Caffè dei naviganti

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CAFFE’ DEI NAVIGANTI

Commedia in tre atti di Corrado Alvaro

PERSONAGGI

ORLANDO, giovane marinaio

KARIN, amata da Rossom

 ROSSOM, filosofo celebre.

 LOTTE, moglie divorziata di Rossom

ELFRIDA, segretaria di Rossom

ELSA, seguace di Rossom

 SIMEN, pazzo per amore

MANOELA, giovane sorella di Filippo

SURACE, marinaio

KURT, amico di Simen

FILIPPO, padrone del Caffè dei Na­viganti

L'azione accade in un paese della costa amalfitana verso il 1925

                     

 

ATTO PRIMO

Il Caffè dei Naviganti, a Eraclea. L’interno del Caffè: una vasta sala a volta, col senso d'una vecchia frequentazione di gente di mare; ricordi di navigazione, di campagne di pesca e di servizi nella Marina da Guerra alle pareti. La porta, nel fondo, lascia intravedere un portichetto a vòlta anch'esso, e più oltre una terrazza con qualche cacto, un gelsomino fiorito, una vite a pergola. In fondo, il mare. Per un effetto di prospettiva, dalla porta aperta si vedono, su per lo strombo dell'arco che si apre sulla terrazza, certi disegni di mano ingenua: cuori uniti e trafitti, la parola «Ama», la frase «fa l'Amore» ricorrenti tra diversi nomi di persone fra cui quello di « Simen » e di «Eva». E' il principio dell'estate, verso sera. Manuela (sta a modo suo apparecchiando, e mentre apparecchia gira a passo di danza attorno a un tavolo, accompagnandosi con una canzoncina da ballo che ha inteso da qualche grammofono. Ogni piatto che depone sul tavolo segna la fine di una frase. E' molto convinta e rapita. Manoela è in quell'età che basta poco per svegliarsi donne: questione di due o tre mesi, alla fine di questa estate. E' bruna, mo­bile, vivace, capace di sedere o di atteggiarsi nei modi più strani. Non ha ancora il senso del proprio corpo. Ella non si accorge che Filippo è sulla porta; è dietro a lei, e le allunga uno scapaccione sul più difficile d'una piroetta. Filippo è un indi­viduo giovane, bruno, piuttosto lento di modi. Manoela sta per perdere l'equilibrio con una pila di piatti ancora tra le braccia. Sostiene l'urto, e si mette a sedere in un angolo, in una posa sgraziata di cui hanno il segreto soltanto le ragazzine e gli animali giovani. Non piange, non frigna e non fa smorfie.

Filippo             - Chi te le insegna, poi, certe cose...

Manoela          - (sommessa, ragionevole) Non me le insegna mica nessuno.

Filippo             - E se ti vedo un'altra volta a bocca aperta davanti a quel forestiero... Tu non hai niente da imparare da quel pazzo.

Manoela          - Credete davvero che Simen sia pazzo?

Filippo             - Quando uno è forestiero, vai a indovi­nare se è pazzo o savio. Dicono tutto quello che gli salta in testa. Come si fa a capire?

Manoela          - Voi passate troppo da bere a Simen, caro fratello.

Filippo             - Se non beve diventa ragionevole, e quando è ragionevole fa pena. Se non gli diamo da bere noi va per le osterie a ingoiare ogni sorta d'intrugli. Si può fare? E' qui come un naufrago. Ci tocca tenerlo come un bambino, aspettando che qualcuno se lo venga a ripren­dere. E' uno straniero. Non si può fare cattiva figura. E la questione, poi, è che non paga. Oggi ho fatto i conti. Mi deve dare undicimila lire. In gran parte bevute. E' più di un anno che non paga.

Manoela          - Da quando partì la signora Eva.

Filippo             - Io gli feci credito perché credevo si uccidesse, quando parti quella donna. Era proprio addolorato.

Manoela          - (con ammirazione). Lo è ancora. E' fe­dele. E' innamorato.

Filippo             - Invece non si uccise e non le corse dietro. Rimase così, come un dissennato. Un altro chissà che farebbe. Lui, invece, niente. Proprio come un bambino abbandonato. E non è che non ragioni. Simen ragiona, dice delle cose giuste e strambe. E ora non posso, tutto a un tratto, non fargli più credito. E' diventato uno di casa. Ci si affeziona, si sa; non siamo mica bestie.

Manoela          - Ma pagherà. Quando arrivò aveva soldi, e pagava, anzi li regalava i denari.

Fìlippo             - La sua famiglia non gli manderà più un soldo se lui non torna a casa. Gli ha mandatoi denari del viaggio tre volte.

Manoela          - Gli dispiacerà di rivedere la sua Eva che magari si sarà messa con un altro. L'Eva partì d'improvviso una sera, col postale, e lui l'accompagnò, e la salutava dalla spiaggia. E anche lei: sventolava il suo fazzoletto turchino. La sera avevano mangiato insieme qui; pare­vano d'accordo.

Filippo             - Ognuno ha le sue usanze.

Manoela          - (d'improvviso, con un pensiero che da un pezzo vorrebbe esprimere) La signora Eva andava nuda, sulla spiaggia.

Filippo             - (seccato) Manoela, non dire enormità.Manoela (ostinata) Non andava nuda?

Filippo             - Che vuoi sapere tu delle usanze dei forestieri!

Manoela          - Ma andava nuda.

Filippo             - Quando imparerai a non dir tutto quello che ti salta in testa?

Manoela          - L'ho veduta io sulla spiaggetta dei Mulini, ed era...

Filippo             - (sta per allungarle un nuovo manrove­scio,Manoela lo schiva, e con un salto rag­giunge la porta) La vuoi finire? (ha raggiuntoManoela sulla porta, ma mentre sta per abbas­sare la mano, vede apparire sotto l'arco del por­tichetto, tre donne.Manoela si volta e lascia libero il passaggio. Filippo si tira da una parte).

 Lotte - Elsa - Elfrida (entrano).

Lotte               - Buona sera, signori.

( Lotte è una signora sui cinquantacìnque anni, evidentemente straniera come le due donne che l'accompagnano. E' piena di dignità e del senso della propria dignità. Non si sa precisamente che cosa rappresenti, ma rappresenta qualcosa, forse l'orgoglio di essere civile ed educata. Lotte vorrebbe avere del grandioso e del raffinato, ma si sente che ricalca un modello piuttosto generico. Affetta arie superiori, al disopra della morale e al di là delle convenzioni: ma nei momenti in cui è sincera, si rivela per la sem­plice donna che avrebbe voluto e forse avrebbe potuto essere. Non è però una cattiva donna: è soltanto una donna smarrita e che sì fa forza. Veste giovanilmente, e accavalla le gambe quan­do siede. Puma. Ha degli atteggiamenti sportivi. La sua educazione è in contrasto con la sua età. Di tutto quanto le accade intorno, ella si occupa con l'aria di chi è fatta per metter re­gola negli imbrogli degli altri, senza trovare mai nulla che la turbi.Manoela e Filippo guardano stupiti i nuovi arrivati. E' un fatto cui non sono abituati).

Filippo             - (premuroso) Buon giorno. Cercano del signor Simen ?

Lotte               - (superiore). E chi è il signor Simen ?

Filippo             - Non conoscono il signor Simen ?

Lotte               - (è entrta e si è seduta con le sue amiche) Tre caffè, per piacere.

Filippo             - (imbarazzato) Non so se il nostro caffè possa piacervi.

Lotte               - (perentoria)   - Possiamo avere tre caffè?

Filippo             - Subito. (Esce per la porta di sinistra, seguito da Manoela).

Lotte               - Non è bello qui?

Elfrida             - Tutto è semplice, naturale, popolare. Credete che piacerà a Rossom, Elsa? (Elfrida è più giovane di Lotte, e con l'espres­sione di un gran languore. Forse è miope, e si muove a ogni modo come se lo fosse, ciò che le dona una certa grazia. Non è mai sicura di quello che dice. Si capisce che la sua vita, per quanto ella sia giovane, è stata piena di avveni­menti ne voluti né provocati da lei che, forse, quanto a storia individuale non ne ha: ha soltan­to avvenimenti degli anni e della storia in cui si è trovata in mezzo, nel dopoguerra).

Elsa                 - Sì, credo di sì. Credo che a Rossom possa piacere, e che qui possa lavorare tranquillo. Ma non so se Karin sarà della medesima opinione. Da quando c'è quella donna... (Elsa vorrebbe insinuare qualcosa, e queste pa­role le ha dette non senza acrimonia. Elsa è tutto il contrario di Elfrida: forte, energica, sa quel che vuole, cioè un po' d'attenzione e d'amore. Ma i suoi atteggiamenti virili, tutta la sua persona alquanto maschile, trarrebbero in inganno chiunque sulla sua femminilità. Perciò stupisce di vederla a tratti commuoversi subita­mente, trasalire, e accorgersi che forse ha gli occhi, questi sì veramente belli e femminili, ba­gnati di lacrime).

Elfrida             - Rossom fa grandi progetti di lavoro, e spera che qui potrà finalmente raccogliersi.

Lotte               - Rossom è ricchissimo di progetti. E' come chi sogna. Parla magnificamente e convincerebbe chiunque. Ma quanto poi a lavorare...

Elsa                 - (con asprezza, ma da innamorata) E' vero.

Lotte               - E voi siete molto buona. Elsa, a occu­parvi con tanta cura idi lui. Voi badate all'am­ministrazione, voi scegliete i suoi pasti; siete per luì come una sorella.

Elsa                 - Sì, ma poi me ne andrò. Aspetto che ter­mini la sua famosa opera, e me ne andrò.

Lotte               - Ci sono passata anch'io, Elsa, per que­ste cose. E' penoso, Ma... quello è un uomo che ha bisogno di sentirsi attorno gente che gli vuol bene. Ha bisogno di sentirsi difeso. Sicuro; a un certo punto si capisce che Questa non è vita. E tuttavia ci si torna, ci Si ricorda di lui. Vedete me. Sono stata sua moglie pei cinque anni, e neppure felice. Eppure, di quan­do in quando mi dico, «Andiamo a vedere che cosa fa Rossom ». Ed eccomi qui.

Elfrida             - Avete fatto bene a venire qualche gior­no con noi. Siamo sempre sole.

Lotte               - Voglio rendermi conto di come si mette a posto, e se finalmente riprende a lavorare..

Elsa                 - Non andate via tanto presto, Lotte.

Lotte               - Ho da fare anch'io. Ora sono al corrente di tutto, e capisco che Rossom si trova in uno dei momenti più fortunati della sua vita.

Elfrida             - Ne avrete vedute, con Rossom, non è vero?

Lotte               - Oh, i peggiori pasticci. Le più grosse stupidaggini. S'era messo con una ragazza mol­to bellina, ma che in breve lo tradì col suo mi­gliore amico, che per quell'anno diventò un per­sonaggio, a sentir lui, uno dei più intelligenti uomini d'Europa.

Elfrida             - Sì, ce ne parlò. La ragazza si chiama­va Alessandra, mi pare.

Lotte               - (senza acredine) Oh, quanto a questo non ha segreti. Racconta tutto. Ma non ha molta fan­tasia. Ripete spesso le stesse cose. Eh, lo co­nosco bene, io. Digerisce sempre qualche storia o qualche idea.

Elsa                 - (fuor di proposito, seguendo la sua idea fissa) E anche Karin è troppo giovane per lui.

Elfrida             - (con malignità, ma attutita da un certo languore naturale) Karin ha capito di che si tratta. Si comporta come vuole luì e come è l'ideale di Rossom Karin conosce gli uomini.

Lotte               - (esperta) Se è così, molte smorfie, non è vero?

Elfrida ed Elsa- abbassano il capo affermati­vamente. E' proprio in quel momento che la commozione improvvisa prende Elsa. Rimane immobile guardando il vuoto davanti a se. El­frida le prende affettuosamente la mano, ciò che dà a Elsa quasi una voglia di piangere. Entra Manoela col caffè. Lo serve.

Manoela          - Ho tardato? Andava fatto fresco.

Elsa                 - (reagisce alla subitanea emozione come fa lei spesso, parlando di altro. Si rivolge a Ma­noela). Tutto quello che riguarderà i conti e Ì pagamenti, anche per i signori che verranno tra poco, dev'essere presentato a me, prego.

Manoela          - Bene, signora. (Si ferma a guardarla poi, esce con una risoluzione improvvisa).

Lotte               - Mia cara Elsa, vi ammiro.

Elsa                 - Non mi ammiro io. Lo seguo da cinque anni: cinque anni della mia giovinezza. E non mi ha mai detto una parola veramente amore­vole. Sì, forse sul principio.

Lotte               - Voi cominciaste ad occuparvi di lui e della sua vita come una sorella, certo. Bene, questo è un metodo sbagliato. Per un uomo in genere e per Rossom in ispecie, questo è il metodo per rendersi poco interessanti. Non ave­te mai provato a fargli dispetto? Provateci.

Elsa                 - E' troppo tardi. Lotte. Ma non posso dire, però, che Rossom sia poco gentile.

Lotte               - Non l'ho mai veduto poco gentile con una donna. Cinque anni. Povera Elsa. Anch'io ne ho perduti cinque. Ma non mi ci piglia più. Avevo una bella voce, e la persi. Questo fu il guadagno.

Elsa                 - Non seguitate a parlare così, altrimenti piango. E che cosa mi ha preso a corrergli dietro!

Elfrida             - (le prende le mani) Elsa, cara Elsa...

Elsa                 - Gira Elfrida. Oh, nessun uomo saprà mai che cos'è una donna.

Elfrida             - (quasi in ginocchio davanti ad Elsa, con la sua voce sommessa affettuosa di donna de­bole, si rivolge a Lotte ) Io sono una debole, ecco tutto, cara Lotte. Io ho veduto due rivo­luzioni e sono passata attraverso una svaluta­zione del denaro. Ho perso tutta la mia sostan­za e sono divenuta una timida. Io sono una buona a nulla. Elsa lo sa. Io non sono forte come voi, Lotte. Ogni novità mi fa impressione. Mi farebbe molta paura sentire che Rossom ab­bia un sentimento di affetto per me. Io sono la sua segretaria e Ja sua stenografa, ecco tut­to. Mi basta sentirlo parlare.

Lotte               - (ironica) Sentirlo parlare. Le sue vec­chie chiacchiere, i suoi vecchi discorsi, le sue vecchie squisitezze. Le conosco, le conosco. Quando divorziammo aveva eseguito tutto il suo repertorio. Conosco a memoria i suoi sog­getti.

Elsa                 - (convinta). No: parla molto bene.

Elfrida             - Molto bene.

Lotte               - Ma lo so, lo so che cosa racconta sem­pre. La storia della principessa...

Elfrida             - Sì; e poi quella dei fantasmi del ca­stello.

Elsa                 - Dei fantasmi parla certe sere, quando ha mangiato male.

Elfrida             - E poi quella di Alessandra.

Elsa                 - E' un vanitoso.

Elfrida             - Volubile.

Elsa                 - Alcolizzato.

Elfrida             - Sempre ingannato dalle donne.

Elsa                 - E poi uno snob, un bambino.

Elfrida             - Infido.

Elsa                 - Credulone e sciocco nella vita pratica.

Elfrida             - Fondamentalmente cattivo.

Elsa                 - No, forse soltanto leggero.

Elfrida             - Cattivo.

