Stampa questo copione


CALIPSO

Dramma in sette quadri

di FRANZ THEODOR CSOKOR

Versione italiana di Grazia e Fernaldo Di Giammatteo

PERSONAGGI

IL VATE CIECO

CALIPSO

ERMETE

ODISSEO

GALATEA

IL FABBRO DI EFESTO

UN UCCELLO STINFALICO

EROS (che non parla)

L'OMBRA Di'AGAMENNONE

II luogo dell'azione rimane, per tutta la durata del dramma, la grotta della ninfa Calipso, sull'Isola Ogigia. Epoca mitica. Lo stile della scenografia sia quello degli antichi affreschi di paesaggi omerici che si troviamo sull'Esquilino ed a Pompei nella Casa dei Vezi. Il porta­mento ed i gesti delle persone siano simili alle statuette di Tanagra e alle figure dipinte sui vasi ellenici piuttosto che ai marmi dell'età di Pericle. Soltanto il Vate cieco ha i tratti della nota erma di cieco, definita anche erma di Omero. I versi del Vate cieco siano estratto, con lievi vallanti, dal primo e dal quinto canto dell'Odissea.


Commedia formattata da

QUADRO PRIMO

Volta a forma di conchiglia, aperta sul fondo, simile ad un triangolo capovolto. Dietro l'apertura della grotta pendono liane e tralci, che sostengono maturi grappoli d'uva. L'apertura è fiancheg­giata da ulivi, alni e cedri. La parte inferiore è ingombra di cespugli; dietro di essi si vede un alto cipresso di color scuro, oltre il quale vi è il mare aperto, azzurro cupo. La costa del mare si suppone sia più in basso. Nell'interno della grotta, sulle cui pareti si scorge un lieve ri­flesso rossastro, vi sono, a sinistra, un telaio ver­ticale ed una spoletta d'oro, con la quale è già stato iniziato il lavoro; dinanzi al telaio uno sga­bello e, più a sinistra, il letto, grande, fatto di assi forti e scure, e coperto di pelli bianche. Alla testa del letto, un tripode con braciere. Nel centro vi è un rozzo tavolo rotondo, di pietra, al quale siedono, una di fronte all'altro, su sgabelli d'oro con cuscini di porpora e schienali rotondi, la i ninfa Calipso ed il dio Ermete. Hanno dinanzi un rosso cratere e coppe di forma schiacciata, e piatti lucenti, pieni di frutta. Entrambi hanno il capo incoronato, per il banchetto. Calipso, che indossa una veste azzurra, è una bellezza molto femminile e riservata, raccolta nei gesti. Ermete, che indossa un rosso chitone, è un efebo tutto mu­scoli e nervi. Sotto la corona di tralci egli porta un'anadèma d'oro; ha i sandali alati. Posato sul tavolo, dinanzi a lui, lo scettro, anch'esso d'oro. (Sulla destra arde un fuoco vivo, da un focolare ricavato nella roccia. Il Vate cieco, con il volto - simile a quello dell'erma omerica - illuminato dai riverberi del fuoco, siede appoggiato ad una  co­lonna; ha dinanzi a sé un boccale fatto di pelle dì capra, colmo di vino. Il suo bastone bianco, con l'impugnatura d'oro, lungo una volta e mezza un uomo, ed una vecchia cetra d'oro, con le corde spezzate, sono appoggiati al dado della colonna, dietro di lui. Dall'apertura sul fondo entra la luce di un radioso meriggio estivo. Da lontano si ode a tratti un fragore lungo e sordo).

Calipso                          - Ancora nettare?

Ermete                          - (le porge la coppa) Mezza coppa. (Ca­lipso versa. Egli beve) Com'è squisito. (Alza la coppa verso di lei) Kaire. Lo mantieni fresco nella neve?

Calipso                          - (accostando le labbra alla coppa) Nella neve d'Olimpo.

Ermete                          - (sorride) Non ti bastano l'Ossa e il Pelio?

Calipso                          - Lassù la neve si scioglie a primavera.

Ermete                          - Anche ciò che ci piace dev'essere eterno come noi, nevvero? (Beve) Eppure io son spesso triste per non essere nulla di meglio che un Dio. Anche se per ciò non mi dissolvo, come la neve d'Olimpo.

Calipso                          - Che fa ora il padre degli dèi?

Ermete                          - Custodisce, accanto ad Era, il foco­lare celeste, ed ella difende da lui il focolare de­gli uomini.

Calipso                          - A lui invece piacque accendere in quelli il suo fuoco... nelle loro donne... travestito...

Ermete                          - ... da toro... da aquila... da nube... da Dio... con Anfitrione persino da soldato...

Calipso                          - Da uomo mai di certo.

Ermete                          - Non è degno di lui.

Calipso                          - Le donne amano i soldati. Le donne degli uomini: non io.

Ermete                          - Anche alle donne degli dèi talvolta piacciono. Rammenti: Afrodite colta, con Ares, nella rete? Come ridemmo, allora, primo fra tutti il padre degli dèi!

Calipso                          - Mai andò dalle donne col suo sem­biante?

Ermete                          - Come Zeus? Una volta soltanto. E la fanciulla ne morì. Si chiamava Semele.

Calipso                          - (lentamente) Se un uomo si presenta a noi com'è, non ne dobbiamo subito morire?

Ermete                          - Se non si è dea, si muore.

Il Vate cieco                 - Non v'è bisogno che l'uomo sia un dio.

Ermete                          - (gettando uno sguardo al Vate cieco, a mezza voce) Quel vecchio ci spia...

Calipso                          - Ha l'udito così acuto, perché è cieco. E' un vate...

Ermete                          - Ma terreno, pare.

Calipso                          - Non proprio. Poiché egli è vate.

Ermete                          - Gli si sono spezzate tutte le corde della cetra...

Calipso                          - Attende che un dio gli tocchi la fronte. Allora rinasceranno.

Ermete                          - Non sarò io. A che prò lo imbecchi?

Calipso                          - Un giorno canterà.

Ermete                          - Non ti macchiare con gli uomini, fi­glia di Atlante.

Calipso                          - (sorridendo) Sulle spalle il cielo, ai piedi la terra... non è anch'egli fra quelli e voi?

Ermete                          - Ma a noi più vicino. Fa come noi. Noi ci allontaniamo da essi a poco a poco. Altrimenti fanno portare a noi la terra, sì che la debolezza loro divenga nostra colpa. (Il fragore, che giunge di lontano, aumenta) Chi fa questo spaventoso rumore?

Calipso                          - Il bastardo di Posidone.

Ermete                          - Polifemo il ciclope?

Calipso                          - Pare sia affamato.

Ermete                          - Tu lo capisci, forse?

Calipso                          - Io no. Gli uccelli stinfalici affer­mano che sono potenti parole quelle ch'egli emette.

Ermete                          - Continuano a spargere il ferro ro­vente?

Calipso                          - Di concerto con lui.

Ermete .                        - Anche qui?

Calipso                          - No. Sopra le case degli uomini.

Ermete                          - E quelli?

Calipso                          - Fuggono all'aperto dinanzi a loro. Ma là Polifemo li ghermisce.

Ermete                          - E li divora?

Calipso                          - Dall'elmo al calcagno.

Ermete                          - Gusti da ciclope. Io preferisco l'am­brosia. Kaire. (Brinda a Calipso).

Calipso                          - - Parli così perché non ne accompagni nessuno all'Ade, com'è tuo ufficio?

Ermete                          - Quei divorati? Grazie! Eroi io ac­compagno, re, veggenti, guerrieri che cadono, a volte anche donne. Ciò che vien divorato non conta.

Calipso                          - Ma che il padre degli dèi non in­tervenga... questo non capisco.

Ermete                          - Non manderebbe neppure Eracle! Polifemo laggiù ha il potere... perciò è nel giusto. E se continua per molto ancora a divorarli, fini­ranno per farlo dio e scoprire che dice parole po­tenti. Come gli uccelli stinfalici. (Il fragore si fa violento e prolungato).

Calipso                          - (si alza) Ermete, è accaduto qual­cosa di grave.

Ermete                          - (rimane seduto e alza le spalle) Ha morso una corazza?

Un Uccello stinfalico    - (entra, eccitato. Ha piedi scagliosi, ad artigli, corpo coriaceo, occhi rotondi, becco metallico, ed un ciuffo di piume metalliche che danno l'effetto di una maschera calata sul viso. Le braccia terminano in due ali di ferro, ch'egli agita furiosamente) Papài, papapapài, papài

Ermete                          - Parla la lingua d'Olimpo!

L'Uccello                      - (c. s.) Papài, papài, papapapài, papài!

Ermete                          - Io sono Ermete. Il messaggero degli Dei. In viaggio.

L'Uccello                      - (c. s.) Papài.. papài... papapapài!

Calipso                          - Si    - (comporta come fosse fuor di senno. Che è stato?

L'Uccello                      - (c. s.) Papài... papài... ai... ai... ai... (Esce in fretta. Il fragore lontano si trasforma in un lamento).

Ermete                          - Polifemo dev'essere infermo.

Calipso                          - Per fortuna degli uomini.

Ermete                          - Credi? Ora che sono avvezzi a lui?

Il Vate cieco                 - (si alza e solleva il capo, in ascolto).

Ermete                          - Canterà il tuo vate, ora che Polifemo si tace?

Calipso                          - Che un dio l'abbia toccato?

Il Vate cieco                 - (fissando il vuoto) Vedo, vedo...

Ermete                          - Pare che il cieco intravveda qualcosa. Dove?

Calipso                          - Ohe vedi con i tuoi occhi spenti?

Il Vate cieco                 - Non con gli occhi...

Ermete                          - Costui insuperbisce. Solo Zeus può que­sto, ed ora neppur gli piace.

Il Vate cieco                 - (ispirato) Vedo il gigante... si torce... tende l'orecchio... da un foro nella fronte sgorga il sangue... getta ora massi sui flutti... (Lon­tani tonfi in acqua, ripetutamente).

Ermete                          - (si è alzato) E' vero! Il tuo cieco ci umilia. (Al Vate cieco) Vedi contro chi?

Il Vate cieco                 - Ad una zattera con armati, egli mira...

Ermete                          - Vedi una zattera sul mare, Calipso?

Calipso                          - No. E gli credo.

Ermete                          - Io pure. Ma, come osa veder più dì noi, suoi dèi? Quest'uomo dev'esser pazzo... o di Delfi.

Calipso                          - Un vate è l'uno e l'altro.

Il Vate cieco                 - (c. s.) Ed ora colpisce! (Si ode un lontano urlo, di più voci) Ahi! (Si copre il capo).

Calipso                          - (ansiosa) Nessuno si salva?

Il Vate cieco                 - (rialza il capo) Sì! Uno... emerge con sforzo dalla schiuma... si dibatte sulle onde e giunge alla riva...

Calipso                          - (c. s.) Alla nostra?

Il Vate cieco                 - Sì. Ora sale sulla sponda. (Sì dirige brancolando verso il suo angolo, dove si ab­batte esausto).

Ermete                          - Una visita dell'umanità? (Prende lo scettro) Volo...

