Capezzale

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CAPEZZALE

Un atto unico

di

Andrea de Manincor

1999

Una camera da letto matrimoniale, di quelle delle case agricole, padronali, degli anni tremendi della nostra storia, in una metà - la prima - del nostro secolo. Sobria: oltre al talamo, antico giaciglio delle notti di altri antenati, poche suppellettili.

Il grande letto, che campeggia sulla scena, è posto alla parete di fondo. Su quella di destra, un comò. Sul comò una brocca, un paniere, del pane, il coltello per tagliarlo, un bicchiere.

Sul letto, infossato tra le coperte ben rimboccate, un uomo, Guido. Pare dormire. Lo si scoprirà in seguito vestito della sola, abbondante camicia da notte.

Accanto al letto, su tre sedie di legno vigoroso, tre giovani donne. Vestono abiti non poveri, ma dai colori spenti, castigati. Due di esse - Betta e Lina - siedono l’una appresso all’altra, ad un lato. La terza, Dolfa, specularmente rispetto alle prime, all’altro angolo del letto.

Prima un piombo sull’uomo, poi progressivamente una luce gelida, autunnale, inquadra l’intera immagine.

Il silenzio è pressoché totale, interrotto solo da un disturbo, un fastidio più che altro visivo: il capo di Lina che, sul punto di risvegliarsi da un certo sonno, ciondola tra collo e petto, e questo movimento le fa emettere un sospiro, uno sbuffo appena percettibile, fino al completo, a quel punto quasi improvviso e sussultante, risveglio.

Betta e Dolfa, sue sorelle, stanno invece in una vigile immobilità.

Personaggi:

Guido

Betta, sua figlia

Dolfa, sua figlia

Lina, sua figlia

LINA: M’ero addormentata...E lui?

BETTA: Ancora non s’è svegliato.

LINA: Quant’è ormai?

BETTA: Quasi due giorni

LINA: Voi dite, poi, che non si sveglierà più?

BETTA: E lo sappiamo, noi?

LINA: Il dottore ... quando è venuto, il dottore?

DOLFA: Voi dormivate.

LINA: Sì, lo so. Mi sono fatta prendere ... Dio, come una stupida contadina.

BETTA: Il sonno fa bene. Fa bene: alle teste che non vogliono riposare, mai, fa bene.

DOLFA: Il dottore se n’è andato presto. Ha benedetto la nostra veglia, e se n’è andato.

LINA: Ma lui ... ha detto...cosa?

BETTA: Non c’è che d’aspettare...

LINA: Aspettare, ma...cosa?

DOLFA: (dopo una pausa) Che muore.

BETTA: (ugualmente, dopo una pausa ).Che muore, già.

LINA: Così, a voi vi ha detto...Ed io...non dovevo saperlo, io? Che attesa era la vostra, per non dirmelo neanche? Solo perché avevo sonno ...

DOLFA: Tu sei la piccola, a te non ti deve interessare.

LINA: Sono figlia anch’io.

DOLFA: E allora, obbedisci. Fai quello che si deve fare: rispetta le tradizioni. Sei la piccola, certe cose non ti spettano.

LINA:...Va bene, obbedirò. Obbedirò ... sempre. Ma almeno adesso, non voglio che mi trattate così. Sono sorella vostra...

BETTA: (ridendo, di un riso amaro) Bella soddisfazione!

LINA: Lo dici con un coltello che ferisce, Betta, lo sai?

BETTA: E’ perché ... sarebbe stato meglio se nascevi bastarda!

DOLFA: Mosca anche tu, Betta!

LINA: (dopo una pausa) C’è differenza?

DOLFA: Oh, Lina, non insultate!

LINA: Sentila, chi parla d’insultare.

BETTA: Destino comune, il nostro. Quando me lo vedo, dico che è proprio comune. Destino che ci abbassa a livelli della gente di mala cera, infelici...Siamo come le bestie, o no? Col coltello ... Col veleno sempre in bocca...E questo scornare l’ira...che c’abbiamo dentro...diversa, per ciascuna...

DOLFA: Non dire così.

BETTA: Non mi va la tua lingua di compatimento, Dolfa.

DOLFA: Accetta, figlia, quello che ti dico. C’abbiamo avuto la nostra vita, coi suoi bei momenti, anche noialtre.

BETTA: Ah sì? Me l’ero già scordata.

LINA: Uguale sempre a te stessa, Betta.

BETTA: Cosa vuoi farci? Sarà stata la vita a rendermi così, amara...acida, sì.

LINA: Hai detto la parola giusta, brava: acida.

DOLFA: Lina!

LINA: Sono sorella anch’io, non ve lo scordate. E allora, da questa bocca...

BETTA: ...Non può che nascere il veleno: questo, il nostro destino.

LINA: La senti adesso, cosa risponde?

BETTA: Ma se l’ho detto prima: che ci siamo venute, al mondo, col veleno da sputare in faccia alla gente.

LINA: Io non intendevo...

BETTA: Cosa, allora?

LINA: (dopo una pausa) Niente. Solo che anche la mia bocca c’ha il suo diritto di parlare. Una parola una, non l’ho detta, in ‘sti giorni. E alla fine ... l’avete visto, mi sono fatta prendere dal sonno stupido!

DOLFA: Fareste meglio a tacere un poco, tutte e due. Davanti a una disgrazia, che riduce ogni forza...

BETTA: Tacere?...Sì, tacere...Cosa credi che abbiamo fatto, per tutta la povera esistenza? Se avevamo taciuto un po’ meno! Possiamo dirlo, ora, nella disgrazia: con un padre che non è nostro padre...

DOLFA: E’ nostro, eccome!

BETTA: Solo perché c’abbiamo lo stesso sangue, lo considerate vostro padre?

LINA: Certo, per quello.

BETTA: Solo perché siete nate dalla stessa madre, la considerate vostra madre?

DOLFA: C’ha diritto lei, d’essere chiamata madre, e anche lui, padre. E’ un discorso che non ha mai fine con te, Betta sfortunata. Come ti si deve dire ... Lei, c’ha attaccate al seno, tutte e tre. Non ha voluto balie, comari, no...E lui...Che lo sai, le cose vanno accettate per come vengono...

BETTA: Allora preferisco sì, continuare a tacere. C’abbiamo...al giorno d’oggi si dice opinioni differenti.

Pausa

LINA: Dite...Oh, dite! Cosa siamo? Davanti al giudice, che dobbiamo fare il silenzio, per nascondere fatti gravi?

BETTA: (con tagliente ironia) Di cosa parlate, poi? Quali fatti gravi?

DOLFA: Siamo davanti alla morte. Questo è, perdio, un fatto grave.

LINA: Ma Dolfa ... la Betta c’ha gusto di prendermi in giro!

BETTA: Ma se abbiamo sofferto tutta una vita, per ‘sti fatti gravi!

DOLFA: Ci vuoi rifiutare? La tua famiglia, tuo padre, la madre, le tue sorelle? La madre, morta impiccata, strangolata da un crepacuore che non lascia scampo...nostro padre...Adesso che ce l’abbiamo sul punto della fine...

BETTA: Ma io bestemmio contro una colpa, che non doveva ricadermi sulla testa, a me! Una colpa che mi ha fatto dimenticare dal mondo, che mi ha rubato gli anni belli, gli anni sereni. Dico, non ho mai conosciuto...no, la felicità no...che quella è roba per pochi...almeno un conforto, che la giovinezza dà alle persone. E voialtre, se la volete pensare diversa, siete padrone. Ma non obbligatemi a pensarla, anch’io, nello stesso modo. Sputo, come sputo in faccia alla mala gente, sputo su questa disgrazia. Sputo perché è arrivata. Sono i momenti che mi sento libera, quieta. E l’ho aspettata, io, ‘sta disgrazia, non potete sapere da quanto!

DOLFA: Brava, aggiungi veleno a veleno! Sai che bello davanti alla morte.

BETTA: Ma svegliatevi! E’ venuto il momento di cantare, non di piangere! Tu, poi, Lina, che sei così brava!

