Capitano c’è un uomo in cielo

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capitano,

CAPITANO

C’E’ UN UOMO IN CIELO

Da “IL pianeta degli alberi”

Di Gianni RODARI

Commedia in due atti

di Maurizio Costanzo e Gianni Rodari

PERSONAGGI

BABBO

MAMMA

MARCO

TIMONIERE

CAPITANO

MARCUS

UOMO

CAMERIERE

TERRESTRE

ROBOT

CITTADINO

DIRETTORE

SIGNORE

VOCI

Commedia formattata da

Nota allo spettacolo

Del testo qui pubblicato è arrivato ben poco sul palcoscenico: il più gran pregio del Rodari scritto resta nell'apertura dei suoi libri, in quel margine ampio di gioco           - (o happe­ning?) che lascia ai ragazzi fila­strocche da completare, giudizi da dare ecc. Ora tutto questo "Roda­ri" era andato un po' perso: Capi­tano, c'è un uomo in cielo era di­ventata una fiaba moderna come tema, ma pur sempre a struttura chiusa-tradizionale, io invece ho voluto leggere il testo in chiave aperta, di compartecipazione atto­re-pubblico allo spettacolo, inse­rendo filastrocche e canzoni da cantare insieme ecc. Ho usato vo­lutamente tutta una serie di tecni­che- (per noi grandi ormai note, ma una scoperta per i bambini abitua­ti alla comoda identificazione tea­tro-TV) dall'azione contemporanea palcoscenico-platea alla platea di­visa in "campi di recitazione" con­temporanei - inoltre eliminate le tentazioni illusionistiche - via le quinte luci, elementi scenici, scam­bi a vista, apporti fonici il più pos­sibile diretti (spesso sono le voci a "fare" un ambiente). E infine mo­strare il lavoro teatrale come fat­to comunitario attore-tecnico-spet­tatore con un rapporto di collabo­razione continua; e gli attori gio­cano, cioè si costruiscono la sce­na e "si fanno" lo spettacolo.

ATTO PRIMO

 (Buio. Razzo)

Prima Voce                   - Capitano, c'è un uomo in cielo!

Seconda Voce               - Da che parte?

Prima Voce                   - Dalla parte della coda!

Seconda Voce               - Presto, datemi un trinocolo!

Voce dalla sala              - No, rio, no! Baaaaasta! (Luce) Ma siamo pazzi? Io vengo a teatro per divertirmi, ho pagato per sen­tire delle cose intelligenti, e sento dire "un uomo in cielo". Ma come un uomo in cielo; lo sanno anche i bambini, lo sanno che si dice un uomo in mare. Non è vero! E stia zitto, perché non ho finito: un trinocolo. Ma via, un tricheco vorrà dire! Eh bambini, trinocolo o binocolo: sentito, bi­nocolo. E il suo coso, il suo trinocolo cos'è: un binocolo con la gobba? Sa cosa le dico, io me ne vado.

Prima Voce                   - No aspetti un momento, venga su, che le spiego!

Quello del pubblico      - Io, un ragioniere, sul palcosce­nico, ma io ho una posizione, se mi vede il capoufficio, che fo! Lei non sa chi sono io!

Seconda Voce               - Si, ma sia gentile, salga lo stesso. Bambini aiutatemi anche voi in coro: sali sali!

Quello del pubblico      - Be', se proprio insistete salgo, ma niente scherzi eh! (Sale)

Prima Voce                   - Buio in platea per favore: ecco si sieda qui. Dunque caro signore, lei dice di non aver capito molto bene. Ecco questo è un trinocolo: come vede, si può vedere anche di dietro, dalla parte della coda appunto, della coda della mia astronave, perché qui siamo su un'astronave, e se c'è un naufrago sarà in cielo! Chiaro!

Quello del pubblico      - Ma via, stupidaggini.

Seconda Voce               - Ma ci ascolti, la prego. (Parlano sottovoce)

 

Quello del pubblico      - Adesso ho capito tutto! Anzi se permette voglio essere io a spiegarlo ai bambini. Permette?

Prima Voce                   - Prego.

Quello del pubblico      - Grazie.

Seconda Voce               - Ma le pare.

Quello del pubblico      - Grazie.

Seconda Voce               - Prego.

Quello del pubblico      - Ma le pare. Uhhh. Dunque cari ragazzi, c'era una volta, poco tempo fa, un ragazzo come voi, che si chiamava Marco. E il cognome, direte voi. Il cognome non importa, l'importante è sapere che vi somigliava. Bravo a scuola, qualche volta un po' birbante: eccolo, è lui. Oggi è un giorno molto importante, e Marco si avvia felice a casa... (Scena mimata di strada)

Babbo e Mamma           - Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri Marco per i tuoi dieci anni!!!

Mamma                         - Tanti auguri, Marco, cento di questi giorni!

Marco                            - Grazie mamma, grazie papà... ma i regali!!! Il fucile mitragliatore, l'equipaggiamento da soldato? Muoio dalla voglia di farli vedere ai miei amici.

Babbo                           - Ecco vedi caro...

Mamma                         - Vedi Marco, abbiamo voluto farti una sorpresa!

Marco                            - Che bello, un cannoncino.

Babbo                           - Non esattamente Marco, è là sotto! (Scoprono un grande panno bianco)

Mamma                         - Un bel cavallo a dondolo.

Babbo                           - Un bellissimo cavallo a dondolo.

Marco                            - Un cavallo a dondolo. Ma come, compio dieci anni, son già un omino e mi vanno a fare un regalo da bambino! ("Canzone della delusione") Be', ormai che ce l'ho, giochiamoci!!! (Sale, suoni e luci)

Timoniere                      - Capitano, c'è un uomo in cielo!

Capitano                       - Da che parte?

Timoniere                      - Dalla parte della coda.

Capitano                       - Presto, datemi un trinocolo! Ma non è un uo­mo, è un bambino! Aprite il portello, in azione le calamite, eccolo!

Marco                            - Voglio scendere, fatemi scendere subito!

Capitano                       - Prego, per di qua!

Marco                            - Ehi ma fuori ci sono le stelle!

Capitano                       - Per forza, siamo in orbita!

Marco                            - In orbita? Ma allora questo è un razzo?

Timoniere                      - Certo!

Marco                            - E voi siete americani.

Capitano                       - No.

Marco                            - Russi.

Capitano                       - No.

Marco                            - Cinesi!!! Insomma, chiunque voi siate io non mi ritengo vostro prigioniero.

Capitano                       - Prigio che?

Marco                            - E non faccia il furbo, ora non sa cosa vuol dire prigioniero!

 

Timoniere                      - Se è per questo ragazzo mio non lo so nep­pure io; e poi non si tratta cosi il capitano!

Marco                            - (sull'attenti) Mi scusi, io non sapevo.

Capitano                       - Dai, Marco, non importa.

Marco                            - Grazie signore. (Si rimettono alla guida, Marco resta sugli attenti; educato dai fumetti aspetta il riposo)

Timoniere                      - E adesso che fai?

Marco                            - Ehhh...

Capitano                       - Cosa, ehhh?

Marco                            - Ehhh, finché lei non dà riposo... ehhh...

Capitano                       - Riposo, ma dobbiamo guidare, viaggiare, non si può mica riposare adesso!

Marco                            - No, io dicevo... Be' insomma mi dica riposo e basta.

Capitano                       - Se proprio sei stanco, riposo.

Marco                            - Grazie, io mi chiamo Marco, e lei?

Timoniere                      - Attento hai messo il dito su una piaga.

Marco                            - Ma no, è un tavolo.

Timoniere                      - No, io dicevo una piaga, un dolore del capitano: ecco, senti.

Capitano                       - Ahimè, avevo un bel nome, bello; Paulus una notte c'era caldo, ho lasciato aperta la finestra, pufff è volato via, e non l'ho più rivisto. Il dramma è che non riesco a trovarne uno degno di sostituirlo; per ora mi chiamo ex-Paulus.

Marco                            - Si, si ho capito, non mi vuol dire il suo nome perché è un segreto militare: certo poteva farla meno lunga. Senta un po', e l'equipaggio dov'è?

Timoniere                      - L'equipaggio sono io. E basto a tutto: qui tutto è automatico.

Capitano                       - Ma dalle nove sarà lui il capitano; qui andia­mo a turni.

