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CAINO

Commedia in due scene

Di FRANCO VENTURINI

PERSONAGGI

CAINO

ABELE

ADAMO

EVA

Commedia formattata da

SCENA PRIMA

(Luogo buio. Caino è solo)

Caino                            - La natura era bianca. Splendeva il sole come se fosse un'allucinazione. Un cielo senza una nuvola, senza speranza. Sem­bravano i frutti della terra la pena dopo il peccato. Io capii subito che non gli sarebbe riuscito di vivere più a lungo, non appena lo vidi in quella posizione eretta di riposo, che negli ultimi tempi gli era diventata solita, vigile sui miei gesti, perché s'accorse di me! di me! che avrei voluto essere più lontano di lui da quello stesso luogo, dove solo la consapevolezza d'un male estremo poteva riunirci, non la gioia di vivere, non la felicità dell'incontro. (Compaiono sulla scena, illuminati dal riflettore, in guanto già si trovavano insieme a Caino, Adamo Eva e Abele) O Signore, Signore, Signore grandissimo. I giorni che trascorrono sembrano diversi, ma non lo sono, io l'ho capito. E anche questo ho capito; che ci muoviamo impercettibil­mente. Ancora attimi pochi, poi il sole andrà sotto, e ovviamente sarà notte... ovviamente?! Signore... Signore... Ascolto l'imbrunire con fare sordo, chiudo gli occhi come un morto di polvere e di sole... vorrei dire: questo sapere di polvere m'è familiare. Vorrei dire: tutto m'è incomprensibile. Non capisco. Non capisco.

Adamo                          - La nostra felicità fu breve.

Eva                                - Ahimé, che sempre la rimpiango.

Adamo                          - Perché?!

Eva                                - Perché?!

Adamo                          - Quando torneremo indietro?

Eva                                - Lui! Lui solo può volerlo!

Adamo                          - Glorioso è il Signore!

Eva                                - O Signore ascoltaci.

Adamo                          - Abbi pietà di noi.

Eva                                - Perdonaci!

Adamo                          - Quanto tempo ancora?

Eva                                - Quanti anni già trascorsi, dolorosi.

Adamo                          - Che sarà di noi?

Eva                                - Che sarà di noi?

Caino                            - Separa il mare le isole o le unisce? Cosi forse l'immensità del mondo fra il Signore e noi... Ecco, tornano a scendere le te­nebre. Non basterà il fuoco per vederci negli occhi e sembrerà, quasi, parlandoci, che le nostre voci da chissà dove provengano. Ma da qui! Da qui! Dall'orifizio di questa grotta ho sensazione della grandiosità cui appartengo, come se, improvvisamente, tolta di mezzo una monta­gna, al mio sguardo uno distesa immensa appaia. È deprimente! E deprimente! esaltarsi e sentirsi criticamente! O Signore, Signore... Signore! Il mondo che ci hai dato sembra immenso, ma non ha valore alcuno, è provvisorio... è falso... io l'ho capito. E anche questo ho capito: che ci hai perduto irrimediabilmente. Signore!... Signore!... I miei pensieri non sono più come le mie parole li esprimono, ormai nasconderli non ha senso. Io mi sento dolorosamente vivo; io alla grandiosità più non credo, né che al tutto appartengo.

Adamo                          - È notte. Un altro giorno è trascorso.

Eva                                - Purtroppo.

Adamo                          - Purtroppo.

Eva                                - Trascorrono senza senso.

Adamo                          - Glorificare il Signore è il senso delle cose.

Eva                                - Ma i giorni? A Lui ci avvicinano o da Lui ci allontanano?

Adamo                          - Io, ogni mattino, quando apro gli occhi, è come se sol­levassi il mondo, tanta è la pena.

Eva                                - lo, invece, penso ai figli, e mi chiedo: a che scopo? No, non sono buon segno i figli, e forse sarebbe meglio se incominciassi­mo a credere possibile l'impossibile, a considerare le promesse del Signore non col senso delle nostre vite, ma con quello delle sue misure.

Adamo                          - Il nostro dolore non sarà breve?

Eva                                - No, che breve non poteva essere.

Adamo                          - Quando torneremo indietro?

Eva                                - Lui! Lui solo può volerlo!

Adamo                          - O Signore ascoltaci!

Eva                                - Abbi pietà di noi!

Adamo                          - Perdonaci.

Eva                                - Quanto tempo ancora?

Adamo                          - Quanti anni già trascorsi, dolorosi.

Eva                                - Che sarà di noi?

Adamo                          - Che sarà dì noi?

