara rompe il silenzio)

Barbara                         - Andiamo a ballare stasera?

Billy                              - Se vuoi... (Improvvisamente si batte una mano sulla fronte, in gesto drammatico) Ah no! Fortuna che mi sono ricordato!

Barbara                         - (sospettosa) Cosa?

Billy                              - Ho promesso allo zio Herbert di andare da lui stasera. A giocare a Monopoli. È il suo compleanno.

Barbara                         - Curioso che tu non me l'abbia detto. Devi sempre andare da tuo zio Herbert. Ma non era lo zio Er­nest che giocava a Monopoli?

Billy                              - Be', vedi... sono contento che tu me l'abbia do­mandato. Perché, vedi, lo zio Herbert...

Barbara                         - (interrompendolo) Oh non ti scomodare! Te e i tuoi parenti! Se non ti conoscessi bene penserei che hai un'altra ragazza.

Billy                              - Cara?! Ma son cose da dirsi?

Barbara                         - Lo sai che Liz è tornata?

Billy                              - Quale Liz?

Barbara                         - Sai benissimo quale. Quella ragazza sporca. Non capisco come non ti vergogni a andarci insieme.

Billy                              - Ah, quella... Se non la vedo più da secoli. (Tor­na Alice dalla cucina. Ha in mano un bicchiere con un li­quido bianco che rimescola con un cucchiaio)

Alice                             - Il respiro è regolare; però è ancora sveglia. Sa­rebbe meglio se riuscissimo a farla dormire.

Barbara                         - Si vedeva che era stanca, oggi nel pomeriggio.

Alice                             - (con gentile rimprovero) La colpa è tua come degli altri. Hai fatto uscire dai gangheri tuo padre e lei si è sentita male. Ma quante volte ve l'ho detto...

Billy                              - (vergognandosi un po') Ora però sta bene, no?

Alice                             - E quando mai sta bene?

Barbara                         - È proprio sicura che non possa fare qualco­sa? Che dice? lo potrebbe mangiare un arancio?

Alice                             - Per essere più tranquilli, ora chiamo il dot­tore. Anche se lei non lo vuole. C'è tuo padre adesso. (Por­gendo a Billy il bicchiere) Sei capace di portarglielo di sopra senza rovesciarlo?

Billy                              - (prendendo di malavoglia il bicchiere) Chi? Io?

Alice                             - O lo porti di sopra tu oppure telefoni al dottore. (Con una certa impazienza) Avanti, deciditi! che fai li fermo? (Va nell'ingresso dove prende in mano il ricevitore e forma un numero. Billy rimane un momento indeciso poi anche lui va nell'ingresso e comincia a salire le scale. Alice finito di fare il numero sta attendendo che rispon­dano e dà un'occhiata a Billy che per qualche suo motivo si è messo a zoppicare)

Alice                             - (richiamandolo) Be'., a cosa stai giocando ades­so? (Billy smette di zoppicare e affrettando il passo entra nella camera da letto. Alice al telefono) Pronto, parla l'ambulatorio?... Sono la signora Fisher, Park Drive 42... Si, appunto, è di nuovo mia madre. La signora Boothroyd. Crede che potrà venire il dottore?... Oh Dio! È che l'ab­biamo di nuovo a letto... Le ho dato le compresse... e quel­le polverine, ma... Va vene, gli dica di venire appena pos­sibile... Si, si, lo farò... E grazie tante eh... Arrivederci. (Posa il ricevitore e rientra nel soggiorno) Mi dispiace disturbarli di sabato, ma come si fa?

Barbara                         - Viene il dottore, signora Fisher?

Alice                             - Prima o poi verrà. Quando sarà libero. Verso le nove penso. È già fuori per le visite.

Barbara                         - Non si preoccupi. Verrà presto, vedrà.

Alice                             - (sedendosi) Come si fa a non preoccuparsi? Se non mi preoccupo io, qui dentro... A volte mi sento pro­prio avvilita. Prima una cosa, poi un'altra... non si finisce mai.

Barbara                         - (torna a sedersi sul divano e prende in mano l'arancio) Ne vuole uno spicchio, signora Fisher?

Alice                             - (alza gli occhi e per la prima volta si rende conto che Barbara sta cercando di aiutarla) No. No. Grazie. In questo momento proprio no, tesoro. Grazie.

Barbara                         - Preferisce che me ne vada. (Fa per alzarsi) Se dò noia...

Alice                             - No... sciocca. Siediti. Mi dispiace piuttosto che sia accaduto quando c'eri tu.

Barbara                         - (tornando a sedersi) Alle malattie non si co­manda, no?

Alice                             - Eh no. Magari si potesse. Quando ha questi mancamenti non rimane che metterla a letto. Ma non so com'è, sceglie sempre i momenti meno opportuni. Del resto, che gli puoi dire? mica è colpa sua. Vien quasi fatto di pensare che è per sentire parlare lui. Che lo faccia ap­posta per starlo a sentire.

Barbara                         - Può darsi che quando arriva il dottore, già stia meglio.

Alice                             - Mi ci logoro i nervi, lo capisco. E se non è lei, è il nostro Billy. Cosa ne faremo di quello là, proprio non lo so.

Barbara                         - Secondo me lui vorrebbe aiutare, ma non gli va di farsi avanti.

Alice                             - È sempre stato cosi. Eppure dovrà decidersi a crescere, una volta o l'altra. Chi lo sa, forse se andasse a Londra sarebbe meglio. Se dovesse badare a se stesso, forse metterebbe la testa a posto.

Barbara                         - Questo io non l'ho capito, signora Fisher. Va a Londra Billy?

Alice                             - Mah, lo dice. A te non ne ha parlato?

Barbara                         - Veramente no. Ho sentito quello che gli di­ceva il padre. Ho cercato di chiederglielo.

Alice                             - E lui che ti ha detto?

Barbara                         - In realtà niente. (Indica la credenza) S'è mes­so a parlare della credenza.

Alice                             - Ah, non me ne parlare. Cosa ci tenga non lo so. A dirti la sincera verità, ho perfino paura a chiederglielo.

Barbara                         - Dice che è rimasta chiusa a chiave da quando lui aveva quattro anni.

Alice                             - Ma che le racconta a fare, 'ste storie. Che be­ne gliene viene? Non è che ci ricavi qualcosa.

Barbara                         - Neanche io lo capisco. M'ha raccontato che il signor Fisher era capitano su una petroliera.

Alice                             - Non ti far sentire da suo padre per carità, al­trimenti sono guai. Un giorno o l'altro me lo ammazza. Se sapesse tutto quello che so io, l'avrebbe già ammazzato. Verrebbe voglia anche a me, certe volte. Inventa poi delle bugie che noi possiamo scoprire benissimo. Un giorno non m'ha raccontato che un ragazzo che lavora dal fruttiven­dolo si era avvelenato col gas? e sa benissimo che io ci vado tutti i martedì.

Barbara                         - Lo so. Ne racconta sempre tante.

Alice                             - Dove andrà a finire? mi domando. E non è col­pa nostra. Noi per lui abbiamo fatto l'impossibile. Il pa­dre dice che è da quando ha cominciato a lavorare, ma io ho un'altra idea. È da quando è andato alle scuole supe­riori. Voleva tanto andarci! e noi ce l'abbiamo fatto an­dare; non c'era da cinque minuti che già voleva venir via. E è stata anche una bella spesa; ma lui; macché, non l'ha mai considerata. La divisa: e nella prima settimana ecco che perde il berretto. I calzoni da cricket e non li ha messi mai. Gli compriamo una cartella, e se la lascia rubare da un ragazzo. Poi ci sono stati da comprare i li­bri, che non prendeva mai in mano. Non è stato uno spre­co di tempo e di denaro? Si direbbe che l'abbiamo tirato su chissà come. Per sei mesi, non s'è pulito le scarpe.

Barbara                         - Glielo dico sempre anch'io, delle scarpe. Non mi sente. E i capelli? lo vede che non se li vuole tagliare?

Alice                             - Certo non ha preso da me e nemmeno da suo padre. E tocca a noi ripulire dove passa. S'è comprato le scarpe di camoscio per non doversi preoccupare di lucidar­le; ma sono ridotte ormai da non potersi toccare. Giovedì aveva pestato qualche porcheria di cane, e be', lo credi? per tre giorni ci ha camminato per casa. Alla fine ho do­vuto prendere un coltello e raschiargliela io, quella roba. (Con disgusto ricordando l'incidente) Puah! si sentiva l'o­dore dappertutto.

Barbara                         - Per questo mia madre non vuole tenere un cane. I gatti poi li odia.

Alice                             - E hai voglia di dirglielo: gli entra in un orec­chio e gli esce dall'altro. Bisogna sempre sorvegliarlo. Ve­di, se si fosse messo nel commercio insieme al padre, co­me volevamo noialtri, l'avremmo potuto tenere d'occhio di più. Ma non ci dà retta. La signora dell'Ufficio Colloca­mento ha perso la pazienza con lui. Va cercando i lavori più scemi: questo no, quest'altro no... E si che gli aveva trovato dei bei posti, per cominciare. Perfino quello d'ap­prendista impiegato presso la Banca della Cooperativa.

Barbara                         - Conosco una ragazza che ci lavora. Sta bene. Hanno anche un club.

Alice                             - Ormai non se ne occupa più. Tanto non le riu­sciva di cavarne un discorso sensato. Alla fine gli aveva chiesto cosa voleva. E lui non le risponde che voleva fare il marinaio nella marina mercantile oppure il pianista? La Scuola Superiore! Sembra che sia stato alla Scuola dei Deficienti!... Bella figura!

Barbara                         - E come ha trovato lavoro da Shadrack e Duxbury?

Alice                             - Lo chiedi a me? Aveva finito le scuole da quin­dici giorni e di posti niente, neanche l'ombra: allora vo­leva lavorare in un museo. Insomma eravamo stufi di ve­derlo girare per casa. Il padre un giorno torna all'ora di pranzo e lo trova che giocava con la plastilina. Andò su tutte le furie. E glielo disse subito, chiaro e tondo: esci di qui disse, e trovati subito un lavoro. E non tornare senza averlo trovato, o ti stacco quella maledetta testa dalle spalle. E non disse solo questo.