Marco                            - Quindi volendo, potete essere tutti capitani?!

Capitano                       - Certo, tutti capitani, tutti generali, tutti colon­nelli.

Marco                            - Tutti dottori, ho capito siete italiani.

Capitano                       - No; è che da noi i titoli non contano niente!

Marco                            - Da noi invece... ma un momento, da voi dove?

Timoniere                      - Su Pianeta.

Marco                            - Allora non siete terrestri, siete marziani.

Capitano                       - Siamo di Pianeta.

Marco                            - E che è?

Capitano                       - Un nome come Marte, Venere, Serena...

Marco                            - Serena?

Capitano                       - Si, la Terra per noi è Serena.

Marco                            - Per voi sarà Serena... sicché io sarei un serenello, pensa quando lo racconto agli amici. Perché io li rivedrò vero i miei amici? Io non pensavo di partire.

Timoniere                      - Eh già, ma dato che sei arrivato vuol dire che sei partito, sennò non saresti arrivato.

Marco                            - Però come siete intelligenti su questo pianeta.

Timoniere                      - Grazie troppo buono.

Marco                            - Tutta colpa di quello stupido cavallo a dondolo, se ne stava li con la sua faccia sempre uguale, mogio mogio. Ci sono salito; senza accorgermene e bum! senza motori mi ritrovo in cielo! In pigiama; anzi mi dispiace che vi ho svegliato, vedo che lo avete anche voi, pensa la mia mam­ma domattina.

Capitano                       - Non ti preoccupare a Roma sono le 11 di sera, e prima di domattina qualcosa succederà. (Rumore. Tutti a terra)

Marco                            - Ma chi gliel'ha data la patente al suo re?

Timoniere                      - Gli arcicani, allarme di prima classe!!

Marco                            - Gli arci che?

Capitano                       - Vieni guarda dal finestrino.

Marco                            - Oh mamma, ma sono cani spaziali! La coda gira come un'elica, fuggiamo!!!

Capitano                       - Non aver paura: finché abbaiano! Arcicane che abbaia, non morde!

Marco                            - Tirate fuori i disintegratori, le bombe, ammazza­teli!!!

Capitano                       - Ammazzare, e che parola è? Vedi, grazie a que­sto bottone noi possiamo capire tutto quello che dici, ma ammazza

Timoniere                      - (Tenta di dirlo, non gli riesce) proprio non esiste. Deve essere una parola nuova.

Marco                            - No, purtroppo è vecchia come il mondo; mah, beati voi che non la conoscete.

Timoniere                      - Pianeta in vista!

Capitano                       - Preparati a scendere.

Marco                            - Ma qui che ore sono?

Capitano                       - Le nove del mattino.

Marco                            - Non posso presentarmi cosi in pigiama.

Capitano                       - Guarda giù.

Marco                            - Tutti in pigiama. Forse la cravatta se la mettono per andare a letto. A me sembrano tutti un po' matti.

Timoniere                      - Si scende su Pianeta!

Marco                            - Pianeta, boh? ("Canzone del non ci pensare")

Marcus                          - Ben tornalo capitano, avete trovato il nuovo nome?

Marco                            - Arbitro Venduto!

Marcus                          - Oh, tu devi essere Marco, piacere, e benvenuto.

Marco                            - Io sono Marco; ma tu, chi sei?

Capitano                       - È la tua nuova guida; ti lascio in buone mani.

Marco                            - Ehi, non se ne vada; a me chi mi riporta sulla Terra... se domattina non mi trovano succede il finimondo!

Marcus                          - Il fini cosa?

Marco                            - Il finipianeta, ecco. E il capitano se n'è andato; e ora che fo io? Ehi tu come ti chiami?

Marcus                          - Marcus.

Marco                            - Bell'originale, il tuo nome è il mio.

Marcus                          - Fino a ieri mi chiamavo Julius, ma poi in tuo onore ho pensato di prendere questo nome.

Marco                            - E in mio onore mi potresti spiegare dove sono capitato?

Marcus                          - Lo vedrai da te, facciamo un giro in taxi.

Marco                            - Oh finalmente una cosa normale... ma questi sono cavalli a dondolo! M'è bastata una volta, io non ci salgo più.

Marcus                          - Sali e stai tranquillo!

Marco                            - Tranquillo, eh si c'è da stare tranquilli. Salgo sul cavallo e mi trovo in cielo, scendo dal cielo, perdo il capitano, e mi ritrovo sul cavallo. Io spaccherei tutto.

Marcus                          - Appunto.

Marco                            - Appunto cosa.

Marcus                          - Vedrai vedrai, forza cavallino. (Ritrovano il sen­so di un gioco)

Marco                            - (scende) Senti, te lo volevo chiedere prima, ma qui il calendario è diverso dalla Terra?

Marcus                          - Si, perché?

Marco                            - Ah ecco, sulla Terra i ottobre; qua ci sono tutti alberi di Natale; qui oggi è Natale.

Marcus                          - No, Natale era ieri.

Marco                            - E oggi è Santo Stefano.

Marcus                          - No, oggi è Natale.

Marco                            - E anche domani, eh?

Marcus                          - Si.

Marco                            - E io sono un tram, e mio nonno un baco da seta; basta prendermi in giro.

Marcus                          - Ma qui è sempre Natale.

Marco                            - Io spacco tutto.

Marcus                          - Prego.

Marco                            - Cosa?

Marcus                          - Spacca.

Marco                            - Si, e poi chi paga?

Marcus                          - Su Pianeta non si paga; e questo magazzino è fatto apposta per le persone nervose.

Marco                            - Guarda, che se mi hai preso in giro... (Mimata del magazzino spaccatutto) Ecco, io starei bene cosi... tu non rompi niente?

Marcus                          - Adesso non ne sento la necessità.

Marco                            - Quello che non capisco è a cosa serve tutto que­sto, a parte il piacere di spaccare tutto?

Marcus                          - Come: un cittadino ha i nervi? ha litigato? Viene qui, torna di buonumore, e il suo buonumore fa bene a tutta la collettività. Non ti sembra?

Marco                            - Ce l'avessimo a Roma, ci sarebbe la fila! Mi è venuta una fame...

Marcus                          - Ti accontento subito, saliamo sul marciapiede mobile, e via al ristorante!

Marco                            - Un marciapiede mobile, e dagli con gli scherzi. (Spacca un altro piatto) Andiamo; uh, e questo cos'è?

Marcus                          - Un marciapiede.

Marco                            - Che si muove.

Marcus                          - Se non si muovesse, ci toccherebbe camminare.

Marco                            - Eh già, perché i marciapiedi non servono a cam­minare: siamo su Pianeta, capirai. Ma tu guarda che strano posto: i negozi senza vetri; ehi, ma quello ha preso un giornale; già qui non si paga. Ora una mela... oh ma ora esagera, anche un disco. Marcus, ma quello è un ladro: pren­de e non paga. Arrestiamolo!

Marcus                          - Ladro, paga, continui a usare tutte parole che non conosco.

Marco                            - In questo paese o sono troppo civili, o sono tonti.

Uomo                            - Giovanotto scusi, io ho le braccia piene...

Marco                            - Lo vedo!

Uomo                            - Le dispiacerebbe prendermi un sigaro, là.

Marco                            - Oh, ma per chi mi ha preso: io non so...

Marcus                          - Tenga, ne ho presi due, cosi potrà scegliere!

Uomo                            - Grazie.

Marco                            - Eh già siamo su Pianeta! Finalmente si mangia!!! (La luce sale alle loro spalle e vediamo una sezione di risto­rante con un tavolo. Un signore cerimonioso va loro incontro e dice)

 

Cameriere                      - Signori... felice giornata e benvenuti... oggi lo chef si permette di consigliare la tristecca ai ferri corti, il do di petto di tacchino e i rubinetti fritti, caldi o freddi... comunque nel caso vogliano consultare la nostra lista... (E porge con un inchino un volume grosso come un elenco del telefono) ...prego. (Marco, stupito, prende in mano questo volume e comincia a sfogliarlo. Poi legge incredulo)

Marco                            - Piede di porco con grimaldelli in salsa di sali­scendi...

Cameriere                      - Ottimi...

Marco                            - Gambe di tavolino zoppo...

Cameriere                      - Una specialità...