Caino                            - Notte. Eppure con questo buio sarebbe inutile restarsi sull'orifizio della grotta, tenere vigili i sensi per cose che non distinguo. Ecco, dinnanzi a me s'apre di nuovo questa irta parete di nera roc­cia, dappertutto m'avvolge. Eppure qui resto, perché da qui, e solo da qui è l'ingresso sul mondo, verso il quale come a un estremo mi protendo... perché, Signore, or non so più per quale momento, ora però, chiudere gli occhi lo farei con angoscia, come se fossi in disagio profondo... chi sa come... chi sa come... Occhio luminosissimo nelle tenebre è Caino, vigile membro che non perde nessun fremito dell'immenso che percepisce, nel suo ascolto attento. Come vertice d'un cono proteso a racchiudere l'universo, su dì me incessantemente si riversano le infinite forze che lo reggono, e si espri­mono nel respiro calmo e profondo del mio corpo. Il principio è buono. Il principio! Nel suo meraviglioso significato che conosco, in quanto esisto. Ed ecco finalmente che vi lacerate, vaste zone di quel cupo umore che m'è solito! Mi pervade, nella sua verità innega­bile, la consapevolezza del male, la fine, d'una intensità ineguaglia­bile. Tutto il male del mondo in un'unica, totale visione, su di me! su di me! disincantato epostrofo! A quale scopo dirigerò più le mie forze!? In quale impresa fantastica troverò ancora soddisfazione!? Io. Io. Io. Io. A chi dirlo? Come dimostrarlo? Le similitudini che ac­corrono mi disgustano.

Adamo                          - Si, questa non è una notte come un'altra, però le tue parole non mi piacciono.

Caino                            - Accadrà qualcosa di grave.

Adamo                          - Dormi.

Caino                            - È troppo molesto il pensiero che veglio. Padre, leva il buio alla notte se ci riesci, poi dormirai. Coricati nel frastuono della vita, poi dormirai. Ma cosi, nel buio, oppresso da questa consape­volezza di sciagura, mai! Mai!

Adamo                          - Dormi, ti dico. Anche le fantasticherie più inquiete, i sogni più premonitori, i presentimenti più gravi non riguardano noi. Asso­lutamente.

Caino                            - Non posso dormire.

Adamo                          - Allora, o non parlare di disgrazie, o chetati.

Caino                            - Sì... Si... Questa notte par davvero dal più fondo della terra venuta. Io mi dico: sia fatta la volontà del Signore. Io mi dico: sia fatta la volontà del Signore. Io mi dico: sia fatta la volontà del Signore. Io però non so rassegnarmi. Io non so se la notte è magica, o se magico è, piuttosto, quest'orifizio, attraverso il quale di me s'impossessa il grande panico della vita. Irripetibile giorno è tra­scorso. D'irripetibile notte senso di vivere ore dolorosissime, come di fronte a vento torrido, che m'isterilisce. Che sarò? Che dirò? Io vedo una valle lunga, incassata fra due file di monti, anche selvaggi, rico­perti d'alberi alti e verdi, e un fiume, che scorre lento, tranquillo. Una bella valle, dove tutto tace, con immobilità e silenzio che si può toccare. Quindi un grido forte, lungo, pauroso sorge dal dolor mio, cui rispondono il fragor dell'eco, il brivido d'ogni fronda, il fiume in piena. Tutto dura un attimo, quanto basta per sentirmi vivo, poi ri­torna la quiete, la stessa immobilità, lo stesso silenzio che si può toccare. Cosi... Cosi...

Adamo                          - Figlio, il Signore t'ha prediletto.

Caino                            - O Signore misericordioso.

Adamo                          - Di quanti doni non t'ha fatto degno?!

Caino                            - Signore...

Adamo                          - Ti fu sempre benevolo.

Caino                            - Signore glorioso!

Adamo                          - E certamente colpa del buio; vede cose che non esistono.

Eva                                - Non sono i figli dolorosi? Quando venne il primo giorno che furono, io mi rallegrai, che passati gli anni, m'avrebbero dato gioie senza pari. Dov'è l'errore?

Caino                            - Signore, vorrei danzare il più mesto canto del mondo. Sono certo che il mio corpo saprebbe darti cosi la giusta espressione del mio presentimento angoscioso. No, non voglio parlare. Troppo, è troppo preciso il significato delle parole, paurosamente inequivoca­bile. Danzare... cosi alte getterei le braccia, da toccare il cielo, co­me l'albero più scarno del mondo. Ahi, ahi, datemi mille maschere dolorose, ma non basteranno! Gesti inconsulti divaricatemi!

Adamo                          - Ma che dici?! Quante parole che non capisco.

Caino                            - Non si nasce ogni giorno.

Adamo                          - È vero.

Caino                            - Il tempo trascorso non si può riviverlo.

Adamo                          - Anche questo è vero. Ma c'è il futuro.

Caino                            - Perdere senza avere. Non ha senso.

Adamo                          - Chi parla di perdere? Tutto il futuro è da godere.