Barbara                         - Me l'immagino.

Alice                             - Cosi il nostro Billy se n'esce e due ore dopo ri­torna saltando e ballando e dice che lavora presso una ditta di pompe funebri... a partire da lunedì. Da allora c'è rimasto.

Barbara                         - Non credo che gli piaccia però.

Alice                             - Gli piaccia o no, gli tocca lavorare per mante­nersi. A Londra o dovunque. Non ha mai un'opinione sua, questo è il guaio. Dà retta agli amici. Quello che fanno loro, fa lui. Ho piacere che stavolta almeno si sia tro­vato una brava ragazza. (Billy esce dalla camera da letto e comincia a scendere le scale)

Barbara                         - Per me era quella tale con cui andava a spas­so prima di conoscere me, signora Fisher. Quella ragazza strampalata. Quella Liz. Doveva essere lei a mettergli un sacco di idee per la testa. (Billy si ferma ai piedi delle scale e ascolta i loro discorsi)

Alice                             - Ah, quella. Li ho visti insieme. Lei aveva l'aria d'aver bisogno di un bel bagno. Non so da che razza di famiglia venisse. Ma sono contenta che se ne sia andata.

Barbara                         - È ritornata però, lo sa? Quella è sempre in viaggio. Da sola. Non credo che abbia una famiglia. E sa cos'è che non mi piace in lei, signora Fisher? Fuma e tie­ne la sigaretta in bocca quando parla. Io non ne sarei ca­pace. È cosi volgare.

Alice                             - Si capiva subito quando usciva con lei. Tornava a casa con certe idee! Una sera non viene fuori a dirmi che volevano andare in vacanza insieme? A Norfolk Broad nientemeno. Gliela cantai subito. Finché sei in famiglia, gli dico, puoi venirtene a Morecambe insieme a noi. E se non ti va, te ne resti a casa.

Barbara                         - Io non sono dell'idea di andare in vacanza col fidanzato. Non prima del matrimonio.

Alice                             - Lo credo cara. Altrimenti non staresti qui con me, te lo dico io.

Barbara                         - Secondo Billy non ci avrebbe fatto caso se fossimo andati insieme a Blackpool per una settimana. Ma io non ho voluto. Non sono di quest'idea.

Alice                             - Cosa ti ha detto? (Billy entra in fretta e cam­bia subito discorso)

Billy                              - Ehi! state a sentire... (Alice e Barbara si volta­no entrambe verso di lui che si sta sforzando di pensare a qualcosa da dire. Disperato, tenta la barzelletta). Quindi­ci uomini sotto un solo ombrello e non se n'è bagnato nessuno. (Nessuna reazione) Non pioveva.

Alice                             - (a Barbara) Almeno non potrai dire che non sapevi quello che ti aspettava        - (A Billy) Smettila di fare il cretino, con un ammalato in casa. Ne abbiamo già ab­bastanza, senza che ti ci metta anche tu.

Barbara                         - Come sta la nonna Billy? Meglio?

Alice                             - S'è addormentata poi?

Billy                              - A me sembrava a posto.

Alice                             - E tuo padre? Vuole che vada su io? Ha biso­gno di qualcosa?

Billy                              - Non lo so.

Alice                             - Certo, e neanche te ne importa (Spazientendosi) Ti sei lavato stamane quando ti sei alzato... eh?

Billy                              - Si capisce che mi sono lavato.

Alice                             - Si, la leccata del gatto. Senza neanche toglierti la camicia, ci scommetto. Caro mio se vuoi fare lo scrit­tore, bisogna che cominci a raddrizzarti le idee. Non ce li vogliono col collo sudicio alla BBC. E per l'avvenire, le tue camicie te le laverai da te; io non ci riesco a farle diventare pulite.

Billy                              - (imbarazzatissimo finge un divertimento che non prova) E partita col razzo, ragazzi.

Barbara                         - La barba pero non puoi dire d'essertela fatta Billy perché non è vero.

Billy                              - Me la faccio crescere, se ci tieni a saperlo.

Alice                             - Ah no, questo no! Non vogliamo barbe in casa!

Barbara                         - Non mi piaceresti Billy con la barba.

Alice                             - Non se la fa crescere, sta tranquilla.

Billy                              - Invece me la faccio crescere, porco d'un...

Alice                             - Ehi! che parole sarebbero? Non venirmi fuori con quelle espressioni, sai? Se no, grande come sei; te ne arriva uno... Ne sento già abbastanza da tuo padre.

Billy                              - E va bene, però la barba la voglio. In sei set­timane è già lunga.

Barbara                         - Ma non devi Billy. Se tua madre non vuole.

Alice                             - Tanto non sta a lui decidere. Se io dico che non se la fa crescere, non se la fa crescere.

Billy                              - Ma tu che c'entri? È la mia lurida faccia, no? mica la tua!

Alice                             - Non ricominciamo con le parolacce eh? Bada che la terza volta non te lo ridico. È ora che cambi, caro mio, ecco cosa devi fare. Mica possiamo andare avanti cosi. O ti dai una schiarita alle idee o fai come dice tuo padre: te ne vai a Londra o dove ti pare. Perché non pos­siamo seguitare cosi, all'infinito. Non sarebbe giusto.

Billy                              - Eh piantala, su!

Alice                             - E devi anche stare attento a quello che raccon­ti alla gente. Che m'hai raccontato a me, di quel ragazzo del fruttivendolo? che si era avvelenato col gas? eh?... E a Barbara, che le hai raccontato di quella credenza?

Billy                              - Quale credenza?

Alice                             - Lo sai quale credenza.

Billy                              - Io non lo so quale. Che credenza intendi, scusa?

Barbara                         - Quella    - (La indica)

Billy                              - E bé?

Barbara                         - Le prove di cui mi hai parlato. Nella creden­za. Quando avevi quattro anni. Tutti quei romanzi non pubblicati. E tuo padre che si masticava le penne.

Billy                              - Ah, figurati! Me lo potevi dire che era quello... Ma hai fatto confusione. Io parlavo delle fatture che scri­ve. E le tiene in quel vaso. Non ho detto niente della cre­denza.

Barbara                         - (colpita) Billy! Come fai a star li con quella faccia? Verrà il giorno che ci cadrai fulminato.

Billy                              - (con finta innocenza) Ma che hai?

Alice                             - E mica si sposta. Per carità!

Billy                              - Non capisco perché vi agitiate tanto tutt'e due.

Barbara                         - Lo capisci eccome! E non cercare di far finta che sia stata io, Billy!

Billy                              - Ma sei stata tu. Guarda Barbara, stavi seduta là, vero? Sul divano. Perché mangiavi un arancio. E io stavo qui in piedi. È vero? È vero si o no? Tu stavi sedu­ta là e io stavo in piedi qui...

Barbara                         - Si, ma poi hai detto che tuo padre...

Alice                             - Lascia stare quello che ha detto, cara. Io lo conosco. (Rita entra dal giardino e per un momento esita davanti alla porta d'ingresso)

Billy                              - Già e tu credi a lei, naturalmente.

Alice                             - Crederei a chiunque prima che a te, Billy. Mi dispiace ma è cosi. Avrei creduto a Hitler prima di cre­dere a te.

Billy                              - E perché non dici chiaro e tondo che sono un bugiardo?

Alice                             - Lo sei. Non me ne importa di farlo sapere.

Billy                              - Bella cosa da dire, per una madre.

Alice                             - E tu bel figlio sei, per una madre. Ci pensi mai a quello che mi stai facendo? No. Tu pensi solo a te stesso.

Billy                              - Tu invece... figurati!

Alice                             - Si, io a te ci penso. Mi preoccupo di te; questo lo so.

Billy                              - E io allora? Non credi che mi preoccupi? Mi preoccupo anche della Bomba H io. Lo sai che ci è man­cato poco, a Pasqua che prendessi parte alla marcia 'i Alderston? Non voglio un'altra guerra, cosa credi? E tutti quei profughi, eh? Dall'Ungheria eccetera? Ti fermi mai a pensarci sopra? E il Sud Africa? (A questo punto Rita en­tra decisa nella casa senza bussare e dall'ingresso passa nel soggiorno) Lo sai Barbara che se tu fossi una negra e vivessimo nel Sud Africa io a quest'ora sarei in galera? A farmi quindici anni. (S'interrompe di colpo vedendo Ri­ta) Ciao Rita.

 

Rita                               - (a Billy, indicando Alice) Ce n'ha messo del tem­po a uscire dal bagno? Che ci faceva? Testamento?

Alice                             - (indignata) Ma ha l'abitudine di entrare in casa d'altri senza bussare?

Rita                               - Sissignora, quando gli altri hanno in mano la roba mia. (A Billy) Avanti, tiralo fuori.

Billy                              - Rita, tu ancora .non conosci mia madre, vero?

Rita                               - No, ma si ricorderà di me, non dubitare. Dai... te e i tuoi fetenti gioiellieri. Ma che m'hai preso per scema?

Alice                             - (scandalizzatissima) Questo è troppo! Dove cre­de di essere?

Billy                              - (cerca di pilotare Rita verso la porta) Accom­pagno Rita fino alla fermata dell'autobus, mamma.

Rita                               - (respingendolo) Giù quelle manacce zozze! Non credevi che sarei entrata, eh?

Alice                             - No signorina, e sarà bene che si sbrighi a usci­re. E se ha qualcosa da dire a mio figlio, cerchi di ricor­darsi dove si trova.

Billy                              - Sono contento che tu sia venuta Rita, perché so di doverti una spiegazione.

Rita                               - (facendogli il verso) Oh oh... Sento di doverti una spiegazione (Normale) Ma tornatene nel tuo formag­gio, va! insieme agli altri vermi schifosi come te!

Alice                             - Basta eh? Ora basta. Ora faccio scendere suo padre.

Rita                               - E lo faccia pure scendere, quello schifoso del padre. Lo spero, si figuri. E anche quella schifosa della nonna.

Barbara                         - Per sua norma, la nonna di Billy è a letto malata.