Elsa                 - E neppur tanto giovane.

Elfrida             - Anzi, ormai quasi vecchio.

Hanno parlato nello stesso atteggiamento di prima, stringendosi le mani e col tono di chi reciti le lodi di qualcuno.

Lotte               - Oh, come lo avete capito! Come lo amate! Appare Simen . Egli si è fermato a osservare il muro su cui sono disegnati i cuori intrecciati e trafitti, e i nomi, e il suo stesso. Si volta. E' un individuo piuttosto scialbo, d'una età inde­finibile, con qualche cosa di azzurro nel viso, forse il colore che danno i suoi occhi filla sua fisionomia.

 Simen             - (come parlando a se stesso) Non vi può essere nulla. E pure mi sembra sempre di do­vervi trovare qualcosa di nuovo. Si legge ancora « Eva e Simen si amano». Fu Eva a scri­verlo. La sua mano si posò sul muro. Qui, ecco. (Toccando con la palma della mano il muro come se lo accarezzasse). E quella mano non è più qui, e intanto rimane la sua... (Entra nella sala). Manoela, Filippo, il mio vermut! (Si rolla e vede le tre donne. Seguita come parlando a se stesso) Stranieri. Come sono arrivati fin qua? Fantasmi che tornano. Chi ha detto ad essi il nome di questo paese? Arriveranno in capo al mondo, dappertutto, e non lasceranno un solo angolo di terra tranquillo. Sono tanto orgogliosi della loro civiltà; ma appena possono fuggono. (A un tratto è come se riconoscesse Elfrida. La fissa sorpreso. Elfrida ne è preoccupata).

Manoela          - (entra con la bottiglia del vermut) Ecco signor Simen . (Lo serve). Non cercavano di voi questi forestieri, signor Simen ?

 Simen             - (bevendo). Chi vuoi che cerchi di me?!

Manoela          - Non vengono dai vostri paesi?

 Simen             - Da come sono stordite, sembrerebbe.

Manoela          - Non hanno notizie di Eva, per caso, signor Simen ?

 Simen             - Manoela, tu mi parli come a un bambino. E credi di illudermi. Tu pensi. Simen è pazzo, e bisogna raccontargli quello che gli fa piacere, non è vero?

Manoela          - No, signor Simen, mi farebbe piacere che la signora Eva tornasse.

 Simen             - Niente può tornare di quello che fu pri­ma. Senza di lei tutto è bello perché parla di lei. (Parla come in un monologo, senza neppur guardare Manoela che gli sta di fronte, dall'al­tra parte del tavolo). Te la ricordi ancora, Ma­noela, la canzone che ella cantava sempre?

Manoela          - (Si mette a cantare sommessamente, con grazia, una canzone in lingua straniera. Ma ha bisogno di sedersi, dì raccogliersi, davanti a un tavolo, con la testa bruna fra le mani e gli oc­chi aperti ^davanti a sé).

 Simen             - (mentre Manoela canta, e con una voce che sembra guidata dallo stesso canto). E' già un anno, e non ho ancora riveduto bene tutti i luo­ghi dove ella fu. Qui, mi aspettava. Qui le pia­ceva di sostare. Qui fummo felici di incontrarci come se ci fossimo perduti, e non ci vedevamo da un'ora. Probabilmente se ella tornasse non la riconoscerei. Potresti domandarmi com'era la sua fronte e come la sua voce; non lo saprei ridire. Già, com'erano i suoi occhi? A un certo punto, tutto è una nostra immaginazione. (Si versa da bere, beve).

Manoela          - (smette di cantare). Non bevete più si­gnor Simen, vi fa male.

 Simen             - (leva gli occhi su Elfrida. Alza il bicchiere verso di lei) Salute, signora.

Manoela          - (a Simen ). Non è vero che somiglia a Eva?

Elfrida             - (a Simen ) Dite a me, signore?

 Simen             - Permettetemi di bere alla vostra grazia. Siete mai stata in Danimarca?

Elfrida             - Vi fui. E proprio là mi inseguì un to­ro infuriato. Ebbi molto spavento, e...

 Simen             - Ma non siete danese.

Elfrida             - No, sono d'una nazione che dopo la guerra s'è spartita in quattro, e il mio paese non so bene in quali confini si trovi. Perciò io non sono di nessun paese.

Lotte               - (a Simen ). Dite, signore, si trovano buone abitazioni, qui?

 Simen             - Le case più pittoresche che si possono de­siderare. Non le avete vedute scendendo? E le più pulite. Ogni casa ha il suo giardino, di­sposte come sono a terrazza sul declivio del monte. Sono case per chi ama star solo. Nei giardini hanno le loro piante e i loro alberi da frutto: le persone di qui amano i fiori e i frut­ti, e saprebbero render fertile una roccia. Del resto, lo hanno fatto.

Elsa                 - (a Elfrida) Rossom potrà lavorare. (A Simen ). E la gente, com'è?

 Simen             - Sono persone molto semplici, che vivono nel paradiso senza saperlo. Anzi, senza vederlo. Capiscono che e bello attraverso la gioia che noi proviamo standoci. Ma sono prudenti con la bellezza della natura. Non come noi che ci mettiamo subito nudi, e finiamo col perdere la testa. E poi sono buoni. Hanno considerazione di chi soffre. Io non penso davvero di andar via di qui. Forse la prima volta che non avrò be­vuto e che avrò ricevuto un vaglia, forse al­lora...

Elfrida             - Voi siete solo, qui?

 Simen             - Hanno pietà di me perché sono un in­namorato deluso. Ma credo che sarebbe lo stes­so se si trattasse di un banchiere fallito, o d'un uomo perseguitato dalla fortuna, o d'un poeta infelice. Ma non dite a nessuno che esiste un luogo come questo: Eraclea. Non ne parlate: quando tornerete nelle vostre città, dimenticate­lo. Di gente come voi non ne hanno bisogno, qui; non è vero, Manoela?

Manoela          - Il signor Simen sta qui da due anni. A lui ci siamo abituati, e se un giorno man­casse, ci mancherebbe qualche cosa. Quando lo vedo in barca, sugli scogli, nelle spiagge, sem­pre solo, mi pare di capire troppe cose. Io non avevevo mai pensato che il nostro paese fosse tanto bello. Lui è là come se dicesse « Guarda­te! » iE poi dice certe parole, certe frasi, il si­gnor Simen ... Anche a me vengono a volte cer­ti pensieri che non avevo mai pensato e che non riesco a dire.

 Simen             - E io ero... un uomo pratico, che sbrigava i suoi affari. A furia di star solo ho imparato anch'io a pensare come un vero uomo. Cioè co­me uno di qui. Avete sentito come parla la pic­cola Manoela? Dice parole grandi come i suoi occhi, più grandi della sua età (versandosi da bere). Siamo dei bruti, noialtri, ecco.

Manoela          - Non bevete più, Simen .

 Simen             - (a Elfrida) Dunque, un toro V'inseguì in Danimarca, e...

Elfrida             - (che parla volentieri di queste cose, ar­rossendo e confondendosi). Sì, m'inseguì. E mi sbalzò in aria. Io sapevo fino a quel momento cinque lingue e quando mi rimisi dalla caduta ne avevo dimenticate di colpo due.

 Simen             - Ah: Anche voi siete un poco... (si toc­ca la fronte con le dita).

Lotte               - E poi, ha molta paura dei serpenti, fino a non poter guardare quelli dipinti sulle inse­gne dei farmacisti...

Elfrida             - E' così. Ma non bisogna occuparsi di me. Io sono una donna senza interesse.

 Simen             - Perché non sedete accanto a me, per rac­contarmi tutto?

Lotte               - (a Elfrida che si addossa alla spalliera del­la sedia e non intende muoversi) Andate, mia cara. Rossom rimarrà molto sorpreso vedendo­vi con un uomo che s'interessa di voi. (A Ma­noela). Quando arriva il vapore?

Manoela          - Fra poco, alle sette.

Lotte               - Bisognerà che io vada ad aspettare Rossom.

Elsa                 - (a Lotte ). Ci ha mandate con la corriera per rimanere solo con Karin.

Lotte               - Vi fa meraviglia, Elsa?

Elsa                 - Si: non è cortese. Volete che vada io ad aspettarlo e a dirgli che siamo qui?

Manoela          - Aspettate altre persone?

Lotte               - Mio marito e un'altra signora.

Manoela          - Volete cenare qui?

Lotte               - Volentieri.

Manoela          - Vado a chiamare mio fratello (esce).

Lotte               - (a Elsa). Andrò ìo al vapore, voi rimanete qui.

Elsa                 - No, verrò con voi, se permettete.

Lotte               - Come volete. Ma voi avete troppe cure per Rossom. Gli uomini non apprezzano queste cose. (Entra Filippo).

Filippo             - Allora, che cosa possiamo preparare?

Lotte               - Che cosa possiamo avere?

Filippo             - Se volete una frittura di pesce, potete scegliere.

Elsa                 - No, forse...

Filippo             - Frittura di pesce.

Lotte               - Che c'è d'altro?

Filippo             - Se desiderate una frittura di pesce...

Lotte               - Insomma, non c'è che frittura di pesce...

Filippo             - Sissignora, frittura di pesce. Si può sce­gliere frittura di pesce.

Lotte               - Allora, frittura di pesce.

Filippo             - (disinteressato) E' molto buona.

Elsa                 - Va bene. Andiamo ad aspettare Rossom.

Elfrida             - (levandosi) Vengo anch'io.

Lotte               - No, no, mia cara. Voi aspettate qui.

Elfrida             - (confusa, siede al suo posto).

(Lotte ed Elsa escono dalla porta di fondo). (Manoela entra da sinistra).

Manoela          - Per voi è preparato di là nella sa­letta, Simen .

 Simen             - Fra poco. Ma non potrei stare qui?

Manoela          - No, Simen, sarà meglio che stiate di là. (a Elfrida). Non io fate parlare troppo, e state attenta che non beva. E rimandatelo presto di là. (Esce).

Elfrida             - (confusa e agitata, siede di traverso sulla sua sedia, con la tazza vuota davanti, volgendosi verso Simen che sta al suo tavolo e fa per al­zarsi) Non vi sedete accanto a me... Possiamo parlare così.

 Simen             - (seduto al suo posto) Vi fermerete qui?

Elfrida             - Dipende daRossom   - Voi credete che lavorerà bene, qui, Rossom? Io sono la sua se­gretaria.

 Simen             - A che cosa dovrebbe lavorare qui il si­gnor Rossom?

Elfrida             - Non conoscete Rossom? E' un filosofo, un pensatore molto moderno. E' celebre.

 Simen             - Sì, mi pare di aver sentito nominare il signor Rossom, quando mi trovavo lassù in quei paesi. E' fuggito il signor Rossom?

Elfrida             - No, fuggito, perché?

 Simen             - Non è ancora accaduto nulla in quei paesi?

Elfrida             - La vita è molto difficile e aspra...

 Simen             - E i pensatori in disuso...

Elfrida             - Perciò Rossom...

 Simen             - AI diavolo questo Rossom.

Elfrida             - Cercherebbe qui una casa. Dove si tro­va una casa?

 Simen             - Potrebbe abitare quassù, al piano di so­pra al Caffè dei Naviganti. C'è anche una bel­la terrazza.

Elfrida             - E quanto verrebbe a costare?

 Simen             - Non più di centocinquanta lire al mese. Ma voi...

Elfrida             - E di chi è la casa?

 Simen             - Del padrone di questo locale. Si chiama Filippo. Io mi chiamo Simen ... E voi?

Elfrida             - (cavando di tasca un taccuìno, scrìve (///al­che appunto) Centocinquanta. E il vino? Do­ve si trova il vino buono?

 Simen             - Chiedete quello delle Piane. Come vi chiamate?

Elfrida             - (scrivendo) Delle Piane. E c'è un pe­scatore che possa fornirci tutti i giorni?

 Simen             - Sì, un certo Surace.

Elfrida             - (scrivendo) Surace. Esse, u, ra, ci. e. Va bene, così, Surace?

 Simen             - Quando vi trovavate in Danimarca, in che anno?

Elfrida             - L'appartamento è grande?

 Simen             - – E’ molto tempo che seguite Rossom?

Elfrida             - La vita costa molto? E la frutta?

 Simen             - Non potrei sapere il vostro nome?

Elfrida             - Di solito i bottegai si approfittano de­gli stranieri?

 Simen             - Avete veduto il muro degli innamorati?

Elfrida             - (interessata). No, dov'è?

 Simen             - Là, lo vedete? C'è anche il mio nome.

Elfrida             - E chi ci scrive?

 Simen             - (descrittivo) Chi è innamorato. Spesso si trova scritto: « Ho aspettato inutilmente qui»: oppure: «Domani alle sei, qui», e non ci son date. Domani. E sono cose di chissà quan­ti anni.

Elfrida             - (spontanea). Molto bello. Queste sono le cose che mi piacciono. Mi piace vedere co­me vivono gli altri. Questo deve essere un gran­de paese se la solitudine si sopporta facilmente come fate voi.

 Simen             - Già, la solitudine qui è come un'eco del­la felicità passata. E del resto, guardate gli al­beri nella luce, guardate ogni oggetto com'è chiaro e importante.

Elfrida             - Sono felici gli abitanti?

 Simen             - Non hanno inquietudini né nostalgie né rimpianti. Vivono nelle loro case così bianche e nei loro giardini ombrosi. Quando non la­vorano, guardano quello che si vede, e sono contenti. (Si sente il segnale del vapore).

Elfrida             - (con un balzo) E' Rossom!

 Simen             - Come lo aspettate!

Elfrida             - (con profondo stupore e con una inespri­mibile rassegnazione) Io? che dite!

 Simen             - (avvicinandosi al tavolo dì Elfrida) Ascoltate...

Elfrida             - No, non vi avvicinate, no, no, no. (E' sbigottita. Il suo è un pudore spinto fino al­l'estremo: auasi un pudore di adolescente). Entra Mandela.

Manoela          - Simen, per voi è apparecchiato di là.

 Simen             - (che si era alzato ed era rimasto in piedi in mezzo alla stanza, si avvia). - Eccomi. Buona sera, signora.

Elfrida             - Buano sera.

Entra Orlando dalla porta di fondo. E' un bel giovane, statura di atleta, e ha una certa nobiltà, propria della bellezza. E' vestito di un abito da fatica da marinaio, ma sembra che indossi chissà quale pittoresco costume. Ha nel pugno una canna di bambù lunga un metro e tnezzo sulla cima splende una fiocina di rame affila/a come uno stiletto, sbarrata a metà da due alette ugualmente di rame.Con lui entra il pescatore Surace, un uomo meno giovane di Orlando, ma forte e con un'a­ria furba.

Orlando           - Manoela, un grappino. Surace, bevi an. che tu un grappino? Due, Manoela.

Manoela          - Subito. (Si avvia verso la porta di si­nistra senza mai perdere di vista Orlando. Esce).

Orlando           - (a Surace) C'è un dentice così che gira da queste parti da due giorni. Con questi occhiali (indica un paio di occhiali, molto si­mili a quelli degli automobilisti, che ha sullafronte) si vede sott'acqua tutto un paesaggio come quello in cui viviamo. Ci sono montagnee valli. E piante. Si vede tutto chiaro, e più grande del vero. Si stende la mano per afferra­re qualche cosa, magari un filo d'alga, e ci si accorge che tutto è lontano. Anche i pesci sem­brano più grandi e più vicini. Bisogna abituar-cisi e sapersi regolare. Prova a tuffarti anche tu, qualche volta.