Calipso                          - Non sei curioso?

Ermete                          - Non quanto te. Accetta il mio consi­glio: ricaccialo in mare.

Calipso                          - Prima lo si può ascoltare.

Eremte                          - Perché ? Tutte menzogne. Te ne pen­tirai. (Saluta con lo scettro) Se hai bisogno di me, mandami una nube. (Via dal fondo).

Calipso                          - (al Vate cieco) Se egli mente, anche tu menti, ospite cieco?

Il Vate cieco                 - Forse, se canto. Ora non canto.

Odisseo                         - (zuppo d'acqua, seminudo, entra nella caverna. E' un uomo vigoroso, di cinquant'anni, con un pizzo scuro ed occhi acuti. Non appena scorge Calipso si inginocchia ai suoi piedi) Dea!

Calipso                          - Ninfa... La ninfa Calipso.

Odisseo                         - Per me, dea. (Si alza) Per me qui tutto è divino. (Si stira) Perché vivo.

Calipso                          - (lo squadra) Come sei potuto sfug­girgli?

Odisseo                         - Io a lui? No: lui a me.

Calipso                          - Polifemo... a te? Non devi essere in senno.

Odisseo                         - S}, sono fuor di senno. Che quello ancora vive.

Calipso                          - Se l'hai offeso, fuggi. Con l'occhio della sua fronte vede abbastanza. Sin qui, sino a noi.

Odisseo                         - A nessuno, in vita, egli nuocerà più, se pur la sua vita è l'eternità.

Calipso                          - Da chi l'hai appreso?

Odisseo                         - Da me! Sono stato più pronto di lui.

Calipso                          - Tu omiciattolo, ch'egli sbriciola fra i denti?

Odisseo                         - • L'ho accecato...

Calipso                          - (lo fissa senza parole).

Il Vate cieco                 - (si alza) Come hai fatto?...

Odisseo                         - Lo resi ebbro e poi lo accecai nel suo unico occhio... con un palo rovente. Ora tacete. Porse vi era caro? Ho già confessato troppo? Al­lora, osservate la legge dell'ospitalità... (Si volge verso l'ingresso della grotta).

Calipso                          - Dove vai?

Odisseo                         - Riprendo il mio errare... (Si avvia verso la soglia, ma si sente improvvisamente venir meno e si appoggia ad una parete, sopraffatto da una subita debolezza).

Calipso                          - Prima siedi! Riposa!

 Odisseo                        - (si ferma, esitando) Che avete sullo scudo?

Calipso                          - Vorrei aiutarti.

Odisseo                         - (si avvicina lentamente al tavolo e sie­de) Non m'era mai occorso. Perdona! Genti che mi accolgono come voi... senz'urli... senza ferro... senza assalto?

Calipso                          - Non sai che significa pace?

Odisseo                         - No. Solo che debbo vivere, io so. Null'altro.

Il Vate cieco                 - (avvicinandosi al tavolo) Da questo momento?

Odisseo                         - Da quando la morte fu su di me... da anni... da lustri... mai l'ho sentito così inten­samente.

Il Vate cieco                 - (a tastoni, verso Odisseo) Sei forse un gigante caduto?

Odisseo                         - (stancamente) No. Soltanto un uomo. (Abbandona il capo sul tavolo).

Calipso                          - E qual è il tuo nome?

Odisseo                         - Nessuno... (Chiude gli occhi).

QUADRO SECONDO

La stessa scena del primo quadro. Crepuscolo con nubi variopinte. Il fuoco che arde nel focolare illumina sempre più intensamente la scena a mano a mano che imbrunisce. Insieme al monotono sciac­quio del mare giunge a tratti, dal fondo, un sordo lamento.

 (L'una di fronte all'altro, Calipso e Odisseo, sie­dono al tavolo coperto di anfore e coppe, pane, fichi, olive, melagrane in vassoi. Il Vate cieco - che ha dinanzi a sé frutti ed un piccolo otre di vino siede come prima).

Odisseo                         - (brinda a Calipso, poi, soddisfatto, si lascia andare sullo schienale) Alfine un tavolo che non è uno scudo, ed una coppa che non è un elmo. Un banchetto di dèi!

Calipso                          - (sorridendo) Ti basta, uomo?

Odisseo                         - Pane d'orzo, fichi, olive e vino... di terra che bevve pioggia e non sangue.

Calipso                          - Te ne senti privo?

Odisseo                         - Non io. Debbo un sacrificio a te... un sacrificio di sangue.

Calipso                          - Qui non verserai sangue, né per te né per me.

Odisseo                         - Si bruciano solo frutti di campo, per onorarti?

Calipso                          - Perché vuoi saperlo?

Odisseo                         - Affinché mi conservi la tua benevo­lenza, dea straniera, di cui nulla so.

Calipso                          - Straniero fuggiasco, che so io di te?

Odisseo                         - (sorridendo) Il mio nome!

Calipso                          - « Nessuno » ? Nessun uomo si chiama « nessuno ». Non vi basterebbe un tal nome. Voi vi chiamate re, capitano, eroe.

Odisseo                         - (c.s.) Fui già tutto. Ora mi chiamo «nessuno ».

Calipso                          - E prima? Anche se non parli, lo saprò.

Odisseo                         - Perché sei fra le dee? Ma le dee non debbono esser curiose. Se lo sono, in terra nascono guerre...

Calipso                          - Alludi al pomo di Paride. Allora sei stato dinanzi a Troia, dove fosti eroe, capitano, re. Allora tu sei... Odisseo!

Odisseo                         - Ecco: conosci la mia sorte...

Calipso                          - Tutti gli altri sono da tempo alle loro case. Tu sei ritenuto morto. Da un decennio ormai erri sul mare, di rischio in rischio, verso la tua patria, dove si vuol convincere la tua donna alle nozze. Ma tu sogni ch'ella ti attende...

Odisseo                         - (altero) E' mia sposa. Attenderà!

Calipso .                        - Anche Clitennestra attende il suo spo­so... con la rete e l'ascia nella mano.

Il Vate cieco                 - (si alza) Penelope ordì l'inganno per amor dello sposo. Di giorno ella tesse l'abito di nozze pei Proci, di notte ne disfa la trama, e mai giunge alla fine.

Odisseo                         - (si alza) Chi è costui che sa guardar nell'occulto? Venga al nostro desco! Voglio inter­rogare...

Il Vate cieco                 - Ora non so dir altro che que­sto. (Torna brancolando al suo posto) Ma forse un giorno questo sarà un poema, e tu vi sarai mio ospite, eroe.

Calipso                          - (a mezza voce, a Odisseo) E' cieco, e non vuole recar fastidio.

Odisseo                         - La cecità dà fastidio agli dèi?

Calipso                          - Sì, che non è bella.

Odisseo                         - Anche quella di Tiresia, il vostro veg­gente, a mezzo del quale parlaste quando foste in collera con noi?

Calipso                          - Gli dèi l'accecarono per castigo. Ma pure ciò che puniamo, sempre ci appartiene. Eppoi egli è morto da tempo.

Odisseo                         - (si risiede) Lo so. Lo incontrai.

Calipso                          - Dove?

Odisseo .                       - Negli Inferi.

Calipso                          - Sei stato negli Inferi? Tu... uomo? Uomo ancora in vita?

Odisseo                         - L'uomo che ti sta dinanzi.

Calipso :                        - Come avvenne? Quando?

Odisseo                         - (le porge la coppa) Dea, prima mesci il vino.

Calipso                          - « Calipso » mi chiamo. La ninfa Ca­lipso. Te l'ho già detto. (Gli versa da bere) Sem­bra che pensi a te solo, quando parli.

Odisseo                         - (brindando a lei) Solo a te, mio buon demone Calipso! (Vuota il bicchiere) Ricco è il tuo desco, inebriante il tuo vino, i tuoi frutti scop­piano per la dolcezza. Sai quando una bevanda mi rinfrescò di più? Quando assaporai di più la dol­cezza dei frutti?

Calipso                          - Porse agli Inferi?

Odisseo                         - Prima... Fuggivamo, e ancor più ve­loce ci inseguiva, volando in cuneo come le anatre, il branco degli uccelli stìnfalici... Rovesciavano i loro colpi su di noi, che correvamo su terra sas­sosa, arsa dal sole. Allora scorgemmo" una fonte, un pozzo. Ci gettammo a terra tutt'intorno, con le labbra protese, e sopra di noi gracchiavano irati gli uccelli di ferro, e fra di noi, spezzando gli elmi e le corazze, sibilava la semente mortale. Ma noi tirammo il secchio e ci rinfrescammo senza fine, e insieme ingoiammo bacche purpuree di cespugli fra i sassi. Nulla mi appagò così, neppure i vitelli di Elio, pei quali perdetti metà delle navi. Gli uccelli prima di notte ci abbandonarono, ed il sonno ci colse... Uno solo non dormì: io! Ti sembra, dun­que, ch'io pensi a me quando parlo?

Calipso                          - (si è alzata) Continua.

Il Vate cieco                 - (si alza) Parla ancora, Odisseo. Perché non dormisti?

Odisseo                         - Anche allora pensavo a me per ul­timo, perché pensavo a tutti quelli che mi erano intorno. Pensai pure ai miei morti, che imputri­discono lontani dalla patria, e che fra essi avevo quasi più amici che in terra. Allora un capro mi balzò dinanzi; lo considerai un segno e lo seguii...

Calipso                          - Poi lo sacrificasti per i compagni, o per te?

Odisseo                         - Per nessuno che respira come voi o come me. Ci fermammo in una fossa colma di ca­daveri sin oltre il bordo: il fuoco degli uccelli di ferro aveva colpito l'ingresso di una caverna dove gli uomini s'erano rifugiati. Essi giacevano cerei, le bocche spalancate nel grido eterno, le dita al­largate sul viso, come implorassero...

Calipso                          - Erano morti... tutti?

Odisseo                         - Sì, tutti. Ho visto innumerevoli morti, guerrieri. Non fu mai così orribile. L'armatura è come un abito funebre. Ma questi erano contadini, insieme alle donne e ai figli, e con ceste di frutta sulle tuniche, non caduti da eroi. Assassinati. E non si capiva perché .

Calipso                          - Per Polifemo.

Odisseo                         - Sì, ma non lo sapevano. Neppur io lo sapevo. Il capro mi portò nel fondo della ca­verna... là mi circondarono corpi e ancora corpi: sembravano fatti di fumo. Una luce emanava da essi, azzurra come la mia spada. E capro s'impuntò dinanzi a uno stagno, e le ombre si protesero verso di lui, e verso di me. Compresi: volevano sangue. Uccisi per essi la bestia.

Il Vate cieco                 - Solo quando si dà loro il san­gue, lo so, le ombre parlano. Ma io dò il sangue mio, non l'altrui.

Calipso                          - Tu sei un vate. Egli è un eroe. Rac­conta ancora, Odisseo. Vedesti altri eroi?

Odisseo                         - E maggiore di tutti: Achille. Rinun­cerebbe al nome di eroe e al dominio sulle ombre, se potesse tornare in vita: anche come il più vile guardiano di porci. Lo comprendi tu, Ninfa? Io no.