LINA: Parli come una maledetta da Dio e dagli uomini!

BETTA: So quella che sono, io! E hai detto giusto: maledetta.

LINA: Ma non metterci dentro anche noi, a questa certezza che sei maledetta. Ho paura, quando parli così...paura che si possa scatenare di nuovo la furia su questa casa...

DOLFA: Cominciate, anche voi?

BETTA: Veleno! E’ il veleno!

DOLFA: Siete matte, figlie!

BETTA: E allora, Lina? Non canti? Se non vuoi che la disgrazia ci prende a tutte tre, devi cantare!

DOLFA: Insomma basta! (segue un lungo silenzio) Io, qui, rimango in attesa di un luminoso miracolo...e voi non fate altro che allontanarlo...

BETTA: Cosa? Che miracolo? Vuoi che continua a vivere, lui, lui che è la causa di tutto?

DOLFA: E’ una colpa superiore a lui, una colpa superiore a tutti...Una maledizione...

BETTA: Ah, vedi? Lo dici anche tu!

DOLFA: Una maledizione...che risale a tempi che non possiamo ricordare...Prima che siamo nate ...prima che sono nati loro stessi...e zitta!

Pausa; un silenzio che sancisce la rivelazione di un fatto indubitabilmente importante.

LINA: Allora, davvero, sai qualcosa! E che sai? Perché non lo vuoi dire? Ce l’avevo, io, sempre, il senso che tu sapevi, ma...la certezza non c’era...non ce l’avevo tutta...

DOLFA: Zitta! (pausa) E’ qui in gola, ma non riesco...non è possibile...

LINA: Cosa vuol dire che non riesci? Che sai tu, che noi non sappiamo? Perché lo sai tu?

DOLFA: Perché...fu nostra madre a dirmi che...che non avrei dovuto, che non devo. E lo sento, solo io lo sento quanto è forte questo dovere...

LINA: Ma nostra madre è morta...e tu magari ci hai sempre taciuto una verità...

BETTA: Una verità che potrebbe essere la nostra salvezza, magari! La liberazione dal male, che da anni ci opprime!

DOLFA: No! No! Che liberazione!...Un delitto...un nuovo delitto sorgerebbe, se io dico cose ...

BETTA: Tu parli di delitto, quando noi stesse siamo un delitto, un crimine: siamo sangue, frutto di altro sangue assassinato!

LINA: E’ vero! E’ vero! Che altro delitto potrebbe mai nascere, ridotte come siamo?

BETTA: Canta, Lina, canta, ché forse, se canti, Dolfa si commuove e ci spiffera tutto.

Te l’ho detto, no? Questo è giorno di gioia!

DOLFA: Betta, sei solo un continuo martirio!

BETTA: Canta Lina, ché alla Dolfa, le viene di dirci tutto.

DOLFA: No, no, non mi dovete straziare!

BETTA: Perché? Tu che cosa ci stai facendo? Ci stai forse carezzando?

LINA: Perché non mi vuoi sentir cantare, Dolfa?

BETTA: Perché la tua voce le ricorda quella in armonia della mamma. Sembrava che le voleva sempre più bene che a noi, la mamma! E’ la prima, la genitura originale, la vite raccolta già vino nella mano! Ma tu, tu Lina, hai la fragranza, la mollezza della mamma...Lei no! Lei è aspra, è un frutto pigiato immaturo: La vite raccolta nella mano, ma il vino è inaspettatamente cattivo...Perché lei, povera Dolfa, ha una cera brutta, e tanto sgraziata...La più amata diceva, perché prima...Mica perché la più bella...Graziosa invece, vero Dolfa?, graziosa la piccola Lina...Canta, Lina, canta che la Dolfa non sopporta di risentirti come l’anima della mamma, che le parla, le sussurra ad un orecchio...

DOLFA: Maledetta! Maledette noi!

BETTA: Il veleno! E’ il veleno!

DOLFA: Perché me lo fai, Betta, perché?

BETTA: Perché voglio sapere! Perché vogliamo sapere! Se è vero quello che hai detto...se è vero che sai qualcosa...

DOLFA: E’ vero!

BETTA: E allora, proprio con questo morto accanto, proprio con lui, ce lo devi dire!

DOLFA: Ma non è morto!

LINA: Magari, aspettiamo, eh?...aspettiamo che...

BETTA: Perché non vai a cagare anche tu, Lina? Non essere così molle, proprio adesso, proprio adesso che ci possiamo sentire, per la prima volta, vicine alla verità! Per me è morto, è morto! Per me e per voi!

L’uomo che sta sdraiato sul letto, e al cui capezzale stanno raccolte le tre donne, comincia a dare segni di risveglio: qualche cenno appena con le dita di una mano, il tendersi del capo verso l’alto...

LINA: Guardate...

DOLFA: O Dio Signore, dagli forza, dagli ancora un po’ di forza!

BETTA: Così che torna a vivere? Ah no! Ah no! Deve morire!

DOLFA: Ma perché?

BETTA: Perché è bene! Il dottore...il dottore ci ha detto solo di aspettare...

DOLFA: Ma tu credi veramente che, morendo lui, le nostre vite saranno lavate dalla colpa? E’ più antica di lui, la colpa...

BETTA: E allora spiegacela! Tu che la sai, spiegaci la colpa, cosicché posso andare tranquilla, a testa alta, io, senza vergogna, perché almeno saprei che la colpa sta al di fuori delle nostre esistenze! Non avrei più bisogno di sputare sulla vita di mio padre...di mio fratello.

LINA: Noi siamo una vergogna, che sta più in alto del cielo, Dolfa...Lo sappiamo bene, questo...Ha ragione la Betta...Se noi...

DOLFA: Guardate!

L’uomo apre gli occhi; faticosamente solleva la mano e accenna a Betta di avvicinarglisi, lei obbediente gli si pone accanto. La sua voce, affaticata, arrochita, giunge come in un sussurro.

GUIDO: Non voler sapere...non voler sapere...

BETTA: Cosa? Cosa non dovrei sapere?

Guido si aggrappa alla ragazza, e facendo leva su di essa, si pone a sedere sul letto. Ansima, respira a rantoli.

GUIDO: La mia testa...la mia testa è tutta una confusione di voci...Chi è venuto?

DOLFA: Nessuno, papà! State tranquillo! State bene? Se è questo, noi siamo contente...

GUIDO: Ho le labbra secche...

LINA: Come vi sentite, papà?

GUIDO: Un po’ di vino...Nel sogno avevo le mani immerse nel mosto... Un po’ di vino...

BETTA: Avete sognato?

DOLFA: Lina, vai a prendergli un po’ d’acqua...

GUIDO: Ti ho detto vino, Dolfa! Vuoi che muoio all’istante?

DOLFA: Il vino no! Il vino è impossibile!

BETTA: Dagli il vino, Dolfa! Che ti costa?

GUIDO: Ascoltala, Dolfa! Tua sorella mi vuole bene!

DOLFA: Ma anch’io ... (una pausa. Poi, come spegnendo un piccolo atto di naturale ribellione) Niente ... Ve lo prendo io, il vino.

Dolfa versa del vino da una caraffa posta sul comò, accanto al letto.

LINA: E’ quello della settimana scorsa, papà, prima che vi...

GUIDO: Prima che finivo così? Lo so, lo so! Le mie bambine! L’avete lasciato lì, perché mi volete bene, no?

BETTA: Bene?... (dopo una pausa)Sì, tanto, tanto, veramente.

Guido tracanna dal boccale, incerto, maldestro, sorretto sempre da Betta.

GUIDO: Mi stai accanto, Betta? Mi tieni su? Perché? Pensi che non ce la faccio?

BETTA: Le vostre mani, papà...son proprio disturbate dal male...e allora, io ho pensato...

GUIDO: No, non per questo. Ti dà lo schifo, se mi cade tutto dalla bocca...Ti ha sempre dato lo schifo!