Caino                            - Godere!?... Godi il mondo, ma osserva le pietre che dall'alto nel fondo rotolano con crescente fragore; ascolta il silenzio che dal fragore sorge... considera te stesso. Impietoso corso del sole! I gridi miei a che varrebbero, con si tante innumerevoli presenze che alla sua luce si distinguono, ognuna con orme diverse. Ahi, ahi, co­me la nostra realtà mi sembra veramente possibile! Come questa scena ristretta! Come il flusso dell'energia che mi anima indistruttibile, perenne, inarrestabile! Vorrei far violenza a me stesso...!

Eva                                - Non rispondergli, si calmerà meglio.

Adamo                          - È possibile udirlo e tacere...?

Caino                            - (rivolto a Abele) Oh, se io potessi io ti direi: su, dammi i tuoi occhi; se io potessi, io ti direi: su, dammi la tua voce. Cosi, dalla tua voce e dai tuoi occhi infine capirei il vero significato del tuo silenzio e dei tuoi sguardi, perché tacendo mi guardi troppo... per­ché guardandomi taci troppo. Ho presso di te una qualche colpa? Non fu sempre, il mio amore, fraterno oltre il significato stesso che tu... che io...? Non ho forse alimentato con fuochi enormi le tue spe­ranze? Con ghiacci spessi sepolti i tuoi affanni? Ascolta. Ascolti? Non irridiamoci, tu ed io non siamo in uno scherzo. La mia colpa è nella mia sopravvivenza... Suvvia! È questo un sole, il mio destino, dico, che sembra voglia portarmi a maturazione violenta. Io mi chiu­do, si, alle ore fatali del giorno che avanza, ma chi è previdente si metta in opera, perché la notte è caduta, la mia sorte impietosa. O Signore, Signore, non avresti potuto fare di più, facendo meno.

Adamo                          - Questa notte che procede in modo cosi fermo io veglio, con occhi aperti, con braccia conserte. Con questa notte, io veglio la sventura presente, che noi tutti scuote dal fondo, e quella certa­mente futura, perché 1 dolori si sommano, e la sventura passata io veglio, mai dimenticata. Cosi, in un affollarsi d'immagini e di paure, mentre i tempi par ch'esistano contemporaneamente tutti, io cerco risposta al nostro destino, che la più grande cura non ha evitato. Cosi,. è in me questo destino tragicamente già concluso, e mi si appalesa la componente dolorosa del nostro tempo.

Eva                                - Chi parlerà per primo, e dirà, che le cose stanno bene come sono?

Adamo                          - Chi parlerà? Chi dirà?

Eva                                - E chi per primo vorrà riconoscere la nostra infelicità, e che non c'è più modo di uscire dal nostro incomodo... e chi, chi potrà mai capacitarsi che proprio a noi dovesse accadere la più grande delle sventure, cosi grande, che più grande non poteva essere?

Adamo                          - Zitta. Zitta. È la volontà del Signore.

Eva                                - Oh, con quale senso di nostalgia ritorno indietro al mio più bel tempo. Signore... Signore, non avrei dovuto varcare, certo, le soglie del Paradiso,

Adamo                          - Non è il Signore misericordioso?

Eva                                - Oh, se fosse misericordioso!

Adamo                          - Non videro i nostri occhi le cose più belle del mondo? Non udimmo noi la sua voce e quella degli angeli? E non sarebbe giunto un crescendo doloroso, come primo accenno allo sconvolgi­mento totale dei valori che conosciamo, a quello sconvolgimento che sarà tutto, mostrerà tutto, dirà tutto? Forse che non si espresse cosi il Signore? Allora questa notte potrebbe avere più vasto significato. Allora potrebbe essere proprio questo il segno che l'ultima prova è in atto, la terribile prova prima del nostro ritorno. Allora dovremmo sciogliere questo nodo di singhiozzi, nel nostro collo più stretto d'un groviglio di serpi, in osanna di gioia. L'ultimo tempo fu oltremodo maligno e doloroso. Il Signore non e più comparso, ne il demonio. Soli, disperatamente, abbiamo gridato la nostra sventura a questo ambiente ostile e spietato... a una solitudine, davanti alla quale tremiamo con accenti di misericordia. Signore! Signore! Ora che l'attimo è giunto, ora non ho più ritegno a far libere le lagrime più riposte, non versate per mostrarmi degno e grande - o piccolo, pic­colo, piccolissimo mio scopo - perché la sofferenza fu indicibile, il vuoto che ci lasciasti incolmabile. Io avrei torto le mie mani mille volte... Si! Questo è il segno di cose che per nascere hanno bisogno d'una partecipazione totale, d'un annichilimento completo, o non è possibile intenderle! Si! Non passivamente, non questo ci salverà! È la partecipazione attiva a un grande sommovimento che ci trarrà via dal mondo! Il giorno è prossimo che sarà anche l'ultimo.

Eva                                - Di questo giorno sperammo trent'anni.

Adamo                          - Poche cose occorrono per i tuoi dubbi, non ingannarti.