Calipso                          - Perché tu non sei altro che eroe. Lo comprendi tu, vate?

Il Vate cieco                 - Entrambi li comprendo.

Odisseo                         - Mi si avvicinarono molti che un gior­no conobbi, e immersero le dita nel sangue del capro e implorarono che restassi da loro con la mia vita, da cui traevan calore... Poi mi promisero una patria in sogno, assai più bella della mia, ed anche a me parve bene il dimenticare e l'esser di­menticato, com'essi.,.

Calipso                          - (fievole) Anche a me sarebbe parso bene, se avessi sofferto come te.

Odisseo                         - Infine giunse Tiresia.

Il Vate cieco                 - ... e che ti predisse?

Odisseo                         - Che soltanto un cane m'avrebbe ri­conosciuto nella mia casa... e soltanto prima di mo­rire, e che stranieri crapulano nel mio palazzo, e bramano la mia terra e il mio scettro... che come un mendico m'avrebbero cacciato dalla sala, dove 6i contendevano la mia donna. Allora il sangue eruppe come fossi stato il capro che m'era morto ai piedi. Urlai come urlano dieci uomini nell'ira... Per questo mi svegliai, .accanto ai miei.

Calipso                          - E poi?

Odisseo                         - Poi seppi perché ero ancor vivo, perché avevo tanto sofferto e ancor più ero pronto a soffrire.

Calipso                          - Per salvare i tuoi?

Odisseo                         - Per vendicarmi. Per vendicarmi come guerriero, come sposo, come principe. Una vendetta smisurata, inesorabile. Così resistetti alla maga Circe, fui sordo al richiamo delle sirene, e cacciai nell'occhio del bruto Polifemo il palo rovente... Ed ora chiedo a te una zattera per il ritorno.

Calipso                          - Per vendicarti?

Odisseo                         - Per vendicarmi.

Il Vate cieco                 - Vorrei carezzare i cedri del bo­sco sacro, prima ch'egli li abbatta. (Si avvia verso l'uscita, tastando il terreno con il bastone).

Calipso                          - Hai sofferto pene inaudite...

Odisseo                         - ... come nessuno dei guerrieri di Troia...

Calipso                          - ... sino all'Averne sei penetrato...

Odisseo                         - Non per me... per i compagni miei!

Calipso                          - Dove sono rimasti?

Odisseo                         - Caduti, scannati, annegati.

Calipso                          - Ma tu, tu vivi ancora.

Odisseo                         - L'ultimo sono.

Calipso                          - Di migliaia... tu. Tu solo. E ciò non ti spinge ad altro che alla vendetta, straniero?

Odisseo                         - (sorride) « Odisseo » mi chiamo.

Calipso                          - Non avresti dovuto accecar Polifemo, eroe Nessuno.

Odisseo                         - Odisseo di Itaca.

Calipso                          - Ad un vendicatore il nome non serve. Un dolore che compie vendetta, non è più dolore. Quando vai?

Odisseo                         - (colpito) Quando me l'ordini?

Calipso                          - Presto. (Una breve., dolce musica di flauto dall'interno).

La Ninfa Galatea          - (porta una stretta tunica fatta di veli, come le statuette di Tanagra; ha un copri­capo a punta ed un ventaglio sottile, a forma di foglia di palma. Entra leggera dal fondo, abbraccia e bacia Calipso) Zeus sia con te, diletta. Una visita breve. Polifemo attende. Sai già? (Calipso annuisce) Sì: da tempo mi struggevo per lui: solo ora che è cieco, egli è grande.

 Calipso                         - Lo credi? Lo crede anch'egli?

Galatea                          - Naturalmente. Di sé crede sempre le cose migliori. Ora lo cura Pan, il vecchio ceru­sico. Temo lo voglia ammansire, perché ai ciechi si addice. Ma non con me. Sono decisa a curarlo io stessa da domani. Sapessi come mi strinse i fianchi per ringraziarmi... per lo Stige, come un vero dio! E non è neppur semidio, ed è mortale come quell'ani­male che chiamano uomo. Ma i ciechi sono doppia­mente focosi perché l'infermità non disturbi, quando amano; e danno grandi vantaggi. (Accorgendosi della presenza di Odisseo) Gran Zeus! Io chiacchiero apertamente dinanzi ad altri. Chi è?...

Calipso                          - Uno straniero.

Galatea                          - (adocchiando Odisseo) Uno straniero? Con quale freddezza lo dici. Ogni straniero è mi­gliore di noi. Porta forse notizie del gigante?

Calipso                          - Di chi parli, ora?

Galatea                          - Del gigante che assalì Polifemo. Tre volte più grande e più grosso di lui...

Calipso                          - Polifemo lo dice?

Galatea                          - ... e che il gigante non gli dichiarò guerra...

Calipso                          - Perché Polifemo è uso dichiarar guerra agli altri?

Galatea                          - Per lui non occorre. Quando ha fame, divora. Quando è sazio fa ammazzare per la prov­vista. Egli lo può: è un bruto. Ma chi non lo è, ascolti gli dèi e le loro leggi! Così dice Polifemo, a ragione.

Calipso                          - Per te, sempre.

Galatea                          - Non solo per me! Chiedi agli uccelli stinfalici. Lo vendicheranno orribilmente. Cercano il gigante e lo vogliono colpire, ovunque egli sia, anche in Olimpo.

Odisseo                         - (fa un passo avanti, tranquillo) Eccolo. Non gigante. Uomo.

Galatea                          - (si guarda intorno; fissa Odisseo, sgo­menta) Ma non è possibile. Parla, Calipso.

Calipso                          - E' com'egli dice. Non lo tradire.

Galatea                          - (fuori di sé) Un uomo così, vince il ciclope? Sei ferito? Potrei curarti...

Calipso                          - Vuol soltanto ferire. Ma non prima d'essere in patria. Là nessuno l'attende, ma egli lo vuole. Per questo è sceso agli Inferi.

Galatea                          - Per poter tornare in patria? (Gira attorno ad Odisseo) E' possibile? (Gli tasta il brac­cio) Ha un buon aspetto, però. (Fermandosi dinanzi a lui) Non vorresti implorare protezione da me, uomo? Afferrami forte ai fianchi, e inginocchiati. Così diventi mio ospite, ed io ti" devo esaudire, io voglia o no. Ma lo voglio.

Odisseo                         - Ma non voglio io.

Galatea                          - Non hai fiducia in me? E' un'usanza sacra. Dev'essere rispettata anche coi nemici mor­tali, dice la vecchia Temi. (Sorride) Ed ho forse l'aspetto nemico?

Odisseo                         - Voglio soltanto tornare alla mia casa.

Galatea                          - Perché affrettarti così? La mia isola si trova giusto di fronte. Non hai bisogno di barca. Mi sacrifichi un porcellino, e non appena io sento il fumo del sacrificio, ti mando una nube per la tra­versata, una nube serotina, color d'oro...

Odisseo                         - E mi fai continuare il viaggio?

Galatea                          - "Verso casa? Non darei che fastidio, allora! Ohi viene da me, rimane. Ed è lui che lo vuole, non io.

Calipso                          - Hai sentito: vuol soltanto andare a casa.

Galatea                          - Da te vuol andarsene. Ciò non si­gnifica voler andare a casa.

Calipso                          - Non t'attende l'eroe Polifemo? Sento i suoi lamenti, perché tu lo curi.

Galatea                          - E' Pan che zufola per Siringa. No, di me vuoi disfarti, perfida! Nel passato giorno degli dèi tu eri diversa. Non v'era ancora il bel gigante cioè vuol soltanto andare a casa. Se penso quanto ti amai fino a ieri! Come una sorella! Che dico, so­rella? Come un uomo. (Fa per andarsene) Ma ora guardatevi dagli uccelli stinfalici.

Calipso                          - Io sono ninfa, e sulla mia isola sono all'ombra degli dei. Nessun nemico mi può qui so­praffare, come fossi sul seggio nevoso di Zeus.

Galatea                          - No, sino a che ospiti uomini. (A Odis­seo) Pensaci, straniero. A lei porti il pericolo. A me no, e a te neppure, se presso di me. Sono amica di Polifemo, -ed egli è pur cieco. Kaire. (Esce dal fondo Breve suono di flauto. Poi silenzio. Fuori annotta: si ode un debole lamento).

Odisseo                         - (si volge verso l'uscita).

Calipso                          - Vorresti seguirla? Presto, allora.

Odisseo                         - Tu sai qual è la mia mèta. Qui arreco dissidio fra te e l'amica di ieri.

Calipso                          - (sorride) Era nel passato giorno degli dèi. Noi dèi non possiamo invecchiare, come voi; perciò calcoliamo il tempo a nostro modo. Il periodo dall'infanzia vostra alla maturità, conta un giorno per noi: trenta dei vostri anni. H mio ieri mi tocca così poco come ciò che a te accadde trent'anni fa.

Odisseo                         - Ma ti minaccia il pericolo, se resto.

Calipso                          - Non conosco pericoli.

Odisseo                         - Li conosco io.

Calipso                          - E li terni?...

Odisseo                         - Non so più come si viva senz'essi.

Calipso                          - Se non li temi tu, come possono mi­nacciarmi?

Odisseo                         - Curiosa sei.

Calipso                          - Non del pericolo.

Odisseo                         - Di che allora?

Calipso                          - Non so... (Il lamento lontano, affievo­litosi sempre più, si è tramutato in un cupo, triste canto).

Odisseo                         - Chi canta laggiù?

Calipso                          - (lo guarda) Non so...

Odisseo                         - Polifemo?

Calipso                          - (c. s.) Non so... (Il canto aumenta d'in­tensità).

Odisseo                         - Hai arco e frecce?

Calipso                          - Contro chi?

Odisseo                         - Contro gli uccelli di fuoco.

Calipso                          - Vuoi difenderti?

 Odisseo                        - Difendere te.

Calipso                          - (di scatto) Li devi appuntire. Ti mostro dove... (Gli afferra la mano e lo conduce fuori scena Pausa, durante la quale il canto di Polifemo diventa più grave e triste, senza parole, è una lamentosa melodia primitiva).

Il Vate cieco                 - (entra a tentoni nella caverna, il­luminata ora dal fuoco che arde nel focolare, e rag­giunge il suo posto) Com'è triste il canto lon­tano! E' Polifemo. Finora mai ha cantato: ha ur­lato soltanto. Perché ora canta? Perché è cieco? Ora anch'io sono triste, per lui. Anche voi siete muti, voi due!... Dove siete?           - (Brancica nel vuoto).

Eros                               - (un bel giovane alato, con la faretra e l'arco, entra dal fondo sulla punta dei piedi, si avvicina al focolare, donde prende un tizzone, con il quale ac­cende il braciere del tripode, a capo del letto, a si­nistra. Poi comincia a rassettare il giaciglio).

QUADRO TERZO

La stessa scena del primo quadro.