BETTA: (facendosi dura, come colpita nell’intimo) Sì, è vero, lo schifo! E adesso che me l’avete ricordato, sapete?, spero che vi viene giù, o che vi va di traverso, così lo buttate fuori e io ho una ragione per mollarvi qui!

Betta s’allontana, a Guido cade di mano il boccale, quanto volontariamente non si sa. Il vino scorre come sangue sulle coltri, bagna il pavimento.

DOLFA: (a Betta) E’ colpa tua!

GUIDO: No, Dolfa! Non è mai colpa di nessuno...veramente!

Lina si getta a terra e comincia a ripulire il pavimento, con il fazzoletto che le raggruppa i capelli del capo.

LINA: Pulisco io, pulisco io...

GUIDO: La piccola è una brava massaia! Proprio brava. Di quelle all’antica, come le nostre madri...le nostre madri di un tempo, che ci pulivano perfino i calzoni dalle indecenze...anche quelle dell’amore. Perché loro, l’amore ...(sospendendo il pensiero)

BETTA: Voi l’avete conosciuto, potete dirlo. Noi...siamo cresciute senza vedere che faccia aveva. Ci ha mai bussato alla porta, l’amore?

GUIDO: Non ve lo siete mai cercato!

BETTA: Come potevamo?

GUIDO: Ti vergogni?

BETTA: Di quello che sono? Sì. E anche perché...bisognava fare la professione del silenzio... Tacere, altrimenti...

GUIDO: (in un improvviso attacco di fatica e di stanchezza) Mi rimetto giù. Così sto meglio.

BETTA: (incalzandolo) Ho sempre obbedito. Ho sempre taciuto.

GUIDO: Male!

DOLFA: Come, male?

GUIDO: Bisogna sempre parlare. Anche di fronte alla frusta e alla minaccia...

LINA: C’è solo l’odore...adesso (si rialza da terra)

GUIDO: Anche se ci costa una vita...anche se ci costa la perdita dei sensi...

DOLFA: Voi però ... è la prima volta che ci parlate così. Alzare la mano...per voi...era normale...sulle nostre schiene, dico...

GUIDO: Mio padre...l’alzava su di me...

BETTA: E voi dovevate farlo con noi?

GUIDO: Non si sfugge alle nostre tradizioni. Il mio destino è uguale a quello di tanti altri...

BETTA: Oh no!

GUIDO: Sì.

BETTA: No! Noi siamo proprio una costola del vostro destino, siamo le vostre stesse mani, una semplice divisione di un raccolto. Non siamo figlie nuove; non siamo piante recenti. Siamo la malattia di una stessa pianta. Il vostro grano e il nostro ha solo una differenza di colori. Ma abbiamo lo stesso dentro. La stessa infelice cancrena.

LINA: Io sono contenta...

DOLFA: (rivolgendosi alla sorella sorpresa, seguita nello stupore da Betta e da Guido) Di cosa?

LINA: Sta meglio...io sono contenta, contenta...

GUIDO: Tu Lina sei diversa...Sei di una fragilità che non conosco...Ho sempre creduto che eri figlia di qualcun altro...Tua madre poteva averti partorito in un’altra terra...Per me, sei sempre rimasta la figlia che desideravo...

DOLFA: Non è vero!

LINA: (con dolcezza e remissione) Lo so, Dolfa, tu sei la prima...

GUIDO: La più maledetta!

DOLFA: (dopo una pausa, al padre) Avete bevuto il veleno, lì?

GUIDO: (pausa, poi, senza risponderle) Quanto manca alla fine?

BETTA: Di quale fine parlate? Che ne sapete, della fine?

GUIDO: Lo so, e basta.

Pausa

BETTA: Prima...Eravate su, con la schiena, ricordate?, e avete detto... ‘non voler sapere’..e io adesso...voglio sapere, perché...dico, se so, forse...la vita che ho perduto...Se credete giusto che l’amore ha ancora ... Se noi abbiamo ancora qualche diritto che l’amore viene a svegliare le guance...con il suo rossore, dico...forse, se so, è meglio...almeno, se so, so anche se arriva la pace...

GUIDO: C’hai il tono smelenso...quello dell’inganno... Sento che lo vuoi sapere, veramente...Ma se non te lo dico...la tua vita...

BETTA: La mia vita è una merda!

GUIDO: Buona per il campo, allora (ridendosela) buona per il campo...Vedi, Dolfa, dicevi... il veleno...

Pausa

GUIDO: Prima parlavate del veleno, vero?

DOLFA: Avete sentito? Avete sentito? (terrorizzata, nel timore d’essere stata scoperta) Ma io non ho detto niente, vero? Non ho detto niente! Voi avete sentito che io non ho detto niente!

GUIDO: Ahh ma perché, Dolfa? Perché hai sempre paura del tuo fare? Non hai detto niente, no, l’ho sentito!

BETTA: C’avete ascoltato? Da quanto? Da quanto tempo state lì con le orecchie smanianti? Tese, come una bella trappola?

GUIDO: Io sto male, Betta...non te lo dimenticare...

LINA: Betta, lascialo, che sta male...

BETTA: Da quanto voi ci ingannate?

GUIDO: Tu da quanto credi?

BETTA: Perché mi parlate sempre così? Perché mi volete avvicinare alla verità, e poi mi respingete? Io posso amarvi davvero, se solo non volete essere...

GUIDO: Se non sono?

BETTA: Ecco...non so...la vostra lingua...ho sempre pensato che c’avrebbe potuto raccontare il mondo...invece, vi siete sempre tirato indietro...Le vostre parole avrebbero potuto sapere del gusto vero della terra, e invece...sono come l’acqua del pozzo...quando sta lì, dal tempo che non la raccogliamo, sa del marcio e della putredine...Le vostre parole...siete sempre stato dentro e fuori le vostre parole...Cosa avete sentito?

GUIDO: (guardandola, osservando poi anche le altre) Io sto male, qui c’è la fine, passa un attimo, ed è qui...e tu tormenti il mio cuore... Voi cosa volete?

LINA: Io..non so...credo...

DOLFA: La verità, papà, la verità...certo la verità...però, nel modo che sapete raccontarla voi...che quando la raccontate siete bravo e io...penso sempre che dite la cosa giusta...

GUIDO: Allora...vi dico che non ho sentito niente. Pensato, sì...tanto.

BETTA: Pensato, come no! Pensato, certo. Però...alle trappole abbiamo sempre dato il nostro aiuto. Per tenere lontano la volpe scura che ci mangiava nei pollai..Le trappole hanno sempre avuto il gusto del saputo. E per questo...ecco, voi non ve lo dimenticate...che un po’ siete nelle nostre mani, come la volpe o il lupo...dai, che lo sapete: la caccia può anche finire...che se noi non stiamo più qui...

DOLFA: E chi lo vuole abbandonare?

BETTA: E chi lo ha detto?

LINA: Tu l’hai detto. Hai detto che se non stiamo più qui...

BETTA: In quanti modi? Ve lo chiedo, a tutte e due: in quanti modi possiamo stare qui?

GUIDO: Intelligente, intelligente la mia Betta, la mia preferita..

BETTA: Voi l’avete capito, lo so...La vostra lingua...ricade sempre dentro di me...è la goccia della pioggia che non posso fare a meno di inghiottire...Una lingua bella e doppia...Avanti, in quanti modi?

DOLFA: Sei troppo...troppo...

LINA: Sei troppo lontana... Un’altra cosa da noi...

BETTA: Stupide! Stupide! Siamo uguali, uguali. Noi possiamo essere qui, con questo corpo brutto, con questa prigione qui, che ce la portiamo appresso tutti i giorni...Ma le nostre teste gli possono comandare di starsene fermo, ma proprio fermo...di non fare nulla, al corpo...di addormentarsi, se vuole ... come ha fatto la Lina ...e di lasciarlo morire così...questo nostro genitore...questo che ci ha messo al mondo...Che lui c’ha paura della morte, come la volpe o il lupo...c’ha paura, vero?

GUIDO: Sì, molta, molta.