Marco                            - Lamiere di zinco alla zingara...

Cameriere                      - Alla brace...

Marco                            - Un po' indigeste... zuppa di mattoni traforati ri­pieni...

Cameriere                      - Un piatto molto chic...

Marcus                          - (intervenendo) I mattoni ripieni sono ottimi...

Marco                            - Si ma non vorrei che fossero ripieni di ricci di castagne o di valvole della radio... le valvole non le posso soffrire...

Marcus                          - Capisco che tu sia incuriosito... ma nel nostro pianeta ci siamo abituati a mangiare di tutto... ferro, car­bone, cemento, vetro, legno... digeriamo chiodi, tenaglie... cavi telefonici...

Marco                            - Mi meraviglio che le città restino in piedi; com'è che non mangiate case, porte e finestre!...

Marcus                          - Già, e dopo ci tocca ricevere gli amici nelle scodelle!

Marco                            - Scherzi a parte, una bella tristecca di ferro la mangio volentieri. Giusto il medico dice che sono gracilino. (In un attimo la bistecca è portata dal re sul tavolo di Marco che mangiandola molto volentieri commenta) ...chi l'avrebbe detto... sembra un budino...

Marcus                          - Devi assaggiare la zuppa di mattoni ripiena di­benne biro e cenere di tabacco... (Marco assaggia)

Marco                            - Buono... ah si, proprio buono... non l'avrei mai detto... complimenti... (// re si inchina e porge un bicchierino) Cos'è?

Cameriere                      - Un omaggio... acqua piovana e olio per auto­mobili.

Marco                            - Lo berrò con calma...

Marcus                          - No, bevilo d'un fiato perché dobbiamo andar via...

Marco                            - Scusa... ma chi paga?

Marcus                          - Pagare? Ancora questi discorsi? Ma la vuoi capire che non si usa qui?

Marco                            - Già, qui uno viene, mangia, e il padrone bello bello...

Cameriere                      - Tornate quando volete... sarete i benvenuti...

Marco                            - Si, torneremo... se l'avessi saputo... avrei portato altri amici... (Marco è improvvisamente attratto come da una persona che passa in lontananza. Fa un salto in avanti e guarda meglio. In ribalta passa una ragazza, visibilmente una terrestre. Infatti ha un pigiama molto chic. Lei passa di corsa e Marco l'afferra dicendo) Fermati... tu sei diversa... sei...

Terrestre                        - Ma si, ma si... sono una re come te, ma non lo dire...

Marco                            - Perché non lo devo dire?

 

Terrestre                        - Parla a voce bassa... ci sentono... non lo devi dire perché altrimenti... be', lo so io... non lo devi dire e basta...

Marco                            - È molto che sei qui?

Terrestre                        - Sono arrivata il giorno di Natale...

Marco                            - Spiritosa...

Terrestre                        - Si, è molto che sto qui... e non voglio tornare sulla terra, allora mi nascondo...

Marco                            - Come non vuoi tornare, sei matta?

Terrestre                        - È una storia lunga, tu non puoi capire...

Marco                            - Eh già, io non capisco le storie tue, non capisco quelle di Marcus, io sono quello che non capisce niente...

Terrestre                        - Insomma... io non voglio tornare!

Marco                            - Uffa... se non mi vuoi dire il perché, bene... se no...

Terrestre                        - È che mi... mi sono innamorata di un robot... adesso l'ho detto...

Marco                            - Ti... ti sei innamorata di un robot?

Terrestre                        - Si... cosa c'è di strano?

Marco                            - Ah, niente... niente... qui non c'è mai niente di strano... figurati...

Terrestre                        - (romantica) Se tu lo conoscessi...

Marco                            - Comunque, io dico che devi venir via con me... in due ci sarà più facile scappare...

Terrestre                        - Io, sei vuoi, ti aiuto, ma non vengo... mi di­verto troppo, tutto è cosi nuovo. (Musica. Sulla musica Marco canta: 'Insalata di favole". Alla seconda volta canterà con lui anche la re. Durante la canzone fingeranno di com­plottare parlando fra di toro, senza che il pubblico capisca quello che si dicono) Su quel pianeta hanno inventato la ricetta per fare l'insalata con le favole. Vi spiego di che si tratta. Dunque, si prende una storia qualunque (per esempio, Pinocchio), si prende un'altra storia qualunque,

                                      - (supponiamo Cenerentola), si mettono in pentola e si cuociono in compagnia a bagnomaria mescolando con un cucchiaio d'argento. Si aggiunge pepe, sale, un po' di salvia, poi si versa e si ascolta la storia nuova: "C'era una volta una burattina di legno che si chiamava Cenerentola, Sognava di andare a ballare nel castello del Principe Geppetto ma la matrigna cattiva glielo proibiva. Vegliava su lei, per fortuna, la Fata Pinocchio dal Naso Turchino che fece un incantesimo davvero sopraffino, eccetera eccetera e via di questo passo..." (continuate un po' da soli, sarà certo uno spasso). Si aggiunge pepe, sale, un po' di salvia, poi si versa e si ascolta la storia nuova: "C'era una volta una burattina di legno che si chiamava Cenerentola. Sognava di andare a ballare nel castello del Principe Geppetto ma la matrigna cattiva glielo proibiva. Vegliava su lei, per fortuna, la Fata Pinocchio dal Naso Turchino che fece un incantesimo davvero sopraffino, eccetera eccetera e via di questo passo..." (Continuate un po' da soli, sarà certo uno spasso).

(Stop alla musica. Ancora una volta Marcus è entrato mentre loro stanno cantando e quindi li guarda divertito. Durante la canzone, come è stato fatto già in precedenza, si potrà il­luminare soltanto la ribalta per consentire di cambiare la scena alle spalle e fare entrare la sezione "Casa dove dor­mirà Marco". Quindi a conclusione della musica Marcus dice)

Marcus                           - Ora devi dormire.

Marco                            - Dormire? Ma io non ho sonno... (Senza nemmeno parlare Marcus sta mettendo a posto il letto)

Marcus                          - Adesso ti riposi e poi vedrai, ci sono tante cose ancora da vedere... Io ho da fare per un po'... perché sai, mi occupo anche di altre cose, non soltanto di te...

Marco                            - Fai, fai... penserò io a dormire... (Marcus esce, Marco si guarda intorno evidentemente soddisfatto quando improvvisamente sente un suono che gli era familiare: l'ab­baiare degli arcicani. Si ricorda di averlo già sentito a bordo dell'astronave. Commenta a se stesso) Gli arcicani!... ancora quelle bestiacce... ma è possibile che questi spaziali tanto evoluti non riescano a trovare un sistema per... (Una voce interviene)

Robot                            - (f.c.) Tutto passato, ormai stanno andando via...

Marco                            - (sorpreso) E chi è? Chi ha parlato?

Robot                            - (f.c.) Sono io... non si allarmi... (Si illumina la zona della scena che era rimasta in ombra e vediamo un robot, seduto, che sta lavorando a maglia. Gli occhi fosfo­rescenti e un sorriso bonario)

Marco                            - Ma che sta facendo?

Robot                            - Un isolante... se ci saranno altre incursioni degli arcicani, non sentirò il fracasso., ma spero che non ce ne siano...

Marco                            - Allora perché fa quella roba? Non è carino per un robot.

Robot                            - Non posso stare senza far niente... tanto io sono un robot domestico e questa casa mi dà pochissimo lavoro, e poi mi piace fare la maglia. Lei è un sereniano, vero? Scusi se sono indiscreto... ma me lo ha detto il suo amico...

Marco                            - A proposito sa mica dove è andato Marcus... ha detto che aveva da fare...

Robot                            - No, mi dispiace, proprio non lo so...

Marco                            - Come non lo sa... questa sarà la casa di Marcus, no?

Robot                            - Oh no! È mia. Per modo di dire, si capisce... Ne ho una dozzina come questa... tutte case dove la gente va e viene e il solo che ci stia in permanenza, sia pure per fare i servizi, sono io... ho quasi ragione di considerarle mie... non le pare?

Marco                            - Come crede... (In quel momento dal televisore acceso sentiamo una voce che dice)

Voce TV                       - L'attacco degli arcicani è terminato. Le nostre trasmissioni riprendono con un concerto di pentole e co­perchi...