(La luna piena illumina la grotta. La sua luce raggiunge il giaciglio, a. sinistra, dove Calipso e Odisseo riposano, coperti da pelli. Nel tripode dietro di loro langue il fuoco del braciere. Sul tavolo dì pietra, al centro, sono posati un arco ed un mazzo di frecce. Nella nicchia a destra palpita debol­mente il fuoco. Di fuori, al di là del dirupo, giunge il ritmico respiro del mare).

Odisseo                         - (si agita bruscamente nel sonno) Armi! Armi!

Calipso                          - (cercando di acquetarlo) - Qui nessuno ci minaccia. Taci.

Odisseo                         - (sempre nel sonno) Non « nessuno »! Odisseo, colui che torna. H vostro signore Odisseo, cani! Avete sete? Ecco il vino... il sangue vostro! Avete fame? Carne inghiottite... la vostra!

Calipso                          - (gli accarezza la fronte) Io sola sona con te...

Odisseo                         - (si erge e la fissa) Calipso? Dov'ero?

Calipso                          - Gridavi nel sonno...

Odisseo                         - Ti ho destata? Perdona. (Tende l'orec­chio) Si ode un lamento sotto di noi... l'Ade?

Calipso                          - Il mare.

Odisseo                         - (si alza e guarda in giro) Allora qui tutto era vero?

Calipso                          - (sorride) Sì. Io pure.

Odisseo                         - E il nostro cieco? Dov'è?

Calipso                          - Dorme sullo scoglio, come sempre. Ma credo non dorma. Ascolta...

Odisseo                         - (si avvicina all'uscita della grotta e guarda fuori) Ha ragione! Il mare gli dà tutto: riso e pianto... peana e cetre... pietà e morte... porta sul dorso il sole e in grembo i mostri dell'abisso. Amo il mare!

Calipso                          - Non v'è nessun altro cui possa dire che l'ami?

Odisseo                         - (torna da lei, siede sul giaciglio e l'ab­braccia) Certo! Te! La nave di questo mare, che tu sei! Che mi ha salvato, che ora mi guida!

Calipso                          - Di questo amore non parlare... un altro amore devi conoscere... un amore che attende...

Odisseo                         - Tu mi dai pure quello, poiché tu non naufragherai come tutti gli altri sin qui.

Calipso                          - Lo vorresti. E lo credi?

Odisseo                         - Ne son certo come che tu vivi accanto a me e nel mio amore.

Calipso                          - (difendendosi debolmente) E non solo nel sangue, ch'ora nuovamente mi cerca?

Odisseo                         - Non so che vedi in me, tu. So sol­tanto ciò ch'io vedo in te... (Calipso vuol parlare) No, non chiedere di più. Ora ci culla il mare.

Calipso                          - (con un lieve sospiro) Non mi ami abbastanza. Altrimenti anche tu avresti chiesto.

Odisseo                         - (la tiene abbracciata) Meravigliosa sei stata! Non volevo bere nel Lete, laggiù, affinché la mia spada non marcisse. Ma per te si può tutto scordare, anche la missione di carnefice dopo il ri­torno. Sì, per te... getto i calzari nel fuoco, ed in­sieme la vendetta... Per te! E forse sarò dio accanto a te, signore dei venti e dei flutti...

Calipso                          - (bacia la sua mano) Ed il mio!

Odisseo                         - Che fai?

Calipso                          - Se rinuncia per me alla vendetta, me­rita questo la tua mano! Bacerei anche i tuoi piedi se da me riposassero.

Odisseo                         - Vorresti trasformarmi anche tu, come Circe?...

Calipso                          - Ma non in bestia...

Odisseo                         - Oh, quanto ti amo...

Calipso                          - Io ti amo più ancora! (Odisseo la bacia. Poi si stacca dalle sue labbra).

Odisseo                         - Se non fossi immortale, ti potrei uc­cidere! Tanto ti amo!

Calipso                          - Tu, con me, sarai immortale. Tanto ti amo!

Odisseo                         - (la stringe a sé) Bruciamo, Calipso. bruciamo!

Il Vate cieco                 - (da fuori) Calipso! Calipso! Bru­ciamo, Calipso!...

Odisseo                         - (si alza) ~ H cieco! Che gli accade?

Calipso                          - (alzandosi dal giaciglio) Vado da lui.

Odisseo                         - Resta! Egli ci sente...

Il Vate cieco                 - (all'ingresso della grotta) Met­tono a fuoco la tua pace.

Calipso                          - (lo prende per mano e lo conduce al suo posto) Ti spaventano i sogni?

Il Vate cieco                 - Non sono sogni. (Si erge) Dov'è la mia cetra?

Odisseo                         - (gliela porge) Ecco, padre cieco. Come vuoi suonarla?

Il Vate cieco                 - (la stringe a sé e si rannicchia al suo posto) Con lei voglio morire. Null'altro.

Calipso                          - Taci. La morte non giunge sino a noi.

Il Vate cieco                 - Sì! Orribile! La sento. Non la senti tu? (Dall'alto un lontano, cupo brontolio che aumenta d'intensità).

 Odisseo                        - Gli uccelli stinfalici! (Va al tavolo e afferra arco e frecce).

Il Vate cieco                 - Gli dei! Eroe, chiama in aiuto gli dei.

Odisseo                         - (prova la corda dell'arco) Non ne ho bisogno!

Calipso                          - Lo farò io per te.

Odisseo                         - (tendendo l'arco e incoccando la freccia) Ecco i miei dei! Non hai una spada?

Il Vate cieco                 - Tu bestemmi, tu che fosti sal­vato da mille pericoli.

Odisseo                         - Solo con le mie forze! Non con il loro aiuto! Dov'erano quando i mostri, gli scogli, le tem­peste mi predavano nave dopo nave, guerriero dopo guerriero? E quando scesi all'Averno e costrinsi i morti a predirmi il futuro, perché essi, gli eterni dei, tacquero? E quando cacciai la fiaccola in fronte al gigante? I sacrifici li esigono, quando noi li te­miamo, ma non danno segno di vita quando ci aiu­tiamo da noi.

Calipso                          - Ma possono punire la superbia. Come ti proteggerò da loro?

Odisseo                         - Ora io proteggo te. (Va all'ingresso della caverna, oltre il quale l'irato brontolìo è di­venuto sempre più forte).

Calipso                          - (lo segue) Qui nessuno mi può attac­care, né attaccare voi dietro di me. Lasciami! (Un fortissimo sibilo, una vampata, un gran frastuono e rumore d'una corrente d'aria che si ripercuote sotto la volta della caverna).

Il Vate cieco                 - (le mani volte al cielo) Zeus, padre Zeus!

Odisseo                         - (che ha spinto da parte Calipso ed ha puntato l'arco verso l'alto) Attaccherò io! (Scoc­ca la freccia. Si ode un tonfo) Il primo è caduto. (Incocca un'altra freccia) Ora vino, Calipso. (Ca­lipso afferra la coppa) Non nella coppa! Dall'otre! Con l'odore di capro! Puro, inebriante!

Calipso                          - (gli solleva dinanzi alla bocca l'otre, da cui egli beve un lungo sorso) Così è migliore?

Odisseo                         - E' come dal petto di una madre, dea. (Beve ancora) Se cado, non mi piangere. Lega una pietra al mio corpo e gettalo in mare.

Calipso                          - Sei sempre tu? Non ti riconosco...

Odisseo                         - Mai son stato più forte. (Un altro ru­more si approssima) Ecco un altro. (Scocca la frec­cia verso l'alto. Un tonfo) Senti? Se lo divora il suo fuoco.

Il Vate cieco                 - Zeus ti è stato propizio.

Odisseo                         - (con una risata selvaggia) Si guardi! Posso scoccare la freccia sino all'Olimpo. (Mette a posto le frecce; guarda verso l'alto) Tre uno dietro l'altro. Va nella grotta Calipso! Attaccano con furia, ora. (Fuori si ode un triplice cupo fra­gore, seguito da spostamento d'aria. Riflesso d'in­cendio che persiste e crepita).

Il Vate cieco                 - (ascolta) I cedri gemono... i ce­spugli urlano.

Calipso                          - Bacia il bosco.

Odisseo                         - Bene! Ora si vede meglio. (Fa partire tre frecce; si ode due volte il tonfo) Uno mi dev'es­sere sfuggito...

Il Vate cieco                 - E gli altri?

Odisseo                         - Si inceneriscono al suolo. (Guarda in alto) Indietro. (Tira verso l'alto) A Odisseo non la farai!

Il Vate cieco                 - Hai colpito?

Odisseo                         - Non so. Si addensa il fumo tra noi... qualcosa vi si rotola dentro... (Ripetuti bagliori, ma il fragore si indebolisce) Volteggiano lassù ma non piombano a terra...,

Calipso                          - Mutano rotta... fuggono...

Il Vate cieco                 - Fuggono? Eroe! Eroe! (La grotta è tutta illuminata dal riflesso dell'incendio).

Odisseo                         - (getta via l'arco e attira a se Calipso) Il fuoco ci ha fatto il giaciglio, le sue nubi ci coprono. Vieni, dea! Rendimi immortale di te!

Il Vate cieco                 - Sei più grande di Eracle!

Calipso                          - Mio vincitore.

Odisseo                         - (la trascina sul giaciglio) Mia corona!

Il Vate cieco                 - (tende l'orecchio) Dei passi? (Urla) Eroe... in guardia!

Un Uccello stinfalico    - (ha la pelle coriacea, le ali di ferro, che agita furiosamente, il becco corneo; sul capo un ciuffo di piume d'acciaio. Gli occhi tondi, spalancati) Ahi... ahi...!

Calipso                          - (coprendo con il suo corpo Odisseo) Questa è terra di dèi! '

L'Uccello                      - Ahi! (Cade a terra presso il Vate).

Odisseo                         - (afferra l'arco; poi lo ripone) A nes­suno può far danno.

Calipso                          - E' ferito?

Odisseo                         - (si china sull'uccello, che agita ancora un poco le ali) A morte. Ma ora il suo aspetto... Guarda.

L'Uccello                      - (si alza con difficoltà, aiutandosi con le ali e si siede al posto del Vate) Torna! (Il ba­gliore dell'incendio investe il suo volto, un bel volto di giovane sofferente, liberato dal ciuffo di piume, dagli occhi tondi e dal becco corneo).

Calipso                          - (a bassa voce) Ha l'aspetto... di un uomo...

Il Vate cieco                 - ... perché soffre...

L'Uccello                      - (fervorosamente) Ritorna!

Odisseo                         - Chi invochi?

L'Uccello                      - Fiori, ruscelli, bimbi che giocano... anch'io...

Il Vate cieco                 - (a bassa voce) Invoca se stesso.

Calipso                          - (si china con la coppa di vino sull'uc­cello) Vuoi bere?

L'Uccello                      - Dov'è la madre?... Come piangevo quando non c'era! (Fissa Calipso) Sei tu... la ma­dre? (Si erge e poi scivola a terra).

Il Vate cieco                 - Di' sì, Calipso, di' sì.

Calipso                          - Non ci ode più. (Fuori il bagliore dell'incendio va smorzandosi).