Manoela          - (intanto è rientrata con due bicchie­rini di grappa) Ecco, Orlando. A voi, Surace. / due tracannano il bicchiere d'un fiato.

Orlando           - (con una smorfia di delusione) Che cosa ci ha dato, Manoela!

Manoela          - (scoppiando a ridere) Che c'è?

Surace             - (con una smorfia) Era acqua! Ci hai dato dell'acqua!

Manoela          - (graziosamente stupida). Oh, scusate! Era uno scherzo.

(Versa dalla bottiglia il liquore nei bìchìerìni e li porge ai due che tracannano il liquore).

Orlando           - Tu fai sempre di questi stupidi scher­zi, Manoela. Che gusto ci provi? L'altro gior­no (a Surace) mi dà una pera sbucciata, ed era una patata cruda.

Manoela          - Non dire niente a mio fratello. Pro­mettimi di non dirgli niente, Orlando. (Gli si raccomanda come se dovesse difendere un segre­to proibito, e il tono della sua voce, il suo mo­do sono molto gravi in confronto alla racco­mandazione d'una complicità cui evidentemente attribuisce uno strano valore).

Orlando           - (afferrandola per i capelli). Promettimi di non farlo più.

Manoela          - (molto offesa nella sua dignità di pic­cola donna) Ohi, mi fai ima le, lasciami stare. Lasciami stare. Ti mordo. Ti mordo. Lo dico a mio fratello.

Orlando           - (lasciandola) Hai ragione che devo an­dare a pescare...

Manoela          - (con un nuovo capriccio) No, non ci andare, Orlando, non ci andare. Non voglio che tu vada.

Orlando           - Che cosa sono queste smanie da barn bina!

Manoela          - (molto seria). Oh. non ci andare. Or­lando.

Surace             - Venite a vedere anche voi. Manoela.

Manoela          - Mio fratello non vuole. Dice che sono una donna.

Orlando           - E si sbaglia, come al solito.

Manoela          - Queste non sono cose che ti riguar­dano. E poi, tu non capisci niente.

Surace             - I pesci, vedendolo sott'acqua non han­no nessuna paura. Anzi gli si avvicinano. Lui nuota nuota come se fosse uno di loro, poi ar­riva sotto e li infila. Questa è la parte più dif­ficile. Poi li segue, li segue, nuota, nuota, e a un certo punto ricompare a galla coi pesci infilzati che si muovono ancora, belli, nuovi. Lo si vede risalire e sprofondare come un del­fino. E' pericoloso, anche. Se per caso la fio­cina non imbrocca, e torna indietro di colpo...

Manoela          - (con un brivido). Non ci andare, Or landò. Stasera non ci andare.

Orlando           - (avviandosi, seguito da Surace). Non fare la nevrastenica, Manoela. Se» un soldo di cacio. (Si 'avvia seguito da Surace). Sulla porta, dopo che Orlando    - è uscito, Surace lascia il passaggio a Elsa che toma.

Surace             - Volete la barca, signorina?

Elsa                 - (asciutta). Sono appena arrivata in au­tobus.

Surace             - Sarà per un'altra volta. Domani, se vo­lete. Posso aspettarvi a una cert'ora. La potetefissare, se volete.

Elsa                 - La barca mi fa male.

Surace             - Per l'amor del Ciclo! pensate alla sa­lute. Io voglio che stiate benissimo. A servirvi, (Si avvia, si volta).La mia barca si chiama la nuova Brigida. E io, Peppino Surace. Riverisco. (S'inchina, poi si vol­ta a guardarla. Elsa fa lo stesso. Poi siede con una spallucciata al suo posto, accanto a Elfrida).

Elsa                 - Che razza di maleducati. Guardano in un certo modo... Non hanno nessuna idea della dif­ferenza di condizione. Qui ci si sente subito tut­ti eguali.

Elfrida             - Dov'è Rossom? E' arrivato? Gli piace?

Elsa                 - Karin si è messa a fare le sue solite storie.

Elfrida             - Non le piace?

Elsa                 - Ne è entusiasta. Appena sbarcata si è mes­sa a cercare i corallini sulla spiaggia. Rossom è beato. Anche lui si è messo a cercare i co­ralli. Io non ci resisto.

Elfrida             - (con un sospiro). Bisogna dire che Ka­rin è molto graziosa.

Elsa                 - (contrariata) Non dico di no. Ma le sue smorfie io non le sopporto, ecco. E che un uo­mo come Rossom si stupidisca dietro di lei...

Elfrida             - (premurosa). Ho lavorato un poco per voi ; Elsa. Un appartamento si può trovare al piano superiore di questa casa. Non dovrebbe costare più di centocinquanta lire al mese. C'è un pescatore che può rifornirci; è quel Surace. Per il vino, bisogna chiedere quello delle Pia­ne. Troverete tutto segnato in questo foglio.

Elsa                 - Grazie, cara Elfrida.

Elfrida             - Ditelo a Rossom Gli farà piacere. E poi, ce una curiosità. Il muro degli innamo­rati, quello laggiù dove sono disegnati i cuori intrecciati, coi loro nomi.

Elsa                 - (in uno dei famosi momenti in cui l'emo­zione la prende a tradimento) Davvero? Non ci fate caso, Elfrida, sono un po' stanca. E' il clima, l'aria, la luce. Mi sento improvvisamen­te infelice senza ragione. O forse felice. L'Ita­lia mi fa questo effetto (Si copre il viso con le mani e si curva sul tavolo. Poi leva il viso e dice a Manuela che ha osservato lutto con aria pensierosa e pronta). Volete portare un vermut per cinque persone?

Manoela          - Pronto (esce).

(Annunziato da una risatina di Karin entraRossom    - È un bell'uomo, e qualche anno fa era bellissimo. Certo, fa impressione vedere che un viso apollineo come il suo può essere incor­niciato alle tempie da un principio di canizie, ma bianchissima. Parla sapendo di parlar bene, di avere una bella voce, e sopratutto, d'essere ascoltato e amato. Per quanto la sua attenzione sia rivolta a Karin Cui lascia il passo sulla porta, non dimentica che Elsa edElfrida at­tendono un suo gesto e una sua parola. Perciò, amhe quando non parla con esse, rivolge a loro un sorriso, un piccolo inchino. Come tutte le persone che vogliono piacere a ogni costo a lutti, ha qualche tratto estremamente delicato, quasi femmineo e affettato. Dà un'occhiata al-l ingiro e fa intendere che l'ambiente è di suo gusto. Anche questa occhiata, come tutto quello che fa, è importante. Poi si rivolge a Karin con uno sguardo interrogativo. KArin, non si capisce bene se sia soddisfatta del luogo o di sé. Ella è veramente bella, lo sa, e aggiunge alla sua bellezza una capricciosa grazia che per poco non diventa manierosa. E' molto giovane, a quanto pare. Aia la sua gra­zia ha qualcosa di antico, come un'educazione tradizionale, di quelle che rendono quasi adulte certe bimbe allevate molto bene).

Karin               - (mostrando la sua borsetta aperta) Ma guardate quanti bei coralli, Rossom! Voglio coglierne tanti e farmene una collana. Credete che mi starà bene?

Rossom           - A meraviglia.

Karin               - Avete veduto quella nutrice che scen­deva a Sorrento? Che colore di pelle,Rossom           - Una pelle color del latte: e gli occhi... Come si fa ad avere un colore simile, Rossom?

Elfrida             - (guarda Elsa che le ricambia lo sguardo d'ironica intesa).

Karin               - (prendendo posto al tavolo delle due donne) Credo che domani comincerò il mio grande quadro. Oh, aspetterò che spunti il nuovo giorno come una bambina che sa che domani è Pasqua.

Rossom           - (sedendo anche lui) Il vostro quadro avrà per soggetto quel paesaggio tropicale che mi avete descritto?

Karin               - Già, ma ho pensato qualche cosa di nuovo. Vi ricordate che cosa voglio fare: un'acqua verde d'un fiume tropicale fra piante stranee mostruose. Nell'acqua del fiume, vi sono
alcuni  

Elsa................ - (interrompendola). Ippopotami...........................

Karin               - (ribadisce) Ippopotami, sì. E su uno di questi ippopotami, dipingerò una donna nuda

Rossom           - Capisco. Questo significa... Che cosa significa? Voi avete una grande abilità nel combinare gli clementi più disparati e più op­posti in una armonia suggestiva. Vi ricordatequando volevate dipingere un pianoforte in un deserto? Siete veramente moderna. Giorgione dipingeva delle Veneri nella natura. De Chirico delle statue antiche nei deserti delle piazze an­tiche, come in una natura artificiale. Voi, un pianoforte, un prodotto della meccanica, in un deserto.

Elsa                 - (fredda) Sembrerà un cartello di pub­blicità.

Manoela          - (entra col vermut, lo serve).

Karin               - (senza raccogliere l'apprezzamento che Elsa ha fatto senza contenersi). Bellina, la piccina, vero?

Manoela          - (cui si riferiscono queste parole fa un mezzo giro su se stessa, per parere disinvolta, e poi scappa di là, come se le avessero fatto un regalo che vuol considerare da sola).

Elsa                 - Abbiamo profittato dell'attesa per pren­dere alcune informazioni. C'è da stabilirsi di­scretamente...

Rossom           - Siete molto gentile, cara Elsa.

Karin               - (restituendo con molta leggerezza il colpo ricevuto prima) Perché vogliamo parlare subito di queste cose? E' così bello non pensare a nulla. O se vogliamo fare dei progetti, diciamo che andremo in barca e che visiteremo punto per punto la costa con le sue spiagge solitarie. Impareremo da questa gente l'arte di costruire le case. E l'arte di coltivare i fiori. Avete ve­duto dappertutto come splendono i fiori nella sera? E impareremo da essi il segreto della loro pace, della solennità, e del tenero disin­canto che forma la vita di questa gente.Rossom - (la guarda estasiato. Come per far suo il pensiero di Karin). Il loro sapiente scetti­cismo che non impedisce loro di appassionarsi alla vita. (Ma capisce che deve dare ad Elsa un compenso). Cara Elsa, alla vostra salute. (Alza il bicchiere del vermut verso di lei. Poi verso Elfrida). Cara Elfrida... Karin... (Tutti bevono dopo aver alzato il bicchiere. Entra Lotte. Porta un grande cesto di frutta fra cui, nel mezzo sta diritto un bel mazzo di fiori semplici e popolari).

Lotte               - Mi hanno dato questa frutta per pochi soldi, e siccome non avevo spicci, mi hanno detto che pagherò a comodo. E hanno aggiunto questi fiori. Non sono gentili?

Karin               - (in un improvviso trasporto, battendo le mani). Oh, dipingerli, come sarebbe bello di­pingerli!

Elfrida             - (che ha allungato la mano per prendere un frutto la ritrae subito).

 Rossom          - Oh, prendete pure, mia cara. Tanto se ne troveranno sempre. Che arte, Karin, come tutto è disposto semplicemente.

Elsa                 - Per raggiungere queste cose ci vuole una vecchia civiltà che ha fatto arte per centinaia d'anni.

Karin               - Oh no, basta essere popolo, di qualun­que parte si sia.

Elsa                 - (con intenzione). Io sono tempre grata del bene che mi fanno.

Karin               - (risentita). Perché? Forse io non sono grata? Di che cosa devo essere grata? A chi?

Elsa................ - A chi ha intrecciato così bene questi fiori
e disposto queste frutta. A chi ci dà questa
gioia di vivere...

Lotte               - Per l'amor del ciclo, non cominciamo a discutere. Non facciamo la stessa storia di ieri.

 Rossom          - Si manifestano i propri pensieri.

Lotte               - No, Rossom, qui si letica. Da quando sono con voi non sento altro che leticare.

Elfrida             - Noi fuggiamo leticando. (Ha detto queste parole con la sua aria di donna fragile e debole).

Karin               -. Noi fuggiamo? Come sarebbe a dire?

Elfrida             - (con la stessa aria). Fuggiamo le nostie città e la civiltà. Che cosa stiamo facendo tutta la vita se non fuggire e leticare... Eravamo tutti d'accordo soltanto alla frontiera, appena vedemmo il sole.

Lotte ............. - Io invece vi raggiunsi a Firenze, e......................................

Elsa                 - A Firenze avevamo già cominciato da un pezzo. Ma non e, poi, proprio leticare. A Firenze tutti mi tenevano il broncio perché non avevo scelto bene la trattoria, e Rossom scoprì che il pollo costava meno in un altro locale: e siccome io sono l'amministratrice.... (Fa il broncio. E’' in 'uno dei suoi famosi mo­menti di emozione. Guarda dritto davanti a sé mentre apre e chiude nervosamente la borsetta).

Lotte               - (a Rossom). Come, vi occupate ancora di queste meschinerie, Rossom?

 Rossom          - (cortese). Nessuno ebbe a dirvi nulla di male, mia cara Elsa.

Lotte               - Oh, immagino, Rossom, che cosa siete stato capace di dire, anzi, di far intendere allacara Elsa. Perché, vedete, Elsa, Rossom, più sono alti i suoi pensieri, e più è meschino nella vita comune. Lo conosco.

 Rossom ........ - (educato). Cara Lotte, è poco delicato
da parte vostra...

Lotte               - (a Elsa). Oh, lo immagino, cara, e vi compatisco.

Elsa                 - Lotte, non seguitate a compatirmi, altri­menti piango: e non ci sono abituata.

Lotte               - Vi farebbe bene piangere un poco.

Elsa                 - (con le lacrime in pelle in pelle) Lo so, ma piangerò appena sarò sola.

Rossom           - (agitando scherzosamente la mano da­vanti agli occhi di Elsa) Elsa, cara Elsa, non vi esprimerò mai abbastanza la mia gratitudine per quanto fate per noi. (Le porge le mani).

Elsa                 - (stringe le mani di Rossom e lo guarda coi suoi teneri occhi, riconciliata. Sorride).

Lotte               - Come vi basta poco. Elsa!

Karin               - (col suo tono più frivolo) Da quando abbiamo passato il confine siamo tutti molto emotivi. Si piange e si ride con una facilità estrema. E si letica, lo stessa, quella sera a Verona, quando vidi l'ombra che invadeva la piazza delle Erbe, provai uno stringimento di cuore, un affanno, come se mi ricordassi di chissà quale dolore. E non avevo nulla. Siamo ormai governati dalla natura, dal sole, dalle nuvole, dallo scirocco.

Rossom           - Sì, dolcissima

Karin               - (s'inchina); spesso leticare è un modo di esprimersi, e molto più teneramente di quanto non si creda.

Lotte               - Se è così, vi esprimete tutti benissimo. Ma siete sempre così d'accordo?

Elfrida             - (con la sua solita espressione) Non sempre. Quando si sta bene. Nei nostri paesi, con la neve e il freddo, eravamo molto buoni.

Karin               - Naturalmente, eravamo alleati contro il clima cattivo. Quando la natura è troppo buona tocca agli uomini di essere inquieti.

Elsa................ - (il litigio si riaccende. Elsa..................................... si è ripresa dal suo momento di debolezza). Scusate, Karin, il vostro nazionalismo a ogni costo.

Karin               - (superba) Il mio nazionalismo? Io sono europea.