BETTA: E allora, ce la volete dire la verità? Perché, dico, avete il terrore grande che vi possiamo lasciare nelle mani di un sonno lungo come l’eternità, è vero?

GUIDO: No. No, non vi dico niente. Non ve lo posso dire.

BETTA: Eppure, io sento...come se è lì, quella verità...e...non so, voi state giocando a farvela tirar fuori, e questo, forse...ora...ora lo comprendo.

LINA: Cosa dici, cosa dici, Betta? Come puoi pensare che vuole farci questo? Che se la vuole tenere dentro, dici? Che fa di tutto, per farsi strappare col forcone infelice certe parole? Che vuole che la sappiamo, ma con la fatica dell’aratro?

BETTA: Io...per me, è così.

DOLFA: No, no. Non la può dire, veramente!

BETTA: Tu, Dolfa...Sei sincera, sorella. Io ti credo, sei sincera. Ma lui...è da tempo che la sua verità è per me la scarpa vecchia, o il dolore del falco intrappolato. C’è un’ombra grande sulla sua vita, io l’ho sempre vista. E’ un’ombra che lui si tiene stretta, per la fine dei suoi giorni.

GUIDO E tu, perché pensi che me la voglio tenere stretta?

BETTA: Perché...vi dà la salvezza.

GUIDO: Da cosa?

BETTA; Dalla maledizione! Se la liberate, solo poco prima del momento...di quel momento che vi si strappa l’ultimo dei capelli col falcino da campo...se la liberate allora, sarete salvo...e noi maledette, per sempre!

GUIDO: No, non maledette. Però ... Ho cresciuto bene la tua intelligenza, Betta. Questo, almeno, lo devi a tuo padre.

BETTA: Io non so come chiamarvi.

DOLFA: Allora...Ma se la può dire lui...Forse, la madre non aveva ragione...Se la può dire lui, Betta...pensi che ci salverà, se la dico...

GUIDO: (con una forza stupefacente e animale) No! E’ proibito, a te. Tu che non la dovevi sapere, tu che l’hai saputa, come si sa il tradimento, tu...non la puoi dire.

Pausa.

DOLFA: Che Betta ha ragione, adesso così devo pensare? Che ci nascondete la verità perché è meglio solo per voi? Ma cosa siete, alla fine? Cosa siete? (si avvicina, minacciosa, furente) Io ho passato la vita dietro al divieto di non raccontare, di non cercare...di non dare il pane dell’infortunio alle mie sorelle, perché...perché era meglio per tutte...perché era meglio anche per voi...E voi...pensate alla vostra salvezza? E alla nostra? Il vostro seme...Vi siete messo dentro la madre...vostra madre...Il vostro sangue ha bevuto da un doppio calice...Il calice della morte e quello della vita...Noi siamo nate da un lutto e da un furto...Noi, che abbiamo solo inteso le parole della colpa...che abbiamo sempre parlato la lingua del sotterfugio...e voi...come ci ripagate, voi...come ci ripagate...?

LINA: Dolfa, mi spaventi così...Cosa gli vuoi fare, dove vuoi andare?

DOLFA: Voglio vedere cosa c’è, di là, di là dalla porta dell’inganno...Betta, da quanto?

BETTA: Da Tanto, tanto tempo...Tanto tempo è trascorso, da quando l’ho vista...L’ho sempre saputo, forse...Negli occhi di fuoco di mia madre, forse, è lì che l’ho sempre vista. Tu no, invece? Tu non l’hai mai vista, l’ombra?

DOLFA: No, no. Mi pareva tutto così vero...Vero, anche se nel nostro orribile stato...ma vero...

BETTA: Frenati, Dolfa, aspettala un po’ più lontano, la tua ira...C’è sempre la morte, no? Che se noi lo lasciamo qui, a marcire solo...

GUIDO: Non lo farete, mai. Non lo farete tutte.

BETTA: Ah no? E chi ce lo impedisce?

GUIDO: Betta, Betta mia...l’avreste già fatto, no?

DOLFA: E allora?

GUIDO: La colpa....superiore a tutti...superiore al cielo...Quello, ve lo impedisce.Il destino...comune

DOLFA: Puttana! Allora, avete sentito. Ma adesso, che cosa me ne importa...

BETTA: Non siamo libere? Questo?

GUIDO: Questo. (mutando radicalmente tono, spirito) Voglio del vino.

Corre ancora una pausa, come se si aspettasse al varco la parola di chi può dar ragione a Guido.

LINA: Io...io ve lo prendo...chè state male...stiamo tutte male, anche noi...forse, il vino...ci fa bene a tutte e tre, cosa dite? Cosa dite?

GUIDO: (osservando trionfante Dolfa e Betta) C’è sempre qualcuno, tra voi...anche tra voi...Si tratta solo di aspettare la fine...

Dolfa e betta si rimettono a sedere, esauste, già evidentemente frustrate e sconfitte nell’intimo. Lina, con una lentezza che sa di rito, versa nel boccale il vino al padre, e nel silenzio di tutti, intona una dolce melodia.

GUIDO: (dolcemente stupefatto e rapito) Sì, perdio, sì.. Canta, Lina...Avevo ragione... tua madre...non sei figlia mia...la mia voce...ha una forza sgraziata...è tutta senza questo spirare dolce di fiato e vento...ce l’hanno invece le tue corde...è una brezza rinfrescante. No... è lo scirocco strano nei giorni della calinverna...Lo sai, che in quei giorni...tutto si ammanta del bianco candido della natura...senza un solo fiocco di gelida neve, e poi viene il vento caldo a spazzarla via...è come una luce che la natura...e come ci ha fatto male, la natura! ...Ci sono le volte che...penso che noi siamo qui, per dare solo un po’ di caldo alla terra, col nostro passare sopra l’erba, e i sassi, e il grano immaturo...che la riscaldiamo col vino e con le nostre baruffe...è strano...ora sento che scende una pace tra di noi...ma è una pace diversa...diversa dalla tranquillità che precede l’amore...il letto...su questo letto...come faccio a non ricordare?...Siete nate, su questo letto...le mie bambine...Questa pace, però, mi frega....non mi difende...mi mette a rischio...Sono così malato...sono così debole...

BETTA: Dolfa, Dolfa!

DOLFA: Cosa?

BETTA: Dolfa, non lasciarti prendere dallo sconforto. Possiamo ancora buttarlo giù dal suo cavallo nero, il destino.

DOLFA: Io...vi ho tradite...vi ho tradite...Ve lo avrei sempre potuto dire...

BETTA: Hai ancora la parola...hai ancora nostra madre...lei ora vorrebbe....vuole che tu racconti...che ci liberi....

DOLFA: Io...non so...la parola non so mica se mi esce...la mia gola....non so se farà fatica....

BETTA: C’è Lina.

DOLFA: Cosa vuol dire?

GUIDO: (stordito, assente, sta come in un altrove) Canta, Lina...Canta, brava massaia, brava madre...

BETTA: C’è Lina, che canta...e il suo canto dà forza alla tua parola...

DOLFA: No! Mi schianta, invece, mi rompe tutta, dentro...E’ qui, il canto, e mi dice di no.

BETTA: Prendi forza, Dolfa! Prendi forza. Ricordi? E’ un giorno di gioia, se sappiamo come girarlo...e il canto della Lina...è la voce, sai? la voce vera di questo giorno. Però tu devi prendere forza...anche per lui, vedi? il canto della Lina...è una cosa che gli fa perdere il sentimento della cattiveria...

DOLFA: Lui non è cattivo, lo so...dice solo il vero... io lo so che l’ha sempre detto..che non possiamo stare davanti alla colpa e capirla...e credere di rovesciare le cose...

BETTA: Non c’è la colpa, se non la vogliamo noi...se tu continui...a vederla...quando non c’è...e anche se c’è io invece...credo che possiamo rovesciarla, invece...già, che possiamo farla finire nella gramigna inutile....

DOLFA: La gramigna ti mangia i raccolti, non lo sai?