Robot                            - lo la inviterei volentieri ad ascoltare questo con­certo... però credo che lei debba dormire... da noi, sa, ognu­no dorme quando gli pare e se ne va in giro quando più gli piace...

Marco                            - E a lavorare qui, quando vanno?

Robot                            - Quando vogliono... il lavoro è libero come il ri­poso... tranne che per noi robot, si capisce... Noi siamo stati fatti per lavorare e lavoriamo giorno e notte... ma la cosa ci dà piacere... siamo stati fatti per questo... gli altri, invece, occupano il tempo assolutamente come vogliono...

Marco                            - E come si guadagnano da mangiare?

Robot                            - (meravigliato) Ma i ristoranti pubblici sono sem­pre aperti...

Marco                            - E chi fa da mangiare?

Robot                            - Le macchine... fanno tutto le macchine... ormai sono cosi brave che non c'è bisogno di sorvegliarle... Co­struiscono le case, fabbricano le scarpe, fanno funzionare la televisione... lavano i piatti... fanno una concorrenza a noi robot...

Marco                            - E voi ribellatevi...

Robot                            - Ribellarsi... è una parola... Noi robot mica siamo stati fatti per ribellarci... piuttosto non mi costringa a insi­stere, vada a dormire... e se tarda a prendere sonno chiami il numero 17 al telefono, raccontano delle bellissime favole... mi hanno detto...

Marco                            - Come, le hanno detto? Lei non le ha mai sentite?

Robot                            - No, noi robot è inutile che le sentiamo le favole... tanto non possiamo dormire...

Marco                            - Non potete dormire? Ma allora siete degli schiavi... non si può vivere senza dormire...

Robot                            - (divertito) No, no... forse non mi sono spiegato bene... non è che noi vorremmo dormire ma non possiamo... non sappiamo proprio cos'è il sonno...

Marco                            - Che peccato... il sonno è molto bello... poi si sognano delle cose stupende... c'è chi sogna a colori e chi in bianco e nero... insomma è come vivere un'altra vita... poi ci si sveglia e ci si sente forti... da noi, se non si potesse dormire, sarebbe un grosso guaio...

Robot                            - Eh lo so, ma non fa niente... io non ho nessuna invidia per chi dorme perché non ho mai provato...

Marco                            - Ma le piacerebbe provare?

Robot                            - Provare... io non so se è bello fare cosi... non sono stato programmato per questo...

Marco                            - (con aria di complicità) Ma dai... forza... ve­diamo un po'... io sono convinto che se si addormenta una prima volta si trova cosi bene che poi non vuole più smet­tere...

Robot                            - Questo sarebbe un bel guaio...

Marco                            - Avanti... io conosco un sistema infallibile per prendere sonno... contare le pecore...

Robot                            - Contare le pecore? Come?

Marco                            - Si, lei si mette ad occhi chiusi, vede delle pecore e le conta: una, due tre, quattro, cinque... nonno arriva si e no all'ottava... io certe volte mi addormento pure prima... provi... su chiuda gli occhi e conti le pecore...             - (Il robot chiude gli occhi, Marco spia incuriosito, passa una frazione di secondo il robot riapre gli occhi e dice)

Robot                            - Niente da fare...

Marco                            - Ma quante pecore ha contato?

Robot                            - Cinquemilioni e trecentoventuna... noi robot fac­ciamo i conti molto rapidamente. Debbo provare ancora?

Marco                            - No, aspetti, facciamo un'altra cosa... proverò a cantarle un ninna nanna... vedrà che con la ninna nanna si addormenta... (// robot annuisce ma dal sorriso già sulle labbra si capisce che Io fa giusto per accondiscendere al volere di Marco che comincia a cantare "Ninna nanna per il robot")

Dormi robot fa la ninna fa la nanna e non ti destare. Nel tuo elettronico cervello vengano i sogni a passeggiare. Dormi e sogna dei bei colori per dipingere il mondo intero poi da sveglio, prendi il pennello e dipingilo per davvero. Sogna di fare una poesia con le tue mille e mille rotelle, le poesie non servono a niente, non si mangiano, ma sono belle. Sogna un pianeta senza cattivi, dove ogni giorno, ogni giorno è Natale. Dormi, robot, fa la nanna, fa' la ninna e non ti destare.

(A conclusione della canzone il robot dorme saporitamente. Marco è visibilmente soddisfatto. Si addormenta anche lui. Buio. Al tornar su della luce vediamo il robot sveglio mentre Marco è ancora a letto che dorme)

Robot                            - Signorino Marco... signorino Marco... si svegli...

Marco                            - (svegliandosi) Che c'è? Che succede?

Robot                            - Niente... ma forse è ora... sa, ha dormito tanto...

Marco                            - (stropicciandosi gli occhi) Anche lei ha dormito, però, caro il mio robot... l'ho visto io mentre si addormen­tava...

Robot                            - (a voce bassa) Si... ma non lo dica a nessuno, la prego...

Marco                            - Proprio non vuol dormire più?

Robot                            - Magari un'altra volta...

Marco                            - Vuole che le canti ancora la ninna nanna?

Robot                            - No, per carità... sarebbe il disastro... no, no... piut­tosto spicciamoci...

Marco                            - Dove dobbiamo andare?

Robot                            - Fuori... c'è Marcus che l'aspetta... (/ due vengono in ribalta mentre la luce si spegne alle loro spalle. Con un telone o con un'altra soluzione scenica, si dovrebbe dare l'impressione di stare per la strada, una strada animata da tutti quelli che abbiamo visto fino a questo momento. Cor-rendo entra dalla quinta Marcus che raggiunge i due. Marco meravigliato dice)

Marco                            - Ma quanto sono belli questi alberi di Natale! Certo che il comune avrà speso un occhio!

Marcus                          - Il comune non ha speso un soldo... noi non ab­biamo soldi... questi alberi crescono da soli già con gli ad­dobbi.

Marco                            - Ma allora questo è proprio il paese degli alberi di Natale... be' mi fate un po' invidia; da che parte sarà la terra, lassù, laggiù?

Marcus                          - Sta per piovere... ci vuole l'ombrello raccogli-pioggia.

Marco                            - Ma è zucchero!

Marcus                          - Si, e coriandoli, è pioggia alla menta e al lam­pone; vedi i coriandoli, prendili in bocca, sono confetti... le macchine dell'aria provvedono a profumarli. Qui non esiste il cattivo tempo... anzi il cattivo tempo è un bel tempo; qual­che volta è più bello il tempo brutto che quello buono.

Marco                            - Ecco, è finito... E quelli chi sono?

Marcus                          - Questi, i nostri maestri.

Marco                            - Ma allora la scuola c'è anche qui; io me ne vado.

Marcus                          - No, sta' tranquillo; questi insegnano divertendo.

Marco                            - Ah be', però sempre insegnano.

Marcus                          - Si, ma non la matematica.

Marco                            - E cosa allora.

Marcus                          - Ascolta e capirai.

Marco                            - Ma dove vanno?

Marcus                          - Dai bambini: sono maestri. (Filastrocche da "Fi­lastrocche in cielo e in terra") Disastro, disastro... i robot si stanno addormentando... hanno imparato la ninna nanna... Emergenza emergenza.

Tutti                              - Rivoluzione... rivoluzione.

ATTO SECONDO

(// secondo atto ha inizio con la stessa scenografia del Pianeta: si vedono gli alberi di Natale e qualche cavallo a dondolo. Marco da solo canta: "Quassù sul pianeta". La tiritera ha una metrica elastica: esige un tipo di cantilena in cui sia facile "variare" i pieni e i vuoti) Quassù sul pianeta degli alberi di Natale la cosa più strana è del tutto normale. Ho visto per strada un vigile urbano che dirigeva il traffico con una cometa in mano. Ho visto passeggiando la bottega dei nasi: c'è il naso a innaffiatoio per bagnare i fiori nei vasi. Ho visto il negozio degli errori d'ortografia: li comperano gratis per ridere in compagnia. Ho visto ai giardinetti i'albero dei cappotti: chi ha freddo ne prende uno e in tasca ci trova i biscotti. Quassù il calendario è facile da imparare: è sempre lo stesso giorno e ogni giorno è Natale.