Rita                               - (voltandosi per la prima volta verso Barbara) Toh, guarda che ha portato in casa il micio, Madama Tumistufi. Questa immagino, sarà la tua schifosa sorella. Credevo che stesse in uno schifoso polmone d'acciaio.

Barbara                         - Per sua norma, io sono la fidanzata di Billy.

Rita                               - (facendole il verso) Oh oh, per sua norma. Al­lora per sua norma, lui è fidanzato con me. E c'è un testimone.

Billy                              - Come sarebbe? Che c'entrano i testimoni?

Barbara                         - Billy, per cortesia, mi vuoi dire chi è questa ragazza?

Rita                               - (facendole il verso) Billy vuoi dirmi per cortesia... (Normale) Ma vatti a fare una passeggiata lunga su un molo corto, troia strabica che non sei altro.

Alice                             - Barbara, per cortesia, puoi andare di sopra e chiedere al signor Fisher di venire giù un momento?

Rita                               - Che venga pure. Portate pure giù tutto l'im-mondezzaio. Anche il polmone d'acciaio, per quel che me ne frega.

Alice                             - Mai sentita una roba simile in vita mia.

Barbara                         - Devo salire, signora Fisher?

Rita                               - (facendole il verso) Oh oh, devo salire, signora Fisher? (Normale) Se ti riesce, con quelle gambe storte che ti ritrovi.

Alice                             - Lascia stare Barbara. Me la sbrigo io con que­sta signora. Conosco il tipo.

Billy                              - Vi posso spiegare tutta la faccenda, guardate...

Barbara                         - Si Billy, credo proprio che dovresti spiegar­cela.

Rita                               - Per me, può spiegare finché gli si secca la lingua. Per quel che mi frega.

Alice                             - Se conoscessi sua madre, signorina, le spieghe­rei io qualcosa.

Rita                               - Lei non s'immischi. La cosa è fra me e lui. (A Billy) Dov'è il mio anello? Ce l'ha lei? (Istintivamente Bar­bara si copre la mano sinistra) Ce l'ha, vero? L'hai dato a lei, vero?

Billy                              - Be', vedi... si, ma... C'è stata un po' di confu­sione, capisci... Io credevo che Barbara avesse rotto il fi­danzamento.

Barbara                         - Billy!

Rita                               - Ah si eh... Guarda che ti sbagli se mi credi un'idiota come quella li. L'anello l'hai dato a me. E non pensare di cavartela strisciando come al solito perché non è cosi. Ti sei scordato che ho un testimonio. Anzi due. Perché anche Shirley Mitchem ti ha visto mentre me lo davi. Non credere che non t'abbia visto, no! Posso anda­re a protestare anche in Municipio, lo sai?

Alice                             - E via, non mi venga a raccontare queste storie, desso. Sa benissimo quanto me, che Billy è minorenne.

Rita                               - Gli chieda se l'altra sera al Foley Bottoms era minorenne. Io non vuoto i bidoni a nessuno, cosa crede? Non era minorenne, no. Più facile che fosse maggiorenne.

Alice                             - Fuori! Fuori da casa mia!

Barbara                         - Billy, mi sei stato infedele? Devo saperlo.

Rita                               - (facendole il verso) Oh, oh, mi sei stato infedele, Billy? (Normale) E scendi dal seggiolone, pupa! (A Billy) Sei uno schifoso, lo sai? Si schifoso. Ne ho incontrata di gente in vita mia, ma fra tutti gli sporchi mestatori intri­ganti... Comunque l'anello l'hai dato a me.

Billy                              - Si, ma vedi Rita...

Rita                               - (interrompendolo) Non rivolgermi la parola, sai?... essere schifoso. Va bene, va pure con lei, se lei sa cosa farsene di uno come te, e ne dubito. Lurido essere bugiar­do. Credi di essere qualcuno, tu? Ma se non sei niente. Niente. Un miserabile porco schifoso fetente bugiardo. E basta!

Billy                              - Vuoi dire che rompi il fidanzamento?

Rita                               - Eh no, non te la caverai cosi facile. Voglio l'a­nello.

Barbara                         - (trovando finalmente la parola giusta) Billy, sei stato... hai avuto rapporti con questa ragazza?

Rita                               - (rivoltandosi a Barbara) E cosa credi che faces­se? Lavorasse a maglia? Lo sai piuttosto cosa devi fare? Ridarmi quell'anello. Perché è mio.

Alice                             - La smetta subito! Subito, capito? (A Billy) Spe­ro che tu lo sappia quello che hai combinato.

Rita                               - (a Barbara) Dunque me lo dai questo anello?

Barbara                         - L'anello lo restituirò a Billy, se e quando romperò il fidanzamento.

Billy                              - (andando verso Barbara) Barbara...

Rita                               - E va, va da lei. Ti prenda pure. Lei sa quello che deve fare, quella mocciosa strabicona peticellosa gam­be storte che non è altro!

Barbara                         - Anche lei lo sa quello che deve fare. Lavarsi ben bene la bocca con l'acqua e il sapone.

Rita                               - (facendole il verso) Oh, oh, lavarsi ben bene la bocca con l'acqua e il sapone! Ma il sapone serve a tener pulite le orecchie che ti ci crescono dentro le caro­te. Insomma ridammi l'anello. Prima che venga a pigliar­melo io.

Alice                             - Esca da questa casa. E non me lo faccia ri­petere...

Rita                               - Serbi il fiato per soffiarci la minestra, lei! Vo­glio il mio anello. (Andando verso Barbara) Si, e me lo piglio!

Alice                             - Fuori di casa mia. Fuori! Fuori! (Geoffrey Fisher esce lentamente dalla camera da letto e va verso le scale)

Rita                               - (a Barbara, ormai addosso) Me lo vuoi dare si o no?

Geoffrey                       - (ora a metà scale) Mamma!... Mamma!

Rita                               - Se non me lo dai subito, ti mando all'ospedale.

Barbara                         - Badi di non minacciarmi sa?...

Rita                               - Non ti minaccio io... ti gonfio! Dammi subito quel maledetto anello! (Cerca di afferrare la mano di Bar­bara)

Barbara                         - (lottando con lei) Non te lo dò, no... non te lo dò...

Alice                             - Volete smetterla voi due...

Geoffrey                       - (è entrato nella stanza ma rimane sulla soglia non comprendendo quello che succede) Mamma! (La parola di Geoffrey fa immediatamente tacere Alice, Billy e Barbara che si voltano a guardarlo)

Rita                               - (senza badargli) Dammi l'anello!

Geoffrey                       - È meglio che tu venga di sopra, mamma. Subito. Credo... Credo che sia morta.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (Lo stesso ambiente, qualche ora dopo. Sono circa le no­ve e mezzo e il giardino davanti alla casa dei Fisher è completamente buio. Quando l'azione ha luogo nel giardi­no, si accende un lampione nella strada, oltre il giardino stesso; e sotto il portico c'è una piccola luce.

All'alzarsi del sipario Geoffrey sta passando in rivista il contenuto della credenza al momento sparso sul tappeto. Alice sta seduta su una sedia accanto al camino: appare evidentemente accasciata per la morte della madre. Geoffrey fruga fra buste e carte, poi si alza scuotendo la testa)

Geoffrey                       - Non riesco a trovarlo, porco cane. Qui den­tro comunque non c'è. Lui non ce l'ha. A momenti è l'uni­ca cosa che non si sia preso... porco cane.

Alice                             - Può darsi che la mamma nemmeno l'avesse, Geoffrey. Lo sai com'era.

Geoffrey                       - (benché non abbia cambiato vocabolario, si av­verte nella sua voce una nota più tenera del consueto) Non dire dannate scempiaggini, figliuola. Tutti ce l'han­no, il certificato di nascita.

Alice                             - Che ne sai Geoffrey? Può darsi che ai suoi tem­pi non usasse.

Geoffrey                       - Ma ce l'hanno tutti il certificato, porco cane. Usano dalla notte dei tempi. Se l'ha nascosto da qualche parte, stavolta porco cane, gli lascio il segno.

Alice                             - Non prendertela per ogni cosa col nostro Billy. Che ne farebbe di un certificato?

Geoffrey                       - (indicando le carte sparse sul pavimento) E di quella stramaledetta roba, che se ne fa, porco cane? Quello non ragiona, non ha un briciolo di cervello. Adesso poi dov'è? Dove s'è andato a infilare, eh?

Alice                             - Non lo so Geoffrey. E non ho voglia di preoc­cuparmene.

Geoffrey                       - Poteva pure restare in casa, una volta in un anno, porco cane. Poteva starsene qui, stasera. A far com­pagnia a sua madre. Il guaio è che non ha il minimo senso di responsabilità, porco cane.

Alice                             - Come se lo gustava il suo tè. Ora possiamo ri­porlo il suo tazzone. Da quanto mi ricordo io, ha usato sempre quello.

Geoffrey                       - Se lo gustava si, eccome! (Cerca di scherza­re per sollevare la moglie dal suo stato di avvilimento) Mi dessero uno scellino per ogni litro che s'è scolato, a quest'ora sarei ricco. Be', c'è di buono che lo spazzaturaio quando verrà potrà portarsi via tutte quelle scatole di lat­te condensato che si teneva in camera.

Alice                             - Ma è peccato buttarle via. Potrebbero far como­do a qualcuno. Le manderei all'Ospizio dei Vecchi o a qualche altro istituto.

Geoffrey                       - Ma via, li avveleneresti tutti, porco cane. Mica è roba che si conserva in eterno. Sarà verde di muffa ormai.

Alice                             - Credevo che si conservasse, il latte condensato.

Geoffrey                       - Ma non per vent'anni, porco cane. Si teneva in camera quella pila di barattoli dal 1939. E non ne è stato aperto nemmeno uno. Nemmeno uno.

Alice                             - Scarseggiavano, sai Geoffrey, quando scoppiò la guerra. Perciò lei cominciò a metterne da parte.