BETTA: Ma se ci dai fuoco, muore. Dalle fuoco, e racconta la verità. La Lina canta, e tu racconti quello che noi non sappiamo.

DOLFA: Ma si avvera la maledizione, si avvera. Il lutto...

BETTA: Il lutto, la morte...non hanno mica il senso delle cose naturali, per noi...Lo sai bene, che siamo diverse...a fianco della culla, ci cantava il sangue, nelle orecchie. Non ci ha mai sospirato dolce, ma sempre con un canto stridulo...

DOLFA: La mia voce. Era la mia voce: tu l’hai detto, la mia voce sgraziata, come me, come questo mio corpo selvaggio...Ero io che cantavo...

BETTA: No, non tu, ma il destino; la nostra bilancia malfatta: è stato in ogni momento come un contadino ruffiano, che ti ruba sul peso, che liscia la faccia, il sedere, e ti inganna sullo scambio...Il destino voleva prometterci l’aurora, e ci ha lasciato al nero delle tempeste...

LINA: Si è addormentato?

BETTA: Sei tu la sua balia, Lina, guarda tu se gli occhi li ha chiusi.

DOLFA: (lanciandosi verso il letto del padre, temendo che gli occhi li abbia chiusi per sempre) Papà!

BETTA: Dolfa, non è morto...

LINA: Non è morto, Dolfa!

BETTA: Però...Adesso sento che forse ti è venuto il momento; forse adesso ce lo racconti...

DOLFA: Lui ci sente, lui ci sente!

LINA: Dorme fisso. Non ti devi preoccupare.

BETTA: Dorme, Dolfa, riposa, vedi? Riposa il suo cuore. Ce l’ha nero, come una tana scoppiata dal furore...ma il suo cuore dorme.

DOLFA: Allora...Se io provo ad andare sul destino...se mi aggrappo...

BETTA: Al destino, Dolfa. Aggrappati a lui. Vedrai che è facile starci sopra.

(Lunga pausa. Dolfa si rimette a sedere, osserva ora il padre, ora le sorelle, che, diligentemente, hanno anch’esse preso posto sulle rispettive sedie, in attesa del suo racconto)

DOLFA: Voi...come pensate che era la vita di nostra madre?

BETTA: Amara...come la mia...come la nostra.

DOLFA: E invece, di più! Più amara del rancido che abbiamo masticato, tante volte. Il suo sì, vero veleno!

BETTA: Per colpa di questo nostro padre?

DOLFA: No! Non potrei dirlo.

LINA: Per colpa di chi?

DOLFA: Il marito di nostra madre...il padre di nostro padre...

BETTA: Sua la colpa?

DOLFA: Fu un cattivo marito...

LINA: Ci stai raccontando una storia che conosciamo. Nostro padre lo uccise...

DOLFA: Sì, ma se tu credi che la colpa è lì, sbagli. Non in quel delitto.

LINA: Sì. Quel delitto...fu un atto di giustizia.

DOLFA: Il sangue non pulisce la giustizia, mai. Ecco perché volevo tacere il mio segreto. Il sangue si riversa sulle teste giovani di chi non ha una colpa. Per marchiarlo.

BETTA: Hai ragione. Il latte che ho bevuto aveva il sapore del fiele. Mia madre...l’avrò odiata per questo, dici? Perché quel delitto...A quello dobbiamo la nostra nascita...dici che per quello l’ho odiata, perché il suo latte sapeva di un sangue cattivo?

DOLFA: Dico che il sangue è ancora tra noi. E che non smetterà di darci la caccia, fino a quando...Il sangue dovrà essere lavato dal sangue.

BETTA: Di chi? E perché?

DOLFA: Il marito antico di nostra madre la fece pregna che era giovane...La strappò come il ramo più gentile da una pianta in fiore. La linfa non rigenera nuova. La pianta lascia qualcosa di sé stessa...ma qualcosa di ubriaco, di ingiusto...lascia qualcosa di sé nel fiore...e il fiore continuerà a crescere con il polline del disgusto, con il sapore del vino infetto...l’antico marito versò il sangue di un giovane promesso di nostra madre...bello, come il nostro ricamo gentile...come le nostre mani quando si muovono sicure su di un orlo difficile...lo uccise. Punì la madre per averlo rifiutato, punì il giovane che l’aveva innamorata...lo uccise.

Ma l’antico marito...Questo anche non sapete...

BETTA: Cosa, Dolfa, cosa non sappiamo?

LINA: Quale vergogna ci devi dire?

DOLFA: Come noi...era come noi...figlio di un parto maledetto, costola di una costola, divisione insana di raccolto...Suo padre e suo fratello...una sola cosa...

BETTA: Perché?

DOLFA: Perché così avevano deciso i vecchi...Sua madre l’aveva avuto giacendo con un figlio...costretta dal suo stesso sposo e dai genitori dello sposo...Che ella maledì.

LINA: Perché? Perché la costrinsero?

DOLFA: Per la fame. Per un braccio ed una vanga nei campi. Perché nessuno voleva la povertà accanto...e la povertà allora non poteva che giacere con se stessa...e partorire altra povertà...

BETTA: Ma nostro padre...ma nostra madre...noi abbiamo dimenticato la povertà!

DOLFA: Il destino si mette ai piedi delle scarpe ignote. E cammina in una direzione che lui solo conosce. Forse, anche adesso vuole che io...

LINA: Parli come Betta, Dolfa, non riconosco la tua lingua. Cosa dici?

DOLFA: L’antico marito uccise il giovane promesso di nostra madre, gli portò via i campi, si fece ricco. La povertà poteva trovarsi qualcuno da portare a letto, ora. Senza giacere con se stessa.

BETTA: Nostra madre.

DOLFA: Lei, il piatto della vittoria, il sapore fresco della rosa e della buona tavola dell’amore. E la tempesta estiva compie il suo lavoro, e le mette l’anello nero al dito. (pausa. C’è una forza misteriosa che la turba, le raffrena il respiro, ma anche la travolge, e la invade) Non so..ora non so...se ho la forza...c’è la stanchezza del raccontare che mi prende...forse...il mio tradimento...

BETTA: Non c’è tradimento, Dolfa, non ci può essere, quando la fiamma che parla dalla tua anima è intesa al bene.

DOLFA: Non so se c’è più...un bene...quale?...Nostra madre...

BETTA: C’è qui, qui è la voce della madre...pensa alla Lina, Dolfa cara.

DOLFA: Ah, sì...la Lina...Io non so...forse è vero...vero che fu partorita in un angolo diverso della nostra vita...forse è vero che il suo sangue non è il nostro...altro, forse, le scorre nelle vene...

BETTA: Continua, Dolfa...Che ti succede?

DOLFA: E’ lui...è lui; adesso lo sento più forte quel divieto...che non avrei dovuto parlare alle vostre anime...qualcosa che viene da lui me lo impedisce...

BETTA: Niente te lo impedisce, Dolfa; non c’è colpa. Pensa che l’ha detto anche lui...che non c’è colpa. Siamo noi, noi, che ci rendiamo le mani come i rami secchi del lungo inverno, anche quando la vita ci urla dentro. Noi, che ci facciamo spegnere dalle notti, quando son corte...quando viene la neve, la bufera tremenda che ci costringe nelle case. Siamo noi che non vediamo oltre la luce del giorno. E invece, dovremmo sempre credere che, la luce, la possiamo fare...la possiamo tirare fuori dai nostri camini, dalle braci ardenti. Riscaldarci ad un fuoco buono, quando pare che spiri il vento cattivo...

DOLFA: Allora...lotterò contro di lui...

BETTA: Ma qualcosa manca, Dolfa, qualcosa manca. La liberazione, dicevi, la liberazione da questa nostra vita, che c’hanno fatto sentire come una colpa...

LINA: Mentre non ce ne dovevamo vergognare. Ci è capitata, dici, Betta? E ce ne possiamo anche liberare, vero?

BETTA: Questa è la mia sicurezza. Ma dobbiamo essere salde...e Dolfa deve finire di raccontare...Devi essere salda, Dolfa.

