Bobosse

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COMMEDIA IN TEE ATTI E QUATTEO QUADEI DI

BOBOSSE

Commedia in tre atti e quattro quadri

di ANDRE’ ROUSSIN

VERSIONE ITALIANA DI B.L. RANDONE

PERSONAGGI

BOBOSSE

TONY

EDGARDO

LEONE

REGINA

SIMONA

ANNA MARIA

GILBERTA

LO ZIO EMILIO

MARONNIER

UN RADIOCRONISTA

GIROLAMO

MINOUCHE

YVETTE

UN AGENTE

IL DIRETTORE DI SCENA

Lo studio di Bobosse, che è artista disegnatore. Una scena abbastanza elegante, estrosa e divertente, con un grande tavolo da disegno e tutto l’occorrente per un disegnatore che usa anche colori. I mobili siano adattati in modo da far capire come l’arredamento faccia casa e studio; questo perché il primo quadro del secondo atto - che è la casa di Tony - non sarà che il medesimo studio. Qui è rifatto sulla scena con un po' più di colore e di fantasia. Insomma lì saremo nella « realtà », mentre qui siamo nel teatro dove si sta recitando la commedia Bobosse. Grande finestra, lucer­nario sulla parete di fronte; porte ai lati e scala a sinistra.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 (All'alzarsi del sipario in mezzo alla scena un gio­vanotto in maglione sportivo fa la verticale con­tando: « 93 -94 - 95... ». Bussano. « Avanti! ». Entra un signore con un microfono in mano. « 96 - 97 -98-99-1001»).

Bobosse                        - (si rimette in piedi) Auffl Buongiorno.

Il Radiocronista            - (balbettando) - M... mille scuse.

Bobosse                        - Non c'è di che. Bisognava assoluta­mente che arrivassi fino a cento. Avevo lasciato la porta aperta in caso di una visita. Mi avete sen­tito gridare «Avanti!», siete entrato, è logico, non fa una grinza. A mia volta mille scuse d'avervi ricevuto con i piedi per aria...

Il Radiocronista            - Ma niente affatto, è del tutto normale...

Bobosse                        - Ah sì?

Il Radiocronista            - Insomma, volevo dire...

Bobosse                        - Posso far niente per voi?

Il Radiocronista            - Come lo si può capire dal mi­crofono, sono un radiocronista, signor Grénier. Sono proprio quello stesso che avant'ieri vi ha chie­sto l'appuntamento che avete avuto la bontà di fissare per oggi. Sono puntuale.

Bobosse                        - Veramente l'avevo dimenticato.

Il Radiocronista            - La cabina sonora per la regi­strazione è da basso. Se permettete apro la finestra per vedere se tutto è pronto, così potremo comin­ciare subito per non farvi perdere tempo.

Bobosse                        - Ehi... ehi!... piano, un momento! Che diavolo volete che racconti, io? Non sono mica abituato alle interviste e tanto meno a parlare al microfono.

Il Radiocronista            - Non è niente, signor Grénier, Vi farò delle domande e voi risponderete.

Bobosse                        - E se ba... balbetto?

Il Radiocronista            - Sembrerà naturale. Ma voi parlate con facilità e senza il minimo impaccio.

Bobosse                        - Già, ma fra poco?

Il Radiocronista            - E' questione d'abitudine.

Bobosse                        - Proprio così. E io non l'ho.

Il Radiocronista            - Dopotutto si incide un disco. Se non ne sarete soddisfatto, se ne rifarà un altro.

Bobosse                        - Se è così... (Il radiocronista fa dei segni dalla finestra).

Il Radiocronista            - Giù sono pronti. Vogliamo co­minciare?

Bobosse                        - Avanti pure... Non troppo svelti, vero?

Il Radiocronista            - Comincio a contare...

Bobosse                        - Ehi!... Ma che cosa mi chiederete?

Il Radiocronista            - Sst! Meno cinque, quattro, tre, due, uno, bang! (Parla velocemente senza più bal­bettare e con la brillante speditezza dei radiocro­nisti che improvvisano) Miei cari ascoltatori. E' al microfono Carlo Magno. E' insieme a me che avete ormai preso la simpatica abitudine di far visita alle stelle preferite del cinema, del teatro, della radio, del disco e del giornalismo. Oggi vi conduco per mano dal signor Jean Grénier. Nome assolutamente sconosciuto, vero? Ma certo! Poiché voi non sapete ancora che questo nome appar­tiene a colui del quale cercate avidamente nei gior­nali illustrati e nelle riviste di moda i disegni poetico-umoristici, colui al quale dovete i meravigliosi album intitolati «Davide e Golia»; «Il passaggio del Mar Rosso»; «Il cavallo di Troja», in una parola il vostro disegnatore preferito del quale ora avete il nome sulla punta della lingua: « Bo­bosse»! Sì, cari ascoltatori, Bobosse, il celebre Bo­bosse, di cui adorate i personaggi ingenui e com­moventi, è proprio qui dinanzi a voi, cioè dinanzi a Carlo Magno! Bobosse è qui, pronto, e voi state per ascoltarlo. (Il radiocronista avvicina il micro­fono alla bocca dì Bohosse. Panico e rifiuto ener­gico di parlare da parte di Bohosse. Il radiocronista contìnua imperterrito) Credo perfettamente inutile prevenirvi, cari ascoltatori, del fatto che Bobosse non sia affatto un personaggio venerabile e che in­timidisca la gente. Una carriera luminosa come la sua, potrebbe forse autorizzarvi a credere che stiate per ascoltare un uomo maturo, forse un po' troppo sicuro di sé. La sua voce vi sorprenderà. No, si­gnore e signori, disingannatevi. Bobosse è qui vi­cino per provarvi appunto che « il valore non aspetta gli anni», come è stato detto così giusta­mente dal celebre favolista La Fontaine, e che i veri poeti sono ugualmente grandi poeti a vent'anni come a sessanta. Bobosse ha ventiquattro anni, cari ascoltatori, ed ha ancora l'aspetto di un adolescente. (Mimica di Bohosse che protesta) Bobosse mi fa cenni che non è d'accordo, ha una ciocca di ca­pelli sulla fronte, il sopracciglio folto ed un lumi­noso sorriso affascinante. E questo sia detto alle signore. (Mìmica inquieta di Bohosse verso lo spea­ker, che si è stranamente animato) Aggiungo che è assai ben proporzionato e che gli si indovina una perfetta muscolatura sotto il suo completo di taglio impeccabile. Bobosse è un pittore, ma potrebbe essere vedetta del cinema ed entusiasmerebbe tutti. (Bohosse fa cenni: « Basta, vorrei dire qualcosa anch'io!») Bobosse trova che parlo troppo di lui, pensate un po'. Mi fa cenno di lasciargli il mi­crofono. (Mimica spaventata di Bohosse) No? E' a Bobosse che mi rivolgo, poiché è estremamente in­quieto e si chiede quale domanda mai gli farò. Ebbene, cari ascoltatori, credo che la domanda più naturale, e che voi tutti vorreste fare al signor Jean Grénier, sia questa: « Perché, signor Grénier, siete diventato "Bobosse '"? Qual è l'origine di questo nome che vi ha reso celebre? ». (Cenno: « A voi »).

Bobosse                        - Non m'aspettavo davvero questa do­manda... Oh! pardon...

Il Radiocronista            - Ma no, ma no, va benissimo. Non scusatevi di quello che dite a parte. E' per i vostri ascoltatori, Bobosse, e i vostri ascoltatori sono ben felici di sapere che voi non vi aspettavate quella domanda. Questo del resto non fa che di­mostrare che le interviste radiofoniche non sono state provate prima. Allora? Tutti ci ascoltano.

Bobosse                        - (balbettando) Ebbene... Oh!... è faci­lissimo. Voglio dire... è molto semplice, cioè molto facile, avevo detto giusto... Dunque... da bambino, proprio quando ero piccolo, la balia mi fece cadere e picchiai la testa...

Il Radiocronista            - No? (Giuoco del microfono da Bobosse ai radiocronista).

Bobosse                        - Come?... Sì... Insomma non so se proprio picchiai la testa... ma è vero che... la balia... mi fece cadere e che picchiai la testa così forte che mi rimase un bernoccolo enorme per molto tempo. Il bernoccolo si è rimpicciolito molto con! gli anni, ma ce l'ho sempre.

Il Radiocronista            - Ah sì?

Bobosse                        - Non credete? Toccate qui.

Il Radiocronista            - E' vero! E' verissimo, cari ascoltatori. Effettivamente sento una piccola spor­genza sulla testa di Bobosse. Ma non si vede ad oc­chio nudo.

Bobosse                        - Allora, quand'ero bambino, mi toccavo sempre la testa, dicendo «Bobosse » e così Bobosse è diventato il mio soprannome.

Il Radiocronista            - Molto originale.

Bobosse                        - In casa ed i miei amici mi chiama­vano Bobosse, come altri Zuzù o Fofò. Quando ho cominciato a pubblicare i miei primi disegni, mi sono divertito a firmarli Bobosse e...

Il Radiocronista            - ... il nome è diventato così presto celebre che quasi non avete più il diritto di usare quello vero.

Bobosse                        - Sì... insomma l'ho conservato.

Il Radiocronista            - E' proprio affascinante e deli­zioso, vero cari ascoltatori? Vi ho detto poco fa, cari ascoltatori, che Bobosse aveva una ciocca sulla fronte. E ciò dovrebbe sorprendervi, poiché quan­do sono entrato nel suo studio, ho trovato il fa­moso disegnatore con la testa in basso e i piedi in aria, occupato a contare ad alta voce da uno fino a cento. Posso chiedervi, Bobosse, a che cosa corrisponde un simile esercizio fisico?

Bobosse                        - Ebbene... veramente... Cioè... insomma è un'amica... una mia amica per essere esatti, che mi ha garantito che facendo la verticale e appog­giandomi con tutto il peso del corpo sul mio ber­noccolo e contando fino a cento due volte il giorno... riuscirò a farlo scomparire del tutto.

Il Radiocronista            - Ah!

Bobosse                        - Non sono mica sicuro che questo eser­cizio dia poi dei risultati efficaci...

Il Radiocronista            - Comunque tentate.

Bobosse                        - Piuttosto, è per far piacere alla mia amica, già...

Il Radiocronista            - Ascoltate bene, cari ascoltatori. Per far piacere a un'amica, Bobosse, due volte al giorno fa la verticale contando da uno fino a cento. Non siate più meravigliati di trovare nei suoi di­segni tanta freschezza e tanta purezza. Bobosse è un cuore tenero e non dubita per un solo secondo dei risultati della verticale sul famoso bernoccolo, dal momento che un'amica, che forse egli ama, glielo chiede.

Bobosse                        - Io ne dubito molto, invece.

Il Radiocronista            - Ne dubita molto invece. E' an­cora più bello. Soltanto l'amore può provocare così deliziosi moti del cuore: Bobosse dubita, ma fa ugualmente la verticale contando fino a cento due volte il giorno per far piacere alla sua amica! (Re­gina entra trovando la porta socchiusa) Ma cari ascoltatori... una porta si è aperta ed ecco apparire un'affascinante persona, che forse è l'ispiratrice degli esercizi fisici di Bobosse. Ho già visto il suo delizioso faccino da qualche parte... ma sì... poiché è il viso sottile e affascinante di tutte le donne dise­gnate da Bobosse... Tutti voi la riconoscereste facil­mente, coi suoi grandi occhi neri, il piccolo naso al vento e la bocca sorridente... Questa creatura è qui, vicino a me ed ora io le chiedo di dire una parola per voi, la parola della musa, la parola dell'ispiratrice... Avvicinatevi, signorina. L'ispiratrice di Bobosse vi parla, cari ascoltatori, e vi dice...

Regina                           - Ma...

Il Badiocronista            - Dite, dite... una sola parola!

Regina                           - Buongiorno!

Il Radiocronista            - Avreste immaginato qualcosa di più spontaneo? Grazie, signorina. Ed ora ritornia­mo a Bobosse e facciamogli una nuova domanda: quali sono i vostri progetti immediati?

Bobosse                        - Immediati?

Il Radiocronista            - Sì.

Bobosse                        - Ebbene, ecco. La persona che vi ha parlato poco fa, signore e signori, era la mia fidan­zata. Il mio progetto immediato è di sposarla e quando dico che tale progetto è immediato, non esagero affatto, poiché sposerò la mia fidanzata fra mezz'ora.

Regina                           - Cosa?

Bobosse                        - Ripeti!

Regina                           - Cosa?

Bobosse                        - E' lei che ha detto: « cosa? ». Ma non meravigliatevi, cari ascoltatori, della sua meraviglia. La mia fidanzata non era al corrente. Così ho ap­profittato di questa occasione veramente attraente e del tutto inattesa per comunicarle la notizia e renderla pubblica. Solo con lei, forse, non avrei mai osato; ma ho scoperto d'un tratto che è estre­mamente facile dire a una donna che la si ama e che si sta per sposarla, quando diecimila o cen­tomila orecchi ascoltano. Ci si sente a proprio agio, non si balbetta, si può dire ciò che non si è mai detto. Si è veramente soli. Le persone che vi stanno vicino non esistono più e si stabilisce così un rap­porto di vera confidenza, signore e signori, esatta­mente quello che devono sentire i poeti quando da soli parlano alla notte: il mondo intero col suo cielo e le sue stelle, sta anch'esso ascoltando. E' uno stato di grazia, signore e signori, che mi state accordando con la vostra pazienza invisibile e con l'attenzione che dimostrate per la mia modesta persona. Lo vedete, sono come un pesce nell'acqua, nuoto nell'etere radiofonico, dichiaro alla mia fidanzata che l'amo, ciò che non le ho mai detto fino ad oggi poiché sarebbe stata la sola a sentirlo e, augurandovi di passare una serata felice quanto quella che passerò io, presento a tutti, signore e signori, i miei rispettosi omaggi. Auff! Mica male, vero? Oh!... pardon!

Il Radiocronista            - Mica male, effettivamente, cari ascoltatori, proprio mica male per un debutto al microfono. Tanto più che coincide con un debutto di felicità... Grazie, signore e signori... A Bobosse, tutti i nostri auguri di felicità. (Fa cenno d'aspettare tre secondi e poi, balbettando terribilmente) Fine della intervista con Bobosse.

Regina                           - Ma Bobosse, sei pazzo?

Bobosse                        - Sst! Taci, moglie. Grazie, signore. Attenzione al filo. E ditemi un po', non credete che passi per uno stupido con quella storia della verti­cale sul bernoccolo? Non sarebbe meglio tagliare quella frase?

Il Radiocronista            - Ma no, al contrario. E' bellis­sima. Non abbiate nessun timore! E la più bella intervista che abbia fatto da anni. La più inattesa, la più sorprendente.

Bobosse                        - Se è così, tante grazie a voi.

Il Radiocronista            - Sono io che vi dico tante grazie. L'ufficio trasmissioni vi farà sapere la data e l'ora, così vi potrete ascoltare. E' andata bene, state tranquillo. Buonasera, signor Grénier, buonasera signorina, e al ristorante non chiedete un vermut... Oh, scusate: l'abitudine. (Esce).

