Caligola

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Alcuni patrizi, di cui uno molto vecchio, conversano in gruppo in una sala del palazzo

CALIGOLA di Albert Camus

                                   Alcuni patrizi, di cui uno molto vecchio, conversano in gruppo in una sala del palazzo. Danno segni d’inquietudine.

I Patrizio                   Ancora niente.

Vecchio Patrizio     Niente alla mattina, niente alla sera.

 II Patrizio                 Da tre giorni niente.

Vecchio Patrizio     I corrieri vanno ; i corrieri tornano, scuotono il capo e dicono : “Niente”.

II Patrizio                  Battuta tutta la campagna.

I Patrizio                   Perché rattristarci in anticipo ? Aspettiamo. Come se ne è andato, ritornerà.

Vecchio Patrizio     L’ho visto uscire dal palazzo. Aveva uno sguardo strano.

I Patrizio                   C’ero anch’io. Gli ho domandato che aveva.

II Patrizio                  E che ha risposto ?

I Patrizio                   Una parola sola. “Niente”.

                                   Pausa. Entra Elicone addentando una cipolla.

II Patrizio                  (Sempre inquieto) - Comincia a preoccupare.

I Patrizio                   E via ! Tutti i giovani son così.

Vecchio Patrizio     La gioventù supera tutto, si sa.

II Patrizio                  Credete ?

I Patrizio                   Auguriamoci che dimentichi.

Vecchio Patrizio     Ma certo ! Una si perde e dieci se ne trovano.

Elicone                     E chi vi ha detto che sia per amore ?

I Patrizio                   E che altro potrebbe essere ?

Elicone                     Il fegato per esempio. O la nausea di avervi tutti i giorni davanti agli occhi. Riuscirebbe più facile sopportare la vista dei nostri contemporanei, se avessero il dono di cambiare muso ogni tanto. Ma no. Sempre, sempre la stessa pietanza. Sempre fricassea.

Vecchio Patrizio     Preferisco pensare che si tratti d’amore. E’ più attraente.

Elicone                     Soprattutto più rassicurante. E’ un malanno che non risparmia né gli intelligenti, né gli stupidi.

I Patrizio                   Comunque, e per fortuna, il rimpianto non dura eterno. Siete capace voi di soffrire più di un anno ?

II Patrizio                  Io no.

I Patrizio                   Nessuno.

Vecchio Patrizio     La vita sarebbe impossibile.

I Patrizio                   Non è vero ? Guardate : io ho perduto mia moglie l’anno scorso. Ho pianto molto, e poi ho dimenticato. Ogni tanto, mi torna una certa pena. Ma, insomma, è poco o niente.

Vecchio Patrizio     La natura sa quello che fa.

Elicone                     Beh, quando vi guardo ho il sospetto che non sempre la imbrocchi.

                                   Entra Cherea.

I Patrizio                   E così ?

Cherea                     Niente.

Elicone                     Calma, signori, calma. Salviamo le apparenze. L’Impero romano siamo noi. Se noi perdiamo la faccia, l’Impero perde la testa. Non è il momento, no ! Cominciamo con l’andare a pranzo : l’Impero si sentirà meglio.

II Patrizio                  Giusto. Non conviene fare come il cane della favola : e lasciare il boccone per l’ombra.

Cherea                     Non mi piace questa faccenda. Ma forse tutto andava troppo bene. Avevamo una perla di imperatore.

II Patrizio                  Sì ; un imperatore come dev’essere : scrupoloso ed inesperto.

I Patrizio                   Ma insomma che avete e perché vi lamentate ? Niente gli impedisce di seguitare a comportarsi così. Amava Drusilla, è un fatto. Ma era sua sorella, alla fine. Andarci a letto era già alquanto ardito ; ma mettere a soqquadro Roma perché quella è morta passa i limiti.

Cherea                     Comunque a me questa faccenda non va. E la sua fuga non mi dice niente di buono.

Vecchio Patrizio     Giusto ! Non c’è fumo senza fuoco.

I Patrizio                   In ogni caso, la ragion di stato non consente che un incesto assuma un tono di tragedia ; l’incesto passi, ma con prudenza.

Elicone                     Beh, l’incesto necessariamente fa sempre un certo chiasso. Il letto - se così posso esprimermi - scricchiola. E poi, chi vi dice che si tratti di Drusilla ?

II Patrizio                  E di che altro ?

Elicone                     Indovinatelo voi. Considerate che l’infelicità è come il matrimonio : si crede di scegliere e si è scelti. E’ così ; non si scappa. Il nostro Caligola è infelice, e non sa neanche lui perché. Ha dovuto sentirsi stretto al muro, ed è fuggito. Avremmo fatto tutti come lui. Anch’io che vi parlo - vedete - se avessi potuto scegliermi il padre, non sarei mai nato.

                                   Entra Scipione.

                                                                                                                             Scena Seconda

Cherea                     E così ?

Scipione                   Niente. Qualche contadino dice che gli è parso di averlo visto nella nottata di ieri, qui vicino, correre sotto l’uragano.

                                   Cherea torna nel gruppo dei Senatori, seguito da Scipione.

Cherea                     Son già tre giorni, vero Scipione ?

Scipione                   Sì, c’ero anch’io. Lo seguivo, come al solito. S’è avvicinato al corpo della sorella morta. L’ha toccata con due dita. Poi è rimasto assorto, sopra pensiero. Ha fatto un giro su se stesso ed è uscito a passi misurati. Da allora è cominciato il nostro inseguimento.

Cherea                     Troppa letteratura, quel ragazzo.

II Patrizio                  E’ tipico della sua età.

Cherea                     Ma non del suo rango. Un imperatore artista è inconcepibile. Ne abbiamo avuti un paio, è vero. Dappertutto c’è la pecora marcia. Ma tutti gli altri hanno mostrato il buon gusto di restare funzionari.

I Patrizio                   Era anche meno faticoso.

Vecchio Patrizio     A ciascuno il suo mestiere.

Scipione                   Che si può fare, Cherea ?

Cherea                     Niente.

II Patrizio                  Aspettare. E se non torna, sostituirlo. Detto tra noi, non mancano imperatori.

I Patrizio                   No, mancano soltanto caratteri.

Cherea                     E se torna di malumore ?

I Patrizio                   Eh, per Giove ! E’ un ragazzo e gli faremo intendere ragione.

Cherea                     E se non vorrà intenderla ?

I Patrizio                   Eh, per Giove ! Non ha scritto, io, al mio tempo, un Trattato sul Colpo di Stato ?

Cherea                     Certo. Se sarà necessario. Ma preferirei essere lasciato ai miei libri.

Scipione                   Scusate. (Esce).

Cherea                     S’è rabbuiato, Scipione.

Vecchio Patrizio     E’ un ragazzo anche lui. I giovani sono solidali.

Elicone                     Solidali o no, invecchiano come tutti. (Entra una guardia).

Guardia                    Qualcuno ha visto Caligola nel giardino del Palazzo. (Escono tutti).

                                                                                                                             Scena Terza

                                   Scena vuota per un attimo. Entra di soppiatto, da sinistra, Caligola. Appare smarrito. E’ sporco : con i capelli madidi di pioggia e le gambe impillaccherate. Porta più volte la mano alla bocca. Si avvicina allo specchio, e quando vede la sua immagine, si ferma. Borbotta qualche parola impercettibile : poi va a sedersi a destra, le braccia penzoloni tra le ginocchia divaricate. Entra, da sinistra, Elicone. Vede Caligola ; si ferma all’estremo lato della scena e l’osserva in silenzio. Caligola si volta e lo vede.

                                                                                                                             Scena Quarta

Elicone                     (Dall’estremità della scena all’altra). Buongiorno, Caio.

CALIGOLA              (Con naturalezza) Buongiorno, Elicone. (Pausa).

Elicone                     Sembri stanco.

CALIGOLA              Ho camminato molto.

Elicone                     Sì. Una lunga assenza. (Pausa).

CALIGOLA              Era difficile da trovare...

Elicone                     Che cosa ?

CALIGOLA              Ciò che volevo io.

Elicone                     E tu che volevi ?

CALIGOLA              (Sempre naturale). La luna.

Elicone                     Che cosa ?

CALIGOLA              La luna. Volevo la luna.

Elicone                     Ah ! (Pausa. Elicone gli si avvicina). Per che farne ?

CALIGOLA              Mah ! E’ una delle cose che non ho.

Elicone                     Sicuro ! E ora l’hai ottenuta ?

CALIGOLA              No.

Elicone                     Eh, una disdetta.

CALIGOLA              Sì. E perciò sono stanco. (Pausa). Elicone...

Elicone                     Sì, Caio...

CALIGOLA              Tu pensi che sono matto.

Elicone                     Sai bene che non penso mai. Sono troppo intelligente per cascarci.

CALIGOLA              Già. Già. Ma io non sono matto. Anzi, non sono mai stato così lucido. Ho provato semplicemente una sete di impossibile. (Pausa). Le cose, così come sono, non mi sembrano di tutto riposo.

Elicone                     Il discorso fila. Peccato che, di solito, non si riesce a portarlo fino in fondo.

CALIGOLA              (Si alza, e sempre con la sua semplicità). Tu non lo sai : proprio perché di solito non si porta fino in fondo, il risultato è negativo. Ma basterà, forse, tenersi rigorosamente logici fino alla fine. (Guarda Elicone). Lo so : tu ora pensi : “Quante storie per una donna !” No. Non è questo. Ricordo vagamente che pochi giorni fa  una donna, che amavo, è morta. Ma che è mai l’amore ? Poca cosa. Quella morte non è niente, credimi. E’ soltanto il segno di una verità che mi rende necessaria la luna. Una verità semplice e chiara, un po’ melensa, ma difficile da scoprire e pesante da portare.

Elicone                     E che è questa verità ?

CALIGOLA              (Si volta : tono neutro). Gli uomini muoiono e non sono felici.

Elicone                     Ma Caio, è una verità alla quale gli uomini si adattano benissimo. Guardati intorno : non per questo si sono mai astenuti dal mettersi a tavola.

CALIGOLA              (Con reazione improvvisa). Vuol dire, allora, che tutto è menzogna intorno a me. Voglio che la gente viva nella verità. E’ ho tutti i mezzi per ottenerlo. Io so quello che a loro manca, Elicone : Manca un po’ di criterio ed un professore che sappia quel che dice.

Elicone                     Caio, non offenderti : tu dovresti innanzitutto riposare.

CALIGOLA              (Siede. Con dolcezza). Non è possibile ; non sarà mai possibile.

Elicone                     Perché ?

CALIGOLA              Se dormo, chi mi darà la luna ?

Elicone                     (Dopo breve pausa). E’ vero.

CALIGOLA              (Si alza con visibile sforzo). Senti, Elicone ? Rumore di passi e di voci. Non dire niente a nessuno. Dimentica di avermi incontrato.

Elicone                     Ho capito.

CALIGOLA              (Si avvia all’uscita. Si volta). E, se non ti dispiace, procura, ora, di aiutarmi.

Elicone                     Non ho motivo di rifiutarmi, Caio. Ma io so molte cose, e ben poche mi toccano. Aiutarti, a che ?

CALIGOLA              A raggiungere l’impossibile.

Elicone                     Farò del mio meglio.

                                   Esce Caligola. Entrano, concitati, Scipione e Cesonia.

                                                                                                                             Scena Quinta

Scipione                   Non c’é. Tu, Elicone, l’hai visto ?

Elicone                     No.

Cesonia                   A te, Elicone, non ha detto proprio nulla prima di scappare ?

Elicone                     Non sono il suo confidente ; sono il suo spettatore. E’ meno pericoloso.

Cesonia                   Ti prego, Elicone.

Elicone                     Cara Cesonia, Caio è un idealista, lo sanno tutti : cioè, uno che non ha capito ancora. Io, invece, ho capito : e perciò non mi occupo di nulla. Ma se Caio comincia a capire , lui, col suo tenero cuoricino, è capace di occuparsi di tutto. E sa il cielo quanto ci costerà. Ma scusate, vado a colazione. (Esce).

                                                                                                                             Scena Sesta

Cesonia                   (Si siede, stanca). Una guardia l’ha visto passare. Ma Roma tutta vede Caligola dappertutto. E Caligola, in fondo, non vede che la sua idea.

Scipione                   Quale idea ?

Cesonia                   Come posso saperlo, Scipione ?

Scipione                   Drusilla ?

Cesonia                   Chi può dirlo ? Però è vero che l’amava. Ed è anche vero che è duro veder morire quel che ieri uno stringeva tra le braccia.

Scipione                   E tu ?

Cesonia                   Oh, io sono la vecchia amante.

Scipione                   Cesonia, bisogna salvarlo.

Cesonia                   Oh, gli vuoi bene, tu ?

Scipione                   Sì, gli voglio bene. Era buono con me. Mi dava coraggio ; e certe sue parole me le sono imparate a memoria. Mi diceva che la vita non è facile : ma che c’è poi la religione, l’arte, e l’affetto degli altri per noi. Diceva che far soffrire è l’unico modo per ingannare se stessi. Voleva essere un giusto.

Cesonia                   Era un fanciullo. (Si alza. Si avvicina allo specchio. Si guarda). Non ho mai avuto altro Dio che il mio corpo : oggi vorrei pregare questo Dio che mi facesse ritrovare Caio.

                                   Entra Caligola. Vede Cesonia e Scipione ; esita, arretra. Nello stesso tempo entrano, dal lato opposto, i patrizi con l’Intendente di Palazzo. Si fermano interdetti. Cesonia si volta. Insieme con Scipione corre incontro a Caligola. Caligola li ferma con un gesto.

                                                                                                                             Scena Settima

Intendente               (Con voce malsicura). Noi ti cercavamo, Cesare...

CALIGOLA              Vedo.

Intendente               Cioè...

CALIGOLA              (Brutale) Che volete ?

Intendente               Eravamo preoccupati.

CALIGOLA              (Muovendogli incontro). Con che diritto ?

Intendente               Ehm ! (Per improvvisa ispirazione concitato). Insomma, sai bene che hai qualche conto da regolare con il Pubblico Tesoro.

CALIGOLA              (Preso da uno sfrenato impeto di riso). Il Tesoro ? Ah, per Bacco ! E’ vero, il Tesoro è di capitale importanza.

Intendente               Certo, Cesare.

CALIGOLA              (Sempre ridendo a Cesonia). Non è vero, mia cara, che è molto importante il Tesoro ?

Cesonia                   No, Caligola, è di importanza secondaria.

CALIGOLA              Perché tu non capisci niente. Il Tesoro è d’un interesse gagliardo. Importante in tutto e per tutto : finanze, morale pubblica, politica estera, approvvigionamenti militari e leggi agrarie. Tutto è capitale ; te lo dico io. Tutto sullo stesso piano : la grandezza di Roma ed i suoi attacchi d’artrite. Da oggi in poi, di tutto questo  mi occupo io. Senti un po’, Intendente...

Intendente               Agli ordini. (I patrizi si fanno avanti).

CALIGOLA              Tu mi sei fedele. Vero ?

Intendente               (Con tono di rimprovero) Cesare !

CALIGOLA              Bene. Ho tutto un piano da sottoporti. Riformeremo l’economia politica, in due tempi. Ti spiegherò, Intendente... quando i patrizi se ne saranno andati. (Escono i patrizi).