Odisseo                         - Seppelliamolo nella terra, secondo gli usi guerreschi. (Il fuoco che divampa nel focolare arde più intenso).

 Il Fabbro di Efesto      - (esce dalla nicchia del foco­lare; è un giovane dalla barba nera, fuligginosa; è seminudo, porta il grembiule del fabbro ed una corta spada alla cintura) Aspettate.

Tutti                              - (si voltano).

 Odisseo                        - Chi mi contraddice?

Il Vate cieco                 - Solo un dio l'oserebbe.

Il Fabbro                       - Io non appartengo al vostro pigro Olimpo. Sono un dio che lavora.

Calipso                          - H tuo nome...

Il Fabbro                       - E' il mio mestiere. Un fabbro del vecchio Efesto, senza il quale voi dèi non potreste vivere, ed i vostri uomini morire. (Si guarda in­torno) Ho sentito che qui c'è ferro vecchio da por­tar via.

Odisseo                         - E' un caduto che seppelliamo.

Il Fabbro                       - (si avvicina all'uccello morto e gli strappa le ali di ferro) Io ne faccio un uso mi­gliore. Gettate il resto agli avvoltoi.

Calipso                          - Spogli un cadavere... perché ?

Il Fabbro                       - (agita le ali sopra la brace del foco­lare, che avvampa) Servono a meraviglia per at­tizzare la brace e far fresco nello stesso tempo. Quanto volete?

Odisseo                         - Forgiate pugnali?

Calipso                          - Odisseo!

Odisseo                         - Se tornassero gli uccelli.

Il Fabbro                       - Se non vincono, non tornano. Poi affermano che un dio gli è stato contro affinché nes­suno dica che vi è qualcuno più forte di loro. (Si toglie dalla cintura la corta spada e la getta sul tavolo) Prendi questa per ricompensa. E' un dono d'onore! Fu fatta per Ares, il vendicatore. Ma ora non si vendica più. Per alcuni giorni degli dèi!

Calipso                          - Perché ?

Il Fabbro                       - E' di nuovo innamorato. Della vostra signora... Ci sono altri caduti?

Odisseo                         - Fuori.

Il Fabbro                       - (all'uscita della caverna, guarda fuori) Stupendo!

Il Vate cieco                 - A tal punto ti rallegra la vista dei morti?

Il Fabbro                       - Debbo pur sapere perché ho sudato tanto sul fuoco. Dieci ali in un colpo solo... fumerà la mia incudine. Manderò anche una corazza do­rata, con saldatura doppia. (Con il paio di ali sotto il braccio esce dalla grotta).

Odisseo                         - Tacete entrambi? Qualcosa ti turba, Calipso?

Calipso                          - Sono triste.

Odisseo                         - Anch'io.

Il Vate cieco                 - Tu hai vinto... e sei triste, Odisseo?

Calipso                          - La spada che volevi, anche quella ora hai.

Il Vate cieco                 - Hai sconfitto Polifemo, hai sgo­minato gli uccelli di ferro! Non hai più nemici!

Odisseo                         - Più nemici? L'hai detto.

Calipso                          - E ne sei così triste?

Odisseo                         - Sì.,

QUADRO QUARTO

La stessa scena del primo quadro.

 (Calipso, al telaio, fa scorrere la spola d'oro. Appoggiato alla sua colonna, a destra, il Vate cieco tocca la cetra. Silenzio d'un pomeriggio assolato. La risacca del mare, calmissimo, si ode appena).

Il Vate cieco                 - (alzando il capo, per ascoltare) Tessi? Per l'eroe?

Calipso                          - (lavorando) Una tunica.

Il Vate cieco                 - (sorride) Ma solo quando è fuori... in segreto. Per raddoppiare la sua gioia?

Calipso                          - Purché non abbia prima la corazza. Debbo esser più veloce del fabbro.

Il Vate cieco                 - Lo rivedrei volentieri.

Calipso                          - Perché , vorresti armi da lui? Anche tu?

Il Vate cieco                 - Vorrei desse corde alla cetra.

Calipso                          - Porse dalla corazza qualcosa avanza. H tuo canto vive di ciò che si sottrae alla guerra.

Il Vate cieco                 - Non sempre canto di guerre.

Calipso                          - No. Anche della fedeltà di Penelope.

Il Vate cieco                 - Di tutti e di ognuno cui è dato un fato.

Calipso                          - Solo noi immortali non abbiamo un fato?

Il Vate cieco                 - Voi lo apprestate per noi.

Calipso                          - Non canterai mai di me, dunque.

Il Vate cieco                 - Non so ancora.

Calipso                          - Allora, si...? E dove vedi il fato in me, vate?

Il Vate cieco                 - Dove noi mutiamo, là è il fato. Tu eri una dea...

Calipso                          - Ed ora?

Il Vate cieco                 - Ora parli da un corpo pregno di sangue.

Calipso                          - Come le vostre donne terrene?

Il Vate cieco                 - Questo non ti fa piacere.

Calipso                          - (dura) Forse sì. E se fossi come Pe­nelope? (Sì ferma un istante) Le assomiglio almeno, quando siedo al telaio?

Il Vate cieco                 - (sorridendo) Dimentichi che son cieco. (Si ode soltanto il rumore del telaio).

Calipso                          - (lavorando) Credi che abbia nostalgia di lei?

Il Vate cieco                 - Di che abbia nostalgia un uomo, neppur egli spesso lo sa...

Calipso                          - (c. s.) Certo, intorno a me non vi sono pretendenti cui muover guerra...

Il Vate cieco                 - ...e se pure lo sa non lo con­fesserà mai. Meno di tutti a se stesso.

Calipso                          - E quella manca a lui e a me.

Il Vate cieco                 - Dunque, trasformatelo! Ciò riesce financo alle donne terrene.

Calipso                          - Perché vogliono gli uomini simili a loro.

Il Vate cieco                 - Non sei Circe, che fa di noi porci. Volevi che accanto a te fosse un dio.

Calipso                          - Fui io, invece, a divenir mortale, per lui. Questo taci.

Il Vate cieco                 - Anche se cadi, mai cadi fuori di te.

Calipso                          - Non m'importa. Soltanto mi addolora che rifiuti di innalzarsi a me. Ma tu, cieco, come puoi capirlo?

Il Vate cieco                 - Chi ha amato, lo può.

Calipso                          - (si alza) E' la prima volta che ne parli. (Si avvicina a lui, fermandosi presso il tavolo) Dov'è la tua donna?

Il Vate cieco                 - Morì prima d'esser mia.

Calipso                          - Meglio così, forse, per entrambi.

Il Vate cieco                 - No. Perché presi un'altra donna che mi partorì figli. Ma un giorno...

Calipso                          - L'abbandonasti?

Il Vate cieco                 - ... un giorno divenni cieco.

Calipso                          - Fu lei che ti abbandonò?

Il Vate cieco                 - Sapevo che un cieco non lo si piange. E compresi qual grazia...

Calipso                          - Te ne andasti da lei?

Il Vate cieco                 - ... senza addio...

Calipso                          - ...e divenisti vate perette fosti solo?

Il Vate cieco                 - Sì.

Calipso                          - Se lo lascio solo, un assassino diventa.

Il Vate cieco                 - Un vendicatore.. Così dice.

Calipso                          - Per me è lo stesso.

Il Vate cieco                 - (si alza e va, a tastoni, verso l'u­scita) Quando vi sarete trovati, ritornerò. (Esce).

Calipso                          - Ci siamo già perduti, forse. (Riprende a lavorare. Breve pausa).

Odisseo                         - (entra. Indossa una corazza. Al fabbro di Efesto che lo segue) Non si adatta ancora alla spalla...

Il Fabbro                       - L'allargo. (Si toglie il martello dalla cintura).

Odisseo                         - (si accorge della presenza di Calipso, mentre il fabbro batte col martello la corazza) Che cosa tessi?

Calipso                          - (lavorando) Una tunica di lino, sotto quella di ferro che ti sta misurando.

Il Fabbro                       - (dà un ultimo, vigoroso colpo di mar­tello) Fatto... Perfetto. Neppur lo strale d'Eros la trapassa.

Odisseo                         - (a Calipso) Anzi, ora potrebbe. Voi dèe amate il coraggio.

Calipso                          - (c. s.)  Solo se nell'uomo non vi foss'altro per cui meritasse l'amore.

Il Fabero                       - (ripone il martello) Se aveste altro ferro, chiamatemi. Da me non arruginisce nulla.

Odisseo                         - Dove sono le ali degli uccelli di ferro?

Il Fabbro                       - Già vendute... Alle Erinni, che ora inseguono Oreste, dopo che egli uccise la madre. Come prima ella uccise il padre suo. Ma egli lo fece per ordine di quegli dèi ch'ora ne voglion la morte.

Calipso                          - Anche dei tuoi dèi.

Il Fabbro                       - Il mio dio sono io stesso. (Esce dalla grotta).

Odisseo                         - (a Calipso, afferrandole il braccio) Lascia. Non è lavoro per te.

Calipso                          - Ti ricorda lei? Lei deve ricordare.

Odisseo                         - Anche senza di lei, io ti amo.

Calipso                          - No. Prima dimmi se m'ami.

Odisseo                         - Amo te in altro modo. Come quel che ora sono.

Calipso                          - E allora com'eri? Non ne seppi mai nulla.

 

 Odisseo                        - Né tu, né alcuno che mi è caro lo seppe.

Calipso                          - A me puoi confidarlo. Confessa. Porse eri migliore, prima?

Odisseo                         - Ancor oggi me ne debbo vergognare.

Calipso                          - La tua sposa, allora, si vergognò di te?

Odisseo                         - Da lei nacque tutto! Quando fui co­stretto ad unirmi all'impresa dei principi contro Troia...

Calipso                          - Confessa!

Odisseo                         - Simulai la pazzia.

Calipso                          - Si pentì di averti tradito?

Odisseo                         - Io stesso mi tradii.

Calipso                          - Non ti sbarrò la strada... con il figlio... con due vite per la tua?

Odisseo                         - Come avrebbe potuto s'erano già sulle mie tracce? Dopo, io stesso non compresi più. Ma quando il primo si fece sotto la mia spada, seppi perché si vive da uomini. O forse, allora, ero real­mente pazzo?

Calipso                          - Credo che anch'io l'avrei potuto. Perché ti avrei amato ancor più per la tua pazzia... più di lei... più di quanto non ti ami ora...

Odisseo                         - Che io abbia sopraffatto Polifemo e scacciato gli uccelli di ferro, non t'importa?

Calipso                          - Non tanto quanto la vergogna di cui ti macchiasti per lei che amavi. L'ami ancora? (In seguito ad un movimento di Odisseo) No! Taci! Se non l'amassi, non saresti degno di nessun'altra, neppure di me.

Odisseo                         - Sbagli! Non gliel’ho mai perdonato. Come non l'ho perdonato a me stesso.

Calipso                          - Verso casa ti spingeva soltanto la ven­detta... e non la sposa?

Odisseo                         - Non so.

Calipso                          - Ma io so. Non con Penelope debbo lottare per averti. Ella fu la mia sorella più debole.