DOLFA: Allora, sarò salda...Parlerò di tutto il sangue ancora versato...della maledizione...la maledizione antica...

BETTA: Parla, Dolfa, che ce ne liberiamo, vedrai!

DOLFA: (una nuova pausa, come per riprendere il coraggio di raccontare) La maledizione antica...questa casa fu costruita sulla forza di quella maledizione...L’antico marito di nostra madre la fece pregna di nostro padre...Ma la famiglia dell’antico marito intanto moriva, nello sterminio del veleno, della prima parola maledetta: suo fratello e padre uccideva il suo stesso padre, ma suo fratello e padre moriva nel campo di grano, con il falcino caldo della sua stessa mano...Come dire, da se stesso ucciso...Ma il se stesso...il se stesso era anche quel figlio avuto dallo stesso ventre che lo aveva partorito: il se stesso era quel suo figlio e fratello, cosa unica, l’antico marito di nostra madre. La maledizione...la maledizione diceva...per la prima volta una lingua che solo il veleno della vendetta mette in bocca, per la prima volta quella lingua era salita alla bocca della nostra famiglia...la maledizione diceva ...che...dalla terra arata nel segno dello stesso seme si sarebbe per sempre raccolto un frutto uguale a sé, uguale al passato, uguale nel futuro...infetto al palato...

BETTA: E allora? Racconta, Dolfa sincera, cosa è successo?

DOLFA: Cresceva nostro padre, ma cresceva storto dentro, suo padre lo voleva forte e violento, ma lui non gli si poteva piegare, e guardava il rammarico di un’altra vita sulla faccia di nostra madre...

BETTA: Come lo sai?

DOLFA: Nostra madre...lei, me ne ha dato la certezza. (guarda ancora una volta il padre che pare essersi riappacificato col riposo) Non è cattivo...lo so che non lo è.

LINA: Ma poi?

DOLFA: La maledizione. I suoi frutti avrebbero dovuto avere il solito sapore. E nostra madre avrebbe continuato a portarne il peso. Non voleva, suo marito, non voleva che essa andava a cercare fuori di casa la soddisfazione all’amore che aveva perso. Se aveva bisogno di sangue giovane, c’era una parte di lui che poteva dunque procurarglielo. Adesso c’era una ragione meschina, che bussava ai cuori: l’offerta di una carne fresca, la carne di nostro padre. Lui, figlio giovane e bello, più bello perché assomigliava all’antico amore...Piegarlo a giacere fra le gambe della madre non sarebbe stato certo facile. Ma sulla schiena, e facendo tacere la sua ribellione con tutta quella ricchezza, forse così si poteva comprarlo. (ora Dolfa è come colta da una irrefrenabile volontà di racconto, parossistica) Il figlio ripeteva la cosa terribile. Sua madre, nostra madre ... non reagiva. Si offriva alla cosa terribile, con gli occhi colmi della sconfitta dei lupi ... E più il figlio giaceva con la madre, più la ricchezza della famiglia diventava vera, senza il limite del giusto. L’antico marito rovinava i suoi giorni nel godimento della roba ... Quella roba diventava più invadente, cresceva nel granaio senza sosta, erano rotte le regole del cielo ... perdio, erano rotte ... e così ... Così il carro della maledizione marciava! La maledizione ... compiva il cammino, e si avvicinava alla meta. Si poteva solo estirpare da sé ..Ma con quale sangue, diomio, con quale sangue? ...

Dolfa si porta le mani al collo, come se si sentisse soffocare.

DOLFA: Dio ... Io non posso più ...Qualcosa me lo sta vietando ... Ho male qui, non respiro (cade a terra in ginocchio, livida) ... Nostra madre ... è lei, io credo ... ora anche lei ...

BETTA: (accorrendo ad aiutare la sorella) Ferma questa parola, Dolfa cara, fermala, ché te la fa pagare, questo nostro destino, la tua scelta ... Lina!

LINA: (inginocchiandosi accanto a Betta) Sono qui, Betta ... La tengo per la testa!

BETTA: Il vino ... Che le scioglie il nodo alla gola!

Lina si alza da terra, corre a prendere la brocca con il vino, Betta intanto sorregge il capo alla sorella Dolfa; Lina versa del vino nel bicchiere di Guido, fa per tornare da Betta e da Dolfa, ma qualcosa, di assolutamente imponderabile, di straordinariamente forte, la induce ad avvicinarsi al padre.

LINA: E’ ancora ... così bello. E giovane. Solo pochi anni, pochi raccolti ci dividono da lui, non è vero Betta?

BETTA: Il vino, Lina. Portamelo.

LINA: Dorme ... in una pace ... che non gliel’ho mai vista così, sulla faccia. Il mio canto... forse gli ha fatto il bene che desiderava ... Forse si aspettava questo bene da tanto tempo ...

BETTA: Lina!

Lina si allontana dal padre, per soccorrere la sorella assieme a Betta. Le porta il bicchiere di vino alla bocca, facendoglielo bere.

LINA: Ora ... andrà meglio.

BETTA: Non ti fidare, Lina, è come un lupo: all’erta, con la bava bianca della morte sulla bocca feroce. Non ti fidare.

LINA: Forse ... Se noi proviamo a dargli una pace più vera ... Che non è fatta solo di promesse ...

BETTA: E a noi? Quanto è stata con noi, la pace? Perché non ne abbiamo il diritto ... Perché noi no? Allora, se la nostra carne pareggia la sua in rabbia, non gliela possiamo concedere. Dobbiamo prenderci l’amaro fino in fondo ... non so cosa vuole dire, questo ... però dobbiamo prenderci l’amaro fino in fondo, per vedere forse il sole!

LINA: Io ... E’ un giorno che non volevo vivere, questo, Betta cara.

BETTA: Ma non è il più brutto che abbiamo vissuto. Finalmente la verità ... Ci manca tanto così, per averla tutta, la verità! La vedo che sbatte gli occhi negli angoli della casa. Ho sempre taciuto ... Adesso, qui c’è qualcuno che parla, e mi dice la verità ... e la verità, me la prendo per tutto il tempo che non l’ho vissuta.

LINA: Ma Dolfa ... vedi che a lei la verità le stava strozzando la gola.

BETTA: Sì, c’è tanta ombra, ancora: ma io la vedo. Vedo tutto: l’ombra e la verità. E so che la verità ci può sciogliere dall’ombra. Tu ... Sei un candore, Lina, di bianche vesti che sbattono al sole tanto son bianche. La verità ti mostrerà nel tuo candore.

LINA: Dici?

BETTA: Ma dobbiamo perdere la sicurezza meschina della frusta. Dobbiamo dimenticarci che la frusta ci può aspettare dal letto ... (indica quello su cui giace il padre) da quel letto, di sorpresa ci salta fuori e ci mena sulla pelle ... Cosa non gli era permesso, cosa gli abbiamo lasciato fare?

LINA: Non ci ha mai ... usate.

BETTA: Aveva nostra madre, Lina ... aveva nostra madre. Era ancora buona, per quello, finché è morta.

LINA: (aprendosi ad un ricordo) Ero alla spesa, pochi giorni fa ... Ci sono stati due occhi grandi , azzurri ... due occhi azzurri che mi hanno dato uno sguardo ... Dentro c’erano dei campi che ridevano, il grano che diventava biondo ... c’era tutto dentro quegli occhi ... e io ho pensato ...

BETTA: (sollecita) Cosa?

LINA: Ho pensato che forse non potevo mai averne due così, vicino ... forse mi bastano questi del padre ... Ma se anche i suoi si chiudono? Se noi l’abbandoniamo - tu l’hai detto - come si chiudono? Come ci guarderanno, l’ultima volta, quegli occhi?