                                                                                                                             Scena Ottava

CALIGOLA              (Si siede vicino a Cesonia. All’Intendente). Ascolta : primo tempo ; tutti i patrizi e personaggi dell’impero che dispongono di ricchezze, piccole o grandi è esattamente la stessa cosa, restano obbligati a diseredare i figli ed a fare immediatamente testamento a favore dello Stato.

Intendente               Ma Cesare...

CALIGOLA              Non ti ho ancora dato la parola. Sulla misura delle nostre necessità, metteremo a morte quei personaggi secondo l’ordine di una lista prestabilita da noi a nostro arbitrio. Se del caso, potremo modificare, sempre a nostro arbitrio, quest’ordine. Ed erediteremo.

Cesonia                   Ma cosa ti viene in mente ?...

CALIGOLA              (Seguita imperturbato). L’ordine delle esecuzioni capitali non ha, praticamente, alcuna importanza. O piuttosto : queste esecuzioni hanno tutte la stessa importanza ; e perciò non ne hanno. D’altro canto sono tutti egualmente colpevoli, gli uni e gli altri : e notate che del resto, è più morale rubare direttamente ad un cittadino, che insinuare imposte indirette sul prezzo dei generi di prima necessità. Governare è rubare : lo sanno tutti. Ma c’è modo e modo. Io ruberò francamente. E vi converrà di più che sottostare ai mille trucchi dei ladruncoli da strapazzo. (Deciso, all’intendente). Darai immediata esecuzione a questo ordine. Siano firmati entro questa sera i testamenti da tutti i residenti in Roma ; entro un mese al più tardi, dai residenti nella provincia. Spedisci corrieri.

Intendente               Cesare, non ti rendi conto.

CALIGOLA              Sentimi bene, imbecille : se tu dai importanza al Tesoro , non ne dai alla vita umana ; è chiaro. Tutti quelli che la pensano come te dovranno pur ammettere questo ragionamento ; che non può essere niente la vita per coloro per i quali è tutto il denaro. Comunque ho deliberato di essere logico ; e poiché ho il potere, vi accorgerete che cosa vi costerà la logica. Stermineremo contraddittori e contraddizioni. Incominciando da te, se sarà necessario.

Intendente               Cesare, la mia buona volontà è fuori discussione, te lo giuro.

CALIGOLA              E anche la mia sta’ pur certo. Prova ne sia che consento di mettermi dal tuo punto di vista considerando il Tesoro come oggetto di meditazione. Insomma ringraziami di entrare nel tuo gioco e di giocare con le tue stesse carte. (Pausa. Calma). E poi il mio piano, nella sua estrema semplicità, è geniale. Partita chiusa. Hai tre secondi per sparire. Conto : uno,... (L’intendente scompare).

                                                                                                                             Scena Nona

Cesonia                   Stento a riconoscerti. E’ uno scherzo vero ?

CALIGOLA              Non del tutto : è pedagogia.

Scipione                   Ma è impossibile, Caio.

CALIGOLA              Difatti...

Scipione                   Non ti capisco...

CALIGOLA              Difatti. L’impossibile : proprio di questo si tratta. O meglio, si tratta di rendere possibile ciò che non é.

Scipione                   Ma è un gioco senza limiti : lo svago di un pazzo.

CALIGOLA              No, Scipione. E’ la virtù d’un imperatore. (Si abbandona sul suo sedile, riverso, con un’espressione di stanchezza). Ho finalmente capito l’utilità del potere. Dal possibile all’impossibile. Oggi, e per tutto il tempo futuro, la mia libertà è sconfinata.

Cesonia                   Non so se ci sia da rallegrarsene, Caio.

CALIGOLA              Neanch’io. Ma da farsene una ragione di vita, sì, suppongo.

                                   Entra Cherea.

Cherea                     Ho saputo del tuo ritorno. Faccio voti per la tua salute.

CALIGOLA              La mia salute ti ringrazia. (Pausa. Subito). Vattene, Cherea ; non voglio vederti.

Cherea                     Mi stupisco.

CALIGOLA              Non ti stupire. Non amo i letterati e non posso soffrire le loro menzogne. Parlano per non ascoltare se stessi. Se si ascoltassero capirebbero che non sono niente e non riuscirebbero più a parlare. Alla larga ! ! Mi ripugnano i falsi testimoni.

Cherea                     Se mentiamo, spesso è senza saperlo. Chiedo verdetto d’assoluzione.

CALIGOLA              La menzogna non è mai innocente. La vostra dà importanza agli esseri ed alle cose. Questo non vi perdono.

Cherea                     Tuttavia, è pur necessario parlare in difesa di questo mondo, se dobbiamo viverci.

CALIGOLA              Non difenderlo. La causa è spedita. Questo mondo non ha importanza ; chi lo riconosce, conquista la sua libertà. (Si è alzato in piedi). Io vi odio proprio perché non siete liberi. In tutto l’Impero Romano, uno solo è l’uomo libero : e sono io. Rallegratevi. Vi è arrivato alla fine un Imperatore ad insegnarvi la libertà. Vattene, Cherea. E anche tu Scipione, l’amicizia mi fa ridere. Andate ed annunciate a Roma che le è stata finalmente restituita la sua libertà e che con quella comincia una grande prova. (Escono Cherea e Scipione. Caligola volta le spalle).

Cesonia                   Piangi ?

CALIGOLA              Sì, Cesonia.

Cesonia                   Ma insomma, che c’è di diverso ? Se è vero che tu hai amato Drusilla, è anche vero che hai amato al tempo stesso me e molte altre. Non vede perciò il motivo per cui la sua morte debba tenerti randagio alla campagna tre giorni e tre notti, e ricondurti qui con questa faccia ostile.

CALIGOLA              (Si volta). Pazza ! ! Che c’entra Drusilla ? ? Tu proprio non riesci ad immaginare un uomo che possa piangere per altra cosa che non sia l’amore ?

Cesonia                   Scusa, Caio ; cerco di capire.

CALIGOLA              Gli uomini piangono perché le cose non sono quelle che dovrebbero essere. (Cesonia gli si avvicina). No, no, Cesonia. (Cesonia si ritrae). Ma stammi vicina.

Cesonia                   Come vorrai. (Siede). Alla mia età si sa che la vita non è buona. Ma se il male è già sulla terra, perché dovremmo aggiungerne dell’altro ?

CALIGOLA              Tu non puoi capire. Che importa ? Ma sento destarsi in me esseri senza nome. Che potrò fare dentro di loro ? (Si volge a lei). Oh, Cesonia, sapevo che si poteva essere disperati ; ma ignoravo il significato di questa parola. Credevo, come tutti che fosse un male dell’anima. Ma no : è il corpo a soffrire. Sento male alla pelle, al petto, alle membra. Ho la testa vuota ed il vomito in gola. Ma il più orrendo è questo sapore che ho in gola - né di sangue, né di morte, né di febbre - e di tutte e tre queste cose insieme. Se appena muovo la lingua tutto diventa nero, e gli esseri umani ripugnanti. Ah, è duro, è amaro diventare uomo.

Cesonia                   Bisogna dormire, dormire a lungo ; lasciarsi andare e non riflettere. Veglierò io sul tuo sonno. Al risveglio il mondo riacquisterà per te il suo sapore. Adopra allora il tuo potere per amare di più quello che ancora può essere amato. Anche il possibile merita la sua parte di destino.

CALIGOLA              Ma occorre il sonno ; occorre lasciarsi andare. E ciò non è possibile.

Cesonia                   Così si crede quando si è stremati dalla stanchezza. Ma poi viene il momento che uno riacquista la sua mano ferma.

CALIGOLA              Sapere dove posarla ! A che mi giova la mano ferma, a che mi serve questo stupendo potere se non posso far tramontare il sole a Levante e diminuire il dolore; far che non muoiano i vivi ? Cesonia, non ha importanza per me dormire o vegliare, se poi non posso incidere sull’ordine di questo mondo.

Cesonia                   Ma è voler uguagliare gli Dei, questo. Non conosco una peggiore pazzia.

CALIGOLA              Anche tu mi credi pazzo. E che è mai dopo tutto, un Dio, perché io debba desiderare di essere uguale a Lui ? Quello che oggi io desidero più di tutte la mie forze è più su degli Dei. Io mi carico di un regno di cui l’impossibile è re.

Cesonia                   Non potrai fare che il cielo non sia il cielo, che un bel viso diventi brutto, ed il cuore umano insensibile.

CALIGOLA              (Esaltandosi sempre più). Voglio mischiare il cielo con il mare ; confondere la bruttezza e la bellezza ; far zampillare il riso dalla pena.

Cesonia                   (Dritta davanti a lui e supplichevole). C’è il buono ed il cattivo, il grande ed il meschino, il giusto e l’ingiusto : è una legge che nessuno cambierà mai.

CALIGOLA              (Esaltato). Io la cambierò ! ! Farò a questo secolo il dono dell’equivalenza. E quando tutto sarà purificato, e l’impossibile sulla terra, e la luna nelle mie mani, allora, forse, anch’io sarò trasformato, ed il mondo con me e gli uomini non moriranno e saranno felici.

Cesonia                   (Grida). Non potrai negare l’amore !

CALIGOLA              (Con un impeto di rabbia). L’amore, Cesonia !  (L’afferra per le spalle e la scuote). Ho imparato che non è niente. La ragione è tutta di quell’altro : il Tesoro Pubblico. L’hai sentito anche tu, no ? Tutto nasce da lì. Ah, ora comincio a vivere. Vivere, Cesonia ; vivere è il contrario di amare. IO te lo dico ; e ti invito ad una festa smisurata, ad un processo totale ; al più bello spettacolo. E ho bisogno di pubblico, di spettatori, di vittime e di colpevoli ! (Raggiunge d’un balzo il gong e comincia a battere, senza interruzione, raddoppiando i colpi sullo strumento. Sempre battendo). Fate entrare i colpevoli ! Ho bisogno di colpevoli. (Batte senza interruzione). E tutti sono colpevoli. Voglio che siano introdotti i condannati a morte. E un pubblico. Voglio il mio pubblico. Giudici, testimoni, imputati, tutti condannati in anticipo. Ah Cesonia, mostrerò a tutti ciò che non hanno mai visto : Il solo uomo libero di questo Impero ! ! (Al suono del gong il palazzo si è a poco a poco empito di rumori che crescono avvicinandosi. Caligola seguita a picchiare sul gong e ride. Guardie entrano e poi escono. Caligola, battendo sempre, si rivolge a Cesonia). E tu, Cesonia mi obbedirai. Mi aiuterai. Sempre. Sarà meraviglioso. Giura che mi aiuterai, Cesonia.

Cesonia                   (Smarrita, tra un colpo di gong e l’altro). Non ho bisogno di giurare perché ti amo.

CALIGOLA              (Battendo). Farai tutto quello che ti dirò.

Cesonia                   Tutto. Ma smetti.

CALIGOLA              (Battendo). Sarai crudele.

Cesonia                   (Piange). Crudele.

CALIGOLA              (Battendo). Fredda ed implacabile.

Cesonia                   Implacabile.

CALIGOLA              (Battendo). E soffrirai anche tu.

Cesonia                   Sì, Caligola, ma basta ! Impazzisco !

                                   Sono entrati alcuni patrizi sbalorditi : e con loro la gente del palazzo. Caligola batte un ultimo colpo sul gong, poi, col mazzuolo alzato, si rivolge ai sopravvenuti e li apostrofa.

CALIGOLA              (Come fuori di sé). Avanti ! Venite tutti avanti ! ! Ve lo comando. Un imperatore vi comanda di venire avanti ! (Tutti avanzano terrorizzati). Alla svelta ! Ed ora avvicinati, Cesonia. (La prende per la mano, la conduce davanti allo specchio e con mano frenetica cancella col mazzuolo dalla superficie tersa un’immagine. Ride). Più niente. Hai visto ? Non più ricordi. Tutti i volti scomparsi. Niente. Più niente. E sai che resta ? Avvicinati ancora e guarda. Avvicinatevi tutti e guardate ! (Si piazza davanti allo specchio in una posizione da demente).

Cesonia                   (Guarda nello specchio e, con terrore). Caligola ! !

CALIGOLA              (Cambia tono, posa un dito sullo specchio, e con uno sguardo fattosi d’un tratto fisso, dice con voce di trionfo). Caligola.

F I N E    P R I M O    A T T O


A T T O   S E C O N D O

                                                                                                                             Scena Prima

                                   Alcuni patrizi riuniti in casa di Cherea.

I Patrizio                   Offende la nostra dignità.

Muzio                        Da tre anni.

I Patrizio                   Mi chiama donnetta. Mi beffa. A morte ! !

Muzio                        Da tre anni.

I Patrizio                   Ogni sera ci fa scalmanare intorno alla sua lettiga quando esce per la passeggiata in campagna.

II Patrizio                  E ci dice che correre fa bene alla salute.

Muzio                        Da tre anni.

Vecchio Patrizio     Tutto questo è senza scusa.

III Patrizio                 Imperdonabile.

I Patrizio                   Patrizio, a te ha confiscato i beni ; Scipione, a te ha ucciso il padre ; Ottavio, a te ha portato via la moglie e l’ha messa a “lavorare” nel postribolo di sua proprietà ; Lepido, a te ha ammazzato il figlio. Seguiterete a sopportare ? Per me io ha scelto : tra il rischio mortale e questa insopportabile vita di paura e d’impotenza, non c’è da esitare.

Scipione                   Uccidendomi il padre, ha scelto lui per me.

I Patrizio                   Esiterete ancora ?

III Patrizio                 Siamo tutti con te. Ha donato al popolo i nostri posti al circo ; e così ci ha spinti a batterci con la plebe per poterci, poi, meglio punire.

Vecchio Patrizio     E’ vile.

II Patrizio                  Un cinico.

III Patrizio                 Un istrione.

Vecchio Patrizio     Un impotente.

IV Patrizio                Tre anni ! !

                                   Tumulto disordinato. Armi brandite. Cade una fiaccola. E’ rovesciato un tavolo. Tutti si precipitano verso l’uscita. Ma entra Cherea, impassibile, che blocca il loro slancio.

                                                                                                                             Scena Seconda

Cherea                     Dove correte a questo modo ?

III Patrizio                 AL palazzo.

Cherea                     Questo l’ho capito : ma credete che vi lasceranno entrare ?

I Patrizio                   Non si tratta di chiedere il permesso.

Cherea                     Ehi, tutto ad un tratto così vigorosi ? Avrò almeno il permesso di sedermi, qui in casa mia ? (Chiudono la porta. Cherea va a sedersi su un angolo del tavolo rovesciato mentre tutti si volgono verso di lui). Non è facile quanto potreste credere, amici miei. La paura che avete dentro non può sostituire il coraggio ed il sangue freddo. Tutto ciò è prematuro.

III Patrizio                 Se non sei con noi, vattene. Ma non parlare.

Cherea                     Eppure, credo di essere con voi. Ma non per gli stessi motivi.

III Patrizio                 Basta con le chiacchiere.

Cherea                     Sì. Basta con le chiacchiere. Voglio mettere le cose in chiaro. Perché se sono con voi, non sono per voi : non mi pare un buon metodo il vostro. Non avete ancora riconosciuto il vostro nemico, e intanto gli attribuite dei motivi meschini. Lui non ne ha che di grandi : e voi correte alla perdizione. Imparate, prima, a vederlo com’è : potrete così combatterlo meglio.