(Sulle ultime note della canzone un altoparlante annuncia)

 

Voce altoparlante          - Attenzione... comunicato urgente... Se continuerà il sonno dei robot il governo proclamerà lo stato di emergenza... saranno dati importanti premi a chi darà notizie del sereniano Marco che ha svelato ai robot il segreto del sonno... (Marco ascolta atterrito questo annuncio, quindi si guarda intorno e si nasconde. Poco dopo, dalla quinta di destra, entrano vociando alcune comparse che sono gli abitanti di Pianeta che stanno dando la caccia a Marco. Entrano da una quinta ed escono dall'altra. Vieti fuori Marco, lira un sospiro di sollievo, ma non fa in tempo a rallegrarsi per lo scampato pericolo, che di nuovo i vocianti tornano. Marco si finge statua per ingannarli. Il trucco riesce, infatti passano. Marco si guarda intorno, fa per avviarsi quando alle sue spalle entra il robot il quale, a voce bassissima, lo chiama, facendolo saltare per la paura)

Robot                            - (a voce bassa) Marco.. Marco... senta, le voglio parlare...

Marco                            - Bravo!... Cosa vuol fare? Consegnarmi alla polizia? Ha sentito che mi stanno cercando... e tutto per colpa sua...

Robot                            - Colpa mia... è lei che mi ha insegnato a dormire. Naturalmente, siccome i nostri cervelli sono intercomunicanti, quello che ho imparato io hanno imparato tutti gli altri robot di Pianeta. Molti ci hanno preso gusto... non fanno che dormire...

Marco                            - E va bene, svegliatevi... non avete dormito per tanti anni, continuate a tenere gli occhi aperti... a voi certe in­novazioni meglio non portarle...

Robot                            - Senta, io avrei un'idea...

Marco                            - (con speranza) Mi aiuta a fuggire?

Robot                            - No, vorrei che lei mi consigliasse cosa si deve fare per non dormire.

Marco                            - Pare facile... io posso solo insegnare cosa si deve fare "per" dormire... "non" dormire è difficilissimo. Però, se i robot dormissero solo quando dormono anche gli abitanti di Pianeta, nessuno se ne accorgerebbe...

Robot                            - (allarmato) Ma le macchine? Se scoprono il sonno anche le macchine?

Marco                            - (che vuol dare ad intendere di essere esperto) No, no, stia tranquillo... non ho mai visto una macchina addor­mentarsi, tranne quando manca la corrente. (In quel mo­mento si sente fuori quinta il vociare della gente che torna. Marco guarda allarmato il robot che lo prende per mano e l'aiuta a nascondersi. Il gruppo di vocianti passa con cartelli contro il sonno dei robot. Escono come prima dall'altra quinta e ritornano di nuovo in scena Marco e il robot) Lo vede? Non di danno pace... è tanto terribile, vogliono per forza la mia testa...

Robot                            - (ridendo) Cosa significa volere la testa? Alla peg­gio le metteranno un brutto voto sulla pagella... Comun­que, io avevo quell'idea... se lei riesce, con la sua abilità, a conquistare qualche merito speciale qui su Pianeta, allo­ra vedrà che tutti le faranno festa e nessuno ricorderà la faccenda del sonno.

Marco                            - Mica facile... se sto una settimana senza man­giare cioccolata. (In quel momento fuori campo l'abbaiare, che già abbiamo sentito, degli arcicani) Gli arcicani!

Voce altoparlante          - Attenzione attenzione... è tempora­neamente sospesa la caccia al sereniano Marco. La popola­zione è pregata di tapparsi le orecchie fino alla fine dell'al­larme...

Marco                            - Ma se si tappano le orecchie come faranno a sen­tire la fine dell'allarme? O forse il comune manderà in giro dei vigili a dare dei pizzicotti alla gente perché si levi i tam­poni?

Robot                            - Scusi, lei ha qualcosa di meglio da proporre? (// rumore degli arcicani continua incessante. Intanto altra gente, ormai distratta dalla ricerca di Marco, si è portata sulla scena e dà segni di disperazione per l'abbaiare delle be-stiacce. Marco rivolto al robot dice)

Marco                            - Possibile che non sappiate fare stare zitte quelle bestiacce? Sono arcicani? E dategli degli arciossi, mannaggia... Vedrete che tempo dieci minuti diventeranno pecore... (Un "oohhh" di meraviglia attraversa i presenti. Uno di loro esclama)

Cittadino                       - "Arciossi"? Ha detto "arciossi"? (// robot af­ferra per un braccio Marco e dice)

Robot                            - Venga, venga con me! (// robot trascina Marco verso un distinto signore che non essendosi tolto i tam­poni dalle orecchie non si era nemmeno accorto di quanto detto da Marco. Il robot dice) Signor Direttore delle inizia­tive speciali, questo sereniano ha detto la parola che aspet­tavamo da tanto tempo... diamo degli "arciossi" agli arcicani e tutto sarà risolto...

Direttore                       - "Arciossi"? Che cos'è un "arciosso"? Lei, gen­tile amico, sarebbe in grado di disegnarcelo? (Poi tirando fuori una specie di telefono tascabile dice) ...Pronto? Sottosezione N. 45557? Sospendete il lavoro: tra poco riceverete il dise­gno di un arciosso. Dovrete subito fabbricarne un milione di esemplari. Importante, precedenza assoluta. (La gente a questo punto si fa intorno al Direttore e a Marco che, stu­pito, sta seguendo l'incredibile interesse suscitato dalla sua idea. Il robot gli mette in mano un foglio di carta e una matita e gli dice)

Robot                            - Ecco, disegni un arciosso... questa è l'occasione che aspettavamo.

Marco                            - Ma veramente io in disegno più che qualche ca­setta con una porta in mezzo e una finestrina per parte...

Robot                            - Su, su, lei è bravissimo: chi sa pensare sa anche disegnare... /

Marco                            - Boh! Io mi ci provo... che mi costerà?... (La sua incertezza non è raccolta. Tutti si aspettano che faccia final­mente questo disegno. Marco comincia a disegnare, mala­mente. È poco più di uno scarabocchio somigliante ad un osso. Quindi mostra il risultato a tutti e, tra la meraviglia dei presenti, gli applausi e le esclamazioni, il Direttore dice)

Direttore                       - Bene, ecco quello che ci serve... (Passa il foglio in quinta e intanto dice) Svelti! Superproduzione immediata... gli arcicani in questo momento sono lontani... ma sento che stanno per tornare! (// tempo di complimentare Marco e di nuovo il rumore degli arcicani diventa assordante, una nuova incursione. Contemporaneamente, dalla quinta, gettati sulla scena come se uscissero da una catena di montaggio, arrivano di arciossi giganteschi. Marco non può fare a meno di esclamare)

Marco                            - Ma con questi farebbero festa tutti i cani randagi di Roma, per un anno... (La gente, come colta da una fre­nesia, comincia a lanciare verso l'alto questi arciossi che ovviamente non ricadono a terra. Lentamente il rumore de­gli arcicani, l'orrendo abbaiare, finisce. Il Direttore al colmo della gioia grida verso l'alto)

Direttore                       - Mordete... mordete... vi abbiamo preparato una sorpresa: è un osso che non si consuma mai... può bastare per un'intera famiglia di arcicani sino alla settima generazione.

Cittadino                       - Formidabile! con poche centinaia di arciossi gli arcicani saranno "per sempre" vinti... occupati a leccare, rodere, mordicchiare senza fine, nello spazio...