Lotte               - Siete una democratica.

Karin.............. - Democratica io? Io sono socialdemo­
cratica 

Elfrida             - (ironica). Non è più di moda.

Lotte               - Era di moda l'anno scorso. Ora è di moda... Che cosa è di moda, Elfrida?

Elfrida             - (noncurante) E' di moda guadagnare più che si può e parlare della rivoluzione so­ciale.

Karin               - In arte sono per il realismo. Beninteso, il nuovo oggettivismo.

Elsa                 - (acida). E dipingete le donne nude sulla groppa degli ippopotami?

Karin               - Ma questo è un realismo poetico. (La concitazione ha un momento di sosta).

Elfrida             - (col tono dei ragazzi che dicono a volte parole da indovini). Scoppierà una bella ri­voluzione.

Rossom           - (che è rimasto tutto il tempo confuso e incerto, senza intervenire per non dispiacere a nessuno). Che dite, Elfrida?

Elfrida             - So che quando non si trovano due per­sone che vadano d'accordo, scoppiano le rivo­luzioni. (Ha parlato senza dare importanza a quel che dice). Ora tutti stanno leticando per il realismo, il neorealismo, il neoggettivismo e fanno profonde distinzioni fra democratici e socialdemocratici. Si odiano per l'aggiunta diuna particella o di un aggettivo e si ucciderebbero per questo.(Vocìo, esclamazioni, confusione di parole. E scesa la sera, la stanza è in penombra).

Lotte               - (esclama all'improvviso dominando con la sua voce il chiasso). Oh, la luna, la luna, la luna!

(Sta salendo infatti una bella luna piena, dolce e lenta, che s'inquadra 'd'un balzo nell'arco del portico. La luna ha invaso col suo chiarore la stanza.Improvvisamente nel vano della porta appare la figura di Orlando. Ha i pantaloni rimboc­cali, e una maglia aderente gli delinea il petto. Brandisce la fiocina su cui è infilato un pesce d'argento. Resta un attimo sulla porta, poi entra. Nello stesso tempo dalla porta di sinistra en­tra Manoela che reca un lume. Filippo la segue portando un gran piatto di pesci fritti, Manoela appende il lume nel mezzo. Filippo posa il piatto sul tavolo).

Filippo             - (a Orlando), - E' andata bene la pesca.

Orlando           - Finalmente c'è cascato, eh?

Manolea          - Vuoi un grappino. Orlando?

Orlando           - No, piuttosto un bicchier di vino.

Karin               - (improvvisamente colpita, a Orlando) Un vermut?

Orlando           - (con semplice cortesia). Grazie signora.

Manoela          - Non gli piace il vermut.

Karin               - (levandosi e andando incontro a Orlando, con un bicchiere) Siete tutto zuppo.

Orlando           - (semplicemente). Ci sono abituato.

Karin               - (a Rossom). Non è vero che tutto è bello qui, Rossom? (fa un gesta ampio con le mani, come per significare che tutto attorno è bello).

Lotte               - (a ROSSOM, che pensieroso non ha udito le parole di Karin) Non avete sentito, Rossom?

Rossom           - (come svegliandosi) Come dite, mia cara?

Karin               - (con una punta di irragionevole malumore) Voi non ascoltate mai quando parlo.

Orlando           - (prende il bicchiere che gli porge Ka­rin. Con un gesto rivolto all'ingìro. Ma si trova vicina Karin).

Rossom           - (si leva col bicchiere in pugno. Ma non fa un passo che incontrerà un altro bicchiere e lo tocca col suo. E' il bicchiere di Lotte. Ne è contrariato).

Lotte               - (urla sorridendo il bicchiere di Rossom Con voce ironica). Alla gloria Rossom!

Rossom           - (rimane col bicchiere levato, in piedi davanti a Lotte. Cerca di guardare Karin di sopra alla spalla di Lotte ). Alla gloria, Karin!

Karin               - (tocca col suo il bicchiere di Orlando) Alla felicità, Orlando!

Orlando           - (guarda Karin, mormorando a fior di labbro parole che si sentono appena, come un soffio, tanto egli è stordito) Alla vostra sa­lute, signora.

SIPARIO


ATTO SECONDO

La terrazza dell'appartamento occupato da Ros som, al piano sovrastante il Caffè dei Navigami. La terrazza è coperta da una tenda estiva a stri­sce. Aperta da sinistra, con qualche garofano fio­rito, un buganville, un limone in un vaso; la terrazza è chiusa a destra da un muro d'un bel colore giallo dorato. La porta è in fondo. Un ballatoio a sinistra dà sulla strada. E' il mattino.

Karin                           - (sta seduta a un tavolino. Ha un giornale straniero aperto sul tavolo, ma non se ne inte­ressò).

Manoela          - (in piedi avanti a Karin). Una gra­nita di limone con qualche biscottino? Karin A quest'ora?

Manoela          - Quando comincia a far caldo, noialtri si usa così.

Karin               - Va bene. Una granita di limone con qualche biscottino.

Manoela          - E' buona, è fresca, è profumata (esce da sinistra. Entra Rossom).

Rossom           - Buon giorno, Karin, avete dormito bene?

Karin               - Magnificamente, grazie. (Ella ha ancora gli occhi pieni di un sonno felice).

Rossom           - Dei sogni?

Karin               - Nessun sogno. Sentivo di dormile, ed ero contenta. Mi sentivo sicura, E voi?

Rossom           - Voi non sapete che effetto mi fa stare in Italia. Mi sento un altro, e penso perfino in un altro modo. Ho dormito anch'io, ma il mio pensiero lavorava. Dirci che sbocciava. Io dor­mo, e il mio cuor veglia, come dice un poeta italiano.

Karin               - Era molto che mancavate dall'Italia?

 Rossom          - Quattro anni. Stavo dall'altra parte della montagna.

Karin               - Con una donna, naturalmente.

Rossom           - Ero molto infelice allora. E solo. Avevo un compagno, lo conoscete, forse; un certo Strom, il quale occupava la stessa casa del­l'anno avanti, però aveva un'altra donna. Sic­come era stato felice l'anno prima con la sua prima moglie, portò negli stessi luoghi e fra le stesse mura la seconda.

Karin               - E questa seconda lo sapeva?

Rossom           - Credo di sì.

Karin               -. E furono felici?

Rossom           - Pareva di sì. Ma si lasciarono alla fine della stagione. Egli non si arrese affattoe tornò ancora l'anno seguente con una terzamoglie, nello stesso posto.

Karin               - Se ci si era trovato bene... Non sono tutti come Simen  che non riesce a dimenti­carne una. Ma è vero che Simen non è uno scrittore, ma un semplice uomo.

Rossom           - Avete torto, mia cara; Simen sta cor­rendo dietro a Elfrida. Mi farebbe piacere per quella figliola. Ma ha una paura tale degli uomini... E poi, il suo terrore degli animali. E' un trauma, o come si direbbe, un complesso contro l'uomo. Se Simen riescirà a smuoverla. Ma mi sembra ditficile.

Karin               - Perché no? Simen non ha un aspetto preoccupante.

Rossom           - Come siete intelligente.

Karin               - Sono donna, Rossom.

Rossom           - Mi sono sempre augurato una donna come voi, con icui si possa parlare e che abbia cosi acuta l'intelligenza veramente femminile.E' come prendere contatto con la natura, E voi state molto bene qui, in armonia con voi stessa, in questa luce, dove tutto è vero, tutto preciso. Da qui, e accanto a voi, tante cose, che ci parvero vere, sono menzogne e false apparenze.

Karin               - E poi, la sera, il lume a petrolio in­duce a coricarsi presto. La prima luce ci sve­glia. Una volta tanto, anche noi si vive secondo l'ordine del mondo. Per un poco si torna veri.

Rossom           - E per poco che ci si fermi, ci si di­mentica di tutto; cioè ci si contenta di poco, e questo significa dimenticarsi di tutto. Credo che standoci più di sei mesi si diventa altri uomini. Guardate Simen .

Karin               - Ma Simen è un naufrago. Io dico che bisognerebbe essere come uno di questi che sono nati e vivono qui.

Rossom           - Impossibile. Noi giudichiamo con la mente di chi è abituato ai rapporti sociali. Questi ne fanno del lutto a meno. Perciò non sapremo mai bene come possa reagire un ita­liano a certi sentimenti e avvenimenti. Sarà sempre sorprendente e proprio il contrario di quello che ci aspettiamo.

Karin               - Davvero? (Ella è interessata alle parole di Rossom come se s'innestassero in una sua profonda coscienza).

Rossom           - V'interessa?

Karin               - Moltissimo.

Rossom           - (prendendole con trasporto una mano) Karin!

Karim              - (abbandonando la sua, inerte, e poi ri­tirandola) Seguitate.

Rossom           - Stamattina siete splendida.

Karin               - Grazie,Rossom Che stavamo dicendo?

Rossom           - Ali, già. Dicevo: quando arrivammo qui... quanto tempo è?

Karin               - Sette giorni.

Rossom           - Come fate a ricordacene con tanta precisione? A me sembra un mese. Dunque, quando arrivammo qui, il mio pensiero si ag­girava intorno alla differenza che corre tra paesi cattolici e paesi protestanti, tra latini e nordici.

Karin               - Dite,Rossom - (Ella ascolta come una scolara. Ha l'aria di voler rendersi conto di qualche quesito che le preme molto).

Rossom           - (compiaciuto di quell'attenzione) Sicuro. Vi dirò soltanto il punto cui sarei arrivato, tra­scurando i gradi attraverso cui è passato il mio pensiero. I cattolici, diciamo meglio, i latini, hanno una filosofia semplice e chiara, diciamo, un modo di concepire la vita, i rapporti, infine l'arte. Poiché sono vicini alla natura, la loro vita, come la loro letteratura e la loro arte, si risolvono in espressione poetica, in opera di arte, in poesia. I nordici, cioè i protestanti, hanno invece problemi filosofici, partono dai concetti anziché dalla natura, e perciò hanno delle mode, nelle idee come nel costume, nella vita come nell'amore Per i latini, la realtà è quella che fu sempre e che sempre sarà.Perciò, letteratura, arte, filosofia protestante, sono affidate al mutare del tempo, mentre quelle latine hanno lo stesso accento sempre, da Ora­zio a d'Annunzio. Loro hanno concetti eterni ; noi concetti transitori.

Karin               - Voi volete stampare queste cose?

Rossom           - Perché no? Essi hanno idee chiare. Per esempio, nessuno di quelli che ci vedono vivere qui, insieme, tre donne e un uomo, pen­seranno mai che la realtà sia quella che è.Non immagineranno mai che Elsa è una donna che mi segue perché è un'amica, che Elfrida è la mia segretaria, e che tra voi e me non ci siano altro che rapporti di affetto... per quanto io vi ami e vorrei essere amato da voi. Son cose che nella testa di un latino non di­venteranno mai ragionevoli.

Karin               - (naturale) E difatti non sono cose ra­gionevoli.

Rossom           - (colpito). Voi dite queste cose, Karin?

Karin               - Anch'io ho pensato e riflettuto da quando mi trovo qui. Stare come noi stiamo, non im­proprio istintivo. L'istinto consiglierebbe tutta un'altra soluzione. Della gente vera, si rifuge­rebbe ciascuno in quello che ama. Questo si­gnifica che qualcosa in noi è sciupato. Che cosa ci fa l'Elsa? Elsa vi ama.

Rossom           - Devo toglierle questa illusione?

Karin               - E come fa a sopportare la mia presenza, se sa che voi mi amate?

Rossom           - Se lei si contenta di questo...

Karin               - Ed Elfrida?

Rossom           - Elfrida è una povera debole, troppo debole pei tempi in cui viviamo.

Karin               - Ma vi ama anche lei.

Rossom           - Non ne ha la forza.

Karin               -. E vostra moglie.

Rossom           - Le è rimasto per me un affetto ma­terno.

Karin               - E io? Se io vi amassi, Rossom, non tollererei nessuna di queste persone intorno a voi. E nessuna di queste donne, amandovi sul serio, tollererebbe me. E neppure voi, voi non vorreste vedere altri che me. Insomma...

Rossom           - (con trasporto). Se questo è il vostro desiderio...

Karin               - (obbiettiva) No, io non vi amo. Io fac­cio parte di questa piccola corte che vi segue, Sono cose che paiono abbastanza ragionevoli in una città grande, troppo grande, dove la gente è nemica, dove la vita è difficile e dura, dove i sentimenti veri e profondi si dimenticano. Ma qui... non vi accorgete che tutto è falso in noi, che siamo della povera gente, dei mendicanti di affetto. E che voi stesso non avete abbastan­za forza per legare una sola donna a voi, per la vita e per la morte.

Rossom           - Non vi riconosco, Karin.

Karin               - Non mi riconosco neppur io. E’ il famo­so effetto che questi luoghi fanno anche sui pen­sieri. Ce ne sono che impazziscono come il povero Simen; e ce ne sono che rinsaviscono.

Rossom           - Karin...

Karin               - (con fervore, calorosamente) La casa che noi abbiamo è bella. Il rumore delle onde riempie le nostri notti. La valle laggiù è piena di fiori che stanno nell'ombra, e si ricordano di fiorire due mesi dopo che la loro stagione è passata. Siamo d'estate, e ho veduto nella valle sbocciare i fiori della primavera. E’ fioriscono in fretta perché hanno perduto molto tempo.

Rossom           - Karin...

Karin               - Io passo delle ore a guardare il capel­venere sulle rocce. E le barche che vanno sulle onde, e sembrano cariche di felicità. E’ i remi che aprono le braccia e le richiudono, e le ria­prono, così... '(aprendo le braccia).

Rossom           - (stendendo le braccia verso di lei) Karin.

Karin               - (in un impeto di cui non la si crederebbe capace) Rossom, io amo. Io amo Orlando, io gli voglio bene, lo gli voglio molto bene.

Rossom           - Chi! Quel pescatore? ( Rossom non ha altre parole da dire. E' il tipico intellettuale composto di due nature diverse, una istintiva e l'altra riflessiva. Tutto il suo parlare porta que­sta impronta. Non è comico, fa pena). Voi, Karin... Anche voi... Certo, può succedere. Perché non può succedere? Voi siete qui per la prima volta. Tutto quello che si vede intorno... E' na­turale. Voi non mancate in nulla verso «di me, non avete nessun impegno con me. Noi ci era­vamo proposti di farci compagnia durante un viaggio in Italia. Certo, io speravo che anche voi un giorno mi avreste amato... E’naturale. Io E’ià vi amavo, ed ero certo di amarvi quan­do ci fermammo, vi ricordate, a Terracina. In quella cattedrale, davanti al sentimento della vita che era passata, io sentii cos'è la vita. E’ le donne in quella strada stretta dietro la chiesa, e i bambini, con lo stesso senso sereno della vita che passa. Allora sentii che vi amavo... E’ forse anche a voi pareva di amarmi allora, non è vero?

Karin               - (chiusa) Non me ne ricordo.

Rossom           - (addolorato ma sostenuto) Naturalmen­te, naturalmente. Avete la virtù delie donne di cancellare con una frase quello che è stato. Di togliere quello che avete dato, (t'ausa). E lui.' vi ama?

Karin               - (intrecciando nervosamente le mani) Non lo so, Rossom, come volete che lo sappia?