III Patrizio                 Com’è lo vediamo : il più insensato dei tiranni.

Cherea                     Non è detto. Imperatori pazzi ne abbiamo conosciuti. Ma questo non è abbastanza pazzo. E quello che me lo rende odioso è proprio che sa quello che vuole.

I Patrizio                   La morte di tutti noi.

Cherea                     No. Per lui questa è una cosa secondaria. Lui mette il suo potere al servizio di una passione più alta e più funesta ; ci minaccia in quanto abbiamo di più profondo. Non è certo la prima volta che qui da noi un uomo dispone di un potere illimitato ; ma è la prima volta che se ne serve illimitatamente : fino a negare l’uomo ed il mondo. Questo di lui mi spaventa ; e questo voglio combattere. Perdere la vita è cosa da poco ; e quando sarà necessario non me ne mancherà il coraggio ; ma che vada sperperato il senso di questa vita stessa, e sparisca la nostra ragione di esistere, non si deve tollerare. Non si può vivere senza una ragione di vita.

I Patrizio                   La vendetta è una buona ragione.

Cherea                     Sì. E voglio averne la mia parte con voi. Sia peraltro ben chiaro che non sarà per mortificare le vostre piccole mortificazioni : ma per lottare contro una vasta idea, la cui vittoria significherebbe la fine del mondo. Che voi siate messi in ridicolo posso ammetterlo ; ma non accetto che Caligola faccia quel che sogna di fare e tutto quello che sogna di disfare. Egli trasforma in suoi filosofemi in cadaveri, e per disgrazia nostra la sua filosofia è perentoria. Bisogna picchiare forte quando non si può confutare.

III Patrizio                 Quindi, agire.

Cherea                     Sì. Agire, bisogna. Ma voi non potrete quella potenza ingiusta affrontandola mentre è in pieno vigore. La tirannide si può combattere, ma con la perfidia allo stato puro occorre giocare di astuzia. Bisogna spingerla per il suo verso, aspettando che la sua logica sia arrivata alla demenza. Ma, torno a dirvi - giacché non parlato qui che per dovere di lealtà - sia ben chiaro anche questo : che io sono con voi solo per il momento. Dopo, non servirò gli interessi di nessuno di voi, deliberato come sono a ritrovare la pace in un mondo tornato alla coerenza. Non mi spinge ad agire l’ambizione, ma una ragionevole paura : la paura di questo lirismo disumano davanti al quale la mia vita diventa zero.

I Patrizio                   (Avanzando). Credo di aver compreso, o press’a poco. Comunque, è essenziale che tu concordi con noi nel riconoscere che le basi della nostra società sono scosse. Per noi, - non è vero, voialtri ? - la questione è prima di tutto morale. La famiglia vacilla ; il rispetto del lavoro si perde ; la patria intera è consegnata al blasfemo. La virtù ci chiama a soccorrerla, rifiuteremo noi di ascoltarla ? Congiurati, sopporterete davvero che i patrizi siano costretti ogni sera a correre ogni sera intorno alla lettiga di Cesare ?

Vecchio Patrizio     Che ci chiami “Cocca bella ?”

 III Patrizio                Che ci siano strappate le mogli ?

II Patrizio                  E i figli ?

Muzio                        E i quattrini ?

V Patrizio                 No ! !

I Patrizio                   Cherea, tu hai parlato bene. E hai fatto bene anche a calmarci. E’ troppo presto per agire. Il popolo oggi, ci sarebbe tutto contro. Vuoi aspettare con noi il momento decisivo ?

Cherea                     Sì. E lasciamolo tirare avanti così ; anzi, spingiamolo per questa strada. Organizziamo la sua pazzia. Verrà il giorno che si troverà solo davanti ad un impero pieno di morti e di parenti dei morti. (Clamore generale. Trombe di fuori. Silenzio. Poi, di bocca in bocca un nome : Caligola).

                                                                                                                             Scena Terza

                                   Entrano Caligola e Cesonia seguiti da Elicone e soldati. Scena muta. Caligola si ferma e guarda i congiurati. In silenzio passa dall’uno all’altro. All’uno aggiusta un ricciolo, davanti ad un altro indietreggia per osservarlo meglio ; lo guarda di nuovo, si passa la mano sugli occhi ed esce senza proferii parola.

                                                                                                                             Scena Quarta

Cesonia                   (Con ironia, indicando il disordine intorno). C’è stata baruffa, qua ?

Cherea                     Sì.

Cesonia                   (Ironica). Perché ?

Cherea                     Per niente.

Cesonia                   Allora non è vero ?

Cherea                     Che cosa non è vero ?

Cesonia                   Che c’è stata baruffa.

Cherea                     Non c’è stata baruffa.

Cesonia                   (Sorride). Forse sarebbe meglio rimettere un po’ in sesto questa roba qui. Caligola odia il disordine.

Elicone                     (Al vecchio patrizio). Finirete per fargli cambiare carattere a quell’uomo !

Vecchio Patrizio     Ma insomma, cosa gli abbiamo fatto ?

Elicone                     Niente. E proprio per questo : non è concepibile che si possa essere fino a tal punto insignificanti. Alla fine si diventa insopportabili. Mettetevi nei panni di Caligola. (Pausa). Naturalmente spirava un’arietta di congiura, qui, non è vero ?

Vecchio Patrizio     Ma non è vero ! ! Che cosa si inventa ora , Caio ?

Elicone                     Non inventa. Sa. Ma in fondo in fondo direi che gli fa piacere. Su, su, rimettiamo un po’ d’ordine qui. (Si danno da fare. Caligola entra ed osserva).

                                                                                                                              

                                                                                                                             Scena Quinta

CALIGOLA              (Al vecchio patrizio). Buongiorno, Cocca bella. Cherea, ho deciso di rifocillarmi in casa tua. Muzio, mi sono preso la libertà d’invitare tua moglie. (L’intendente di palazzo batte le mani. Entra uno schiavo ma Caligola lo ferma). Un momento. Signori voi sapete che le finanze dello Stato restavano in piedi solo perché ne avevano preso l’abitudine. Da ieri l’abitudine non basta più. Sono dunque nella desolante necessità di procedere ad una buona falcidia del personale. Con uno spirito di sacrificio che, sono certo, saprete apprezzare, ho deciso di ridurre l’andamento della mia casa, di liberare qualche schiavo e di prendere voi al mio servizio. Vogliate dunque preparare e servire in tavola. (I senatori si guardano l’un con l’altro sgomenti).

Elicone                     Animo, signori. Un po’ di buona volontà. Vedrete che, in fondo, è più facile scendere la scala sociale, che salirla. (I senatori stentano a muoversi).

CALIGOLA              (A Cesonia). Qual’ é il castigo riservato agli schiavi infingardi, Cesonia ?

Cesonia                   La frusta, credo.

                                   I senatori si precipitano a preparare la tavola, goffi ed inesperti.

CALIGOLA              Coraggio ! Un po’ d’attenzione. E soprattutto metodo, metodo ! (Ad Elicone). Ci hanno perduto la mano, non ti pare ?

Elicone                     Per dir la verità non l’hanno mai avuta, la mano : se non per frustare e comandare. Bisognerà aver pazienza, ecco. Ci vuole un giorno per fare un senatore : e dieci anni per fare un lavoratore.

CALIGOLA              Ma ho paura che ce ne vogliano venti per fare un lavoratore d’un senatore.

 

Elicone                     Però,però, ce la fanno. Direi che ci hanno la vocazione. Gioverà a loro, il servire. (Un senatore si asciuga la fronte). Cominciano a sudare. E’ una tappa.

CALIGOLA              Beh, non siamo troppo esigenti. Non c’è poi tanto male. E poi, un attimo di giustizia non guasta. A proposito di giustizia, bisognerà spicciarsi, sono atteso per un’esecuzione capitale. Ah, Rufio è fortunato che io abbia così pronto l’appetito. (Confidenziale). Rufio è il cavaliere che deve morire. (Pausa).Nessuno mi domanda perché deve morire ? (Silenzio di tutti. Nel frattempo gli schiavi hanno portato le pietanze. Caligola è di buon umore). Benissimo. Vedo che diventate intelligenti. (Mordicchia una oliva). Finalmente avete capito che non è necessario aver fatto qualcosa per essere messo a morte. Soldati, siamo contenti di voi, non è vero Elicone ? (Cessa di mordicchiare olive e guarda i convitati con aria beffarda).

Elicone                     Certo. Un fior di esercito. Ma se vuoi il mio parere, si sono fatti troppo intelligenti e rifiuteranno di combattere. Se andiamo avanti così l’Impero crolla.

CALIGOLA              Benissimo. Ci riposeremo. Animo, mettiamo ci a tavola, ognuno al posto che capita : non c’è protocollo. Quel Rufio è fortunato : però sono certo che lui non appezza abbastanza questa lieve dilazione. Eppure qualche ora di guadagno sulla morte è d’un valore inestimabile.

Mangia. Anche gli altri mangiano. Appare evidente che Caligola a tavola si pota male. Niente l’obbligherebbe a sputare i noccioli nel piatto dei vicini, né a sputare i masticcacci di carne nel vassoio, o a stuzzicarsi i denti con le unghie, o a grattarsi in testa all’arrabbiata. Tutto questo e altro fa durante il pranzo, con una grande semplicità. Ma tutt’a un tratto smette di mangiare e ferma lo sguardo su Lepido, lo fissa con impazienza.

CALIGOLA              (Con brutalità). Sembri molto di malumore tu, Lepido. Forse perché ti ho mandato a morte il figlio ?

Lepido                      (Con un nodo alla gola). No. No, anzi...

CALIGOLA              (Espansivo). No, anzi ! Quanto mi piace che il volto smentisca la pena del cuore ! E tu la faccia l’hai triste, ma il cuore “no, anzi !” Vero, Lepido ?

Lepido                      (Fermo). No, anzi, Cesare.

CALIGOLA              (A mano a mano più allegro). Ah, Lepido ! Nessuno mi è più caro di te. Ridiamo insieme, ti va ? E raccontami qualche barzelletta.

Lepido                      (Che ha supervalutato le sue forze). Caio...

CALIGOLA              Bene, bene. Allora, ne racconto una io. Ma tu riderai, vero Lepido ? (Con lo sguardo cattivo). Non fosse che per amore del tuo secondo figlio.  (Di nuovo ridente). D’altra parte tu non sei affatto di malumore : “No an.., no, an...” e dillo, Lepido !

Lepido                      (Stanco). No, anzi, Caio.

CALIGOLA              Oh, finalmente ! (Beve). Ora, ascolta. (Come una favola). C’era una volta un povero imperatore a cui nessuno voleva bene. Lui, che amava Lepido, allo scopo di strapparsi dal cuore quell’affetto, fece uccidere il suo figlio più giovane. Naturalmente, non è vero. Ma è buffo, no ? Non ridi. Nessuno ride ? Allora ascoltate. (Con violenta collera). Voglio che ridano tutti ! Tu, Lepido, e tutti gli altri ! Alzatevi ! ! Ridete ! Voglio, capite ? Voglio vedervi ridere.

Tutti si alzano in piedi. Durante l’intera scena tutti, meno Caligola e Cesonia, agiscono come marionette. Caligola si butta riverso sul suo triclinio, ridendo a crepapelle.

CALIGOLA              No ! Ma guardali, Cesonia ! Il gioco è fatto. Onestà, dignità, rispetto di sé, opinione altrui, la saggezza delle nazioni, non significano più niente. Tutto svanisce davanti alla paura. Il senso della paura, eh Cesonia ? Metallo senza lega, puro, innocente ; uno dei rari che traggano i loro titoli di nobiltà dalla pancia. (Si passa una mano sulla fronte e beve. Poi, in tono cordiale). Ed ore parliamo d’altro. Cherea, sei molto taciturno.

Cherea                     Sono pronto a parlare, Caio, appena me lo permetterai.

CALIGOLA              Benissimo. Allora, taci. Mi piacerebbe sentire l’amico Muzio.

Muzio                        Ai tuoi ordini, Caio.

CALIGOLA              Bravo. Parlami di tua moglie. E comincia con il mandarmela qui alla mia sinistra. (La moglie di Muzio va a sedersi alla sinistra di Caligola). Dunque, Muzio : siamo in attesa....

Muzio                        (Un po’ smarrito) Mia moglie, io l’amo. (Risata piena dei convitati).

CALIGOLA              S’intende, amico, s’intende. Ma è molto banale questo. (Lecca distratto la spalla sinistra della donna). Sta di fatto che quando sono entrato io, qui si complottava, no ? Un briciolo di congiuretta, eh ?

Vecchio Patrizio     Caio, come puoi...

CALIGOLA              Non ha importanza, Cocca bella. Bisogna pure che anche la vecchiaia abbia i suoi spassi. Sul serio : non ha importanza. Siete incapaci vedo, di un atto di coraggio. Ma, ora mi torna in mente ; ha da sbrigare qualche affare di Stato. Prima, però, diamo corso ai desideri impellenti che ci crea la natura... (Si alza e trascina la moglie di Muzio nella stanza attigua).

                                                                                                                             Scena Sesta

Cesonia                   (Molto gentile). Muzio, vorrei ancora un po’ di quell’eccellente vino.(Muzio, dominato, le versa da bere, in silenzio. Momento di imbarazzo. Scricchiolio di sedie. Il dialogo seguente risulta un poco compassato). Dunque, Cherea ; se ora mi dicessi un po’ perché, dianzi, avete fatto cagnara qui dentro.

Cherea                     (Freddo). Tutto è nato, cara Cesonia, perché si discuteva se la poesia potesse essere o no sanguinaria.

Cesonia                   Argomento interessantissimo, che però supera la mia comprensione di donna. Però mi stupisce che la passione dell’arte possa spingersi fino a prendersi a pugni.

Cherea                     Giusto. Ma Caligola mi diceva che non c’è profonda passione senza un tantino di crudeltà.

Cesonia                   Né d’amore senza un po’ di violenza.

Cherea                     (Seguitando a mangiare). C’è del vero. Che ne dite voialtri ?

Vecchio Patrizio     Caligola è uno psicologo poderoso.

I Patrizio                   Ci ha parlato del coraggio con vera eloquenza.

II Patrizio                  Dovrebbe fare una raccolta delle sue teoretiche. Sarebbe preziosissima.

Cherea                     Senza contare che questo lo terrebbe occupato. Perché è manifesto che ha bisogno di distrarsi in qualche modo.

Cesonia                   Vi farà dunque piacere di sentire che sta scrivendo un grande Trattato.

                                                                                                                             Scena Settima

                                   Rientra Caligola con la moglie di Muzio.

CALIGOLA              Muzio, ti restituisco tua moglie. Tieni. Ti ritorna. Scusatemi. Devo dare certi ordini. (Esce a passi svelti. Muzio è, ora, in piedi, pallidissimo).

Cesonia                   Quel suo grande trattato sarà sicuramente all’altezza dei più famosi.

Muzio                        (Sempre con gli occhi fissi sulla porta donde è uscito Caligola). E di che si tratta, Cesonia ?

Cesonia                   Oh, io non ci arrivo...

Cherea                     Si deve quindi intendere che tratti del potere sanguinario della poesia.

Cesonia                   Sì, mi pare.

Vecchio Patrizio     Bene. Così come diceva Cherea, avrà qualche cosa da fare.

Cesonia                   Sì, Cocca bella. Ma quello che certamente vi metterà un po’ a disagio è il titolo.