Folla                              - Monumento! Monumento! Il sereniano merita il monumento! Si, al giardino, presto tutti al giardino. Ono­riamo il vincitore! Monumento, monumento! (Marco viene preso sulle spalle e portato in trionfo. Si gira verso il robot e gli strizza l'occhio con complicità. Sui cittadini che, portando in trionfo Marco, si allontanano, parte un "sottofon­do musicale". La luce cala mentre questi escono di quinta. Rientrano dalla prima quinta dalla parte opposta, sisteman­dosi in ribalta. Alle loro spalle dovrebbe calare un panorama dove in qualche maniera è dipinto il "giardino": Marco viene posato in terra mentre alcuni dei presenti cominciano ad ammucchiare una sostanza che sembra neve. È qui necessa­rio un trucco, ad un tratto cioè vedremo il monumento di Marco, monumento che dovrà sciogliersi. Mentre tutto questo avviene il Direttore dice)

Direttore                       - Questo è il nostro giardino d'inverno... quando lo si viene a visitare chiunque può usare questi attaccapanni per prendere pellicce o stivali... ma il grande momento è ar­rivato. (Squilli di tromba, applausi della gente, un panno tirato e vien fuori questo monumento dove si vede Marco con un piede sulla groppa di un arcicane e una mano levata a brandire un arciosso. Sulla base del monumento una effige che leggiamo anche noi: "A Marco il sereniano, trionfatore degli arcicani, padre degli arciossi". Altri squilli di tromba, poi i presenti, dopo aver guardato di nuovo Marco e il suo monumento, si allontanano lasciandolo solo. Marco li segue con lo sguardo: non capisce più il perché di tanta festa e il perché di una cosi rapida conclusione. Commenta)

Marco                            - E cosi... la festa è già finita... che strano paese questo... ti fanno vivere tante emozioni senza darti il tempo di uscire da una per entrare in un'altra... (Mentre sta fa­cendo queste riflessioni entra Marcus che facendo una palla di finta neve la scaglia fra gli occhi del Marco di neve. Marco si risente e dice) Aho! proprio alla mia statua? Non potevi tirare a quella di un altro?

Marcus                          - Tanto i bambini ci avrebbero fatto il tiro a segno: meglio che il colpo lo abbia tirato un amico.

Marco                            - Adesso però mi spiegherai perché mi hai piantato in asso...

Marcus                          - (minimizzando) Affari... (Cambiando discorso) Sai? Io non sono ancora riuscito a farmi fare un monu­mento...

Marco                            - Da noi, veramente, si fanno solo ai morti, e mica di neve, ma di bronzo o di marmo... e si mettono nelle piazze, nelle strade, nei giardini pubblici...

Marcus                          - Chissà come ingombrano... preferisco i nostri monumenti di neve... durano poco e lasciano il posto agli altri. E poi che gusto ci può trovare un morto se gli fanno un monumento? Se glielo fanno da vivo se lo gode, anche se dura poco...

Marco                            - Senti, prima di avevo chiesto perché mi hai lasciato in asso...

Marcus                          - Te l'ho già detto... affari... (Cambiando di nuovo discorso) Vieni, vieni, che ancora non hai visto il magazzino delle novità... (Marcus si avvia, Marco lo segue recalcitrante, cala il buio, viene sollevato il siparietto che serviva per la scena del giardino d'inverno. Al salire della luce un angolo della scena rappresenta il magazzino delle novità. Sarà bene trovarci una scritta dove si legge appunto "Magazzino delle novità". In un angolo un'altra scritta dove si legge: "Sarete re in un minuto". La scena sarà sufficiente rappresentarla con un tavolo pieno di ninnoli e alcuni scatoloni. C'è un robot-commesso            - si potrà ovviamente usare quello di prima, tanto non saranno facilmente riconoscibili. Marco si rivolge al robot e dice)

Marco                            - Che significa questa scritta?

Robot                            - Oh, signore mio... riusciamo a interessare solo qualche vecchietto, qualche giovane provinciale...

Marco                            - Ma cosa vendete precisamente?

Robot                            - Titoli, signore. Titoli nobiliari, gradi militari, ono­rificenze di questo pianeta o di altri, di tutti i secoli, presenti 96 e passati. Lei vuole essere sergente, granduca, ciambellano, penitenziere di corte, ammiraglio, imperatore del Sacro Ro­mano Impero Germanico? (Cosi dicendo fruga in uno scaf­fale, tira fuori un rotolo di pergamena, lo sfoglia, ha un ge­sto di disappunto) Ho parlato troppo in fretta... il titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico l'ho già venduto la settimana scorsa... sono dispiaciuto... se vuole però posso vendere a lei il titolo di Re delle Due Sicilie... oppure il diploma di primo spinterogeno e sacra marmitta del Granducato di Besozzo... o anche quello di cavaliere dell'Ordine dei Brutti e Buoni, o infine questo qui, che è un grado di capitano dei vigili urbani...

Marco                            - Ecco... prendo questo, al mio ritorno a Roma mi sarà utile... (Rivolto a Marcus) Devi sapere che c'è un vigile che non ci lascia mai giocare a pallone... anzi, ci porta via un pallone alla settimana., con questo grado di capitano lo metto sull'attenti quando mi pare...

Marcus                          - (sorridendo) Hai visto che anche questo negozio ti è stato utile? Vieni di qua a guardare quest'altra roba... (/ due si dirigono verso un banco. Marco è attratto da un oggetto non più grande di un ditale. Lo prende e domanda a Marcus)

Marco                            - Che cos'è, un temperamatite?

Marcus                          - No, al contrario, questo è uno stemperamatite e stemperino... quando la matita è ridotta proprio a un moz­zicone che dovresti buttarla via, basta rigirarla un paio di volte nello stemperino e torna come prima, come nuova...

Marco                            - Be', io lo prendo...

Marcus                          - Naturale. E adesso scusami, dovrei andar via...

Marco                            - Ma io ho da parlarti...

Marcus                          - Se è proprio urgente vieni, accompagnami... (Si avviano. Cala la luce sulla zona della scena illuminata, quindi Marcus e Marco si trovano in ribalta dove dobbiamo immaginare che sia la strada e che effettivamente Marco stia accompagnando l'amico dove quest'ultimo deve andare) Al­lora cosa mi volevi dire?

Marco                            - Ma, veramente è un discorso difficile... non so nemmeno da che parte cominciare... È che io non ne posso più e voglio tornare indietro... insomma voglio tornare a casa.

Marcus                          - Come sei noioso... ti ho detto che saresti tor­nato a casa, prima o poi...

Marco                            - (scattando) Prima o poi! Non mi basta più pri­ma o poi... e guarda che questa è l'ultima volta che te lo chiedo... se ho voglia, scappo per davvero...

Marcus                          - Che parole grosse! Eppoi, cosa mai avrai lasciato a casa... ma è mai possibile che non riesci a trovarti bene qui? Ti hanno fatto perfino il monumento!... (Non gli dà nemmeno il tempo di rispondere e si allontana. Marco lo rincorre e ora, giocando di entrate e uscite da una parte all'altra del palcoscenico, dovremmo dare l'impressione che Marco stia seguendo Marcus. Mentre lo insegue canta "Terra, Terra dove sei") Terra, Terra dove sei, nello spazio gli occhi miei cercano un segno del tuo passaggio, cercano un raggio della tua luna tra le stelle senza nome. Vorrei tornar da te ma non so come. La Terra è casa mia, tutta quanta, tutta mia, ci sta la gente mia, tutta mia, tutta mia. Da Roma a Vienna al Paraguay, da Parigi a Mosca a Scianghai di pelle bianca gialla o nera siamo terrestri alla stessa maniera. Vecchi e giovani, belli e brutti, la Terra è una sola, è la Terra di tutti.

(Sono due blocchi a sé stanti, senza un blocco ritornello in senso tradizionale. Il primo può essere ripetuto, per lasciare un senso di malinconia. Si possono anche invertire, secondo le necessità di regia. Sulle ultime note della canzone si il­lumina la scena e in una zona vediamo la scritta "Palazzo del Governo che non c'è". Un tavolo con delle persone sedute che non distinguiamo bene per un siparietto trasparente

 che ci fa vedere soltanto le sagome. C'è una porta alla quale Marco origlierà. Marco arriva correndo nella zona della sce­na buia e non si avvede di urtare qualcuno accucciato in terra. Luce anche sull'altra zona della scena e vediamo un austero signore che sta riempiendo di appunti alcuni fogli. Questo guardando Marco dice)

Signore                          - Fa' attenzione giovanotto.

Marco                            - Scusi... mi scusi tanto, signore...

Signore                          - Figurati, e dammi pure del tu...

Marco                            - Ma io non la conosco...

Signore                          - Se è solo per questo, mi posso presentare. Sono il capo del governo. Ma sai che ti dico? Che me ne vado a casa!

Marco                            - (sorpreso) ...Il capo del governo? Ma...

Signore                          - (interrompendolo) Stavo recandomi a una seduta, quando mi è venuto in mente un magnifico problema di matematica, e allora seduta per seduta, mi sono seduto qui per risolverlo. Mi dispiace per i miei colleghi, ma dovranno eleggere un altro capo del governo... mi considero dimissio­nario per ragioni matematiche.