Rossom           - Avete ragione Io non ho il diritto... (Non arriva a scindere la sua emozione dal ra­gionamento). Mi dispiace, Karin, come devo dir­vi che mi dispiace?

Karin               - (in un momento di passione chiaroveg­gente e tutta in preda all'istinto) Ma dite qualche cosa, Rossom, dite qualche cosa. Parlate come un uomo. Dovete parlare come un uomo, Rossom.

Rossom           - (balbettando). Vi ammiro, Karin. Che cosa devo dirvi?

Karin               - (in uno slancio che non è per Rossom, gli afferra le mani) Mi avete perdonato, Rossom?

Rossom           - (ridivenendo padrone di se) Mia cara, non è questione di perdono. Ognuno deve cer­care la sua felicità. (Ritira le mani).

Lotte               - (entrando). Oh, buon giorno!

Karin               - (in piedi, raccolta in se stessa). Buon gior­no, Lotte.

Rossom           - (senza guardarla). Buon giorno Lotte.

Lotte               - Non vi ho voluto disturbare mentre la­voravate, Rossom Poi ho sentito che parlavate qui in terrazza.

Rossom           - Sì, sono qui da mezz'ora.

Lotte               - Volevo dirvi soltanto che ora potrò par­tire. Vi siete sistemati bene, avete trovato unabella casa ;avete cominciato a lavorare. Ora pos­so andar via tranquilla.

Rossom           - Grazie Lotte, siete molto buona. Non dimenticherò mai le vostre premure.

Lotte               - E spero che siate felice. (A Karin). E’ voi, mia cara...

Karin               - (meccanicamente) Grazie Lotte, siete molto buona.

Lotte               - (con un sospiro) E voi siete sempre un uomo fortunato, Rossom.

Rossom           - (distratto) Sì, Lotte.

Lotte               - E’ se ci fosse qualcosa di nuovo, Rossom?

Rossom           - (sfuggente). Sì, \se ci fosse qualcosa di nuovo...

Karin               - Volete dirlo a vostra moglie, Rossom?

Lotte               - Capisco, cara, capisco.

Karin               - No, Lotte ; non potete aver capito.

Rossom           - (impacciato) Lotte, io non vi ho mai nascosto nulla, voi sapete tutto di me.

Lotte               - Eh, sono tanti anni...

Rossom           - (irritato, trova la via per manifestare la sua irritazione). Voi parlate sempre di anni, Lotte.

Lotte               - Non sono forse tanti anni?

Rossom           - Trovo di cattivo gusto parlare di mol­ti anni, di tanti anni. 'Sono cose di cattivo gu­sto, Lotte. Ciò che conta veramente Lotte. .. è che Karin è innamorata!

Lotte               - Oh, oh... Ma lo avevo capito fin da Ter­racina. Soltanto la buona Elsa può ancora du­bitarne.

Rossom           - Voi avete l'abitudine di parlarmi sem­pre della buona E’ Voi la proteggete, e sa­pete che le vostre é -' tteite...

Lotte               - Avete sempre fatto male a non darmi ascolto.

Rossom           - E’ v'ingannate anche questa volta...Karin     - non è innamorata di me.

Lotte               - Così presto?... E di chi allora? Ci sono forse degli uomini da queste parti?

Rossom           - Di Orlando, il pescatore.

Lotte               - Oh, quel pescatore? Un bel ragazzo.

 Rossom          - Lotte, voi parlate sempre di giovani e di età. Trovo ciò di cattivo gusto.

Lotte               - (rassegnata). Vedo che oggi non potrò partire. Vogliamo sederci?

Manoela          - (entra con la granita e i biscotti. A Karin) Ecco, signora.

Rossom           - Che cosa avete ordinato, Karin?

Manoela          - Eh, la signora si sta adattando ai no­stri gusti.

Lotte               - (trattiene a stento una risata. Osserva la granita). Portane un'altra per me.

Rossom           - (dignitoso). E anche per me.

Lotte               - Eh, sì. Rossom.

Rossom           - (umile). Voi avete esperienza, voi siete passata attraverso tante cose nella vita, che po­tete capire...

Lotte               - Ma sediamoci dunque. Anche quando ci lasciammo noi due, ci mettemmo a sedere per ragionare con calma.

Rossom           - Avete una memoria terribile.

Lotte               - Voi ne avete tanto poca perché siete un artista. Voi trasformate, trasformate le cose con la fantasia, e...

Rossom           - (quasi sottovoce) Lotte, che cosa dovo fare?

Lotte               - (sottovoce) Ma... Karin è innamorata diOrlando? Che cosa volete fare?

Rossom           - (raccomandandosi) Lotte, ho molta sti­ma nella vostra esperienza.

Lotte               - Voi mi avete sempre detto die ognuno deve seguire la sua felicità; voi lo avete sem­pre fatto, Rossom.

Rossom           - E’' giusto, Lotte, ma...

Karin               - (in piedi) Che c'è da discutere? Rispar­miamoci le discussioni. Rossom Vi ho detto che l'amo. E’' un sentimento che mi ha preso su­bito, appena l'ho veduto.

Rossom           - Lotte, dovete sapere che Orlando non sa nulla di questo sentimento.

Lotte               - Lo sa però lei (indicando Karin). E questo mi pare abbastanza.

Karin               - (con indifferenza) Mi pare che Lotte abbia ragione.

Rossom           - Abbiate pazienza, Karin. Sentiamo come vede le cose Lotte.

Lotte               - E voi credete, Rossom che se Orlando non sa nulla dalla bocca di Karin non sappia ugualmente tutto?

Karin               - (come se fosse stanca). Lasciatemi stare, Lotte, per lavore. Non parliamo di queste cose.

Lotte               - Ma no, no, no, ragioniamo. Noi ab­biamo sempre ragionato.

Karin               - (animandosi) Non voglio che entriate in queste cose che pei me sono sacre.

Lotte               - Avete capito, Rossom? E’ veramente an­ch'io sono dell opinione di Karin. Se quella è la sua felicità...

Rossom           - (divenuto, come tutti gl'innamorati, pue­rile) La felicità, la felicità... Che cos'è la ieli­cità? per me, è di vivere accanto a Karin.

Lotte               - E quella di Kann di vivere accanto a Orlando. E quella di Elinda di vivere accanto a Rossom E quella di Simen di vivere accanto a Eva sua ruggita. Lo vedete come sono latte le cose. E magari la Ielicità di Orlando sarà...

Karin               - (appassionata) Oh,Lotte voi credete pei caso...

Lotte               - lo non credo nulla. Vi dico soltanto come è fatto il mondo degli innamorati.

Karin               - (ingenua) Ma è terribile, Lotte.

Lotte               - Mia cara, io vi credevo più forte e obiet­tiva.

Rossom           - (ostinato) Ragioniamo, dunque.

Karin               - Ma io non voglio ragionare. Io non ra­giono.

Lotte               - Imparerete mia cara.

Rossom           - (stupito). Dunque, Karin ama Orlando. Orlando ama...

Karin               - (in un grido). Orlando ama me.

Manoela          - (entra con le granite).

Lotte               - (A Karin) Ne siete sicura?

Karin               - (con fervore) Sì, sì mi ama. Non è pos­sibile che non mi ami. Io lo amo.

Rossom           - E vi pare che basti?

Karin               - (sicura). Oh, sì, basta.

Manoela          - (con una voce di testa, stonatissima). Ecco le granite coi biscotti. (Esce di corsa).

Rossom           - Dunque Karin ama Orlando, Orlando ama...

Karin               - Ama me. E questo riguarda soltanto me, me sola.

Lotte               - Voi state vaneggiando. Non è questione di combinare nomi.

Rossom           - (come chi ha preso una decisione). lo devo dire una sola cosa per parte mia. Devo dire... (Si passa una mano sulla /tonte: quel-'lo che dice gli costa una certa fatica), lo devo dire una cosa molto importante. (Pausa). Ed è che a me, di Karin, importa fino a un certo punto...

Karin               - (con un'esclamazione di sollievo). Oh, dunque...

Rossom           - Lasciatemi parlare. Voglio dire che Karin può amare Orlando. Pazienza, sono cose che capitano.

Lotte               - E' la prima volta che ragionate da uomo.

Rossom           - (pacato) Però, io non posso fare a meno di Karin. Insomma, io ho bisogno di vi­vere accanto a Karin, di sentirla nell'altra stan za. Avere vicino Karin; che l'anima, non i sensi diKarin      - mi appartengano, questo per me è importante. Che cosa volete che m'im­porti., (non termina, ma si capisce che vuol dire « il corpo »).Silenzio sbalordito di tutti. Karin sta per scattare. Lotte la trattiene.

Lotte               - (con stupore) Oh, Rossom, a questo sie­te arrivato? Povero Rossom Io non vi credevo capace di tanto. Non lo avete mai fatto nella vostra vita,Rossom. Che bene mi fate.

Karin               - Ma che significa, che significa!

Lotte               - (irritata) Non vi pare immorale, stu pido, indegno di un uomo... Rossom...

Rossom           - Voi non potete capire, Lotte.

Lotte               - Capisco, capisco, Rossom.

Rossom           - Questa di Karin è un'infatuazione. Le piace il bel giovane, forte e sano nella natura. Che c'entro io con queste cose? Ma l'anima, ma lo spirito, il cuore di Karin...

Karin               - (in uno slancio). Sono tutta di Orlando.

Rossom           - (imperturbabile). V'ingannate, mia cara. Voi non siete forte in psicologia.

Lotte               - Insomma, che cosa volete, Rossom, ditelo.

Rossom           - Ecco;Karin    - potrà vedere Orlando quando le piacerà. Potrà vederlo anche in questa casa, che significa? Un bel giovane, un bel gio­vane, che cosa conta... Peuh!

Lotte               - (sbalordita). Peuh, peuh, peuh!...

Karin               - Ma avrò pure il diritto di dire quello che penso. Lasciatemi parlare. In fondo, è una cosa che mi riguarda molto da vicino. Entra Elfrida.

Elfrida             - C'è Orlando, il pescatore.

Karin               - Dov'è? (Balza in piedi).

Elfrida             - Io vado a fare una passeggiata con Simen . Per questa mattina abbiamo finito di la­vorare, Rossom?

Rossom           - Sì, cara Elfrida.

Karin               - Dov'è Orlando?

Elfrida             - Gli dirò di salire. Ha un cestino di pesci. (Esce. Anche Rossom e Lotte si levano in piedi).

Rossom           - (a Karin) Avete un appuntamento.

Lotte               - Sarebbe la primi» scena di gelosia, Rossom.

Karin               - Non avevo nessun appuntamento. Io so dove trovarlo.

Entra Orlando. Volge all'ingiro uno sguardo interrogativo. In uno slancio Karin gli è di fronte. Orlando si volge verso Rossom, poi verso Lotte. Non capisce.

Rossom           - (dignitoso) Volete accomodarvi. Orlando?

Orlando           - (stupito). Io? (subito intuendo, aggres­sivo) Ah! Avete da parlarmi? Bene, sono pron­to. E non abbiate paura. Eccomi. Avanti!

Rossom           - (senza raccogliere la frase). Ho sem­pre avuto simpatia per voi.

Orlando           - (stupito) Per me?

Rossom           - (manieroso) Spero che mi farete il piacere di frequentarmi qualche volta. La mia casa è sempre aperta per voi. Se volete venire oggi a colazione con noi...

Orlando           - (è sbalordito. Si aspettava ben altro, forse. Si rivolge a Karin).

Karin               - (sta a capo basso e non ha il coraggio di guardare Orlando. Accenna a parlare rivolta a Rossom).

Rossom           - (prevenendola e, cinico, se non fosse di­sinvolto e superiore). Karin, forse potreste te­nergli compagnia un'oretta? (Si alza Jrer avviarsi).

Lotte               - (sottovoce a Rossom) Siete terribile Rossom.

Rossom           - (avviandosi. A Orlando). Allora, a fra poco. (A Lotte, sottovoce). Cara Lotte, io de testo le tragedie.

Lotte               - (trasecolata). Siete spaventevole, Rossom.

Rossom           - (fermo) Mi difendo. Rossom e Lotte escono.

Orlando           - (è rimasto confuso). Karin!

Karin               - Già. Siamo soli. (E’' contrariata. Qualcosa nell'atteggiamento di Rossom la confonde, men­tre la condotta di Orlando la stupisce e forse la delude. E raffreddata, è calata di tono. E in uno di quei momenti che gli uomini chiamano inesplicabili nelle donne).

Orlando           - (pieno d'una gioia da innamorato) Spe­ravo di vedervi passando. Non che mi chia­massero. Siete stata voi a farmi chiamare?

Karin               - Io no; Rossom è stato.

Orlando           - (naturale) In questi giorni sono pas­sato tante volte qua sotto. Non mi avete vedu­to? E sono stato delle ore intorno a quegli sco­gli, e giù in quelle grotte là di fronte.

Karin               - Eccomi, ora mi potete vedere tranquil­lamente.

Orlando           - Speravo che, scorgendomi di lontano, scendeste giù. La strada non è difficile, è sol­tanto un poco ripida.

Karin               - La conosco. Andiamo spesso a fare il ba­gno laggiù. E' la nostra spiaggia.

Orlando           - Appunto. E allora pensavo che sare­ste venula. Mi avreste veduto all'opera con la fiocina, giacché v'interessate tanto.

Karin               - Non credevo che foste voi.

Orlando           - E' un peccato. Io invece vi scorgevo benissimo. Vi avrei riconosciuta anche se ci fos­sero state mille persone quassù.

Karin               - Davvero!

Orlando           - Vi riconosco come si riconoscono i pa­renti. Conosco i vostri gesti e il modo di stare con la persona.

Karin               - Potevate salire.

Orlando           - (con semplicità) Difatti salii, ieri. Chiesi se volessero dei pesci. Venne quella si­gnora... come si chiama? e non fu possibile ve­dervi. Me ne andai cantando. Non mi rima­neva altro per farmi sentire. Avete capito che ero io?

Karin               - No, mi dispiace. Io sentivo cantare, ma non pensavo che eravate voi. E vi avevo ve­duto andare su e giù nell'acqua. Sì vi ho ve­duto.

Orlando           - Mentre andavo via cantando, sentii d'improvviso per istrada il vostro profumo. Era rimasto nell'aria come uno sciame d'api.

Karin               - (ironica) Oh!

Orlando           - Vi dispiace quello che ho detto?

Karin               - (evasiva). No, anzi. (Con intenzione). Ora siete qui.

Orlando           - (imbarazzato). Già, eccomi. (Pausa). Rimarrete qui molto tempo?

Karin               - Oh non so, credo. Forse sei mesi. For­se un anno.

Orlando           - Sei mesi, un anno...

Karin               - Ecco.

Orlando           - (stordito). Come?

Karin               - (lo guarda. Tace. Pausa brevissima).

Orlando           - (primitivo). Avevo da dirvi molte co­se quando ero laggiù sulla spiaggia. Ma è proprio strano che non abbiate sentito che ro vi aspettavo, lo sento quando uno mi cerca; è co­me se mi chiamasse per nome.

Karin               - (non senza ironia) Succede così ai bei gio­vani meridionali?

Orlando           - Che volete dire? Credo che succeda a tutti. A volte, se io cerco qualcuno che mi preme molto, so dove si trova, lo sento, e vado a cercarlo a colpo sicuro. E quasi sempre non mi sbaglio. Non è così?