Cherea                     Ed è ?

Cesonia                   “La spada”.

                                                                                                                             Scena Ottava

                                   Rientra, concitato, Caligola.

 

 

CALIGOLA              Scusate, ma anche gli affari di Stato sono urgenti. Intendente, farai chiudere i pubblici granai. Ho firmato in questo momento il decreto. Lo trovi in camera.

Intendente               Ma..

CALIGOLA              Domani, carestia.

Intendente               Ma il popolo si agiterà.

CALIGOLA              (Secco e risoluto). Ho detto che domani sarà carestia. Tutti conoscono la carestia. E’ un flagello. Domani l’avremo. E la farò cessare io, quando mi parrà. (In tono didascalico agli altri). Dopo tutto non ho molti mezzi per dimostrare che sono libero. Si è liberi, sempre, a spese di qualcuno. Può spiacere. Ma è normale. (Lancia un’occhiata a Muzio). Applicate questo principio alla gelosia, e vedrete. (Come distratto). E però che brutta cosa essere geloso : soffrire per vanità ed immaginazione ! Vedere la propria moglie... (Muzio stringe i pugni ed apre la bocca, è un attimo). Mangiamo, signori. Lo sapete che stiamo lavorando forte con Elicone ? Mettiamo a punto un trattatello sull’esecuzione capitale, di cui mi saprete dir qualcosa...

Elicone                     Supposto che sia richiesto il vostro parere.

CALIGOLA              Siamo generosi, Elicone ! Su, su, scopriamo a costoro i nostri piccoli segreti. Avanti : sezione III, paragrafo I.

Elicone                     (Si alza e recita meccanicamente). L’esecuzione è sollievo e liberazione. E’ universale : fortificante e giusta nell’applicazione come nelle intenzioni. Si muore perché si è colpevoli ; si è colpevoli perché si è sudditi di Caligola. Tutti sono sudditi di Caligola, ergo, tutti sono colpevoli. Onde consegue che tutti andranno a morte. E’ questione di tempo e di pazienza.

CALIGOLA              (Ridendo) Che ve ne pare ? La pazienza, ecco la trovata ! Devo dirvelo’ E’ ciò che più ammiro in voi. E ora, signori, siate in libertà. Resti Cesonia. E Lepido e Ottavio. Anche Mereia. Vorrei discutere con voi l’organizzazione del mio postribolo. Mi dà dei grossi grattacapi. (Gli altri escono lentamente. Caligola segue con lo sguardo Muzio).

                                                                                                                             Scena Nona

 Cherea                    Ai tuoi ordini, Caio. Che cosa non va ? Personale di scarto, forse ?

CALIGOLA              No. I proventi. Scarsi.

Mereia                      Bisogna alzare le tariffe.

CALIGOLA              Mereia, hai perso una buona occasione per tacere. Alla tua età certi problemi sono intempestivi : e non domando la tua opinione.

Mereia                      Perché allora mi hai fatto restare ?

CALIGOLA              Perché tra poco avrò bisogno di un consiglio appassionato. (Mereia si trae in disparte).

Cherea                     Se posso, Caio, parlare io da appassionato, direi di non toccare le tariffe.

CALIGOLA              Ma è chiaro ! Bisogna dunque rifarsi sulla frequenza delle prestazioni. Ho già spiegato il mio piano a Cesonia, che ve lo esporrà. Io ho bevuto troppo e comincio a sentir sonno. (Si stende e chiude gli occhi).

Cesonia                   E’ semplicissimo. Caligola crea una nuova onorificenza.

Cherea                     Non vedo il rapporto.

Cesonia                   Ma c’é. L’onorificenza che costituirà l’Ordine dell’Eroe Civico. E sarà la ricompensa per quei cittadini che avranno più frequentemente visitato il postribolo di Caligola.

Cherea                     E’ chiaro come il sole.

Cesonia                   Dimenticavo : l ?onorificenza sarà assegnata ogni mese sulla verifica dei gettoni di presenza. Il cittadino che allo scadere dei dodici mesi non abbia meritata neanche una decorazione sarà passibile di esilio o di morte.

III Patrizio                 Perché “o” di morte ?

Cesonia                   Perché Caligola non dà alcuna importanza alla cosa. L’essenziale è che sia lasciata la facoltà di scelta.

Cherea                     Bene ! Il Tesoro Pubblico da Oggi è rimpolpato.

Elicone                     E notate bene, sempre su un piano di moralità. In fondo è meglio tassare il vizio che far pagare la virtù, come usano i regimi repubblicani.

                                   Caligola socchiude un occhio e sbircia il vecchio Mereia che, appartato nel suo angolo, estrae un’ampollina e beve una sorsata.

CALIGOLA              (Restando sdraiato). Che bevi Mereia ?

Mereia                      Una pozione per l’asma, Caio.

CALIGOLA              (Gli si avvicina scartando gli altri e gli annusa in bocca). No, è un contravveleno.

Mereia                      Che dici, Caio ? Scherzerai ! La notte fatico a respirare : è da un pezzo che mi curo così.

CALIGOLA              Hai paura di essere avvelenato...

Mereia                      L ?asma...

CALIGOLA              No. Chiamiamo le cose con il loro nome. Tu hai paura di essere avvelenato da me. Mi sospetti. Mi spii.

Mereia                      Ma no, per tutti gli Dei, no !

CALIGOLA              Sospetti : in qualche modo diffidi di me.

Mereia                      Caio ?

CALIGOLA              (Brutale) Rispondi ! (Matematico). Se prendi un contravveleno vuol dire che mi attribuisci l’intenzione di avvelenarti, vero ?

Mereia                      Sì, voglio dire, no.

CALIGOLA              E dal momento che hai creduto che io abbia deciso di avvelenarti, fai quanto puoi per opporti a questa volontà. (Pausa. Dall’inizio di questa scena Cesonia e Cherea si sono portati nel fondo. Lepido, solo, segue il dialogo con volto angosciato. Caligola, sempre più esatto, seguita.). Due delitti. Un dilemma al quale non puoi sfuggire. O io non ho mai avuto intenzione di farti morire, e tu sospetti ingiustamente di me, il tuo imperatore ; o io avevo quell’intenzione, e tu, vermiciattolo, ti opponi ai miei decreti. (Pausa. Caligola contempla il vecchio con aria soddisfatta). Che ne dici di questa logica ?

Mereia                      E’ rigorosa, Caio. Ma non è applicabile al caso.

CALIGOLA              Terzo delitto : tu mi prendi per un imbecille. Sentimi bene. Di questi tre delitti uno solo va tutto a tuo onore : il secondo, perché dal fatto che tu attribuendomi una decisione ti ci opponi, risulta il tuo fiero spirito di rivolta. Tu diventi un arruffapopoli, un rivoluzionario : e questo è bello. (Con tristezza) Io ti voglio molto bene, Mereia : perciò tu sarai condannato per il secondo delitto, non per gli altri due. Morirai nobilmente, da ribelle. (Durante tutto questo discorso, Mereia si fa sempre più piccolo, nel suo scanno). Non ringraziarmi. E’ una cosa naturalissima. Tieni. (Gli tende una fiale e con gentilezza persuasiva). Bevi questo veleno, avanti, su ! (Mereia scosso da singhiozzi scuote il capo. Caligola perde la pazienza). Animo, animo ! (Mereia tenta di fuggire. Caligola di un balzo felino lo afferra, nel mezzo della scena, lo butta su un sedile basso e dopo qualche attimo di lotta gli infila la fiala tra i denti e la spezza a pugni. Dopo pochi sussulti, Mereia con il viso pieno d’acqua e di sangue, muore. Caligola si alza e meccanicamente si asciuga le mani. Poi si volge a Cesonia consegnandole un frammento della fiala di Mereia). Che è ? Un contravveleno ?

Cesonia                   (Calma). No, Caligola : è una pozione contro l’asma. (Pausa).

CALIGOLA              (Guardando Mereia). E’ lo stesso. Non fa niente. Un po’ prima o un po’ dopo... (Esce con aria indaffarata, seguitando ad asciugarsi le mani).

Lepido                      (Atterrito) Che si fa ?

Cesonia                   (Semplice). Prima si porta via il corpo, direi. E’ troppo brutto.

Lepido                      Bisognerà far presto.

Cherea                     Bisognerà essere in duecento.

                                   Entra il giovane Scipione. Scorge Cesonia e fa l’atto di tornare indietro).

                                                                                                                             Scena Decima

Cesonia                   Vieni qui.

Scipione                   Che vuoi ?

Cesonia                   Avvicinati. (Gli alza il mento e lo guarda negli occhi. Pausa. Freddamente). Ti ha ucciso il padre.

Scipione                   Sì.

Cesonia                   Lo odi ?

Scipione                   Sì.

Cesonia                   Vuoi ucciderlo ?

Scipione                   Sì.

Cesonia                   (Scostandosi). E perché allora me lo dici ?

Scipione                   Perché non ha paura di nessuno, io. Ucciderlo o essere uccisi sono due modi per farla finita. E poi, tu non mi tradirai.

Cesonia                   Hai ragione. Non ti tradirò. Ma voglio dirti una cosa, anzi, meglio, vorrei parlare alla migliore parte di te.

Scipione                   La miglior parte di me, è il mio odio.

Cesonia                   Ascoltami. E’ una parola difficile ed evidente nello stesso tempo. Me è una parola che se davvero fosse ascoltata potrebbe compiere la sola rivoluzione risolutiva di questo mondo.

Scipione                   Dilla.

Cesonia                   Non ancora. Prima, pensa alla faccia stravolta di tuo padre quando gli hanno strappato la lingua. Pensa alla sua bocca piena di sangue ed a quel suo grido di bestia straziata.

Scipione                   Sì.

Cesonia                   Ora pensa a Caligola.

Scipione                   (Col tono dell’odio più rovente). Sì ! !

Cesonia                   Ascolta, ora : cerca di capirlo. (Esce, lasciando Scipione tutto disarmato. Entra Elicone).

                                                                                                                             Scena Undicesima

Elicone                     Caligola torna. Se andaste a mangiare, poeta ?

Scipione                   Aiutami, Elicone.

Elicone                     E’ pericoloso, piccioncino mio. E di poesia non mi intendo niente.

Scipione                   Potresti aiutarmi. Tu sai molte cose.

Elicone                     So che passano i giorni e che bisogna affrettarsi a mangiare. So, anche, che tu potresti uccidere Caligola e che ciò non gli dispiacerebbe neanche tanto. (Esce)

                                                                                                                             Scena Dodicesima

                                   Entra Caligola.

CALIGOLA              Ah, sei tu ? E’ un pezzo che non  ti vedo. (Avvicinandosi a lui lentamente). Che fai ? Scrivi sempre ? Puoi mostrarmi i tuoi ultimi lavori ?

Scipione                   (A disagio anche lui tra il suo odio e qualche cosa che non sa). Ho scritto poesie, Cesare.

CALIGOLA              Su che ?

Scipione                   Non saprei, Cesare. Sulla Natura, forse.

CALIGOLA              Bello, il soggetto. E vasto. Ma che ti fatto la Natura ?

Scipione                   (Riprende il dominio di sé, e con tono ironico, cattivo) Mi consola di non essere Cesare.

CALIGOLA              Ah,E credi che potrebbe consolare me, di esserlo ?

Scipione                   Oh, ha guarito ferite più gravi.

CALIGOLA              (Stranamente semplice). Ferite ? Lo dici con cattiveria. Forse perché ti ho ucciso il padre. Però, se tu sapessi come è giusta la tua parola “ferita” ! (Altro tono). Non c’è che l’odio per rendere intelligenti.

Scipione                   (Rigido). Ho risposto alla tua domanda sulla natura.

CALIGOLA              Siede, guarda Scipione, poi, bruscamente, gli afferra le mani e lo attira ai suoi piedi. Gli prende il viso tra le sue. Recitami i tuoi versi.

Scipione                   No, Cesare. Ti prego.

CALIGOLA              Perché ?

Scipione                   Non li ho con me.

CALIGOLA              Non li sai a memoria ?

Scipione                   No.

CALIGOLA              Almeno l’argomento...

Scipione                   (Sempre rigido e come di controvoglia). Parlavo...

CALIGOLA              Avanti !

Scipione                   No. Non so dire.

CALIGOLA              Prova.

Scipione                   D’un certo accordo della terra...

CALIGOLA              E della terra e del piede...

Scipione                   (Sorpreso , esita ; poi seguita). Sì, press’a poco...

CALIGOLA              Avanti ! !

Scipione                   E anche della linea dei colli romani e di quella calma fuggitiva e sgomenta che vi riporta la sera...

CALIGOLA              ... gli stridii dei rondoni nel cielo verde...

Scipione                   (Con leggero abbandono). Sì, avanti !...

CALIGOLA              Che cosa ?

Scipione                   ... e dell’attimo sottile quando il cielo ancora carico d’oro subitamente ribalta e mostra, d’un tratto, l’altra sua faccia, fitta d’un palpito di stelle ...

CALIGOLA              ... e dell’odor di fumo d’alberi e d’acque, in quell’ora, su dalla terra incontro alla notte...

Scipione                   (Tutto preso) ... Il canto delle cicale ed il riflusso della caldura ; i cani, il il rotolare degli ultimi carri, le voci dei bifochi...

CALIGOLA              ... i sentieri sommersi dall’ombra tra i lentischi e gli ulivi...

Scipione                   Sì. Tutto questo. Ma tu come lo sai ?

CALIGOLA              (Stringendo a sé Scipione) Io non so. Forse perché amiamo le stesse verità.

Scipione                   (In un tremito, abbassa il capo sul petto di Caligola) Oh, che importa se tutto, in me, prende il volto dell’amore ?

CALIGOLA              (Sempre come in una carezza). E’ la virtù delle grandi anime, Scipione. Oh, se almeno potessi conoscere anch’io la tua trasparenza. Ma io conosco troppo la forza della mia passione per la vita, cui non basterà, a soddisfarla, la Natura. Tu, questo, non lo puoi capire. Sei d’un altro mondo. Tu sei nel bene allo stato puro, come io sono nel male allo stato puro.

Scipione                   Posso capirlo.

CALIGOLA              No. Questo qualche cosa in me ; questo lago di silenzio ; questa marcita d’erbe... (Ad un tratto, tutt’altro tono). Il tuo poema dev’essere bello. Ma vuoi il mio parere ?

Scipione                   Sì.

CALIGOLA              Manca il sangue.

Scipione                   (Come morso da una vipera, si tira indietro di colpo e guarda Caligola con orrore. Sempre indietreggiando, parla con voce sorda a Caligola, fissandolo con uno sguardo intenso). Mostro ! Fetido mostro ! ! Anche stavolta è stato un gioco ! Hai scherzato, vero ? Sei soddisfatto di te ?

CALIGOLA              C’è del vero in quel che dici. Ho scherzato.

Scipione                   (c.s.) Un cuore marcio e sanguinante devi avere tu. Come devi essere torturato da tutto il tuo male e il tuo odio !

CALIGOLA              Taci tu, ora.

Scipione                   Come ti compiango ! Come ti odio !

CALIGOLA              (In collera) Taci !

Scipione                   E che solitudine immonda ha da essere la tua !