Eva                                - Io sarei capace di contendere la mia gioia alle fiere più sel­vagge, ma come posso contenderla a me stessa, se una parte di me si rifiuta?

Adamo                          - Se vuoi l'acqua devi berla!

Eva                                - Allora dimmi: quando torneremo Indietro?

Adamo                          - Lui. Lui solo può volerlo. Glorioso è il Signore.

Eva                                - Signore ascoltaci!

Adamo                          - Egli ci ha già ascoltato!

Eva                                - Perdonaci.

Adamo                          - Egli ci ha già perdonato.

Eva                                - Dunque... la nostra gioia è prossima...

Adamo                          - A risorgere. Si!

Eva                                - I nostri tormenti...

Adamo                          - Leniti. Per sempre.

Eva                                - Le nostre paure...

Adamo                          - Dimenticale.

Eva                                - Ebbene, mi sembra ancora impossibile. Io non so capaci­tarmi nemmeno... è più forte di me. Non mi riesce di crederlo. Rive­dere i giorni che non terminano, fare di nuovo cose che non servono, ma danno piacere.

Adamo                          - Liberi di correre e di volare, di scomparire e di riemergere, affrancati dal peso delle distanze.

Eva                                - Senza volere.

Adamo                          - Senza dovere.

Eva                                - Non più solitudine.

Adamo                          - Né sciagure.

Eva                                - ...Eravamo felici...

Adamo                          - Torneremo ad esserlo.

Eva                                - Per sempre?

Adamo                          - Per sempre.

Eva                                - Signore, se c'inganniamo misericordia. Signore, se la pena è grande, ascoltaci. Signore, se la prova è l'ultima, non abbandonarci.

Caino                            - Qualsiasi cosa, che per dar fede ai tuoi sensi, volessi tu in­dicare con: vedi?, di piuttosto: sembra, perché niente, niente è meno sicuro della realtà più ferma. Come adesso, che per il fatto di vedersi e di ascoltarsi, essi credono di non essere soli, e l'un l'altro, con parole e gesti si accompagnano. Eppure, non sono proprio ades­so mille volte più nudi della loro esistenza, di fronte ai fenomeni dell'essere? Ma è solo quando le montagne cadono, che il loro fra­gore e più convincente delle parole. Dormono... però m'accorgo che al momento giusto hanno capito la mia voce: infatti, dormono con maschere di terrore. Ho sbagliato? Se avessi taciuto. Se, risolutamente, fossi entrato nel cerchio delle loro paure con grida energiche, con affermazioni categoriche, se... no, non è mio l'errore, io che sarei capace di tutto appassionatamente, è il tutto ch'è niente. Io irrido alle loro angosce, irrido alle oscure leggi che ci soggiogano con lo­gica prepotente, irrido a me stesso... (Grida) La gloria dei cieli! Il fine supremo! Perché la vita! (Piano) II mio principio frana da tutte le parti. Non credo più a niente, niente più ha valore. Lunga notte è la mia, più, più lunga della loro, come la differenza fra due nasi, uno piccolo e l'altro grande: differenza enorme. (Grida, in ra­pida successione, quasi istericamente) Il Signore glorioso! II Signore glorioso! Il Signore glorioso! (Piano) Caino... Sguardo profondo e tenace... pensoso e audace... Prendere un volto, perché un'espressione sola non basta, né una maschera. Disporre di mille volti, uno per ogni circostanza. Quanti volti basterebbero? Quanti non bastereb­bero? (Grida) Perché la vita! Perché!.,. Perché!... Perché la nostra natura divina! (Piano) La verità guai a dirla. Seppelliscila. Mettici una montagna sopra. Sprofondala. La verità fa paura. C'è sempre tempo per dirla, è sempre tempo di menzogna.

Adamo                          - Io sono Adamo.

Eva                                - Io sono Eva.

Abele                            - lo sono Abele.

Caino                            - lo sono Caino. Come spasimi creati dal vento, abbiamo fatto udire la nostra voce.

Adamo                          - Perché non abbiamo più niente da dire, oltre al nostro nome.

Eva                                - Perché non abbiamo più niente da ascoltare, oltre al nostro nome.

Abele                            - Più niente da vivere... oltre a voler restare insieme.

Adamo                          - Fino a quando, tra il sorgere e il calare del sole, ciò che deve accadere si compia!

Abele                            - La nostra resurrezione!

Eva                                - Il Paradiso Terrestre!

Caino                            - La salvezza dalle tenebre!

Adamo                          - La grandezza delle nostre anime.

Abele                            - La liberazione dal male, che non vuole cedere.

Eva                                - Il male!... che non posso credere.

Caino                            - II male!... che m'ha reso sterile.

Adamo                          - Signore, io ho perduto la mia originalità!

Caino                            - Signore, io ho scordato la tua voce, non ti comprendo più!