Regina                           - Bobosse, tesoro mio... ma è una pazzia. Non sapevo che eri diventato pazzo. Ma da quan­do? Sei ancora caduto? Hai picchiato ancora la testa?

Bobosse                        - Il microfono mi ha ispirato. Anzi no, il microfono mi è servito soltanto per farti cono­scere questa grande decisione, dal momento che l'avevo già presa stamane. Fra poco avremo la visita dei nostri invitati, Edgardo e Girolamo, che arri­veranno carichi di vettovaglie per celebrare le nostre nozze. Ho pensato che sarebbe stato più bello po­sporre l'ordine normale delle cerimonie. Si inco­mincia col ricevimento degli amici, continueremo con una folle notte d'amore, e subito domani ci occuperemo delle pubblicazioni. Non va bene?

Regina                           - Bobosse, sii serio per un momento.

Bobosse                        - Ma lo sono. Trasformo un legame col­pevole qual è il nostro, in un'unione legale e mi appresto ad avere tanti piccoli Bobosse. Sono felice, sono giubilante, sono confuso d'etere radiofonico, prendo fra le mani la tua testa e ti bacio        - (eseguisce) senza che tu abbia potuto pronunciare una parola, una piccola o una grande parola, una di quelle parole profonde e originali di cui tu sola hai il segreto e di cui hai dato poco fa un esempio prezioso al microfono: «Buongiorno!». Ed era mera­viglioso perché lo dicevi al mondo intero entrando a casa mia, mentre a me non hai detto nulla. Buongiorno, Regina. Buongiorno, moglie mia. Buon­giorno, cari ascoltatori. Oh, scusa.

Regina                           - Senti.

Bobosse                        - Prima dimmi buongiorno.

Regina                           - (con un piccolo bacio) Buonasera.

Bobosse                        - E' giusto, buonasera. E adesso hai la parola.

Regina                           - Vorrei che fossi tu ad averla ancora per spiegarmi che ti sta accadendo e per mettere in chiaro questa faccenda del matrimonio.

Bobosse                        - Sei andata al cinema, oggi?

Regina                           - No, perché? Ho preso il tè con una amica.

Bobosse                        - Sei stata dal parrucchiere?

Regina                           - Nemmeno. Siamo state in giro per delle compere.

Bobosse                        - Hai trovato un regalo di nozze per me?

Regina                           - Ti vuoi spiegare, sì o no?

Bobosse                        - E va bene! Ecco qua, amore. Consi­derando che la nostra unione da due anni presenta tutte le caratteristiche della reciproca attrazione, della tacita intesa, della spontanea comprensione, considerando che tutti i tuoi colpi di testa - i tuoi, non è vero? - sono stati nient'altro che gli sfoghi di una natura piena di entusiasmo e troppo facilmente infiammabile, considerando infine che il fatto di alloggiare presso una madre e non presso un marito, favorisce stranamente i pericoli corsi dalla tua amabile persona, e questo per l'estrema cecità di tua madre e in perfetta antitesi con la estrema chiaroveggenza di colui che sarà il tuo sposo... (Squillo del telefono) Scusa un momento. Pronto. Sì, sono io. Buongiorno, Cecilia. Sì, Re­gina è qui con me... No, non è stanca. Perché do­vrebbe esserlo? Se fosse stata in giro a far com­pere tutto il pomeriggio sarebbe davvero stanca. Ma invece no, oggi è stata sempre seduta. Sì, guar­da un po', mi dice sempre tutto... alle due ha fatto un salto dal parrucchiere e dopo è andata al cinema, così dalle due alle tre è stata seduta in una pol­trona e dalle tre alle cinque in un'altra. Un bel film? « Ladri di biciclette », non mi ha ancora detto com'era. Non ha osato parlarmene perché avevamo deciso di andarci insieme. Ma non ha potuto aspettare. Moriva dalla voglia di vedere quel film. Sì, te la passo, eccola. E' per te, tesoro.

Regina                           - Pronto? Sì. Buongiorno. Eh sì... te l'ha detto Bobosse... Sì, è un film straordinario. Bisogna assolutamente vederlo. Ci ritornerò con' lui, che non l'ha visto ancora. Volevo sapere se gli sarebbe piaciuto... Dal parrucchiere? Oh no. Un'ora, un'ora soltanto, dalle due alle tre. Un po' di messa in piega. Per questa sera naturalmente... Sì... Ma no! Fa finta di non capire. Sai cosa mi ha annunciato quando sono arrivata? Che ci saremmo sposati! E che avremmo cenato stasera con Edgardo e Giro­lamo per festeggiare il nostro matrimonio, quando lui sa benissimo, invece, che stasera ho un appun­tamento! Sarà un matrimonio senza la sposa, che ci vuoi fare! Certo che sono desolata, tanto più che finora non s'era mai' pensato di sposarci... Capirai quando s'è picchiata la testa da piccoli... Per do­mani?... Ma sì, d'accordo. Benissimo. Arrivederci. (Riattacca il ricevitore).

Bobosse                        - (avvicinandosi a Regina, e rivolto al tele­fono) Considerando, infine, che un diavoletto ti spinge a dire sempre il contrario di quello che fai o di quello che pensi di fare, e considerando parallelamente che un meraviglioso istinto mi porta con infallibilità a scoprire il vero sotto le tue bugie, considerando che la felicità di due persone viene ad essere esattamente condizionata da questa cer­tezza dell'uno di poter ingannare l'altro e da una uguale certezza dell'altro di non farsi ingannare, ho l'onore di chiedere la tua mano. (Prendendo­gliela) Non cercarla, ce l'ho già.

Regina                           - Sei insopportabile. Chi ti ha detto che ero andata al cinematografo?

Bobosse                        - Hai gli occhi rossi ogni volta che stai due ore davanti allo schermo. Invece mai quando vai in giro a far compere.

Regina                           - Ho gli occhi rossi? E come hai indovi­nato che sono stata dal parrucchiere?

Bobosse                        - Dai tuoi capelli.

Regina                           - Ma sono sempre ben pettinata.

Bobosse                        - Non per me.

Regina                           - Senti, Bobosse, è vera quella storia della cena con Edgardo?

Bobosse                        - Quanto c'è di più vero.

Regina                           - Perché l'hai fatto?

Bobosse                        - Perché ti sposo.

Regina                           - Non dire sciocchezze.

Bobosse                        - Non ne dico.

Regina                           - Non potevi scegliere un altro giorno?

Bobosse                        - Per sposarti?

Regina                           - Per la cena. Stasera non sono libera.

Bobosse                        - Non sei più libera, vuoi dire.

Regina                           - Come?

Bobosse                        - Non sei più libera perché ti sposi. Devi ammettere che è una buona ragione.

Regina                           - Ma no, finiscila di scherzare. Non posso davvero.

Bobosse                        - Ma se mi hai detto che quel tuo ap­puntamento è una seccatura!

Regina                           - E' infatti una seccatura, ma sono co­stretta ad andarci ugualmente.

Bobosse                        - Così dovrò celebrare il nostro matri­monio senza di te? E' la mia festa oggi, e avevo scelto apposta questo giorno.

Regina                           - La tua festa? Dio mio, è vero.

Bobosse                        - Vedi, l'avevi dimenticato. Se ci spo­sassimo oggi, te ne ricorderesti per sempre.

Regina                           - Avresti potuto scegliere il giorno della mia, allora.

Bobosse                        - E' fra sei mesi.

Regina                           - Aspettiamo.

Bobosse                        - Rimani?

Regina                           - Impossibile.

Bobosse                        - Ma tornerai stasera, vero?

Regina                           - Sì.

Bobosse                        - A che ora?

Regina                           - Al più tardi alle due.

Bobosse                        - Per essere una seccatura, è proprio una bella seccatura.

Regina                           - Ho paura di sì.

Bobosse                        - Ne hai una tremenda paura!

Regina                           - Perché dici questo?

Bobosse                        - Perché ti voglio bene.

Regina                           - E' un mistero?

Bobosse                        - No, è un po' di poesia. (Bussano alla porta) Bussano, scusa. (Esce e ritorna con un maz­zo Ai fiori) Era il fioraio. M'ha detto che questi fiori sono per te. Io lo sapevo.

Regina                           - Ah, sì? Sei tu che me li offri?

Bobosse                        - Nel giorno del proprio matrimonio si possono anche offrire dei fiori alla sposa senza troppa sorpresa.

Regina                           - Sono bellissimi.

Bobosse                        - E si può anche offrire, in ricordo di questo giorno memorabile... (Fa per darle una pic­cola scatola) Non è un regalo; è un ricordo. Non ti sbagliare.

Regina                           - No, Bobosse, non voglio.

Bobosse                        - Ti piacerà, apri l'astuccio.

Regina                           - No, sei pazzo e cominci a diventare noioso con questa storia di matrimonio. Adesso ba­sta sul serio.

Bobosse                        - Non vuoi il mio ricordo?

Regina                           - Bobosse, ti amo troppo. Non lo voglio.

Bobosse                        - Rifiuti un mio ricordino di nozze perché mi ami troppo?

Regina                           - Non oggi.

Bobosse                        - Perché?

Regina                           - Perché non ci sarò.

Bobosse                        - Ma se tornerai alle due.

Regina                           - Bene, me lo darai alle due.

Bobosse                        - Può darsi. Ma se nel frattempo cono­scerò una donna straordinaria, se m'innamorerò di lei a prima vista, se mi verrà la voglia di offrirle questo regalo e se deciderò di sposarla al tuo posto, quando tornerai...

Regina                           - Metterai un avviso sulla porta: « Chiu­so per matrimonio». Io capirò.

Bobosse                        - Giustissimo.

Regina                           - E ritornerò da mia madre piangendo sulle illusioni perdute.

Bobosse                        - Ascolta... E' proprio meraviglioso. Si fa l'abitudine a vivere, e non ci si accorge più di nulla. Ma pensaci un momento, ti prego. Io sto qua, io, Bobosse, proprio io, e posso sposarmi.

Regina                           - Come?

Bobosse                        - Non capisci quello che voglio dire? Posso, è in mio potere: non è vero? Posso sposarmi. Dipende da me, dalla mia volontà, di dire: « io mi sposo», come se dicessi: «vado a far bollire l'acqua». E questo significa associare a me, alla mia vita, al mio lavoro, alle ore della mia giornata e della notte, la signorina tal dei tali. Vedi? E' come per ogni altra cosa: si fa l'abitudine alle parole. Consonanti, vocali ascoltate e dette mille volte. Non ce ne rendiamo più conto, non si capisce più... « Io mi sposo, tu ti sposi »... Sì, certo, tutti si sposano, ma ciò non ha « senso », non « signi­fica» nulla. Io, per esempio, quando disegno non sono il padrone assoluto del mio atto. Sono trascinato dalla mia mano, che a sua volta è trascinata dalla matita, ecc. Esiste quindi un complesso che diremo « Bobosse al lavoro», mentre se mi sposo non esiste un complesso che possa chiamarsi « Bobosse al matri­monio». Non sono affatto trascinato da elementi più o meno irresponsabili... sono completamente io, lo faccio di mia spontanea volontà, mi capisci? Sono il re che si sposa... II re che sposa Regina. Non so se mi hai capito bene...

Regina                           - Bobosse, perché vuoi farmi tanto rim­piangere di andar via?

Bobosse                        - Perché non te ne vada.

Regina                           - Perché sei sempre tanto caro con me? Perché sei adorabile?

Bobosse                        - Perché tu sia felice di essere mia mo­glie. Sulla mia tavola da disegno metteremo prov­viste e bottiglie e mangeremo qui, eh, che ne dici? Qui al centro. (Indica un tavolo basso accanto al divano) Tu ed io di fronte, Edgardo e Girolamo, i nostri testimoni, ai due lati.

Regina                           - Non hai invitato lo zio Emilio?

Bobosse                        - Lo zio Emilio? Non lo si invita mai, lo zio Emilio. Si invita da sé. Non parlare di lui. sarebbe capace di venire e se venisse sai bene perché lo farebbe. L'arrivo dello zio Emilio è sempre sinonimo di catastrofe. Ogni volta che viene è sfigurato: o gli hanno appena rubato il portafogli, o lo hanno sfrattato e i mobili sono già sulla strada, oppure ha perso il treno per Marsiglia. Qualunque cosa avvenga, la catastrofe porta sempre lo stesso effetto: lo zio Emilio mi scrocca qualche migliaio di franchi. L'indomani tutto ritorna sereno, natu­ralmente, tutto s'accomoda, ma intanto è necessario arginare la catastrofe. (Suonano) Eccolo qua!

Regina                           - Lo zio Emilio?

Bobosse                        - No, Edgardo. (Bobosse esce e rientra subito con Edgardo, che è carico di pacchetti) Ecco come si comportano i veri amici.

Edgardo                        - Ce n'è altrettanti nel taxi.

Regina                           - No? Vacci tu, presto, Bobosse. Il po­vero Edgardo non ne può più.

Bobosse                        - Subito.

Edgardo                        - Ah, senti. Ti segnalo subito una cosa importante. Ho incontrato stamane un tale della radio. Riceverai la sua visita per un'intervista.

Bobosse                        - Arrivi sempre primo, Edgardo. Gra­zie lo stesso. Se ne è andato poco fa.

Edgardo                        - Ah, bene.

Bobosse                        - Spero che venga il giorno in cui mi annunzierai una notizia che non conosca già.

Edgardo                        - A proposito, di' un po', siccome avevo le mani impicciate, non ho potuto metterle in tasca.

Bobosse                        - Per che fare?

Edgardo                        - Per pagare il taxi.

Bobosse                        - Sei impagabile. [Esce ridendo).

Edgardo                        - Buon giorno, Regina. Allora tanti au­guri e felicitazioni! Baciamoci!

Regina                           - Edgardo, metti giù quella roba e ascol­tami bene.

Edgardo                        - Che c'è?

Regina                           - Edgardo, succede una cosa spaventosa.

Edgardo                        - Ah, sì?

Regina                           - Bobosse è impazzito.

Edgardo                        - Da quando?

Regina                           - Ti ha già parlato del nostro matrimonio?

Edgardo                        - Mi ha telefonato stamattina dicendo­mi di venire stasera, con Girolamo, per celebrare degnamente questo evento.

Regina                           - Edgardo, questo matrimonio non si farà.

Edgardo                        - Non eravate d'accordo?

Regina                           - Me lo ha fatto sapere al microfono.

Edgardo                        - Non capisco cosa c'entri il microfono.

Regina                           - Non fa niente. Edgardo, abbiamo solo pochi minuti. Comprendimi bene e prometti di aiutarmi.

Edgardo                        - Ti ascolto.

Regina                           - Da ieri pomeriggio sono pazza.

Edgardo                        - Un momento. Andiamo con ordine: Tu o Bobosse?

Regina                           - Io.

Edgardo                        - Tutti e due allora?