CALIGOLA              (Prorompe ; gli si scaglia contro, lo scuote, lo scrolla). La solitudine ! La conosci tu, la solitudine ? Quella dei poeti e degli impotenti. La solitudine ! Ma quale ? Lo sai tu, che soli non si è mai ? E che ci accompagna sempre e dappertutto lo stesso peso di avvenire e di passato ? Quelli che abbiamo ucciso sono con noi. E se fosse ancora per loro sarebbe ancora facile. Ma quelli che uno ha amato ; quelli che non ha amato e non l’hanno amato, i rimpianti, il desiderio, l’amarezza e la dolcezza, le puttane e la cricca degli Dei ! (Si stacca da lui ed indietreggia verso il suo posto di prima). Solo ! Ah, se almeno invece di questa solitudine avvelenata di presenze, che è la mia, potessi godere quella vera, il silenzio ed il tremolare di un albero. (Vinto da una improvvisa stanchezza, siede). La solitudine ! Ma no, Scipione. E’ popolata di stridor di denti e tutta ripercossa d’echi, rumori, strepiti perduti. E vicino alle femmine che accarezzo, quando la notte si richiude su di noi e io credo, staccato dalla mia carne ormai satura, di cogliere un poco di me stesso tra la vita e la morte, la mia solitudine totale si sazia dell’acre fortore del piacere alle ascelle della femmina che ancora sprofonda al mio fianco. (Appare disfatto. Lunga pausa. Scipione passa alle spalle di Caligola e gli si accosta esitando. Tende una mano ; gliela posa sulle spalle. Caligola, senza voltarsi, la copre con la sua).

Scipione                   Tutti hanno, nella vita, qualche dolcezza che li aiuta a proseguire. A quella ricorrono ogni volta che si sentono troppo logori.

CALIGOLA              E’ vero, Scipione.

Scipione                   E non hai nulla tu, nella tua, che somigli a tutto questo ? L’imminenza delle lacrime, un rifugio di silenzio ?

CALIGOLA              Sì.

Scipione                   Che cosa ?

CALIGOLA              Lo schifo.

F I N E   S E C O N D O   A T T O


A T T O    T E R Z O

                                                                                                                             Scena Prima

                                   A sipario chiuso frastuono di cembali e tamburi. Si apre il sipario su una specie di fiera paesana. Al centro, un tendaggio davanti al quale, su una piccola piattaforma, sono Elicone e Cesonia. Ai due lati, i cembalisti. Seduti sui loro scanni, spalle alla platea, alcuni patrizi ed il giovane Scipione.

Elicone                     (Tono dell’imbonitore). Avanti, avanti, signori ! (Cembali). Ancora una volta sono scesi gli dei sulla terra. Caio, Cesare e Dio soprannominato Caligola, ha prestato loro la sua forma integralmente umana. Avanti, rozzi mortali : il miracolo sacro si svolge davanti ai vostri occhi. Per un particolare favore riservato al regno di Caligola caro agli Dei, i divini misteri sono offerti a tutti gli occhi. (Cembali).

Cesonia                   Avanti, avanti signori ! Adorate e offrite l’obolo ! Il celeste mistero è oggi alla portata di tutte le borse ! (Cembali).

Elicone                     L’Olimpo e i suoi retroscena ; i suoi intrighi, pantofole e lacrime. Avanti, avanti ! Tutta la verità sui vostri Dei !

Cesonia                   Adorate e date l’obolo. Avanti, signori ! Si sta per dare inizio allo spettacolo !

                                   Cembali. Movimento di schiavi che portano oggetti sulla piattaforma.

Elicone                     Una ricostruzione di impressionante verità ; una realizzazione senza precedenti. I maestosi scenari della potenza divina ricondotti sulla terra ; un’attrazione sensazionale e smisurata. La folgore... (Gli schiavi accendono vampate di resina). Il tuono... (Rotolano una botte piena di sassi). Il Destino in persona, nella sua marcia trionfale ! Avvicinatevi e contemplate... (Tira il tendaggio e appare Caligola in un costume di Venere grottesca, eretta sul suo piedistallo).

CALIGOLA              (Con il suo miglior sorriso). Oggi sono Venere.

Cesonia                   Ha inizio l’adorazione. Prosternatevi ! (Tutti eseguono meno Scipione). E ripetete con me la sacra preghiera a Caligola-Venere. “Dea dei dolori e della danza...”

Patrizi                       Dea dei dolori e della danza...

Cesonia                   “Nata dalle onde del mare vischiosa ed amara tra schiume e salsedine...”

Patrizi                       Nata dalle onde del mare vischiosa ed amara tra schiume e salsedine...

Cesonia                   “Tu sei come un riso ed un rimpianto...”

Patrizi                       Tu sei come un riso ed un rimpianto...

Cesonia                   “Un rancore ed uno slancio.”

Patrizi                       Un rancore ed uno slancio...

Cesonia                   “Insegna a noi l’indifferenza che risuscita gli amori.”

Patrizi                       Insegna a noi l’indifferenza che risuscita gli amori.

Cesonia                   “Rivelaci la verità di questo mondo, che è di non possedere la verità.”

Patrizi                       Rivelaci la verità di questo mondo, che è di non possedere la verità.

Cesonia                   “Dacci tu la forza di vivere all’altezza di questa verità incomparabile.”

Patrizi                       Dacci tu la forza di vivere all’altezza di questa verità incomparabile.

Cesonia                   Pausa.

Patrizi                       Pausa.

Cesonia                   (Riattacca). “Colmaci dei tuoi doni, diffondi sui nostri volti la tua imparziale crudeltà, il tuo odio tutto obiettivo;  apri sopra i nostri occhi le tue mani piene di fiori e di strage...”

Patrizi                       ... le tue mani piene di fiori e di strage...

Cesonia                   “Accogli i tuoi figli smarriti nello spoglio asilo del tuo amore indifferente e doloroso. Dacci le tue passioni senza oggetto ; i tuoi dolori senza ragione e le tue gioie senza futuro...”

Patrizi                       ... e le tue gioie senza futuro...

Cesonia                   (Tono altissimo). “Tu vuota e rovente, inumana e così terrestre, inebriaci del vino della tua equivalenza e saziaci per sempre nel tuo cuore nero e salato.”

Patrizi                       ... inebriaci del vino della tua equivalenza e saziaci per sempre nel tuo cuore nero e salato.

                                   Alla fine di quest’ultima frase dei patrizi, Caligola, rimasto fin qui sempre immobile, dà una sbruffata come un cavallo e con voce stentorea.

CALIGOLA              Accordato, figli miei : i vostri voti saranno esauditi. (Siede con le gambe incrociate, all’orientale, sul piedistallo. Ad uno ad uno i patrizi si prostrano, versano l’obolo e si allineano sulla destra, prima di uscire. L’ultimo, nel suo turbamento, si scorda di versare l’obolo : ma Caligola, di scatto è in piedi). Hep ! Hep ! Vieni un po’ qua tu, ragazzo bello. Adorare è bello, ma arricchire è meglio. Grazie. Ora va bene. Se gli Dei non avessero altra ricchezza che l’amore dei mortali, sarebbero più poveri del povero Caligola. E ora signori, potete andarvene, e diffondere in città la notizia dello sbalorditivo miracolo a cui vi è stato concesso di assistere. Voi avete visto Venere, quel che si dice Venere, con i vostri occhi di carne. E Venere vi ha parlato. Signori, in libertà. (Movimento tra i patrizi). Un momento ! Uscendo, prendete il corridoio a sinistra. In quello di destra ho appostato un po’ di guardie per farvi assassinare.

                                   I patrizi escono in fretta ed in disordine Schiavi e musici spariscono. Elicone minaccia con il dito Scipione.

Elicone                     Seguitiamo a fare l’anarchico, eh, Scipione ?

Scipione                   (A Caligola). Hai bestemmiato, Caio.

CALIGOLA              Ha qualche importanza la cosa ?

Scipione                   Tu sporchi il cielo, dopo aver insanguinato la terra.

Elicone                     Il giovanotto adora le parole grosse. (Va a sdraiarsi su un divano).

Cesonia                   Lo vedi, Caligola ? Mancava giusto al tuo regno una bella figura morale.

CALIGOLA              (Con interesse). Ah, credi negli Dei, tu, Scipione ?

Scipione                   No.

CALIGOLA              E allora non capisco perché ti dai con tanto zelo a scovare i blasfemi.

Scipione                   Io posso negare una cosa senza sentirmi obbligato a sporcarla o a negare agli altri il diritto di crederci.

CALIGOLA              Ma è modestia, questa : fior di modestia. Mio caro Scipione, ne sono proprio lieto. Per te. E t’invidio anche. Perché quello della modestia è il solo sentimento che non conoscerò forse mai.

Scipione                   Non sei invidioso di me, tu : ma degli Dei.

CALIGOLA              Se vuoi. Questo resterà il gran segreto del mio regno. Tutto quello che oggi mi si può rimproverare è di aver fatto qualche passo avanti sulla via della potenza e della libertà. Per un uomo che ama il potere, la rivalità degli Dei ha un leggero sapore di provocazione. Io l’ho soppressa. Ho provato a questi Dei illusivi che un uomo, se ne ha voglia, può esercitare senza tirocinio il loro ridicolo mestiere.

Scipione                   E questo è bestemmia, Caio.

CALIGOLA              No, Scipione : è chiaroveggenza. Ho capito, semplicemente, che c’è un solo modo di farsi pari agli Dei : essere, al pari di loro, crudeli.

Scipione                   Basta farsi tiranno.

CALIGOLA              E che è un tiranno ?

 

Scipione                   Un’anima cieca.

CALIGOLA              Non è detto, Scipione. Il tiranno è un uomo che sacrifica popoli interi alle sue idee, alla sua ambizione. Io, idee, non ne ho ; e non ha più da brigare per ottenere onore e potenza. Se esercito questo potere, lo faccio per contrappeso.

Scipione                   A che cosa ?

CALIGOLA              Alla stupidità e all’odio degli Dei.

Scipione                   L’odio non compensa l’odio ; il potere non è una soluzione. Io non conosco che un modo per bilanciare l’ostilità del mondo.

CALIGOLA              Ed è ?

Scipione                   La povertà.

CALIGOLA              (Mentre si cura le unghie dei piedi). Bisognerà che provi anche quella.

Scipione                   In attesa, intorno a te muoiono molti uomini.

CALIGOLA              Neanche tanti, Scipione : davvero. Sai quante guerre ho rifiutato ?

Scipione                   No.

CALIGOLA              Tre. E lo sai perché non ho voluto farle ?

Scipione                   Perché tu, della grandezza di Roma, te ne infischi.

CALIGOLA              No. Perché rispetto la vita umana.

Scipione                   Ora mi burli.

CALIGOLA              O per lo meno la rispetto più di qualsiasi ideale di conquista. Sempre meno, tuttavia, di quanto io rispetto la mia propria. E se mi è facile uccidere, è perché non mi è difficile morire. No : più ci rifletto e più mi convinco di non essere un tiranno.

Scipione                   Che importa, se ci costi come se tu lo fossi ?

CALIGOLA              Se tu avessi imparato a computare sapresti che la più modesta guerriciola condotta da un tiranno ragionevole, vi costerebbe mille volte più cara che tutti i capricci della mia fantasia.

Scipione                   Ma almeno sarebbe comprensibile. E capire è essenziale.

CALIGOLA              Il destino non si capisce mai ; e per questo mi sono fatto destino degli altri. Ho preso l’aspetto stupido ed impenetrabile degli Dei : e proprio questo è ciò che hanno cominciato ad adorare qui i tuoi colleghi, poco fa.

Scipione                   E proprio questo è bestemmia, Caio.

CALIGOLA              No, Scipione : è teatro. L’errore di tutta quella gente è di non credere abbastanza al teatro. Se ci credessero saprebbero che è consentito, al primo che passa, di recitare la tragedia del cielo e farsi Dio. Basta indurirsi il cuore.

Scipione                   Forse. Ma se è vero questo, credo che tu abbia fatto tutto il necessario per suscitare, un giorno, intorno a te legioni di Dei umani, a loro volta implacabili ad annegare nel sangue la tua divinità di un attimo.

Cesonia                   Scipione ! !

CALIGOLA              (Con voce netta e dura). Lascialo dire. Tu non immagini, Scipione, quanto hai detto giusto. Io ho fatto il possibile. Non mi riesce facile immaginare quel giorno a cui alludevi. Ma qualche volta lo sogno. E su tutti i volti che allora avanzano dal fondo della notte amara, nei lineamenti stravolti dall’odio e dall’angoscia riconosco - infatti - con rapimento, il solo Dio che ho adorato in questo mondo ; miserevole e vile come il cuore umano. (Irritato). Ed ora vattene. Ha i parlato troppo. (Altro tono). Ho ancora da smaltarmi le unghie dei piedi. E’ urgente.

                                   Escono tutti meno Elicone che gira intorno a Caligola assorto nella verniciatura delle sue unghie.

                                                                                                                             Scena Seconda

CALIGOLA              Elicone.

Elicone                     Che c’è ?

CALIGOLA              Procede il tuo lavoro ?

Elicone                     Quale lavoro ?

CALIGOLA              LA luna.

Elicone                     Procede. E’ questione di pazienza. Ma ora vorrei parlarti.

CALIGOLA              La pazienza ce l’avrei. Ma il tempo no. Bisogna far presto, Elicone.

Elicone                     Te l’ho già detto. Farò del mio meglio. Ma ho cose gravi da rivelarti.

CALIGOLA              Nota bene che l’ho già posseduta.

Elicone                     Chi ?

CALIGOLA              La luna.

Elicone                     Ah, già. Ma lo sai che si complotta contro la tua vita ?

CALIGOLA              L’ho realmente posseduta. Due o tre volte, per essere sinceri ; ma, insomma, l’ho avuta.

Elicone                     E’ tanto che cerco di parlarti...

CALIGOLA              L’estate scorsa. Da un pezzo me la contemplavo, me la carezzavo sulle colonne del giardino : ha finito per comprendere.

Elicone                     Lasciamo questo giochetto. Caio, anche se tu non vuoi starmi a sentire, io ho il dovere di parlarti. Peggio per te se non mi darai retta.

CALIGOLA              (Sempre occupato nella verniciatura delle sue unghie). Questo smalto non vale niente. Ma, per tornare alla luna, fu una bella notte d’agosto. (Elicone si volta indispettito, ma tace, immobile). Ha fatto un po’ di storie. Io ero già a letto, e lei dapprima comparve, tutta sangue, sulla linea dell’orizzonte. Poi cominciò a levarsi sempre più leggera e rapida. Più saliva e più schiariva. Alla fine fu un lago d’acqua lattiginosa in mezzo a quella notte piena di fremiti d’astri. E’ entrata nella calura, dolce, leggera e nuda. Ha varcato la soglia della stanza : lenta e sicura è arrivata al mio letto. Ci si è insinuata e m’ha inondato dei suoi sorrisi e del suo fulgore. Insomma, questo smalto non vale niente. Vedi bene, Elicone, che posso dire senza vanteria di averla posseduta.

Elicone                     Mi stai a sentire ? E vuoi sapere quello che ti minaccia si o no ?

CALIGOLA              (Si ferma e lo fissa). Io voglio solo la luna, Elicone. So fin d’ora quello che ucciderà. Non ho ancora esaurito tutto ciò che può tenermi vivo. Perciò, voglio la luna. E tu non riaccostarti qui se non me l’avrai procurata.