Karin               - (attenta) Non so. Non l'ho mai sentito dire.

Orlando           - (umile) Ma questa volta mi ero sba­gliato.

Karin               - Pare di si. Del resto, se mi potete vede­re facilmente, in casa mia... (Ha parlato con ri­sentimento).

Orlando           - Che significa! Certo qualche cosa the io non capisco.

Karin               - (acre) Non siete qui? Non è facile ve­dermi? Dunque!

Orlando           - E' come se mi rimproveraste. Ho fat to male a venir qui. Mi sono sbagliato.

Karin               - (con leggerezza). No, Orlando, non vi siete sbagliato.

Orlando           - Non mi riesce di parlare come volevo.

Karin               - Non è questione di parlare, Orlando.

Orlando           - Avrei da chiedervi una cosa.

Karin               - Avanti.

Orlando           - Quel Rossom...

Karin               - Si, mi ama, e poi? Credo che gli di­spiacerebbe molto vivere senza di me. Iolo ve­nero e lo ammiro. E' un compagno che mi mancherebbe se non mi fosse vicino. Egli è la mia guida. E' difficile spiegarvelo, Orlando. Ma questo non vi dovrebbe interessare. Noi siamo gente ragionevole, moderna. (Ha parlato con profonda stanchezza e quasi con acredine).

Orlando           - Da quando vi sto parlando, Karin, e come se qualcuno mi desse dei pugni in testa. Non mi sono mai sentito così.

Karin               - (sempre più acre, come se si rimproverasse qualcosa a sé stessa) Rossom ve Io ha detto. Non dovete farvi nessuno scrupolo, e potete stare in casa nostra quanto volete. Egli è un uo­mo superiore. Non può abbassarsi a certi sen­timenti molto primitivi. Non sono cose che lo riguardano.

Orlando           - (fervido) Ha capito?...

Karin               - (prendendosi gioco dell'ingenuità di Or­lando). Che cosa deve capire?

Orlando           - (disorientato) Scusate... Mi sono sba­gliato. Niente.

Karin               - (rinforzando crudelmente il gioco). Ca­pirete molte cose in seguito, Orlando. I bei giovani non devono pensare. (Si appoggia a lui posandogli una mano sulla spalla).

Orlando           - Ho fatto molto male a venir qui.

Karin               - Perché? Intanto starete a colazione con noi.

Orlando           - Quando penso che vi aspettavo, che vi ho aspettato, che non ho fatto altro che aspettarvi. Sono venuto qui con un cestino di pesci soltanto per sentire la vostra voce...

Karin               - (amara) Molto bello, molto pittoresco...

Orlando           - E invece... invece... Voi non mi par­late come a un uomo, Karin, ma come a un piccolo animale. Sono sicuro che a Rossom non parlereste così.

Karin               - (semplice) No, non parlerei così.

Orlando           - Proprio non capisco come siete fatta.

Karin               - Che ve ne importa, Orlando? Non vi piaccio, forse?

Orlando           - Non mi sono mai sentito così pic­colo di fronte a una donna. O forse vi divertite a umiliarmi?

Karin               - (ride nervosamente e si avvicina a Or­lando). No, Orlando...

Orlando           - (diffidente). No, state lontana. Voglio vedervi bene.

Karin               - (dolce e amara) Non vi piaccio? Non so­no graziosa? Guardatemi.

Orlando           - (contemplativo). Non ho mai veduto una donna più bella di voi.

Karin               - (sottile e diabolica). Voi mi abbracce­reste, Orlando?

Orlando           - Sì.

Karin               - Voi mi buttereste sulla spiaggia?

Orlando           - Sulla spiaggia? No, nelle grotte...

Karin               - (infida) Ah, al chiuso. E' più giusto. E qui? Abbracciatemi Orlando.

Orlando           - (le si avvicina senza credere a sé stesso).

Karin               - Non ti voglio! Stai lontano, Orlando.

Orlando           - (colpito dall'improvviso avvertimento, arretra). Lo sapevo. Volevate prendervi gioco di me. No, tu sei la donna di quell'altro.

Karin               - (cattiva) Sei un piccolo pescatore, Orlan­do. Sei un povero giovane, ingenuo e senza cervello.

Orlando           - Avete ragione, Karin, non dovevo le­vare gli occhi sopra di voi. E' una punizione che mi merito.

Karin               - (ride istericamente) Hai capito, finalmen­te, Orlando?

Orlando           - Non capisco perché Io avete fatto. Non Io capisco.

Karin               - (seguita \a ridere).

Orlando           - (offeso). Non ridete, Karin, non ne 3vete il diritto.

Karin               - (ridendo) Povero Orlando, e pensare che... Ah, ah )ah!

Orlando           - (le si avvicina e la prende per le spal­le). Non ridere ti ho detto, non c'è bisogno di ridere.

Karin               - Povero Orlando, come mi fai pena! (Non si ferma più; ride).

Orlando           - (scrollandola forte) Non ridere. Mi hai umiliato abbastanza. Tu avevi bisogno di prenderti gioco di me. E ci sei riuscita. In un'ora mi hai sprofondato nell'inferno. Mi hai calpestato e umiliato. Questo volevi? Ero un uomo, e hai fatto di me un bambino.

Karin               - (ridendo e piangendo). No, non strin­gere, Orlando. Mi fai male.

Orlando           - (senza lasciarla). Che cosa volevi da me? Mi hai gurdato per sette giorni interi. Mi hai covato con gli occhi. Me ne sono accorto, sai. Una volta mi sei passata accanto e ti sci piegata verso di me come se stessi per cadermi fra le braccia. E ti ho sentita, come eri. Non dormii tutta la notte,

Karin               - (quasi vinta). Lasciami, Orlando.

Orlando           - Non ti lascio. Ora parlerai.

Karin               - (rivoltandosi). Sei un uomo ridicolo, Or­lando. Sei un uomo che sta qui, in casa d'altri, in casa di Rossom.

Orlando           - Eri tu che volevi.

Karin               - (isterica). Ma tu accettavi. Sei un piccolo uomo, Orlando. Tu non hai sangue nelle vene. Lasciami.

Orlando           - (alzando le mani e liberando Karin) Ti chiedo perdono d'essermi lasciato vincere. Sono stato debole.

Karin               - (esasperata) No, non sei un uomo.

Orlando           - (le dà uno schiaffo. Poi sulla stessa im­pronta dello schiaffo la bacia, prima furiosa­mente, poi dolcemente. Poi la lascia. Si mette a sedere ansimante). Hai capito ora?

Karin               - (con voce mutata, ma femminilmente ma­liziosa) Sei un bruto, Orlando. In questo momento entra Lotte.

Lotte               - Che c'è, Karin?

Orlando           - Stavo dicendo che oggi non posso ri­manere a pranzo. Ho da fare.

Lotte               - Rossom ne sarà dolente.

Orlando           - Bene, dite a Rossom che...

Karin               - Tu non hai nulla da mandare a dire a Rossom.

Lotte               - Macché, -siete a questo punto?

Karin               - (indicando Orlando). E' un insolente.

Orlando           - E' il momento per me di levare l'incomodo.

Lotte               - Non ci disturbate affatto, Orlando.

Karin               - Sì, mi disturba.

Orlando           - Me ne vado subito. (Esce).

Karin               - (obiettiva). Mi ha dato uno schiaffo.

Lotte               - Diggià!

Karin               - (abbracciando Lotte ). Sì, mi ha dato uno schiaffo.

Lotte               - E perché abbracciate me, cara?

Karin               - (puerile). Ha certe mani dure... Oh, Lotte, come sono infelice! Dov'è Rossom?

Lotte               - Non gli vorrete dire che Orlando vi ha dato uno schiaffo?

Karin               - (irresponsabile). Gilelo dirò, come non glielo dirò?

Lotte               - Ne soffrirebbe troppo. Entra Elsa. Porta un mazzo di fiori.

Elsa                 - Sono degli insolenti! Non uscirò più sola.

Lotte               - Che vi è accaduto Elsa?

Elsa                 - Voi conoscete Surace, quel pescatore...

Lotte               - Bene, sì, lo conosco.

Elsa                 - Mi ha accompagnata in barca fin quasotto.

Lotte               - E voi non volevate?

Elsa                 - Sì, volevo. Ma mentre scendevo... Mentre mi aiutava a scendere... Oh, non lo dirò mai!

Lotte               - Vi ha dato uno schiaffo?

Elsa                 - Uno schiaffo? A me? No.

Lotte               - Karin ha avuto una discussione con Or­lando, e Orlando le ha dato uno schiaffo.

Elsa                 - (quasi con gioia). Uno schiaffo? Ma allora, dolcissima Karin... (Subito acre). Quel pescatore Surace            è un insolente. Non si fa così con una donna sola. Lotte, quando avrete occasione di vedere Surace, domandategli che cosa voleva significare... No, anzi è meglio che vada a do­mandarglielo io. (Esce risoluta).

Karin               - Esco anch'io, Lotte. Ho bisogno di muo­vermi un poco.

Lotte               - (ironica) E se incontrate Orlando, doman­dategli che cosa voleva significare anche lui. Karin esce. Entra Elfrida.

Lotte               - Uscite anche voi, Elfrida? Non vi è accaduto nulla di strano?

Elfrida             - Che mi doveva accadere?

Lotte               - Non siete stata a passeggio con Simcn?

Elfrida             - Sì, sono tornata da poco.

Lotte               - E non vi ha dato uno schiaffo?

Elfrida             - Mi doveva dare uno schiaffo?

Lotte               - Sicché, non avete nulla da dire?

Elfrida             - Oggi è scirocco; ho il cerchio alla te­sta. Dove sono le altre?

Lotte               - Uhm... Tornano fra poco.

 Lotte ed Elfrida escono per la porta di fon­do. Entra Manoela da sinistra. Si guarda in­torno. Si accosta al tavolino su cui è il vassoio delle granite. Entrano Karin e Orlando.

Manoela          - (con una voce di testa). Sono venuta a prendere il vassoio.

Orlando           - (a Karin). Dimmi che dividerai tutto con me.

Karin               - (sommessamente, religiosamente). Tutto.

Orlando           - Le notti e i giorni.

Karin               - Le notti e i giorni.

Orlandp           - La tempesta e la bonaccia.

Karin               - La tempesta e la bonaccia.

Orlando           - II fondo della barca e il Ietto stretto della mia casa.

Karin               - E il tuo pane.

Orlando           - E la nostra gioia.

Manoela          - (con la stessa voce, più forte di prima) Sono venuta a prendere il vassoio!

Karin e Orlando non si accorgono della pre­senza di Manoela. Si prendono forte le mani. Orlando attrae violentemente a sé Karin. Si abbracciano.Manoela lascia cadere il vassoio e i bicchieri in terra.Manoela (si china a raccattare i cocci, e con la sua voce più stonata, quasi piangendo). Ero ve. nuta a prendere il Vassoio!

SIPARIO

ATTO TERZO

Una scogliera sul mare, che forma una breve insenatura sabbiosa con una grotta in fondo. E' passato qualche mese dal secondo atto. Pomerig­gio sul finire dell'inverno.

Entrano Surace e Kurt. Kurt è arrivato da poco; è dello stesso paese di Simen, e porta un abito antiquato.

Surace             - Simen dovrebbe essere qui. (Chiama) Simen, Simen! (Nessuno risponde).

Kurt                - E che cosa fa di solito, qui?

Surace             - Questo è il suo angolo preferito.

Kurt                - «Angulus ridet» dice Orazio. Quest'an­golo di terra gli sorride, diremmo noi.

Surace             - Come? Guarda il mare. (Parla alzando la voce, forse troppo, come fa di solito la gente semplice con chi non capisce bene la lin­gua, e perciò la tratta come sorda). Simen molto infelice. Innamorato. Innamorata fuggita... (Si aiuta coi gesti).

Kurt                - (approvando col capo). Io comprendo, coni-prendo.

Surace             - (come sopra). E guarda il mare. E pensa. Anch'io guardo il mare, e penso, penso... (imi­ta gli atteggiamenti di Simen, ma si capisce che il suo cervello è pronto e malizioso, per nulla offuscato).

Kurt                - (ride spesso apparentemente fuor di prò posito. E' un nordico che ride dove un latino non trova nulla di ridicolo. Guarda interessato Surace). Oh, oh, oh, «Quanta specie-sì». Dalla parte opposta risponde la voce di Simen, sullo stesso tono di Surace, poi si vede Simen avanzare. Egli replica come un frate risponde­rebbe al versetto d'un salmo.

 Simen             - Dove sei, fratellino mio Surace?

Surace             - (a Kurt). Sentite le belle parole che dice? Mi chiama fratellino. E' una pensata che ha fatto ultimamente.

Kurt                - «Arcades ambo», direbbe il mite Vir­gilio, ovverosia, siete tutti e due della stessarisma.

Surace             - E poi ha fatto un'altra pensata. Io so­no barcaiolo. Lui viene nella mia barca; io lo porto al largo, e quando è al largo lui si butta. Non sa nuotare, e alloro mi devo buttare an­ch'io a tirarlo su. E' la terza volta che me lo fa. Si diverte. Mi promette venti lire tutte le volte. Ma non paga mica. Tutti gii fanno credito, e io ilo salvo a credito.

Kurt                - (chiamando e andando incontro a Simen ). Simen!

Surace             - Simen, c'è qui un vostro compaesano che ­vi cerca.

 Simen             - Kurt, sei tu?

Kurt                - (stringendogli la mano) Sei sempre lo stesso, Simen .

 Simen             - I miei anni si sono fermati. Sono passa­ti quattro anni dacché non ci rivediamo. Eb­bene, io ho l'età di allora. Ma se tornassi nel nostro paese, i vecchi anni mi salterebbero ad­dosso a graffiarmi.

Surace             - Ma che belle parole! Sembra di leg­gerle!

Kurt                - Tuo fratello ti aspetta, Simen .

 Simen             - Mio fratello? Quello (indica Surace) è il mio fratello.

Kurt                - Il tuo posto è vuoto, Simen . Se tu rifiu­terai di seguirmi tuo fratello ti considererà per­duto.

 Simen             - Là c'è un posto vuoto. E qui ce n'è un altro. Pensa che qua, dove tu sei, e più avanti ancora, passo dietro passo, è passata lei. Ha occupato uno spazio nella juce. E non c'è più. Una persona che passa da una dimensione al­l'altra, ci hai mai pensato, Kurt, che fatto straor­dinario?

Surace             - E sappiate, signor... come vi chiamale, che da stamani Simen non ha bevuto un goccio.

 Simen             - Sono a digiuno, Kurt.

Surace             - Ma è sempre Io stesso.

 Simen             - (con lo stesso tono trasognato) Mi hai por­tato del denaro, Kurt?

Kurt                - Per l'ultima volta, Simen .

 Simen             - Oh, caro professor Kurt. Denaro! Non ne vedo da tanto tempo. Rimane ancora mollo in me del vecchio uomo. Un po' di denaro mi sveglia lucidamente come se mi levassi alle quat­tro di mattina. Vedo tutto più chiaro e più lim­pido. Sì, Kurt, può darsi che io pana con te. C'è molto denaro?

Kurt                - Per pagare i tuoi debiti e pel viaggio. Quando arrivò Eva lassù, noi credevamo di ve­derti ricomparire. Ti aspettavamo da giorno a giorno. Eva si è sposata lo sai?