Regina                           - Sono pazza, non so più che cosa fac­cio, né quello che dico. Ho incontrato a casa di amici un ragazzo che devo rivedere tra poco a un ricevimento. Sai che cosa è un « coup de foudre »? Da ieri non aspetto più che questa sera. Mi sono cacciata in un cinema per tutto il pomeriggio per non andar in giro in città come una trottola, e da come andranno le cose stasera dipende quel che farò. Tutto può capitare. Domani, forse, non sarò più l'amante di Bobosse, domani forse partirò per la Cina, se quel ragazzo mi chiederà di accompa­gnarlo in Cina. Allora, ecco qua: ho detto a Bo­bosse che non potevo cenare con voi e che sarei tornata verso le due del mattino... Ma non tor­nerò alle due del mattino, Edgardo, forse non tor­nerò mai più. Conto su di te per spiegare questo a Bobosse...

Edgardo                        - Allora la pazza sei soltanto tu.

Regina                           - Appunto. Mentre tu non lo sei affatto. Te la caverai molto meglio di me. Sarà un colpo terribile per Bobosse. Soprattutto non lasciarlo solo con armi da fuoco. Zitto ora. E' qui. (Bo­bosse rientra a mani vuote).

Bobosse                        - Non c'era più nessun pacchetto, Edgardo!

Edgardo                        - Ah, no? Oh, guarda che strano. M'era parso, si vede... Ma hai guardato bene negli angoli? Già... Scusami tanto... ti ho fatto scendere per niente...

Bobosse                        - Per niente, no. C'era l'autista che aspettava. Ma mi dirai anche quanto ti devo per tutta questa roba, vero?

Edgardo                        - Ho la lista esatta.

Bobosse                        - Sei stato proprio gentile di incari­carti delle spese!

Edgardo                        - Oh, sai, non c'è nulla di più pia­cevole che far piacere a qualcuno.

Bobosse                        - Non dirlo troppo forte davanti a Re­gina, altrimenti ti mette subito alla prova.

Regina                           - Io? Ma niente affatto. D'altronde devo andare.

Edgardo                        - Diggià? Te ne vai?

Regina                           - E' uno stupido contrattempo, non ob­bligatemi a darvi ancora delle spiegazioni. Devo proprio andare.

Bobosse                        - Ha una seccatura, che vuoi.

Regina                           - C'è poco da prendermi in giro, sai.

Bobosse                        - E non hai nemmeno un po' di tempo per preparare la cena con noi?

Regina                           - Devo passare a casa a cambiarmi.

Bobosse                        - Non aspetti Girolamo?

Edgardo                        - Girolamo non può venire.

Bobosse                        - No? Girolamo non viene?

Edgardo                        - Non ti ha telefonato? Gli è stato im­possibile liberarsi stasera; aveva il famoso ballo in costume e così ho invitato Anna Maria. Pio pensato che sarebbe andata bene: due uomini e due donne. Era sola stasera.

Bobosse                        - Anna Maria? La poetessa? Cara Anna Maria. Sarà lei la sposa stasera, Regina. La faremo sedere fra noi due al tuo posto e le faremo dire delle frasi delicate, piene di pudore, sul suo fu­turo ruolo di sposa. E, al dolce, declamerà dei suoi versi.

Regina                           - Vuoi che diventi più triste di quello che non sia già? Questa cenetta sarà così carina...

Bobosse                        - Non bisogna mai esitare fra una sec­catura e una cenetta deliziosa. Bisogna sempre scegliere la seccatura.

Regina                           - E' felice Bobosse! E' fuori di sé dalla gioia di prendermi in giro a suo agio. E ne ap­profitta perché sa di essere gentile e che gli si perdona sempre tutto. Be', me ne vado. Arrivederci.

Bobosse                        - Sembra una tragedia greca, Edgardo: mia moglie, nel momento delle nozze, è strappata a suo marito da un dovere di stato. Ella parte, attraverserà i mari e intanto chiude gli occhi per non dover piangere. (Regina gli dà la mano) Ella non osa nemmeno baciarmi, tanto è emozionata. Mi tende solo la mano. Arrivederci, sposa mia, addio, carezza di sguardo e musica di parole, addio mani lievi, usignolo della mia gabbia. Sta' sana, non prendere freddo, ritorna la prossima primavera. (Bobosse l'ha accompagnata fino alla porta che Regina raggiunge indietreggiando con una mano tesa a lui) Ma ricorda che la prossima primavera è sta­notte. (Regina esce).

Edgardo                        - Ah!

Bobosse                        - Alle due del mattino sarà di ritorno.

Edgardo                        - Ma sì, certo.

Bobosse                        - Che ti prende? Lo dici in un modo!? Certo che alle due del mattino Regina sarà di ri­torno,

Edgardo                        - Non lo metto in dubbio.

Bobosse                        - La cena è tutta qui?

Edgardo                        - C'è uno sformato già cotto; basterà scaldarlo.

Bobosse                        - A meraviglia. Su, mettiamo la tavola. Non trovi che la vita è bella?

Edgardo                        - Bobosse...

Bobosse                        - Che c'è?

Edgardo                        - Niente...

Bobosse                        - Ho capito, poverino; ti conosco! Pensi al regalo che vorresti farmi. Ti dici: Bobosse si sposa e non gli ho fatto il regalo. E' così, vero?

Edgardo                        - Ebbene...

Bobosse                        - Allora ti proibisco di dire ancora una parola. Chi è, di noi due quello che guadagna? Io. E perché? Perché i miei disegni si vendono. E perché i miei disegni si vendono? Perché ho qualche buon amico che mi fa bella la vita. Grazie ai miei amici sono felice quando lavoro e i miei di­segni riflettono questa felicità. E se adesso mi sposo sarò ancora più felice. E vorresti che ricevessi anche dei regali? Sono io che devo fartene, invece! E mi meraviglio di non averci pensato prima. Che cosa ti farebbe piacere per le mie nozze? Ma no, prendi, così è molto più semplice. Prendi qua, Ed­gardo, e comperati quello che ti piace. (Gli dà del denaro).

Edgardo                        - Ma sei pazzo?

Bobosse                        - Mi sposo sì o no?

Edgardo                        - Sì... se credi...

Bobosse                        - Come, se credo?! Allora non vuoi che io sia felice?

Edgardo                        - Dico che credo ai tuoi proponimenti e intanto ti ringrazio del regalo di nozze...

Bobosse                        - Sono proprio contento che ti sposi.

Edgardo                        - Ma cosa dici?

Bobosse                        - No, scusa. Vedi? Non si sa più ciò che succede. (Ricordando) Le bottiglie, debbo andare a ritirare le bottiglie dal vinaio. Me le ha messe da parte; non vorrei che chiudesse.

Edgardo                        - Se vuoi, ci vado io.

Bobosse                        - No, no, è una relazione personale. Il vinaio si offenderebbe. Sai com'è. (Suonano).

Edgardo                        - Anna Maria.

Bobosse                        - Meglio così. Avrai qualche minuto per spiegarle la sua parte di sposa. (Esce, ma ritorna con lo zio Emilio, di cinquantacinque anni, aspetto ma­landato, ridipinto. Poeta fallito) No! E' lo zio Emi­lio. Il mio amico Edgardo; mio zio Emilio. Vi la­scio per cinque minuti. Ritorno subito. (Esce).

Emilio                           - Siete un amico di Bobosse?

Edgardo                        - Siete suo zio?

Emilio                           - E' proprio ciò che ci ha fatto sapere l'uno dell'altro. Che caro ragazzo, vero?

Edgardo                        - Un vero amico!

Emilio                           - Un nipote adorabile. Povero figliuolo! Sta per avere un grosso dispiacere.

Edgardo                        - Ah, ne siete al corrente?

Emilio                           - Se ne sono al corrente! Ma voi come lo sapete? Bobosse ha già avuto sentore?

Edgardo                        - Non sa ancora niente; ero proprio io che avrei dovuto dirglielo!

Emilio                           - Voi? E da chi lo avete saputo?

Edgardo                        - Lo saputo da lei.

Emilio                           - Conoscete mia moglie?

Edgardo                        - No, signore.

Emilio                           - Ma se state dicendo che mia moglie vi ha messo al corrente della sua determinazione di andarsene...

Edgardo                        - Ma no, c'è un errore. Non ho il pia­cere di conoscere vostra moglie e alludevo a tutt'altra cosa.

Emilio                           - Non sposatevi mai. E' un'avventura molto rischiosa. Ritornando a casa a mezzogiorno ho trovato una lettera: «Parto per sempre». D'al­tronde non mi ha stupito: lo sapevo da diciassette anni, in virtù di questo oroscopo. (Estrae un foglio) Da diciassette anni questo foglio dice chiaramen­te che mia moglie sarebbe scappata. Non si sfug­ge alla propria sorte. Mentre lei non è fuggita sola...

Edgardo                        - Generalmente avviene così.

Emilio                           - E' fuggita con tutte le mie economie...

Edgardo                        - Sul serio?

Emilio                           - Esattamente. Non ho fiducia delle ban­che, ve lo confesso, e così conservavo a casa tutto il denaro di cui disponevo. Tutto! E lei ha portato via tutto.

Edgardo                        - Una grossa somma,?

Emilio                           - Che posso sapere? Mi ritrovo pulito, ecco. Nemmeno più un centesimo. E non posso denunciare mia moglie per furto. Anche se abban­donato da lei, non posso abbassarmi a denunciarla. Non ho più un soldo in cassa, giovanotto! E' duro alla mia età, credetemi, essere obbligato dalle cir­costanze a dire al proprio nipote: « Ragazzo mio, se non mi presti mille franchi, stasera non man­gerò»! E' duro. E' molto duro. Tanto più che vedo (fa cenno alla cena) non è una serata normale per lui. Quindi, è anche molto seccante.

Edgardo                        - Infatti, stasera non mi sembra molto indicata per metterlo al corrente... e se voleste scusarmi, se la cosa non vi offende, se lo permette­te, potrei io stesso rimediare con la piccola somma che momentaneamente vi abbisogna...

Emilio                           - Sono imbarazzato, naturalmente, ma poiché non c'è soluzione momentanea migliore della vostra gentile offerta, non so come ringraziarvi...

Edgardo                        - Non ringraziatemi affatto. Sono lieto di aver potuto con tanta semplicità risolvere una incresciosa e momentanea situazione... (Gli passa mille franchi che Emilio intasca rapidamente con ostentata disinvoltura).

Emilio                           - E allora dirò a Bobosse che ero passato soltanto per... avere sue notizie.

Edgardo                        - Sarà meglio, credo. Vedete questi pre­parativi? La cenetta è in onore del matrimonio di Bobosse.

Emilio                           - Che mi dite? Bobosse si sposa? Non me l'aveva fatto sapere. Vedete? Senza il vostro intervento sarei giunto in un ben cattivo momento. Sarebbe stato proprio di cattivo gusto.

Edgardo                        - Sì. Soltanto, ecco qua. Succede qual­cosa di molto seccante. Sua moglie non ci sarà.

Emilio                           - Non capisco...

Edgardo                        - E' strano, ma la faccenda è proprio così. Zitto, eccolo di ritorno. (Bobosse entra insieme ad Anna Maria).

Bobosse                        - Zio Emilio, la tua visita era inattesa, ma capita a proposito. Edgardo, gli hai certo detto del mio matrimonio? Uno dei nostri amici non viene più e se non ti formalizzi, puoi prendere tu il suo posto. Così non guastiamo la disposizione iniziale della nostra cena: Anna Maria ed io di fronte, Edgardo e tu dai due lati. Sei libero, vero, zio Emilio? Quindi d'accordo.

Emilio                           - Ragazzo mio, molto volentieri.

Bobosse                        - Ma non ti ho ancora presentato la « sposa »: Anna Maria.

Emilio                           - Tanto piacere, signorina... (Interdetto a Edgardo) Ma?...

Bobosse                        - Edgardo non te lo presento. Siete già dei vecchi amici.

Edgardo                        - Sì... sì...

Bobosse                        - Ebbene, zio! Non ci fai i rallegra­menti?

Emilio                           - Ma sì, ragazzo mio, ma certo! Io sono molto sorpreso, ma anche contento. La mia nipotina è proprio seducente. Ah, ragazzi miei, ili matrimonio! Scegliere quella che risponde in pieno ai nostri gusti, alle nostre aspirazioni; trovare una natura d'elezione che percepisca le minime riso­nanze della vostra sensibilità! Per un artista è la felicità. Voi sarete felici, uniti come le dita della mano, giovani, sani, belli! Viva il matrimonio, Bobosse, e viva la tua deliziosa mogliettina, che mi permetterà di darle un bacio. (La bacia. Bobosse ne approfitta per far cenno a Edgardo di non svelare nulla).

Bobosse                        - Se non fossi venuto spontaneamente, ci saresti mancato, zio Emilio! Ci voleva l'occasione per stare allegri.

Anna Maria                   - Allora, vado in cucina; portate i piatti da riscaldare.

Bobosse                        - Eccone uno. Zio Emilio, porta questo in cucina. (Emilio e Anna Maria vanno in cucina).

Edgardo                        - Sei pazzo? Gli avevo già detto che tua moglie non ci sarebbe stata, che avrebbe ce­nato altrove...

Bobosse                        - Avrà pensato che volevi scherzare.

Edgardo                        - Niente affatto. E poi perché vuoi fargli credere che sposi Anna Maria?

Bobosse                        - Sistemerò anche questa storia.

Emilio                           - (rientrando con dei piatti) Ecco i piatti.

Bobosse                        - Qui, sulla tavola.

Anna Maria                   - (dalla cucina) Edgardo le bottiglie! Bisogna metterle al fresco.

Edgardo                        - Le bottiglie? Eccole. Apri la porta. (Va in cucina).

Bobosse                        - Senti un po', zio. Ti ho lasciato solo per qualche minuto col mio amico. Non ti avrà! mica raccontato cose troppo allucinanti?

Emilio                           - Be'... sì, veramente...

Bobosse                        - Non bisogna prestargli ascolto. E' un po' picchiatello: di tanto in tanto dice quello che gli capita.

Emilio                           - Ah, è così? Adesso capisco. Mi ha raccontato che ti sposavi senza tua moglie. Una storia insensata.

Bobosse                        - Vedi? Mentre io e lei stavamo insieme.

Edgardo                        - (rientrando) La nuova padrona di casa fa chiedere al suo padrone e signore dove si trovano l'olio e il sale.

Bobosse                        - In cucina...

Edgardo                        - (trasmettendo) In cucina.

Voce di Anna Maria     - Ma guarda un po'...

Bobosse                        - Vado a sistemare anche questa fac­cenda. (Esce).

Edgardo                        - Voi certamente pensate che sono paz­zo, per avervi detto prima che la moglie di Bobosse non ci sarebbe stata...

Emilio                           - Non fa niente... non fa niente...

Edgardo                        - Ma sì, invece. Anna Maria non è sua moglie!

Emilio                           - Non fa niente, capisco benissimo come vanno queste cose: è chiaro.

Edgardo                        - Debbo precisare perché mi trovo in una situazione molto penosa e voi potreste, forse, aiutarmi. La ragazza che Bobosse doveva sposare, è andata via poco fa, dicendogli che sarebbe tor­nata stanotte verso le due. Ma a me ha detto che non tornerà più e mi ha incaricato di dirglielo. Capite?