Geoffrey                       - Per forza scarseggiavano! li aveva tutti lei, porco cane. Li accumulava... pareva uno scoiattolo. Se lo avesse saputo Lord Woolton, nel 1941 le avrebbero dato quindici anni. Porco cane, se glieli avrebbero dati. (Ricor­da con tenerezza) Ti ricordi come la prendevo in giro? Le dicevo sempre che l'avevano chiamata al telefono quelli dell'Ufficio Annonario. Porco cane, non s'accostava al tele­fono, neanche... Quando eravamo fuori noi, lo lasciava squillare e via... Deve avermene fatti perdere di quattrini!

Alice                             - (che il tentativo di umorismo di Geoffrey non ha rallegrato) Be', spero che quando avrai l'età sua te la sbrigherai altrettanto bene. Non ha avuto una vita facile: vorrei avergliela resa più facile io. Le è toccato di tirarci su tutti quanti. Ed è stata una bella fatica.

Geoffrey                       - Lo credo. Ma se l'è cavata abbastanza bene. Quanti anni aveva? Ottanta e poi?

Alice                             - Ottantatré in agosto. Ottantatré o ottandue. Con esattezza non lo sapeva nemmeno lei.

Geoffrey                       - Non mi lamento se riesco a arrivarci an­ch'io. La sua bella parte di vita l'ha avuta.

Alice                             - Almeno non ha sofferto, ringraziando Dio. Ci sono quelli che si trascinano per mesi e mesi. Di cosa di­cevi che stava parlando, prima di andarsene?

Geoffrey                       - E me lo chiedi? Non sono riuscito a capir niente con quell'accidente di baccano che facevate qua sot­to. Mai sentito una roba simile da quando sono nato.

Alice                             - Di quello si che puoi dare la colpa a Billy: gliela dò anch'io. E ancora non ho finito con quella Rita come si chiama. Devo scoprire dove abita. Mi darò da fare finché non lo scoprirò.

Geoffrey                       - Io la conosco. Lavora in quel bar latteria a Sheepgat. Conosco lei e quel disgraziato di suo padre. Lo conosci anche tu. Quello che fa sempre correre quel cagnetto per le campagne. E ha tutti i tatuaggi sulle brac­cia. Dice che lavora ai mercati, quando lavora. Abitano in quella fila di case giù per Mill Lane.

Alice                             - Va bene, ci andrò. Ci andrò e parlerò con la madre.

Geoffrey                       - Tu non vai da nessuna parte, porco cane. Tu te ne stai lontana da quella gente. Abbiamo già abba­stanza grane senza mischiarci anche loro.

Alice                             - Vorrei solo che le fosse stato risparmiato, ecco. Se non si può nemmeno morire in pace, che altro rimane?

Geoffrey                       - Ora non ti stare a tormentare anche di que­sto. Lei non ha sentito niente. Era lontana le mille miglia.

Alice                             - E cosa diceva... eh? Ti ha riconosciuto?

Geoffrey                       - In principio si. Stava bene quando tu sei scesa. E anche quando è salito di sopra Billy per portarle la medicina. Ha preso la medicina e l'ha anche sopportata bene. Borbottava ecco... come faceva sempre. Stava bron­tolando di una scatola di salmone sprecata... Poi non so che altro sul libretto della pensione che voleva farsi cam­biare all'ufficio postale, la settimana prossima. Non si ren­deva conto, capisci, è stato giusto negli ultimi cinque mi­nuti che ha cominciato a sbavare. La tenevo su, seduta sul letto e lei a un tratto s'è piegata in avanti. Ho pensato che gli fosse venuto un altro maledetto colpo. E invece no, ha dato solo una scossa con la testa, cosi. Poi ha comin­ciato a sbavare. Proprio come un bambino piccolo, Alice. Proprio come un bambino che sbava e boccheggia per re­spirare. M'ha bagnato tutto il fazzoletto. Tutto a un tratto si tira su da sola e dice "Dov'è Jack?". Ho dovuto pensar­ci per capire di chi parlava. Poi mi sono ricordato che doveva trattarsi di tuo padre. Solo che di solito lo chia­mava John, no?

Alice                             - (quasi a se stessa) Non l'ha mai chiamato Jack.

Geoffrey                       - Poi dice "Ti voglio bene Jack". E prima ave­va detto "A cosa stai pensando?". Doveva stare parlando con tuo padre, non poteva essere nessun altro. Ma dovevi starle vicinissimo per capire cosa diceva. Riusciva appe­na a parlare. E nel momento del trapasso non parlava neanche più. Sbavava e basta. (Segue un silenzio)

Alice                             - Dovevi chiamarmi.

Geoffrey                       - (con improvvisa compassione) Non ti avreb­be riconosciuta. E non ti sarebbe piaciuto vederla in quel­lo stato. Non potevi far niente per lei; né te né nessuno.

Alice                             - Dovevi chiamarmi lo stesso, Geoffrey.

Geoffrey                       - Non t'avrebbe fatto per niente bene vederla, ecco. (Tornando al tono normale) Ah, senti un po'... Se crede di venire al funerale con quelle dannate scarpe sca­mosciate, be'... meglio che ci ripensi. Vengono tutti quei massoni... e non voglio che mi faccia fare una figuraccia. Porco cane o ne mette un paio nere o resta a casa.

Alice                             - Ce l'ha un paio nere: non se le vuole mettere.

Geoffrey                       - Be', tu costringilo. E vedi che si faccia an­che un bagno, martedì mattina. Da quanto tempo non lo fa?

Alice                             - Mi dispiace, ma martedì niente bagno perché io non accendo stufe: avrò anche troppo da fare. E ancora non so niente del funerale. Avrei voluto parlare io col si­gnor Duxbury.

Geoffrey                       - La colpa è tua. Se tardavi cinque minuti ad andare dalla tua Emily, gli avresti parlato. Comunque, fanno tutto loro, Shadrack e Duxbury. Pensano anche al tè e compagnia bella.

Alice                             - Non m'hai ancora raccontato cosa t'ha detto il signor Duxbury del nostro Billy... Sui guai che ha combi­nato in ufficio.

Geoffrey                       - Meglio che non me ne parli del nostro Billy. Comincerò a chiuderlo in cantina, quando viene gente. Dunque arriva Duxbury e io lo accompagno difilato su in camera. Si mette a prendere le misure e lo lascio li. Scen­do, entro qui e ci trovo seduto quel maledetto scemo. Il fuoco l'ha lasciato spegnere. Il bricco bolle e ribolle e lui qui seduto senza scarpe né calze, con tutto lo sporco tra le dita dei piedi, a guardare quel dannato Noddy alla televisione. (Esplodendo) Porco cane, sua nonna morta al piano di sopra e lui qui a guardare Noddy alla televisione, come se niente fosse.

Alice                             - Non lo capisco. Pare che non abbia sentimenti per nessuno.

Geoffrey                       - Gliel'ho detto. Gli ho detto "Ma che acciden­ti stai facendo? Lo sai che disopra c'è il signor Duxbury?" Be', è schizzato via dalla sedia attraverso la porta come un razzo. L'ho guardato dalla finestra di camera nostra: era per strada che si metteva scarpe e calze. Morirò im­piccato per colpa sua, porco cane.

Alice                             - Ma insomma che t'ha raccontato di lui il signor Duxbury?

Geoffrey                       - Non voleva parlarne; almeno oggi. Finché non gli ho domandato se il nostro Billy gli aveva telefo­nato per chiedere i documenti, come aveva detto. Allora apriti cielo. (Indica i calendari) Prima di tutto ci sono quei calendari che doveva impostare. Poi ci sono i suoi conti... che non tornano. Poi la storia del registro della posta. Tutto il denaro che aveva per le spese postali: due sterline e rotti. E pare che abbia pure grattato la tar­ghetta di ottone di una bara. Che lo fa a fare, dico io, uno scherzo del genere, porco cane?!

Alice                             - Non m'avevi detto niente prima, dei soldi della posta...

Geoffrey                       - Che ne so. Lo domandi a me? Quel dannato ragazzo è tutto sbagliato, da capo a piedi. Su tutto quan­to, deve mettere le mani.

Alice                             - Ma che ha detto del fatto di non denunciarlo?

Geoffrey                       - E quante volte te lo devo ripetere, porco cane! Dice che se rimane e fa bene il suo lavoro e ripaga tutti i soldi e la pianta di dare le rispostine ogni cinque minuti... be' allora ci metterà una pietra sopra.

Alice                             - Ma se vuole partire per Londra?

Geoffrey                       - Come diavolo fa a andare a Londra? Andrà in galera, se non sta attento. Lui deve stare li finché non ha restituito tutti i soldi. E può star sicuro che io non li pago, neanche se me lo chiedesse in ginocchio.

Alice                             - Il mistero per me è che ragione aveva di piglia­re quei soldi? Non compra mai niente. E quando resta a corto, sa benissimo che basta che venga da me.

Geoffrey                       - Questo è il male, porco cane! sei sempre stata troppo tenera con lui. Comunque ora lo sai come li ha spesi. Per quello stramaledetto anello di fidanzamento. Ecco dove sono finiti. Be', tanto per cominciare, può ri­portarlo al negozio. E si fidanza quando ha ventuno anni, non prima. E ragazzette qui in casa non ne porta più. E in futuro rincaserà alle nove di sera: se le deve scordare le undici e mezza e passa. Si vedranno dei bei cambia­menti qua dentro.

Alice                             - Quante volte l'hai detto e non si è mai visto niente. Povera mamma, dava ai nervi anche a lei.

Geoffrey                       - Almeno adesso non lo deve più sopportare. Le faceva fare una vita... L'ho visto io coi miei occhi-che la prendeva in giro. E dov'è andato ora? Porco cane non aveva nessun diritto d'uscire.

Alice                             - Non lo so dove sia.

Geoffrey                       - Dove sia lo capirà appena torna. Lo farò riuscire immediatamente. Ma dalla finestra, porco cane!

Alice                             - Non c'è bisogno di altre scenate stanotte, Geof­frey. Non ci resisterei coi nervi. Ne hai già fatta una oggi e hai visto cosa è successo. Stava bene... finché non ti sei attaccato con Billy.

Geoffrey                       - Non dare la colpa a me. Per l'amor di Dio! Glielo dicevo continuamente di andare dal dottore.

Alice                             - Lo sai perché non ci voleva andare.