Odisseo                         - (l'attira a sè, sorridendo) Con chi allora?

Calipso                          - Con te.

Ermete                          - (appare all'ingresso della grotta. Alza il caducèo) Figlio di Laerte!

Odisseo                         - Sono io!     - (Lascia Calipso).

Ermete                          - H consiglio degli dèi ha deciso che in patria, ad Itaca, tu debba tornare.

Odisseo                         - Dopo aver errato dieci anni! O dèi benigni!

Ermete                          - Altro dovrai soffrire...

Calipso                          - . Ed io che l'ospitai?

Ermete                          - Tu no, di certo. Tu sei dea.

Odisseo                         - ' Noi viviamo per soffrire, noi uomini.

Calipso                          - E il mio non è soffrire? Mi strappate l'uomo, ch'è per me più che ospite.

Ermete                          - . Vedi forse il suo avvenire, come io lo vedo? Il principe di un'isola manda a morte i suoi compagni, perché egli mostra amicizia per lui... ed egli...

Odisseo                         - (lo interrompe) Basta! Qui sarà il mio avvenire!

Ermete                          - (lo fissa desolato) Sono io il dio... o costui? Calipso, parla tu.

Calipso                          - Lo debbo cacciare perché vi sfida?

 Ermete                         - Ci ringrazierai quando ti avrà lasciata. (Esce dal fondo).

Calipso                          - Non presumi troppo dicendo che il tuo avvenire sono io... soltanto perché ora riposi da me?

Odisseo                         - Esigi le prove? (Le prende le mani) Te l'ho pur date...

Calipso                          - (ergendosi un poco) Sì. Una.

Odisseo                         - (l'attira a sé) Che vuoi di più?

Calipso                          - Un sacrificio! Un sacrificio per me.

Odisseo                         - (sorridendo, c. s.) Dunque vuoi san­gue? Anche tu, ora? Che pretendi? Ecatombi? O t'è sufficiente un vitello... un agnello?

Calipso                          - (accarezzando la sua corazza) Affon­dala in mare.

Odisseo                         - (lascia Calipso) Mi aderisce come la pelle. Strapparla è come strapparmi la pelle.

Calipso                          - Lo vorresti... da quando la senti di nuovo indosso. Nudo giungesti alla mia spiaggia.

Odisseo                         - Ilio... vinsi con quella.

Calipso                          - E come vincesti me? Di questo non vuoi che parliamo: dinanzi a me non vuoi essere uomo, ma eroe. Io voglio essere molto di più per te. (Si stringe a lui) Voglio essere il tuo amico, la tua sorella, la tua bestia.

Odisseo                         - (a bassa voce) Che cerchi per con­fondermi?

Calipso                          - Voglio essere il tuo nemico, se ti è necessario.

Odisseo                         - (con forza) Io non voglio altro che te. Te sempre di più, sempre più profondamente! (L'attira a sé).

Calipso                          - Mi fai male.

Odisseo                         - Voglio che tu sia alfine te stessa, per me. Tu sola... tutta sola!

Il Vate cieco                 - (appare all'ingresso) Dove sei dea? Sei sola?

Calipso                          - Tutta sola.

Il Vate cieco                 - Debbo restare con te ora?

Calipso                          - No.

Il Vate cieco                 - (esce).

Odisseo                         - (o bassa voce) Come sei scaltra nel mentire!

Calipso                          - Ho mentito?

Odisseo                         - Eternamente nuova sei. Mai si può conoscerti a fondo. (La stringe a sé) No. Ora ti espugno.

Calipso                          - (con un lamento) La tua corazza mi spezza il cuore.

Odisseo                         - Per mari di ferro e di fuoco... due volte dieci anni pieni di morte...

Calipso                          - (geme) Polifemo!

Odisseo                         - L'ho vinto! Sì! Come i flutti. Come gli uccelli di ferro. Chi oserà opporsi a noi? Vin­cerò anche i tuoi dèi, se ci divideranno!

Calipso                          - (c. s.) Tu... sei Polifemo!

Odisseo                         - (La lascia. Colpito) Che... dici?

Calipso                          - (lascia cadere le braccia) Abbi pietà: uccidimi ora.

Odisseo                         - (e. s.) Voglio che tu mi ami, come noi uomini ci amiamo...

Calipso                          - Se debbo amare come gli uomini, fa che anch'io muoia! Così, troppo si soffre!

QUADRO QUINTO

La stessa scena del primo quadro.

 (Il Vate cieco dorme sul fondo, all'ingresso della grotta; egli ha accanto a sé la cetra. Sul vasto gia­ciglio a sinistra, Odisseo, con il capo volto al sof­fitto e gli occhi chiusi, sta accanto a Calipso, anche essa addormentata, e volta verso di lui. Il cupo bagliore del fuoco, nel braciere dietro il letto, si riverbera sulla parete sinistra della grotta, dove ora, appena percettibile, si profila l'ombra di Agamen­none, con una rete intorno al corpo nudo).

L'Ombra di Agamennone      - Dove lasciasti la spo­sa, Odisseo?

Odisseo                         - (sempre nella stessa positura, senza vol­tarsi verso il punto donde proviene la voce) At­tende., al telaio.

L'Ombra                        - L'hai tradita...

Odisseo                         - Sogno...

L'Ombra                        - ...prima ch'ella tradisca te.

Odisseo                         - (gravemente) No! Ella no! Io solo-io soltanto...

L'Ombra                        - Ti dimenticherà, se tu la dimentichi?

Odisseo                         - (e. s.) Non posso continuare...

L'Ombra                        - Anche qui ti trattiene?

Odisseo                         - ...un'altra...

L'Ombra                        - Tutte... come una!

Odisseo                         - Non questa! Questa mi ha soccorso... mi tra ospitato...

L'Ombra                        - Per se stessa!

Odisseo                         - . Mi vuol rendere immortale.

L'Ombra                        - Vuol essere anche il tuo nemico, se ti è necessario.

Odisseo                         - Tanto mi ama! Si!

L'Ombra                        - E' già tuo nemico.

Odisseo                         - Ma anch'io l'amo, com'ella mi ama...

L'Ombra                        - Troppo poco! Ella vuol creare da te un altro uomo, da te e dalla sua carne partorire un uomo nuovo. Dov'è la tua nostalgia? Ella è la tua nostalgia... Il pericolo che ti temprò? Te l'ha tolto... La tua patria? Ella vuol esser la tua Itaca! Tra le sue braccia ti corrompi!

Odisseo                         - (geme) No! No!

L'Ombra                        - Per questo assalisti dieci anni Troia! Dieci anni al timone sul mare ribollente! il suo corpo è la tua corazza; la tua vela... i suoi capelli. Tu sei l'eroe Nessuno... solo ora lo sei!

Odisseo                         - (c. s.) Voglio destarmi!

L'Ombra                        - Lo devi. Ma poi va! Getta il cuore lontano e va.

Odisseo                         - Dove?

L'Ombra                        - Dovunque ti piaccia. Dovunque an­cora t'attendono.

Odisseo                         - Itaca...

L'Ombra                        - Quando là sarai, essa muterà nome.

Odisseo .                       - . Come si chiama la mia patria?

L'Ombra                        - La lontananza.

Odisseo                         - E tu...? Come ti chiami...?

 Il Vate cieco                - (nel sonno, sema muoversi) Agamennone...

L'Ombra                        - L'ha detto.

Odisseo                         - (si è alzato sui cuscini, senza voltarsi verso l'ombra. Poi si abbandona nuovamente all'indietro) Ora so perché mi hai ammonito-Sbagli! Clitennestra non era Calipso!

L'Ombra                        - Coloro che vogliono la nostra morte, non sono i peggiori. (Più piano, mentre impalli­disce a mano a mano che la luce cala) Quelli che vogliono la vita nostra, lo sono.

Odisseo                         - (con gli occhi chiusi, il viso sempre ri­volto verso l'alto) Mi lasci?

L'Ombra                        - (svanendo insieme alla luce emanata dalla brace del tripode) Debbo. Costui mi vede in sogno... come te... e mi trascina via...

Odisseo                         - Fra i suoi...

L'Ombra                        - Mi trascina indietro... verso le ombre... Sa qual'è il mio posto... Sa più di un mortale... E’ un Dio?

Odisseo                         - E' un vate...

L'Ombra                        - (scomparendo) Addio!

Odisseo                         - Come potrò vivere dopo ciò che mi hai predetto?

L'Ombra                        - Vivrai... se vivrai solo per te. (Scom­pare. La brace si spegne. La luna illumina il gia­ciglio).

Calipso                          - (svegliandosi di soprassalto)

Odisseo                         - Dove sei stato?

Odisseo                         - (apre gli occhi) Con te.

Calipso                          - Ho sognato ch'eri partito...

Odisseo                         - (duro) Vuoi sorvegliare anche i miei sogni?

Calipso                          - (ferita) Odisseo...

Odisseo                         - Perdona...

QUADRO SESTO

La stessa scena del primo quadro. Da un tardo, limpido pomeriggio sino al crepuscolo. Lievissimo mormorio del mare, che cresce verso la fine del quadro.

Il Vate cieco                 - (con i ginocchi stretti fra le braccia ed il capo gettato all'indietro, accoccolato contro una colonna, ascolta).

Galatea                          - (vestita in modo ancor più sgargiante che nel secondo quadro, entra in fretta) Vecchio vate... dov'è la vostra ninfa?

Il Vate cieco                 - (senza muoversi) Non so.

Galatea                          - Ma non dicono che tu odi l'erba crescere?

Il Vate cieco                 - (c. s.) Ora odo un carme...

Galatea                          - Me devi udire! Va! Cerca Calipso!

Il Vate cieco                 - Sono cieco.

Galatea                          - Ma zoppo non sei. O lo sei pure?

Il Vate cieco                 - (si alza) Vorresti mandarmi via?

Galatea                          - Indovinato, furbacchione. Sino a che sarò qui. Attendo Ermete. Per una decisione divina.

Il Vate cieco                 - Su Calipso?

Galatea                          - A Delfi il nostro oracolo parlò di voi. Ma saprai tutto quand'ella sarà giunta. Ci fa com­passione. Lo sventurato eroe che ama, siede sulla sponda del mare e guarda sempre là dov'ella non è. Ho già interrogato Eros, ma quegli sa soltanto di coloro che amano. Conosce l'animo di Calipso e non quello di lui. Per lui l'amore di Calipso è un peso. Ma perché parlo ancora con te, come se di­morassi sull'Olimpo accanto a noi? Vattene!

Il Vate cieco                 - (prende la cetra e il bastone e fa per allontanarsi),

Ermete                          - (appare nel vano dell'ingresso. E' vestito come nel primo quadro) No! Rimanga! Anche i vati possono servire. Dopo Tiresia non abbiamo al­cuno che parli a noi degli uomini, e a quelli di noi.

Il Vate cieco                 - Lo debbo fare io... Posso chie­dere, allora?

Galatea                          - Senti? Un miracolo ora vuol da te. Porse dovrai riprendergli un morto nell'Ade, come facesti per quell'altro vate, Orfeo.