Elicone                     E allora farò il mio dovere e ti dirò quel che ho da dire. C’è un complotto contro di te. Lo capeggia Cherea. Ho trafugato questa tavoletta che ti rivelerà gli elementi essenziali. Te la lascio qui. (Elicone posa la tavoletta su uno sgabello e si avvia).

CALIGOLA              Dove vai, Elicone ?

Elicone                     A prenderti la luna.

                                                                                                                             Scena Terza

                                   Grattano alla porta. Caligola si volta di colpo e vede il vecchio Patrizio.

Vecchio Patrizio     Permetti, Caio ?

CALIGOLA              (Seccato). Ma sì. Entra. Dunque, cocca bella, veniamo a rivedere Venere ?

Vecchio Patrizio     No. Non è questo. Zitto ! Scusa, Caio, volevo dire, sai, sai che io ti voglio molto bene, e inoltre, anche perché io chiederei solo di finire in pace i miei vecchi giorni...

CALIGOLA              Stringi, stringi.

Vecchio Patrizio     Già, ecco... sì... (In fretta). E’ gravissimo, ecco.

CALIGOLA              Non è niente.

Vecchio Patrizio     Ma che cosa, Caio ?

CALIGOLA              E di che parliamo, amor mio ?

Vecchio Patrizio     (Con circospezione). Già, è vero. (Esplode). Un complotto contro di te.

CALIGOLA              Lo vedi ? Te lo avevo detto che non è niente.

Vecchio Patrizio     Caio, ti vogliono uccidere.

CALIGOLA              (Gli si avvicina, lo prende per le spalle). Lo sai perché non posso crederti ?

Vecchio Patrizio     Per tutti gli dei, Caio...

CALIGOLA              (Con dolcezza spingendolo verso la porta). Non giurare. Ti prego di non giurare. Stammi a sentire, piuttosto. Se quel che dici è vero, sarei costretto a supporre che tradisci i tuoi amici, sì o no ?

Vecchio Patrizio     (Perdendo terreno). Cioè, dico, il mio amore per te...

CALIGOLA              Non posso supporlo. Ho tanto odiato la viltà che non riuscirei mai a trattenermi dal mandare a morte un traditore. So quel che vali. E certo non vorrai né tradire né morire.

Vecchio Patrizio     Ma certo, Caio, certo...

CALIGOLA              Vedi dunque, che avevo ragione di non crederti. Tu non sei un vigliacco vero ?

Vecchio Patrizio     Oh, no.

CALIGOLA              Né un traditore.

Vecchio Patrizio     Neanche a dirlo.

CALIGOLA              Di conseguenza, non esiste complotto e non era che uno scherzo. Dillo...

Vecchio Patrizio     Uno scherzo. Un semplice scherzo.

CALIGOLA              Nessuno pensa ad uccidermi, chiaro ?

Vecchio Patrizio     Nessuno, certo, nessuno.

CALIGOLA              (Trae un profondo respiro, poi, lentamente). Allora, sparisci, cocca bella. Un uomo d’onore è un animale così raro a questo mondo, che non ne potrei sopportare la vista per troppo tempo. Ho bisogno di restare solo per assaporarmi questo raro momento...

                                   Caligola contempla un attimo dal suo posto la tavoletta lasciata da Elicone. Poi si alza, va a prenderla e legge. Respira forte. Chiama una guardia.

CALIGOLA              Conduci qui Cherea. (La guardia si avvia). Un momento. (La guardia si ferma). Con tutti i riguardi. (La guardia esce. Caligola passeggia in lungo ed in largo, poi si avvicina allo specchio).Avevi ragione di essere logico. Stupido ! Si tratta di sapere, tutt’al più, fin dove può arrivare tutto questo. (Ironico). Se ti portassero la luna, tutto muterebbe registro, non è vero ? L ?impossibile diventerebbe possibile, e nello stesso tempo tutto riuscirebbe trasfigurato. E perché no, Caligola ? Chi può saperlo ? (Si guarda intorno). C’è sempre meno gente intorno a me. Curiosa ! (Allo specchio). Troppi morti, troppi morti. Si resta sguarniti, qui. Anche se mi portassero la luna, non potrei più tornare indietro. Anche se i morti tornassero a fremere sotto la carezza del sole, non per questo rientrerebbe sotto terra l’assassinio. Logica, Caligola, logica. Bisogna seguire la logica. Il potere, fino in fondo. L’abbandono fino in fondo. No. Indietro non si torna : bisogna proseguire fino alla consumazione.

                                   Entra Cherea.

                                                                                                                             Scena Quinta

                                   Caligola, leggermente riverso sul suo scanno, è ingolfato in un mantello. Appare estenuato.

Cherea                     Mi hai fatto chiamare, Caio ?

CALIGOLA              (Con voce stanca). Sì, Cherea. Guardie, fiaccole, qua.

Pausa.

Cherea                     Hai qualche particolare comunicazione per me ?

CALIGOLA              No, Cherea.

                                   Pausa.

Cherea                     (Un po’ irritato). Sei sicuro che ti sia necessaria la mia presenza ?

CALIGOLA              Assolutamente sicuro, Cherea. (Pausa. Subito concitato). Oh, scusami. Sono distratto. Ti ho accolto male. Prendi quello sgabello e ragioniamo da amici. Ho bisogno di scambiare due parole con una persona intelligente. (Cherea si siede. Caligola, per la prima volta dall’inizio della vicenda, sembra comportarsi con naturalezza). Cherea, pensi tu che due uomini di pari animo e dignità possano, almeno una volta in vita loro, parlarsi a cuore aperto come se fossero nudi, l’uno di fronte all’altro, spogli di pregiudizi, di personali interessi, delle menzogne di cui vivono ?

Cherea                     Penso che sia possibile, Caio. Ma credo che tu non ne sia capace.

CALIGOLA              Hai ragione. Volevo soltanto sapere se tu la pensavi come me. E allora, mettiamoci la maschera, impugniamo le le nostre menzogne e parliamo come ci si batte, coperti fino alla guardia. Cherea, perché, non mi vuoi bene ?

Cherea                     Perché non c’è nulla in te che possa farti benvolere. Perché a certe cose non si comanda. E anche perché ti capisco troppo ; e non si ama quello dei propri volti che si tiene gelosamente mascherato in se stessi.

CALIGOLA              Perché mi odi ?

Cherea                     Qui ti sbagli, Caio. Io non ti odio. Ti giudico nocivo e crudele, egoista e vanitoso : ma non posso odiarti perché non ti credo felice. E non posso disprezzarti perché so che non sei vile.

CALIGOLA              Allora, perché vuoi uccidermi ?

Cherea                     Te l’ho detto. Ti credo nocivo. Io amo la mia sicurezza. Mi è necessaria. La maggior parte degli uomini è come me. Incapaci di vivere in un universo dove il pensiero più bizzarro può in un attimo entrare nella realtà e dove il più delle volte questa realtà penetra come il coltello in un cuore. Neanche io voglio vivere in un tale universo. Preferisco tenermi saldo in potestà di me stesso.

CALIGOLA              Sicurezza e logica non vanno d’accordo.

Cherea                     E’ vero. Non è logico. Ma è sano.

CALIGOLA              Tira avanti.

Cherea                     Non ho altro da dire. Non voglio entrare nella tua logica. Dei doveri dell’uomo ho un’idea diversa, io. E so che i tuoi sudditi - la maggior parte - la pensano come me. Tu sei importuno a tutti. E’ naturale che tu sparisca.

CALIGOLA              Tutto ciò è molto chiaro e molto legittimo. Per la maggior parte degli uomini sarebbe perfino evidente. Ma non per te. Tu sei intelligente : e l’intelligenza o si paga cara o si nega. Io pago. Ma tu non vuoi negarla e non vuoi pagare : perché ?

Cherea                     Perché ho voglia di campare e di essere felice. Non credo che si possa campare né essere felici spingendo l’assurdo alle estreme conseguenze. Io sono come tutti gli altri. Per sentirmene liberato, auguro talvolta la morte alle persone che amo. Desidero donne che la legge della famiglia o dell’amicizia vietano di desiderare : e che, per essere logico, io dovrei uccidere o possedere. Ma stimo che certe idee vaghe non abbiano importanza. Se tutti si prendessero la briga di praticarle non potremmo né vivere né essere felici. Torno a dirti : solo questo importa.

CALIGOLA              Allora credi in qualche idea superiore...

Cherea                     Credo che ci siano certe azioni più belle di certe altre.

CALIGOLA              Io credo che una vale l’altra.

Cherea                     Lo so, Caio. Perciò non ti odio. Ma tu riesci importuno e devi scomparire.

CALIGOLA              Giustissimo. Ma perché venirmelo a dire a rischio della vita ?

Cherea                     Perché altri mi sostituiranno e perché non mi piace mentire.

                                   Pausa.

CALIGOLA              Cherea !

Cherea                     Sì, Caio.

CALIGOLA              Credi tu che due uomini di pari animo e dignità possano, almeno una volta nella vita, parlarsi a cuore aperto ?

Cherea                     L’abbiamo appena fatto.

CALIGOLA              Sì. Però tu non me ne credevi capace.

Cherea                     Ho avuto torto, Caio ; lo riconosco e ti ringrazio. Ora aspetto la tua sentenza.

CALIGOLA              La mia sentenza ? Ah, vuoi dire... (Da sotto il mantello tira fuori la tavoletta e la mostra a Cherea). La conosci, Cherea ?

 Cherea                    Sapevo che era nelle tue mani.

CALIGOLA              Sì, Cherea. (In tono appassionato). E la tua stessa franchezza era simulazione. I due uomini non si sono parlati proprio a cuore aperto. Ma non fa nulla. Ora cesseremo di giocare alla sincerità. Ora ricominceremo a vivere come il passato. E tu dovrai scoprire ancora il senso delle mie parole e subire le mie offese ed i miei capricci. Ascolta Cherea, questa tavoletta è la sola prova.

Cherea                     Me ne vado, Caio. Sono stufo di tutto questo gioco sinistro. Lo conosco anche troppo e non voglio più vederlo.

CALIGOLA              (Col suo tono appassionato ed intenso). Rimani. E’ la sola prova, no ?

Cherea                     Cherea              Non credo che tu abbia bisogno di prove per far morire un uomo.

CALIGOLA              E’ vero : ma una volta tanto mi voglio contraddire. Non fa male a nessuno : e contraddirsi ogni tanto è un sollievo ed un riposo. Io ho bisogno di riposo, Cherea.

Cherea                     Non capisco ; e le complicazioni non sono di mio gusto.

CALIGOLA              Certo, Cherea : sei un uomo sano. Non desideri niente di straordinario. (Ride). Tu vuoi vivere ed essere felice : solo questo !

Cherea                     Credo che faremo meglio a fermarci qui.

CALIGOLA              Non ancora. Un po’ di pazienza : vuoi ? Ecco la prova, guarda. Voglio far conto che mi sia indispensabile per mandarti a morte. E’ la mia idea, il mio riposo. Ebbene, guarda che cosa diventano le prove nelle mani di un imperatore. (Avvicina la tavoletta ad una fiaccola. Cherea si avvicina a lui. Li separa la fiamma. La tavoletta si fonde). Vedi, cospiratore ? Si fonde.  E amano a mano che questa prova scompare, vedo sorgere un’alba di innocenza sul tuo volto. Che fronte mirabilmente pura hai, Cherea. E’ molto bello un innocente ! E’ molto bello ! Ammira la mia potenza. Neanche gli Dei possono rendere l’innocenza senza prima aver punito. Il tuo imperatore, invece, non ha bisogno che di una fiamma per assolverti e ridarti il coraggio. Continua, Cherea : e segui il tuo magnifico ragionamento di poco fa. Il tuo imperatore aspetta il suo riposo. E’ il suo modo di vivere e di essere felice.

                                   Cherea fissa Caligola con un senso di stupore. Abbozza appena un gesto : sembra avere compreso. Schiude la bocca, ma esce concitato. Caligola seguita a tenere la tavoletta sulla fiamma e, sorridendo, segue con lo sguardo Cherea che si allontana.

FINE  TERZO  ATTO


A T T  O  Q U A R T O

                                                                                                                             Scena prima

                                   Penombra. Entrano Cherea e Scipione. Cherea si avvicina alla quinta di destra, poi a quella di sinistra, poi torna vicino a Scipione.

Scipione                   (chiuso). Che vuoi da me ?

Cherea                     Il tempo stringe. Dobbiamo essere risoluti.

Scipione                   Chi ti ha detto che io non sono risoluto ?

Cherea                     Sei mancato alla riunione di ieri.

Scipione                   (Volge il capo). E’ vero, Cherea.

Cherea                     Scipione, io sono più anziano di te e non sono abituato a chiedere aiuto. Ma è anche vero che ho bisogno di te. Questo assassinio esige dei corresponsabili degni di rispetto. In mezzo a tante vanità ferite ed ignobili paure, siamo due soli - tu ed io - animati da moventi puri. So che, se anche ci abbandoni, non parlerai. Ma non ha importanza, questo. Io desidero solo una cosa : che tu resti con noi.

Scipione                   Ti capisco. Ma ti giuro che non posso.

Cherea                     Allora, sei con lui ?

Scipione                   No. Ma non posso essere contro di lui. (Pausa. Poi con voce sorda). Anche se dovessi ucciderlo, il mio cuore sarebbe con lui.

Cherea                     Ha ucciso tuo padre.

Scipione                   E’ vero. Da lì comincia e finisce tutto.

Cherea                     Nega ciò che tu affermi, dileggia ciò che veneri tu.

Scipione                   E’ vero, Cherea. E tuttavia, qualche cosa, di me, gli somiglia. Ci brucia il cuore una stessa fiamma.

Cherea                     Ci sono ore in cui si deve scegliere. Io ho soffocato, in me, quanto poteva somigliargli.

Scipione                   Io non posso scegliere.  Io soffro la sua pena e la mia. La mia disgrazia e di comprendere tutto.

Cherea                     E così scegli di dar ragione a lui.

Scipione                   (Quasi gridando). Oh, Cherea, ti prego ! Nessuno per me, avrà più ragione.

                                   Pausa. Si guardano.

Cherea                     (Commosso, avvicinandosi a lui). Lo sai ? Io lo odio ancora di più, per quello che ha fatto di te.

Scipione                   Sì. Mi ha insegnato a pretendere tutto.

Cherea                     No, Scipione : ha fatto di te un disperato. E far disperare un anima giovane è il delitto più grave tra quanti ne ha commessi fin qui. Basterà questo, te lo assicuro, a farmelo uccidere di slancio. (Si avvia all’uscita. Entra Elicone).

                                                                                                                             Scena seconda

Elicone                     Ti cercavo, Cherea. Caligola ha convocato qui un piccolo gruppo di amici. Devi aspettarlo. Ma di te, piccioncino, non c’è bisogno. Puoi andartene.

Scipione                   (Di sulla soglia si volge a Cherea). Cherea.

Cherea                     Sì, Scipione.

Scipione                   Cerca di capire.

Cherea                     (Quasi sussurrando). No, Scipione.

                                   Scipione ed Elicone escono. Rumore d’armi, da dentro. Entrano due guardie, da destra con il vecchio patrizio ed il primo patrizio. I due avanzano sconvolti dallo spavento.

I Patrizio                   (Alla guardia, con voce che si sforza di essere ferma). Ma insomma, che si vuole da noi a quest’ora della notte ?