BETTA: (porta un braccio sulla spalla della sorella, trascinandola a sé in un atto di suprema dolcezza) Tu non devi chiedere niente, a quegli occhi ... Lasciali che si spengono, lascia che diventano bui come le lucerne ... E se hai trovato quei due occhi azzurri, li cerchiamo insieme ... Noi lo possiamo, se tutto questo finisce in fretta. Sì, noi possiamo dimenticare tutto il male che ci siamo fatte ... che io ti ho fatto, Lina bella. Dimenticheremo il male, e forse guarderemo in faccia il bene ...

LINA: (accorgendosi del risveglio di Dolfa) Eccola, è ancora qui!

BETTA: Dolfa, sorella ...

DOLFA: (riacquistando fiato) Io ... mi avete dato il suo vino?

LINA: Certo, per svegliarti.

DOLFA: E’ come aver bevuto il suo sangue ... Mi sono svegliata per il disgusto.

LINA: (annusa nella caraffa) E’ vero: un’odore vivo.

DOLFA: Non è più possibile raccontare.

BETTA: Cosa dobbiamo temere?

DOLFA: Che la nostra carne viene stuzzicata: questo, dobbiamo temere. L’ho capito nel vino: se io parlo ancora, non ci sarà più una sola casa, per il pentimento. Nessuna casa, nessun muro per il pentimento.

BETTA: Anche se c’è la mia morte, tutto preferisco alla menzogna. A questo amaro qui io ...Tutto.

LINA: (risoluta) Voglio gli occhi azzurri, Betta (si alza, e si dirige a depositare la caraffa).

DOLFA: No. Niente più racconto: io voglio solo il mio destino.

BETTA: Quale? quello che ti sta dando lui? Un campo rosso di ciliegie scoppiate dal sole, con lo zucchero che ti indora il veleno?

DOLFA: Me lo tengo così, è più bello ... E’ più bello.

BETTA: Siamo quasi fuori, Dolfa. Non devi aver paura neanche della morte.

DOLFA: Basta!

Lina lascia la caraffa sul comò, fa per tornare dalle sorelle, quando Guido la chiama a sé.

GUIDO: (con fatica) Lina ... Lina!

Lina scambia un’occhiata, uno sguardo incerto ed impaurito, con le sorelle, poi gli si avvicina senza fiatare. Quando è al letto, con la tensione che le fa tenere braccia e mani stese lungo il corpo, gli parla.

LINA: Sì, papà?

Guido le alza un braccio verso il viso: una mano del padre le tiene una guancia, con la dolcezza di una corolla che schiude un fiore.

GUIDO: (in un sussurro) Perdonami ... Perdonami.

LINA: Voi lo sapete ... che io non ho il rancore. La nostra storia era già cominciata, in un tempo che io non c’ero. Che ne so, io? Voi avete il mio perdono, però ... Però dovete sciogliere la verità, lasciarla andare come il cane nella guardia: libera di correre, di soffiare come un vento.

GUIDO: Tu ora sai ...

LINA: Delle cose. Delle cose che passano come la vita. Dobbiamo stare senza tutto questo terrore nei petti. Dobbiamo accettarle. E propria ora che sappiamo, dobbiamo accettarle.

GUIDO: Vuoi ancora cantare ? Non c’è molto tempo ...

LINA: Canterò.

GUIDO: Vuoi starmi accanto? Betta e Dolfa ... Mi lasceranno, sai? Il mio sonno, che non è più un sonno ... E’ quel sentimento, con l’occhio vigile al cuore, che ti fa ascoltare e provare, anche se ce l’hai chiusi, gli occhi sulla faccia ... Il mio sonno ha sentito ... Loro non mi vogliono più bene ... Io vi ho custodite, protette dai lupi che sono fuori di qui ...

LINA: Lo so, padre. Siete stato buono, in questo.

GUIDO: Anche nel resto, sai? Anche nel resto ... Non è mai mancato il pane ... La nostra roba è sempre stata abbondante, sempre. L’ho avuta da mio padre, è vero ... E loro non capiscono ... non capiscono ... E’ vostra, quella roba, è vostra ...

LINA: Lo sappiamo.

GUIDO: (irrefrenabile) Da dove vieni, con quegli occhi dolci, con quella voce, Lina? Tua madre ti ha fatto bene.

DOLFA: Non lo ascoltare, Lina.

LINA: (commossa, rapita dal padre) Perché, Dolfa? Non c’è mica un’altra lingua nelle sue parole.

BETTA: Perché, Dolfa, non deve?

DOLFA: Io ... Non so, non posso ... Ma tu non lo ascoltare.

GUIDO: E’ il tuo cuore che è piegato al male, Dolfa, non il mio ... Tu non mi vuoi perdonare più ...Voi non mi volete perdonare più!

LINA: Non c’ è più rancore, come un tempo, padre. Quando dovevo stare zitta. Quando la Betta mi tirava i capelli, mi faceva piangere, mi gettava sotto il tavolo per darmi le botte ... Non c’è più, perché abbiamo deciso per il bene, vero Betta?

BETTA: Non so ... Io ...forse.

GUIDO: Come parla bene, la tua lingua, Lina. Tu ... tu mi devi stare vicino.

LINA: Ma io ... Ho sentito tutto quel male ... Quello che è successo negli inverni passati, nelle estati della vostra infanzia, e prima di voi ...Io ... vorrei avere l’amore ... che mi scalda.

GUIDO: E lo puoi avere Lina, certo. Lo puoi avere. Che cosa ti occorre?

DOLFA: Non lo ascoltare. C’è l’inganno, di nuovo l’inganno.

BETTA: Perché, Dolfa?

DOLFA: oddio ... perché non riesco? Mi fermo qui, e non riesco a dirlo ... Ma so che c’è un inganno. Forse perché la mia anima è più pulita, e vede l’ombra, forse per quello!

LINA: Io vi voglio stare vicino padre ... c’è ancora tanta giovinezza, è vero, nei vostri occhi ...

DOLFA: Non lo ascoltare, non lo ascoltare!

LINA: Ma voglio stare anche fuori di qui ... Sentire l’aria che mi più mi piace.

GUIDO: Un giovane, sì, un bel giovane ... Tu vuoi un figlio, Lina?

LINA: Non lo so ... io ... intanto voglio un amore ...

GUIDO: Inesperta, inesperta Lina. Un amore ti porta anche un figlio ...

BETTA: Dolfa! Che cosa le sta dicendo?

DOLFA: Fermala, Betta! Fermala!

GUIDO: Voi siete cattive! Pensate solo al male, invece io le sto dicendo delle cose che hanno un buono, dentro.

LINA: Io vi ringrazio, vi ringrazio, padre.

BETTA: Io capisco ...Sì, capisco.

LINA: Cosa c’è Betta? Cosa devo capire anch’io? (accorgendosi che il padre le ha portato la mano dietro la nuca) Perché mi tenete così, padre?

GUIDO: Se tu potessi, se tu potessi ... non avere schifo di me!

LINA: Io ...non ho mai avuto ...

GUIDO: Io ti posso dare ancora tutto, Lina, tutto, pensaci!

LINA: Padre, mi fate male, mi stringete forte!

BETTA: Va via Lina, va via! Che ti vuole usare!

LINA: Io ...non riesco ...

GUIDO: Tu vuoi un figlio, Lina?

Guido piega la testa di Lina sulla propria bocca, nel tentativo di baciarla, e di farsi baciare. Serra le labbra di Lina contro le proprie. Intanto, Dolfa, recuperando la forza, si getta al comò, su cui è posato, oltre alla caraffa, un paniere con del pane ed un coltello per tagliarlo.

DOLFA: Lasciatela, perdio, lasciatela! (rimane al comò, reggendo imbarazzata il coltello in mano)

GUIDO: (allontanando le labbra della figlia, ma sempre serrandola la testa con forza) Un altro bacio, Lina, un altro bacio. Così impari l’amore!

LINA: Io ...non voglio così, non voglio così!

GUIDO: Ma non c’è altro modo, Lina dolce, non c’è altro modo.

BETTA: Lasciatela, padre!

GUIDO: Voi due ...invidiose! gelose, perché non tocca a voi tutto questo bene!

DOLFA: Non avrete lei, non la userete!

GUIDO: Io non la uso!