Geoffrey                       - Toccava a te, porco cane, costringercela. Io non potevo starci sopra a battere ventiquattr'ore su venti­quattro, porco cane. Ho il mio lavoro io!

Alice                             - E io no, vero? ce l'ho anch'io il lavoro. E ho fatto quel che potevo. Ho cercato di farcela andare, ma lei no... no. La ragione la sai. Perché era nero.

Geoffrey                       - E fosse pure stato azzurro e rosa a pallini gialli... Dovevi accompagnarcela.

Alice                             - (quasi in lacrime) Ma se appena poche ore fa se ne stava li seduta con la sua tazza di tè... Di pure quel che ti pare ma stava bene quando ti sei messo a urlare con Billy.

Geoffrey                       - Non stava mai bene. Da mesi e mesi, porco cane, non stava bene.

Alice                             - Penso a domattina... Quando avrei dovuto portane di sopra la sua tazza di té, con un biscotto Maria Luisa...

Geoffrey                       - La pianti con queste dannate tazze di tè? Mica la fai tornare al mondo con le tue tazze di tè, porco cane! Là dov'è adesso non gliele danno le tazze di tè!

Alice                             - E invece a me fa piacere pensare che gliele dia­no, ecco. (Si alza e si dirige verso la cucina)

Geoffrey                       - Ora dove vai?

Alice                             - A prepararne una per me.

Geoffrey                       - Sta' a sedere, ci penso io.

Alice                             - No, no... Mi sento meglio quando faccio qual­cosa. Preferisco essere occupata... (Va nella cucina e Geof­frey la segue)

Geoffrey                       - Allora ti dò una mano...

(Le luci nel soggiorno si affievoliscono e si accendono invece quelle del giardino, sotto il portico e nella strada. Vediamo Billy seduto sulla panchina: fa piuttosto freddo e lui tiene le mani sprofondate nelle tasche. A un certo punto accende una sigaretta, si alza e va alla porta di casa dove si ferma un momento a origliare attraverso la fes­sura della cassetta postale. Non udendo nulla torna alla panchina e si siede sconsolato. Per un po' canticchia pia­no fra sé. Poi si gira e prende in mano una canna. Gio­cherella qualche tempo con la canna cercando di tenerla in bilico su un dito. Ora canterella più forte, si alza in piedi e dirige un'orchestra immaginaria usando la canna come bacchetta. Canterella una marcia militare e improv­visamente si interrompe quando la canna diventa, nella sua immaginazione, un fucile. Lo mette in spalla e marcia su e giù lungo il vialetto del giardino)

Billy                              - (marciando) Sinist... Dest... Sinist... Dest... Si-nist... Dest... Sinist... Dest... Alt! (Si ferma) Riposo! (Ab­bassa la canna in posizione di riposo. Si ferma un mo­mento e in quel momento la canna si trasforma in un bastoncino da ufficiale che infila sottobraccio. Si dirige quindi a passo marziale verso un'immaginaria base di sa­luto, a due metri di distanza: nell'immaginazione ora è diventato un generale) Beneamati ufficiali e signori delle truppe d'assalto del deserto. Ci troviamo stasera qui riu­niti presso una tomba, per pagare il nostro tributo di omaggio e ammirazione a una grande donna. Tra noi, qui, stasera, ci sono molti che non sarebbero più in vita, senza la sua sollecitudine, benché negli ultimi anni ella fosse paralizzata dalla vita in giù. Ella combatté valorosamente contro le malattie e l'ignoranza. E sebbene tutto il mondo la ricordi come l'inventrice del radium e della penicillina, noi di questo fiero reggimento, la ricorderemo sempre co­me la nostra amica: la Signora della Lampada. Vi invito ora tutti a unirvi a me nell 'osservare due minuti di si­lenzio. (Si toglie un'immaginario cappello che infila sotto il braccio. Abbassa rispettosamente la testa e rimane li in piedi in silenzio. Imitando la tromba suona "L'ultimo ap­pello". È ancora in piedi a capo chino quando Arthur e Liz entrano nel giardino. Liz ha la stessa età dì Barbara e Rita, ma appare molto più matura e sicura di sé. Benché vesta con trascuratezza e indossi in realtà quella gonna nera di cui abbiamo tanto inteso parlare, non è poi quella sciamannata che credevamo. Ha una blusa bianca e una giacchetta di camoscio verde. Non è particolarmente gra­ziosa ma ha evidentemente una forte personalità: è l'unica ragazza per la quale Billy nutre qualche sentimento. Liz e Arthur si fermano un istante a guardare Billy che non si è ancora accorto di loro)

Arthur                           - Ma che diavolo ha?

Billy                              - (voltandosi di soprassalto, imbarazzato) Non ti ho sentito arrivare... (Vede adesso Liz e rimane ancora più imbarazzato) Liz...

Liz                                 - Ciao Billy.

Arthur                           - Che stavi facendo? Dicevi le preghiere?

Billy                              - (gratta per terra con la canna con finta disinvol­tura) No, me ne stavo qui... a pensare. (A Liz) Arthur mi aveva detto che eri tornata.

Arthur                           - Mi parevi uno di quegli gnomi fetenti che ci hanno messo nel giardino. Con una lurida canna da pesca. (Billy butta via la canna) Perché te ne stai fuori? Non ti lasciano entrare?

Billy                              - (irritato) Ma che non posso neanche starmene nel mio fetente giardino? (A Liz) Quando sei tornata?

Liz                                 - La settimana scorsa.

Arthur                           - (prima che Liz possa continuare) Di, è vero che tua nonna ha spento il moccolo?

Billy                              - Cosa?... Eh si, oggi pomeriggio. Martedì c'è il funerale.

Arthur                           - Perdinci! E appena stamattina ci parlavo...

Billy                              - (a Liz) Perché non m'hai telefonato?

Arthur                           - (prima che Liz possa rispondere) Però non ci cascavo eh? Ero sicuro che te lo fossi inventato. Anzi ho detto alla mia vecchia che te l'eri inventato. Ci diventerà calva.

Billy                              - (a Liz) Il numero l'avevi. Potevi telefonarmi.

Liz                                 - Stavo per farlo, Billy.

Arthur                           - (di nuovo prima che lei possa continuare) Sai cosa ti avrei combinato, se avessi avuto i soldi. Ti avrei mandato una corona e un bel nastro con sopra scritto a lettere d'oro "Brutto puzzone d'un pidocchioso bugiar­do". Ero sicuro che te lo fossi inventato.

Billy                              - (seccato) Ma che stai dicendo? Perché avrei do­vuto inventarmi una cosa simile?

Arthur                           - Ehi a chi la vuoi dare a bere? (In falsetto, imitandolo) La prego signore, io non dico le bugie. Ho fatto a pezzi la nonna.

Billy                              - (voltandosi verso Arthur) Di' un po', perché non la pianti?

Arthur                           - E va bene va bene, sta calmo. Non mi man­giare.

Billy                              - Tu hai ancora bisogno di crescere.

Arthur                           - Senti chi parla! Lo dice proprio lui. Crescere! Perdinci! (Si rivolge a Liz) Sai che ha fatto una volta? Conserva tutte quelle barchette di plastica che stanno nel­le scatole dei corn flekes. Le conserva, capisci? Le conser­va tutte. Nel cassetto della scrivania. E sai una volta che fa? Riempie d'acqua una bara da bambini, giù nello scanti­nato, e si mette a fare la battaglia navale. Crede che io non lo sappia.

Billy                              - Ma sta zitto! Io almeno non passo le giornate nel cesso a leggere libri sporchi!

Arthur                           - E io non vado in giro giocando a fare il Winston Churchill quando penso che nessuno mi veda.

Billy                              - E cuciti quella bocca!

Arthur                           - (puntandogli un dito sul petto) Te la devi smettere di dire alla gente di cucirsi la bocca. Bisogna che ci vai piano. O trovi qualcuno che la cuce a te.

Billy                              - Tu vero? Insieme con quale esercito?

Arthur                           - Non è di me che parlo. Parlo di qualcun altro.

Billy                              - Chi?

Arthur                           - Il fratello di qualcuno.

Billy                              - Ma che accidenti di fratello? Di chi stai par­lando?

Arthur                           - Di quell'accidenti di fratello di Rita. Cosa cre­di? Ero venuto qui apposta per avvertirti ma è l'ultimo favore che ti faccio. L'ho visto poco fa nella sala da ballo. Urlava che t'avrebbe ammazzato. Non vorrei essere nei tuoi panni, figliolo, quando t'acchiappa.

Billy                              - (a disagio) Mica ho paura di lui.

Arthur                           - Che? Non hai paura? Ma quello ti fa a pezzi. Sul serio sai? Mica scherza.

Billy                              - E con ciò?

Arthur                           - Sentilo! E con ciò! Io lo sapevo che non avresti mai dovuto darle l'anello. Te Io dissi, no? E con­tinua a strillare che lo rivuole, lo sai? Ti sei sistemato.

Billy                              - (alzando te spalle) Ma che me ne importa...

Arthur                           - Te ne importerà, quando sarai all'ospedale a farti rappezzare. Del resto te lo meriti : te e le tue schifose bugie... Però, lo sai che farei fossi in te e non mi andasse di farmi storpiare?... Me ne andrei a prendere quel posto a Londra, e di corsa! Sempre che a Londra il posto ci sia.

Billy                              - Come sarebbe... sempre che ci sia?

Arthur                           - Cioè... se non è un'altra delle tue maledette balle.

Billy                              - Ci andrò, non ti preoccupare.

Arthur                           - Non mi preoccupo, scemo: lo impiego meglio il tempo. Ti dico solo un'altra cosa: piantala di raccon­tare in giro frescacce sul conto della mia vecchia. Perché se sento dire un'altra volta che aspetta un bambino, be' ci vengo anch'io a farti visita. E non solo il fratello di Rita.

Billy                              - Si... dacci un taglio.

Arthur                           - (avviandosi) T'ho avvertito. (Voltandosi anco­ra) E non credere che abbia più voglia di riparlartene. Perché non lo farò.