Emilio                           - Sì, sì, perfettamente. Ma certo.

Edgardo                        - Non vorreste incaricarvi di questo pas­so così penoso? Nella personale situazione in cui vi trovate, vi riuscirà forse più facile far capire a Bobosse...

Emilio                           - Quale situazione?

Edgardo                        - Vostra moglie... fuggita...

Emilio                           - Ma sì... ma sì... evidentemente...

Edgardo                        - Allora, volete dirglielo voi?

Emilio                           - Ma è facilissimo.

Edgardo                        - Sono felice che accettiate. Per un amico è un compito troppo sgradevole, vero?

Emilio                           - Per uno zio, invece, è un piacere.

Edgardo                        - Vi confesso che non ho affatto appe­tito e che la sola idea di questa cenetta che Bobosse prepara con gioia, mi sconvolge. La situazione sarà atroce durante tutto il desinare.

Emilio                           - Senza dubbio, sì, sì... senza dubbio. Ma tutto andrà per il meglio, vedrete.

Edgardo                        - Zitto!

Bobosse                        - (entra) Edgardo, bisogna mettere i coperti.

Emilio                           - Già fatto.

Bobosse                        - Bravo. Ad ogni modo ti prego, zio Emilio, di Considerare questo. Guarda. (Fa la verti­cale. Edgardo ne approfitta per indicare Bobosse picchiandosi leggermente la testa con le dita per dire: «E' pazzo, lo vedete-») Che ne dici, eh?

Emilio                           - Ebbene... dico... dico...

Bobosse                        - Non dici niente? Resti di sasso? Sì. Ecco come siamo fatti noialtri! Voce di Anna Maria          - Sono pronta! Qualcuno mi aiuti! (Entra portando dei bicchieri).

Bobosse                        - I camerieri siamo noi! Vieni. (Trascina Edgardo nella cucina).

Anna Maria                   - Ecco. I piatti sono a posto.

Emilio                           - Mille scuse, signorina, ma avrei bisogno di sapere. Siete proprio la moglie di Bobosse?

 Anna Maria                  - Ma certo.

Emilio                           - Sul serio?

Anna Maria                   - Insomma: sì e no.

Emilio                           - Imbarazzante.

Anna Maria                   - No e sì. Sono la sposa, ma non sono sua moglie. Ma non dite che ve l'ho detto! Voce di

Bobosse                        - Anna Maria, qual è il primo piatto?

Voce di Edgardo          - C'è dell'acqua che bolle.

Anna Maria                   - Ma sì. Un minuto. (Va in cucina. Emilio, fuori di se, afferra il cappello e scappa. Bobosse, Anna Maria e Edgardo rientrano).

Tutti e tre insieme         - Dov'è?

Bobosse                        - E' fuggito?

Anna Maria                   - L'ho lasciato qui due secondi fa.

Bobosse                        - Con lui, inutile cercar di capire. Mai.

Edgardo                        - Perché volevi fargli credere che Anna Maria era tua moglie?

Bobosse                        - Quando vieni a trovarmi tu, Edgardo, so che mi annuncerai sempre una notizia che co­nosco già. Quando invece viene lo zio Emilio, so che lui mi annunzierà una catastrofe a causa della quale mi darà una stoccata di mille franchi. Lo fa regolarmente ogni quindici giorni circa.

Edgardo                        - Ah, sì?

Bobosse                        - Così stasera sono stato io che ho vo­luto divertirmi con lui. Ricevendolo fra noi per il mio matrimonio, sapevo che non avrebbe osato af­frontare la questione. Così gli ho tagliato l'erba sotto i piedi. Vedi bene che non ha insistito ed è scappato. Non lo interesso che nella misura della stoccata. Sarà andato a cercare un altro stupido.

Edgardo                        - No, l'aveva già trovato. Sono io.

Bobosse                        - Senti, senti, poetessa. Edgardo c'è ca­scato per mille franchi.

Edgardo                        - Quando m'hai lasciato solo con lui, mi ha detto che sua moglie era scappata stamane portando via tutte le sue economie.

Bobosse                        - La zia Giulia è paralitica, non cammi­na da anni. Ti ha detto che è scappata sulla pol­trona a rotelle?

Edgardo                        - E' proprio un bel tipo quel tuo zio.

Bobosse                        - E' un bel tipo. I mille franchi mettili sul conto della cena, intesi?

Edgardo                        - Ma che razza di zio, però.

Anna Maria                   - A tavola!

Bobosse                        - Così parlò la poetessa. (Avanzano verso la tavola dove è già Anna Maria) Tutto è pronto, salvo le bottiglie.

Anna Maria                   - Oh!

Bobosse                        - Vado io. (Va in cucina).

Edgardo                        - Anna Maria, è spaventoso.

Anna Maria                   - Cosa?

Edgardo                        - Regina se n'è andata per sempre.

Anna Maria                   - Come?

Edgardo                        - E m'ha incaricato di dire a Bobosse che non tornerà alle due questa notte, come gli aveva promesso.

Anna Maria                   - No? E perché?

Edgardo                        - E' innamorata.

Anna Maria                   - Ma che pazzia!

Edgardo                        - Come vuoi che glielo dica?

Anna Maria                   - Povero Bobosse!

Edgardo                        - L'aspetterà tutta la notte se non glielo dico. Forse a te sarebbe più facile... Voce di

Bobosse                        - Colpa del cavatappi! Un po' di pazienza, vengo subito.

Anna Maria                   - E come farai?

Edgardo                        - Se glielo dicessi per telefono?

Anna Maria                   - E come?

Edgardo                        - Scendo un momento, con una scusa qualsiasi e lo chiamo al telefono.

Anna Maria                   - E poi?

Edgardo                        - Al telefono sarà più facile. Glielo dirò e tu gli sarai vicina... perché così... non sarà solo... Potresti anche restare qui con lui... Una don­na in certi momenti... Voi donne sapete meglio di noi quel che bisogna fare...

Anna Maria                   - Dopo cena, allora...

Edgardo                        - Oh, sai... io ho più voglia di buttarmi a fiume che di vederlo scherzare...

Anna Maria                   - Zitto...

Bobosse                        - (entra con varie bottiglie) Ecco il suc­co del grappolo, sul quale al momento giusto la nostra poetessa farà dei versi... Ma le sarà forse difficile in quanto questo succo di grappolo è già di per sé un poema! La sposa è felice? Il testimone soddisfatto? Lo sposo è più contento che mai... attenzione, fotografia... sorridete! Fatto. (Iniziando un discorso) Mogliettina mia, caro Edgardo, mio caro Bobosse... Non è senza una dolce emozione che siamo tutti e tre riuniti qui, stasera. Regina - così graziosamente rappresentata fra noi - sa­rebbe la più felice di assistere a questa cenetta di nozze, se una imprevista seccatura, ma della più grande importanza, non la tenesse lontana. (Edgar­do si alza) Che cosa c'è? Non stai bene?

Edgardo                        - Scusami un momento... Ma credo che c'è un rubinetto aperto in cucina... (Va in cucina).

Bobosse                        - Finirà che resteremo noi due soli, ve­drai. Abbiamo degli strani invitati stasera, non trovi? Ti disturbava proprio molto un rubinetto aperto? Il testimonio è un personaggio veramente curioso. E il bello è che non tornerà, te l'assicuro.

Anna Maria                   - Cosa?

Bobosse                        - Se ne va via anche lui, proprio quan­do la sua presenza si faceva necessaria.

Anna Maria                   - Bobosse...

Bobosse                        - Te l'ha detto, vero?

Anna Maria                   - Cosa?

Bobosse                        - Che Regina non tornerà più.

Anna Maria                   - Ma...

Bobosse                        - Perché avrei d'un tratto deciso questa cena di nozze oggi? Perché Regina aveva una « sec­catura ». Quando Regina dice di avere una secca­tura, vuol dire che muore dalla voglia di andare in qualche posto. Dicendo di festeggiare il nostro matrimonio, Regina non poteva che disobbligarsi... salvo... che questa famosa «seccatura» non fosse qualcosa di appassionante. E doveva essere appas­sionante, poiché Regina ci ha lasciati. Regina non tornerà qui stasera, altrimenti non sarebbe andata via. Mi guardi con stupore, poetessa? E' un mio modo di fare il poeta: indovino. Il bernoccolo: « Bobosse » ! (Si tocca la testa. Telefono) E' Ed­gardo.

Anna Maria                   - Chi te l'ha detto?

Bobosse                        - Telefona per darmi una notizia che so già. E' una sua abitudine.

Anna Maria                   - Non rispondi?

Bobosse                        - Non credo. (Stacca il ricevitore e lo appoggia accanto al telefono. Poi va a sedersi vi­cino ad Anna Maria che non stacca gli occhi da lui. Le chiede gentilmente) Ti piacciono le fra­gole, Anna Maria?

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

La scena è la stessa del primo atto, ma mobili e atmosfera sono differenti, ha tavola da disegno e i cartoni sono spariti, ho spettatore ha di fronte la stessa scena, ma questa volta si tratta della real­tà, della vita invece che della fantasia. (Quando si alza il sipario la scena è vuota, poi dalla porta di destra entra Yvette, una ragazza giovane e gentile; ha in mano due lettere: una chiusa, l'al­tra la legge, ma è evidente che non lo fa per la prima volta. E' costernata).

Yvette                           - (guarda la stanza vuota e dice molto natu­ralmente) Accidenti, (ha ragazza sa che è inu­tile ciò che sta per fare, ma per sua maggiore si­curezza, sale in fretta la scala a sinistra, bussa alla porta in alto, non ha risposta, apre. Getta un'oc­chiata all'interno vuoto. Ridiscende, si ferma, ri­pete) Acci... (Poi guarda il telefono e ha un'idea. Compone un numero) Pronto? Sei tu? Sono arri­vata proprio adesso... No, non c'è ancora. Ti chiamo perché qui ne è capitata una forte! Sta' a sentire! Ritorno, vado in cucina a dare un'occhiata alla cena del padrone. Per essere gentile con lui e ringra­ziarlo di averci dato i posti stasera per andare a ve­dere «Bobosse», decido di aspettarlo per servirlo di persona, quando scorgo ben in vista sul frigori­fero, una busta: «Per Yvette». La scrittura della signora. Apro. Nell'interno c'era un'altra busta pie­gata in due con su scritto « Tony » e un foglio per me. Senti, senti: « Yvette - leggo - vi lascio una lettera per il signore. Sono due anni che siete al nostro servizio e devo dire che siete una brava figliola. Posso dunque mettervi al corrente dei fatti. Ho deciso di andarmene. Non ho voluto dirlo al signore, mi avrebbe dato troppo dolore ». E' tutto, ma mi sembra molto. Ascolta ancora: «Vi lascio questa lettera che darete al signore, ma siccome sarà per lui un colpo terribile, vi prego di scegliere un momento adatto. Non dategliela se è solo». E' chiaro che sarà solo. Con chi vuole che sia? Qual­che volta viene con degli amici per la cena... Ah, sì, ecco... « Se verrà con lui il signor Dupuis, date la lettera al signor Dupuis, spiegandogli le cose». Sai chi è il signor Dupuis? Quell'attore che face­va la parte di Edgardo. « Troverete qui anche un piccolo regalo per ringraziarvi di fare quanto vi chiedo». Capito? Che ne pensi? E intanto se il padrone torna solo, che gli dico? Rimarrò a guar­darlo come una scema, lui che è sempre così gentile e che, proprio stasera, ci aveva dato i biglietti per sentirlo recitare. Ah no, ti assicuro, non sono scher­zi da fare, vero? E allora, che faccio? Come?... Zitto, sta arrivando! (Yvette riaggancia in fretta, fila verso destra e sparisce. Qualche istante più tardi appare colui che il pubblico conosce per Bobosse, ma che nella vita si chiama Tony).

Tony                              - (entra e chiama) Minouche! Minouche. Non c'è? (Chiamando) Yvette! (Entra Yvette) Ah, ci siete?

Yvette                           - Sono appena tornata, signore.

Tony                              - La signora non c'è?

Yvette                           - Non ancora, signore. Ringrazio molto il signore per la bella serata che m'ha fatto passare.

Tony                              - Piaciuto « Bobosse »?

Yvette                           - Molto, signore. Posso proprio dire che ero fiera di essere la cameriera del signore, quando vedevo che tutto il teatro applaudiva il signore. E poi il signore mi ha fatto ridere molto.

Tony                              - Meglio così, Yvette.

Yvette                           - E anche il mio amico; ha riso molto an­che lui. Ma ho anche avuto una strana sensazione: ogni volta che una porta si apriva, avevo l'impres­sione di entrare con un vassoio in mano.

Tony                              - E' stato il signor Giorgio, sapete? E' lui che ha fatto la scena, e si è divertito a riprodurre questo studio. Naturalmente per la scena c'è un po' di fantasia. Il negro, le gabbie...

Yvette                           - Ah, sì! Non credevo ai miei occhi! Quando poi il signore ha fatto la verticale davanti allo zio Emilio, allora sì, che ho riso! Lo zio Emilio non capisce più se il signore si sposa o no. Non capisce più niente lo zio Emilio!

Tony                              - Bene. Sono proprio contento che vi siate divertita, Yvette.

Yvette                           - Il signore è molto buono, e per quanto il signore lo sappia già, non posso fare a meno di dire che il signore recita molto bene.

Tony                              - Grazie, Yvette.

Yvette                           - E la signorina Simona, che recita la parte di Regina, come è carina eh? Non c'è che dire, è proprio carina.

Tony                              - Fra poco la rivedrete, Yvette. Viene a mangiare qualche cosa con Edgardo e Anna Ma­ria, che sarebbe come dire col signor Dupuis e la signorina Bremont.

Yvette                           - Ah, sì?

Tony                              - Sì. Abitano tutti da queste parti, e sta­sera ci siamo ricordati che è la mia festa.

Yvette                           - Oh! (Voi, rattristata) Oh!

Tony                              - Perché? Vi rattrista?

Yvette                           - Ma signore...

Tony                              - Il vostro amico si chiama come me, e avete dimenticato che era anche la sua festa? Scommetto che è così.

Yvette                           - Ecco, è così.

Tony                              - Bene, telefonategli, se volete.

Yvette                           - Oh, no signore. Non fa niente.

Tony                              - Come volete, Yvette.

Yvette                           - Allora tanti auguri, signore.

Tony                              - Grazie, Yvette. Ah, ecco... si è deciso di venire a mangiare qualcosa qui. Solo non sapevo se c'era abbastanza per tutti, così il signor Dupuis e Simona sono andati un momento a casa a pren­dere qualche supplemento'. Ci servirete voi, Yvette.

Yvette                           - Ma certo, signore.

Tony                              - La signora non tarderà molto, ormai.

Yvette                           - No certo, signore.

Tony                              - E poi ci divertiremo. Vedrete. Il signor Dupuis recita le parti da idiota sulla scena, ma nella vita è intelligente e molto divertente.