 Simen             - Lo so: mi lasciò quando sembrava che il nostro amore sarebbe durato eterno. Mi scrisse una detterà in cui mi diceva che non mi aveva mai amato e che se ne accorgeva lasciandomi. E poiché non mi amava più, poteva dire tranquillamente di non avermi mai amato. Così co­me ella passò di qui. E' come. se non fosse mai passata. Sono sicuro che non la riconoscerei ve­dendola, e che mi domanderei se quella tu pro­prio quell'ava. Immagino Eva oggi: una rispet­tabile signora, che come eia pazza di Ironie al cielo al mare e al soie, sarà prudente nei nostu paesi comodi e casalinghi.

Kurt                - Quando intendi partire?

Surace             - Partite, dunque, Simen ?

 Simen             - Ve l'ho sempie detto, Surace. Quando mi fosse arrivato del denaro e mi tossi trovato adigiuno...

Surace             - Allora partirete di mattina.

 Simen             - Ora sto diventando il più anziano. Il pil­lilo straniero sbarcato qui, un vecchio colore ui tempo, una vecchia aria, una vecchia canzone.

Kurt                - Tu non hai mai voluto studiare, Simen . Ma ti trovo divenuto eloquente. Eri un ragazzo un poco insipido. « Mens agitat molem » dice il buon Virgilio. Alla fine la materia è vinta dallo spirito.

 Simen             - Se anche tu rimani un poco qui, da quel gufo che sei diverrai una colomba.

Kurt                - Rispondi, Simen, parti con me stasera?

 Simen             - Così presto!

Surace             - Se volete un consiglio, non bevete oggi, Simen .

Kurt                - (a Surace). Beve molto?

Surace             - Se uno di noi bevesse come lui, sarebbe detto uno schifoso ubriaco. Ma egli sa farlo con tanto garbo, che è reputato soltanto un uo­mo strano.

 Simen             - (a Kurt) Hai sentito? dove vuoi trovare una definizione migliore dell'ipocrisia?

Kurt                - (tossisce imbarazzato). Partirai dunque con me, Simen ?

 Simen             - Ma tu non hai veduto nulla di questo mi­rabile paese. Vieni con me. Vieni a salutarlo, e io gli dirò addio. Escono Simen e Kurt.

Entra Elsa dalla parte opposta da cui sono usci­ti i due.

Elsa                 - (fingendo sorpresa alla vista di Surace) Oh!

Surace             - Volete la barca, signorina?

Elsa                 - (recisa e ostile). Non voglio la barca, grazie.

Surace             - Sarà per un'altra volta. Pensate alla sa. Iute.

Elsa                 - Non sarà per un'altra volta.

Surace             - Me ne dispiacerà anche per quest'altia volta.

Elsa                 - Voi dite sempre parole sconvenienti.

Surace             - Che ci volete fare? Sono barcaiolo. Car­rettiere di mare.

Elsa                 - Non fate bene il vostro dovere.

Surace             - Non è un dovere, ma un piacere.

Elsa                 - Non vi affiderei mai una donna come me.

Surace             - Voi non parlate soltanto con un bar­caiolo ma con un proprietario, anche. Io ho una casa e un giardino. In quel pezzo di terra comando io. E' grande così, ma comando io.

Elsa                 - Fareste bene a non uscire dal vostro giar­dino.

Surace             - Lo coltivo, ma mi rimane tempo. E poi, non mi date consigli. So da me come vanno le cose dei mondo.

Elsa                 - Vi cerco da molto tempo. Ma voi avete pensato bene di scomparire.

Surace             - Mi potete sempre tiovare sulla spiaggia o al Caffè dei Naviganti.

Elsa                 - Con Simen .

Surace             - C'è qualcosa di male? Simen è diven­tato come uno di noi.

Elsa                 - Simen ha portato il disordine morale.

Surace             - E voi avete portato l'ordine? Un uomo con tre mogli e una vedova...

Elsa                 - Rossom non ha tre mogli ed io non so­no una delle mogli di Rossom E poi, sua mo­glie non è vedova.

Surace             - Oh, sapete, noi non facciamo tante di­stinzioni. Ma oggi siete in vena di discutere con me?

Elsa                 - No, passavo e cercavo di Karin.

Surace             - Deve essere più in là a tirare la rete con Orlando. O forse sta dipingendo. Gli ha fatto molti ritratti.

Elsa                 - So che vita fa.

Surace             - Anch'io. Vive con Orlando.

Elsa                 - Orlandonon è un barcaiolo, ma un vero pescatore. E poi è un uomo gentile ed edu­cato.

Surace             - Sì! S'è portata via Karin.

Elsa                 - (pedante) Non se l'è portata via. Karin non è un fiasco che si porta via.

Surace             - Ma non si può parlare, con voi.

Elsa                 - Siete inesatto. Dite sempre parole a spro­posito. Del resto, da un uomo così disordi­nato...

Surace             - Imparerò quando mi sposerò.

Elsa                 - Vi sposerete?

Surace             - Dico per dire. Ma bisognerà pure che mi sposi, no? Così m'imbarco e vado a lavo­rare tutti i giorni.

Elsa                 - Vi sposate e poi v'imbarcate?

Surace             - E allora, che mi sposo a fare, se non mi sposo per lavorare? Da noi usa così. Per lavorare bisogna che uno abbia moglie e figli cui dar da mangiare. Altrimenti, che si lavora a fare?

Elsa                 - Prendetemi in barca. Portatemi a casa. Parto stasera.

Surace             - Oh, mi dispiace...

Elsa                 - E devo dirvi, Surace, che non siete trop­po delicato. Anzi...

Surace             - Sono un maleducato, lo so: me lo dite tutte le volte che m'incontrate.

Elsa                 - Non soltanto maleducato, oh no.

Surace             - Avete trovato qualcosa di nuovo?

Elsa                 - Niente di nuovo. E' una cosa molto vec­chia... e non sono ancora riuscita a spiegar­mela.

Surace             - Molto vecchia? Ma se ci conosciamo appena da sei mesi!

Elsa                 - (quasi offesa) Non ve ne ricordate più.' Quel giorno che mi accompagnaste in barca e scesi davanti a casa... La prima volta... (Si ver­gogna, si confonde).

Surace             - (illuminato). Ah, allora! Che memoria!

Elsa                 - Ve ne ricordate? (Ansiosa).

Surace             - Altroché! Ricordo benissimo, anzi... (Sì passa la mano sulla bocca, maliziosamente).

Elsa                 - (severa). Non Io dimenticherò mai!

Surace             - E io neppure. (E’' quasi ironico).

Elsa                 - (coprendosi il viso). Sst! basta, non ag­giungete altro. Andate ad accostare la barca.

Surace             - (allegro) Vado subito. Voi aspettatemi su quello scoglio. (Indica davanti a se, fuori). Escono ognuno da una parte diversa ma nella medesima direzione. Entra Karin.

Karin               - (guarda davanti a lei il mare, e chiama con un lungo grido) Uuuuuuh! Karin ha indosso i segni d'una vita forte e dura a contatto con gli elementi. La sua gra­zia ha preso maggior risalto, e quel tanto di commovente che suggerisce la bellezza esposta alle offese del tempo. Le si è dorata la pelle. I suoi occhi sembrano molto più azzurri e profondi. E' sempre vestita con cura, ma guar­dando il pastrano ancora di buon taglio che la ricopre, vien fatto di pensare a una difesa dal freddo più che a una toletta. La voce di Orlando le risponde vicina, sulla cadenza delle onde.

Orlando           - (entra. Porta una rete sulle spalle. Egli sì è invece raggentilito, come se Karin gli avesse comunicato qualcosa della sua delica­tezza). Quei maledetti delfini!

Karin               - (andandogli incontro). Di nuovo?

Orlando           - Questa volta l'hanno conciata bene la rete. (Svolge la rete in terra). Guarda, guarda che roba!

Karin               - (Guardando di sopra alle spalle di Orlando che si è curvato sulla rete) Sì, è molto peggio dell'altra volta.

Orlando           - Qui ci vuole una giornata a ripararla. Eh, sì. Bisognerebbe passare la notte all'ad­diaccio dove s'è buttata la rete e stare sotto la tenda nella barca, all'erta. Ora arriva l'epoca che i delfini vanno in amore.

Karin               - (ha acceso intanto un fiammifero sotto un fastello di legna fra due pietre, all'ingresso della grotta. Vi mette sopra una pentola che ha tolto da un nascondiglio).

Orlando           - Ma forse mi metterò con Surace. In due si pesca meglio. Si dorme a turno. Da un pezzo me lo dice, Surace. Già, una volta ero il pescatore solo, che nuotava sott'acqua con la fiocina, ed ero più lesto dei pesci. Ma alla buona stagione ci tornerò.

Karin               - (levandosi da presso il fuoco). Potremmo uscire insieme, con la barca.

Orlando           - Dove? La notte? Sul mare? Le donne dei pescatori stanno a casa.

Karin               - A pregare quando c'è tempesta.

Orlando           - Chi vuol pregare. (Amaro). E altre a infischiarsene. Il pescatore è un duro partito per chi ama: ma buono per chi non ama. Sta in mare, e non dà fastidio in casa. E' l'uomo ideale. Certe volte si darebbe un calcio a que­sto pantano, grattato da centinaia danni. Nei tuoi paesi, lassù, il mare è più giovane, non è vero?

Karin               - (con calore). E' più selvaggio, il mio mare.

Orlando           - (alza il capo a guardare Karin che si è messa a riparare con una spola gli strappi della rete, cominciando da un capo. Si mette a lavorare dall'altro capo. Poi, affettuoso) Cosa stai a fare, buttata in terra? Che stai a fare? Non ti voglio vedere così.

Karin               - (tranquilla) Ti aiuto. Mi piace di la­vorare a quello che lavori tu: si pensano le stesse cose.

Orlando           - (guardandola teneramente) Ho sentito le tue mani diventare scabre come quelle d'una figlia che cresce e si dà da fare. Ho veduto i segni del vento e del salino sul tuo viso.

Karin               - (dolce) Tu sei come un giovane sposo che si ostina a difendere la sua donna nuova contro le offese della vita. E invece è la vita stessa coi giorni che passano a consumarci.

Orlando           - i primi giorni ti si rompeva la pelle delle mani a toccare le reti e le funi tanto eri delicata.

Karin               - E tu me le curavi baciandole. Era come se volessi crearle nuove col tuo respiro.

Orlando           - (levando la testa, incantato) Te ne ricordi? Bisogna che te ne ricordi, Karin.

Karin               - Tutto qui attorno sì ricorda di noi. Noi siamo stati i re di questi luoghi. Ora torna la buona stagione. Il mare ridiventa buono. (In terrompe il lavoro; con le mani in grembo; sospira). Oh, e io sto a chiacchierare! (Riprende la spola).

Orlando           - Lascia stare. Stai seduta così, parla.

Karin               - Dapprincipio, parlavamo tanto poco.

Orlando           - La gente tome me, i pescatori, i con­tadini, i pastori, parlano poco. Quando passi davanti alle nostre case ti accorgi che si sen­tono poche parole. La gente come noi parla soltanto del tempo, del campo, del mare, del cielo, del cibo, dei figli.

Karin               - Anche tu eri così.

Orlando           - Tu m'hai insegnato a parlare di cose,così... che non si vedono... A parlare... non so come dire.

Karin               - D'amore. T'ho insegnato a parlare di amore. (Siede come prima, non ha voglia di far niente). Orlando, oh senti, non ho proprio voglia di lavorare. Non ho voglia di far niente e di pensare a niente. Oh, senti, sta per arri­vare la primavera. (E' languida. Si toglie il pastrano, si accomoda i capelli).

Orlando           - (protettivo). Bene, non lavorare e non pensare a niente. (Curvo sulla rete). Tu mi raccontavi, i primi giorni, che la sera, nella tua città i passanti ti guardavano come si guar­da la felicità. (Parla rammemorando, certo per mettersi in testa alcuni fatti di cui si vuol ren­dere conto e su cui ha pensato lungamente. Ma tutto il suo discorrere, e quello di Karin, at­traverso quello che dicono e le cose che s'in­tendono, danno l'impressione di qualcosa che si lacera piano, con un sordo e quasi soave dolore).

Karin               - (confusa). Troppe cose ti ho raccontato e troppe te ne ricordi.

Orlando           - Di tutto mi ricordo.

Karin               - (umile). Volevo che tu sapessi ogni cosa dì me.

Orlando           - E' giusto. E io ero permaloso, allora. Tutto mi dava ombra.

Karin               - Ti dispiaceva. Forse perché ti pareva che rimpiangessi qualche cosa.

Orlando           - (con un riso forzato). Già, mi pareva.

Karin               - (d'improvviso, allarmata) Sono diventata brutta?

Orlando           - Oh, Karin, non sei mai stata così bella. Sei diventata più forte.

Kaiun              - E più buona. Ah, ero cattiva, ti ricordi? (Sospira. Guarda Orlando). No, non rimpiango nulla. Meglio appassire davanti a un uomo che sa quello che gli si è dato, anziché altrove, dove alla fine nessuno si volta a guardarti, e dice «ella fu». Meglio un uomo che vede sempre in noi la sua donna, e riscopre sotto le cancellature del tempo il vecchio sorriso e gli antichi sguardi. Uno che si ricordi di noi, come eravamo quando fummo belle, in quel momento in cui il nostro corpo fu perfetto. Ono solo se ne può ricordare. No, non rim­piango nulla.

Orlando           - (cauto, ma attento). Certo, io me Ja figuro, la sera nelle grandi città; me lo hai raccontato tante volte: si accendono i lumi, tutto è festa; le donne passano, gli uomini le guardano, e ognuna torna a casa contenta di essere stata ammirata.

Karin               - (trasportata)Già, poche donne lo con­fessano. Ma ci sì ricorda di certi sguardi di chi vede in te per un attimo la stia donna, la felicità, il mistero. Tu non puoi figurarteli que­gli occhi che guardano. In quel momento una donna sente davvero d'essere la felicità, quello che non si conosce. Una può essere l'ultima donna del mondo, ma davanti a quello sguardo diventa la regina dei sogni.

Orlando           - E fa piacere?

Karin               - Un poco. E si diventa perfino imprudenti. Si sorride un poco, in un baleno, in uno sguar­do, a fior di labbra, E si ha paura. Oh, che paura! perché non si conosce chi sia l'altro. E quando si rientra in casa, nel calore e nel­l'odore della propria casa, ci si guarda un mo­mento allo specchio perché ci si trova una donna capace di dare il mistero che tutti cercano.

Orlando           - (vigile) Deve essere davvero bello.

Karin               - Sì, un momento, un attimo, un brivido. No, tu non puoi capire.

Orlando           - No, non posso capire.

Karin               - Senti, la pentola bolle. (Va perso il fo­colare. Toglie la pentola dal fuoco).

Orlando           - Lasciala bollire. Tu tronchi i discorsi per dire che la pentola bolle e che bisogna dare un punto alla mia giacca.

Karin               - Bisogna vivere no? Questo è importante. (Va verso di liti curvo sulla rete).

Orlando           - (sentendosela vicina, vuol forse allon­tanarla) Vuoi aiutarmi a piegarla? Terminerò domani.

Karin               - Neppure tu hai voglia di far niente que sta sera.

Orlando           - Neppure io. Va', prendi dall'altraparte.