Eva                                - Signore, siamo diventati simili al mondo che comprendiamo, rocce che si lamentano.

Abele                            - Nulla più... nulla più...

Adamo                          - Signore.

Eva                                - Signore.

Caino                            - Signore.

Abele                            - C'è un silenzio di troppo.

Adamo                          - È vero.

Abele                            - Io so perché.

Adamo                          - È il silenzio della realtà.

Eva                                - È il nostro silenzio.

Abele                            - E il silenzio del Signore. Ho battuto su un cavo profondo. Sono state un brivido che scuote queste parole che non avrei mai creduto di pronunciare. Che mai avrei creduto di pronunciare. Che però ho pronunciato con grande trepidazione. È possibile scorgere, ma non vedere? Essere certi, ma non sapere? Essere... vivi... per dispiacere?... Oh, per esprimere il mio dolore non basterebbe tutta l'acqua di ciò che chiamiamo mare. La mia è una caduta abissale. Eppure salirò l'arduo monte con la stessa cura, con la quale da esso fuggirei, se potessi. Io mi ero sempre detto: ho l'esistenza che mi abbisogna, posso agire come voglio. Non valgono le rinunce con la vita. Ho condotto le mie pecore a pascere persino in me stesso. Ho sbagliato? Ringrazierò il Signore? Ciò che sfugge, nonpertanto è impossibile. Ho sbagliato?... Le mie domande! Le mie domande! Avete incontrato la vostra umiltà. L'indosserete. Siete scese al vostro rango. Ci resterete.

Adamo                          - Scende il sole, e pare svelto; come è lento quando sorge. Ogni idea ci dà sgomento. Immense torce accendiamo ai limiti di questa notte brutale. Era buio, or è sinistro ogni sentiero. Non c'è modo di correre, non c'è modo di fare, bisogna attendere il prosieguo del male.

Caino                            - Onde che ci sommergono... Abbiamo, ognuno di noi e tutti insieme, ritegni nelle nostre anime, che non convincano? Ombre che tendano più all'infoltirsi inesorabile della notte, che non alle leg­gere evanescenze degli ultimi vapori dell'alba? Conosciamo insomma la vera natura dei sentimenti che insistono a voler porgerci sulla loro mano la nostra vita, per cancellare il senso dalle nostre labbra e, per sempre, il sonno dai desideri delle nostre membra, perché il sonno porta i sogni, e i sogni liberano dalle molte fosse dell'anima, ciò che non sarebbe dovuto emergere mai: la colpa. La colpa.

Adamo                          - Non avresti dovuto dirlo.

Eva                                - Non era la notte buia? Da quando non posseggono più, le colpe, il preziosissimo dono della segretezza, della verecondia più modesta, dell'intimità più profonda? Non gli bastano nemmeno più le mostruose nature delle nostre veglie notturne a nutrirle, perché restino sepolte?!

Caino                            - Abbiamo raggiunto il fondo delle menzogne. Abbiamo cre­duto davvero che saremmo giunti a salvarci.

Eva                                - Le nostre anime sono pari alle nostre speranze?

Adamo                          - La nostra resurrezione è meritata?

Eva                                - Il terrore di perdere.

Adamo                          - Il dubbio di sbagliare.

Eva                                - Riuscirebbero altrimenti a confondere l'immagine felice che ci era apparsa?

Adamo                          - Mentre proprio la notte c'è ancora, questa notte che si era mostrata come la più bella, la più gioiosa?

Eva                                - Questa notte che fu la più desiderata.

Adamo                          - Perché l'ultima della nostra lontana esistenza dal Signore?

Eva                                - Il Signore, che mortificò la nostra debolezza, ma non la visione fantastica della nostra anima.

Adamo                          - Avremmo dovuto renderci conto delle nostre colpe prima! prima! che fosse giunto l'attimo rivelante.

Abele                            - L'attimo pietrificante.

Eva                                - Signore, abbiamo paura di non meritare il tuo perdono!

Adamo                          - Signore, temiamo di non aver vissuto ogni attimo nella contemplazione del vero.

Caino                            - Nella convinzione del bene.

Abele                            - Nell'azione dell'ideale. Abbiamo perduto troppo del nostro tempo.

Eva                                - Troppe delle nostre parole.

Adamo                          - Siamo giunti alla rivelazione in modo indegno.

Caino                            - Ora che il male si è rivelato, che accadrà?!

Eva                                - Ora che le colpe sono più del nostro merito, che diremo, che faremo?!

Adamo                          - O notte.

Abele                            - Notte.

Adamo                          - Avremmo potuto essere felici e non lo saremo più.

Caino                            - Avremmo potuto essere eterni, e non lo saremo più.

Eva                                - Abbiamo perduto tutto.

Abele                            - Tutto.