Yvette                           - Preparo la tavola. Quanti coperti, al­lora?

Tony                              - Ebbene... uno, due, tre, poi la signora e me, cinque.

Yvette                           - La signora e il signore: cinque. Bene, signore. (Suonano).

Tony                              - Eccoli qua. (Yvette esce. Ritorna molto in­quieta).

Yvette                           - Signore, è la guardia.

Tony                              - Quale guardia?

Yvette -                         - Una guardia che è già venuta nel po­meriggio.

Tony                              - A far che?

Yvette                           - Vuol parlare col signore. Gli ho detto che il signore era a teatro. Mi ha chiesto quando il signore sarebbe tornato a casa, stasera. Gli ho risposto verso mezzanotte e mezzo. Mi ha detto che sarebbe passato stasera.

Tony                              - Vediamo un po': fatelo entrare.

Yvette                           - (alla porta verso l'interno) Avanti, per favore. (Entra l'agente).

L'Agente                       - Il signor Tony Varlet, non è vero?

Tony                              - Sì. Venite per la storia della metropoli­tana? Potete apparecchiare, Yvette.

L’Agente                      - Vedo che siete al corrente.

Tony                              - Ma che volete che faccia, io?

L’Agente                      - Voglio che paghiate la multa di 1780 franchi e 75 centesimi, multa conseguente al pro­cesso verbale fatto dall'agente della Compagnia. E' il Commissariato che deve riscuotere la multa e voi avete, fino ad oggi, ricevuto ben tre convoca­zioni al Commissariato, alle quali vi siete ben guar­dato di dar seguito. Allora, siccome mia moglie è portinaia del palazzo qui accanto, cioè sono portie­re-consorte, ho pensato di venire di persona sta­sera. So che siete un artista, mia moglie m'ha detto: «Arrangiati direttamente con lui». Vi ha visto al cinema e ha un debole per voi.

Tony                              - Mi dispiace che vi siate disturbato, signor agente, e la vostra signora è molto gentile. Volete dirmi, ve ne prego, perché debbo pagare una multa di 1780 franchi?

L’Agente                      - Per aver tirato il campanello d'al­larme e aver fatto fermare il convoglio.

Tony                              - Non sono stato io a tirare il campanello d'allarme. Mi sono trovato nella metropolitana schiacciato da una vecchia megera ridipinta e che mi soffocava con un ignobile profumo che respi­ravo nella sua stola di volpi spelacchiate. Una bel­la situazione. Avevo notato che questa specie di rudero si stringeva volentieri contro di me, ma natu­ralmente facevo finta di non capire; però ad un tratto ha spinto un po' troppo il suo corpo ed io, seccato, le ho schiacciato un piede con tutto il mio peso. La vecchia megera ha cacciato un urlo, gri­dando « sporcaccione » e tutto il vagone si è vol­tato dalla mia parte. Vicino al segnale d'allarme c'era un impulsivo. Che colpa ne ho?

L’Agente                      - Un... impulsivo?

Tony                              - Certo: un cretino che ha tirato il cam­panello d'allarme. Perché poi?!

L’Agente                      - L'impulsivo non è indicato nel ver­bale; il verbale è intestato al vostro nome; il vostro nome è quello del colpevole: occorre pagare 1780 e 75.

Tony                              - E' ingiusto: io ho avuto una giusta ra­gione. Voi non avete delle ragioni? Se, tornando a casa stasera, veniste a sapere che vostra moglie vi ha piantato, che fareste?

L’Agente                      - La ucciderei.

Tony                              - Ma se vi avesse piantato, non la trove­reste e non la uccidereste.

L’Agente                      - No, ma la inseguirei e quando li avessi trovati, li ucciderei tutti e due.

Tony                              - E verreste processato in Corte d'Assise.

L’Agente                      - Ma li avrei uccisi.

Tony                              - E' proprio ciò che dico io. Ve ne infischiereste del risultato. Reagireste! Io sono come voi. Ed ecco 1780 franchi e 75 centesimi e non se ne parli più.

L’Agente                      - Molto bene, signor Varlet, se per una sera qualunque, aveste due posti per venirvi ad ap­plaudire in « Bobosse » io e mia moglie, che vi am­mira tanto...

Tony                              - Sarà fatto. (L'agente esce accompagnato § da Tony. Durante tutta la scena Yvette ha apparecchiato su un tavolinetto a destra. Tony rientra con Edgardo e Anna Maria che intanto sono giunti e che nella vita si chiamano Leone e Gilberta).

Gilberta                         - La porta s'apre e all'una di notte ci si trova di fronte una guardia. Che paura!

Leone                            - Non ha la coscienza tranquilla: ha fatto a pezzi i principali membri della sua famiglia e da sei mesi li tiene nascosti in un armadio. (A Yvette) Buonasera, signorina.

Yvette                           - Buonasera, signor Dupuis.

Leone                            - Ecco le vettovaglie. (Le dà a Yvette, A Tony) Allora, che voleva la guardia?

Tony                              - Una multa di 1780 franchi per la storia della metropolitana. Bella storia!

Leone                            - Non avrai mica pagato, spero?

Tony                              - Ci mancherebbe altro! Mi conosci bene, no? (Suonano) Ecco Minouche.

Gilberta                         - Tua moglie non è tornata?

Tony                              - Sta arrivando.

Leone                            - Le diremo che suo marito è un tipo rude e gagliardo. (La porta s'apre. Leone grida) E' vero? E' vero che è un tipo rude e gagliardo? (Entra invece quella che il pubblico conosce col nome di Regina e che nella vita si chiama Simona).

Simona                          - E chi è il tipo rude e gagliardo?

Gilberta                         - Bobosse.

Tony                              - Non voglio essere chiamato Bobosse!

Simona                          - D'accordo. Ecco le sardine; questo è prosciutto e questa una bottiglia.

Tony                              - Hai portato tutta la dispensa? Prendete, Yvette.

Simona                          - Ogni volta che vengo qui da te, ho un colpo al cuore.

Gilberta                         - Anch'io. Cerco il negro e la buca del suggeritore. Non ti sbagli mai, Tony? Sei sicuro di essere a casa tua e non a teatro?

Tony                              - Ho un mio sistema: mi guardo intorno: se vedo il negro e la tavola da disegno, sto retitando; se non ci sono, sono in casa.

Gilberta                         - Allora, qui sei a casa?

Tony                              - Hai capito perfettamente.

Simona                          - Che vuoi che ti dica, Tony. Ora che hanno riprodotto questo studio per il teatro, io, al tuo posto, farei rifare qui l'arredamento della scena.

Tony                              - E perché?

Simona                          - Non so. Lo trovo più riuscito.

Leone                            - Il teatro abbellisce tutto, mia cara, è risaputo.

Gilberta                         - Ecco cosa bisognava dire. Bravo Leone.

Simona                          - E Minouche?

Tony                              - La stiamo aspettando.

Simona                          - Non c'è? E' così che ti vizia il giorno della tua festa?

Tony                              - Che ora fate?

Gilberta                         - Meno dieci.

Simona                          - Meno un quarto.

Leone                            - Meno venti.

Tony                              - Così lo sappiamo di preciso. Io faccio l'una. Le concediamo cinque minuti. Se all'una e cinque non è ancora arrivata, ci mettiamo a man­giare.

Leone                            - Io faccio Luna meno venti. Se aspetto fino all'una e cinque, saranno venticinque minuti.

Simona                          - Se il padrone di casa lo permette, darei volentieri un'occhiata alle mie fattezze.

Leone                            - Brava. Quello che ci voleva. Mi sento caldo al cuore.

Gilberta                         - Vengo con te, per approfittare del fatto che Leone ha il cuore caldo. Vengo a farmi bella anch'io.

Leone                            - Io non mi muovo. Sono abbastanza bello così. (Simona e Gilberta salgono la scala. Suonano).

Tony                              - Ah, finalmente! E' lei! (Va ad aprire. Subito Yvette che veniva per aprire, si avvicina con le due lettere).

Yvette                           - Signor Dupuis, leggete, presto!

Leone                            - Cosa? Che diavolo è?

Yvette                           - Leggete, presto!

Leone                            - Devo leggere?

Yvette                           - E' una lettera che la signora mi ha la­sciata per il signore.

Leone                            - Per me?

Yvette                           - No, per il signore. Leggete questa che ha scritto a me. Capirete.

Leone                            - (legge) Siamo a terra.

Yvette                           - Completamente. Ecco la busta, signor Dupuis. E' una fortuna che siate venuto. (Yvette scompare).

Tony                              - (entrando con del denaro in mano) Di' un po' puoi cambiare mille? Stai leggendo delle lettere d'amore?

Leone                            - Cosa? Mille franchi? E' lo zio Emilio?

Tony                              - Il portiere che mi porta un pacco. E' un tipo! Generalmente russa dalle nove di sera in poi. Col pretesto però che oggi era di riposo - ma che hanno tutti proprio oggi? - mi porta un pacco all'una del mattino, pretendendo che è per farmi piacere.

Leone                            - Ecco qui... otto, nove e mille. Va bene?

Tony                              - Grazie. Ehi, non prendi il biglietto?

Leone                            - Ah, sì, grazie. (Tony esce. Simona ap­pare sulla scala).

Simona                          - Eccomi. Niente Minouche all'orizzonte? Non avevano suonato?

Leone                            - Zitta. Vieni a vedere.

Simona                          - Che c'è?

Leone                            - Leggi qua. (Simona legge esterrefatta) Cosa?

Simona                          - Niente. E' terribile.

Leone                            - Che si fa?

Simona                          - Non so, bisogna metterlo al corrente.

Leone                            - Comodo!

Simona                          - E' una fortuna che siamo qui noi, in­vece. Non lo verrà a sapere d'un tratto.

Leone                            - Te ne incarichi tu?

Simona                          - Anche tu. Glielo diremo a poco a poco.

Leone                            - Proprio il giorno della sua festa. E' una brutta storia. Farà una pazzia. Intanto non una parola a Gilberta, sennò dirà spropositi tutta la sera. Voce di

Tony                              - Vi annuncio con discrezione che sto arrivando. (Simona prende le due lettere in fret­ta e le mette in tasca. Gilberta appare sulla scala).

Tony                              - (entrando) Un pacco di fragole! Che bellezza. Sono della zia che sta in campagna. Leone         - (lugubre) Berremo alla sua salute.

Tony                              - Prendetele, Yvette. E ora vi annuncio che non aspettiamo più Minouche. Ho fame, e ci mettiamo a tavola.

Gilberta                         - D'accordo. A tavola.

Tony                              - Se telefonassi a sua sorella?

Leone                            - (con intenzione) Oh, le sorelle... sai...

Tony                              - Perché?

Leone                            - (c.s.) Per niente, ma sai, le sorelle!

Gilberta                         - Sarà stata trattenuta dalle persone che l'hanno invitata. Non sapeva mica che avremmo cenato qui perché lo abbiamo deciso a teatro, no?

Simona                          - Per me, Tony, questa faccenda è chiara: Minouche t'ha piantato; ti ha fatto lo scherzo che in scena ti faccio io al primo atto.

Leone                            - Ah, che immaginazione; solo un'attrice avrebbe potuto dire una cosa simile.

Tony                              - La faccenda è sistemata; non se ne parli più. Yvette, potete servire. Ci mettiamo a tavola, così sarà una sorpresa di più per la signora. Non avrà da far altro che sedersi, al suo ritorno. (A Sì-mona) Tu qui, alla mia destra. Leone vicino a Simona e Gilberta alla mia sinistra.

Gilberta                         - Dalla parte del cuore!

Tony                              - Minouche si metterà di fronte. Ti piac­ciono le fragole, Anna Maria?

Gilberta                         - Cala la tela.

Simona                          - Cosa?

Gilberta                         - «Ti piacciono le fragole, Anna Ma­ria? ». Cala la tela. Fine del primo atto.

Leone                            - Il pubblico esce per sgranchirsi le gambe e per scommettere se Bobosse passerà o non passerà la notte con Anna Maria.

Gilberta                         - Io sono una poetessa.

Leone                            - Se passerai la notte con Bobosse, poetes­sa o no...

Gilbebta                        - No, con Bobosse.

Tony                              - Perché no, con Bobosse?

Gilberta                         - Perché Bobosse è infelice.

Tony                              - Questo non puoi saperlo.

Gilberta                         - Come non posso saperlo?

Tony                              - No, non puoi saperlo! Prende un atteg­giamento misterioso e nello stesso tempo sicuro di sé. Stacca il telefono e ti chiede, per amore o per forza, se ti piacciono le fragole! Puoi sapere se è infelice, tu? Io, no. Io non so niente di niente. E vuoi la mia opinione? Anche il caio autore, alla fine del primo atto, non ne sa niente di niente.

Leone                            - Si è parlato di questo cento volte. E' strano, ma appena quattro attori stanno insieme, bisogna che parlino di teatro. Abbiamo finito poco fa di recitare e per giunta volete, non che si parli genericamente come ogni buon comico di teatro, ma che si riparli proprio della commedia che reci­tiamo. Ah, no!

Simona                          - E perché no? A me personalmente il caso di Bobosse interessa.

Tony                              - Grazie. Vedi? Le donne sono dalla mia parte: mi trovano interessante.

Leone                            - Non te: Bobosse.

Simona                          - E' la stessa cosa.

Tony                              - (seccato) Ah no! No, no... Se la pensi così, Simona, ti fermo subito. Non c'è niente di comune fra Bobosse e me. Su questo tengo molto a mettere i puntini sugli i. Non c'è niente di co­mune perché, secondo me - e lo posso dire aper­tamente dal momento che il caro autore non è presente - secondo me Bobosse non è interessante.

Simona                          - E tu, lo sei?

Tony                              - L'hai detto. Bobosse non è interessante perché non ha niente dentro. Capisci? Non è un personaggio vero, Bobosse. E' un personaggio con­cepito a priori, fabbricato. L'autore ha avuto l'idea di un personaggio, una ragazzo caduto da piccolo battendo la testa; ogni volta che Bobosse si mette il dito sul bernoccolo, vuol dire « eureka »: ho trovato. In altre parole: è un tipo «caduto da pic­colo», sciocco, ma che però capisce tutto.

Leone                            - Meno male. Ora ci racconta la commedia.

Tony                              - In quel momento, il personaggio ha una struttura, sta, come suol dirsi, in piedi. Capisce le cose senza che il pubblico lo sappia e il pub­blico stesso capisce dopo che Bobosse aveva sempre capito tutto prima. D'accordo, ciò produce un ef­fetto a sorpresa, è divertente. Soltanto, non è « vero » e le reazioni dei personaggi, obbligate da un simile punto di partenza, sono reazioni false.

Leone                            - Perché?

Tony                              - Ma perché quando saprai, o meglio quando avrai capito da solo, che tua moglie ne ama un altro, non ti metterai con calma a rompere un uovo alla coque, chiedendo alla tua vicina se le piacciono le fragole.

Leone                            - Ah no? E che farai invece?