Billy                              - (piano) Ti strozzassi... (Arthur se ne va e Billy ora si rivolge a Liz) Quanto parla... (Segue una breve pau­sa durante la quale si guardano senza dir niente. Poi) Ciao Liz.

Liz                                 - Ciao Billy.

Billy                              - Quando sei tornata?

Liz                                 - La settimana scorsa.

Billy                              - Perché non mi hai telefonato?

Liz                                 - Stavo per farlo.

Billy                              - Grazie tante.

Liz                                 - No, davvero. Stavo per farlo. Poi ho pensato che ti avrei visto al ballo, stanotte. Sono andata al ballo. Cre­devo che tu ci fossi.

Billy                              - Non ci potevo andare.

Liz                                 - No, no, lo capisco. Ho saputo di tua nonna. Mi dispiace.

Billy                              - Si. (Cambiando discorso) Sono mesi che non ti vedo.

Liz                                 - Cinque settimane. Non hai perso tempo, vero?

Billy                              - Perché? Che vuoi dire?

Liz                                 - A fidanzarti. Con tutte.

Billy                              - (alzando le spalle, con una smorfia) H'm... quelle!

Liz                                 - Sei un pazzo.

Billy                              - (stringendosi nelle spalle di nuovo) Tu dove sei stata?

Liz                                - In giro.

Billy                              - Perché non m'hai scritto?

Liz                                 - Una volta ho scritto. Ma l'ho strappata.

Billy                              - Tu le strappi sempre.

Liz                                 - (cambiando discorso) E le tue cose, come vanno? Scrivi? Come va il libro?

Billy                              - (entusiasta) Ah, l'ho finito. Lo pubblicano a Natale. (Lei gli dà una lunga, ferma occhiata) Ancora non ho cominciato a scriverlo.

Liz                                 - Sei un pazzo. (Siede sulla panchina)

Billy                              - Si. (Breve pausa) Liz?

Liz                                 - H'm?

Billy                              - (sedendosi accanto a lei) Trovi che la vita è complicata?

Liz                                 - H'm... cosi e cosi.

Billy                              - Vorrei che fosse qualcosa da poter strappare per ricominciare da capo. La vita, intendo. Capisci? Come cominciare una pagina nuova sul quaderno.

Liz                                 - Si fa, infatti. Si volta pagina.

Billy                              - Ne volto una al giorno io. Ma le macchie si vedono lo stesso.

Liz                                 - Cos'è questa storia di Londra?

Billy                              - M'hanno offerto un lavoro là.

Liz                                 - Sul serio?

Billy                              - Sul serio. Una specie di lavoro.

Liz                                 - Bene, sono contenta. Forse è la pagina nuova.

Billy                              - (orgoglioso della propria frase) Volto una pagi­na nuova ogni giorno. Ma le macchie si vedono lo stesso.

Liz                                 - Be', forse una pagina non basta. Dovresti volta­re un volume intero.

Billy                              - Già.

Liz                                 - Che fai? Lo accetti questo lavoro?

Billy                              - Credo di si.

Liz                                 - Lo credi solamente?

Billy                              - Non so.

Liz                                 - Vedi caro mio, il tuo guaio è che sei... com'è la parola?... introspettivo. Sei come un bambino sulla sponda di un laghetto. Ti piacerebbe molto entrarci dentro ma ti fermi li a pensare se l'acqua è fredda, se t'annegherai e che dirà la mamma se ti bagni i piedini...

Billy                              - (interrompendola) No, mi domando solo se tuffarmi a nuoto.

Liz                                 - Forse ti ci vuole un maestro.

Billy                              - Sai cosa mi colpisce di Londra?

Liz                                 - Cosa?

Billy                              - Che un uomo ci si può sperdere, a Londra. Londra è grande. Le strade sono grandi la gente è grande...

Liz                                 - (dandogli un'occhiata) Pazzo.

Billy                              - Forse ho bisogno anche di un nuovo laghetto. (Segue un silenzio durante il quale si guardano)

Liz                                 - A chi vuoi bene?

Billy                              - (con forte accento settentrionale) A te, fan­ciulla.

Liz                                 - H'm, sembra quasi vero.

Billy                              - Ti amo, fanciulla.

Liz                                 - Dillo bene, allora.

Billy                              - Ti amo, Liz. Ti amo.

Liz                                 - E Barbara?

Billy                              - Be', e Barbara?

Liz                                 - Si, Barbara. Proprio Barbara.

Billy                              - Tutto finito.

Liz                                 - Lo dicevi anche prima.

Billy                              - Lo so. Ma questa volta è finito davvero.

Liz                                 - E quell'altra? quella Rita come-si-chiama?

Billy                              - Finito pure con quella. (Un silenzio. Billy ti­ra fuori il pacchetto delle sigarette, ne accende due e ne dà una a Liz)

Liz                                 - Sai Billy, voglio sposarti.

Billy                              - Lo so, Liz, lo so. Un giorno ci sposeremo.

Liz                                 - Non un giorno. Subito.

Billy                              - Subito?

Liz                                 - La settimana prossima. Prima che tu vada a Londra. O quando ci sarai andato. Come preferisci.

Billy                              - Mi pare che mi fidanzo un po' troppo spesso.

Liz                                 - Io non voglio fidanzarmi. Voglio sposarmi.

Billy                              - È per questo che ogni tanto te la squagli? Per­che hai bisogno di sposarti?

Liz                                 - Ho bisogno di sposarmi.

Billy                              - Va bene, va bene.

Liz                                 - Come sarebbe, va bene? Ti faccio una dichiara­zione e tu dici "va bene". Non dovresti dire "ma come, cosi all'improvviso?" oppure "si" o qualcosa del genere?

Billy                              - Non lo so.

Liz                                 - (gli mette le braccia al collo e lo bacia. Dopo un po' si staccano) Billy...

Billy                              - Si.

Liz                                 - Sai quello che volevi da me... quella sera, mentre attraversavamo il parco? E io dissi: "un'altra sera"?

Billy                              - Me lo ricordo.

Liz                                 - Be'... stasera va bene.

Billy                              - (timoroso ma eccitato) Ne sei sicura?

Liz                                - Si.

Billy                              - Dove potremmo andare?

Liz                                 - Ho una stanza. Là non c'è nessuno.

Billy                              - E cosa pensi che dovremmo fare per... capi­sci, i bambini.

Liz                                 - Averne. Tanti.

Billy                              - Si, ma... stasera?

Liz                                 - Non ti preoccupare. (Pausa) Billy?...

Billy                              - Si?

Liz                                 - Ti chiedo una cosa.

Billy                              - Cosa? "

Liz                                 - Sai cosa significa "illibata"?

Billy                              - Si.

Liz                                 - Io non lo sono.

Billy                              - No. In certo senso... me l'immaginavo.

Liz                                 - Vuoi che ti dica com'è stato?

Billy                              - No. (La bacia) Va bene, si. Racconta.

Liz                                 - No... Non ora.

Billy                              - Racconta su.

Liz                                 - Tu credi che sia per questo che me ne vado sempre?

Billy                              - Non lo so.

Liz                                 - Domandami dove sono stata queste ultime cin­que settimane.

Billy                              - Che differenza fa?

Liz                                 - Nessuna, suppongo. Il fatto è che spesso mi vie­ne la voglia di andarmene. Non per te, Billy. Mi piace stare qui con te. Ma è la città. La gente che conosciamo. Non mi va di conoscere tutti e diventare parte di queste cose. Capisci quello che intendo?

Billy                              - Si... si.

Liz                                 - Mi piacerebbe essere invisibile. Sai, potersi muo­vere senza che gli altri lo sappiano e non dovermi preoc­cupare di loro. Non dover sempre... sempre spiegare.

Billy                              - Liz... Liz, ascolta! Ascolta! Ascolta! Sai cosa faccio?... quando voglio sentirmi invisibile? Non l'ho mai detto a nessuno. Ho una specie di... be', è un paese im­maginario. Dove vado io. Un paese che ha i suoi abi­tanti...

Liz                                 - (interrompendolo) Fai davvero cosi? Lo sapevo. Perché siamo tanto simili, Billy? Io sono capace di leg­gerti nei pensieri. Una città come questa. Solo da un'altra parte, in riva al mare. E passavamo la giornata in­tera sulla spiaggia. Ecco cosa pensavo io.

Billy                              - Ma è più di una città, è un paese intero. (Si sta eccitando) Io sono il Primo Ministro. E tu puoi es­sere il Ministro degli Esteri. O roba del genere.

Liz                                 - (scherzosa) Sissignore.

Billy                              - Ci penso per delle ore di seguito. A volte penso che se fossimo sposati con una casa nostra, po­tremmo star li seduti e immaginare di essere laggiù.

Liz                                 - Certo che potremmo.

Billy                              - Ci voglio una stanza, nella casa, con una por­ta di canapa verde. Una stanza grande e quando entria­mo lì, dalla porta, quello è il nostro paese. Nessun altro avrà il permesso di entrarci. Nessun altro avrà le chiavi. Non sapranno mai dov'è questa stanza. Solo noi. E fa­remo i modellini delle città principali. Sai, con il cartone. E adopreremo i soldati... quelli colorati... per fare la gente. Disegneremo delle mappe. Ci sarà un posto dove andare nei pomeriggi di pioggia. E ci andremo. Nessuno riuscirà a trovarci. Ho pensato che potremmo anche avere un gran piano inclinato, sai, lungo una parete, come una grande scrivania. E tenerci sopra tanta carta bianca per farci i nostri giornali. Se vogliamo possiamo anche farci una uniforme. Sarà il nostro paese... (s'immerge nei sogni)

Liz                                 - E avremo un trenino con cui i bambini non po­tranno giocare.

Billy                              - Liz?... Vuoi sposarmi?

Liz                                 - Si. (Lui la bacia) Billy?...

Billy                              - Si?

Liz                                 - Ci vai davvero a Londra o fai solo finta?

Billy                              - Ci sto pensando.

Liz                                 - Solo pensando?

Billy                              - Be', ci vado. Comunque, presto.

Liz                                 - Presto quando?

Billy                              - Be', presto.

Liz                                 - È un po' vago, presto. Perché non ora?

Billy                              - è difficile.