Ermete                          - Mai più! Nessuno ti ringrazia. Né la morta, che ha già trovato la pace, né quelli ch'ora stanno al suo posto e ch'ella tornando disturberà. Ma un piccolo miracolo... di buon grado.

Il Vate cieco                 - Solo che tu incordi la mia cetra.

Galatea                          - Se lo farai... non ci calunnierà nei canti che comporrà su noi?

Il Vate cieco                 - Se il cantore non è libero... come può egli cantare? Non foste voi dèi a darci questo?

Ermete                          - Ciò valse sin quando per voi valemmo; sin quando noi vi fummo indispensabili. Ora non credete più in noi.

Il Vate cieco                 - Rifiuti, allora?

Galatea                          - Che farnetica costui? No, non oc­corre crucciarsi tanto!

Ermete                          - Tocca la cetra.

Il Vate cieco                 - (esegue. Ne sprigiona un accordo pieno) Grazie, Eterni! (Si avvia in fretta verso l'uscita).

Galatea                          - Potevi restare.

Il Vate cieco                 - (commosso) Non posso. Debbo andare al mare, a scoprire se ha il suono più forte del fragor della risacca. (Trae un altro accordo dalla cetra) L'avrà! L'avrà! (Via in fretta).

Ermete                          - Eros non viene?

Galatea                          - Perché lo invitammo? No. Vien sol­tanto senza invito, il furfante; solo quando è fug­gito per sempre, ci avvediamo che c'era.

Ermete                          - Sei amara... Che fa Polifemo?

Galatea                          - Che m'importa di lui, se non divora più alcuno? Un gigante di cui nessuno ha timore, che gigante è? Non voglio più sapere di lui.

Ermete                          - (sorrìdendo) E un altro... non vuol sapere di te?

Galatea                          - Ma neppur di Calipso.

Ermete                          - Sii cauta! Ella viene.

Calipso                          - (dall'ingresso della grotta. E' seria, cal­ma, il capo lievemente chino, come se portasse un peso invisibile) Perché mi cercate?

 Galatea                         - (le va incontro, l'abbraccia) Misera sorella!

Calipso                          - (si svincola) Perché mi commiseri?

Galatea .                        - E' giusto. Meglio commiserare lui.

Calipso                          - Neppure lui. Chi è mai venuto a la­gnarsi con voi? Noi no.

Galatea                          - (si siede al tavolo) Non vuoi capir­mi ora!

Ermete                          - (siede anch'egli)  Vogliamo aiutarti.

Calipso                          - Perché ? (Si siede) Di me sono paga. Vi prego, siatelo anche voi.

Ermete                          - Lo lascerai tornare in patria, come noi desideriamo?

Calipso                          - S'egli lo desidera...

Ermete                          - Mai l'oserà! Nulla hanno ancora osato gli uomini, senza di noi!

Galatea                          - Ti sarà riconoscente... dentro di sé!

Calipso                          - Ordinateglielo allora! Forse vi sarà grato. A voi deve ubbidire. Non a me.

Galatea                          - Come soffri! Come soffro con te!

Ermete                          - (inquieto) Non avesti una sorte, Ca­lipso? Come un uomo comune?

Calipso                          - Sì. Ma che ne sapete voi, impertur­babili? Chi di voi la conosce? Me la invidiereste, voi eterni spensierati, come invidiate gli uomini. Oggi l'amo quasi più di lui, che me l'ha data.

Ermete                          - (si alza) Giunse a tempo, allora, e noi giungemmo troppo presto. Ti interrogherò fra un giorno degli dèi.

Galatea                          - (restando seduta) lo non tollero que­sto. Vorrei parlargli per te, sorella mia.

Calipso                          - Vuoi che ti respinga ancora?

Galatea                          - (si alza, va in fretta verso Ermete, che attende all'ingresso, e gli afferra il braccio) La sorella Pallade l'ha fatta uscir di senno. (A Calipso) Bevi ametista pestato, mia cara. Ti snebbierà il cervello. Euploi. Addio.

Ermete                          - (uscendo con Galatea) Sino al pros­simo giorno degli dèi, tu sai che fare... (Escono entrambi).

Calipso                          - (si avvicina al giaciglio, ed accarezza lie­vemente i cuscini) Se veramente andrà, se io resterò sola con voi... ricordatemi allora, voi che ci avete sempre uditi. Nulla voglio perdere di lui. Quando mi fu più vicino? Lo fu nel bacio, quando più non seppi chi lo dava e chi lo riceveva? Lo fu il suo respiro nel sonno, che rispondeva a domande ch'io di giorno non facevo? Lo fu durante le veglie silenziose, quando il mare mugghiava dall'abisso, insieme al pulsar del nostro sangue? O mai... O solo nei miei pensieri? (Si getta sul giaciglio) Eros, Eros terribile, perché mi cacci codesto strale nel fianco? Ha accecato me pure, col palo rovente, come il gigante. A me l'ha cacciato nel cuore : non so più dove sono e cerco soltanto di lui. (Si fa buio).

Odisseo                         - (con un semplice chitone, entra dal fon­do) Stanca?

Calipso                          - (ergendosi a metà dal giaciglio) Non potevo dormire, per te...

La voce del Vate cieco          - (traendo accordi dalla cetra)  Io raccogliealo amica, io lo nutria gelosamente, io prometteagli eterni giorni, e dal gel della vecchiaia, immuni.

                                      - (Pausa, come prima, con ì lievi accordi).

Odisseo                         - Che bramavi quando, irata, m'inter­rogasti poc'anzi? Non devi odiarmi, Calipso!

Calipso                          - (a bassa voce) Pensavo che saresti rimasto egualmente; non sarebbe stata che una prova per te, per entrambi. Ma che può sapere una povera dea degli strani cuori degli uomini? (Pausa, durante la quale si odono lievi accordi) Ora non posso più dirti: rimani! Gli dèi non possono.

Odisseo                         - Neppure gli uomini con gli dèi nel sangue. Perché ci creaste così? Il capo fra le stelle... i piedi nel fango?

La voce del Vate cieco          - (traendo accordi dalla cetra) Incredibile come gli uomini gettino la colpa su gli dèi! Incolperà Tuoni dunque sempre gli Dei? Quando a se stesso i mali fabbrica, de' suoi mali a noi dà carco, e la stoltezza sua chiama destino.

                                      - (Pausa, con accordi lievi).

Calipso                          - Va, ora, e abbatti gli alberi!

Odisseo                         - (commosso) Calipso!

Calipso                          - Scegli i cedri. L'ascia è sulla riva. Quanto tempo ti occorre?

Odisseo                         - Quanto voglio...

Calipso                          - Fa presto! E manda dentro il vate. In avvenire dormirà qui.

Odisseo                         - Ed io?...

Calipso                          - Egli è saggio e vecchio. A lui voglio dare l'eternità che tu non hai voluto.

Odisseo                         - Non vuoi neppur darmi l'addio? Nep­pure questo?

Calipso                          - Forse. Ma senza che tu veda. Prendi questo per il viaggio, che le notti son fredde. (Sì avvicina al telaio e comincia a toglierne la tela) Non è ancora finito... come il lavoro di Penelope. (Gliela porge).

Odisseo                         - Finiscilo allora! (Glielo restituisce) Per non dimenticarmi, come dovresti.

Calipso                          - E tu?

Odisseo                         - Io non ti dimenticherò mai...

Calipso                          - Quando sei lontano da me, non mi dimentichi più. Ma ora che sei qui. (Odisseo si fer­ma) Va dunque! Devi ancora incendiare Troia!

Odisseo                         - Non più.

Calipso                          - Sempre incendiano Troia... gli eroi...

Odisseo                         - (vuole rispondere, ma fermato da un gesto di ripulsa di Calipso, si allontana senza far rumore. Pausa, con lievi accordi).

 La voce del Vate cieco         - (traendo accordi)     Di qual nuvole il cielo ampio inghirlanda Zeus, ed il mare conturba? E come tutti fremono i venti? A certa morte io corro.

Calipso                          - (con un urlo) No!... No! (Corre verso l'uscita).

Ermete                          - (si ferma sull'ingresso, nelle vesti di Psicopompo, con il rituale abito nero; sul petto del suo chitone è ricamata una farfalla rossa. Nella destra tiene la « ràbdos », il bastone con il quale spinge innanzi i morti).

Calipso                          - (balza indietro) Che cerchi anco­ra qui?

Ermete                          - (con voce profonda e pacata) Debbo accompagnare un morto...

Calipso                          - Chi deve morire? Non certo Odisseo?...

Ermete                          - No... Il tuo amore per lui. (Fuori ter­minano gli accordi della cetra).

Calipso                          - Riconducilo a me. Allora potrai averlo!

Ermete                          - Lo condurrò il prossimo giorno de­gli dèi.

Calipso                          - Per me il tempo è uguale. Sono eterna...

Ermete                          - (con un sorriso ambiguo)  Tu, sì... (Pausa, senza accordi; da lontano si sente crescere il fragore del mare).

Calipso .                        - Dove sfociano le lacrime versate sulla terra? Lo sai?...

Ermete                          - Scorrono con tutte le acque al mare! E là piangono ancora. Non le odi? (Pausa, come sopra. Ad un tratto si odono forti colpi d'ascia) Che è?... Chi ti abbatte gli alberi sacri?

Calipso                          - (immobile, impietrita) L'eroe! Il no­stro eroe! Per la nave che lo condurrà via... (Con­tinuano i colpi d'ascia. Un albero comincia a pre­cipitare, crosciando).

QUADRO SETTIMO

La stessa scena del primo quadro. Trent’anni dopo: un giorno degli dèi.

 (Il Vate cieco, ora centenario, con la barba ed i capelli bianchi come neve, ma con il volto eretto, illuminato da una luce interiore, è accovacciato a destra, accanto alla sua colonna, e sta traendo un accordo finale dalla sua cetra. Calipso, al telaio, sul quale è tesa la tela finita, fa scorrere per l'ul­tima volta la spoletta. Nel focolare brilla il fuoco, che riempie l'ambiente di una luce tremula. Fuori è un pomeriggio nebbioso e piovoso, che volge al crepuscolo).

Calipso                          - (si alza e toglie dal telaio il lavoro fi­nito) Ho finito.

Il Vate cieco                 - (depone la cetra) Io pure.

Calipso                          - (piega il lavoro e lo pone sul tavolo) La mia tela.

Il Vate cieco                 - Il mio carme.

Calipso                          - (si siede sul tavolo) Quando iniziasti?

Il Vate cieco                 - Quando tu iniziasti la tela

Calipso                          - Solo da un giorno...?

Il Vate cieco                 - Un giorno del vostro tempo. Trent'anni del mio.

Calipso                          - Anni degli uomini? Che t'importano Più?i

Il Vate cieco                 - Presto forse dovrò... Bono molto stanco.

Calipso                          - E la tua cetra? Non le fioriscono al­tri canti?

Il Vate cieco                 - Nessuno che possa esser migliore.

Calipso                          - (sorride) Così grande, questo t'è riuscito...?