SCENA SECONDA

Caino                            - A questa notte, che mi offre l'intensa scena per estrinsecarmi, vorrei parlare, senza ripetermi, per comprendere, e con parole che finalmente mi distinguano, esprimere la grande speranza che posseggo. Saprò farlo? Non vanno le mie parole cosi oltre un vasto senso di solitudine... credere chissà quali altre orecchie in ascolto sarebbe solo più danno. Allora sarebbe meglio dormire più a lungo, soprattut­to il ricordo di tralasciare, per qualche tempo. Re strano è questo. Non fargli mai ombra. Se passa, salutarlo più che possiamo. Io spio sul suo volto i segni dell'età. Strano re è questo. Non è mai stanco. Non muore mai. Accadrà. Accadrà. Oh se accadrà. Quando i giorni sopraggiungono, che non si discutono, meglio sperdersi, che riunirsi. Troppo, è troppo capace un avverso destino per osare di contrastarlo. Quando la verità s'impone succede sempre qualcosa, perché la situa­zione di comodo della menzogna lascia sempre posto a una risolu­zione di forza e logica, che però non si sa più chi farà cadere. Sii breve... sii breve... Oh, come farò a tacere? Con quali passi, e come, come potrò accostarmi a Lui e mostrarmi cosi forte, cosi vivo, cosi integro? Perché l'ora, l'ora è prossima che ci porrà di fronte alla grande risposta! Avrò allora riempito dì me la mia scena, cosi come lui su di sé fa scendere la consapevolezza del male, con sovrana compostezza? No, non guardare ancora come se le tue paure non ti fossero già uscite dall'anima, e gli sbarrassi l'ingresso dai tuoi occhi con espressioni di fermezza. Io sono un essere prodigioso. Ho sor­montato difficoltà enormi. Ho combattuto spaventosi silenzi. Ho rag­giunto limiti eccelsi. Saprò svolgere temi soprannaturali. I miei ra­gionamenti apriranno queste pareti! Non temere. Le speranze si comprendono nel dolore. Io ti salverò. Me e te salverò dalla tua morte. La notte è solo un tempo che scorre, ma il giorno sta per sor­gere. Le veglie trascorse m'hanno insegnato a riconoscere quando il giorno è prossimo, a saper cogliere dalle incerte forze, cosi diventate, della notte, l'annuncio atteso che davvero il giorno è prossimo, a desiderale le infinite cose che la natura sa comporre, quando final­mente il giorno è prossimo, il giorno, che risolve nello splendore della luce l'angoscia delle tenebre, la solitudine nell'abitudine, la fuga dall'inclemenza delle responsabilità, inutile... i quasi delle parole. E quando appare, la natura, percorsa dai fremiti del risveglio, fremiti che si propagano dal cielo alla terra con rapidità prodigiosa, io questa straordinaria ventura stringo a me per un tempo lunghissimo... ti desidero. Ti desidero. Tu, infrangibile luna, affrettati, componi il tuo aspetto diafano; voi, stelle, spegnetevi. Con una manciata di cenere coprirvi io, sbiancare il cielo... condurre a me più svelte le luci del giorno, avanti che siano tutte le ore delle tenebre... che non fare per non vedervi, splendide come siete. La notte è ferma su una realtà distante, distante dalla mia sensibilità, non vuole aver termine. Sono stanco, sono debole. Solo. Inerme. Memore. Memore.

Adamo                          - Dopo il giorno.

Eva                                - La notte.

Adamo                          - E dopo la notte.

Eva                                - Il giorno.

Adamo                          - È un modo enorme di espressione. Eppure è assurdo, è grottesco a confronto di quanto è rimasto nelle nostre speranze.

Eva                                - Siamo veramente parte di esso? Non è la vita il bene più certo?

Adamo                          - Le domande servono? Mai dopo.

Eva                                - La notte ha termine... è trascorsa tutta.

Adamo                          - No, soltanto tra poco lo sarà.

Eva                                - Non è ancora l'alba, ma questa notte è già trascorsa nella mia anima, e il giorno mi deluderà, lo so.