Liz                                 - No, è facile. Sali su un treno e in quattro ore ci sei, a Londra.

Billy                              - Per te è facile: sei pratica.

Liz                                 - Verrò con te.

Billy                              - Sarebbe meraviglioso... se potessimo.

Liz                                 - (si alza) Ma possiamo, Billy! Possiamo! Cosa ce lo impedisce?

Billy                              - (pensandoci seriamente per la prima volta) Be', ci sono... non lo so... ma ci sono un sacco di cose da fare, no?

Liz                                 - Comprare il biglietto: basta. Compri il biglietto e sali sul treno. Non c'è altro.

Billy                              - Non ci avevo mai pensato in questo modo.

Liz                                 - Billy, possiamo! Possiamo andare! Andare via stanotte.

Billy                              - Ma Liz...

Liz                                 - C'è un treno alla mezza. Possiamo prendere quel­lo. Arrivo alla Stazione di King Cross. Colazione alla Lyons Corner House. Poi prendiamo la sotterranea... pren­diamo la sotterranea da Piccadilly Circus a Earl Court. Là ho degli amici, Billy. Ci sistemeranno loro. Ci daran­no una stanza.

Billy                              - (quasi convinto, si alza) Stanotte Liz?

Liz                                 - Si, stanotte. Il treno della mezzanotte e cinque dalla stazione di New Street. Domani siamo a Londra. Nel pomeriggio potremo andare a Hyde Park. E domani sera al cinema: all'Odeon, Marble Arch. Che ore sono?

Billy                              - (con un'occhiata al proprio orologio) Appena suonate le dieci.

Liz                                 - Io vado Billy. Tu vieni?

Billy                              - (ormai deciso) Si, Liz, vengo.

Liz                                 - Sei sicuro?

Billy                              - Vengo con te.

Liz                                 - (decisa) Bene, allora. Io vado a casa. Subito. Faccio su la mia roba. Ci troviamo alla stazione. Nel bar. Fra un'ora. Alle undici. Prendo io i biglietti: due per Londra. Non mi pianterai li, vero?

Billy                              - Verrò.

Liz                                 - Che dirai a tuo padre e tua madre?

Billy                              - Più o meno lo sanno già.

Liz                                 - Non ti farai convincere da loro a rimanere?

Billy                              - No. Verrò. (Le luci cominciano ad accendersi nel soggiorno. Geofirey entra dalla cucina, prende un giornale, si siede e comincia a leggere, le luci del giardi­no impallidiscono)

Liz                                 - (baciando Billy) Alle undici.

Billy                              - Alle undici. (Liz se ne va. Billy la guarda an­dar via poi entra in casa. A sentir aprire la porta Geoffrey si alza. Billy entra nel soggiorno. Rimane colpito vedendo la credenza aperta)

Geoffrey                       - Che ore credi che siano, porco cane?

Billy                              - Sono appena le dieci.

Geoffrey                       - Me ne frego dell'ora. Chi t'ha detto che potevi uscire? E dove sei stato?

Billy                              - Sono stato fuori. Volevi che ti portassi dentro un po' di legna?

Geoffrey                       - Ti legno io a te. Se mi ci metto ti faccio nero, porco cane. Sei stato a ballare?

Billy                              - No che non ci sono stato.

Geoffrey                       - Se so che sei stato a ballare con tua nonna morta lassù, t'ammazzo. Giuro che t'ammazzo.

Billy                              - (con finta innocenza) Ma che c'è?

Geoffrey                       - Che c'è? Lo sai benissimo che c'è. Cosa hai fatto di quella lettera di tua madre? (Billy lancia un'oc­chiata timoroso alle buste sparse sul pavimento) Mi hai sentito? Parlo con te.

Billy                              - Che lettera?

Geoffrey                       - Che che che. Piantala col tuo che. Sai be­nissimo che lettera. Quella che ti aveva dato da imposta­re per la Selezione delle Massaie.

Billy                              - Gliel'ho già detto. L'ho impostata.

Geoffrey                       - (togliendosi la lettera di tasca) Non hai impostato un accidente. La tenevi nella credenza. E lei te l'aveva data da impostare. Porco d'un fannullone!

Billy                              - Ma io l'ho impostata. Quella li è la brutta co­pia.

Geoffrey                       - Come, la brutta copia? Questa è la lettera di tua madre. Come puoi dire di averla impostata?

Billy                              - Senti, la lettera di mamma era piena di er­rori, ecco. E io ho pensato che avrebbe avuto più pro­babilità di essere presa in considerazione se la riscrivevo bene, senza errori. Ecco. (Viene Alice dalla cucina)

Geoffrey                       - E chi t'aveva detto di ricopiarla? Chi t'a­veva detto di aprirla? Eh?... Impara a tenere le tue ma-nacce ladre lontano dalla roba degli altri. E tutti quei dannati calendari e compagnia bella dove li hai presi?

Billy                              - Che calendari?

Geoffrey                       - (toccandosi la cintura, come se stesse per to­glierla) Porco cane, te lo dò io "che", se non la pianti di dire "che". Lo sai quali. Credi che non abbia parlato con il signor Duxbury? E invece si e ho saputo tutto. Mi fai fare certe figure, porco cane, da andare a nascondermi. Devi mettere le mani su tutto quello che ti capita. E dov'è quella schifosa chiave inglese che stava in ga­rage? Neanche di quella sai niente, vero?

Billy                              - No, infatti. Che me ne farei d'una chiave in­glese?

Geoffrey                       - E di duecento maledetti calendari che te ne fai, porco cane? E che ne hai fatto delle targhette col nome, eh? È la zucca, porco cane, che non ti funziona!

Billy                              - (perdendo la pazienza) E va bene, non mi fun­ziona, non mi funziona! Io non volevo lavorare da Shadrack e dal quel dannato Duxbury! Sei stato tu a co­stringermi ad accettare il loro lurido impiego. E ora ne rispondi tu.

Geoffrey                       - Bada di non alzare la voce sai, pezzo di scimunito... O ti faccio saltare gli occhi dalla testa.

Billy                              - Dio dammi forza.

Geoffrey                       - Altro che forza, cervello ti deve dare. Por­co cane sei un cretino e basta. Spero che tua madre riesca a farti ragionare meglio.

Alice                             - In un bel pasticcio ti sei messo, eh figliuolo?

Billy                              - Quale pasticcio?

Alice                             - Per fortuna che lei... lassù - (indica il soffitto) non ne sa nulla. Perché non m'hai impostato quella let­tera?

Billy                              - L'ho impostata. L'ho detto adesso a papà. L'a­vevo riscritta, ecco. C'era qualche errore.

Alice                             - Be', non tutti possiamo essere Shakespeare, no? E quest'altra storia dei soldi che hai preso in ufficio?

Billy                              - Che soldi?

Geoffrey                       - (in tono di ammonimento) T'ho avvertito eh?

Billy                              - Io non ho preso soldi.

Geoffrey                       - Dal tuo registro della posta mancano due sterline. Per non parlare di quelli della cassa.

Billy                              - Ah quelli... Veramente io...

Alice                             - Che ne hai fatti Billy?

Geoffrey                       - L'ha spesi. Ecco che ne ha fatto, porco cane.

Alice                             - Questo poi non riesco a arrivarci.,. Che biso­gno ne avevi? Potevi venire da me.

Geoffrey                       - Hai avuto la vita troppo facile, ecco il ma­le. Sul lavoro mica puoi andare avanti come fai a casa, che credi?

Billy                              - Be', fin dal principio t'avevo avvertito che non avevo nessuna voglia di lavorare là dentro. È vero si o no?

Geoffrey                       - Tu non hai voglia di lavorare da nessuna parte, te lo dico io. Tu hai sempre pensato di poter cam­pare alle spalle mie. È vero si o no?

Billy                              - No, non è vero. Potevo mantenermi per con­to mio.

Alice                             - Mantenerti? E in che modo?

Billy                              - Con quello che scrivo.

Geoffrey                       - Quello che scrive! Ma c'è bisogno di sgob­bare giornata per giornata. Lascia perdere quello che scri­vi!... Chi ci penserà a mandare avanti i miei stramale­detti affari quando io non ci sarò più? Eh?

Billy                              - Hai sempre detto che non mi ci volevi, nei tuoi affari.

Geoffrey                       - Solo perché sei un porco fannullone... por­co cane. Qualcuno dovrà pure mandarli avanti. A tua madre, chi ci pensa se no?

Billy                              - (con un tentativo umoristico) Perché? non hai mica intenzione di ritirarti?

Geoffrey                       - Con me non far tanto lo spiritoso, sai? O ti faccio ridere con la testa rivoltata dall'altra parte.

Alice                             - E cos'eri venuto a raccontarmi della madre di Arthur? Non aspettava per niente un bambino, lo sai be­nissimo che non l'aspettava.

Billy                              - Era solo uno scherzo.

Geoffrey                       - Uno scherzo?... Uno scherzo da scemo, por­co cane!

Alice                             - E perché le hai raccontato che io m'ero rotta una gamba?

Billy                              - Non sapevo che conoscevi la madre di Arthur.

Alice                             - Già, tu non lo sai chi conosco e chi non cono­sco. Be', se ci tieni a saperlo, mi ha telefonato. E di quel pullover che ti aveva dato per me a Natale, cosa ne hai fatto?

Billy                              - (vago) Credo di averlo dato... per i profughi.

Alice                             - Bene, domani mattina me ne trovi uno egua­le. Perché la madre di Arthur verrà qui a farmi visita.

Billy                              - (con enfasi) Io non sarò più qui domattina.

Geoffrey                       - Non ci passi neanche la notte, porco cane, se parli a tua madre con quel tono.

Billy                              - Infatti: non ci resto neanche stanotte. Parto.

Alice                             - Che dici?...

Billy                              - (deciso) Prendo il treno di mezzanotte. Sta­notte. Accetto quel posto a Londra,

Alice                             - Se sei in qualche altro pasticcio Billy, non è che puoi lasciartelo dietro. Te lo metti in valigia e lo porti via con te.