Tony                              - Un'accidenti, uno scandalo: rompi tutto, cacci via tutti, non so, ma non accetti la situazione restando con le braccia ciondoloni, ripetendo den­tro di te: «Ah, era risaputo... lo sapevo da un, pezzo. E' logico e d'altronde tornerà. Questo non! è « vero », assolutamente.

Gilberta                         - Ma intanto lei ritorna davvero.

Tony                              - E' proprio come dicevo, teatro e basta.; Tutto è preparato. Dal momento che Bobosse è uni tipo che capisce ogni cosa e che s'è messo in testa' che Regina tornerà, bisogna che Regina torni, sennò non funziona, non c'è più la commedia, non interessa più. E se non vi dispiace, vado a telefonare un momento a mia cognata, perché penso che sia veramente un po' troppo... (compone un numero)... quaranta nove... sì, insomma, strano. (Rea­zioni acute degli attori) Pronto? Sei tu Gina? Buona sera, Gina, sono io, Tony... sì... Non sai dovei Minouche? Già, non è ancora tornata a casa...! Mah, non so... (E mentre Tony ascolta, Leone farla a bassa voce a Simona).

Leone                            - Non possiamo dirglielo adesso!

Simona                          - Non vorrai mica che ce ne andiamo lasciandogli la lettera sul cuscino del letto!

Gilberta                         - Che state dicendo? Che letto?

Leone                            - Zitta tu! E' un letto che non ti riguarda..

Tony                              - (al telefono) Sì... doveva uscire con Re­nato, credo...

Simona                          - (forte) Eh, già... con Renato! Doveva finire così!

Tony                              - Oh! basta sai! La smetti? (Al telefono) No, non dico a te, Gina.

Leone                            - (a bassa voce) Stiamo per vivere un quarto d'ora spaventoso!

Gilberta                         - Di che quarto d'ora stai parlando?

Leone                            - Un'altra magnifica occasione perduta di star zitta.

Tony                              - Ebbene, grazie lo stesso. L'aspetterò. Buo­na notte. (Riattacca) Niente Minouche in vista. Simona         - (sarcastica) Farai uno scandalo, rom­perai ogni cosa, ci metterai alla porta.

Tony                              - Non metterò alla porta te: ti metterò nel mio letto.

Leone                            - Vedi com'è il grande attore? Non vuoi che Bobosse vada a letto con Anna Maria, ma tu lo faresti.

Simona                          - Lo faresti davvero?

Tony                              - Con te, certo, ma Bobosse no, mi capisci? Perché Bobosse non pensa che alla sua Regina, perché Bobosse non ha un solo secondo di reazione sufficientemente virile, e insomma, non sarà mai capace di consolarsi con un'altra. Vi dicevo che Bobosse è un personaggio fabbricato?

Simona                          - Io sostengo che recitiamo sulla scena, esattamente quelli che siamo.

Leone                            - Se permetti, io sostengo il contrario, dal momento che personalmente recito solo parti di idiota,

Simona                          - E con ciò?

Leone                            - Con ciò? Con ciò sostengo, se non vedi altri inconvenienti, che noi siamo sulla scena il contrario di quello che siamo nella vita. E se non sei d'accordo, esigo delle spiegazioni. Mi offendo. E poi, siccome anche Gilberta è offesa, ti pian­tiamo e ce ne andiamo, capito? E verremo a bere alla tua salute un altro giorno.

Gilberta                         - Ma io non mi sono offesa niente affatto. Perché sei in collera adesso, tesoro?

Tony                              - Ma insomma che cosa intendete dimo­strare?

Simona                          - Che non è giusto prendersela con Bo­bosse e dire che è un personaggio artificioso, proprio perché, guarda un po', tu sei Bobosse.

Tony                              - Io?

Simona                          - Sì. Sei gentile, poetico, hai una fran­chezza e una sincerità che sono quelle stesse di Bobosse. Qualunque cosa tu dica e faccia, hai i modi attraenti delle parti che reciti. Per quanto tu faccia, non potrai mai recitare la parte di un gangster, né di un uomo che picchia le donne. E non ti accorgi che sei tu stesso a darmi ragione, perché è oramai Luna e venticinque, Minouche non è ancora tornata e non dimostri di essere troppo in pensiero.

Tony                              - Ma sono invece in pensiero! Non vedi che non mangio?

Leone                            - Nemmeno noi...

Tony                              - Mi chiedo cosa sia successo.

Simona                          - Hai fatto tutte le ipotesi?

Tony                              - Sì.

Simona                          - Nondimeno non fai ancora uno scan­dalo. Non ci cacci ancora via.

Tony                              - No. Ma sento che sto per farlo.

Leone                            - Capito. Vieni con me, cara?

Simona                          - E' il momento di dirlo, Tony. Che cosa fai al secondo atto, tu che non sei Bobosse?

Tony                              - Al secondo atto?

Simona                          - Già. Ora noi ce ne andiamo, tu resti solo sapendo che tua moglie non tornerà. Che farai? E' il secondo atto.

Leone                            - (sui carboni ardenti) Scherzi a parte, Simona. E' tardi. Domani si fanno due recite. Non credi che sia ragionevole andare a dormire?

Simona                          - Cosa pensi che farà, Leone?

Leone                            - Come?

Simona                          - Ma di' qualche cosa; spiegagli che cosa sta accadendo veramente. Minouche gli ha lasciato una lettera; non tornerà più. Deve pur saperlo, infine.

Gilberta                         - Si fa un altro secondo atto? Ebbene, Tony, è proprio così. Minouche ti ha lasciato una lettera, è nella tasca di Simona! (La prende e la consegna a Tony) E' andata via per un folle amore... (Leone atterrito, afferra Gilberta e le mette una mano sulla bocca).

Leone                            - Sai com'è spiritosa... eh, eh, Gilberta...

Tony                              - Grazie, Leone. (Rendendo la lettera a Simona) Tieni, riprendi la lettera. E se proprio ci tieni a saperlo, gli scherzi più belli sono quelli brevi.

Simona                          - Ma non è uno scherzo. E' per abituarti a quest'idea. Sei un tipo gagliardo, tu. Puoi guar­dare le cose in faccia e poi reagisci. Io voglio vedere la tua reazione... Anzitutto che cosa può fare a quest'ora?

Leone                            - Chi?

Simona                          - Minouche. (Suonano. Sorpresa).

Tony                              - Ecco quello che fa. Suona. Preparate i bicchieri. (Entra Yvette dalla porta di fondo).

Yvette                           - Scusi tanto, signore. Ho appoggiato la mano sul campanello inavvertitamente. (Esce).

Tony                              - Ah. Bene...

Simona                          - Dunque, non suona.

Gilberta                         - Si ricomincia da capo.

Leone                            - Non si ricomincia; si va a dormire. Vuoi che ti dica la mia opinione? Tutta una storia archi­tettata fra lei e Minouche. Per vedere la tua rea­zione, come ha detto prima. Buonanotte, Tony. Non te la prendere, sai. E nota bene che io, personal­mente, nelle mie ore di svago, mi abituo sempre a quest'idea. Mi dico: « Forse un giorno, potrà accadere... con le donne, non si sa mai...». E mi rispondo sempre: « E perché no? ». Tutte le com­medie che recitiamo sono basate su questo fatto. E' una cosa, in fondo... molto corrente, banale. Una donna va via, ebbene? E' come dici tu: ce ne sono altre. Insomma... che sto dicendo? Mi capisci? Ar­rivederci. (Lo abbraccia).

Tony                              - (scoppiando a ridere) Ma è diventato pazzo anche lui!

Simona                          - Vedi, Leone? Tanta fatica, e non sei riuscito a essere commovente per un attimo. Lo hai fatto ridere.

Leone                            - Lascia stare. Ho detto quello che do­vevo dire.

Tony                              - Oh, basta! Ma che avete? Smettetela con questo vostro codice segreto.

Simona                          - Non c'è alcun segreto ormai, basta es­sere un tantino soltanto osservatori per accorgersi, come io mi sono accorta andando nel bagno, che non c'è più un solo oggetto di Minouche, nemmeno lo spazzolino da denti.

Tony                              - Ma che stai raccontando?

Gilberta                         - L'avevo notato anch'io; non c'è più nemmeno la sua vestaglia.

Simona                          - Dovresti andare a vedere... Sai meglio di noi dove la mette... (Tony sale correndo le scale).

 Leone                           - (a Simona) Sei stata un po' brusca, sai!

Simona                          - Filate! Lasciatemi sola con lui.

Leone                            - Sì. Vieni via, Gilberta.

Gilberta                         - Ma che sta succedendo? Non capisco proprio niente.

Leone                            - Te lo racconto a casa. (A Simona) In ogni modo c'è una differenza netta fra Bobosse e lui: se Bobosse capisce tutto, Tony invece è piuttosto duro. Vieni, presto, Gilberta! (Escono. Simona re­sta sola, inquieta. Prende la lettera che ha in tasca e attende. Tony riappare dall'alto della scala, stra­volto. Vede che gli altri sono andati via, ma non dice nulla).

Tony                              - (dall'alto) Non c'è più niente nei cassetti. (Simona con la testa bassa, tace) Sai qualcosa? (Tony scende. Simona lo guarda, gli dà la lettera. Entra Yvette con una fruttiera).

Yvette                           - Ecco le fragole, signore. (Vede che Tony sta leggendo la lettera) Oh! (Se ne va subito dopo aver posto la fruttiera sulla tavola. Tony termina di leggere, guarda Simona. Lunga scena muta du­rante la quale Tony è combattuto da molte possi­bili reazioni interne, ma nessuna sfocia in un gesto preciso, uno scatto, un'uscita. Tony si ritrova presto seduto a tavola e Simona che segue tutti i suoi gesti, va a sederglisi accanto. Ancora un lungo momento durante il quale Tony cerca di darsi un atteggia­mento; la sua mano tocca la fruttiera e senza guar­dare Simona in faccia, senza intenzione, ha un piccolo sorriso abitudinario di gentilezza).

Tony                              - Ti piacciono le fragole, Simona? (Le luci sì spengono).

QUADRO SECONDO

Questo quadro è affidato al regista per ciò che, sce­nicamente, può completare il monologo del prota­gonista che parla in sogno. E quindi ogni accorgi­mento scenico può essere valido - senza per questo che l'autore suggerisca o invada con la sua fantasia - alla « realizzazione » di ciò che il subcosciente man mano enuncia. Tuttavia, se con mezzi mec­canici o di proiezione o comunque si voglia, il « pro­cesso » dovesse prendere apparenze dì reale consi­stenza, è naturale che tutti ì personaggi cui il pro­tagonista si rivolge siano soltanto ombre, magari deformate secondo le reazioni delle parole pronun­ciate, o in rapporto alla intensità e alla figurazione delle parole stesse. Molto sarà affidato agli effetti di luce.

(All'alzarsi del sipario Tony è disteso sul divano e dorme in preda ad un sonno agitato: in principio mormora le sue parole, ma poi esse si fanno più distinte e anche il corpo si muove ed agita fino ad alzarsi, via via che il quadro sì delinea e prende consistenza. Tony parlerà come dal posto che nei tribunali è riservato alla chiamata dei testimoni e dell'imputato stesso. Nel suo sogno Tony è imputato: ha ucciso sua moglie).