Guardia                    Lì, seduto. (Indica una sedia a destra).

I Patrizio                   Se si tratta di farci morire, come molti altri, non c’è bisogno di tante storie.

Guardia                    Seduto, vecchio mulo !

Vecchio Patrizio     Mettiamoci a sedere. Quello lì non sa nulla. Si vede chiaro. (Esce la guardia).

I Patrizio                   Bisognava agire subito. L’avevo detto, io. Adesso ci attende la tortura.

                                                                                                                             Scena quarta

Cherea                     (Calmo, siede). Di che si tratta ?

I due Patrizi             Hanno scoperto la congiura.

Cherea                     E con questo ?

I Patrizio                   E’ la tortura, adesso.

Cherea                     (Impassibile). Ricordo che Caligola regalò ottantamila sesterzi ad uno schiavo ladro che la tortura non riuscì a far confessare.

I Patrizio                   Bella consolazione !

Cherea                     Già. Ma questo prova che Caio apprezza il coraggio. Dovreste tenerne conto. (Al vecchio patrizio). Ti dispiacerebbe di finirla di battere i denti a quel modo ? Non lo sopporto.

Vecchio Patrizio     E’ che...

Primo Patrizio         Poche storie ! Qui si gioca la vita.

Cherea                     (Senza scomporsi). Sapete come dice Caligola ?

Vecchio Patrizio     Sì. Dice al boia : “Ammazzalo a fuoco lento, che si senta morire”.

Cherea                     Ne ha di meglio. Dopo un’esecuzione sbadiglia e dice serio serio : “Quello che più ammiro è la mia insensibilità”.

I Patrizio                   Avete sentito ? (Rumore d’armi).

Cherea                     E’ una frase che rivela debolezza di natura.

Vecchio Patrizio     Ti dispiacerebbe finirla con la filosofia ? Non la sopporto.

                                   Entra dal fondo uno schiavo che porta delle armi e le posa su uno scanno.

Cherea                     (Che non lo ha visto). Dobbiamo almeno riconoscere che quest’uomo esercita un innegabile influenza. Costringe a pensare. Costringe tutti a pensare. La mancanza di sicurezza fa sempre pensare. E così si trova addosso tanto odio.

Vecchio Patrizio     (Tremando). Guarda.

Cherea                     (Scorge le armi. Con voce leggermente mutata). Forse avevi ragione tu.

I Patrizio                   Bisognava fare presto. Abbiamo troppo indugiato.

Cherea                     Sì. La lezione è un po’ tardiva.

Vecchio Patrizio     Ma è assurdo ! Io non voglio morire !

                                   Si alza e tenta di scappare. Due guardie si alzano e lo costringono a rimettersi a sedere, dopo averlo schiaffeggiato. Il primo patrizio si rattrappisce sulla sua sedia. Cherea dice qualche parola che non si afferra. Improvvisamente una strana musica, acre e saltellante, di sistri e di cembali scoppia nel fondo. I patrizi guardano e tacciono. Appare, sul tendaggio di fondo, un’ombra cinese, Caligola in gonnellino corto da danzatrice e corona di fiori in testa. Mima qualche gesto di danza e scompare. Subito si leva la voce solenne di una guardia.

Guardia                    Lo spettacolo è terminato.

                                   Intanto Cesonia è entrata in silenzio alle spalle degli spettatori. Parla con voce neutra, che, tuttavia, li fa sussultare.

                                                                                                                             Scena quinta

Cesonia                   Caligola mi ha incaricato di dirvi che se finora vi aveva sempre fatto chiamare per affari di Stato, oggi vi invita a condividere con lui un’emozione artistica. (Pausa. Poi, con lo stesso tono di voce). Ha aggiunto che chiunque non avrà condiviso sarà decapitato. (Tacciono tutti). Chiedo scusa se insisto : ma devo domandarvi se vi è parsa bella la danza.

I Patrizio                   (Dopo un attimo di titubanza). Sì. Bella, Cesonia.

Vecchio Patrizio     (Straripante di gratitudine). Oh, sì, Cesonia.

Cesonia                   Tu, Cherea ?

Cherea                     (Freddo). Grande arte.

Cesonia                   Benissimo. Vado a riferirne a Caligola. (Esce).

 

                                                                                                                             Scena sesta

Elicone                     Dì un po’, Cherea : era veramente grande arte ?

Cherea                     In un certo senso, sì.

Elicone                     Capisco. Sei molto intelligente, Cherea. Falso come un galantuomo. Ma intelligente sul serio. Io non sono intelligente : ma non vi lascerò torcere un capello a Caio, neanche se questo fosse il suo più vivo desiderio.

Cherea                     Non ti capisco. Ma mi congratulo per la tua fedeltà. Mi piacciono i buoni servitori.

Elicone                     Sei molto soddisfatto di te, eh ? Sicuro ; io servo un pazzo. Ma tu, chi servi ? La virtù ? Bene, stammi a sentire : sono nato schiavo, io ; e quindi la solfa della virtù, caro il mio galantuomo, io l’ho danzata a suon di frusta. Caio, però, non ha fatto discorsi : m’ha affrancato e preso con sé a Palazzo. Da quell’osservatorio vi ho potuto seguire : voi, virtuosi. E ho notato che avevate tutti delle brutte facce e addosso un certo odore di vigliaccheria ; l’odore insipido di coloro che non hanno mai rischiato né sofferto. Ho visto, dei nobili, lo sfarzo delle vesti ma l’usura nel cuore, la faccia avara, la mano sfuggevole. Giudici, voi ? Voi che tenete bottega di virtù, che spasimate per la sicurezza come le verginelle per l’amore ; e che, tuttavia, morite spaventati, senza sapere che avete mentito tutta la vita :  e vorreste impancarvi a giudici di chi ha sofferto senza far calcoli e ogni giorno sanguina per mille ferite nuove ? Dovreste prima ammazzare me : questo è positivo. Disprezza pure lo schiavo, Cherea ; egli è al di sopra della tua virtù, perché può ancora amare questo povero padrone e lo difenderà contro le vostre nobili menzogne, le vostre bocche di tradimento !

Cherea                     Caro Elicone, ti lasci trasportare dall’eloquenza ! Sinceramente, una volta avevi più buon gusto.

Elicone                     Spiacente assai : ma è quello che succede a bazzicare la vostra compagnia. I vecchi sposi hanno lo stesso numero di peli nelle orecchie, tanto finiscono per somigliarsi col tempo. Ma io mi riscatto ; sta’ tranquillo. Mi riscatto. Ecco : guarda : questo viso, lo vedi ? Bravo. Guardalo bene. Così. Ora hai visto un nemico. (Esce).

                                                                                                                             Scena settima

Cherea                     E ora, presto. Restate qui, voi due. Questa sera saremo un centinaio. (Esce).

Vecchio Patrizio     Eh già, restate qui. Restate qui ! Vorrei andarmene, io. Qui c’è puzzo di cadavere.

I Patrizio                   O di menzogna. (Triste). Ho detto che quella danza era bella.

Vecchio Patrizio     E in un certo senso era. Era.

                                   Entrano, come una ventata, numerosi patrizi e cavalieri.

II Patrizio                  Che c’è ? Ne sapete niente ? L’imperatore ci ha convocati qui.

Vecchio Patrizio     Forse per la danza.

II Patrizio                  Che danza ?

Vecchio Patrizio     Ma sì ! L’emozione artistica”.

III Patrizio                 M’avevano detto che Caligola era malato.

I Patrizio                   Lo è.

III Patrizio                 Che dite ? (Raggiante). Per tutti gli Dei. Morirà.

I Patrizio                   Non credo. La sua malattia non è mortale che per gli altri.

Vecchio Patrizio     Se osiamo dire.

II Patrizio                  Ti capisco. Ma non ha anche qualche malattia meno grave e più vantaggiosa per noi ? (Esce).

                                   Entra Cesonia. Breve pausa.

Cesonia                   (Con aria d’indifferenza). Caligola è malato di stomaco. Ha vomitato sangue. (I patrizi le si stringono intorno).

II Patrizio                  Dei onnipotenti, faccio voto di versare duecentomila sesterzi al Tesoro dello Stato, per la guarigione dell’Imperatore.

III Patrizio                 (Smanceroso). Giove ! Prenditi la mia vita in cambio della sua !

                                   Caligola, che era entrato già da qualche momento ed era rimasto in ascolto, avanza verso il II patrizio.

CALIGOLA              Accetto la tua offerta, Lucio. Ti ringrazio. Il Tesoriere passerà domani da te. (Si avvicina al II patrizio e l’abbraccia). Non puoi immaginare quanto sono commosso. (Pausa. Poi, con tenerezza). Tanto mi ami ?

III Patrizio                 (Commosso).  Oh, Cesare, non c’è cosa che io non sia disposto a darti e subito.

CALIGOLA              (Lo abbraccia di nuovo). Questo è troppo, Cassio ; io non ho meritato tanto amore. (Cassio fa un cenno di protesta). No, no, ti dico. Non ne sono degno. (Chiama le guardie). Portatelo via. (A Cassio con dolcezza). Va’ amico, va’ : e ricordati che Caligola ti ha fatto dono del suo cuore.

III Patrizio                 (In preda ad una vaga inquietudine). Dove mi portano ?

CALIGOLA              A morte, che diamine ! Hai dato la vita per la mia : e infatti, ora mi sento meglio. Non ho più neanche quell’orrendo gusto di sangue in bocca. Mi hai guarito. Non sei felice, Cassio, di poter dare la tua vita ad un altro, quando questo “altro” si chiama Caligola ? Eccomi un’altra volta pronto per tutte le feste. (Trascinano via il III patrizio che resiste ed urla).

III Patrizio                 Lasciatemi ! E’ uno scherzo !

CALIGOLA              Presto le strade sul mare saranno coperte di mimose. Le donne avranno indosso stoffe leggere. Un gran cielo, Cassio ; fresco e palpitante. Il sorriso della vita ! (Cassio è avviato ad uscire. Cesonia lo spinge dolcemente. Caligola si volta, subito serio). Amico mio, se tu avessi amato sul serio la vita, non te la saresti giocata con tanta leggerezza. (Cassio è trascinato fuori. Caligola torna verso il tavolo). E quando si perde si paga. (Pausa). Vieni, Cesonia. (Si rivolge agli altri). A proposito, mi è venuta una felice idea che voglio parteciparvi. Il mio regno, a tutt’oggi, è stato troppo felice. Né una religione crudele ; né una pestilenza universale e neanche un colpo di Stato ; insomma niente che possa tramandarlo alla posterità. E un po’ anche per questo, vedete, voglio correggere la prudenza del destino. Voglio, dire non so se mi avete capito (Con un risolino furbesco), insomma, mi sostituisco io alla peste. (Altro tono) Ma, silenzio : ecco Cherea. Cesonia, tocca a te. (Esce).

                                                                                                                             Scena decima

                                   Entra Cherea con il I patrizio. Cesonia va con passo concitato verso Cherea.

Cesonia                   Caligola è morto. (Si volta come se piangesse. Fissa gli altri che tacciono. Tutti assumono un’aria costernata ma per ragioni differenti).

I Patrizio                   Sei.. sei sicura di questa disgrazia ? Non è possibile. Ha danzato qui poco fa.

Cesonia                   Ecco. Proprio quello sforzo lo ha ucciso. (Cherea passa rapidamente dall’uno all’altro : e si volge poi a Cesonia. Tutti tacciono. Cesonia riprende, lentamente). Tu non dici niente, Cherea ?

Cherea                     (Lentamente). Una gran disgrazia, Cesonia.

CALIGOLA              (Entra brutalmente). Ben recitato, Cherea. (Fa un giro su se stesso e guarda gli altri. Poi a Cesonia). Bah, non ha attaccato. Non ti scordare quello che ti ho detto, Cesonia. (Esce. Cesonia, in silenzio, lo segue finchè è uscito).

                                                                                                                             Scena undicesima

Vecchio Patrizio     (Sostenuto da un’inesausta speranza). Davvero è malato, Cesonia ?

Cesonia                   (Lo guarda con odio). No, cocca bella. Ma quello che tu non sai è questo : che quell’uomo dorme due ore per notte ed il resto del tempo, non riuscendo a riposare, erra per le gallerie del palazzo. Quello che tu non sai e che non ti sei mai domandato, è a cosa possa pensare, durante le ore mortali che vanno dal mezzo della notte al ritorno del sole. Malato ? No, non : a meno che tu non inventi nome e medicine per le ulcere da cui è coperta l’anima sua.

Cherea                     (Che parrebbe commosso). Hai ragione, Cesonia. Noi non ignoriamo che Caio...

Cesonia                   (Prontissima). No. Non ignorate. Ma come tutti quelli che sono senz’anima, non potete sopportate coloro che ne hanno troppa. Troppa anima ! Un bel guaio, eh ? E allora gli di dà il nome di malattia, ed i pedanti se ne vanno contenti e soddisfatti. Hai mai saputo amare, Cherea ?

Cherea                     (Di nuovo se stesso). Noi siamo oggi troppo vecchi per impararlo, Cesonia. E poi non è detto che Caligola ce ne lascerebbe il tempo.

Cesonia                   (Che si è ripresa). E’ vero. (Siede). E intanto dimenticavo l’incarico : saprete tutti che oggi è un giorno dedicato all’arte.

Vecchio Patrizio     Dal calendario ?

Cesonia                   No. Da Caligola. Ha convocato alcuni poeti. Proporrà loro un’improvvisazione su un soggetto dato. Desidera che tutti quelli, tra voi, che sono poeti, concorrano senz’altro. Ha chiamato, con designazione sua particolare, Scipione e Metello.

Metello                     Ma noi non siamo pronti.

Cesonia                   (Senza raccogliere e con voce neutra). Naturalmente ci saranno premi. E castighi non troppo gravi.

                                   Entra Caligola, fosco più che mai.

                                                                                                                             Scena dodicesima

CALIGOLA              Tutto pronto ?

Cesonia                   Tutto. (Ad una guardia). Fa’ entrare i poeti.

                                   Entrano, due a due, una dozzina di poeti che scendono a destra a passo cadenzato.

CALIGOLA              Gli altri ?

Cesonia                   Scipione e Metello!

                                   I due vanno ad unirsi agli altri. Caligola siede nel fondo a sinistra unendosi al gruppo dei patrizi. Breve pausa).

CALIGOLA              Soggetto : la Morte. Tempo : un minuto. (I poeti scrivono in fretta e furia sulle tavolette).

Vecchio Patrizio     Da chi sarà composta la giuria ?

CALIGOLA              Da me. Non basta ?

Vecchio Patrizio     Oh, sì, basta.

Cherea                     Parteciperai alla gara, Caio ?

CALIGOLA              E’ inutile. Da un pezzo ho composto la mia lirica, io, su questo tema.

Vecchio Patrizio     Si potrà procacciarsela ?

CALIGOLA              A modo mio, la recito ogni giorno. (Cesonia lo guarda, angosciata. Caligola, brutale). Non ti va la mia faccia ?

Cesonia                   Scusa...

CALIGOLA              E niente umiltà, ti prego. Soprattutto, niente umiltà. Sei già difficile da sopportare : e ora, anche la tua umiltà ?... (Cesonia risale verso la scena lentamente. Caligola si rivolge a Cherea). Dicevo : è l’unico mio comportamento poetico. Me è anche la prova che io sono il solo artista che Roma abbia mai conosciuto. Il solo, capisci, Cherea ? Capace di mettere il suo pensiero d’accordo con i suoi atti.