LINA: Io non voglio!

GUIDO: Ma io non ti uso, Lina! Io provo il bene, per te!

BETTA: Lasciatela!

GUIDO: (furente) Io ho un diritto su di lei! Io posso!

DOLFA: Ho un coltello per tagliarvi il capello fatale, perdio!

GUIDO: Tu ...ruffiana traditrice! Hai raccontato ...

DOLFA: Io ho detto il giusto!

GUIDO: Hai raccontato ...Hai tradito ...

BETTA: Voi siete il maledetto, voi che ci avete obbligate al silenzio ... Vorreste avere ancora la forza per imporlo? Siete inutile ... inutile, buttato sul letto ...

LINA: Lasciate la stretta, papà, lasciatela!

GUIDO: Mi parli con una lingua che è una trappola, Betta! Guarda, invece ... guarda qua, tutta questa forza! Lei non si muove, non si può muovere! (a Lina) Vattene, se vuoi, Lina! Prova a mollare qui tuo padre, a sfuggire al ferro delle sue mani! Scalcia, mula, scalcia!

LINA: Io ... non voglio!

DOLFA: Non mi faccio ingannare, non più, non più!

GUIDO: (in un atto di lotta estrema, serrando a Lina i polsi, mostrandola come un trofeo alle altre) E allora, piantami il coltello! Piantalo! Hai un coraggio così? Eh? Traditrice, come tua madre!

DOLFA: Mia madre era buona, era buona!

BETTA: Non l’ascoltare, Dolfa! Lo hai già ridotto nel fango dei carri in inverno, lo hai già ridotto così, con quello che ci hai raccontato! Non lo capisci? Che è lui che ti vuole violenta e colpevole! Abbandona il coraggio del tuo dolore! Non serve, non serve!

DOLFA: (abbassando l’arma minacciosa) Io ... Cos’è che devo fare, Betta, cosa?

GUIDO: Devi colpirmi!

BETTA: Non lo fare, Dolfa!

GUIDO: Fai come il cane del pastore! Colpisci, e difendi!

BETTA: No!

GUIDO: Lina ... Lina ... sei dolce ...

LINA: Ma .. voi lasciatemi, papà! Se volete dimostrarmi che sono dolce, che mi volete bene ... lasciatemi ...

GUIDO: Io ... è vero, che ti voglio bene! E’ vero!

LINA: Volete che canto? Volete?

GUIDO: (lascia la stretta con cui cinge il polso di Lina) Scusa ... e perdona ... (sollecito, di nuovo con fatica, come se tutta la forza lo avesse nuovamente abbandonato) Hai male?

LINA: (volgendosi a lui) Un poco .. solo un poco (guardandolo) Volete che canto?

GUIDO: Sì ... sì ... canta, canta! Forse ... solo così, è certo, solo così ... io avrò ... una bella pace ... come prima, sul cuore ...vicino alla fine ... la fine è qui!

Lina intona la melodia di prima, ancora con maggiore dolcezza, con maggiore partecipazione. Il suo canto è un canto di perdono, che pare nuovamente stendere un gran velo di tranquillità su tutti. Betta e Dolfa osservano la scena, e cercano di recuperare, attraverso quel canto, un po’ di pace, dopo la tensione degli ultimi momenti.

GUIDO: Canta, Lina ... forse scompare la cattiveria, forse questa cattiveria avrà fine!

DOLFA: La maledizione ... Forse siamo al di sopra di essa ... Forse hai ragione Betta!

BETTA: E ... così me la vuoi dire? L’ultima parte della verità, che ci toccherebbe, me la vuoi dire? O Hai ancora timore?

GUIDO: (avvicinando nuovamente, con meno tensione, il viso di Lina al proprio. Lina ora pare fidarsi, si lascia andare alla stretta del padre) Canta Lina, e dammi il bacio ... del perdono ... il bacio ...

BETTA: (distratta dal canto, attenta solo a Dolfa) Allora, Dolfa?

DOLFA: (di nuovo con gli occhi su Guido e Lina) Io ... Io ...

Guido serra nuovamente il viso di Lina sulle proprie labbra.

DOLFA: Cosa fate, cosa fate? Lasciatela, lasciatela, non la dovete ingannare!

GUIDO : (come se non ascoltasse) Dolce Lina .. ancora, ancora ...

DOLFA: (scagliandosi definitivamente sul padre) Mollatela lì!

GUIDO: (fingendo terrore) Aiuta, Lina, difendi il tuo amore!

BETTA: (urlando) No, Dolfa!

Lina si volge alla sorella, schermando il padre, ma quando Dolfa è, con tutta la propria furia, al letto di Guido, Lina è sulla traiettoria del coltello. Un urlo che si moltiplica, uscendo dalle bocche di tutti, si stende sulla scena, un urlo variamente intenzionato: di terrore, di stupore, di dolore.

Lina guarda negli occhi la sorella, che l’ha appena colpita, e cade senza più un fiato a terra, esangue.

DOLFA: E’ accaduta ... è ... accaduta ... Ecco, Betta ...

BETTA: Tu .. dici ... questa è ...

GUIDO: Perdonate, perdonate ... ma ora ... ora è sciolta, per sempre ...

BETTA: Cosa è sciolta? (in un urlo) Cosa è sciolta?

DOLFA: La maledizione ...

GUIDO: (riverberando Dolfa, con un diverso accento) La maledizione ...

DOLFA: Il sangue ... che si è tolto col sangue ... riscattato da un sacrificio ... di gioventù.

GUIDO: Un sacrificio per il buon padre ... per il buon padre ... che adesso può morire ...

DOLFA: (come sconnettendosi) Il sangue ... contadino ... quello più giovane sulla nostra terra ...

GUIDO: (sentendo la vita mancargli) E’ così che doveva finire ...E tu, Dolfa, perdona le mie parole cattive, le parole di prima ... voi ... perdonate, ma ...voi non potevate ...andare contro ... era deciso ... La madre di mio padre ...

BETTA: Dobbiamo pulire tutto, dobbiamo pulire tutto! Dolfa! (avvicinandosi al corpo di Lina)

GUIDO: Adesso siete libere ... adesso siete libere ... E la nostra roba è pulita ... voi la potete godere ... Voi avrete dei giorni puliti davanti ... Io l’ho fatto per voi, per i vostri giorni puliti!

DOLFA: (sconvolta dall’evento, si rimette a sedere) Visto, Betta? Perdio, non si sfugge... Non si sfugge ...

BETTA: Io ... non avrei voluto vedere ... è un giorno che non avrei voluto vedere ...

DOLFA: Volevi prenderti tutto l’amaro, Betta ... Adesso ce l’hai. Ma io ...ce l’ho più di te!

BETTA: Se tu me lo dicevi ... se tu me lo dicevi ...

GUIDO: Io muoio .. lo sento ... che la fine è qui ... Dio, sono felice! Voi ... potete godere la roba ... e siete pulite ...

BETTA: Se tu me lo dicevi ... che era questo, io ...

DOLFA: Non hai capito! (chinandosi dalla sedia con il busto verso Betta) Stupida! Non hai capito ...

BETTA: L’ho capito, tardi ...e tu ... ti sei lasciata giocare, come una pecora ...Ora dobbiamo pulire, dare la sepoltura ... chiamare il prete ...

Betta raccoglie il coltello da terra, si alza, va al letto del padre, come per ucciderlo; ma quando è lì, ne constata la morte; e lo guarda con dolcezza.

BETTA: Non c’è più ... non c’è più, neanche lui! Guarda, c’ha un sorriso ... strano!

DOLFA: La mia lingua ha tagliato l’ultimo filo di questa maledizione ... Adesso non ti parlerò, mai più!

Betta rimane accanto al letto del padre, impietrita più per le ultime parole di Dolfa, che per la tetra immagine dell’evento, che si è consumato. Dolfa guarda fisso davanti a sé, in osservazione della follia che è scesa su di lei, e nel silenzio totale, lentamente cala la luce, fino al buio.

BUIO