Geoffrey                       - E la valigia mia che sta di sopra non la tocca. (Rivolgendosi a Billy) E poi non vai né a Londra né da nessun'altra parte. Tanto per cominciare, levati quell'idea dalla testa.

Billy                              - No, l'ho detto sul serio, papà. Parto.

Geoffrey                       - Anch'io l'ho detto sul serio e compagnia bella, porco cane! (Alzando la voce) Tu rimani qua fin­ché non hai pagato tutti i soldi. E ringrazia la tua buo­na stella se il signor Duxbury non ti ha spedito in tri­bunale.

Billy                              - Ringrazia! Ringrazia! Ringrazia per questo e ringrazia per quello. Non ho mai sentito altro. Ringra­ziarvi perché mi avete lasciato andare alle scuole supe­riori. L'ho sentito fin dal primo giorno che ci misi piede. E cosa dovrei fare adesso? Dirvi "grazie mille" tre volte al giorno per la meravigliosa educazione?

Geoffrey                       - Be', è una fortuna che a noi non è toc­cata.

Billy                              - E lo sappiamo perdinci, lo sappiamo! Ho dovuto ringraziarvi perfino per essermi guadagnato la bor­sa di studio. E cosa m'avete detto voi, quando venni di corsa a casa per dirvi che l'avevo vinta. Credete che l'ab­bia dimenticato? Avevo undici anni. Mi precipitai come una bomba fuori dei cancelli della scuola e corsi per tut­ta la strada. Solo per dirlo a voi. E voi... che avete det­to? Che avreste dovuto pagare i soldi dell'uniforme e che vi dovevo ringraziare. E adesso dovrei ringraziare anche Shadrack e quello schifoso di Duxbury? Perché? Per cosa? Per il permesso di starmene seduto tutto il giorno a una delle loro schifose scrivanie?

Alice                             - (con gentilezza persuasiva) Te lo sei trovato da te quell'impiego, Billy.

Geoffrey                       - E ci resta finché non ha restituito tutti i soldi.

Billy                              - Non ne ho voglia di discutere. Me ne vado. (Va verso la porta)

Geoffrey                       - E vattene allora. Tra noi è finita. (Billy va nell'ingresso e sale le scale. Mentre entra nella came­ra da letto Geoffrey gli grida dietro) Ti porteranno in tribunale, lo sai? E non farò niente per fermarli. Non pa­gherò un centesimo! E non credere di pigliarti la mia valigia! (Ritorna nel soggiorno e rimane in piedi, in si­lenzio. Alice siede presso il fuoco)

Alice                             - Oh poveri noi... Poveri noi... (Billy esce dalla camera da letto e si precipita giù per le scale. Porta una valigetta malandata. Entra nel soggiorno, va alla creden­za e aperto un cassetto comincia a riempire la valigia di calzini, camicie, fazzoletti e un pullover. Geoffrey lo os­serva, sempre in silenzio)

Alice                             - (preoccupata) Che treno pensi di prendere?

Billy                              - Di mezzanotte.

Alice                             - E a che ora arriva?

Billy                              - Domani mattina.

Alice                             - Dove pensi di andare a abitare quando sei là?

Geoffrey                       - In un ospizio dell'Esercito della Salvezza.

Alice                             - (mentre Billy mette dentro i calzini) Tutti quei calzini hanno bisogno d'essere ramendati, lo sai? (Billy non risponde) Avrai bisogno di più di un vestito?... E per i funerali di tua nonna, martedì? (Billy ha adesso finito di mettere nella valigia la biancheria. Si china e comincia a raccogliere i calendari)

Geoffrey                       - (che non crede ai suoi occhi) Porco cane, e che te li porti a fare quelli li?

Billy                              - Pensavo d'impostarli.

Alice                             - Guarda che ti aspettiamo per i funerali.

Geoffrey                       - (in tono di sprezzo) Intanto non va da nes­suna parte.

Billy                              - (ha finito di fare la valigia, sbatte giù il coper­chio e si alza) Vado. (Prende la valigia e si avvia ver­so la porta)

Geoffrey                       - (mezzo addolcendosi) E non fare lo sce­mo, porco cane! (Billy si ferma un attimo, la mano sulla maniglia, colto dall'imbarazzo della partenza)

Billy                              - Be', poi vi scriverò. Appena mi sarò siste­mato. (Con acuto disagio) Mi rincresce tanto... della nonna. (Se ne va)

Alice                             - Oh povera me... Povera me...

Geoffrey                       - Lo denuncino pure. Per me è finita.

Alice                             - Pagherai tu Geoffrey. E poi credi che se la caverà, per conto suo?

Geoffrey                       - Ma quello intanto non va da nessuna par­te. Fra cinque minuti ritorna qui.

Alice                             - Non sappiamo nemmeno dove va, che cosa va a fare... Chi è questo tale per cui dice che dovrebbe la­vorare... quell'attore?

Geoffrey                       - Che accidente ne so, porco cane?

Alice                             - Stava nella lettera che aveva nella tasca di quel vecchio impermeabile... (Geoffrey va a prendere la lettera dalla tasca dell'impermeabile appeso nell'ingresso. Torna nel soggiorno leggendo la lettera tra sé. Poi la leg­ge forte ad Alice)

Geoffrey                       - (leggendo) "Caro Signor Fisher, le sono molto grato dei testi che mi ha mandato con le vignette umoristiche. Potrò forse servirmi di alcune che in tal caso le verranno adeguatamente pagate. Quanto a un j impiego fisso, mi rincresce dirle che non ho impiegati tranne il mio agente. Diversi giovani però lavorano per me e ciò forse potrebbe interessarLa. Perché non passa un momento da me, la prossima volta che viene a Londra? Intanto continui a scrivere. Augurandola la miglior fortuna, suo Danny Boon."

Alice                             - (dopo un breve silenzio) Corri alla stazione. Riportalo qui.

Geoffrey                       - Non ha più bisogno della balia, porco cane!

Alice                             - Bisogna che tu lo fermi, Geoffrey...

Geoffrey                       - No, ormai è grande abbastanza da badare a se stesso. Che stia in piedi da solo, tanto per cambia­re. Io ho finito con lui. La mia parte l'ho fatta, con lui.

Alice                             - Chissà se ha dei soldi...

Geoffrey                       - Se ce l'ha non sono suoi. Di questo puoi star sicura.

Alice                             - Oh povera me... Povera me...

Geoffrey                       - Ma non è necessario che soffra la fame. Può trovarsi un lavoro, basta che voglia. E alzarsi, la mattina.

Alice                             - E che lavoro può trovare?

Geoffrey                       - D'impiegato, come qua. Ci sono tanti uffi­ci a Londra. Be', una cosa è certa, so benissimo cosa fa­rò, adesso: me ne vado a letto, porco cane. Ne ho abba­stanza sul groppone senza dovermi rompere la testa su quello là. Che vada all'inferno, che vada!

Alice                             - Vuoi una tazza di camomilla?...

Geoffrey                       - No. Anche tu hai bisogno di andare a letto, figlia mia...

Alice                             - (si alza) A quest'ora gliene portavo sempre una tazza. Mi ci dovrò abituare...

Geoffrey                       - (con un sospiro) Eh si, purtroppo...

Alice                             - È chiusa a chiave la porta di dietro, Geoffrey?

Geoffrey                       - Sì, ci ho pensato io. (Vanno nell'ingresso. Geoffrey spegne le luci nel soggiorno e automaticamente mette il chiavistello alla porta. Poi sale con la moglie su per le scale. Si accende la luce sotto il portico e vedia­mo Arthur e Rita entrare nel giardino. Geoffrey conti­nua con finta allegria) Be', verrà a casa per le vacanze e magari qualche fine di settimana. (Da cima alle scale Geoffrey spegne le luci anche nell'ingresso, poi entra an­che lui nella camera da letto)

Arthur                           - (con sollievo quando vede spegnersi le luci nell'ingresso) Visto? Sono andati a letto.

 

Rita                               - Dà un po' un'occhiata da quella schifosa buca delle lettere,

Arthur                           - Lo vedi anche da te, no? Sono andati a dor­mire. Non penserai che stiano alzati con la luce spen­ta, no?

Rita                               - Be', comunque lui da qui non esce; perché io domattina ci torno. E ci viene anche il mio fratellino. Il mio fratellino lo sistema. E si fa ridare l'anello.

Arthur                           - Te e il tuo fratellino e quel lurido anello... Ma andiamo al Foley Bottoms, va... Andiamoci un po' a spassare, noi due.

Rita                               - E non si creda che se l'è cavata, perché non è così. Domattina sarà un caso da barella. (Grida verso la finestra) Sarai un caso da barella, domattina! Aspetta e vedrai! Brutto puzzolente strabico che non sei altro! Cesso! (Sentiamo aprire una delle finestre al piano di so­pra e udiamo la voce di Alice)

Alice                             - (fuori scena) Andate via! Non sapete che c'è un morto in questa casa?!

Rita                               - E morite anche voi! Un po' di ga...

Arthur                           - Zitta Rita. Mia madre li conosce.

Rita                               - Che mi frega?

Arthur                           - Non vale neanche la pena d'arrabbiarcisi. Su, andiamo al Foley Bottoms. Piantati qua perdiamo il tempo e basta.

Rita                               - (lasciando che Arthur le metta un braccio intorno alla vita e la piloti, fuori) Va be', ma domattina pre­sto ci torniamo. Tanto noi ci alziamo prima di loro. (Arthur e Rita escono. Una pausa. Poi vediamo entrare Billy che cammina con aria avvilita dirigendosi verso la porta. Posa la valigia, si toglie una chiave di tasca, apre ed entra. Va nel soggiorno e chiudendosi la porta alle spalle, accende la luce. Rimane in piedi un momento, in­deciso, poi va ad accendere la radio. Va alla valigia e la apre intanto che dalla radio esce una musica da ballo. Bil­ly dopo essere rimasto un momento in piedi, impulsiva­mente alza un braccio e dirige la musica. Dà un'occhiata al soffitto nel dubbio che il rumore sia troppo forte, poi va a spegnere la radio. Torna a prendere la valigia che porta sulla credenza. Apre la credenza e con cura ripone dentro tutti i calendari mentre cala il sipario)

FINE