Marco                            - Scusi, signore, se mi permetto... se lei è il capo del governo deve essere al corrente della mia questione... sono di Roma, vengo dalla Terra... anzi dal pianeta Serena... vorrei sapere se...

Signore                          - Già, ora che mi ricordo c'eri anche tu nell'or­dine del giorno, ma non ti preoccupare, si risolverà anche il tuo problema... io però adesso ho il mio... gran cosa la matematica... (Buio nella zona dove Marco sta parlando con il capo del governo dimissionario mentre si anima di suoni la zona dove abbiamo visto il tavolo e le sagome. Marco è attratto dalle voci, si avvicina e comincia ad origliare. Ha una sorpresa nel sentire la voce di Marcus che sta dicendo)

Marcus                          - Non possiamo rimandare la riunione... se il capo del governo non viene, nominiamone un altro...

Voce                             - Ma è il quinto in un mese...

Marcus                          - Ci sono cose che esigono una decisione...

Voce                             - Senti, se devi decidere qualcosa, decidila tu, fai tu il capo del governo... tanto questo è un governo inutile perché le cose vanno avanti da sole.

Marcus                          - Ma... io?

Voce                             - Niente "io", sei stato eletto, arrangiati!

Marcus                          - Accetto, ma a una condizione: che stasera stessa si discuta il caso di Marco. Ho perso tutta la notte e metà della giornata a tentare di organizzare una riunione del governo. Prima dell'alba il caso Marco deve essere deciso.

Voce                             - Perché tanta fretta?

Marcus                          - Perché Marco ha lasciato il pianeta Serena, secon­do il calendario di laggiù, la sera del 23 ottobre. Tra qualche ora su Serena sarà l'alba del 24 e la scomparsa del ragazzo sarà notata...

Marco                            - (a se stesso) Ci mancherebbe altro...

Marcus                          - Signori, voi sapete che i sereniani, negli ultimi tempi, hanno compiuto molti passi in avanti nell'astronau­tica. Si può ragionevolmente ritenere che entro pochi decen­ni, viaggiando per l'Universo, essi tocchino terra su Pia­neta. In che stato d'animo sbarcheranno? Si presenteranno come amici, disposti a stringere amicizia con noi, a rispet­tare la nostra libertà o piuttosto vorranno sottometterci ed impadronirsi di quanto abbiamo creato per il nostro benes­sere? Avremmo potuto mandare un ambasciatore ai terrestri e non si è fatto niente. Il governo avrebbe potuto adottare qualche misura di sicurezza e invece niente. Per fortuna ci siamo mossi noi. Voce         - (assonnata) Chi noi?

Altra

Voce                             - Ecco, chi è che si è dato tanto da fare?

Marcus                          - Già, lei è diventato ministro soltanto ieri sera e non ne sa niente. Noi, voglio dire i ragazzi della scuola 2345, Classe 5a, sezione H. Senza dir niente a nessuno abbiamo varato il nostro progetto. Abbiamo detto: i sere­niani non verranno prima di vent'anni, quindi, frequentano la 5" elementare: oggi come oggi dunque dobbiamo metterci in contatto con la 5" H di Tokio, di Roma, di Gallarate, di Brescia, di Londra eccetera. E cosi, abbiamo cominciato a produrre cavalli a dondolo spaziali, in tutto simili a certi cavalli di cartapesta, molto ricercati sulla Terra come gio­cattoli e doni di Natale.

 Voce                            - (assonnata) E quanti sereniani arrivano in un mese sul nostro pianeta?

Marcus                          - Almeno centomila...

Marco                            - (a se stesso) Hai capito?... Guarda quanti cavalli a dondolo si vendono e io non lo sapevo...

Marcus                          - In ogni caso il sereniano Marco ha già superato brillantemente la prova degli arcicani... è una piccola prova per vedere se riusciva a dimenticare il verbo uccidere...

Voce                             - Non ho capito, che cos'è questa storia della prova?

Marcus                          - "Uccidere" è una di quelle vecchie parole che conserviamo nel Palazzo della Cancelleria, dopo che le can­celliamo dai vocabolari. "Uccidere", "odiare", "guerra", e molte altre. Abbiamo volutamente provocato alcune incursioni di arcicani e mentre la prima volta Marco ha suggerito di ucciderli, in seguito ha trovato un'altra soluzione... È il due­centesimo sereniano che inventa gli arciossi, dimenticando il verbo uccidere...

Marco                            - (a se stesso) Ah bene, quindi non sono stato nem­meno originale...

Voce                             - Allora, tutto a posto...

Marcus                          - Mi domando solo se il viaggio non gli avrebbe fatto meglio fra un annetto o due...

Voce                             - E allora teniamolo qui ancora per un paio d'anni... (Marco fa un salto a questa notizia e correndo dalla parte opposta mentre le voci di Marcus e degli altri rimangono facendosi confuse, grida)

Marco                            - Eh no! Non potete decidere da soli... ci sono anch'io! Ma che, scherziamo? Due anni sono ventiquattro mesi... (Sì illumina la ribalta mentre cala la luce sul Palazzo del Governo e troviamo Marco che corre in ribalta e quasi non si accorge di scontrarsi con la terrestre che viene in senso opposto)

Terrestre                        - Marco, dove vai di corsa?

Marco                            - (sconvolto) Ah proprio tu... dove vado?... ho sen­tito cose terribili... pare che mi vogliano tenere qui altri due anni... ma io non ci sto davvero...

Terrestre                        - Guarda a chi toccano certe fortune! Pensare che io vorrei tanto rimanere e invece ho paura che da un momento all'altro mi rimandino giù...

Marco                            - Senti un po', ma anche tu sei venuta con un cavallo a dondolo?

Terrestre                        - Si, perché?

Marco                            - No, scusa, all'età tua giochi con i cavalli a don­dolo? Io, tanto tanto...

Terrestre                        - È stato un caso, per divertimento, una sera, mentre la mia sorellina più piccola si addormentava mi sono messa a giocare con il suo cavallo a dondolo... cosi, volevo provare l'emozione di un gioco che facevo da bambina e mi sono ritrovata su questo meraviglioso Pianeta...

Marco                            - Ah, ecco... io mi credevo che tu fossi una ripe­tente, perché qui vengono solo bambini della 5" elementare...

Terrestre                        - Mia sorella fa proprio la 5a elementare.

Marco                            - Comunque, se a te interessa rimanere, rimani pure, ma io da qui me ne vado... perché non mi dai una mano?

Terrestre                        - L'unica cosa che puoi fare è andare all'aero­porto spaziale... rintracciare un cavallo a dondolo e partire... se vuoi ti accompagno...

Marco                            - Dai, andiamo... (Mentre i due avviandosi sparisco­no di quinta, torna a illuminarsi la sala del governo e sen­tiamo Marcus che dice)

Marcus                          - In conclusione, a parte le mie perplessità e ascoltato anche il vostro parere, penso che la cosa migliore sia di rimandare Marco sulla Terra questa sera stessa... (Gli altri applaudono e la scena torna di nuovo buia. Si illumina di nuovo la ribalta, passano Marco e la terrestre. Le poche battute che si scambiano sono necessarie a fare cambiare la scena alle loro spalle e a ricostruire quella che abbiamo visto all'inizio dello spettacolo quando è arrivato su Pianeta)

Marco                            - Sei proprio sicura di non voler partire?

Terrestre                        - Si... ma tanto saranno loro che mi faranno tornare... ho paura che non potrò rimanere a lungo qui... Del resto quel robot di cui mi stavo innamorando è tanto cam­biato... io gli parlo, gli parlo e lui sai che fa? Si addormenta.

Marco                            - (imbarazzato) Capisco...

Terrestre                        - Magari gli racconto della Terra, del mare, dei tramonti... e lui russa. Però, se torno a casa, mi tocca di stirare i pantaloni e le camicie di mio fratello. Ma perche non se li stira da solo, me lo dici tu? Uffa... che pasticcio...

Marco                            - Certo, certo...

Terrestre                        - Poi c'è mio padre. Non vuole che io faccia la hostess perché lui ha paura dell'aeroplano, ha paura... dico, ho attraversato mezza via Lattea, si o no?

Marco                            - Questo lui non lo sa ancora...