Caino                            - Anche noi. Abbiamo preso a esprimerci anche noi come questo mondo intorno a noi. E ancora ci chiediamo se siamo parte di esso?! Ma è proprio questo mondo che è diventato cosi tanta parte di noi, di noi che abbiamo scambiato il sublime trascendentale della fede, con la disperata, enorme, ma assurda e grottesca visione del dubbio universale, del male invincibile, della perdizione fatale. Abbia­mo dimenticato la perfezione! Abbiamo dimenticato la nobiltà della creazione! Dobbiamo tornare alla contemplazione del Signore! Dobbia­mo tornare a unirci, con fervore mistico, nelle preghiere osannanti alle glorie eccelse che sono nostre, solo che noi lo vogliamo, a esprimerci con esaltazione crescente fino alla grandiosa apoteosi finale, se voglia­mo salvarci, perché noi, noi non siamo parte di questo mondo, noi siamo parte del Signore. Oh, io sento per la prima volta in me la certezza della liberazione ed è come se mi svegliassi senza più sonno: un risveglio meraviglioso. Ho voluto parlare sempre, e non ho ascol­tato. Ho voluto sapere sempre, e ho sbagliato. Avrei dovuto tacere. Avrei dovuto prostrarmi e implorare la misericordia consolante del Signore, il suo perdono esaltante. Il Signore ha voluto unirci, saprà fare che uniti si resti! Il Signore ha voluto provarci, saprà redimerci. Nel giorno che sta per sorgere, nella notte che freme io scorgo il se­gno della gloria del Signore, che si esprime con magnificenza ineffa­bile. Ci salveremo! Torneremo a gioire! Dimenticheremo la falsità del dolore! È in noi e per noi che la resurrezione della notte sta per compiersi. In noi e per noi, per illuminarci! Oh, io mi dispongo a una fretta inconsulta e incontenibile di vederti, primissima ora del giorno. E tu sorgi, sole, sui miei turbamenti! E voi, ombre, non diradatevi davanti alla luce, se potete!

Adamo                          - Sono le ore più brutte.

Eva                                - Le ore ultime.

Adamo                          - Io sono pieno di rassegnazione.

Eva                                - Io ho paura di udire, ciò che ascolteremo con dovizia di tempo.

Adamo                          - Non abbiamo più speranze.

Eva                                - Non abbiamo più fede.

Adamo                          - Vorrei gridare.

Eva                                - Vorrei piangere. (// sole sorge)

Caino                            - Te, saluto, preziosissima luce del giorno. Te, vedo sorgere, commosso da improvviso giubilo. Mai come questa notte ho sofferto il disperato possesso delle tenebre. Ed ecco, che ho vegliato inutil­mente un grande tormento. Ecco il nero fatto bianco! O giorno cre­duto perso! O Signore, con quale gioia ascolto adesso riemergere il mondo dalle nebbie vagabonde. Con quale assurda logica ho mal potuto dubitare a tale punto, da rendermi chiuso non oltre me stesso. Cosi forse le cose, che proprio noi le rendiamo effimere.

Adamo                          - O Signore grandissimo, che mi hai fatto sorgere, fammi ri­sorgere! Signore, che hai voluto mostrarmi questo giorno, quanto ho vissuto, quanto ho sofferto per conoscerlo!

Caino                            - Salvi! Siamo salvi! Oppure no: Siamo perduti! Oppure no: confusi... confusi... confusi,..

Adamo                          - Tutte le mie speranze nelle mie ultime parole.

Eva                                - Nel mio silenzio, la mia più accorata invocazione.

Adamo                          - A una luce, che però non era questo sole.

Eva                                - A una salvezza Impossibile.

Adamo                          - Signore...

Eva                                - Signore...

Caino                            - Perché?!... Che si voleva far nascere senza logica?!... Così ho già visto incendiarsi e spegnersi molte speranze nella mia vita, come questa che pure ho tanta nell'anima. O immenso inconcepibile, rispondi con amore, non con logica Inoppugnabile! Giusta, brutta cosa è la logica, che ricerca l'origine. O giorno di doppia luce! In­credibile giorno senza luce... L'alba. Dalla terra pregna si levano o stagnano sospese le nebbie, che vanno verso il sole, e quello le disperde. È l'alba, incredibilmente.

Adamo                          - è il momento di credere.

Eva                                - E’ il momento di pregare.

 

Adamo                          - Abbiamo fede nel Signore.

Eva                                - Abbiamo fede nella resurrezione.

Caino                            - L'impossibile fu fatto? Perché no!? Furono scavalcati i mari, e tutte le montagne della terra alla ricerca impossibile di quel bene impossibile che, forse, se avessi osato infierire contro me stesso, lasciando scorrere in quiete stille il mio sangue fraterno... perché no?!... Chi ha mancato? Io. Chi ha temuto? Io. È chi vivrà? Io. Io. Io. Io.

Adamo                          - Abbiamo potuto parlare; l'abbiamo fatto.

Eva                                - Abbiamo potuto tacere; l'abbiamo fatto.

Adamo                          - Le nostre coscienze sono tranquille.

Eva                                - Siamo nella certezza di chi non mente.

Adamo                          - Nel sollievo di chi ha assolto.

Eva                                - è un momento solenne.

Adamo                          - £ la volontà del Signore, imperscrutabile.