Tony                              - Sì, signor presidente, ho ucciso mia mo­glie... No, signor presidente, non ne sono pentito affatto, né mi dispiace. Signor procuratore generale, ho l'onore di infor­marla che ogni volta che lei apre bocca, è per dire una sciocchezza. Spiacentissimo, signor presidente, ma ho il mio modo di parlare e non vedo il perché dovrei impie­gare un linguaggio più corretto col signor procura­tore generale che, sistematicamente, si sforza di far­mi dire il contrario di ciò che penso ed espongo che alla fine del processo non gli sarà di grande sforzo per convincere i giurati che merito la ghi­gliottina. Sì, signor presidente, continuo: l'ho uccisa con una rivoltella, è esatto. Niente affatto. Io non avrei mai comperato una rivoltella. Trovo che nella vita non viene in mente di comprare una rivoltella. E' proprio un'idea che1 non avrei mai avuto. No, signor procuratore generale. Lei non può af­fermare che avrei avuto quest'idea proprio quando affermo l'opposto. Mi conosco infinitamente meglio di quanto lei non mi conosca. Mi conosco da ventiquattro anni, e lei mi conosce da un quarto d'ora. Non c'è paragone possibile. Non ho mai detto di aver «voluto» uccidere mia moglie. Ho detto che ero felice di averlo fatto, e che ricomincerei. Giustissimo, signor presidente. Tutti i mariti traditi dovrebbero togliersi questa soddisfazione; andrò an­cora più in là, signor procuratore generale, e dirò « questa voluttà! ». E per naturale conseguenza, non esisterebbero più mariti traditi. Perfettamente: non ho comperato la rivoltella; era un regalo di mia moglie. Tempo fa avevamo fatto una scommessa e lei mi aveva poi offerto quella rivoltella. Sono due anni; ora lo ricordo... No, signor procuratore generale, non ho affatto scommesso con mia moglie che l'avrei uccisa se mi avesse regalato una rivoltella, mi sembra assur­do anche il pensarlo; ma il fatto è assai più logico e naturale: fu per una faccenda di topi. Mia mo­glie non poteva sopportare la vista dei topi e poi­ché ne avevamo uno in casa che regolarmente tut­te le notti attraversava la nostra stanza da letto, io dissi spavaldamente una sera che se avessimo in casa una rivoltella mi sentivo capace di fare centro con l'indesiderato ospite. Mia moglie mi prese in parola e mi regalò la rivoltella. Anche questo è coerente, signor presidente: la mia spavalderia derivava dal fatto di essere stato tiratore scelto nel 103" artiglieria. Posseggo l'attestato. Come? Se ho poi ucciso il topo? Ma certo, e non un topo, ma la famiglia di topi perché quello che attraversava la nostra camera da letto e che a noi naturalmente sembrava sempre lo stesso, invece era sempre diverso. Cosi li ho sterminati tutti; ho uc­ciso la famiglia... Certamente, signor presidente; rammenterò soltan­to ai signori giurati, il più brevemente possibile, le circostanze di quello che ancora qualcuno si ostina a chiamare ingiustamente delitto, mentre io affer­mo essere un atto di giustizia. Ho compiuto sem­plicemente ciò che otto uomini su dieci vorreb­bero fare, pensano continuamente di fare, ma non hanno il coraggio di fare. Poiché è accertato che gli uomini traditi non sono meno di otto su dieci. E la statistica è stata fatta con una certa larghezza per il rispetto che ogni paese civile deve al consor­zio umano. Le commedie non sono forse un esem­pio palese e continuo di quanto affermo? In certe commedie si vede sempre un uomo innamorato che la moglie gioca, e questo lo si trova divertente ed irresistibilmente comico, se il pubblico ride. Sì, o signori, io sono colpevole di aver ucciso mia moglie, ma mia moglie aveva ferito il mio amor proprio, aveva calpestato il mio amore, e tutto ciò con perfidia, perché mai mi aveva lasciato sup­porre di essersi staccata da me, di non amarmi più, di considerare una catena insopportabile la nostra vita coniugale. Ad un tratto, improvvisamente, mi abbandona lasciando una lettera in cucina, sul fri­gorifero, con la preghiera di non cercarla più. Come non cercarla più? Ed i nostri cinque bam­bini, signor presidente, non hanno voce? Come, signor presidente? Che non risultano bam­bini nella nostra famiglia? E' vero: non ne abbia­mo, ma avremmo potuto benissimo averli. E al­lora? L'ascolto, l'ascolto signor procuratore generale; e perché non dovrei ascoltarla? Non sono forse qui anche per questo? Sissignore, ho detto che mai il minimo incidente aveva turbato la nostra vita in comune. E lo confermo. Può darsi che in istruttoria io abbia affermato questa inezia, ma che importanza può avere un'ine­zia simile? Ebbene, sì, è vero; quel giorno abbiamo avuto una piccola disputa, una sciocchezza che non ha nulla a che fare con il mio gesto omicida. Ricordo che mia moglie mi chiese il fazzoletto per togliersi un po' di rimmel introdottosi in un oc­chio... A che ora? Che importanza può avere l'ora in cui un po' di rimmel è entrato nell'occhio di mia mo­glie? Comunque, se ha importanza, saranno state le sei del pomeriggio. Dunque le porgo il fazzo­letto e lei nota che è un po' sporco di rossetto. Se ne adombra, ma io mi giustifico dicendo che uscendo dal teatro la sera prima non bene struc­cato mi sono ripulito col fazzoletto che ho quindi sporcato di rosso... Oh, ma signor procuratore generale... quale giorno? In che ora? Ma vuole sapere tutto. Che interesse ho io a dire cose inesatte? Voglio forse difendermi? E' il mio avvocato che vuole difendermi, ma non io: io desidero di essere soltanto condannato. E quindi che c'entra il giorno, l'ora, il rimmel, il ros­setto? Ho ucciso mia moglie perché mi ha abban­donato e ha tradito il mio e il nostro amore, e di fronte ad un fatto così importante e definitivo, vo­lete indagare sul rimmel? Ritorniamo pure al rossetto: per quella traccia di rosso mia moglie pronunciò qualche frase sottin­tesa di dispetto nei confronti della mia compagna Simona Naudin, che nella commedia « Bobosse » che io recito, ha una parte. Era venerdì: mia mo­glie recitava la parte della moglie inquieta il ve­nerdì, avendo un amante chissà da quando, sa­pendo che mi avrebbe abbandonato con una let­tera sul frigorifero il giorno dopo, sabato. Ci vengo, signor presidente, al giorno del delitto: lasciando il teatro quel sabato sera insieme ad al­cuni miei compagni perché era la mia festa, an­dammo a cenare alla meglio a casa mia. I miei com­pagni dopo non poche discussioni se ne andarono all'una e mezzo, lasciandomi solo con Simona. Questa mi consegnò la lettera che mia moglie ave­va lasciato perché io capissi bene, finalmente, ciò che tutti insieme per oltre mezz'ora, non erano riusciti a farmi capire, perché io ero lontano le mille miglia e avrei creduto nella fine del mondo, ma non mai che mia moglie mi abbandonasse. E qui è il tradimento peggiore. Credo di averlo già detto. E dopo avvenne questo: non reagii affatto al prin­cipio; evidentemente ero fulminato; ma quando Simona se ne andò via anche lei e rimasi solo, in­cominciò la reazione, e allora mi ricordai della ri­voltella dei topi e corsi a prenderla ed uscii per uc­cidere mia moglie... Naturalmente non sapevo dove fosse, ma il caso aiuta sempre quelli che debbono fare giustizia o fare una sciocchezza secondo il differente punto di vista, e la trovai immediatamente. Non era passato un quarto d'ora da quando avevo preso la decisione a quando la vidi cadavere. Il fazzoletto, la discussione del giorno prima? Ma la vuole smettere? Ma lo sa che io sono anche ca­pace di prenderla per il collo? (1 suoi gesti denun­ciarlo che lo ha, infatti, afferrato -per il collo, che sono intervenuti gli agenti, che lotta con questi, che tenta di liberarsi) Sbirri, sbirri, lasciatemi... E sa­pete che cosa debbo dirvi? Che mi avete seccato abbastanza con tutte queste storie di processi e che sarebbe ora di farla finita... (Ora è al parossismo del suo incubo e barcollando ricade sul divano, continua a borbottare parole sconnesse mentre la luce a poco a poco diventa quella del primo mat­tino. Un campanello suona due o tre volte) Signor presidente, scuota pure il suo campanello, a che cosa può servire di fronte al tradimento e alla ro­vina dell'amore? (Improvvisamente si sveglia perché il campanello continua a suonare) Ma sì, ho inteso, che c'è? Vengo... sì, eccomi. (Esce un mo­mento quasi barcollando e ritorna immediatamente con una bottiglia di latte in mano. Resta in piedi. E' abbastanza istupito. Si guarda intorno, ricorda tutto il processo e grida) Minouche, Minouche! (Ricorda meglio: guarda se stesso vestito, guarda la bottiglia del latte, guarda lassù dove è la camera vuota. Poi bruscamente apre la porta in fondo e scaraventa la bottiglia fuori) Maledetto lattaio: stavo difendendomi così bene.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto, con l'arredamento e la tavola apparecchiata.

(Bobosse ha il medesimo abito del primo atto. Dor­miva, ma sta svegliandosi; riprende contatto con la realtà e chiama verso la scala).

Bobosse                        - Regina... Regi... (La porta si apre ed appare un clown col viso infarinato ed il costume di lustrini. Naturalmente Bobosse resta sorpreso e crede ancora di sognare, ma il clown lo riporta alla realtà con la sua interrogazione dall'accento inglese).

Il Clown                        - Il signor Bobosse? Mi trovo in casa del signore e della signora Bobosse? (Reazione di Bobosse sconcertato) Io sono Pistacchio, amico dei bimbi e degli sposi infelici, l'amico di tutti coloro che hanno delle noie sulla terra. Di solito visito le coppie l'indomani del loro matrimonio dopo la prima notte, perché è il momento più delicato della vita coniugale che sta per iniziare. E faccio questo per esperienza personale, perché fui abbandonato da mia moglie proprio il giorno dopo... Mi trovava troppo bianco, come seppi dopo, ma era naturale dal momento che avevo sposato una negra. Ne sposai poi altre quattordici, ma mi abbandonarono ugualmente. (E' entrato Edgardo) Il signor Edgardo, non è vero? Anche lei è entrato perché ha trovato la porta aperta? Ma che strana abito Boboss: dine è questa di lasciare la porta aperta! A cheservono dunque le serrature?

Edgardo                        - Ma è Girolamo! Che diavolo fai qui in quell'arnese a quest'ora?

Girolamo                       - Sono venuto a portare un po' di verdura. (Cava di sotto l'abito un mazzo di fiori di carta da cotillon) E con questo grazioso omaggio, salutare gli sposi. Dov'è la sposa? Regina! Ma, diletto Bobosse, non ti ho ancora abbracciato, (Esegue).

Edgardo                        - Vieni via adesso dal ballo mascherato! Ne avete fatta di baldoria!

Bobosse                        - Mi hai anche infarinato tutto; guarda che idee! Permetti? Ritorno subito. (Via per la scala)

Girolamo                       - Lo sposino ha le gambe incerte; figuriamoci la sposina.

Edgardo                        - Sei un vero asino e se la smettessi sarebbe un bel momento; Regina se ne è semplicemente andata...

Girolamo                       - Dopo?

Edgardo                        - Prima: le nozze non hanno avuto luogo; Regina ha piantato Bobosse ieri sera. E' rimasto qui con Anna Maria, mentre io me ne sono andato. Era convenuto che gli avrei dato la notizia per telefono.

Girolamo                       - Perché tu la sapevi?

Edgardo                        - Ma sì. Regina mi aveva incaricato della commissione.

Girolamo                       - Grazioso; ma che belle commissioni danno le donne.

Edgardo                        - Puoi dirlo forte. Non ho chiuso occhio tutta la notte e stamane ho telefonato ad Anna Maria: m'ha risposto che Bobosse aveva già capito tutto da sé.

Girolamo                       - Che Regina lo lasciava?

Edgardo                        - Sì. Anna Maria ha anche detto che avevano cenato insieme. Quando se ne andò, Bobosse le disse solo che andava a dormire. Una frase sciocca che mi ha subito messo in sospetto e quando sono venuto qui ed ho trovato la porta aperta non ero davvero tranquillo. Non si sa mai con i tipi come Bobosse. Ma credo di avere architettato un buon piano...

Girolamo                       - Hai bisogno di me? Posso servire?

Edgardo                        - Non credo.

Girolamo                       - Meglio così. Io me la batto. Non mi pare che questo costume si intoni per l'occasione, Ti prego di farmi poi sapere qualche cosa. (Esce. Edgardo resta solo. Guarda i disegni dì Bobosse sulla tavola).

Edgardo                        - Bella questa giraffa. L'hai disegnata ieri sera?

Bobosse                        - (scendendo le scale e incespicando) Sì. E stanotte è venuta a passeggiare nei miei so­gni. Era seduta su questo scalino e prendeva parte alla conversazione. D'altronde ha avuto una di­scussione proprio con te: diceva che tu non sai fare la corte alle giraffe.

Edgardo                        - Non è vero: le accarezzo sul collo, come nessuno sa fare.

Bobosse                        - Girolamo se ne è andato?

Edgardo                        - Pensava di. essere un po' fuori posto in quel costume, ed è andato via dicendomi di salutarti. E come va adesso?

Bobosse                        - Ma... bene, mi pare. (Tenta la ver­ticale che non gli riesce) Un'inezia e sarebbe riu­scita. Sarà per un'altra volta.

Edgardo                        - Succede sempre così. (Lo aiuta ad alzarsi).

Bobosse                        - (gli sussurra) E' terribile. Non finirò l'atto.

Edgardo                        - (sottovoce) Ti senti male?

Bobosse                        - Completamente ubriaco.

Edgardo                        - (forte) E allora? Cosa conti di fare?

Bobosse                        - (molto naturale) A che proposito? (Si sente che Edgardo perde il filo a questa battuta inattesa).

Edgardo                        - Ma... (A bassa voce a Bobosse) Ehi! Di' le battute giuste, sennò non se ne esce. (Forte) Cosa conti di fare?

Bobosse                        - Niente. Aspettare.

Edgardo                        - Aspettare che?

Bobosse                        - Regina. E sono sicuro che un quarto d'ora dopo il suo ritorno, verrai ad assicurarmi (ha voglia di piangere) che Regina sta per tornare.

Edgardo                        - (vorrebbe ridere, ma non gli riesce) Non scherzare. Vuoi che ti parli davvero come soltanto un amico può parlare?

Bobosse                        - (riprendendosi) Parla pure, come sol­tanto un amico può parlare: sentiamo.

Edgardo                        - Bobosse, un po' di coraggio; guarda le cose in faccia: Regina non ti amava più; Re­gina ti prendeva in giro. Tu eri il suo «Bobosse», ti diceva di fare due volte il giorno la verticale contando da uno a cento per far scomparire il bernoccolo, e tu le credevi e acconsentivi a questo suo capriccio. Ma via, sii ragionevole. Tu sei un ar­tista, un poeta, e Regina apparteneva proprio a quel tipo di donnette adorate dai poeti, ma che non lo meritano! Regina, nel suo genere, era un mostro!

Bobosse                        - Basta, Edgardo, non continuare. Tra mezz'ora Regina sarà tornata e tu sarai pentitis-simo di avermi parlato così.

Edgardo                        - Ma no, Bobosse, Regina non tornerà più. Ora posso dirti tutto: ieri sera mi aveva inca­ricato di dirti che se ne andava. Ha deciso di lasciarti per un tale col quale è forse già partita per la Cina.

Bobosse                        - Di già? E' lei che te l'ha detto?

Edgardo                        - Sì, e adesso lo sai. E ti renderai conto di che tipo fosse. E ormai devi dimenticarla e smetterla di aspettarla, altrimenti la tua non sarà più una vita.

Bobosse                        - E se mi persuadessi che Regina non tornerà più davvero, credi che sarebbe una vita?

Edgardo                        - In un certo senso, sì. E d'altronde occorre aggrapparsi alla ragione. Da parte mia ho un piano che ritengo l'unico mezzo di salvezza.

Bobosse                        - E non lo dici?

Edgardo                        - Lo dico: sposa Anna Maria. Che ne dici?

Bobosse                        - Dico: già. Sposo Anna Maria. E' sem­plicissimo. E' una tua idea?

Edgardo                        - Sì.

Bobosse                        - Si vede.

Edgardo                        - Anna Maria ti ama moltissimo. Per giunta anche lei è poetessa.

Bobosse                        - Che c'entra?

Edgardo                        - Perché anche tu sei poeta.

Bobosse                        - Ah!

Edgardo                        - Siete proprio fatti per essere felici. Parlo sul serio.

Bobosse                        - Era tutto qui il tuo piano?

Edgardo                        - Era questo. Anna Maria è d'accordo di sposarti e sta per venire.

Bobosse                        - E che venga! E' mezz'ora che lo stai dicendo! Mi hai anche annoiato abbastanza con questa storia! (Si capisce dall'atteggiamento di Edgardo che questa battuta non si trova nel testo. Disorientato, Edgardo sta per battersela verso la porta, quando entra lo zio Emilio).

Emilio                           - Buon giorno, ragazzi! Tante scuse per essermene andato via ieri sera un po' troppo in fretta. Tengo a mettere le cose a posto ed è così che sono venuto stamane. (Entra Anna Maria).

Anna Maria                   - La porta era aperta.

Emilio                           - Ecco qui la mia deliziosa nipotina! Sono stato io a lasciare la porta aperta, perché a mia volta l'avevo trovata aperta. Ma permetti a questo vecchio zio, cara nipotina, di sbalordirsi, sbalordirsi è la parola, di vederti arrivare in que­sta casa come una qualsiasi visitatrice, quando ieri sera ti ho lasciata che festeggiavi con Bobosse il vostro matrimonio.

Edgardo                        - Capirete tutto quando saprete che è solo adesso che viene qui per sposare.

Emilio                           - Adesso? Ah! no Bobosse. Non ricomin­cerete con i vostri stupidi scherzi. Vorrei almeno sapere a che punto ti trovi realmente col matri­monio. Ne ho il diritto: sono tuo zio e tua zia insieme... (A Edgardo) A proposito, giovanotto, mia moglie è ritornata. Sì, è un incredibile imbroglio che vi racconterò... In realtà non se ne era affatto andata via come la sua lettera avrebbe potuto far credere...

Bobosse                        - Già, così: se ne era andata, ma non se n'è andata. Ti lascia una lettera per dirti che se ne va e poi ritorna. Nel teatro, amico, nel tea­tro; ma non nella vita. E io ne ho abbastanza del teatro e dei pasticci inverosimili che si combinano per le necessità dell'azione. Ne ho proprio fin so­pra i capelli. Intesi? Chiudo bottega! Sipario! (Tutti lo guardano interdetti. Lo zio Emilio si precipita al proscenio).