Terrestre                        - E se glielo dico, mi crede?

Marco                            - Posso farti da testimone...

Terrestre                        - Hm... ci penserò...

Marco                            - Facciamo cosi: quando torni sulla Terra mi tele­foni...

Terrestre                        - Be' si... avremo sempre da raccontarci qualche cosa. (Al loro uscire di quinta si illumina la scena che è appunto la stazione interplanetaria. In un angolo, ammas­sati, alcuni cavalli a dondolo. Marco e la terrestre con molta cautela, per non essere visti, si avvicinano a questi cavalli. Marco comincia a toccarli e poi improvvisamente esclama)

Marco                            - Questo! Questo è il mio... è proprio quello che mi hanno regalato... strano, adesso mi sembra addirittura bello...

Terrestre                        - Dai, montaci sopra e vai via... se aspetti an­cora un po' ti troverà qualcuno,..

Marco                            - (improvvisamente impaurito) Veramente non so nemmeno da che parte andare... e se sbaglio e finisco su un altro pianeta? Magari su Saturno invece che sulla Terra?

Terrestre                        - Certo che questo è un problema... non credo che esistano cartelli indicatori in giro per lo spazio... (Non fa in tempo a finire la frase che entrano in aeroporto i rap­presentanti del governo con alla testa Marcus il quale sor­ridendo si fa incontro all'amico)

Marcus                          - Marco! (Marco fa un salto indietro imbarazzato e anche la terrestre lo guarda con occhi di rimprovero... Mar­co incerto cerca di giustificarsi)

Marco                            - Ero qui... avevo voglia di rivedere il mio cavallo a dondolo. (Guardando la terrestre) Lei non c'entra per niente, però... È venuta a tenermi compagnia...

Marcus                          - (che ha capito) Sì, si, sei venuto a vedere il tuo cavallo a dondolo, ma anch'io sono venuto a darti una bella notizia... la decisione ti è stata favorevole... sarai a casa prima di giorno e nessuno si accorgerà di nulla... puoi anche partire. (Marco ha perso tutta la sua arroganza, guarda Marcus e quasi commosso gli dice)

Marco                            - Partire?... Ma... in fondo... se preferisci, potrei anche rimanere qualche giorno... mi sono trovato bene, molto bene qui (Gli va incontro lo abbraccia e lo bacia) e sono un cretino, perché adesso mi dispiace lasciarti e non vederti più... uno mica può andare a trovare un amico in un altro pianeta-mia madre figurati, non mi manda nemmeno a trovare gli amici che non abitano nel quartiere... Senti, non potresti venire tu, una volta, su Serena?

Marcus                          - Vedrai che capiterà...

Terrestre                        - Oh si, fosse vero...

Marcus                          - (rivolto agli altri componenti del governo) Co­me vedete, la prova è perfettamente riuscita... Marco mentre ci lascia ha scoperto che ci vuole bene e che in fondo ha imparato delle cose. Abbiamo un amico in più nello spazio. (Rivolto nuovamente a Marco) Adesso parti però, sennò farai tardi...

Robot                            - (arriva mentre Marco sta per salire sul cavallo) Marco! Marco! e io?

Marco                            - Ah, il mio robot. Arrivederci anche a lei.

Robot                            - Un momento... Non mi ha ancora detto cosa debbo fare per non addormentarmi più...

Marco                            - Già... rimanere svegli... ecco il problema. Sa quand'è che io non riesco a prendere sonno?

Robot                            - Quando?

Marco                            - Quando mi capita di pensare alla gente che non ha un letto, che non ha una casa, che non ha sonno perché invece ha fame, ha freddo... ecco, allora anche il mio sonno se ne va...

Robot                            - Ma su Serena c'è ancora della gente tanto infelice?

Marco                            - Ce n'è, ce n'è tanta...

Robot                            - Terribile... e gli altri dormono...

 

Marco                            - Quelli che non ci pensano mai...

Robot                            - Ma bisogna fare qualcosa!

Marco                            - Si, qui ho capito che si possono fare "molte" cose. E vi ringrazio per questo...

Robot                            - Grazie anche a lei, Marco! Le assicuro che starò sempre ben sveglio! (Marco sta per salire in groppa al ca­vallo a dondolo, quando scende, corre verso un angolo della scena dove ci sono dei piccoli alberi di Natale, ne strappa uno piccolo e dice)

Marco                            - Posso portarlo con me? Mi piacerebbe piantarlo sul balcone di casa... quando sarà cresciuto, poi, ne pianterò altri in tutte le piazze, popolerò la terra di alberi di Natale.

Marcus                          - Bisogna vedere se le nostre piante attecchiscono laggiù... comunque portalo via... e quando lo vedrai ti ri­corderai di noi... (Marco tenendo in mano il piccolo albero di Natale sale sul cavallo a dondolo e voltandosi a guardare tutti gli altri dice)

Marco                            - La Terra cambierà nome, si chiamerà il "Pianeta degli alberi di Natale", parola mia. (Saluta con la mano, gli altri rispondono salutando anche loro, la terrestre grida)

 Terrestre                       - Fai buon viaggio Marco... ci vediamo presto a casa... (Frastuono, luce a intermittenza, mani che ancora salutano. Sottofondo musicale. Bisogna dare l'impressione della partenza e del viaggio di Marco verso la Terra. Questo ci deve consentire di allestire in un angolo della scena uno scorcio della cameretta di Marco a Roma. Al salire della luce vediamo la cameretta di Marco, un lettino. Marco sta dormendo. Indossa lo stesso pigiama che gli abbiamo visto durante tutto lo spettacolo. In un angolo il cavallo a don­dolo. China su di lui la madre che cerca di svegliarlo)

Mamma                         - Su marmotta... ti sei addormentato sul cavallo... il tuo compleanno è finito... siamo già a domani... si torna a scuola... (Marco di scatto si sveglia, si mette a sedere sul letto e domanda)

Marco                            - Che... che giorno è?

Mamma                         - E che giorno deve essere? Ieri era il 23 ottobre e oggi è il 24. Era il tuo compleanno, te lo sei scordato?

Marco                            - Sì si... il mio compleanno... (Marco balza dal letto e corre ad esaminare il cavallo. La mamma lo guarda divertita. Marco alza l'orecchio destro del cavallo ed esclama rivolto alla mamma) Vedi... c'è un forellino qui sotto l'orec­chio...

Mamma                         - Perché sei uno sfascione... ieri te l'hanno regalato e già l'hai rotto...

Marco                            - Ma no... questo è stato un meteorite... mi ha col­pito nel viaggio di ritorno, dalle parti di Saturno...

Mamma                         - (uscendo) Ma che dici! Sei diventato matto? (Mar­co non la sta nemmeno a sentire, corre verso le sue panto­fole, le pantofole che indossava sul "Pianeta degli alberi di Natale", le annusa e poi tirando un sospiro dice)

Marco                            - Ma allora è vero... è tutto vero... queste pantofole profumano di mughetto... come lassù... non mi sono mica sognato niente... (Si alza, si mette una mano in tasca, sorride e tira fuori un coriandolo) Ecco... ecco... questo è proprio il coriandolo di menta che mi ero dimenticato di mangiare... (Ha un'idea improvvisa e comincia cercare per tutta la stan­za, guarda anche sotto al letto) E l'albero? L'albero di Na­tale che mi sono portato via? Possibile che non lo trovi? A meno che... a meno che, mentre ero sul cavallo a dondolo un po' di vento non me lo abbia fatto volare via... speriamo che si ricordino di mandarmene un altro... (Lentamente Mar­co comincia a spogliarsi del pigiama, l'abito che ha indossato su Pianeta, e a vestirsi come un qualsiasi scolaro di 5" ele­mentare che deve andare a scuola. La scena va al massimo delle luci, parte il sottofondo musicale e mano a mano che Marco si finisce di vestire, che mette i libri nella cartella, entrano in scena Marcus, la terrestre, il robot, il Direttore, tutti i personaggi insomma che hanno animato la sua avven­tura e insieme, in ribalta, mentre Marco è ormai vestito da alunno di 5° elementare, cantano "Canzone dei bambini spa­ziali". Sulle ultime note della canzone Marcus passa a Marco un piccolo alberello di Natale, come quello che lui aveva portato via e su questa immagine cala il sipario)

 

FINE