Caino                            - Oh, io vedo questo giorno incominciare e mi stupisco di me, della mia capacità di continuare a respirare e a vivere, mentre in me e intorno a me ora m'accorgo come ogni cosa si disponga a comporre una scena ineluttabile. O realtà allucinante, dove tutto par gonfiarsi e muoversi in modo grottesco! Questa è la scena, dopo tante spe­ranze?! Di questa scena faccio parte?! È l'alba, adesso. Le cose che non capisco, tutte si dispiegano interminabilmente davanti al mio sguardo. Un grido... il mio grido par frangersi nella fantastica fissità che si va creando... poi silenzio... silenzio. Io dico, che se la forma delle nebbie fosse quella che vedo, allora son proprio mostri che dalla terra sorgono, e a me tanto senso d'orrido trasmettono. Innomina­bili accenti dalle loro gole fetide fanno scempio di me attraverso la mia sensibilità dilatata all'estremo. Aiutatemi... aiutatemi... Devo, devo trovare forze che non è possibile non esistano più in me, in me, in me.

Adamo                          - Gloria al Signore, che, per esprimersi, ci ha voluto vivi.

Eva                                - Gloria all'Altissimo, nel regno dei cieli.

Adamo                          - Negli attimi incomprensibili.

Eva                                - Nelle scene mortificanti.

Adamo                          - Abbiamo gli esempi: seguiamoli!

Eva                                - Siamo bellissimi: mostriamoci.

Caino                            - Dalla mia colpa vorrei uscire, nella mia colpa dovrò re­stare; per mettere fine, dovrà morire.

Abele                            - L'epilogo! L'epilogo!

Caino                            - Sbarrategli il passo, non fatelo entrare!

Abele                            - Ecco una cosa che sembra impossibile, e non lo è. Ecco una cosa che sembra facile, e lo è. Io non so come dire, che mi sta per vincere!

Adamo                          - Nel giorno che si rivela, siamo forti!

Eva                                - Nelle delusioni estreme, la fede trionfi!

Adamo                          - Abbiamo sperato di salvarci: ci salveremo.

Eva                                - Abbiamo sperato di risorgere: risorgeremo.

Adamo                          - Crediamo di perderci, ma ci sbagliamo.

Eva                                - Il Signore ha voluto unirci, saprà fare che uniti si resti.

Adamo                          - II Signore ha voluto provarci, saprà redimerci. Lodiamo l'Altissimo, nel regno dei cieli.

Caino                            - Io non so che fare, eppure so ciò che farò, mentre procedo come un sonnambulo per il mio cammino. Agiscono risolute le forze che mi spingono. E tu, Signore, fa che non sia sangue fraterno... Scompaiono le parole... la realtà si fa tutto. Precipita la situazione in un vortice inarrestabile. Accade... l'irreparabile. Si protendono ma­schere che più non mi somigliano! Sopravvivergli non sarà come chinarglisi sopra e compiangerlo, e vedere come, in un qualche modo, gli si contraggano i lineamenti del volto, come si trasformino i suoi occhi nelle eterne ansie del mio sonno futuro? Allora voi, dunque, apritevi, bocche della verità! Lasciate che il suo sangue si riversi sulle mie mani, perché non possa più gioire, né pentirmi. Io sono all'inizio d'una pena continua. Vivrò, sopravviverò. Vedrò più cose, parlerò più a lungo. Avrò di più... ma godrò di meno. Oh, io sento la mia vita inutilmente e questa morte, nella sua totale Infermità.

Adamo                          - E cosi, chi tutto voleva comprendere, nel tutto è rimasto compreso. E chi voleva essere compreso, ha dovuto comprendere.

Eva                                - E cosi, di tante cose, è rimasta solo la speranza.

Adamo                          - Siamo come le nostre scelte. Possiamo solo attendere li perdono, non ottenerlo.

Eva                                - Un cammino che non conducesse alla luce, avrebbe senso?

Adamo                          - Il terrore di perdere,

Eva                                - Il dubbio di sbagliare.

Adamo                          - Ci siamo privati dell'immagine del Signore.

Eva                                - Che abbiamo più, se non abbiamo più niente? (Adamo, Eva e Abele non vengono più illuminati, sulla scena)

Caino                            - Non dileguatevi! Non abbandonatemi! Non dovreste es­sere fantasmi. Fu così, ciò che accadde? O non fu piuttosto un altro il succedersi degli eventi, che ancora non so capacitarmi d'aver vis­suto? La rievocazione costante di situazioni ormai immutabili risolverà finalmente I miei turbamenti? O le ombre del rimorso possono muo­versi come vogliono, ma la realtà è certa immobilmente? Riusciremo a tornare insieme? Riusciremo a liberarci per sempre dalla consape­volezza del male? O soccomberà davvero chi di noi dovrà soccom­bere, perché è già pronta la sua carne di pietra? E si dannerà davvero chi di noi dovrà dannarsi, perché l'infelicità gli ha infitto addosso occhi infallibili? Dove ho già udito queste parole? Quando furono pronunciate queste parole? Da me! Da me! Passato e presente hanno voluto restare insieme con forza indissolubile, e il futuro è una goccia di fuoco rovente, e io mi sento spartire da un dolore inesprimibile. Che farò più del mondo che mi si offre? Oh, se le cose, invece d'es­sere, fossero.

FINE