Il Vate cieco                 - Fra un secolo degli dèi lo sa­prete, se voi e la terra sarete ancora. (Pausa).

Calipso                          - (c. s.) Ci sarai anche tu... accanto a noi...

Il Vate cieco                 - Non voglio più. (Pausa) Purché giunga lieve. Senza dolore... senza timore...

Calipso                          - Di che parli?

Il Vate cieco                 - Della mia fine.

Calipso                          - Neppure tu vuoi la vita eterna con me!

Il Vate cieco                 - La cetra gettamela dietro, in mare... (Pausa).

Calipso                          - Sia latta la tua volontà!

Il Vate cieco                 - Sei irata con me?

Calipso                          - Neppure te so trattenere!

Il Vate cieco                 - Ma io trattengo te...

Calipso                          - Nel carme?

Il Vate cieco                 - Nel carme.

Calipso                          - Dove c'è pure tutto di lui?

Il Vate cieco                 - (annuisce) H ritorno come men­dico... la vendetta... la sposa... (Pausa).

Calipso                          - Ma dove vedi questo... nella lonta­nanza?

Il Vate cieco                 - Posso guardare anche nel tem­po... che verrà.

Calipso                          - In ciò che accadrà dopo il tuo canto? Nel futuro?

Il Vate cieco                 - Ciò che accadrà nel futuro esiste già, come tutto ciò che accadde nel passato, per chi vive nell'Eternità.

Calipso .                        - Quando eri eterno, con me, lo potevi. Ma prima... ed ora?

Il Vate cieco                 - In questo fui sempre eterno. Cer­to... solo in questo! (Pausa).

Calipso                          - Che predici all'eroe Odisseo?

Il Vate cieco                 - Nessun eroe sopravvive all'azione che lo chiamò. Dopo, torna uomo, come ogni altro.

Calipso                          - (seccamente) Lo vedo: accanto al fo­colare... tiene il filo a Penelope... e le racconta di me...

Il Vate cieco                 - (si alza e fissa il vuoto) Siede sulla sponda del mare e guarda lontano... come al­lora... con te.

Calipso                          - Ma dove guarda, ora?

Il Vate cieco                 - Guarda qui!

 Calipso                         - (si alza) Menti!

Il Vate cieco                 - Alla nostra isola.

Calipso                          - ...e forse abbatte alberi per la nave?

Il Vate cieco                 - (si batte la fronte come destando­si) Forse tenterà anche questo. (Pausa. Un lieve suono di arpa).

Galatea                          - (vestita d'un vaporoso abito nero, entra nella grotta) Zeus sia con voi, miei cari. Mi man­da Polifemo...

Calipso                          - Un tempo mandava gli uccelli stinfalici. Quali frecce infuocate mi porta oggi a tuo mezzo?

Galatea                          - Che orribile scherno! Egli te l'ha ada­giato dinanzi alla soglia. Mi pare infinitamente nobile...

Calipso                          - Chi...?

Galatea                          - Ecco come sei tu! Mi strappi le pa­role di bocca! Avrei dovuto morsicarmi la lingua piuttosto di raccontare tutto così... (Pausa).

Calipso                          - Lui... vuoi dire?

Galatea                          - Sì, il tuo eroe di ieri. Certo, ora non ha aspetto di eroe. Non capisco che trovai in lui, allora... anche se ora gli porto il lutto. A proposito, come stanno i veli neri?

Calipso                          - (la fissa) Se non vuoi che te li strappi di dosso, parla chiaro!

Galatea                          - Quando agii diversamente con te? Guarda! Non gli manca nessun pezzo. Del resto Er­mete è già per strada: ti informerà ufficialmente. Solo prepararti: questo volevo, perché infine sem­pre ti amo. Buona Eternità. (Esce in fretta).

Calipso                          - (fa per seguirla, ma, come presa da un improvviso malore, si abbatte presso la colonna del Vate cieco e si copre il capo).

Il Vate cieco                 - (come prima, fissando il vuoto) Non è Polifemo che lo riporta...

Calipso                          - (alza il capo) Ma... allora è venuto da sé?  (Si alza) Allora vive...?

Il Vate cieco                 - Il mare te lo porta! Il mare che te lo diede e te lo riprese...

Calipso                          - (va verso l'uscita, si ferma) Aiutami!

Il Vate cieco                 - (le si avvicina a tentoni) Dov'è?... Là, dove scroscia la pioggia?

Calipso                          - (da fuori) Sì! Chinati. Prendi.

Il Vate cieco                 - (la segue. Fuori si è fatto buio, e la pioggia scroscia più forte. Pausa).

Calipso                          - (appare all'ingresso della grotta, con il Vate. Trasportano un corpo nudo, 'Vestito solo dì una fascia intorno alle reni. Calipso lo tiene per le spalle, il Vate per i piedi) Sul giaciglio. (Con l'aiuto -del Vate, ella lo adagia sul giaciglio, poi prende dal focolare un tizzone e lo pone nel bra­ciere a capo del letto, in modo che non si veda chiaramente che il morto, i cui tratti sono forti, calmi e quasi più giovanili che nel primo quadro. Calipso si piega su di lui e gli chiude gli occhi) Ora rimarrai con me, Odisseo?

Il Vate cieco                 - Così dormiva quando giunse ad Itaca. Svegliandosi, non riconobbe nulla...

Calipso                          - (accarezza il morto) Mi riconoscerai, Odisseo?

Il Vate cieco                 - ...nessuno lo salutò, nessuno gli offrì doni...

Calipso                          - (tenera) Anche a me giungesti così. E che ti diedi...? Tanto poco! Solo ms stessa!

Il Vate cieco                 - ... un mendico in stracci...

Calipso                          - (alza il capo) Lo dobbiamo coprire!

Il Vate cieco                 - Con la tela che filasti per lui?

Calipso                          - Sì. (Prende la tela dal tavolo e la stende sul morto. Un profondo e grave arpeggio).

Ermete                          - (entra, vestito da Psìcopompo, come nel quadro precedente, con il petaso, il bastone con le serpi e la «ràbdos») Eccolo, come promisi...

Calipso                          - (si erge) Ma non così...

Ermete                          - Sapevamo che volevi vederlo ancora una volta. Sapevamo che ogni giorno andava di soppiatto al mare nell'ora in cui un tempo ti la­sciò. Gli facemmo vedere la tua isola, fra il cielo e i flutti: gli scogli, la grotta, la risacca sul mare. Non tornò più dai suoi. Si adattò un tronco e con esso affrontò le onde, ed i rami gli furono pale, sin quando nel petto ansante il cuore non gli scoppiò. Ma l'albero, spinto ancora dalla sua i'orza, fendette le onde sino a te... (Pausa).

Calipso                          - Salvarmelo non voleste?

Ermete                          - Te l'abbiamo trasformato, da vecchio, in uomo, come quando era con te.

Calipso                          - Se fosse vivo, non l'avvertirei.

Ermete                          - Abbiamo fatto abbastanza. Più non possiamo.

Calipso                          - . Ma uccidere potete!

Ermete                          - Perché siamo dèi.

Calipso                          - Anche gli uomini... uccidono.

Il Vate cieco                 - Dì « eroi »! Non uomini. Odisseo sì fece uomo quando partì da Itaca, per raggiun­gerti.

Ermete                          - Quest'uomo ha sfidato il destino. Chi sfida il destino rinuncia al nostro aiuto. Nessuno può destare dalla morte un tale uomo, neppure Zeus.

Il Vate cieco                 - (si avvicina al giaciglio del mor­to) lo posso.

Ermete                          - (sconcertato) Come osi, mortale?

Il Vate cieco                 - E voi? Come osate, voi dèi? Sulla nostra insania, sulla nostra debolezza, sulla nostra paura salite all'Olimpo. Nessun cielo potrà mai in­nalzarsi sul cielo che noi vi creammo!? Chi agogna cose maggiori che il desiderio di voi, voi lo preci­pitate nel fondo, come costui.

Ermete                          - Ti gonfi come se fossimo creature vo­stre, tu polvere!

Il Vate cieco                 - Voi siete il fumo del sacrificio che noi siamo! Chi sente il fumo del sacrificio che arde? Ma quando si dissolve in cenere, il fumo si disperde. Perché , allora vi invochiamo?

Ermete                          - Non tutte le follie sono sacre. Guar­dati!

Calipso                          - (/issa il Vate. Con un gesto ad Ermete) Lascialo! (Al Vate) Continua. Noi morremo...?

Il Vate cieco                 - Sì! Tu Calipso... ed Ermete... e tutto il vostro Olimpo! Ed altri dèi vi seguiranno, ed altri uomini e popoli... Ma costui rimarrà, questo Odisseo nel poema ch'io canto per lui...

Ermete                          - Non voglio sentir oltre! E' bestemmia contro Zeus. Cadano i fulmini sul tuo capo! (Via in fretta).

Calipso                          - (china sul morto Odisseo, lo sguardo ri­volto al Vate cieco) Continua, padre mio.

Il Vate cieco                 - Egli vive... e tu... e gli dèi... per mezzo suo! Dove un uomo in futuro errerà per cer­care la patria, là sarà lui, Odisseo! E dove gli ver­ranno dati asilo e amore, nella sua fuga senza fine, là sarai tu, Calipso! Soltanto la patria non ravviserà se pur vi farà ritorno. Che s'ha da perder per sem­pre la patria, per ravvisare dov'era.

Calipso                          - (c. s.) Dunque... ero io la sua patria. Continua!

Il Vate cieco                 - Migliaia... ne vedo vagare come lui, alla ricerca di un'Itaca, che più non esiste. Solo pochi si riposano come lui, ed anche quei pochi cercano ancora, e se pur trovano Itaca alfine, vi trovano contese e miseria, come dovunque. Ma tu, tu saresti stata la pace contro la morte, che da noi sempre si versa sul mondo. (Pausa. Fuori piove sem­pre più forte).

Calipso                          - Malgrado contese e miseria, agognate vendetta! Contro di essa non io né Penelope mai nulla potemmo... Non la donna divina, né la donna terrena.

Il Vate cieco                 - Ma forse un giorno verrà al mon­do un paziente più grande di costui, che prenderà su di sé la nostra miseria, senza brama di contese e di vendetta. Quegli non avrà bisogno né di te né di me, quegli sarà allora il suo stesso canto. Perché chi si domina e si offre, è più dell'eroe di tutti gli eroi, se di ciò è cosciente...

Calipso                          - E lo riconosci tu, padre mio?

Il Vate cieco                 - ...di tutto ciò che noi ancora osiamo essere! Della nostra debolezza! Della nostra colpa! Affinché minore sia un giorno il duolo su questa terra insanguinata... (La pioggia scroscia for­tissima).

Calipso                          - Chi sei tu che dici cose più profonde di quanto non sia dato agli dèi e agli uomini? Pino ad oggi mi tacesti il tuo nome. Come ti chiami, vate cieco?

Il Vate cieco                 - Ancora non so. Oggi mi chiamo ancora come egli si chiamò quando venne da te...

Calipso                          - Nessuno...?

Il Vate cieco                 - Sì. Nessuno.

FINE