Cherea                     Semplicemente perché hai il potere.

CALIGOLA              Ecco, sì. Gli altri creano per difetto di potere, io non ho bisogno di fare un’opera : la vivo. (Brutale). Allora, voi laggiù ! Avete finito ?

Metello                     Ci siamo, credo.

CALIGOLA              Bene. Attenzione, ora. Uscirete mano a mano dalle file, ad un mio fischio. Il primo comincerà la lettura. Al mio fischio si ferma a attacca il secondo ; e così di seguito. Vincerà quello che non sarà stato interrotto dal mio fischietto. Preparatevi. (A Cherea, confidenziale). Occorre organizzazione, in tutto : anche in Arte. (Fischietto).

I poeta                      Morte, quando di là dalle nere prode... (Fischietto. Il poeta scende a sinistra e così a mano a mano gli altri secondo il meccanismo di questa scena).

II poeta                     Le tre parche nell’antro... (Fischietto).

III poeta                    Morte, t’invoco... (Fischietto arrabbiato).

IV poeta                    (Si avanza, e prende una posa da oratore. Prima che apra bocca, fischietto).

V poeta                     Quando ero fanciullo...

CALIGOLA              No ! Ma che rapporto ci può essere tra l’infanzia di un’imbecille e il tema ? Me lo sai dire tu ?

V poeta                     Ma Caio, non ho finito... (Fischietto stridulo).

VI poeta                    Inesorabile avanza... (Fischietto).

VII poeta                   Arcana e diffusa orazione... (Fischietto a singhiozzo. Si fa avanti Scipione senza tavolette.)

CALIGOLA              A te, Scipione. Dove hai le tavolette ?

Scipione                   Non ne ho bisogno.

CALIGOLA              Vediamo. (Mordicchia il fischietto).

Scipione                   (Molto vicino a Caligola, senza guardarlo, e con una punta di tristezza). Caccia alla gioia, purità di essenze - Cielo, dove il sole si effonde in ruscelli - Feste rare e selvagge, mio disperato delirio...

CALIGOLA              (Con dolcezza). Basta, ora, sei troppo giovane per conoscere le vere lezioni della morte.

Scipione                   (Fissando Caligola) Ero troppo giovane anche per perdere mio padre.

CALIGOLA              (Gli volta bruscamente le spalle). Su, voialtri, ricomponete la fila. Un cattivo poeta è un po’ troppo duro castigo per il mio gusto. Ho sempre pensato, fino ad oggi, di considerarvi alleati ; e ho talvolta immaginato che potreste formare il mio ultimo quadrato di difesa. Ma è un sogno vano, e vi ricaccio tra i miei nemici. I poeti sono contro di me : posso dire che è finita. Uscite in buon ordine. Sfilerete davanti a me leccando le tavolette, per cancellare i segni della vostra infamia. Attenzione. Avanti ! (Fischietto ritmato : i poeti a passo scandito escono per la destra leccando le loro tavolette immortali. Caligola a bassa voce). Uscite tutti. (Sulla porta d’uscita Cherea posa una mano sulla spalla del I patrizio).

Cherea                     E’ venuto il momento.

                                   Scipione che ha sentito, esita un attimo e torna verso Caligola.

CALIGOLA              (Cattivo). Non puoi lasciarmi in pace come fa tuo padre ora ?

                                                                                                                             Scena tredicesima

 

Scipione                   Animo, Caio ; è inutile. Io so che hai scelto.

CALIGOLA              Lasciami.

Scipione                   Sì. Ti lascio. Perché credo che tu abbia capito. Né per me né per me, che ti somiglio tanto, c’è più via di uscita. Io andrò a cercare lontano da qui le ragioni di tutto questo. (Con intensità). Addio, mio caro Caio. Quando tutto sarà finito non ti scordare che ti ho voluto bene. (Esce. Caligola lo segue con lo sguardo. Ha un gesto istintivo ; ma si scuote brutalmente e torna vicino a Cesonia).

Cesonia                   Che ha detto ?

CALIGOLA              Nulla che tu possa intendere.

Cesonia                   A che pensi ?

CALIGOLA              A questo qui. (Se stesso). E poi anche a te. Ma è la stessa cosa.

Cesonia                   Che c’è ?

CALIGOLA              Scipione se ne è andato. Finita con l’amicizia. Ma tu perché sei ancora qui ?

Cesonia                   Perché ti piaccio.

CALIGOLA              No. Dovrei farti uccidere per capirlo.

Cesonia                   Sarebbe una soluzionne. Fallo. Ma non puoi, almeno per un attimo, lasciarti liberamente vivere ?

CALIGOLA              Sono diversi anni, ormai, che mi esercito a vivere liberamente.

Cesonia                   Non intendo questo, io. Comprendimi. Può essere molto bello vivere e amare in purezza di cuore.

CALIGOLA              Ciascuno conquista la sua purezza come può. Io me la conquisto sforzandomi di raggiungere l’essenziale. Ciò non toglie, tuttavia, che io possa farti uccidere. (Ride). Sarebbe il coronamento della mia carriera. (Caligola si alza e fa girare lo specchio su se stesso. Gira in tondo con le braccia pendule, quasi senza gesti, come una bestia). E’ strano. Quando non uccido mi sento solo. I vivi non bastano a popolare l’universo ed a cacciare la noia. Quando siete tutti qui mi create intorno un vuoto smisurato dove il mio occhio si perde. Non mi sento bene che tra i miei morti. (Resta immobile un po’ inclinato in avanti, di fronte al pubblico, dimentico di Cesonia). Quelli sono veri. Sono come me. M’aspettano e mi si stringono intorno. (Scuote il capo). Ho lunghi dialoghi con questo o con quell’ altro a cui ha fatto tagliare la lingua e mi urla di graziarlo.

Cesonia                   Vieni. Siedi accanto a me. Posami il capo sulle ginocchia. (Caligola esegue). Stai bene, ora ? Ora tutto tace.

CALIGOLA              Tutto tace, pare a te. Non senti questo sferragliare di spade ? (Si sente) Non avverti i mille sussurri soffocati dell’odio in agguato ? (Rumori).

Cesonia                   Chi oserebbe ?

CALIGOLA              La stupidità.

Cesonia                   Non uccide : fa rinsavire.

CALIGOLA              E’ sanguinaria, Cesonia : è sanguinaria, quando si stima offesa. Oh, non sono certo quelli ai quali ho ucciso il padre o il figlio, a volermi assassinare. Quelli hanno capito. Sono con me, ed hanno in bocca lo stesso sapore. Ma gli altri ; quelli che ho beffato e messo in ridicolo : contro la loro vanità non ho difesa.

Cesonia                   Ti difenderemo noi. Siamo ancora in molti ad amarti.

CALIGOLA              Siete ogni giorno meno. E io, per arrivare a questo risultato, ho fatto del mio meglio. E poi, siamo giusti, non ho contro di me soltanto la stupidità, ma anche la lealtà ed il coraggio di quelli che vogliono vivere felici.

Cesonia                   (Con veemenza). No. Non ti uccideranno. Oh, qualche cosa dal cielo li consumerà prima che riescano a toccarti.

CALIGOLA              Dal cielo ! Ma il cielo, povera donna, non c’è. (Siede). Ma perché tutto questo amore, improvviso : non è nei nostri patti.

Cesonia                   E non bastava vederti uccidere gli altri ? Dovrò anche sapere che sei stato ucciso tu ? Non basta che io debba accoglierti crudele e dilaniato e sentirti addosso l’odore del sangue quando ti reggo sul mio ventre ? Ogni giorno vedo morire in te un’altra parte di quello che ha aspetto d’uomo. (Si volge a lui). IO sono vecchia e sul punto di diventare brutta, lo so. Ma le ansia che io provo per te mi hanno così ridotta. Vorrei soltanto vederti guarire tu, che sei ancora un fanciullo. Tutta la vita, davanti a te ! E che vuoi pretendere, tu, di più grande della vita ? 

CALIGOLA              (Si alza e la guarda). E’ ormai un pezzo che tu sei qui.

Cesonia                   E’ vero. Ma tu mi terrai ancora con te, vero ?

CALIGOLA              Non lo so. So soltanto che tu sei qui per le notti di piacere aspro, senza gioia ; e per tutto quello che sai di me. (La prende tra le braccia e con la mano le rovescia leggermente il capo). Ho ventinove anni. Pochi. Ma in quest’ora che la mia vita mi sembra così carica d’anni e di gramaglie, così compiuta, alla fine, tu resti l’ultima testimone. E non riesco a liberarmi da una sorta di tenerezza inconfessabile per la donna vecchia che diventerai.

Cesonia                   Dimmi che mi terrai con te.

CALIGOLA              Non lo so. Ho soltanto la coscienza, ed è la più spaventosa, che questa tenerezza inconfessabile è il solo sentimento puro che fino ad oggi mi abbia offerto la vita. (Cesonia si stacca dalle sue braccia. Caligola la segue. Ella si appoggia di schiena sul suo petto. Caligola la cinge con un braccio). Non sarebbe più bello che anche l’ultima testimone sparisse ?

Cesonia                   Non ha importanza. Sono felice per quello che mi hai detto. Ma perché non posso dividerla con te, questa felicità ?

CALIGOLA              Chi può dire che io non sia felice ?

Cesonia                   La felicità è generosa. Non vive di distruzioni.

CALIGOLA              Vuol dire che ci sono due generi di felicità ; e io ho scelto quella degli assassini. Perché sono, felice. Un tempo credetti di aver toccato il fondo del dolore : eppure no ; si può arrivare più in là : e oltre questo ultimo termine c’è una felicità splendida e sterile. Guardami. (Cesonia si volge a lui). Io rido, Cesonia, quando penso che per anni ed anni Roma ha evitato di pronunciare il nome di Drusilla. Perché, capisci ?, Roma per anni ed anni è vissuta in questo errore. L’amore non mi basta : l’ho capito allora. E questo capisco oggi quando ti guardo. Amare una persona vuol dire accettare d’invecchiare con lei. Di questo amore io non sono capace. Una Drusilla vecchia sarebbe stata molto peggio di una Drusilla morta. Si crede che un uomo soffra perché un giorno gli muore quella che ama. No ; la sua vera pena non è così futile : la vera pena è di accorgersi che neanche il dolore dura ;  e che, allora, neanche il dolore ha più un senso. Vedi ? Non avevo scuse. Neanche l’ombra di un amore né l’amarezza della malinconia. Non ho alibi. Ma oggi eccomi già più libero di qualche anno fa : liberato come sono, oggi, dal ricordo e dall’illusione. (Ride d’un riso appassionato). Io so che nullasta. Sapere questo ! Solo in due o tre nella storia, abbiamo fatto questa esperienza e raggiunto questa felicità demente. Cesonia, tu hai seguito fino in fondo una curiosa tragedia. E’ ora che per te si cali il sipario. (Passa alle sue spalle chiudendole il collo tra il suo braccio e l’avambraccio).

Cesonia                   (Con spavento). E’ dunque la felicità questa libertà spaventosa ?

CALIGOLA              (Stringendo a poco a poco la sua morsa alla gola di Cesonia). Certo, Cesonia. Senza questa libertà sarei stato un uomo contento. Con essa, ho conquistato la divina chiaroveggenza del solitario. (A mano a mano si esalta soffocando lentamente Cesonia che si abbandona senza resistere, con le braccia alquanto protese. Caligola le parla curvandosi al suo orecchio). Io vivo, uccido, uso il potere forsennato del distruttore, al cui confronto quello di chi crea appare una parodia scimmiesca. Essere felice, è questo. Questa è la felicità : questa insopportabile liberazione, questo disprezzo universale ; il sangue l’odio intorno a me ; questo incomparabile isolamento dell’uomo che tiene la vita intera sotto il suo sguardo ; La sconfinata gioia dell’assassino impunito, la logica implacabile che macina vite umane (Ride) ; che ti macina, Cesonia, per farmi raggiungere la perfetta solitudine eterna che io desidero.

Cesonia                   (dibattendosi debolmente). Caio !

CALIGOLA              (Sempre più esaltandosi). No, tenerezze no. Bisogna finirla perché il tempo stringe. Il tempo stringe, Cesonia. (Cesonia rantola ; la trascina fino al letto e ve la lascia cadere. La guarda con aria smarrita e, con voce rauca) : Anche tu eri colpevole : ma uccidere non è la soluzione.

                                                                                                                             Scena quattordicesima

CALIGOLA              (Gira su se stesso e, allucinato, si avvicina allo specchio). Caligola, anche tu, anche tu sei colpevole. E allora - un po’ più un po’ meno - vero... Ma chi oserà condannarmi, in un mondo senza giudice, dove nessuno è innocente ? (Disperato, stringendosi contro lo specchio). Lo vedi, eh ? Elicone non è venuto. Non avrò la luna. Ma come è amaro, aver ragione e dover arrivare fino alla fine ! Perché io ho paura della fine. Rumore d’armi... L’innocenza prepara il suo trionfo. Perché non ci sono io al posto di loro ? Ho paura. Che schifo, dopo aver tanto disprezzato gli altri, scoprirsi nell’anima la loro stessa vigliaccheria. Ma non fa niente. Neanche la paura dura. Ritroverò il gran vuoto dove il cuore si placa. (Arretra di qualche passo, si riavvicina allo specchio : sembra più calmo. Ricomincia a parlare, ma con voce più fonda, più intensa). Tutto sembra così complicato ! Ed è semplice. Se avessi avuto la luna, se l’amore bastasse, tutto sarebbe stato altrimenti. Ma dove estinguere questa sete ? Quale cuore, quale Dio mi offrirebbe la profondità di un lago ? (S’inginocchia e piange). Niente in questo mondo, né nell’altro, che sia alla mia altezza. Eppure so (Tende la mano, piangendo, verso lo specchio), ed anche tu lo sai : basterebbe che l’impossibile fosse. L’impossibile. L’ho cercato ai limiti del mondo ed ai confini di me stesso. Ho teso le mani (Grida), tendo le mani, e te solo incontro, sempre te a faccia a faccia : te, per cui sono pieno di odio. Non ho preso la giusta via, quella che bisognava prendere ; e non arrivo a niente. La mia libertà non è quella buona. Elicone ! Elicone ! Niente. Sempre niente. Ah, come è pesante questa notte !... Elicone non verrà ; saremo colpevoli in eterno. Questa notte è pesante come il dolore umano.

                                   Rumore d’armi e mormorio interno.

Elicone                     (Appare dal fondo). Attento, Caio ; attento ! (Una mano invisibile pugnale Elicone).

CALIGOLA              (Si drizza, impugna uno sgabello e si avvicina allo specchio ansimando. Si guarda. Accenna un balzo in avanti : e sul movimento simmetrico della sua immagine nello specchio lancia contro di esso lo sgabello gridando) Alla storia ! Caligola ! Alla storia ! ! (Lo specchio va in pezzi : Nello stesso tempo da tutte le entrate irrompono i congiurati armati. Caligola li affronta con una risata folle. Il vecchio Patrizio lo colpisce alla schiena. Cherea in piena faccia. La risata di Caligola si muta in singulti. Tutti lo colpiscono. In un ultimo singulto, ridendo e rantolando, urla). Io sono ancora vivo ! !

F   I   N   E