Emilio                           - (rivolto al pubblico) Signore e signori... prego vivamente di voler scusare il nostro compa­gno Tony Varlet...

Bobosse                        - Ma no., non c'è bisogno di fare an­nunci al pubblico per scusare... non c'è niente da scusare. Sipario, ed è tutto. Sipario! (E avviene come se il sipario calasse davvero: tutti gli attori seguono con gli occhi un sipario imma­ginario).

Tony                              - Ecco fatto. E adesso che il sipario è ca­lato, si può parlare. Siamo a casa nostra: ognuno riprenda il suo vero nome.

Leone                            - Sei diventato pazzo?

Gilberta                         - Ma Tony!

Maronnier                     - Quarant’anni di teatro! Ho quarant’anni di teatro e non ho mai visto nulla di simile! Non s'è mai vista roba simile! E per giunta fai questi scherzi proprio all'inizio nella mia scena!

Leone                            - (verso la sala). Li senti?

Maronnier                     - Romperanno tutto!

Girolamo                       - (entra metà struccato) Che succede?

Maronnier                     - Succede che il signorino è ubriaco e che ha fatto calare il sipario proprio all'inizio della mia scena! Si è messo a urlare come un invasato! (Ascoltando verso la sala) Sentite eh? Ma li sen­tite? (A Tony) Io, per me, posso dirti questo: fai ancora un paio di volte un trucchetto del genere e me la saluti la tua carriera. Disgraziato. Va bene avere talento, ma prima di tutto bisogna rispettare il pubblico! (Entra il direttore di scena affannato).

Il Direttore                    - Ero sceso un momento al bar! Ma che diavolo avete fatto? Che è successo?

Maronnier                     - C'è che il signorino ha fatto l'i­diota, e tu non avrai altro da fare che passare davanti al sipario e pregare il pubblico di andai sene. Roba da pazzi. Quarantanni di teatro. Noi s'è mai visto niente di simile. Mai, mi sentite Mi chiamo Maronnier e vi assicuro...

Il Direttore                    - Va bene, ma se non siamo tutti impazziti, qualcuno ricorderà che esiste un impresario e che non può restituire per i vostri capricci 380 mila franchi d'incasso.

Bobosse                        - Si restituiscono, naturalmente. Se noi mi va di recitare è naturale che pago io.

Maronnier                     - Mai! Non s'è mai vista roba de genere.

Tony                              - Adesso l'hai vista, e falla finita. (Entti Simona).

Simona                          - Ma è proprio vero? Siete tutti pazzi! (A Leone in un angolo) Ma che è successo?

Leone                            - S'è sborniato. Che vuoi che ti dica! Quando doveva fare la verticale, è caduto due volte senza riuscirvi; poi, si è messo a balbettali ed ha inventato delle battute; infine s'è messo al urlare che calassero il sipario.

Il Direttore                    - Vado a telefonare al commendatore. E il Sindacato prenderà i provvedimenti de! caso in tutta questa storia! (Esce).

Girolamo                       - In tali condizioni e sempre che nessuno si opponga, vado a finire di struccarmi. Speri che la serale andrà meglio. Saluti e baci. (Esce).

Simona                          - Di' un po', Tony. Ti senti poco bene!

Tony                              - Al contrario. Non mi sono mai sentiti tanto me stesso. Non si è sé stessi che in due occasioni: quando si dorme o quando si è ubriachi. resto, tutte storie.

Maronnier                     - A me non è mai successo un fatti simile anche quando, rare volte, posso essere stati un po' alticcio.

Bobosse                        - Ma un po' cornuto lo sei mai stato?

Maronnier                     - Mai nemmeno un po'.

Bobosse                        - Allora sta' zitto, perché non puoi giudicare. E se non puoi giudicare non hai diritto parlare. Io so quello che mi dico e ciò che facci perché lo sono.

Leone                            - Ma no, Tony.

Tony                              - E tu nemmeno, Edgardo? Non sei stati mai piantato da una donna?

Leone                            - No, mai.

Tony                              - Nemmeno tu hai diritto alla parola. Mi spiegherò soltanto con un uomo nelle mie stesse con» dizioni di infelicità, e lui mi capirà. Ma purtroppo non se ne trovano in giro. Nessuno vuole ammet­terlo. Io sono l'unico.

Maronnier                     - E per questa tua convinzione hai fatto sospendere la recita? Ma in teatro ce ne saran­no stati molti come te, e quindi disposti ad ascol­tarti. Basta non interrogarli direttamente, ma come sottinteso, tutti d'accordo.

Tony                              - Questo è il punto: disposti ad ascoltare, ma non interrogati personalmente. Ed io invece vo­glio che i miei simili siano coscienti e consenzienti. Questo voglio. Altrimenti non avrei nemmeno uccisa mia moglie; invece stanotte l'ho uccisa. (Reazione di sgomento di tutti ed esclamazioni varie) L'ho uc­cisa mentre dormivo. Sognavo. (Altre esclamazioni rassicuranti) Perché dormendo ero veramente me stesso, non ero per questo « come tutti gli altri ». E poco fa sapete perché ho fatto quel che ho fatto? Perché ne ho abbastanza di essere nella pelle di quell'idiota di Bobosse che, piantato dall'amica, con­tinua ad aspettarla fino alla fine del terzo atto. Perché sono un tipo gagliardo e rude io, e perché non avrei sopportato di vederla tornare alla fine dell'atto, con la sua bocca a cuoricino, come se niente fosse, col pretesto che la commedia deve finire bene. E siccome sono brillo, faccio quel che mi pare, sospen­do la recita e affermo che se l'autore fosse stato una volta sola tradito nella vita, saprebbe che non è perché si attende la propria donna, che essa ritorna. Sa­prebbe che io ne sono al corrente e so che Minouche non tornerà più e che, se tornasse, io non l'ac­coglierei certo a braccia aperte, ma la ucciderei un'altra volta. (Scoppia in singhiozzi).

Simona                          - Vieni, Tony, vieni. T'accompagno nel tuo camerino.

Tony                              - Sto benissimo qui. Sono a casa mia, nel mio appartamento, e non ho bisogno di nessuno.

Simona                          - Venite, lasciamolo solo.

Maronnier                     - Quarant’anni di teatro. Mai visto niente di simile... (Quando tutti sono usciti, qualche secondo più tardi Leone rientra dalla finestra).

Leone                            - Tony, volevo dirti che poco fa ho men­tito. Anche io lo sono stato.

Tony                              - Mi pareva bene.

Leone                            - Eppure, vedi, le cose si sono sistemate. Fu con Lucia.

Tony                              - Quali cose si sono sistemate?

Leone                            - Tutto.

Tony                              - E' tornata anche lei?

Leone                            - No. Non ci siamo più visti.

Tony                              - E lo chiami sistemare?

Leone                            - Come lo debbo chiamare? Tutto si siste­ma, in bene o in male.

Tony                              - Continua, mi diverti.

Leone                            - Parlo per me. Ciò che volevo dirti è che fra me e te non c'è alcun rapporto, più esattamente fra Lucia e Minouche.

Tony                              - Trovi?

Leone                            - Ma sì! Minouche, mio caro, Minouche ti adorava!

Tony                              - L'ho visto.

Leone                            - Hai visto male. Guarda le cose in faccia! Minouche non amava che te: Minouche non è un uccellino che svolazza ora su questo ora su quello: è una donna adorabile, che ha la testa sulle spalle e che non può non tornare.

Tony                              - Ma ammetti che è andata via? La sua let­tera di congedo l'hai vista? L'hai letta.

Leone                            - Voglio dire: constato che ti ha lasciato una lettera, constato che in apparenza ti ha abban­donato, ma non lo ammetto. Proprio così. Conosco bene Minouche e non so cosa le sia successo, ma so che una donna come lei, anche ammettendo il peggio, non può non tornare.

Tony                              - Magnifico. Sei proprio buono, tu. Ti rin­grazio delle previsioni.

Leone                            - No, Tony. Il peggio è di non tornare. Se te lo dico io, puoi crederlo: Lucia non è più tornata.

Tony                              - Siamo commoventi tutti e due: potremmo fare un bel numero.

Leone                            - Per una volta tu saresti il comico, mentre il pubblico si intenerirebbe alle mie spalle. (Le luci di scena vengono spente) Tolgono la luce. Vieni via, Tony. Vieni a riposare nel tuo camerino. Vedrai che dopo ti sentirai meglio, bisogna che tu stia bene per la recita di stasera...

Tony                              - Per la recita di stasera... si vedrà. Per il momento sto meglio qui che nel mio camerino. Non chiedo che di restar solo.

Leone                            - Capisco. Non insisto. Cerca solo di vederci chiaro di qui a poco. Ricorda che la recita si inizia alle nove, e credimi, in questo momento il comico sei tu. (Esce dalla finestra).

Tony                              - (solo) Eh già, bisogna sempre fare i furbi. Ecco il comico, signore e signori, guardatelo bene: sono io. Divertente, no? (Cambiando tono) Potete anche farmi delle domande. Ciò che non capirò mai è se mi si vorrà convincere che mia moglie non era una donna unica. Lo era, ed ecco perché il mio caso personale è unico. Capisco bene le noie altrui, ma gli altri possono rimediare in qualche modo, ri­farsi una vita, come si dice, con un'altra donna. Io, no. Ed è la prima volta che un uomo si trova in una tale situazione. Poiché è la prima volta che un uomo è abbandonato da una donna che non ha l'uguale, da una donna insostituibile. Si chiamava Domenica, nome curioso se usato ogni giorno. Io l'avevo perciò soprannominata Minouche. Non si trattava di un diminutivo, ma piuttosto di un altro nome che le stava meglio. La mia casa è piena di questo nome. Se prendessi un'altra donna, sarebbe necessario, pri­ma, che cambiassi casa. Anche i suoi vestiti si chia­mavano Minouche. Un vestito che si chiamasse Francesca o Giovanna, sarebbe un pezzo di stoffa, non sarebbe un vestito. Se Francesca o Giovanna girassero nude, meglio non parlarne. Minouche aveva un suo corpo assolutamente unico. Tutti gli altri corpi si assomigliano. Come hai fatto, amor mio? Perché sei partita? Sapevi be­ne che avresti fatto di me un infelice, un muti­lato, un essere inutile. Mi senti? Ascoltami. Quan­do sono in collera, dico che ti ucciderò appena ti ri­troverò, ma sai bene che non è vero. Basterà che tu mi dica... che so? una bugia, per esempio. Sì, che tu mi dica una bugia, ti crederò. Ti crederò perché la più grossa bugia che tu possa trovare, sarà ancora la verità in confronto alla menzogna del fatto che non sia più qui, facendomi credere che tu non mi ami più. E' adesso che menti, vero? (Compare Minouche).

Minouche                      - Certo, Tony.

Tony                              - Ah, lo vedi? (Raddrizzandosi dì colpo) Co­sa? Ah, sei qui? (L'afferra per un braccio).

Minouche                      - Oh, taci amor mio. Il tuo fazzoletto... (Glielo presenta come un corpo del reato) Fu perché lo trovai sporco di rossetto. Ho voluto metterti alla prova, ho voluto sapere. E adesso, so. So che mi hai uccisa stanotte, che stamane ti sei ubriacato, che hai sospeso la recita a metà del terzo atto e che questo scherzo ti costerà 380.000 franchi. So che per te sono insostituibile e che mi ami.

Tony                              - (dopo un certo tempo) Straordinario.

Minouche                      - So che sei un amore e che anche tu sei insostituibile. So che non sei Bobosse, poiché Bobosse ha un carattere tenero, mentre tu sei rude e gagliardo.

Tony                              - Fu per le tracce di rossetto sul mio fazzo­letto che hai fatto finta di piantarmi?

Minouche                      - Sì, amor mio, non mi piacevano.

Tony                              - Ma allora aveva capito tutto il procuratore generale. Ed è proprio per questa orrenda supposi­zione che l'ho ucciso.

Minouche                      - Hai ucciso anche il procuratore ge­nerale?

Tony                              - Naturalmente, nel sogno. Quando mi disse che te ne eri andata per quel po' di rossetto, ho ca­pito che ti avevo uccisa mentre forse tu eri inno­cente.

Minouche                      - Vedi che bisogna riflettere prima di uccidere la propria moglie. Ma ora è passata. A che pensi? Baciami, amor mio.

Tony                              - Penso a Bobosse.

Minouche                      - Non sei tu. Non parliamone più.

Tony                              - Sì. Sono anche Bobosse. Adesso ho capito: Bobosse siamo tutti. Tutti capiscono sempre tutto, ciascuno sa bene che viene ingannato e che non è amato, ma tutti fanno finta di non capire, ciascuno fa come se fosse amato e non venisse ingannato. Da sveglio sono come tutti, sono Bobosse, pronto a credere alle bugie; ma quando dormo non sono più come tutti gli altri; sono come nessun altro. Quando dormo ti uccido se m'inganni e uccido H procuratore generale se ha l'aria di dire che ti ho ucciso per niente... Quando dormo sono un tipo rude e gagliardo... quando dormo... sono...

Minouche                      - Amor mio, sei sveglio, non stai dormendo! Guardami bene! Sono io, Minouche. Soni» nelle tue braccia, non ci siamo mai lasciati. Ti ara» perché sei come tutti gli altri e come nessuno; perché quando dormi sei capace di uccidermi e perché non lo fai quando sei sveglio. Sono venuta a cercarti perché bisogna che stasera reciti « Bobosse » e non bisogna più fare scandali, perché sono le sei e mezzo e hai giusto il tempo di venire a casa a mangiar qualcosa per rimetterti in sesto e anche perché son« due giorni che non ti bacio. Ti amo. (Lo bacia).

Tony                              - Si direbbe che sia il finale della commedia: «Ti amo». Bacio. Sipario. Devo dire che stasera seil sipario non fosse già calato, il pubblico avrebbe ascoltata una ben strana commedia. E avremmo anche fatto un annuncio. Saremmo venuti avanti come al termine delle prove generali, e avremmo detto col nostro migliore sorriso per cercare di salvare l’autore, con le nostre personali attrattive: Signore….. (Tutti gli altri attori via via sono rientrati, prima osservando Tony e Minouche, poi prendendo parte al finale).

Minouche                      - ...Signori, la commedia che abbiamo avuto l'onore di interpretare davanti a voi stasera non è quella che abbiamo provato per un mese.

Tony                              - Poiché la mia vita privata si è stranamente mescolata all'azione concepita dall'autore di « Bobosse». Si trattava di me...

Minouche                      - ...vicino a un Bobosse che capiva tutto. E se il fatto che Bobosse, abbandonato da una donna alla fine del primo atto, sia felice di ritrovarla alla fine del terzo atto... per quanto tale donna non sia più la medesima...

Tony                              - (fermandola) Ma forse non facciamo ben» a rimettere le cose a posto; non serve. Hanno capito benissimo. Non sono mica tutti Bobosse... (Accenna al suo bernoccolo, come per dire « non sono caduti da piccoli». Il sipario cala mentre tutti restano in una posa prestabilita, marionettistica, come una vetrina nella quale siano presentati dei manichini)

FINE