(Si alza. Prende i due capi della rete, in fondo. Karin fa lo stesso dall'altra parte, di fronte a lui. Si vanno incontro con le mani levate che reggono i due lembi per farli combaciare al loro incontro. E' come un gioco, ed evidente-mente lo hanno fatto tante volte allegramente. Tanto che, quando s'incontrano, mani con mani, viso con viso, corpo con corpo, Karin aspetta che egli l'abbracci. Nulla. Karin prende nuo­vamente i lembi della rete piegata una prima volta, di nuovo la tendono da un capo all'altro, dì nuovo si vanno incontro. Orlando serto, Karin ridente e in attesa. S'incontrano di nuovo. Karin esita, poi si abbandona tra le braccia di Orlando. Orlando la sostiene. La bacia pa ternamente sulla fronte).

Karin               - (è rimasta davanti a Orlando col viso alto e le braccia lungo i fianchi). Tu non mi vuoi più bene. Orlando.

Orlando           - (dritto anch'egli davanti a Karin. con le braccia congiunte sulla rete). Te ne voglio come al proprio figlio che ci si strapperebbe dal fianco per mandarlo nel mondo.

Karin               - (acerbamente femminile) Noi non ab­biamo mai ripiegata così bene una rete. Mi sembrava di volarti incontro, una volta. Aspet­tavo quest'ora della C'ornata. No, noi non ab­biamo mai terminato di ripiegare una rete.

Orlando           - (posandole le mani sulle spalle). Guar­dami bene. Karin. (In un impeto). Io m'im­barcherò. Per cercare ventura. E tornerò ricco, tornerò potente. Andrò lontano, nei paesi ine­splorati. Non sono forte, Karin?

Karin               - Sì, forte Orlando.

Orlando           - Ebbene, tornerò vincitore. Non sono giovane, Karin?

Karin               - Ma non troverai più me giovane.

Orlando           - (deluso) Ci vorrà molto tempo?

Karin               - Tutta la vita ci vuole per vincere.

Orlando           - Dimmi che cosa posso fare per te. E perché tu ti ricordi sempre di me. E non mi dimentichi mai.

Karin               - (gli butta le braccia al collo) Orlando, non ti devo lasciare mai.

Orlando           - (indagatore). Chi t'ha detto che mi devi lasciare?

Karin               - Nessuno, Orlando, aiutami.

Orlando           - Ti ho mai abbandonata?

Karin               - Sono sola come in un deserto. Le ore passano immense, il tempo è infinito. Tutto è uguale. Certe notti mi stringo a te perché ho paura. Il mare batte sulla spiaggia come se volesse demolire la nostra casa. Deve essere così l'eternità.

 Orlando          - Per questo ti lamenti nel sonno.

Karin               - Ho parlato qualche volta nel sonno?

Orlando           - Hai paura che io abbia udito?

Karin               - Che cosa mi hai sentito dire?

Orlando           - Ti lamentavi e chiedevi aiuto.

Karin               - Bisognerà che io dimentichi. Quando si è stati tanti da padre in figlio in città, si è abituati a contare le ore rapide tra un impegno e l'altro, tra un pensiero e l'altro, a sentire il tempo fuggire. E tutta la speranza è nell'ora seguente, nell'incerto, nell'imprevisto, in quello che accadrà. E pare che non accada mai nulla. e invece è un perpetuo sconvolgimento. Non sono sicuri ne il pane né l'amore né la gioia né il dolore. Ogni alba si porta via l'immagine di ieri assieme alla spazzatura e ai vecchi gioì naif. Si ricomincia daccapo. Bisogna che io mi abitui a questo infinito di qui, a questa ter­ribile certezza, a questa eternità.

Orlando           - Credi che io potrei vivere con te lassù?

Karin               - (misurandolo con lo sguardo come non mai) Tu? A che fare?

Orlando           - Mi guardi come se mi pesassi, e come se mi vedessi la prima volta. Senti... se noi fossimo uniti... se una cosa più forte ci le gasse... Qualcuno tra noi due...

Karin               - (sbigottita) Qualcuno? (temendo di ca­pire). Chi?

Orlando           - (le si avvicina).

Karin               -. Un figlio tuo?

Orlando           - (fermandosi). Ho capito.-

Elfrida             - (da fuori). Karin. Orlando, dove siete' (Entrando). Oh. Karin. cercavo di voi.

Karin               - Elfrida, che novità?

Elfrida             - Sapete, Rossom ha terminato il suo libro. E' riuscito molto bene. (Aspettando una sua reazione). V'interessa ancora?

Karin               - Non lui.

Elfrida             - Sembrate un'altra, Karin. Più forte. Siete stata una donna, non c'è dubbio. E for­tunata come voi, bella come voi. una che ri­nunzia a tutto... rinunziare alla vita...

Karin               - Non è rinunziare. Parlate piano.

Elfrida             - E non provate nessun rimpianto verso quello che avete lasciato?

Karin               - Forse non lo sapete. Ci sono tante donne nei paesi vicini, nelle isole di fronte, donne come ero io e come siete voi, che si sono di­menticate la strada del ritorno. Si sono messe tranquillamente accanto al loro uomo, e hanno trovato finalmente la pace. Si sono sposate, hanno avuto dei figli. Sono contente.

Elfrida             - Volevo dirvi, sapete che partiamo?

Karin               - (colpita, sbigottita) Partite? Quando?

Elfrida             - Col postale di questa sera.

Karin               - Partite; e io resto sola qui!

Elfrida             - Rossom ha sofferto molto per causa vostra. Voi gli avete reso il più grande ser­vigio che si possa rendere a un uomo come Rcssom: non amarlo. Si può dire che abbia lavorato per voi. Oh, sapete che s'è rimesso con sua moglie?

Orlando           - (rientrando) Salve, Elfrida.

Elfrida             - Buona sera, Orlando. Abbiamo par­lato di voi.

Orlando           - Partite?

Elfrida             - Già, questa sera.

Karin               - Elfrida, salutatemi la via dei Gendarmi. Vi ho abitato per tanti anni. C'è il mio studio all'ultimo piano del numero 55. Salutatemi quella finestra proprio sotto il tetto da cui ve­devo il fiume e il vecchio centro della città. Era cosi bello affacciarsi la sera. Via dei Gen­darmi. La finestra sotto il tetto al numero 55: non c'è che quella.

Elfrida             - Lo farò.

Karin               - Salutatemi tutta la strada. Mi conoscono tutti. Era come il mio villaggio. E informa­temi se hanno costruito qualche edificio nuovo. Dovevano buttare giù una vecchia casa. Certo la sciuperanno, la via dei Gendarmi.

Orlando           - (a Elfrida). Sapete se Rossom verrà a salutare Karin?

Elfrida             - Non so. Credo di sì.

Karin               - Non lo voglio vedere.

Orlando           - (risoluto). Ma voglio vederlo io.

Karin               - Orlando, tu non devi vedere Rossom Non hai niente da dirgli.

Orlando           - Devo dirgli una cosa da cui dipende la mia vita.

Karin               - (allarmata) _ Tu non devi parlare con Rossom.

Orlando           - Non di te, no. Di me.

Karin               - Orlando! (Lo chiama inutilmente, Orlando è uscito di corsa).

Appaiono Simen e Kurt. Sono tutti e due molto allegri. Hanno evidentemente bevuto.

Kurt                - Evoè, Evoè, Simen! Io sono il dio Pan!

Karin               - (a Elfrida). Scusatemi, Elfrida. Vado a vedere cosa vuol fare Orlando. (Esce nella stessa direzione di Orlando).

 Simen             - Non è bello, Kurt? Non sei pentito di non esser venuto prima?

Kurt                - «Bonum vinum laetificat cor hominis ».

 Simen             - Non è vero che si dimentica tutto?

Kurt                - (in un lucido intervallo). Ma tu partirai con me, Simen .

 Simen             - Oh! Non hai bevuto abbastanza.

Kurt                - Giura che partirai con me.

Elfrida             - (facendosi avanti, incontro ai due uo­mini). Allora partiamo tutti. Oggi partiamo anche noi.

 Simen             - Voi qui Elfrida! Kurt, allora parto anche io. Te Io posso giurare. Viaggeremo sullo stesso vapore, Elfrida?

Kurt                - (con solennità). Eccoti il denaro, Simen . (Gli porge un assegno).

 Simen             - (prendendo l'assegno e riponendolo) Oh, viaggeremo insieme fino ad Amburgo, Elfrida.

Kurt                - Bisogna diventare ragionevoli. E' finita la vacanza.

 Simen             - Ci siamo fermati un poco al Caffè dei Naviganti. Oggi qua, domani là, come i naviganti. Kurt, hai iinito così presto di essere il dio Pan?

Kurt                - «In hilaritate tristis ». Mi viene la ma­linconia dell'allegria.

 Simen             - E allora fermati fino alla partenza del prossimo vapore. Ancora tre giorni.

Elfrida             - Io non avevo paese, Simen, e ora questo me lo ricorderò come il mio paese. Ognuno deve avere il suo paese, ma piccolo, che se lo possa ricordare tutto.

Kurt                - Questa sera bisogna partire.

Elfrida             - Peccato. Sarebbe bello aspettare ancora. Lassù ci sarà ancora la neve, il fango, e i pensieri di ieri.

 Simen             - (come rinsavito). Elfrida, parlate sul se­rio? Vi ho sempre detto che... noi due... Ma voi avete parlato pensando a me, oppure...

Elfrida             - (vivace) _ Sì, Simen .

 Simen             - (con entusiasmo) Kurt, ripassa un'altra volta!

Kurt                - Senza attenuanti, Simen, sei uno sper­giuro. (Etce da una pane brontolando). « O tempora! O mores!».

 Simen ed Elfrida si sono guardati e pei pren­dendosi allegramente sotto braccio escono dalla parte opposta. Entrano Orlando e Rossom.

Orlando           - Ecco, Rossom, stiamo qui. Quella è la nostra casa (accenna da una parte).

 Rossom          - Karin si è adattata a tutto questo?

Orlando           - E’ misero, non è vero?

Rossom           - Tutto è misero quando non si ama.

Orlando           - Prima mi pareva che non ci fosse modo migliore di vìvere.

Rossom           - Beata giovinezza! Una donna può ar­rivare a tanto per un uomo.

Orlando           - Troppo in basso?

Rossom           - Troppo in basso o troppo in alto. Può essere sublime o miserabile.

Orlando           - Voi conoscete bene Karin. Voi siete del suo stesso paese. Posso parlarvi di lei?

Rossom           - Se non temete di sciupare qualche cosa...

Orlando           - Rossom, Karin mi ama ma è infelice. Il suo pensiero è lontano da me. Anch'io l'amo, ma sono divenuto uno sventurato.

Rossom           - Avete capito queste cose?

Orlando           - Non c'è bisogno d'essere filosofo per capirle. Un tempo ero tranquillo e superbo. Quella casa, quel focolare, quella barca, mi parevano la ricchezza. Ora mi guardo: non sono che un povero uomo di mare con le sue reti rappezzate.

Rossom           - Siete un uomo nobile, Orlando: soltanto in un animo nobile una donna può su­scitare questa superba infelicità.

Orlando           - Karin mi ha dato un rovello, un'ansia, una voglia di fuggire, di conquistare, di vin­cere. Ho l'impressione come se dovessi cre­scere, diventare più grande, più forte, e tor­nare con un carico di tesori da deporre ai suoi piedi. Io voglio che Karin sia interamente mìa. Mi capite Rossom? Voglio che creda in me. Voglio che veda in me il padre dei suoi figli.

Rossom           - Povero Orlando, come siete cambiato!

Orlando           -Karin  - ha fatto di me un uomo.

Rossom           - Ed eravate un re, qui. Non c'eravate che voi e il mare, voi e la tempesta, voi e il paesaggio. Empivate tutto di voi, qui. Capi­sco. Dove passiamo noi, uomini civili, nascono i desiderii di fuga, di evasione, di vendetta. Quella che fu gioia di vivere diventa dolore e lotta. Quello che fu sereno diventa cruccio.

Orlando           - Ma che posso fare per Karin? Il pen­siero di lei fugge continuamente lontano da me. I suoi sogni stessi mi fuggono. E allora, che cosa stringo fra le braccia? Un corpo senz'anima.

Rossom           - Già. E' quasi peggio di un'anima che vi appartiene e un corpo che vi fugge.

Orlando           - Se io partissi con lei... che ne direste Rossom?

Rossom           - Mettetevi una giacca, venite tra noi, e sembrerete uno dei tanti. Non vi riconosce­rebbe neppur lei. Ella vi ha amato come un re di questo paradiso perduto che gli uomini sognano sempre e che non raggiungono mai. La vita semplice, la natura, ricominciare dac­capo, la pentola col buon fuoco di legna. Sono le nostre favole, Orlando.

Orlando           - Vi prendete gioco di me?

Rossom           - No, di me. Di noi. Non avete ancora capito chi siamo?

Orlando           - E' stato un gioco?

Rossom           - No, un'illusione.

Orlando           - Ma che cosa posso fare per Karin?

Rossom           - Volete che vi ami sempre?

Orlando           - Che non mi dimentichi mai.

Rossom           - Allora lasciatela, Orlando. Lasciatela prima che sia troppo tardi.

Orlando           - Non posso. Mi ama.

Rossom           - Non voi. Ha amato un giovane felice e superbo, senza pensieri e senza dolore.

Orlando           - Eravamo felici, allora.

Rossom           - Lasciatela, Orlando. L’amore e la gioia furono nel tempo in cui voi non vi accorge­vate che questa è una povera vita, né Karin che voi siete un povero pescatore. Quando ella non sognava il suo paese, né voi paesi sco. nosciuti.

Orlando           - Come mi ha amato!

Rossom           - Non vi basta? Ella non troverà mai più nulla che somigli a voi. Quando si dibat­terà sola nella sua città, penserà a voi all'ar­rivo dell'inverno crudele; sognerà di tornare a voi quando arriverà la primavera. Ma non cer­cate di trattenerla. Lontana, vi rimpiangerà. Vi­cina, vi sfuggirà. La conosco. Era la mia al­lieva, io ero la sua guida. E questo era l'uni­co affetto che si potesse concedere un uomo come me per una donna come lei. Eppure vi dovetti rinunziare... per lei. Ora voi dovete ri­nunziare... per lei. L'avvenire le appartiene. Bi­sogna lasciarla padrona di sé. (La voce di Karin, lontana). Orlando.

Orlando           - Andate da lei. Sentite come mi cerca? Se la rivedrò ancora non avrò la forza di stac­carmene. Ditele... Ditele... che io non l'amo più. No. Questo non glielo dovete dire. Ditele che ha fatto di me un uomo. Ditele che pi ricordi di me.

Manoela          - (entrando). Signor Rossom, vostra mo­glie vi cerca.

Orlando           - Andate, Rossom Addio.

Rossom           - Addio, Orlando. (Gli tende la mano).

Orlando           - (stringe la mano di Rossom  Mentre egli scompare, sale sul punto più alto e lo segue con gli occhi).

Manoela          - (si è seduta in terra, guardando nella stessa direzione di Orlando. Poi, con una voce che ha l'accento di tutti i giorni). Vuoi che ti aiuti a riparare la rete, Orlando?

Orlando           - No. M'imbarcherò sui grandi velieri che vanno pel mare grande, in terre lontane, a cercare Ventura.

FINE